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CRISI DEL SACERDOZIO? Cerchiamo di capire le ragioni (2)

Ultimo Aggiornamento: 14/05/2014 13:55
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17/08/2012 22:02
 
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Anno 2010. Per la prima volta i preti ordinati dagli istituti missionari italiani sono tutti stranieri

 

 
di Padre Piero Gheddo

Ogni anno a giugno gli istituti missionari celebrano l’ordinazione sacerdotale dei loro diaconi e le destinazioni alle missioni. Quest’anno i quattro nati in Italia (Pime, Comboniani, Saveriani e Consolata) non hanno nessun sacerdote italiano – questo almeno mi risulta.

Il Pontificio istituto missioni estere (Pime) ordina 11 sacerdoti, ma tutti stranieri: quattro brasiliani, tre indiani, tre birmani e uno della Guinea Bissau. Un amico comboniano mi ha detto che quest’anno hanno chiuso il loro noviziato europeo, che riceve giovani dai sette paesi del continente in cui l’istituto è presente. Il Pime, istituto non religioso (cioè senza i voti), è internazionale solo dal 1989, mentre altri istituti, da sempre internazionali, hanno un maggior numero di sacerdoti dalle missioni. Ma la situazione delle vocazioni missionarie italiane è più o meno uguale per tutti: sì e no un solo sacerdote all’anno, quando va bene.

Secondo i dati delle Pontificie opere missionarie, nel 1934 l’Italia aveva 4.013 missionari nei territori di missione, 7.713 nel 1943, 10.523 nel 1954.
Nel 1965 la rivista Fede e Civiltà dei missionari saveriani (che attualmente esce come Missione Oggi) realizzò un’inchiesta da cui risultava che i missionari italiani in missione erano 10.708.
Dopo il Concilio Vaticano II arrivarono fino ai 16 mila del 1985. Un fatto straordinario, dovuto ai sacerdoti “fidei donum” (diocesani in missione), al volontariato laico nelle missioni e al fatto che molti istituti, congregazioni e ordini religiosi, soprattutto femminili, sono diventati missionari mentre non lo erano mezzo secolo prima. Altre Chiese d’Europa, tradizionalmente missionarie, hanno avuto una forte diminuzione. La Francia è passata da 22 mila missionari sul campo negli anni Sessanta a 11 mila, l’Olanda da 6 mila a 2 mila, la Germania da 14 mila a 6 mila, gli Stati Uniti da 15 mila a 7 mila, secondo statistiche del 1989. Oggi la situazione non è certo migliorata. Si calcola che gli italiani in missione siano circa 12 mila, ma «con i capelli sempre più grigi», come scrive Mondo e Missione in un “servizio speciale” dell’ottobre 2008 intitolato “Missionari in via di estinzione?”.

Titolo provocatorio quello scelto dal mensile del Pime, ma questa è la realtà. Dopo quasi sessant’anni nella stampa e nell’animazione missionaria in Italia, esprimo una mia convinzione. Le cause sono certo molte: crisi di fede e delle famiglie, ragion per cui mancano i giovani; crisi delle diocesi e delle parrocchie, dove si incontrano sempre più preti stranieri. Ma il crollo delle vocazioni missionarie dipende in gran parte dal fatto che la figura del missionario non attira più. Era affascinante fino a quarant’anni fa (Indro Montanelli mi diceva: «Voi missionari siete tutti eroi»), ma è molto decaduta nella cultura del nostro tempo e quasi scomparsa nei mass media d’oggi. Noi missionari e i nostri istituti abbiamo perso la nostra identità e il nostro fascino. Eravamo gli inviati della Chiesa per portare Cristo e il Vangelo ai popoli e fondare la Chiesa come negli Atti degli Apostoli. Questa era la nostra identità, l’immagine che avevamo noi giovani sognando di diventare missionari. Poi la missione è cambiata e il missionario ha perso l’aureola di eroe e di pioniere, oggi va a servire Chiese quasi ovunque già fondate. Tutto vero, ma è anche vero che i missionari sono sempre più richiesti dalle giovani Chiese e oggi acquistano in più l’immagine nuova di “ponte fra i popoli, le religioni e le culture”, che nel mondo globalizzato è capace di suscitare interesse e adesioni. Insomma, il missionario potrebbe diventare una figura sempre più attuale, se solo noi missionari mantenessimo, in Italia (e più in genere in Occidente), la nostra identità, il nostro carisma, la nostra carica di entusiasmo evangelizzatore.

Invece l’immagine del missionario si è a poco a poco politicizzata e siamo finiti in una marmellata di buonismo che è diventato la cultura di base del popolo italiano.
Sul campo, i missionari continuano il loro lavoro con spirito di sacrificio e fedeltà al carisma, in Italia l’immagine del missionario cambia e secondo me non rappresenta più la realtà. Nelle riviste missionarie di quarant’anni fa gli articoli sull’evangelizzazione dei popoli, le conversioni, i catecumeni, le novità delle giovani Chiese, l’annunzio di Cristo nelle diverse culture, la presentazione di figure di missionari erano alla base di ogni edizione. Si parlava spesso di vocazione missionaria a vita e ad gentes, proponendola in modo concreto ai giovani.

Oggi, ci sono riviste “missionarie” che di missionario hanno poco o nulla; “centri culturali” di istituti missionari che organizzano molte conferenze, ma sui temi della missione alle genti quasi niente e sui missionari in carne e ossa nulla; librerie di istituti missionari, che si suppone vendano libri missionari, che in vetrina mettono tutt’altro; animatori missionari che parlano di “mondialità” e poco o nulla di “missione”; comunità di missionari che hanno perso l’entusiasmo della missione alle genti e la buona abitudine di parlare della loro vocazione, spiazzati dall’indifferenza del mondo moderno. E potrei continuare. È una deriva generalizzata della quale non incolpo nessuno, ma che ci ha fatto perdere la nostra identità.

Se la chiamata si perde nel caos...

Sono convinto che non esista nella mentalità comune del popolo italiano una figura più incisiva e più universalmente accolta di quella del missionario e dell’ideale missionario. Ma noi, per timore di essere considerati “integralisti” e per malinteso senso del “dialogo”, non osiamo più parlare di conversioni a Cristo; mortifichiamo le esperienze missionarie sul campo; riduciamo la missione della Chiesa agli aiuti a lebbrosi e affamati; siamo “a servizio della Chiesa locale”, dimenticando però che questo servizio dovrebbe essere soprattutto volto ad animare missionariamente il gregge di Cristo; pensiamo di fare “animazione missionaria” facendo campagne nazionali contro chi produce e vende armi e su altri temi (battaglie positive, certo, ma non “animazione missionaria”). In passato, durante le solenni “veglie missionarie” alla vigilia della Giornata missionaria mondiale, si ascoltavano le testimonianze dei missionari sul campo, oggi invece in alcune “veglie missionarie”, organizzate da missionari e da “gruppi missionari”, si contesta la produzione delle armi e sono invitati a parlare gli esperti di questo tema. Ma è possibile che un giovane o una ragazza sentano la voce dello Spirito che li chiama a donare la loro vita alla missione se sono impegnati in marce di protesta come queste?




[SM=g1740720]

 Cari Sacerdoti e cari Vescovi.....

aggiornare Cristo significa aggirare Cristo

 


 
Quelli che vogliono aggiornare Cristo

di Inos Biffi

 


L'ortodossia, cioè il Credo cristiano nella sua integrità, è il fondamento e la condizione dell'esistenza stessa della Chiesa.

Questa perderebbe la propria identità, se qualche verità del Credo si annebbiasse nell'incertezza o fosse rimossa o trascurata. La prima missione che sta a cuore alla Chiesa è la piena fedeltà alla Parola di Dio, autorevolmente espressa e proposta dalla stessa Chiesa.

Verso le formulazioni della fede non è raro riscontrare una diffidenza e reazione, ma è perché vengono fraintese, quasi riducessero e impoverissero tale Parola, frantumandola in enunciazioni astratte, prive di vita. Se è vero che nessun linguaggio umano riesce a esprimerne adeguatamente il contenuto, che solo nella visione beatifica sarà immediatamente percepito, è altrettanto indubbio che i simboli di fede coi loro articoli e le definizioni della Chiesa col loro rigore, grazie all'opera dello Spirito, mediano infallibilmente la Rivelazione. E proprio questa sta a cuore alla Chiesa, quale sua prima e insostituibile missione, in ogni tempo.

Già Paolo raccomandava a Tito di insegnare "quello che è conforme alla sana dottrina" (Tito, 2, 1), mentre, esortando Timoteo ad annunciare la Parola, gli prediceva: "Verrà un giorno in cui non si sopporterà più la sana dottrina" (2 Timoteo, 4, 2-3). D'altronde lui stesso si preoccupava di essere in sintonia con gli altri apostoli.

Oggi qua e là si reagisce quando si sente parlare di "eresia", non considerando che, se l'eresia non è possibile, vuol dire che non esiste neppure la Verità e tutto si stempera in una materia cristiana confusa e informe. Quando, al contrario, la fede ha degli oggetti precisi e non interscambiabili.

In questa trasmissione lo sguardo della Chiesa è sempre volto soltanto al Signore, che le affida il Vangelo: non a quello che una determinata cultura potrebbe gradire o approvare, e non limitatamente a quegli aspetti su cui si possa essere d'accordo e consenzienti dopo un accogliente dialogo. Non è fuori luogo sottolineare che il Verbo si è fatto carne non per istituire un disteso e lusinghiero dialogo con l'uomo, ma per creare e manifestare in sé l'unica immagine valida e riconoscibile dell'uomo. A prescindere da Gesù Cristo semplicemente non c'è l'uomo conforme al progetto divino.

Per non equivocare si potrebbe aggiungere che Gesù Cristo non va mai "aggiornato", perché è Lui il perenne e insuperabile Aggiornamento, che include in sé ogni tempo, quello presente, quello passato e quello futuro. Siamo noi che invece, per non perdere l'"attualità", ci dobbiamo aggiornare a Lui, siamo noi che, per essere veri credenti, ci dobbiamo aggiornare al Credo cristiano in sé inalterato e inaggiornabile.

Un rinnovamento nella Chiesa passa sempre e imprescindibilmente da un lucido annunzio anzitutto dell'assolutezza di Gesù Cristo, che rappresenta "il mistero di Dio Padre" (Colossesi, 2, 2). Del resto, i concili più importanti e impegnativi furono quelli dedicati all'ortodossa proposizione del mistero di Cristo, della identità di Gesù di Nazaret: concili dottrinali e quindi, nel significato più alto, concili pastorali. A cominciare da Nicea.

La storia della Chiesa mostra con innegabile evidenza che una ripresa della condotta evangelica si innesta sempre su una energica riproposizione dell'ortodossia. Si pensi al Concilio di Trento, che fu prima di tutto un concilio dottrinale - sul peccato originale, sulla giustificazione, sui sacramenti - a cui seguì un meraviglioso rifiorire di vita e di santità cristiana.

La Riforma aveva colto, e giustamente stigmatizzato, comportamenti antievangelici nella Chiesa del suo tempo. Solo che alla base del risanamento pose un aggiornamento dell'ortodossia di fatto consistente in eresie, che spezzavano la comunione con la Tradizione. Si pensi alla negazione del sacerdozio ministeriale, alla contestazione del sacrificio della Messa, alla negazione di alcuni sacramenti, al carattere ecclesiale dell'intepretazione della Scrittura. Sarebbe illuminante far passare analiticamente alcuni punti dell'ortodossia da riannunciare con vigore. Ma, prima di singoli dogmi, pare urgente la riproposizione del senso del "mistero", che sostiene tutto il Credo. La Parola di Dio manifesta il disegno, iscritto nell'intimo della Trinità e conoscibile soltanto per la condiscendenza divina e per la sua "narrazione" avvenuta in Cristo. Credere significa affidarsi a questa "narrazione" e quindi accogliere e annunciare un "altro mondo", il mondo invisibile e duraturo. Secondo quanto afferma Paolo: "Noi non fissiamo lo sguardo sulle cose visibili, ma su quelle invisibili, perché le cose visibili sono di un momento, quelle invisibili invece sono eterne" (2 Corinzi, 4, 18).

Lo smarrimento della "sensibilità al soprannaturale", razionalizzando il dogma, dissolve la fede; deteriora e dissipa l'evangelizzazione; altera e svuota la missione della Chiesa, che Cristo ha fondato come testimonianza della Grazia, e per il raggiungimento non del benessere e del fine terreno dell'umanità, ma della beatitudine eterna. Né per questo il Vangelo trascura o sottovaluta l'esistenza temporale dell'uomo, solo che questa esistenza, fragile e transitoria, è considerata nella sua destinazione e riuscita gloriosa.

Ovviamente, la conseguenza di un tale smarrimento è l'estinzione della teologia. A proposito del senso del mistero vengono in mente, e appaiono di sorprendente attualità, le luminose pagine che il più grande teologo dell'Ottocento, Joseph Matthias Scheeben, purtroppo dimenticato dall'esile riflessione dei nostri giorni, dedica nel primo capitolo de I misteri del cristianesimo, l'opera dogmatica a sua volta più originale e profonda dell'epoca: "Quello che ci affascina è l'apparizione di una luce che ci era nascosta. I misteri pertanto devono essere verità luminose, splendide", che "si sottraggono al nostro sguardo per soverchia maestà, sublimità e bellezza".

E anche andrebbe letto, specialmente da chi si sta formando nei seminari, l'ultimo capitolo dell'opera di Scheeben, quello sulla teologia, "la scienza dei misteri", appoggiata tutta "al Lògos di Dio".

L'ortodossia, quindi, con le sue verità "visibili" agli "occhi illuminati del cuore" (Efesini, 1, 18): ecco la condizione imprescindibile per un annunzio fedele del Vangelo e un rinnovamento nella Chiesa.

 

da "L'Osservatore Romano" del 25 agosto 2010

 


[SM=g1740771]


[Modificato da Caterina63 17/08/2012 22:27]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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