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Se avete desiderio di capire che cosa insegna la Bibbia che il Magistero della Santa Chiesa, con il Sommo Pontefice ci insegna, questo Gruppo fa per voi. Non siamo "esperti" del settore, ma siamo Laici impegnati nella Chiesa che qui si sono incontrati da diverse parti d'Italia per essere testimoni anche nella rete della Verità che tentiamo di vivere nel quotidiano, come lo stesso amato Giovanni Paolo II suggeriva.
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Sacerdoti, riscopriamo insieme l'uso degli ABITI LITURGICI e della stessa LITURGIA SACRA (2)

Ultimo Aggiornamento: 01/08/2014 09:08
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[SM=g1740717]Cari Amici, e Amici Sacerdoti....
dopo aver riscontrato il grande successo ottenuto da questo thread: Sacerdoti, riscopriamo insieme l'uso degli ABITI LITURGICI e della stessa LITURGIA SACRA
e avendo questo superato le 8mila visite e i 27 articoli, per facilitarvi una immediata lettura degli stessi, riteniamo opportuno aprire un nuovo spazio che abbia il medesimo fine e scopo di aiutare i fedeli ed anche guidare i Sacerdoti nella più ampia comprensione del loro Ministero....
Nessuna pretesa da parte nostra, che siamo laici, noi qui non "insegnamo", non siamo "maestri".... [SM=g1740727]  piuttosto offriamo a tutti voi del materiale squisitamente CATTOLICO, tutto qui....
Vi assicuriamo le nostre piccole preghiere, e vi chiediamo di pregare per noi, di Sollevare quel Calice Santo per la nostra santificazione....
Grazie di cuore per la vostra Vocazione....


fonte: La Chiesa Cattolica - la sua dottrina - Vol.II - con Imprimatur Vescovile - Trieste 1886, cliccando QUI troverete il resto delle catechesi....

Mescolato anch'io con gli Apostoli, nel Cenacolo, sentirò quelle dolci parole di Gesù, Dio nostro: < amatevi gli uni gli altri, come io ho amato voi > (Gv.15,12).




- Santa Messa o Santa Cena?

 

Dalla Riforma Protestante è invalso l'uso, ma con motivi diversi non propriamente cattolici, di rinominare il Divino Sacrificio con un termine di per sé antico: santa Cena.

Imperciocchè è da annotare, a quanto abbiamo detto fino a qui, che per insegnare tutto sulla Santa Messa è più indicato parlare di Oblazione, Sacrificio di Adorazione e Ringraziamento, senza aver timore di usare il termine amato dai Padri: Santa Messa.

La voce "Messa" la troviamo usata già da St.Ambrogio nel IV secolo (Epistola 20, n.4) e deriva dal latino Missa che significa "mandata, licenziata", ed è stata sempre intesa sia per il Sacrificio Eucaristico "il mandato di celebrare questi Misteri", sia ch'abbia a sott'intendere l'Oblatio, l'offerta, il Sacrificio espiatorio che, mandato da Dio, include anche al "licenziarsi" del popolo dopo l'adorazione del Sacrificio stesso e dopo aver consumato la Vittima nella Comunione fraterna. Inoltre, Messa, indica la "missius", l'atto del mandare, del congedare dopo aver affidato qualcosa, una missione. L'Ite Missa est significa, appunto: andate, l'adunanza è sciolta, licenziata.

Santa Cena: seppur con tal termine si è sempre inteso, nella Chiesa, indicare il momento specifico della Comunione dei fedeli al comando di Gesù di "essere accolto-ricevuto, prefigurazione della Mensa Celeste ed eterna", si è ritenuto sempre valido e più corretto parlare di Santa Messa dal momento che tale Funzione Sacra non racchiude solamente il momento della Comunione dei fedeli, ma anzi, sott'intende principalmente il Sacrificio della Croce, l'offerta della Vittima, i Divini Misteri e che si conclude con il rendimento di grazie colla distribuzione della Santa Comunione.

La Riforma Protestante avendo rigettato la sacralità della Messa, per essi è solo spirituale, la Presenza reale di N.S. Gesù Cristo nella Transustanziazione, e avendo essa rinnegato il Sacerdozio come Sacramento specifico dei Ministri di Dio e conservato esclusivamente il sacerdozio comune a tutti i battezzati, ha ritenuto "normale" modificare anche il termine, non più "Santa Messa" ma una santa Cena, con un pane e vino distribuiti senza la Transustanziazione, di conseguenza essi celebrano solo la comunione, una Cena santa nelle intenzioni, ma in una forma non sacramentale bensì solo spirituale, imperciocchè imperfetta, poiché anche se lo chiamano "sacramento", avendo tolti i segni sacramentali, essa è solo un ricordo spirituale.

 

 

- La Santa Messa che celebriamo è quella del primo secolo?

 

Si risponde a questa domanda a causa dell'avvento del Protestantesimo che ha snaturato la Santa Messa, ha eliminato il Sacerdozio come Sacramento, ed ha rinnegato il prodigio della Transustanziazione.

La celebrazione della Santa Messa ha sempre compreso più parti al suo interno.

Fin dal primo secolo si comprendevano due parti ben distinte:

1. la Prima parte quale preparazione al Sacrificio Divino e si chiama "Messa dei Catecumeni" in quanto vi potevano partecipare anche coloro che, fanciulli in età della ragione e adulti, si preparavano a ricevere il Battesimo, e perché anche a loro, come ai pubblici penitenti è dato di assistere alla Messa, ma senza partecipare all'Oblazione in quanto ancora non battezzati. Questa prima parte comprende:

a - l'Introito, ingresso: nell'antica Chiesa il Celebrante preceduto dal Clero e dal popolo entrava nel Tempio cantando Salmi e, presi i paramenti recitava le Orazioni alternate dal canto del Kyrie eleison e Christe eleison (Signore pietà, Cristo pietà). Queste finivano con l'inno Gloria in excelsis, inno che già si sapeva essere tralasciato quando si dicevano le Messe per i Defunti o nei tempi di penitenza, dopo di che si concludeva con il celebrante che salutava il popolo dicendo: " Dominus vobiscum" (il Signore sia con voi), o, s'era il Vescovo, col "Pax vobis" (la pace sia con voi).

Oggi l'Introito è ristretto ad un Salmo cantato, o ad una Antifona indicante spesso anche il Tempo liturgico, e a seguire il Confiteor che recita il Sacerdote a pié dell'Altare. Seguono poi, ma non è più parte dell'Introito e siamo già dentro la Messa, il Kyrie e Christe eleison ed il Gloria nei tempi festosi, concludendo la parte con il saluto al popolo. Come possiamo vedere non è cambiato nulla di sostanziale.

b - le Orazioni: il Celebrante dice le Orazioni del proprio Tempo e vi aggiunge, meno che nella Messa di morto, delle altre Orazioni pei bisogni del popolo, o anche di qualche persona in particolare. Oggi, queste Orazioni hanno il nome di Collette che significa "raccolte", perché in esse si raccolgono i desideri e le preghiere del popolo e di tutta la Chiesa, qui i fedeli possono esprimere singolarmente, nel silenzio del proprio cuore, le proprie preghiere o unirsi, mediante un messale o breviario, a quelle del Sacerdote.

c - l'Epistola (Lettera): fin dal primo secolo si usava questa occasione per far conoscere alle comunità gli sviluppi della Chiesa; si comunicavano all'assemblea le relazioni che una Chiesa mandava ad un'altra, specialmente le Lettere degli Apostoli o di qualche Vescovo apostolico, specialmente se questi era rinchiuso in qualche carcere o stava per subire il martirio, e se così lo richiedeva una festa particolare, vi si leggeva un brano storico dell'Antico Testamento o dagli Atti degli Apostoli. Dopo l'Epistola, mentre il diacono saliva i gradini dell'Altare per ricevere la benedizione del Celebrante, si cantava un Salmo chiamato "Graduale". Nel Tempo di Penitenza (solitamente la Quaresima) il canto si tirava più in lungo e perciò si chiamava Tractus.

Oggi le cose non sono cambiate, solamente che per l'Epistola non si leggono più gli scritti dei Vescovi o dalle altre Chiese, ma solo brani tratti dalla Sacra Scrittura.


All'Epistola fu sempre associata la lettura d'un brano della vita di Gesù Cristo tratta dagli Evangelisti, e perciò detto subito "Dal Vangelo di..." la Buona Novella portata dal Redentore agli uomini. Il Celebrante offre l'incenso al Sacro Testo e con riverenza lo bacia, annuncia la Lettura e il Ministro dice in nome del popolo: Lode a Te o Cristo.

Dopo la lettura del Vangelo, nelle Feste principali e nelle Domeniche, aveva luogo l'Omelia, che significa proprio: discorso, istruzione sul Vangelo.

Nell'antica Chiesa solo i Vescovi potevano tenere l'Omelia, e nelle opere dei SS. Padri abbiamo delle omelie che sono dei capolavori della vera eloquenza, letteratura, e persino di poesia. Finita l'Omelia il Vescovo pregava pei Catecumeni e pei pubblici penitenti, e a questo punto il Diacono li licenziava dalla Messa, ossia , i Catecumeni lasciavano l'assemblea in attesa di ricevere il Battesimo, dal momento che non potevano ricevere l'Eucaristia. Si chiudevano poi le porte del Tempio ed i ministri giravano silenziosi, acciocché nessuno disturbasse il silenzio, il raccoglimento e la divozione dei fedeli presenti.

 

2. La Seconda parte della Messa cominciava con i preparativi per il Sacrificio "vivo e santo" il quale comprende l'Offertorio, la Consacrazione e la Comunione, da qui si parlava già di "Messa dei fedeli" derivante dal fatto che i presenti si uniscono all'offerta del Celebrante, in una partecipazione oblativa e in quanto destinatari della Comunione Eucaristica.

a - l'Offertorio: dopo il Concilio di Nicea (a.325) che condannò l'eresia di Ario, all'Offertorio si fé precedere il Credo, poiché la fede è la base dell'ecclesiastica unità. Il Simbolo che diciamo oggi è quello del Concilio Ecumenico di Costantinopoli (a.381), un pò più lungo e più articolato, coll'aggiunta del Filioque fatta in quello di Firenze. Tale Simbolo viene pronunciato solennemente nelle Feste di maggior solennità, o a motivo del grande concorso di popolo.

Terminato il momento delle pubbliche offerte, il Celebrante prepara prima l'Hostia, Vittima del Sacrificio, perché sotto gli accidenti del pane, Gesù s'offre vittima di amore per il popolo e per la Sua Sposa, ch'è la Chiesa, poi prepara le Particole da consacrarsi insieme all'Hostia. Anticamente durante l'Offerta si cantavano dei Salmi, poi il Celebrante prosegue in silenzio e a bassa voce pregando, scoperto il Calice offre a Dio il pane sulla patena (piattino col quale si sposta con riverenza l'Hostia evitando di toccarla troppe volte con le mani) e poi il Calice col vino, nel quale versa alcune gocciole d'acqua in memoria dell'acqua che assieme col Sangue sgorgò dal costato  trafitto del Redentore.

A questo punto il Sacerdote si lava le mani, un gesto simbolico e reale che richiama all'acqua che con il Battesimo ci donò lo stato primordiale della purificazione, ripetendo a bassa voce brani dal Salmo 25 per esprimere l'interna mondezza, ed anche per riverenza verso il Divin Sacramento che dovrà toccare con le mani, poi sollecita gli astanti a sollevar i loro cuori in un inno, un cantico di lode "uniti agli Angeli", con il trisagio: Santo, Santo, Santo il Signore Dio..... Ad oggi nulla è cambiato nella sostanza di ciò che esprimeva la Chiesa fin dai primi secoli.

b - La Consacrazione (Transustanziazione): i fedeli si inginocchiano e il Celebrante supplica Dio di accogliere i Doni che sono stati offerti per la santa Chiesa, pel Sommo Pontefice, pel Vescovo, anche per l'Imperatore, e raccomanda quindi in particolare le persone  per le quali si intende di applicare il Sacrificio (Memento per i vivi). Egli esprime la relazione dei viventi coi Santi venerandone la memoria e con tutta la Chiesa Mistica, trionfante, stende poi le mani sul pane e sul vino supplicando il Signore di accogliere e gradire questa Offerta e passa a compiere l'augusta azione, che compì il Signore Gesù nell'Ultima Cena, pronunciando sulle offerte le stesse parole. Appena avvenuta la Consacrazione, il Celebrante inchinato continua le orazioni adorando l'Hostia pura e Santa e il Vino transustanziati, l'adora più volte, poi la solleva all'adorazione dei fedeli, poi torna alla adorazione con le orazioni a bassa voce, e così fa con il Pane e il Vino Consacrati.

Vi è da ricordare che l'elevazione dell'Hostia e del Calice col Vino Consacrati fu introdotta dopo l'eresia di Berengario (leggasi il paragrafo:- E' obbligatorio credere nella "Presenza Reale"  Gesù nell'Eucaristia?).

Ora il Sacerdote offre a Dio Padre la Vittima del Sacrificio perfetto, il Pane Santo della vita eterna e il Calice della salute perpetua, e Lo supplica di farlo portare dalle mani del Suo Angelo alla Sua stessa Presenza, acciocché "ogni qualvolta partecipando di questo Altare, avremo preso il Corpo e il Sangue del Suo Figliuolo, siamo ricolmati d'ogni celeste benedizione".

Segue il Memento pei Defunti in generale, e in particolare, ed il Celebrante battendosi il petto, continua: " Anche a noi peccatori concedi parte e società coi Tuoi Santi per Cristo nostro Signore, per mezzo di cui Tu crei tutti questi beni, santifichi, vivifichi e doni a noi..." Le croci che il Sacerdote compie nel dire queste parole, si riferiscono alle specie sacramentali, come rappresentanti i beni della terra, e a questo punto anticamente, si benedicevano le offerte dei fedeli che non erano destinate all'Eucaristia, per esempio il pane benedetto, e si chiamava "Eulogia" (benedizione) il quale veniva distribuito anche a quelli che non avevano preso parte all'Eucaristia. I Cristiani se lo portavano a casa o se lo mandavano come dono, come segno di comunione e di pace. Da qui l'uso delle focacce che per le feste pasquali i cristiani si mandavano come dono, ancora in uso in molte Chiese Ortodosse, purtroppo in disuso nella Chiesa Cattolica.

c - La Comunione (il Banchetto) questa parte inizia con la Preghiera comune a tutti i Cristiani, il Padre Nostro, da qui il Celebrante invoca il Signore di "liberarci da tutti i mali" e donarci la Sua Pace, Nostro Signore Gesù Cristo, e questa Pace egli augura a tutti i presenti colle parole: Pax + Domini sit + semper vobis+cum, e la intercede loro quando dopo il terzo Agnus Dei qui tollis peccata mundi, il popolo fedele già inginocchiato risponde: dona nobis pacem.

Nell'antica Chiesa i Cristiani prima di ricevere la Santa Comunione, si davano un abbraccio l'un l'altro, col segno della pace e di fraternità. Il Celebrante si prepara ora alla Comunione e prendendo nella mano sinistra l'Hostia Santa, colla destra si batte il petto dicendo per tre volte: Domine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum; sed tantum dic verbo et sanabitur anima mea / Signore, non son degno che Tu entri nella mia casa, ma di una parola e l'anima mia sarà risanata.

Poi viene risanato il popolo che si reca presso il Celebrante per ricevere la Comunione. Nella sostanza, anche oggi, nulla è stato modificato della Santa Messa che si celebrava fin dai primi secoli.

- Licenziamento dell'Assemblea, dopo aver fatto ulteriori Preghiere con voce bassa, il Sacerdote avvia il rito di conclusione, si congeda dal popolo con le parole: Ite Missa est / Andate, la Messa è finita, e il popolo risponde: Deo gratias, ossia, rendiamo grazie a Dio, colla Benedizione il Celebrante scioglie l'assemblea affidando ad essa la missione di annunciare alle genti quanto hanno ricevuto.

Si conclude il Rito con la Lettura dell'ultimo Vangelo ch'è d'ordinario il principio del Vangelo di San Giovanni, che tratta dell'Incarnazione del Verbo con cui incominciò il Sacrificio di Gesù Cristo Nostro Signore.


fonte: La Chiesa Cattolica - la sua dottrina - Vol.II - con Imprimatur Vescovile - Trieste 1886, cliccando QUI troverete il resto delle catechesi....

 



Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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L'ARTE CATTOLICA DELL'INGINOCCHIARSI DAVANTI A DIO





Il santo Padre Benedetto XVI
da maggio 2008 in occasione della Festa del Corpus Domini, ha deciso, nelle Messe da lui celebrate, che i fedeli ricevano la Comunione dalla sue mani in bocca e in ginocchio, su inginocchiatoi messi a tal fine davanti all’altare. Nello stesso tempo aveva già riportato il Crocefisso sull'Altare raccomandando, con  mitezza e con responsabilizzazione, che tutte le Chiese (ossia anche le Parrocchie) si adoperassero per una corretta interpretazione della Riforma liturgica del Concilio Vaticano II, la quale non ha mai fatto propria Norma quelle alcune modifiche nella Messa che, invece, presero il sopravvento producendo abusi e dissacralità nella Messa stessa.

Approfondiamo, almeno un poco, la disciplina della Chiesa su questo tema!

Il Cardinale Antonio Cañizares, Prefetto della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti l’ha esposto in sintesi e con grande chiarezza nel febbraio del 2009 in un’intervista alla rivista “30 Giorni”:
Come è noto, l’attuale disciplina universale della Chiesa prevede che di norma la Comunione venga distribuita nella bocca dei fedeli. C’è poi un indulto che permette, su richiesta degli episcopati, di distribuire la Comunione anche sul palmo della mano. Questo è bene ricordarlo. Il Papa, poi, per dare maggiore risalto alla dovuta reverenza con cui dobbiamo accostarci al Corpo di Gesù, ha voluto che i fedeli che prendono la Comunione dalle sue mani lo facciano in ginocchio. Mi è sembrata un’iniziativa bella ed edificante del Vescovo di Roma.”
Di conseguenza, lo stesso Cardinale, che allora era ancora Primate di Spagna e Arcivescovo di Toledo, dispose che nella chiesa Cattedrale di Toledo si ponesse un inginocchiatoio per coloro che desideravano “comunicarsi con rispetto e come lo fa il Papa”, ricevendo la Comunione in ginocchio.
E ancora: “Le liturgie pontificie infatti sono sempre state, e sono tuttora, di esempio per tutto l’orbe cattolico”.

Non è un segreto che Benedetto XVI ha sempre sostenuto la Comunione in ginocchio. Quando era Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, sottolineava che la pratica di inginocchiarsi per ricevere la Sacra Comunione ha a suo favore una tradizione plurisecolare, ed è un segno particolarmente espressivo di adorazione, del tutto appropriato in ragione della vera, reale e sostanziale presenza di Nostro Signore Gesù Cristo sotto le specie consacrate. Dietro il gesto di inginocchiarsi il Papa vede, dunque, niente meno che una conseguenza della fede cattolica nella presenza reale di Cristo nell’Eucaristia.

Vale la pena penetrare maggiormente il suo pensiero, attraverso le pagine della sua opera “Lo spirito della Liturgia”, pubblicata quando era ancora Cardinale. Nel capitolo dedicato al tema della prostrazione, dice: “L’espressione con cui Luca descrive l’atto di inginocchiarsi dei cristiani  è sconosciuta nel greco classico. Si tratta di una parola specificamente cristiana. Può essere che la cultura moderna non capisca il gesto di inginocchiarsi, nella misura in cui è una cultura che si è allontanata dalla fede e non conosce ormai Colui di fronte al quale inginocchiarsi è il gesto appropriato, anzi, interiormente necessario. Chi impara a credere, impara anche ad inginocchiarsi. Una fede o una liturgia che non conoscesse l’atto di inginocchiarsi sarebbe ammalata nel punto centrale. Là dove questo gesto sia andato perduto, bisogna impararlo di nuovo, per rimanere con la nostra preghiera in comunione con gli apostoli e i martiri, in comunione con tutto il cosmo e in unità con Gesù Cristo stesso”.
Conoscere, credere, rimanere nella fede, queste sono le condizioni di base da cui nasce il “bisogno interiore” di inginocchiarsi.

Dove la pratica di inginocchiarsi si è persa, “bisogna impararla di nuovo”, diceva l’allora Cardinale Ratzinger.
E di nuovo, nella sua prima Esortazione Apostolica, Sacramentum Caritatis (2007), il Santo Padre riafferma: “Un segnale convincente dell’efficacia che la catechesi eucaristica ha sui fedeli è sicuramente la crescita in loro del senso del mistero di Dio presente tra noi. Ciò può essere verificato attraverso specifiche manifestazioni di riverenza verso l’Eucaristia, a cui il percorso mistagogico deve introdurre i fedeli. Penso, in senso generale, all’importanza dei gesti e della postura, come l’inginocchiarsi durante i momenti salienti della preghiera eucaristica”.

Monsignor Guido Marini, Maestro delle Celebrazioni Liturgiche Pontificie, riassume quest’insegnamento papale dicendo che, ricevendo la Comunione in ginocchio e in bocca, si sottolinea “la verità della presenza Reale di Cristo nell’Eucaristia, aiuta la devozione dei fedeli e introduce più facilmente il senso di mistero”.
Inoltre egli faceva presente in una intervista a Radio Vaticana, nell'aprile 2011: "Nell'ambito liturgico, ciò che il Papa sta indicando con la sua parola e con il suo esempio, è l'applicazione compiuta e fedele del Concilio Vaticano II, in sviluppo armonico con tutta la tradizione liturgica precedente della Chiesa. Il Santo Padre è un Maestro di liturgia, per quanto riguarda i contenuti, l'insegnamento e il pensiero, e allo stesso tempo un grande 'liturgo', perché ci insegna l'arte della celebrazione.
Benedetto XVI ha mutato la liturgia con il suo stesso stile celebrativo e allo stesso tempo con le sue indicazioni e orientamenti. Il Papa ha applicato e sta applicando alla lettera come deve essere celebrata la Messa voluta dalla Riforma del Concilio...", i sacerdoti e i Vescovi, pertanto, dovrebbero così obbedire al Papa nel fare proprie le sue istanze liturgiche. E lo stesso Pontefice, spiegava mons. Guido Marini, è ritornato spesso sul concetto che Roma rimane "il modello verso il quale tutte le altre chiese devono guardare".
Insomma, è il Papa a chiedere che si celebri la Liturgia con quella sacralità venuta meno nelle celebrazioni parrocchiali, ci vuole una buona dose di mala fede per dire "io non lo sapevo!"....

Ci piace sottolineare che grazie anche al Motu Proprio Summorum Pontificum, assistiamo di recente ad una responsabilizzazione da parte di molti Vescovi della Chiesa, verso questa santa disciplina. Sarebbe infatti fuorviante relegare questo prezioso MP esclusivamente al ritorno della Messa nella forma Straordinaria, poichè è il Papa stesso a richiedere attraverso questo Documento, una riforma della Messa nella forma Ordinaria, purificandola dai tanti abusi di questi anni e dove la Messa nella forma Straordinaria, invece, resta un 'ottimo esempio ed una grande testimonianza della sacralità liturgica che dobbiamo riportare allo scoperto.
Vorremmo menzionare soprattutto il Vescovo Athanasius Schenider il quale ha scritto anche un prezioso libretto "Dominus Est" edito dalla Libreria Vaticana, sul come ricevere la Sacra Comunione e il perchè dell'inginocchiarsi davanti al Mistero.

L'arte dell'inginocchiarsi è, per noi cattolici, un segno caratteristico e identificativo non semplicemente di una forma di cultura, ma molto più, di quella identità che ci vede consapevoli del Mistero di Gesù-Ostia-Santa che abbiamo davanti a noi e davanti al quale, appunto, ci inginocchiamo.
Taluni hanno frettolosamente ingannato se stessi e molti fedeli ricorrendo ad immagini della Chiesa primitiva secondo le quali, e secondo la loro interpretazione, i cristiani non si inginocchiavano davanti al Risorto, ma si prostravano!
A rigor del vero occorre dire che questa motivazione è sbagliata ed è malamente interpretata. Nessuno di fatto sa con certezza quale atteggiamento assunsero i Discepoli davanti al Cristo Risorto, parlando di prostrazione va detto che essa veniva fatta generalmente proprio da una posizione che partiva dallo stare in ginocchio e, seduti sui talloni, ci si prostrava con la fronte fino a toccare terra.
Bisogna sottolineare che in discussione non viene messo lo stare in piedi, per esempio, nelle invocazioni, nell'ascoltare la Parola di Dio, o nel seguire i canti, quanto piuttosto assistiamo da tempo ad una battaglia contro la forma dell'inginocchiarsi.

Del resto, per noi Cattolici, vale per tutto il suggerimento della Sacra Scrittura che lo stesso sante Padre Domenico insegnava ai suoi Frati:

Venite, prostràti adoriamo, in ginocchio davanti al Signore che ci ha creati (Salmo 94,6).

Sant'Agostino, con una immagine efficace, ci spiega la nostra situazione.
E' vero, spiega il santo Padre della Chiesa, che la nostra fede cristiana è racchiusa nella gioia della Risurrezione, la Pasqua rende incontenibile la nostra gioia con inni, salmi, canti di lode e giubilo, ma la nostra vita sulla terra è una Quaresima!

Il santo Padre Agostino, in alcune sue catechesi, rimarca l'atteggiamento che dobbiamo assumere, ci ricorda che la Pasqua per noi è prefigurazione della gloria che vivremo mentre, la realtà che viviamo sulla terra è la Quaresima, per questo la Chiesa insegna il digiuno, la penitenza, la prostrazione, quello stare in ginocchio mentre mendichiamo davanti a Dio le nostre suppliche. Sant'Agostino cita, come esempio i passi dei Vangeli in cui è insegnato quale atteggiamento dobbiamo assumere quando Preghiamo, quando siamo davanti al Signore:

- Matteo 17,15 che, gettatosi in ginocchio, gli disse: «Signore, abbi pietà di mio figlio. Egli è epilettico e soffre molto; cade spesso nel fuoco e spesso anche nell'acqua;
- Marco 1,40 Allora venne a lui un lebbroso: lo supplicava in ginocchio e gli diceva: «Se vuoi, puoi guarirmi!».
- Marco 10,17 Mentre usciva per mettersi in viaggio, un tale gli corse incontro e, gettandosi in ginocchio davanti a lui, gli domandò: «Maestro buono, che cosa devo fare per avere la vita eterna?».
- Luca 5,8 Al veder questo, Simon Pietro si gettò alle ginocchia di Gesù, dicendo: «Signore, allontanati da me che sono un peccatore».

In un articolo comparso sull'Osservatore Romano 4 agosto 2008, così spiegava mons. Nicola Bux: Il sacerdote, per celebrare con arte il servizio liturgico, non deve ricorrere ad accorgimenti mondani ma concentrarsi sulla verità dell'Eucaristia. L'Ordinamento generale del messale romano stabilisce:  "Anche il presbitero...quando celebra l'eucaristia, deve servire Dio e il popolo con dignità e umiltà, e, nel modo di comportarsi e di pronunziare le parole divine, deve far percepire ai fedeli la presenza viva di Cristo".  Il prete non escogita nulla, ma col suo servizio deve rendere al meglio agli occhi e agli orecchi, ma anche al tatto, al gusto e all'olfatto dei fedeli, il sacrificio e rendimento di grazie di Cristo e della Chiesa, al cui mistero tremendo possono avvicinarsi quanti si sono purificati dai peccati. Come possiamo avvicinarci a lui se non abbiamo il sentimento di Giovanni il precursore:  "è necessario che egli cresca e io diminuisca"(Gv 3, 20)? Se vogliamo che il Signore cammini con noi, dobbiamo recuperare questa consapevolezza, altrimenti priviamo dell'efficacia il nostro atto devoto:  l'effetto dipende dalla nostra fede e dal nostro amore.

"è necessario che egli cresca e io diminuisca", per fare questo è indispensabile che ci si attivi non solo spiritualmente, ma anche esternamente con atteggiamenti atti a far capire come funziona questo meccanismo:
- inginocchiandomi davanti all'Altissimo, Egli cresce di importanza davanti a me, io mi faccio piccolo ed umile (inginocchiandomi) davanti a Lui.
L'atteggiamento che assumiamo davanti agli altri, poichè siamo umani e sensibili ai gesti, ai segni, è pertanto indispensabile per dare una vera, o presunta, o perfino una falsa immagine del Mistero che celebriamo!
Nella Lettera alla Congregazione per il Culto Divino, del 21.9.2009, il futuro beato, Giovanni Paolo II, così scriveva e ammoniva:  "Il Popolo di Dio ha bisogno di vedere nei sacerdoti e nei diaconi un comportamento pieno di riverenza e di dignità, capace di aiutarlo a penetrare le cose invisibili, anche senza tante parole e spiegazioni. Nel Messale Romano, detto di San Pio V, come in diverse Liturgie orientali, vi sono bellissime preghiere con le quali il sacerdote esprime il più profondo senso di umiltà e di riverenza di fronte ai santi misteri: esse rivelano la sostanza stessa di qualsiasi Liturgia".

" anche senza tante parole e spiegazioni "....  Spesso è l'atteggiamento che assumiamo ad essere per noi la testimonianza più concreta di quello in cui crediamo.

Se vogliamo essere credibili, dobbiamo assumere anche un atteggiamento di credibilità: se diciamo che Dio è Vivo è vero nell'Eucarestia, allora non possiamo restare in piedi, o peggio seduti ( a meno che non vi sia qualche grave impedimento fisico) è la stessa virtù dell'umiltà sincera che ci fa piegare le ginocchia davanti al Sommo Re per poter supplicare ieri come oggi:
- Matteo 17,15 che, gettatosi in ginocchio, gli disse: «Signore, abbi pietà di mio figlio......;
- Marco 1,40 Allora venne a lui un lebbroso: lo supplicava in ginocchio e gli diceva: «Se vuoi, puoi guarirmi!».
- Marco 10,17 Mentre usciva per mettersi in viaggio, un tale gli corse incontro e, gettandosi in ginocchio davanti a lui, gli domandò: «Maestro buono, che cosa devo fare per avere la vita eterna?».
- Luca 5,8 Al veder questo, Simon Pietro si gettò alle ginocchia di Gesù, dicendo: «Signore, allontanati da me che sono un peccatore»...

Sia lodato Gesù Cristo!
LDCaterina63

piccolo pro-memoria:

Inginocchiarsi da "I santi segni" di Romano Guardini

Cosa fa una persona quando s'inorgoglisce? Si drizza, alza il capo, irrigidisce le spalle e l'intera figura. Tutto in essa dice: «Io sono più grande di te! Io sono da più di te!».

Quando uno invece è di umile sentimento e si sente piccolo, china il capo, la sua persona si rattrappisce: egli «si abbassa». Tanto più profondamente, quanto più grande è colui che gli sta dinanzi; quanto meno egli sente di valere agli stessi propri occhi.

Ma quando mai percepiamo noi più chiaramente la nostra pochezza di quando stiamo dinanzi a Dio? Al grande Iddio che era ieri come è oggi, tra secoli e millenni! Al grande Iddio che riempie questa stanza e l'intera città ed il vasto mondo e l'incommensurabile cielo stellato, dinanzi a cui tutto è come un granello di sabbia! Al Dio santo, puro, giusto, infinitamente sublime...

Come è grande Lui... e come son piccolo io! Così piccolo che non posso neppure mettermi a confronto con Lui, che dinanzi a Lui sono un nulla! Non è vero - e vien con tutta evidenza da sé - che non si può stare da superbi dinanzi a Lui? Ci si «fa piccoli»; si vorrebbe impicciolire la propria persona, perché essa non si presenti così, con tanta presunzione: l'uomo s'inginocchia.

E se al suo cuore questo non basta ancora, egli può inoltre prostrarsi. E la persona profondamente chinata dice: «Tu sei il Dio grande, mentre io sono un nulla!». Quando pieghi il ginocchio, non farlo né frettolosamente né sbadatamente. Dà all'atto tuo un'anima!

Ma l'anima del tuo inginocchiarti sia che anche interiormente il cuore si pieghi dinanzi a Dio in profonda reverenza. Quando entri in chiesa o ne esci, oppure passi davanti all'altare, piega il tuo ginocchio profondamente, lentamente; ché questo ha da significare: «Mio grande Iddio!...».
Ciò infatti è umiltà ed è verità ed ogni volta farà bene all'anima tua.




Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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[SM=g1740733]è una esposizione del 2003, ma molto, molto, molto utile ed attuale.... la giusta direzione intrapresa... coraggio Sacerdoti, riscopriamo il valore della Liturgia!!!

La Messa come la voleva il Concilio

Alcune considerazioni sulla celebrazione della Santa Messa



di p. Joseph Fessio s.j.

 
 
Il padre Joseph Fessio è membro della Compagnia di Gesù. Nel 1975 ha conseguito il dottorato in teologia a Ratisbona con J. Ratzinger. Pubblicista, docente di filosofia e teologia, è stato fondatore, tra l'altro, del St. Ignatius Institute a San Fancisco in California e della casa editrice Ignatius Press. L'articolo risale al periodo del suo cancellierato presso l'Ave Maria University, in Florida.

 
Preambolo
 
Nella riforma della Sacra Liturgia promossa dal Concilio Vaticano II, vengono suggerite diverse scelte che il celebrante della Messa o, in alcuni casi, i fedeli possono fare. Alcune, tra cui diverse di antica consuetudine nella Chiesa, raramente si scelgono e sono virtualmente scomparse dalla celebrazione ordinaria della Messa celebrata nelle parrocchie.
 
 Da molti anni celebro il Divino Sacrificio, tanto che il mio modo di pensare e di esercitare sono maturati, alcuni dicono regrediti, in parte per l'influenza di due amici sacerdoti che sono tra i liturgisti più rispettati del XX secolo: Padre Louis Bouyer e il Cardinale Joseph Ratzinger.
 
I partecipanti alle Messe che celebro sono forse sconcertati da certe cose che vedono. Ogni tanto cerco di spiegare le ragioni per questa o quella scelta che faccio. Ma non è questo il modo adeguato per rispondere alle domande dei fedeli, dal momento che solo coloro che stanno a ogni Messa ascoltano tutte le spiegazioni. E' per questo che ho deciso di descrivere e spiegare le ragioni di alcune scelte che regolarmente od occasionalmente introduco nelle Messe che celebro.
 
 In questa sede lo posso fare solo brevemente, ma c'è un principio generale che posso affermare: tutto ciò che vedete nella Messa del Cancelliere è permesso dalle norme liturgiche della Chiesa. Non solo non si richiede alcun permesso speciale per le scelte che faccio, ma neppure un Vescovo potrebbe proibirle anche se lo volesse (un Vescovo ci ha provato, solo per sentirsi severamente rimproverato dalla Santa Sede). [SM=g1740733]

 
Ciborio all'ingresso della Cappella
 
A chi desidera ricevere la Comunione, si chiede di depositare una particola nel ciborio al momento in cui entra nella cappella. C'era una ragione pratica all'inizio: il tabernacolo nella cappella per l'adorazione non era abbastanza capiente per contenere molte ostie, per cui questa prassi ci dà esattamente il numero delle ostie richieste per ogni Messa.
 
Ma c'è anche una ragione più importante. Tra i pochissimi cambiamenti nella Messa disposti in modo specifico dalla "Costituzione sulla Sacra Liturgia" Sacrosanctum Concilium del Concilio Vaticano II, (ce ne sono nove, cfr. Sacrosanctum Concilium nn. 50-58), uno, il n.55, comincia così: "Si raccomanda molto quella partecipazione più perfetta alla Messa, nella quale i fedeli, dopo la comunione del sacerdote, ricevono il corpo del Signore con i pani consacrati in questo sacrificio". Vale a dire, la Chiesa incoraggia i fedeli a ricevere le ostie consacrate nella Messa alla quale partecipano.
 

Messa "ad Orientem"
 
Tale scelta sembra causare il maggior sconcerto. Molto si deve dire al riguardo, io ne traccerò i punti più salienti.
 
 1. Fin dai tempi antichi e perfino durante e dopo il Concilio Vaticano II, la Messa rivolta "ad oriente" era la norma. Non c'è legislazione liturgica autorevole che l'abbia mai abolita. Il Messale Romano (il libro liturgico ufficiale che guida nella celebrazione della Messa) non soltanto la permette, ma anzi le rubriche la presuppongono (ad esempio, si dice al celebrante di "volgersi verso il popolo" all'Orate Fratres ("Pregate, fratelli ..."). [SM=g1740721]
 
 2. Da tempo immemorabile, questa è stata la prassi dell'intera Chiesa, all'est come all'ovest. Contrariamente all'idea prevalente erronea (anche di molti liturgisti), non c'è riscontro di Messe celebrate coram populo (dinanzi al popolo) nei primi diciannove secoli della storia della Chiesa, salvo rare eccezioni (cfr. Introduzione allo spirito della liturgia del Cardinale Ratzinger, pp. 74-84). La scelta di ridurre l'altare ad una tavola per una liturgia con il popolo davanti, iniziò nel XVI secolo con Martin Lutero. [SM=g1740730]
 
 "Malgrado tutte le variazioni nella prassi che hanno avuto luogo nel secondo millennio ben inoltrato, una cosa rimane chiara per l'intera cristianità: pregare verso oriente è una tradizione che risale ai primissimi tempi. Inoltre, è un'espressione fondamentale della sintesi cristiana del cosmo e della storia il radicarsi negli eventi della storia della salvezza accaduti una volta per tutte, mentre si esce per andare incontro al Signore che ritornerà" (Ratzinger, Introduzione allo spirito della liturgia, p.75).
 
 3. Il Concilio Vaticano II non ha detto nulla sulla direzione del celebrante durante la Messa, poiché presuppone che la Messa sia ad orientem. [SM=g1740721]
 
 4. Un felice ritorno alla tradizione più antica e, credo, in armonia con l'intento della Sacrosanctum Concilium, è stato quello di portare l'altare più vicino alla navata, separandolo dai suoi paliotti e dossali, e proclamare le letture dall'ambone, benché il Vaticano II non disponga e non menzioni nulla al riguardo. Tuttavia, la Messa coram populo, pur essendo certamente permessa (ho celebrato 10.000 Messe in questo modo) e sia divenuta quasi universale, di fatto priva la Messa del suo simbolismo cosmico ed escatologico. [SM=g1740733]
 
 Le chiese sono state costruite tradizionalmente dinanzi al sole nascente. Il sole, naturalmente, è un simbolo cosmico della luce, dell'energia e della grazia che vengono a noi dal Padre attraverso il Figlio. Il sole è il segno cosmico del Cristo Risorto, luce del mondo. Volgendoci ad oriente, ci volgiamo in attesa verso il Signore che viene (escatologia) e manifestiamo di essere partecipi di un atto che va oltre la chiesa e la comunità in cui celebriamo, ma raggiunge il mondo intero (cosmos). Nelle chiese non rivolte all'oriente geografico, la Croce e il Tabernacolo divengono "l'oriente liturgico". (Incidentalmente, le rubriche richiedono che il celebrante della Messa stia davanti al Crocifisso durante la preghiera eucaristica. Ciò ha condotto, se non alla semplice inosservanza delle norma liturgica, all'anomalia di avere due crocifissi nel presbiterio - uno dinanzi al popolo e un altro piccolo sull'altare dinanzi  al sacerdote - o perfino alla scelta grottesca di una Croce con un Corpo da entrambe le parti!). [SM=g1740733]
 
 5. Il dramma della storia della salvezza è potentemente simboleggiato nella liturgia rinnovata, quando si celebra ad orientem. Il sacerdote sta davanti al popolo quando chiama alla preghiera. Poi si volta per guidarlo nell'intercessione comune per la misericordia (Kyrie eleison). Prega a nome del popolo, continuando a stare dinanzi al Signore. Si volge verso il popolo per proclamare la Parola e istruire. Dopo aver ricevuto i doni, si volge di nuovo al Signore per offrirgli i doni, che prima sono solo pane e vino, e poi, dopo la consacrazione, sono il Corpo e il Sangue di Cristo. Quindi si volge verso il popolo per distribuire al banchetto eucaristico il Cristo Risorto, nelle forme di pane e vino. [SM=g1740721]
 
 Se c'è qualche simbolismo positivo nella Messa coram populo, vi è anche però un simbolismo assai negativo. "Il prete che si pone dinanzi al popolo trasforma la comunità in un cerchio racchiuso su di sé. In tale posizione esteriore, essa non si apre più su ciò che le sta davanti e in alto, ma è chiusa in se stessa" (Ratzinger, Introduzione allo spirito della liturgia, p. 80).
 
 6. Papa Giovanni Paolo II celebra regolarmente la Messa ad orientem nella sua cappella privata.
 
 
Il canto di parti della Messa in latino
 
Anche quando celebro la Messa in inglese, normalmente intono un canto gregoriano specifico al Kyrie, al Gloria, al Credo, al Sanctus e all'Agnus Dei. Intono in latino pure l'introduzione al prefazio (Dominus vobiscum, Sursum corda, ecc.) e il grande Amen (Per ipsum ...).
 
Anche se molti non lo sanno, il latino è una delle poche cose incoraggiate esplicitamente dal Concilio Vaticano II: " .. Si abbia cura che i fedeli sappiano recitare e cantare insieme, anche in lingua latina, le parti dell'ordinario della Messa che spettano ad essi" (Sacrosanctum Concilium, n.54). Il canto gregoriano è raccomandato ancora più fortemente: "La Chiesa riconosce il canto gregoriano come canto proprio della liturgia romana; perciò nelle azioni liturgiche, a parità di condizioni, gli si riservi il posto principale" (Sacrosanctum Concilium, n.116).
 
 Queste parti della Messa sono facili da imparare e il fatto di cantarle unisce i fedeli cattolici non solo nel tempo (insieme a tutte le generazioni che lungo i secoli hanno elevato a Dio questi canti) ma anche nello spazio (anche oggi, in molte parti del mondo - soprattutto a Roma - i fedeli cattolici cantano in gregoriano). Questi canti in latino aggiungono sacralità alla Messa in due modi: è musica sacra (cioè messa da parte), intesa infatti per finalità sacre e quasi esclusivamente usata per tali finalità; e il latino non è solamente una lingua antica ma è espressione del sacro, grazie alla sua storia nella Chiesa.
 
Celebrazione della Messa in latino
 
Sorprenderà molti, ma non occorre alcuna autorizzazione per celebrare in latino. Infatti, non è possibile proibirlo, in quanto è ancora la lingua ufficiale della Chiesa cattolica romana e sempre adatta per la Santa Messa.
 
Alcuni motivi li ho scritti nei paragrafi precedenti. La mia prassi (che sono convinto fosse la vera intenzione dei Padri conciliari del Vaticano II) è di cantare o recitare in inglese le parti della Messa che variano di giorno in giorno (orazioni, prefazio) e di cantare o recitare in latino le parti invariabili (l'"Ordinario" della Messa). Si impara facilmente, soprattutto quando si usa in tutte le Messe la stessa Preghiera Eucaristica e le opzioni. [SM=g1740721]
 

Ministranti e lettori
 
Questo è un argomento delicato e non posso farvi giustizia in questa sede. In breve: La Messa è essenzialmente nuziale, Cristo Sposo abbraccia la Chiesa Sposa e i due diventano una sola carne. Il sacerdote agisce non solo in persona Christi, ma in persona Christi Capitis et Sponsi (in persona di Cristo Capo e Sposo). Il presbiterio, che per norma liturgica deve essere chiaramente separato dalla navata (nella nostra cappella una delle funzioni degli inginocchiatoi è proprio quella di servire da balaustra), è il luogo dello Sposo (e dei "testimoni dello Sposo"). La navata è il luogo della Sposa, la Chiesa. [SM=g1740721] [SM=g1740721]
 
Il sacerdote agisce in persona di Cristo Figlio, che è l'icona e il Verbo del Padre. La relazione del Padre con la creazione (come quella di Cristo con la Chiesa, che è compimento nell'ordine della Redenzione) è nuziale o sponsale. Il sacerdote offre allo stesso tempo il Sacrificio di Cristo al Padre. Le donne non possono partecipare simbolicamente all'azione di Cristo, ma ciò non significa affatto che gli uomini siano più santi, superiori o più degni delle donne. Dipende, almeno in parte, dal fondamento teologico della ininterrotta tradizione della Chiesa di oltre due millenni che permette che siano solo gli uomini o i giovani a servire all'altare o a proclamare la Parola di Dio.
 
Ci sono anche conseguenze pratiche nell'avere ministranti donne. Molte vocazioni al sacerdozio hanno la loro origine o maturazione proprio servendo all'altare. Più donne all'altare porta ad avere meno uomini ministranti. In genere poi gli uomini frequentano la chiesa meno delle donne, per cui l'incentivo a servire all'altare controbilancia la "femminizzazione", come l'hanno chiamata, della Chiesa. Inoltre, nell'età dell'adolescenza, le ministranti ragazze inibiscono i ragazzi dal parteciparvi.
 
 Sono invece meno insistente per avere solo uomini lettori. (Non sono sicuro perché, forse perché la liturgia della Parola è la parte didattica della Messa, mentre la liturgia eucaristica è la parte sacrificale). Ma lo preferisco, senza offesa per le donne. La Beata Vergine Maria non ha mai letto le Scritture nella sinagoga. [SM=g1740721]
 
Omelie lunghe
 
E' una prassi che non è ordinata né proibita dal Concilio Vaticano II, né da nessun altro. Ma avviene. Parte della colpa, la attribuisco alla Parola di Dio, così ricca. E un po' è dovuto al fatto che da venticinque anni faccio omelie alle stesse persone, ma su testi che si sono ripetuti molte volte in tutti quegli anni. Le omelie si sono progressivamente accorciate (mi pare), poiché non riesco più a trovare nuovi spunti dalle stesse pericopi. Con assemblee nuove, riesco ad attingere alle omelie degli anni precedenti (per fortuna, ne ricordo solo una minima parte).

Il Canone Romano
 
Avrete notato che io faccio uso costante del "Canone Romano" (Preghiera Eucaristica I). Le ragioni sono molte di più di quante ne possa menzionare qui.
 
 Fino alla seconda metà del XX secolo, non c'era alcuna tradizione di scelte diverse per il Canone. il Vaticano II non ha richiesto tale innovazione, e nemmeno ne ha accennato. (Dice invece nella Sacrosanctum Concilium n.23: "...non si introducano innovazioni se non quando lo richiedano una vera e accertata utlità della Chiesa, e con l'avvertenza che le nuove forme scaturiscano organicamente, in qualche maniera, da quelle già esistenti". Non ho mai avuto una spiegazione convincente su come l'introduzione di nuovi canoni non costituisca una violazione del divieto conciliare). [SM=g1740721]
 
 Dopo lunga riflessione ed esperienza, sono persuaso che:
1) la stabilità è molto più importante della varietà in questa preghiera centrale della Messa;
2) il Canone Romano è superiore a tutti gli altri canoni in ogni aspetto (eccetto quello della brevità, che è il motivo per cui credo che la seconda Preghiera Eucaristica sia divenuta predominante nelle Messe quotidiane).
 
Il Canone Romano ci unisce tutti con gli altri cattolici - tutti i santi e tutti i peccatori - da almeno il VI secolo fino al 1969. E' rimasto virtualmente immutato in tutto questo periodo. E' l'unico Canone che menziona gli angeli, le donne (Felicita, Perpetua, ecc.), grandi prototipi storici (Abele, Abramo, Melchisedech) per farci ricordare concretamente la saga della storia della salvezza, e che allude alla liturgia celeste del libro dell'Apocalisse (i ventiquattro apostoli e santi che evocano i ventiquattro vegliardi). Contiene preghiere di insuperabile bellezza, potenza ed antichità.
 

"Ministri eucaristici"
 
Ho messo le virgolette al titolo del paragrafo, perché il titolo ufficiale è "Ministri straordinari della Comunione". Si intende che siano "straordinari", cioè che non corrispondano alla consuetudine normale. La prassi attuale in molte parrocchie è un abuso. E' talmente un abuso che - questo sì è davvero "straordinario" - i capi di oltre otto dicasteri della Santa Sede hanno emanato un decreto per porre fine all'abuso. Il decreto è stato largamente ignorato.
 
La norma liturgica prevede che siano solo i ministri ordinati (Vescovo, prete, diacono) ad essere ministri "ordinari" dell'Eucaristia. Se nessuno di questi è disponibile, allora può assistere una persona laica ufficialmente istituita come ministro straordinario dell'Eucaristia. Uno dei ruoli importanti che hanno in parrocchia è quello di assistere i sacerdoti e i diaconi a portare la Comunione ai fedeli infermi a casa.
 
 Di tanto in tanto si può avere bisogno di questi ministri straordinari, ma noi speriamo che il Signore ci benedica con il dono di molti preti e diaconi.
 
 Una considerazione importante: molti di noi hanno bisogno di dedicare più tempo alla preghiera personale e alla contemplazione. Si ha anche bisogno di prepararci a ricevere il Signore nella Santa Comunione e dell'intimo ringraziamento dopo averlo ricevuto. Un'ottima opportunità per farlo è un tempo prolungato di silenzio o un canto orante prima e dopo la Comunione. Non è facile sapere dove stia il giusto equilibrio, ma non dobbiamo cercare una maggiore "efficienza" al momento della Comunione moltiplicando i ministri straordinari.

 
Il bacio della pace
 
Si tratta di un gesto tradizionale, per quanto piuttosto oscure siano la sua nascita, sviluppo e trasformazioni lungo la storia liturgica. Nelle liturgie più antiche, avveniva al momento in cui i doni venivano portati all'altare, richiamo dell'ingiunzione biblica a riconciliarsi con il fratello prima di presentarsi al giudice.
 
 Nel Medio Evo, si usava una "pax brede" (instrumentum pacis, o osculatorium); una tavoletta di legno che il sacerdote e altri ministri baciavano e che veniva passato ai membri dell'assemblea. In seguito e fino ad oggi, tra i ministri dell'altare ci si scambiava un gesto formale di abbraccio in alcune forme del Rito Romano.
 
Il bacio della pace è stato inserito nel Novus Ordo Missae del 1969, ma solo facoltativo e non obbligatorio. Il sacerdote che scendeva dal presbiterio e offriva il bacio della pace ai fedeli, era sempre un abuso liturgico. L'invito è: Offerte vobis pacem (scambiatevi un segno di pace). Questa rubrica era chiara nella precedente versione dell'Istruzione generale per il Messale Romano, ma è stata resa ancora più chiara nell'ultima versione.
 
Con il passare degli anni, le mie riserve sull'appropriatezza di questo gesto in quel preciso momento della Messa, sono aumentate. Può darsi che sia semplicemente perché sto invecchiando, ma non credo che sia questo. Penso che introdurre qualcosa che in origine e nella pratica era una prassi laica - molto buona e umana, certamente - al momento che precede l'atto più sacro che una persona può compiere - ricevere nel proprio cuore lo "Sposo dell'anima" - è stato uno dei tanti cambiamenti che ha condotto alla mancanza di rispetto verso il Santissimo Sacramento e a una perdita del senso di riverenza dinanzi al Signore Eucaristico.
 
Le Missionarie della Carità della Beata Teresa di Calcutta hanno trovato, secondo me, la miglior soluzione. Il saluto laico in India consiste in un inchino con le mani giunte. E' un bellissimo gesto che non disturba il sacro silenzio che precede la Santa Comunione. Forse sto protestando troppo. Il bacio della pace è certamente permesso ed è diffuso.
 

La Santa Comunione
 
Ai fedeli è permesso di ricevere la Comunione sulla mano o sulla lingua, in piedi o in ginocchio. C'è molta confusione al riguardo, poiché i Vescovi degli Stati Uniti hanno recentemente emanato un documento che dichiara normativa in America la postura eretta. Ciò ha causato costernazione in molti fedeli e a Roma, alla Congregazione del Culto Divino e alla Disciplina dei Sacramenti. Quest'ultima ha chiarito che i fedeli hanno il diritto di ricevere la Comunione in tutti i modi approvati, compreso l'inginocchiarsi e che, nell'esercitare tale diritto, non sono affatto disobbedienti.
 
 In una lettera del 2 luglio 2002 da parte della Congregazione a un Vescovo americano, pubblicata nel bollettino pubblico della Congregazione, Notitiae, il Prefetto stabiliva: "La Congregazione è preoccupata per il grande numero di doglianze simili ricevute negli ultimi mesi da vari luoghi, e considera che il rifiuto della Santa Comunione a motivo della postura inginocchiata, sia una grave violazione di uno dei più fondamentali diritti dei fedeli cristiani, quello in particolare di essere assistiti dai propri Pastori per la ricezione dei Sacramenti (Codice di Diritto Canonico, can.213).
 
 Dopo che la Conferenza Episcopale degli Stati Uniti ha richiesto e ricevuto la recognitio (termine canonico per "riconoscimento") per rendere normativa in tutti gli Stati Uniti la postura eretta per la Santa Comunione, qualche Vescovo ha tentato di imporla, pretendendo che chi non l'avesse seguita, sarebbe stato disobbediente al Papa stesso. La Congregazione per il Culto Divino ha rigettato con forza questa interpretazione, scrivendo: "Per l'autorità ricevuta dalla recognitio che ha ottenuto la forza di legge, questo Dicastero è competente per specificare la maniera per comprendere la norma per una appropriata applicazione ...".
 
 "... questa Congregazione, pur avendo concesso la recognitio alla norma desiderata dalla Conferenza Episcopale del vostro Paese per ricevere in piedi la Santa Comunione, lo ha concesso a condizione che ai comunicandi che scelgono di inginocchiarsi, non sia negata la Santa Comunione per questi motivi. E ancor più, i fedeli non devono essere obbligati né accusati di disobbedienza e di agire in modo illecito quando si inginocchiano per ricevere la Santa Comunione". [SM=g1740721]
 
 Nella nostra cappella, i comunicandi possono stare in piedi o in ginocchio. Io rispetto il vostro diritto di riceverla nel modo che scegliete, e tutti devono rispettare le scelte degli altri. La prassi è che si proceda lungo il corridoio centrale e in piedi riceverla quando si giunge alla testa della fila, o andare ad uno degli inginocchiatoi e riceverla in ginocchio. Qualcuno va all'inginocchiatoio e rimane in piedi. E' accettabile. In necessariis unitas, in dubiis libertas, in omnibus caritas (nelle cose necessarie unità, nelle cose discutibili libertà, in tutte carità).
 
 
fonte: CatholicCulture.org, 16/03/2003
 http://www.catholicculture.org/culture/library/view.cfm?recnum=4647
 
trad. it. di D. Giorgio Rizzieri


[SM=g1740738]

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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25/02/2012 21:14
 
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Orientamento al Signore, servizio liturgico e fedeltà al rito: le caratteristiche del vero culto.

Costruire una pastorale liturgica attraverso il ministero
di d. James DeViese

In questa riflessione, intendo esaminare la liturgia da un punto di vista pastorale e pratico. Esploreremo brevemente le questioni che ho posto nella mia precedente conversazione [trascritta di seguito]: il come, dove, chi e che cosa della Messa. Guarderemo alla vera natura del ministero, daremo un rapido sguardo al ministero pastorale, e faremo un accenno a due delle frasi che circolano di più nella liturgia odierna: l'"ermeneutica della continuità" e l'"arricchimento reciproco".

1. L'orientamento della Liturgia

Quando si usa il termine "orientamento" riferito alla Messa, la maggior parte della gente subito pensa al sacerdote "che volge le spalle ai fedeli" o "tutti rivolti verso la stessa direzione" o "tutti rivolti ad oriente". Libri come "Spirito della Liturgia" del Cardinal Ratzinger e "Volgersi verso il Signore" di Michael Lang hanno affrontato in modo convincente questo tipo di orientamento liturgico dal punto di vista storico, teologico e spirituale. Non ripeterò perciò tutto quello che essi hanno già detto o scritto.

Intendo concentrarmi invece su un aspetto più fondamentale dell'orientamento liturgico, e cioè sul punto focale del culto liturgico. Nell'era post-moderna, il culto liturgico viene ridotto ad "atto della comunità" che si indirizza, attira l'attenzione e si concentra sull'assemblea riunita. Canti come "Raccoglici insieme", "Noi siamo la Chiesa" ecc., hanno consolidato questa tendenza nella mente di tanti cattolici. Abbiamo perso contatto con il vero scopo della sacra liturgia, che è il culto di Dio, e Dio solo.

Mi trovo a dovermi confrontare quasi ogni giorno con i miei parrocchiani, cercando di far capire loro la ragione per cui celebriamo la Messa, e perché è importante. E ripeto sempre lo stesso concetto: "non c'è niente di più sublime o più profondo dell'azione sacra con la quale rendiamo culto al Dio unico, vivo e vero. Ripeto ancora: "Non c'è niente di più sublime e più profondo dell'azione sacra con la quale rendiamo culto al Dio unico, vivo e vero". Tutti i nostri sforzi e la disposizione della nostra mente e del nostro cuore si devono focalizzare univocamente su questa realtà. La Messa è per Dio, non per noi.

Non è certo una frase popolare questa, ma lasciatemi spiegare. Il Divino Sacrificio della Messa, in quanto è la ri-presentazione incruenta del sacrificio di Cristo sul Calvario per la salvezza del mondo, attualizza ogni volta per noi la salvezza nella quale siamo stati battezzati e nella quale siamo tutti membra del Corpo Mistico. Il sacramento della santa Eucaristia, reso presente nella Messa, è - come tutti i sacramenti - per la santificazione e l'edificazione del popolo di Dio. Ma nella sua essenza, la Messa resta il nostro atto di culto a Dio - il nuovo sacrificio del tempio, l'agnello senza macchia immolato dal sacerdote nel Santo dei Santi ad espiazione del peccato - l'offerta del popolo a Dio perché sia a Lui gradita. E' così che si rende culto, né più né meno!

Eppure, non è affatto raro vedere quanto ciò sia trascurato, ridimensionato o perfino del tutto rigettato in favore di una interpretazione più protestantizzata, post-moderna, chiusa dentro la comunità autoreferenziale, privando così la Messa del suo significato di culto indirizzato al Divino, e lasciando il guscio vuoto di una riunione che celebra gli esseri umani e il loro rapporto con Dio (che - avete mai notato?! - è sempre perfetto). E' questa la mancanza di orientamento di cui sto parlando.

Ora, per non sembrare unilaterale, c'è realmente un aspetto "noi" nella Messa. Mons. Guido Marini nella sua relazione ad "Adoratio 2011", la prima Conferenza internazionale sull'Adorazione eucaristica tenuta a Roma nel giugno dell'anno scorso [2011], parla della necessaria relazionalità della Messa. Afferma: "siamo richiamati ad alcune delle dimensioni tipiche ed indispensabili della liturgia. Mi riferisco innanzitutto alla dimensione della cattolicità, costitutiva della Chiesa fin dall'inizio. Nella cattolicità, l'unità e la varietà si uniscono in armonia tanto da formare una realtà sostanzialmente unita, malgrado la diversità legittima delle forme.

E poi c'è la dimensione della continuità storica, in virtù della quale lo sviluppo ordinato appare essere quello di un organismo vivente che non rinuncia al suo passato, progredisce nel presente ed è orientato verso il futuro. E ancora vi è la dimensione della partecipazione alla liturgia del Cielo, per cui è appropriato parlare della liturgia della Chiesa come dello spazio umano e spirituale nel quale il Cielo scende sulla terra. Solo per fare un esempio, considerate le parole della prima Preghiera Eucaristica, quando domandiamo: '..fa' che questa offerta, per le mani del tuo angelo santo, sia portata sull'altare del cielo, davanti alla tua maestà divina..'.

E per ultimo, c'è la dimensione della non-arbitrarietà, che evita la soggettività del singolo o del gruppo, e che appartiene invece a tutti come dono ricevuto, da custodirsi e trasmettere. La liturgia non è una sorta di intrattenimento dove uno si sente di dover aggiungere o sottrarre all'improvviso qualcosa a seconda del proprio gusto per soddisfare la propria bella creatività. La liturgia non è un festino in cui si deve sempre trovare qualcosa di nuovo per suscitare l'interesse dei partecipanti. La liturgia è la celebrazione del Mistero di Cristo dato alla Chiesa, nel quale siamo chiamati sempre ad entrare con grande intensità, soprattutto in virtù della ripetizione provvidenziale e sempre nuova del rito.

Per entrare nel "noi" della Chiesa mediante l'Eucaristia, significa anche essere trasformati nella logica di quella cattolicità che è amore, o l'apertura del cuore secondo la misura del Cuore di Cristo. Essa abbraccia tutto, piega l'egoismo alle esigenze del vero amore, ed è disposto a dare la vita senza riserve. L'Eucaristia è la vera sorgente d'amore della Chiesa ed è nel cuore di ciascuno. Dall'Eucaristia la Chiesa prende forma ogni giorno nell'amore, che è lo stile evangelico al quale siamo chiamati".

Dobbiamo dunque cambiare la nostra mentalità su come accostarci alla Messa e all'Eucaristia. L'orientamento non deve essere verso se stessi, ma ad un autentico volgersi interiore verso il Signore.

2. Il servizio liturgico

Avendo ora una migliore comprensione della natura dell'atto liturgico e il fine proprio al quale esso è diretto, possiamo guardare qual è la nostra funzione all'interno dell'azione sacra. Pongo perciò la domanda: che cos'è un ministro? Il termine "ministro" viene dal latino "ministrare", che significa "servire". "Minister" in latino è un servitore. Pertanto, per comprendere nel modo giusto il ruolo di un ministro, dobbiamo accettare che il rapporto tra liturgia e ministro sia un rapporto di subordinazione, di servizio. Il servo non cerca di dominare il padrone, di sottometterlo, di piegarlo alla propria volontà. Il servo buono e fedele è quello che si compiace di essere umile e obbediente. E la ricompensa del servo buono e fedele è la fiducia e l'ammirazione del padrone, che conduce ultimamente a maggior libertà.

Come ministri della sacra liturgia, noi siamo per prima cosa servitori della liturgia, servitori della Chiesa. Anche la parola "liturgia" denota questa relazione. La sua radice in greco, si dice comunemente che voglia dire "l'opera del popolo" - e ciò era e rimane lo slogan tanto sbandierato dai sapienti progressisti per giustificare le grandi libertà che si prendono con la Messa. Tuttavia, "liturgia" è composta da due termini greci: "laos" che significa popolo o il pubblico, e "ourgia", che significa "servizio". Liturgia non è "l'opera" del popolo, ma "il servizio" del popolo.

Quali ministri della sacra liturgia, noi siamo in fondo dei servi che non devono presumere di imporre il proprio stile, atteggiamento, ideologia ecc., sulla liturgia. La nostra missione non è di creare la liturgia, ma di essere formati dalla liturgia. Come servitori, la nostra missione è di presentare fedelmente al popolo di Dio la liturgia come ci è donata dalla Chiesa per la nostra edificazione e santificazione, e ciò può essere fatto solo in uno spirito di vero e umile servizio.

Qual è dunque la nostra ricompensa per essere servi buoni e fedeli? Tanto per cominciare, va da sé che l'adesione alla Chiesa e la fedeltà ai suoi comandi sono graditi a Dio e, sullo stesso piano d'importanza, serve per soffocare il peccato dell'orgoglio nel nostro cuore. Fedeltà e umiltà nel ministero sono al cuore della liturgia. Se guardiamo ai santi, possiamo vederne tanti che sono cresciuti nella santità semplicemente mettendo la Chiesa al di sopra dei propri bisogni e desideri. Santa Teresa del Bambin Gesù scrive mirabilmente di quanto amasse fare la sacrestana, lucidare i vasi sacri e stendere sull'altare le tovaglie e i paramenti, tanto che non avrebbe voluto essere in nessun altro posto diverso da quello. Potrà sembrare eccessivo ad alcuni, ma il suo amore era radicato nel fatto di essere una vera e umile serva. Aveva capito così bene la profonda natura della sacra liturgia che, come la donna evangelica che soffriva di emorragia, desiderava toccare il lembo del mantello di Cristo per sentirsi realizzata dalle più semplici e umili delle azioni. Questa è un'immagine che dovremmo portare sempre con noi quando ci accostiamo alla sacra liturgia da veri ministri.

3. Essere "pastorali"

Senza ombra di dubbio, il termine più abusato e male usato nel vocabolario ecclesiastico post-conciliare è "pastorale". Per quelli che sono attorno ai cinquant'anni, è una parola che è diventata sinonimo di un atteggiamento disposto a infrangere qualsiasi regola, direttiva e norma, a qualsiasi livello, per rendere più facile la vita. Dalla mia esperienza di avvocato canonista, ricevo costantemente critiche da parte dei miei superiori ogni volta che emetto una sentenza negativa nei casi di nullità matrimoniale. La ragione è sempre la stessa: non è "pastorale" non dare alla gente quello che vuole. Ovviamente, rispondo che non dipende da me se una persona ha contratto validamente o meno il matrimonio, che io sono obbligato alla verità, non a scansare la verità nell'interesse di lasciare la gente ad "andare avanti nella vita". Come potete immaginare, mi hanno bollato quale orribile conservatore non-pastorale e integralista che non gli importa della gente. Figuratevi!

Il termine "pastorale" è ovviamente un aggettivo che denota qualcosa che attiene "al pastore od è come un pastore". Almeno questo era il significato originario. E io sono qui a dichiarare che è giunta l'ora che questa parola venga liberata da coloro che se ne sono impossessati, gli antinomisti [NdT: seguaci della dottrina eretica che sostiene essere inutile e non obbligante obbedire alla legge morale, in quanto giustificati per la sola fede - vedi QUI), e torni al suo significato più naturale. Per una nuova definizione di "pastorale", mi avvalgo di un'idea di Jason Pennington, autore del saggio "Il musicista pastorale: un vero pastore o un ladro alla porta?" pubblicato il 29 dicembre 2005 sul blog "Christus vincit". Mentre Pennington orienta tutte le sue osservazioni sul concetto di musicista pastorale, io prendo a prestito il suo paradigma di base con la speranza di allargarlo e di applicarlo per la riabilitazione di questa povera, pietosa parola.

Pennington scrive: "La risposta più semplice ed immediata alla domanda di cosa significhi essere pastorale, è: agire come un pastore, pascere il gregge. La tradizione occidentale permea la nostra percezione del 'pascere'. Il poeta romano Virgilio descrive con vivida immaginazione la vita pastorale (o bucolica) nella Egloga. La letteratura, lungo i secoli, sia religiosa che laica, offre varie descrizioni di pastorale. La vita pastorale è calma e gentile, è pacifica e serena. Gli agnelli saltellano mentre il pastore suona il flauto sotto l'ombra di un grande albero.

L'analogia con il Salmo 23 è notevole, guardiamo infatti come si armonizza: "Il Signore è il mio pastore; non manco di nulla". E' il Signore che ha la supremazia, è il Buon Pastore, il vero pastore, e si prende cura di tutte le mie necessità. Essere pastorali vuol dire vegliare sui bisogni del gregge, far sì che riceva il meglio. Notate che non vi è cenno di quello che il gregge "desidera". Il vero pastore sa quello che ci vuole. Non si preoccupa di quello che manca. "Su pascoli erbosi mi fa riposare, ad acque tranquille mi conduce. Rinfranca l'anima mia". Il ministro pastorale crea un'atmosfera di pace e di sicurezza. Non sovraccarica il gregge, cerca piuttosto di ringiovanirne lo spirito - ancora una volta, con quello di cui ha bisogno, non con quello che vuole.

"Anche se vado per una valle oscura, non temo alcun male, perché tu sei con me. Il tuo bastone e il tuo vincastro mi danno sicurezza". Qui arriviamo al cuore della questione. Il rapporto tra pastore e gregge non è tutto rose e fiori! C'è il bastone e il vincastro. Pennington scrive: "il bastone e il vincastro del pastore hanno due scopi. Il pastore li usa come armi per tenere lontano i pericoli dal suo gregge. Li usa anche per tenere ben ordinate le pecore. Il bastone del pastore ha dopo tutto un'estremità ricurva per trattenere la pecora che si è smarrita. Certamente, il vincastro e il bastone confortano perché proteggono dai pericoli, ma dispensano anche disciplina. Il pastore dà alle pecore ciò che vogliono, ma soprattutto, dà quello di cui hanno bisogno, che piaccia o no. Conduce il gregge a gustosi pascoli, ma lo tiene anche insieme sulla buona strada. Se il pastore desse loro solo quello che vogliono, il gregge si frazionerebbe e vagherebbe in tutte le direzioni: "noi tutti eravamo sperduti come pecore" (Is. 53, 6).

Il gregge vuole ed esige di essere viziato, di essere coccolato. Ma questo non è essere pastorali, semmai è non fare loro favori. Uno dei miei professori di diritto canonico a Roma spiegava il termine "pastorale" così: "Il vero strumento pastorale risiede nell'osservare la norma, non nell'ignorarla". Il nostro dovere sempre è di garantire i diritti di tutti. L'autentica giustizia cristiana esige che noi garantiamo i diritti del fedele cristiano. Ogni volta che si viola una regola per essere "pastorali" con qualcuno, allora si violano i diritti di un altro. Se io altero le parole della consacrazione nella Messa perché sarebbe "pastorale" per i bambini ai primi banchi, allora io in realtà violo il loro diritto a ricevere i sacramenti e la liturgia della Chiesa, così come intende la Chiesa. Se siamo ministri pastorali, non possiamo garantire i diritti dei fedeli cristiani infrangendo le regole, ignorando le norme o schivando i problemi. E' vero, può essere che la gente non apprezzi ciò che facciamo; penserà che siamo duri o perfino arbitrari. Ma, ancora una volta, un ministro pastorale è alla fin fine solo quello che le parole descrivono: un servitore che pasce.

4. Liberarsi dagli anni Settanta

Negli ultimi anni, nuove espressioni e parole di moda sono apparse sul nostro vocabolario. Si parla di "una riforma della riforma", di un "nuovo movimento liturgico", di una "ermeneutica della continuità", e dell'"arricchimento reciproco" delle due forme del Rito romano. Sono espressioni che danno vigore ai giovani esperti conservatori, ma che fanno paura e gettano nella frustrazione i vecchi "progressisti", senza dubbio! Ma dobbiamo sempre essere attenti a come li affrontiamo.

Siamo ministri della liturgia in un tempo in cui corriamo il rischio di infliggere sulla liturgia gli stessi abusi scriteriati e arbitrari che la liturgia ha patito dai liturgisti "progressisti". Occorre fare ben attenzione che ciò che facciamo nella liturgia riguardi solo la liturgia, e non le nostre opinioni o ideologie. Potrei fare un elenco di centinaia di cambiamenti che mi piacerebbe fare alla mia celebrazione della Messa in nome della "continuità" o dell'"arricchimento reciproco". Ma io sono legato a una lealtà alla Chiesa molto più grande delle mie preferenze personali. Lo stesso è vero per tutti i ministri della liturgia.

Allora, come si conciliano le due vie: arricchimento reciproco e fedeltà ai libri liturgici? Prima di tutto, si deve tracciare una linea chiara. Abbiamo il dovere sempre di essere fedeli ai libri liturgici, così come la Chiesa ce li ha dati. A questo fine, modificare la Forma Ordinaria del Rito Romano per conformarlo di più alla Forma Straordinaria (o viceversa), è qualcosa che può avvenire solo quando i libri liturgici e gli stessi documenti fanno esplicita concessione per l'innovazione, o quando le rubriche e le norme lo diano per sottinteso, prestandosi così a qualche arricchimento.

"L'arricchimento reciproco" dei due Riti Romani è qualcosa che è ovviamente desiderato dal Santo Padre, come ha dichiarato nella sua lettera di accompagnamento ai Vescovi sulla promulgazione del Motu Proprio "Summorum Pontificum". Segue logicamente una discussione sulla "ermeneutica della continuità" - l'accentuazione sulla continuità tra i riti precedenti e quelli attuali, opposti alla "ermeneutica della rottura" che sembra ricevere l'attenzione maggiore degli esperti negli ultimi quarant'anni. La grande ironia è la sostituzione della retorica di quarant'anni fa. Quando si introdusse per la prima volta il Novus Ordo Missae, i liturgisti gli diedero credibilità esaltando la sua conformità ai sani criteri storici, dicendo che in realtà si trattava di un recupero di una forma di culto molto più antica. E i contrari che affermavano che si trattasse di una rottura con la tradizione, erano coloro che sarebbero diventati i seguaci dell'Arcivescovo Lefebvre e soci. Come cambiano i tempi!

Tutto sommato, c'è molto spazio per cercare di capire meglio tutti questi criteri. Ciò che ho presentato qui è soltanto la punta dell'iceberg. C'è spazio per altre discussioni e per altre esplorazioni. E gli esempi sono fin troppo numerosi per cominciare a farne una lista.

5. Conclusione

In conclusione, vorrei riflettere brevemente sul quadro principale. Tutto ciò che ho trattato in questa conversazione è indirizzato a un gruppo di persone impegnate che servono la Chiesa e le loro comunità nel modo specifico della sacra liturgia. La nostra missione, comunque, non dev'essere quella di raccomandare il self-service. Abbiamo anzi esplorato i principi che dovrebbero essere al primo posto nella coscienza di ogni cattolico: il vero orientamento della liturgia, la vera natura della pastoralità, i fondamenti divini dell'autorità, la necessità della vera fedeltà, ecc.

Come ministri della sacra liturgia, incombe su di noi il mandato di catechizzare bene quelli che serviamo e di disporli degnamente a ricevere la ricchezza che offre il Rito Romano. Troppo spesso sorvoliamo sul Rito Romano e ci lasciamo ipnotizzare dalle campane, dal fumo e dai canti di altri riti, e cerchiamo di integrarli (senza che ve ne sia bisogno e illecitamente) ai nostri riti per "abbellirli". Ma il Rito Romano è integrale e completo. E vorrei dire che abbiamo il dovere morale di esplorare il nostro patrimonio per cercare di scoprire i tesori nascosti dei nostri riti e recuperarli entro i parametri dei nostri paradigmi liturgici correnti, per la gloria di Dio e l'edificazione della Sua Santa Chiesa. E' in questo modo, in ultima analisi, che il nostro Maestro e Signore ci può vedere suoi servi buoni e fedeli, servitori e ministri di ciò che la Chiesa ha affidato alla nostra cura.

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L'antinomismo e la Sacra Liturgia
di d. James DeViese

Vorrei esaminare alcuni aspetti chiave dei nostri rispettivi ruoli di servitori e ministri della Sacra Liturgia, e quali iniziative pratiche possiamo porre in atto per aiutare coloro che serviamo a fare una forte esperienza liturgica.

Parlerò innanzitutto dell'antinomismo e della Sacra Liturgia; dell'antinomismo (1) in generale, che cosa s'intende con questo termine e come si rapporta con la comprensione cristiana della legge. Poi, esaminerò l'applicazione dei principi antinomisti nella celebrazione dei sacri riti. Ed infine vi presenterò alcune preoccupazioni generali e specifiche riguardo al futuro della prassi liturgica.

1. L'antinomismo in generale

Padre John Coughlin, professore di Diritto Canonico e Teologia all'Università di Notre Dame, nel suo intervento alla Conferenza degli avvocati civili e canonisti tenutasi a La Cross in Wisconsin, nell'agosto del 2010, dichiara in termini decisi: "L'antinomismo riduce o rifiuta la validità della legge".

Il termine "antinomismo" fu coniato nientemeno che da Martin Lutero, ed è composto di due parole greche 'anti' e 'nomos', letteralmente 'contro la legge'. Per ironia della sorte, il termine fu impiegato da Lutero per descrivere in modo peggiorativo quei protestanti che aderirono alla dottrina eretica della "Sola Fide" - giustificazione solo per fede - e che deviarono in modo ancora più radicale di quanto non avesse fatto originariamente Lutero stesso. Il senso fondamentale antinomiano rimane comunque chiaro: rifiuto della legge stabilita (sia essa divina, naturale o positiva).

In una prospettiva storica, il sistema religioso giudaico-cristiano si è sempre fermamente basato sulla prevalenza della legge. Fin dai giorni di Mosè, gli aderenti alla fede abramitica hanno sempre compreso che vi è una intrinseca relazione tra il compiere il proprio dovere con Dio e obbedire alla legge di Dio. In effetti, l'uno conduce in modo naturale verso l'altra, poiché per piacere a Dio occorre seguire i suoi comandamenti. Appare molto chiaro nell'Antico Testamento che il rifiuto dell'autorità di Dio, la non accettazione appunto della legge divina, naturale e positiva, va presto incontro alla sua retribuzione: il diluvio universale, i quaranta anni nel deserto, Sodoma e Gomorra, l'esilio babilonese, ecc. Praticamente, ogni prova e tribolazione del popolo ebraico nell'Antico Testamento ha la sua radice nel rifiuto umano della legge.

Nel Nuovo Testamento, le fazioni pro o contro l'antinomianismo sono in continua polemica tra loro per stabilire da quale "parte" stiano i vangeli sul tema dell'adesione alla Legge. Ci sono prove in abbondanza per l'una e l'altra fazione. Riserverò l'approfondimento dei particolari per gli studiosi di Sacra Scrittura e di Teologia.

Per quanto se ne dica, un dato di fatto è chiarissimo: Dio ha creato un mondo ordinato sul quale ha imposto una gerarchia di autorità, sia in terra che nei cieli, per preservare la salvezza dell'uomo. Tale autorità, radicata nella legge divino-naturale e compiuta dalla volontà di Gesù Cristo nel trasmettere la Sua stessa autorità a Pietro e agli apostoli, è finalizzata alla crescita spirituale del Popolo di Dio per raggiungere lo scopo da Lui voluto: la vita eterna con il nostro Creatore nella Gerusalemme nuova.

Dichiarare che noi sperimentiamo, per paradosso, vera libertà quando aderiamo alla Legge, non è più irrazionale di quanto non lo fosse per Sant'Agostino affermare lo stesso concetto, dicendo che la libertà dal peccato si ottiene mediante la schiavitù alla volontà di Dio. Una vera adesione a Dio esige la nostra adesione a quelle leggi che Lui e la Santa Chiesa ci hanno dato, attraverso la legittima autorità conferitale e portata avanti con la successione dei Papi e dei vescovi.

L'antinomismo porta fuori dalla retta comprensione della Chiesa quale vera Sposa di Cristo che governa con la Sua stessa autorità sulla terra. Ma per il credente cattolico, rifiutare l'autorità della Chiesa è rifiutare l'autorità di Cristo, e quindi Dio stesso.

L'antinomismo in America ha una lunga storia. Si può dire che ha avuto il suo influsso nel dare origine alla rivoluzione americana, al suffragio delle donne, ai diritti civili, ecc. Pur essendo cose buone in se stesse, il retroterra antinomista che ha contribuito a portare quei movimenti alla pubblica attenzione e a renderli vincenti, si è però anche infiltrato nel pensiero della Chiesa negli Stati Uniti.

Si deve, tuttavia, fare una distinzione tra autorità derivata da Dio e quella stabilita dall'uomo. Dobbiamo sempre considerare la Chiesa per quello che essa è veramente: una istituzione divina donata all'uomo per la sua santificazione. L'ordine civile cerca legittimamente di invertire il rapporto: l'uomo stabilisce l'ordine per il bene comune imitando i precetti divini. La prima è il modello tipico dall'alto al basso; il secondo dal basso verso l'alto.

Come si presenta dunque l'antinomismo nella Chiesa americana? Uno degli esempi più evidenti è l'assenza significativa, in questo Paese, dei Capitoli di Canonici della Cattedrale. Quando si formarono le prime Diocesi degli Stati Uniti, la legge che disponeva che ogni Cattedrale avesse un Capitolo di Canonici, fu praticamente ignorata ovunque. L'unica ragione addotta fu che la Chiesa in America si considerava un nuovo ordine di Chiesa, tale da non dover più essere confinata nei ceppi della cultura europea da cui fuggivano tanti migranti. "Ridurre o rifiutare la validità della legge" per corrispondere ai desideri dei pochi a danno dei molti.

2. L'antinomismo e i riti sacri

Per quanto attiene ai sacri riti della Chiesa, vale la pena sottolineare che i riti liturgici predisposti dalla Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, approvati dal Sommo Pontefice, possiedono la forza della legge. I libri liturgici, di per se stessi, costituiscono un rito giuridico la cui essenza è sia spirituale che strutturale. E tuttavia, in tutta la storia della Chiesa c'è sempre stata una lotta tra due poli: quello che cerca di imporre la struttura e quello che cerca di svincolarlo da tale struttura.

Fin dalla fine del primo secolo, la Chiesa ha cercato di dare una struttura al modo di celebrare dei cristiani e di renderla normativa. Ce lo confermano numerose fonti della primitiva celebrazione cristiana, quali la Didachè, i frammenti di Ippolito, l'Apologia del Santo martire Giustino e altri. Dai quei primi tempi, l'intento dei Vescovi e del Papa è stato di vigilare affinchè la celebrazione dei Sacramenti fosse sempre ortodossa e fedele. L'imposizione dei libri liturgici si rese necessaria fin dal terzo e quarto secolo per custodire l'integrità dei sacramenti, in particolare il Divino Sacrificio della Messa, e tutto in nome dell'antica massima "Lex orandi, Lex credendi".

Molti "studiosi" oggi non accettano la prassi di imporre libri liturgici, considerandola anatema al vero "culto". E' un falso significato del culto che proviene dall'adozione modernistica di antinomismo. Quanti di noi hanno sentito frasi del tipo: "Sì, so cosa dicono i libri liturgici, ma ...", oppure "E' quello che fanno a Roma, ma qui non siamo a Roma", o "Noi facciamo diverso...", o ancora (la mia preferita) "Se il Papa vuole che lo faccia, che venga qui a farmelo fare!". Queste dichiarazioni irriverenti e provocatorie sono sintomatiche di un antinomismo profondamente radicato e che è prevalente nella Chiesa americana di oggi. L'intera concezione delle direttive liturgiche, delle sue norme e rubriche che hanno forza di legge, sono o sconosciute o semplicemente ignorate al fine di ritagliare i sacri riti sulla misura dei nostri gusti e preferenze. Se accadesse la stessa cosa con la Fede in generale, io credo che il termine adeguato alla situazione sarebbe "protestante", se non "apostasia".

Sono consapevole che la mia posizione sembri intransigente. Non per niente mi hanno affibbiato i soprannomi di "tradizionalista folle" e di "orrendo arciconservatore"! Ma è innegabile che c'è un legame diretto tra i principi antinomisti e il presente stato della liturgia nella Chiesa. Se ciò sia per ignoranza dei documenti ecclesiali, o per un rifiuto irrazionale, ideologizzato, o premeditato al limite del lecito delle norme liturgiche a favore di un'alterazione "protestantizzata" e motivata egocentricamente, o ancora - arrivo a dire - per'"abusare" di quanto ci è stato trasmesso come liturgia della Chiesa, una cosa è chiara: la riduzione o il netto rifiuto della validità delle norme liturgiche, in quanto vincolano per legge i ministri della Chiesa, è antinomismo allo stato puro e, ciò che più importa, può e deve essere definito vera e propria violazione della legge della Chiesa.

Gli stessi sacri riti costituiscono un'alleanza tra Dio e il Suo popolo, mediata dalla Chiesa, la cui autorità in materia spirituale deve essere ritenuta assoluta. Negli ultimi cinquanta anni, tuttavia, siamo stati testimoni di un sistematico sgretolamento dell'autorità della Chiesa, perpetrato non da una singola fazione o gruppo, ma causato da una varietà di fattori diversi, quali norme liturgiche i cui documenti sembrano spesso in conflitto tra loro o senza direttive chiare, la legge della Chiesa stessa che ha eliminato le relative sanzioni da comminare alle violazioni, le Conferenze Episcopali che spesso sminuiscono l'autorità dei singoli Vescovi, alcuni Vescovi e parroci che non si curano di legiferare e di emanare solide norme liturgiche, i cosiddetti "esperti" e "liturgisti" il più delle volte ideologi, il movimento ecumenico con il pretesto che "dobbiamo essere come gli altri, così piaceremo loro", e i fedeli laici con affermazioni come "anch'io devo avere un potere!". Di per sé, nessuna di queste istituzioni, gruppi o movimenti sono cattivi, anzi hanno un ruolo proprio e svolgono tutti una funzione nella Chiesa, per cui dare la "colpa" a una qualsiasi delle "cause" suddette per lo stato attuale della prassi liturgica, sarebbe irresponsabile e inesatto. Si può dire invece, essendo l'osservanza delle norme liturgiche l'intenzione della Chiesa e l'obbligo dei suoi ministri, che ogni realtà della vita della Chiesa ha contribuito, in maggiore o minore misura, a un generale antinomismo.

Alla luce di tutto ciò, pongo tre interrogativi: primo, perché succede? Secondo, come ci si è arrivati? E per ultimo, che cosa si può fare?

Le prime due domande stanno insieme. E' stato detto da alcuni studiosi che il tempo in cui si è celebrato il Concilio Vaticano II, e non il Concilio in sé, ha portato a molta di quella confusione che la Chiesa attraversa oggi in termini di atteggiamento dei credenti verso la Chiesa. Ripeto che non è un discorso sui meriti o le lacune dei documenti conciliari, ma la temperie di quegli anni. Che cosa voglio dire? Consideriamo l'ambiente sociale dei primi anni Sessanta. Le agitazioni sociali esplodevano a tutti i livelli, soprattutto negli Stati Uniti. Tra le battaglie per i diritti civili, la liberazione delle donne, "l'amore libero", le campagne contro la guerra, e un gran numero di movimenti contro l'establishment negli anni '60, la percezione del Concilio Vaticano II come un Concilio "modernizzante" che avrebbe spezzato le catene del Medioevo e avrebbe lanciato la Chiesa all'aggiornamento con quegli anni, contribuirono ultimamente a una cattiva comprensione di ciò che la Chiesa e il Concilio intendevano mettere in atto.

E' una percezione che è presente ancora oggi in non pochi ambienti nei quali circola abitualmente lo slogan "lo spirito del Concilio". Questo Concilio Ecumenico spesso vituperato porta perciò il peso di dover essere ancora veramente compreso, apprezzato e realizzato.

Similmente, si può dire che la riforma liturgica del '68-'69 di Papa Paolo VI con la promulgazione della prima edizione dell'attuale Messale Romano, aiutò a rafforzare questa erronea interpretazione del Concilio Vaticano II. Ancora una volta, occorre dire che la colpa non è del contenuto della Riforma, ma del momento storico in cui si è fatta la riforma, che sembrava dare ragione a quello che tanta gente, sbagliando, diceva già del Concilio: "Ehi, sta cambiando tutto! Niente più regole! Possiamo fare quello che vogliamo!".

In realtà, da una prospettiva storica e giuridica, nulla potrebbe essere più lontano dalla verità. Non voglio discutere né criticare la saggezza della riforma di Paolo VI. Ma la transizione apparentemente improvvisa da un sistema di riti liturgici pieno di norme e di regole, infrangere le quali costituiva spesso un peccato mortale per il sacerdote, a un sistema privo di penalità e con licenza apparentemente ampia data all'improvvisazione e a commenti ad libitum, a qualsiasi livello, era destinato fin dall'inizio a inaugurare un'epoca contrassegnata da un antinomismo in ebollizione e da desideri alimentati da agitazioni sociali nell'ambito civile. In punto di fatto, si trattò di una convergenza di due eventi innocui e (oso dire) necessari, associati in un clima sociale di opposizione all'establishment, per cui i sentimenti antinomisti esaltanti la libertà individuale fecero da perfetto contesto tempestoso perché le radici dell'antinomismo nella Chiesa penetrassero in maniera importante.

3. L'antinomismo ed il Messale Romano

Per questioni di tempo, non elencherò i molteplici esempi di antinomismo nella liturgia. Gli abusi inflitti sulla Sacra Liturgia negli ultimi quarant'anni sono troppi per essere descritti. Basti soltanto dire che ci sono state violazioni generalizzate delle norme e direttive liturgiche, causate da ignoranza o da rifiuto delle dette norme. Per essere onesti, la prima e seconda edizione del Messale Romano davano maggiore spazio alla "creatività" liturgica di quanto non faccia la terza edizione attuale (NdT, delle Conferenze Episcopali di lingua inglese). Il cambiamento più significativo tra la precedente e l'attuale edizione, è la notevole diminuzione in vari punti dei riti, della frase prima onnipresente "con queste parole o altre simili". In questa terza edizione del Messale Romano non risultano più accettabili le varie forme di saluti ed esclamazioni tanto comuni nella prima e seconda edizione. La scelta attuale della Chiesa, senza dare giudizi, è di non ritenere più accettabile l'atteggiamento disinvolto e a ruota libera nei confronti della liturgia, una permissività che non è più ammessa per parole alternative o non approvate nelle varie parti della Messa. Non sono più permessi, ad esempio, discorsi estemporanei durante il rito d'ingresso, l'atto penitenziale, ecc. Rimangono invece in quelle parti che l'Istruzione Generale del Messale Romano e le rubriche permettono ancora per commenti e introduzione.

Eppure, nella nostra esperienza di tutti i giorni, quanti preti seguono fedelmente la terza edizione del Messale Romano, o hanno smesso la vecchia abitudine di saluti e congedi superficiali o introduzioni alternative alle preghiere? Ancora una volta, la Chiesa ha cercato di ridurre le opzioni non per diventare più rigida ma per il vivo desiderio di custodire la dignità dei riti, non ammettendo l'abuso dei testi e delle consuetudini che possono essere (e spesso lo sono) in contrasto con la vera fede ortodossa che si manifesta nella Sacra Liturgia. Gli antinomisti cercano di diffamare e demonizzare la Chiesa bollandola di essere un'istituzione patriarcale che vuole solo "tenerci sottomessi e oppressi". C'è da chiedersi se Martin Lutero non venga evocato dagli opinionisti più loquaci che si scagliano contro il Magistero della Chiesa in questi giorni.

Per non sembrare unilaterale, guardiamo però anche all'alternativa dell'antinomismo "liberale". In effetti, ci sono altrettanti antinomisti dalla parte "conservatrice" (chiedo scusa per le crude etichette di 'liberale' e 'conservatore' che sono davvero inappropriate). Molti, sospinti verso espressioni più tradizionali della nostra unica Fede, si trovano in situazioni nelle quali anch'essi sbagliano nel voler modificare i riti secondo la moda antinomista per compiacere le loro esigenze. Non è per esempio raro ascoltare nelle Messe di esequie "Agnus Dei, qui tollis peccata mundi, dona eis requiem", quando gli attuali libri liturgici non permettono una tale alterazione del testo. Oppure, capita che un giovane prete tradizionalista incroci la stola sotto la casula o insista nell'indossare il manipolo, quando i libri liturgici in vigore non li ammettono (per la stola è esplicito, per il manipolo è oggetto di dibattito a vari livelli). Conta molto di più la fedeltà alla liturgia che non dire soltanto ciò che è contenuto nel Messale. C'è bisogno che si osservino tutte le norme e rubriche con la dovuta obbedienza e deferenza all'autorità della Chiesa, perché è l'unico modo che i ministri hanno per essere veramente "ministri, servi e servitori" della Sacra Liturgia, e non legislatori di propria iniziativa.

4. Suggerimenti per la discussione

Infine, alcune riflessioni sul futuro della prassi liturgica:

Per primo, rispondendo alla terza domanda su ciò che si può fare nella Sacra Liturgia, non esiste un'unica soluzione, ma occorre cambiare tutta la mentalità. Cosa non facile e neppure rapida, ma assolutamente necessaria se la Santa Romana Chiesa vuole difendere i suoi riti liturgici. Il primo compito è catechizzare le persone. La maggior parte (preti e laici insieme) semplicemente ignorano quello che i documenti sulla Sacra Liturgia effettivamente dicono. C'è stata tanta disinformazione negli anni e molti (soprattutto sacerdoti) non vogliono riconoscere che forse fanno qualcosa che non è corretto o addirittura illecito! E' fondamentale una ferma comprensione delle norme liturgiche così come sono attualmente, conoscerne la storia, lo sviluppo e come applicarle alla celebrazione dei sacri riti.

In secondo luogo, dobbiamo guidare con l'esempio. Non possiamo aspettarci cambiamenti radicali nel modo di esprimersi dei documenti liturgici, né che le persone si mettano subito in riga appena si confrontano con la verità. Ma se celebriamo la liturgia in modo adeguato al Divino Sacrificio della Messa, usando la terminologia propria, attenti alle rubriche e ai testi, allora c'è la possibilità concreta di aiutare la gente a vedere che non aspiriamo al minimo comun denominatore, ma che è nostro dovere presentare fedelmente la liturgia della Chiesa in punto di principio e in punto di legge.

In terzo luogo, dobbiamo sforzarci di infondere nei nostri fratelli cattolici un più profondo senso di quel che vuol dire essere sottomessi all'autorità. In America abbiamo un senso ultra-sviluppato di libertà individuale che è in contrasto con l'antropologia autenticamente cristiana e la comprensione dell'unità grazie all'autorità. Il rispetto di quella autorità stabilita da Dio stesso è fondamentale per aiutare gli altri a ritrovare una conoscenza più equilibrata e accurata di dove venga la liturgia, a chi la sacra azione è diretta, e la nostra funzione di servitori della liturgia.

5. Conclusione

Non intendevo certo che questa mia conversazione fosse esaustiva. Sono stati scritti interi volumi sulla necessità di una maggiore fedeltà all'autorità ecclesiale, e quei principi si possono ben applicare alla celebrazione della Sacra Liturgia. Ho offerto solo materiale per la riflessione - un modo nuovo di osservare lo stesso problema della "creatività" liturgica e "infedeltà" che hanno imperversato nella Chiesa per secoli.

Non c'è mai stata "un'epoca perfetta" della Chiesa. Sempre combattiamo una battaglia tra di noi, le fazioni di "liberali" e "conservatori", di "progressisti" e "tradizionali" si scontrano costantemente. E non pare esserci una fine in vista. Una tregua a questa lotta infinita arriverà solo quando avremo un più alto senso di rispetto per quello che la liturgia fa, a Chi lo fa, come la si celebra e da dove essa viene.
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(1) antinomismo
Termine creato da Lutero per designare polemicamente la dottrina di Johann Agricola (Eisleben 1494 - Berlino 1566) che dalla tesi della salvezza mediante la sola fede deduceva l’assoluta inutilità delle opere buone, quindi dei precetti del Decalogo. Il termine esprime tuttavia un fatto più antico, e cioè l’avversione di numerosi gruppi cristiani (gnostici e marcioniti nella Chiesa antica; varie sette medievali) contro non solo le prescrizioni rituali, ma l’intero Antico Testamento, sentito come mera costrizione e vincolo, in antitesi al Nuovo Testamento, cioè alla nuova economia della Grazia e della libertà.

Sacrosanto Concilio Tridentino
Sessione VI - 13 gennaio 1547

Canone 19: Chi afferma che nel Vangelo non si comanda altro, fuorché la fede, che le altre cose sono indifferenti, né comandate, né proibite, ma libere; o che i dieci comandamenti non hanno nulla a che vedere coi cristiani: sia anàtema.

Canone 20: Se qualcuno afferma che l’uomo giustificato e perfetto quanto si voglia non è tenuto ad osservare i comandamenti di Dio e della Chiesa, ma solo a credere, come se il Vangelo non fosse altro che una semplice e assoluta promessa della vita eterna, non condizionata all’osservanza dei comandamenti: sia anàtema.

Canone 21: Se qualcuno afferma che Gesú Cristo è stato dato agli uomini da Dio come redentore, in cui confidare e non anche come legislatore, cui obbedire: sia anàtema.

Canone 27: Se qualcuno afferma che non vi è peccato mortale, se non quello della mancanza di fede, o che la grazia, una volta ricevuta, non può essere perduta con nessun altro peccato, per quanto grave ed enorme, salvo quello della mancanza di fede: sia anàtema.
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fonte: www.pastormontanus.blogspot.com, 26/01/2012
http://www.pastormontanus.blogspot.com/2012/01/building-pastoral-liturgy-through.html
trad. it. di d. Giorgio Rizzieri
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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Sesso: Femminile
26/02/2012 17:29
 
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[SM=g1740733]ATTENZIONE, PER TUTTI I SACERDOTI ALCUNE NORME DA NON SOTTOVALUTARE, ANZI....


Congregazione per il Culto Divino.
Benché nella celebrazione della messa il primo posto spetti alla preghiera eucaristica, l'orazione colletta, quella sulle offerte e quella dopo la comunione sono molto importanti, perché sono dirette a Dio, a nome di tutto il popolo santo e di tutti i presenti, dal sacerdote che presiede l'assemblea dei fedeli in persona di Cristo.

Notitiae, 30 giugno 1991

È lecito al sacerdote celebrante omettere di propria iniziativa l'una o l'altra delle orazioni presidenziali, cioè la colletta o l'orazione sulle offerte o l'orazione dopo la comunione?

Risp.: No.


Benché nella celebrazione della messa il primo posto spetti alla preghiera eucaristica, l'orazione colletta, quella sulle offerte e quella dopo la comunione sono molto importanti, perché sono dirette a Dio, a nome di tutto il popolo santo e di tutti i presenti, dal sacerdote che presiede l'assemblea dei fedeli in persona di Cristo. Il loro carattere "presidenziale" esige che vengano proferite a voce chiara ed elevata e siano ascoltate con attenzione da tutti. Per quanto riguarda l'orazione "colletta", con essa viene espressa l'indole della celebrazione e la supplica con le parole del sacerdote è diretta a Dio Padre, per Cristo, nello Spirito santo.
L'orazione sulle offerte poi conclude la preparazione dei doni e prepara la preghiera eucaristica. Infine nell'orazione dopo la comunione, il sacerdote prega per i frutti del mistero celebrato. Il popolo, unendosi a queste tre orazioni e dando il suo assenso ad esse, fa propria l'orazione con l'acclamazione "Amen".
Di grande importanza dunque nella struttura della messa, esprimendo le volontà e i propositi, sembrano facilmente accessibili ai fedeli cristiani. Perciò, secondo le norme promulgate nel Messale romano, le suddette orazioni non si possono affatto omettere. E il sacerdote che le tralascia commette un abuso di non poco conto.

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CONGREGAZIONE PER IL CULTO DIVINO E LA DISCIPLINA DEI SACRAMENTI. Risposta a un dubbio Quomodo agendum est su come comportarsi con il vino consacrato rimasto dopo la comunione, 31 dicembre 2000, 36 (2000), n. 412-413 (nov.- dic. 2000), p. 541

[SM=g1740733] D. - Come ci si deve comportare circa il vino consacrato eventualmente rimasto dopo la comunione?

R. - Finita la distribuzione della sacra comunione, il vino consacrato eventualmente rimasto "deve essere consumato subito dopo la comunione, e non può essere conservato" (Istr. Inaestimabile donum, 3 aprile 1980. n. 14). Inoltre l’Istruzione generale del Messale romano (2000) precisa a più riprese la cosa, stabilendo che "il sacerdote consuma subito personalmente presso l'altare tutto il vino consacrato eventualmente rimasto" (n. 163) o, dove c'è un diacono, questi porga il calice ai fedeli e poi "subito consumi devotamente all'altare il sangue di Cristo che fosse rimasto, con l'aiuto, se è il caso, degli altri diaconi e presbiteri" (n. 182: cf. n. 247).
Il sangue di Cristo non può essere conservato dopo la celebrazione della messa, e perciò "si ponga attenzione a consacrare soltanto la quantità di vino necessaria per la comunione" (Istr. Inaestimabile donum, 3 aprile 1980. n. 14).
Si fa eccezione soltanto, secondo quanto si precisa nel Rito dell'Unzione e cura pastorale degli infermi, per il caso in cui si dovesse amministrare il viatico ai malati. In tal caso, se l'infermo non può ricevere l'eucaristia sotto la specie del pane e neppure si può celebrare la messa presso di lui. il sangue di Cristo, in modo strettamente temporaneo e soltanto per questo, sia riposto nel tabernacolo fino al momento in cui sarà portato all'infermo (n. 95). E inoltre, se dopo l'amministrazione della comunione "rimanesse ancora del preziosissimo sangue, sia consumato dal ministro" (ivi).

È un gravissimo abuso, e dolorosa profanazione, e va assolutamente condannato spargere per terra il sangue di nostro Signore Gesù Cristo o anche versarlo nel sacrario dell'edificio sacro o fare di esso qualsiasi altro uso non contemplato nelle norme sopra esposte.
Chi osasse compiere un tale delitto, sia punito a norma dei canoni. Inoltre si tenga presente il can. 1367 e la sua interpretazione autentica (AAS 91 [1999] 918).

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CONGREGAZIONE PER IL CULTO DIVINO E LA DISCIPLINA DEI SACRAMENTI. Risposte Celebratio integra a questioni circa l'obbligatorietà alla recita della Liturgia delle Ore. Prot. No. 2330/00/L. 15 novembre 2000: Notitiae. 37(2001) 190-194.

La celebrazione integra e quotidiana della Liturgia delle ore è, per i presbiteri e i diaconi avviati al presbiterato, parte sostanziale del loro ministero ecclesiastico.
Sarebbe riduttivo guardare a tale responsabilità come al numero compimento di un obbligo canonico, che pure esiste, e verrebbe trascurato il fatto che l'ordinazione sacramentale conferisce al diacono e al presbitero l'incarico speciale di elevare a Dio uno e trino la lode per la sua bontà, per la sua sovrana bellezza e per il suo disegno misericordioso riguardo alla nostra salvezza soprannaturale.
Insieme alla lode, i presbiteri e i diaconi presentano alla maestà divina la preghiera di intercessione, affinchè si degni di aver cura dei bisogni spirituali e temporali della chiesa e di tutta l'umanità.
Il "sacrificio di lode" si realizza anzitutto nella celebrazione della santissima eucaristia, ma si prepara e si continua nella celebrazione della liturgia delle ore (cf. IGLH 12). la cui forma principale è la recita comunitaria, sia in una comunità di chierici, o di religiosi che, cosa molto desiderabile, con la partecipazione di fedeli laici.

Senza dubbio, la liturgia delle ore, detta anche Ufficio divino o Breviario, non perde in alcun modo valore quando la si recita individualmente, o in certo qual modo privatamente, poiché anche in questo caso "queste orazioni avvengono privatamente, ma non implorano cose private" (Gilberto di Holland, Sermo XXIII in Cant.: PL 184, 120).

Infatti, anche in simili circostanze, queste orazioni non costituiscono un atto privato poiché fanno parte del culto pubblico della chiesa, in modo tale che recitandole il ministro sacro adempie il suo dovere ecclesiale: il sacerdote o diacono che nell'intimità di un tempio, o di un oratorio, o nella sua residenza, si dispone alla celebrazione dell'Ufficio divino, realizza. anche quando non ci sia nessuno che lo accompagna, un atto eminentemente ecclesiale, in nome della chiesa e a favore di tutta la chiesa, includendo tutta l'umanità. Nel Pontificale romano si legge: "Volete custodire e alimentare nel vostro stato di vita lo spirito di orazione e adempiere fedelmente l'impegno della Liturgia delle ore, secondo la vostra condizione, insieme con il popolo di Dio per la Chiesa e il mondo intero?" (cf. Pontificale Romano, rito dell'ordinazione dei diaconi).

In tal modo. nello stesso rito dell'ordinazione diaconale, il ministro sacro chiede e riceve dalla chiesa il mandato della recita della Liturgia delle ore, mandato che appartiene, pertanto, all'ambito delle responsabilità ministeriali dell'ordinato, e supera abbondantemente quello della sua pietà personale. I sacri ministri, in unione con il vescovo, si incontrano nel ministero di intercessione per il popolo di Dio a loro affidato, come è stato per Mosé (Es 17,8-16). per gli apostoli (I Tm 2,1-6) e per lo stesso Gesù Cristo, "che siede alla destra del Padre e mercede per noi" (Rrn 8,34).

Ugualmente, nella Institutio generalis de Liturgia Horarum n. 108 si dice: "Chi recita i salmi nella liturgia delle ore, li recita non tanto a nome proprio quanto a nome di tutto il corpo di Cristo, anzi nella persona di Cristo stesso". [SM=g1740733]

Al n. 29 della stessa Institutio generalis de Liturgia Horarum si dice: "I vescovi, i sacerdoti e gli altri ministri sacri, che hanno ricevuto dalla chiesa il mandato di celebrare la Liturgia delle ore, recitino ogni giorno tutte le ore, rispettando, per quanto è possibile, il loro vero tempo".
Il Codice di diritto canonico, poi, al can. 276 § 2 n. 3. stabilisce questo: "I sacerdoti e i diaconi aspiranti al presbiterato sono obbligati a recitare ogni giorno la liturgia delle ore [SM=g1740733] secondo i libri liturgici approvati: i diaconi permanenti nella misura definita dalla conferenza episcopale".

Premesso tutto ciò, è possibile rispondere alle domande presentate nel seguente modo:

1. Qual è l'intenzione della Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti rispetto all'estensione dell'obbligo di celebrare o recitare quotidianamente la liturgia delle ore?

R. Coloro che sono stati ordinati sono moralmente obbligati. in virtù della medesima ordinazione ricevuta, alla celebrazione o recita integrale e quotidiana dell'ufficio divino nel modo stesso in cui è canonicamente stabilito nel canone 276 § 2 n. 3 del CIC, sopra citato. Tale recita non detiene pertanto l'indole di una devozione privata, o di un pio esercizio attuato per volontà propria del chierico, ma di un atto proprio del sacro ministero e ufficio pastorale.

2. Alla recita integrale del divino ufficio è applicato l'obbligo sub gravi?

R. Va tenuto presente che:
a) un motivo grave, di salute o di servizio pastorale del ministero, o l'esercizio della carità, o di stanchezza, non di semplice scomodo, può scusare la recita parziale e anche totale dell'Ufficio divino, secondo il principio generale che stabilisce che una legge meramente ecclesiastica non obbliga gravemente:
b) l'omissione totale o parziale dell'ufficio per sola pigrizia o per compiere attività varie non necessarie, non è lecita, ma anzi costituisce un disprezzo, secondo la gravità della materia, dell'ufficio ministeriale e della legge positiva della chiesa.
c) per omettere l'ufficio delle lodi e dei vespri è richiesta una causa ancora più grave, dal momento che tali ore sono "il duplice cardine dell'ufficio quotidiano" (Sacrosanctum concilium, n. 89):
d) se un sacerdote deve celebrare varie volte la santa messa nello stesso giorno o ascoltare confessioni per varie ore o predicare varie volte nel medesimo giorno, e ciò gli procura fatica, può considerare, con tranquillità di coscienza, di avere una legittima scusa per omettere proporzionalmente qualche parte dell'Ufficio:
e)  l'Ordinario proprio del sacerdote o diacono può, per causa giusta o grave, a seconda del caso. dispensarlo totalmente o parzialmente dalla recita dell'Ufficio divino, o commutarlo con un altro atto di pietà (come. ad esempio, il santo rosario, la via crucis, una lettura biblica o spirituale, un tempo di preghiera mentale ragionevolmente prolungato, ecc.).

3. Qual è l'incidenza del criterio della "veritas temporis" su questo problema?

R.:  La risposta va data distinguendo i diversi casi:

a) L'Ufficio delle letture non comporta un tempo strettamente stabilito, e si può recitare in qualsiasi ora del giorno, e può essere omesso se sussiste una delle cause segnalate nella risposta indicata sotto il precedente n. 2. Di solito, l'Ufficio delle letture può essere celebrato a partire dalle ore del tardo pomeriggio o notturne del giorno precedente, dopo aver recitato i vespri (cf. IGLH 59).
b) Lo stesso vale per l' "ora media", la quale non prevede nessun tempo determinato di celebrazione. Per la sua recita va osservato un tempo intermedio tra la mattina e il pomeriggio. Fuori del coro, fra le tre ore terza, sesta e nona, "si può scegliere quella che più si adatta al momento della giornata, in modo che sia conservata la tradizione di pregare nel corso della giornata, nel mezzo del lavoro" (cf. IGLH 77).
c) Di per sé le Lodi vanno recitate nelle ore mattutine e i Vespri nel tardo pomeriggio, come indicano i nomi di queste parti dell'Ufficio. Se uno non può recitare le Lodi di mattina, ha l'obbligo di farlo al più presto. Ugualmente, se non si può recitare i Vespri nelle ore pomeridiane, si devono recitare appena possibile. In altri termini, l'ostacolo che impedisce di osservare la "verità delle ore" non rappresenta di per sé una causa che scusi dalla recita delle Lodi o dei Vespri, in quanto si tratta di "ore principali" (Sacrosanctum concilium, n. 89). che " meritano grandissima considerazione" (IGLH 40).

Chi recita con gioia la liturgia delle ore e si adopera a celebrare con impegno le lodi del Creatore dell'universo, può recuperare almeno la salmodia dell'ora che è stata omessa dopo l'inno dell'ora corrispondente e concludere con una sola lettura breve e l'orazione.
Queste risposte sono pubblicate con il beneplacito della Congregazione per il clero.

Città del Vaticano, 15 novembre 2000.
Jorge A. Card. MEDINA ESTEVEZ, prefetto
* Francesco Pio TAMBURRINO, arcivescovo segretario

[SM=g1740771]

CONGREGAZIONE PER IL CULTO DIVINO E LA DISCIPLINA DEI SACRAMENTI. Risposta a dubbi Is it the case circa talune norme della Institutio generalis Missalis Romani, Prot. N. 2372/00/L, 7 novembre 2000. Communicationes 32(2000), 173-174.
 
[SM=g1740733] 1. Nel caso in cui la Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti, al n. 43 della Institutio generalis Missalis Romani, intende proibire ai fedeli di inginocchiarsi durante qualunque parte della messa eccetto durante la consacrazione, ciò significa che proibisce ai fedeli di inginocchiarsi dopo l'Agnus Dei e dopo aver ricevuto la santa comunione?

R.: No.


2. La Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti nella Institutio generalis Missalis Romani, ai nn.160-162, 244, o altrove, intende che la gente non può più genuflettere o inchinarsi come segno di riverenza verso il santissimo sacramento subito prima di ricevere la santa comunione?

R.: No. [SM=g1740722]


3. La  Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti nella Institutio generalis Missalis Romani ai nn. 314-315, o altrove, intende affermare che una cappella separata per la riserva del santissimo sacramento all'interno delle chiese parrocchiali è preferibile a una collocazione prominente e centrale nella chiesa, quindi visibile dai fedeli durante la celebrazione della messa?

Risp.: No, e ad mentem. [SM=g1740733]


Mens: All'interno delle norme specificate dal diritto, spetta al vescovo diocesano, nel suo ruolo di moderatore della sacra liturgia nella Chiesa particolare a lui affidata, dare un giudizio riguardo al posto più appropriato per la riserva del santissimo sacramento, avendo anzitutto presente la finalità di incoraggiare e favorire i fedeli a visitare e adorare il santissimo sacramento.

Città del Vaticano, 7 Novembre 2000.
Jorge A. card. MEDINA ESTÉVEZ, presidente
+ Francesco Pio TAMBURRINO, arcivescovo segretario


[SM=g1740771]

CONGREGAZIONE PER IL CULTO DIVINO E LA DISCIPLINA DEI SACRAMENTI. Risposta a un dubbio Utrum in institutis circa l'obbligo di indossare il camice nella concelebrazione della messa, Notitiae 36(2000), 320, del 30 agosto 2000.
 
Negli istituti presso i quali c'è l'usanza di indossare l'abito corale possono i presbiteri concelebrare la messa indossando solo la stola, senza il camice?

R. No. [SM=g1740733]


Infatti permangono pienamente in vigore le norme contenute in Principi e norme per l'uso del Messale romano (2000). che riguardano l'abito per la concelebrazione, cioè per il sasacerdote celebrante le vesti sacre sono: il camice, la stola e la casula o pianeta, per gli altri concelebranti almeno l'alba e la stola (Cf. n. 81). Perciò il camice dev'essere sempre indossato sia dai sacerdoti religiosi che hanno l'abito corale, anche se di colore bianco, sia da coloro che non lo portano, secondo il n. 336 della citata Istruzione (2000): "La veste sacra comune a tutti i ministri ordinati e istituiti di qualsiasi grado è il camice stretto ai fianchi dal cingolo, a meno che non sia fatto in modo da aderire al corpo anche senza cingolo. Se il camice non copre pienamente, intorno al collo, l'abito comune, prima di indossarlo si deve mettere l'amitto".

Tali norme sono soggette alla vigilanza della competente autorità ecclesiastica, e tuttavia in modo speciale del vescovo: infatti i religiosi "sono soggetti alla potestà dei vescovi, ai quali devono rispetto devoto e riverenza, in ciò che riguarda la cura delle anime, l'esercizio pubblico del culto divino e le altre opere di apostolato" (can. 678 § 1).


[SM=g1740771]

Infine: è vietato dire il Rosario durante l'Adorazione Eucaristica nella Sua esposizione?
R. No!


"Quando si recita il Santo Rosario con il senso cristologico che gli è proprio, recitandolo in un clima meditativo-adorante, e quando la recita del medesimo aiuta ad ottenere una maggiore stima del mistero eucaristico, sarebbe inaccettabile proibirlo. Nella fede cattolica il mistero dell'incarnazione presenta inseparabile l'amore a Cristo e l'amore che nutriamo verso la sua Santissima Madre


La recita del rosario davanti al Santissimo esposto
 
(15 gennaio 1997)
 
Eccellenza reverendissima,

Questo dicastero ha ricevuto la sua lettera nella quale lei pone tre domande riguardanti la recita del rosario mariano davanti al Santissimo esposto alla pubblica venerazione.
 
Per rispondere a ciascuna delle sue tre domande è necessario tener presente i principi della costituzione conciliare Sacrosanctum concilium e la documentazione postconciliare che parla della finalità e spirito dell'esposizione del Santissimo e del rosario.
 
Le risposte devono essere oggetto di riflessione da parte dei gruppi che si riuniscono per l'orazione, poiché il contesto cambia sensibilmente se si tratta di un gruppo di seminaristi, di religiose, di giovani o di fedeli di una parrocchia.
 
Nella Nota aggiunta troverà i necessari riferimenti alla documentazione con alcune riflessioni che possono essere utili per capire meglio le risposte che qui si danno in forma breve:
 
1. Quando si recita il santo rosario con il senso cristologico che gli è proprio, recitandolo in un clima meditativo-adorante, e quando la recita del medesimo aiuta ad ottenere una maggiore stima del mistero eucaristico, sarebbe inaccettabile proibirlo. Nella fede cattolica il mistero dell'incarnazione presenta inseparabile l'amore a Cristo e l'amore che nutriamo verso la sua santissima madre.
 
2. La catechesi che si deve dare ai fedeli deve andare unita alla prassi, poiché non si tratta di eliminare una usanza ma di darle il suo significato profondo. Perciò è bene cercare di introdurre gradualmente e con sensibilità pastorale ciò che può servire affinché i fedeli giungano ad una maggiore conoscenza sia del significato dell'esposizione del Santissimo sia del santo rosario.
 
3. Si deve incentivare tutto quello che aiuta il rinnovamento della vita liturgica e il significato pieno degli esercizi di pietà, fra i quali il santo rosario merita un'attenzione speciale.
 
È necessario che i sacerdoti in questa materia procedano con grande tatto e rispettando accuratamente la fede dei cristiani semplici e non tanto formati, evitando atteggiamenti che essi non comprenderebbero e che potrebbero considerare come disprezzo della loro fede o offesa dei loro diritti.
 
Approfitto dell'occasione per porgere a sua eccellenza i miei rispettosi saluti e reiterarle la mia stima e considerazione.
 
Dev.mo nel Signore
Jorge MEDINA ESTÉVEZ, arcivescovo pro-prefetto
Gerardo M. AGNELO, arcivescovo segretario

Allegato al Prot. 2287/96/L
 
Nota relativa alla recita del rosario davanti al Santissimo esposto

I. Principi
 
1. La costituzione conciliare Sacrosanctum concilium, n.13, dice: "I pii esercizi del popolo cristiano, purché siano conformi alle leggi e alle norme della chiesa, sono vivamente raccomandati, soprattutto quando si compiono per mandato della sede apostolica.... Bisogna però che tali esercizi siano regolati tenendo conto dei tempi liturgici, in modo da essere in armonia con la sacra liturgia, da essa in qualche modo traggano ispirazione e ad essa, data la sua natura di gran lunga superiore, conducano il popolo cristiano". Il Catechismo della chiesa cattolica fa riferimento alla citazione della Sacrosanctum concilium: "Queste espressioni sono un prolungamento della vita liturgica della chiesa, ma non la sostituiscono".
 
- L'esposizione eucaristica è una celebrazione che ha riferimento con la liturgia, come si deduce dalla Istruzione Eucharistìcum mysterium, n. 62, dal Rituale romano Rito della comunione fuori della messa e culto eucaristico e dal Cerimoniale dei vescovi che ne tratta al cap. XXII.
 
[SM=g1740733] - Il santo rosario è senza alcun dubbio uno degli esercizi di pietà più raccomandati dall'autorità ecclesiastica; cf. anche le indicazioni che da il Catechismo della chiesa cattolica: nn. 971, 1674, 2678, 2708.
 
- Il sentire cattolico non separa mai il Cristo da sua madre né viceversa.
 
2. La lettera apostolica Vicesimus quintus annus, al n. 18 dice: "Infine, per salvaguardare la riforma e assicurare l'incremento della liturgia, occorre tener conto della pietà popolare cristiana e del suo rapporto con la vita liturgica. Questa pietà popolare non può essere né ignorata, né trattata con indifferenza o disprezzo, perché è ricca di valori, e già di per sé esprime l'atteggiamento religioso di fronte a Dio. Ma essa ha bisogno di essere di continuo evangelizzata, affinché la fede, che esprime, divenga un atto sempre più maturo e autentico. Tanto i pii esercizi del popolo cristiano, quanto altre forme di devozione, sono accolti e raccomandati purché non sostituiscano e non si mescolino alle celebrazioni liturgiche. Un'autentica pastorale liturgica saprà appoggiarsi sulle ricchezze della pietà popolare, purificarle e orientarle verso la liturgia come offerta dei popoli".
 

II. Relazione tra esposizione eucaristica e santo rosario
 
Tre sono i documenti più importanti, dai quali cito un numero di ciascuno di essi, e cioè:
 
1. "Durante l'esposizione si disponga tutto perché i fedeli, intenti alla preghiera, si dedichino a Cristo, il Signore" Istruzione Eucharisticum mysterium, n. 62).
 
2. "Per alimentare l'orazione inferiore, si può ricorrere a letture della sacra Scrittura con omelia o brevi esortazioni che guidino ad una maggiore stima del mistero eucaristico"

(Rito della comunione fuori della messa e culto eucaristico, n. 95).
 
3. L'esortazione apostolica Marialis cultus fa presente che il santo rosario: "come preghiera evangelica, incentrata nel mistero dell'incarnazione redentrice è preghiera di orientamento nettamente cristologico" (n. 46).
 

III. Qui sembra opportuno annotare:
 
Dal concilio Vaticano II ad oggi si è osservato quanto segue:
 
* Nei primi due decenni, più o meno, è sorta all'interno della chiesa cattolica una tendenza a eliminare tra il popolo cristiano l'adorazione davanti al Santissimo esposto.
 
* Negli ultimi anni si torna a valorizzare la preghiera davanti al Santissimo esposto. In questo caso si osservano due fenomeni, e cioè: Si adora il Santissimo con il medesimo stile, mentalità e preghiere come prima del concilio o si celebra tenendo presenti gli orientamenti dei documenti della chiesa.
 
Dal punto di vista pastorale è il momento importante affinché la preghiera di adorazione davanti al Santissimo si svolga secondo lo spirito dei documenti della chiesa. Non si può perdere questa occasione di riorientare questa pratica popolare.
 
 - Si deve incoraggiare la recita del rosario nella sua forma autentica, cioè secondo il suo carattere cristologico. Invece la forma tradizionale di recitare il rosario sembrerebbe ridursi alla recita del Padre nostro e dell'Ave Maria. Ultimamente in alcuni luoghi, accompagnano l'enunciazione del mistero con la lettura di un breve testo biblico, con lo scopo di aiutare la meditazione, e questo è molto positivo. Il Catechismo della chiesa cattolica (cf. n. 2708) precisa che la preghiera cristiana deve tendere più lontano: deve condurre alla conoscenza d'amore del Signore Gesù, all'unione con lui incontrando nella pietà liturgica verso l'eucaristia un grande stimolo e appoggio.
 
 - Non si deve esporre l'eucaristia solo per recitare il rosario, ma fra le preghiere che si compiono si può includere certamente la recita del santo rosario mettendo in evidenza gli aspetti cristologici con letture bibliche relative ai misteri, e dando spazio alla meditazione silenziosa e adorante dei medesimi.
 
 - "Durante l'esposizione, le preghiere, i canti e le letture devono essere organizzate in modo che i fedeli in preghiera si orientino a Cristo, il Signore. Per favorire la preghiera interiore, sono ammesse letture della sacra Scrittura, omelia o brevi esortazioni che conducano a una migliore comprensione del mistero eucaristico" (Rito della comunione fuori della messa e culto eucaristico, n. 95).
 
In questo campo della pietà popolare tuttavia conta molto far sì che i pii esercizi possano condurre alla vita liturgica e viceversa, ed educare il popolo cristiano a penetrare nel significato di questo pio esercizio per coglierne l'autentica ricchezza.


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Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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"Mons. Karl Braun, vescovo di Eichstatt, ha svolto una serie di considerazioni sulla situazione in cui versa la pratica liturgica nel venticinquesimo anniversario della Sacrosanctum Concilium
[Tratto da: http://www.alleanzacattolica.org/indici/mag_episcopale/braunk171_172.htm ]

Nel 1988 è caduto il venticinquesimo anniversario della Costituzione sulla Sacra Liturgia Sacrosanctum Concilium, il primo documento pubblicato, appunto nel 1963, dai Padri del Concilio Ecumenico Vaticano II.
Nella ricorrenza S.E. mons. Karl Braun, vescovo di Eichstätt, nella Repubblica Federale di Germania, ha svolto una serie di considerazioni sulla situazione in cui versa la pratica liturgica nella sua diocesi, ma, con ogni evidenza, la loro portata e il loro interesse si estendono oltre i confini della sede episcopale fondata da san Willibald, monaco anglosassone, compagno di san Bonifacio, morto nel 787.
La traduzione del documento - condotta sul pieghevole originale in tedesco - è redazionale, così pure il titolo.

Cristianità, 171-172 (1989)

 

Su alcune questioni d'importanza attuale in campo liturgico

 

Eichstätt, 4 dicembre 1988

Ai Sacerdoti e ai Diaconi della diocesi di Eichstätt
in occasione del 25º anniversario della pubblicazione
della Costituzione sulla liturgia

Cari Confratelli!

Venticinque anni fa, il 4 dicembre 1963, come primo frutto del Concilio Vaticano II venne pubblicata la Costituzione sulla Sacra Liturgia Sacrosanctum Concilium (SC). Essa costituisce il fondamento di tutti i passi postconciliari nell'ambito della vita liturgica della Chiesa. Traggo spunto dal 25º anniversario di questa Costituzione per richiamare l'attenzione su alcune questioni che mi sembrano importanti nella prospettiva attuale.

 

1. Con la citata Costituzione i Padri conciliari hanno proseguito su vasta scala la riforma liturgica che Papa Pio XII aveva già iniziato al tempo della seconda guerra mondiale. Con questa decisione essi si proponevano di "far crescere ogni giorno più la vita cristiana tra i fedeli" (SC 1; cfr. SC 21).

 

2. I Padri conciliari erano consapevoli che sarebbe stato possibile realizzare le aspirazioni della Costituzione sulla liturgia soltanto quando "gli stessi pastori d'anime [...] sono penetrati per primi dello spirito e della forza della liturgia, e [...] ne diventano maestri" (SC 14). La celebrazione liturgica ha certamente presupposti e conseguenze. La "vita spirituale" non si esaurisce solo in essa (cfr. SC 12). Comunque la liturgia "è la prima e per di più necessaria sorgente dalla quale i fedeli possano attingere uno spirito veramente cristiano" (SC 14). Per questa ragione noi pastori d'anime dobbiamo curare "con zelo e pazienza la formazione liturgica, come pure la partecipazione attiva dei fedeli, interna ed esterna ..."; in tal modo assolviamo "uno dei principali doveri del fedele dispensatore dei misteri di Dio" (SC 19 [1]).

Oltre a tutti gli sforzi per un buon svolgimento esteriore dell'azione liturgica, oggi ci deve stare particolarmente a cuore che i fedeli giungano a una profonda partecipazione interiore all'atto liturgico. Un incremento delle attività esterne in occasione dell'azione liturgica non può andare a discapito dell'interiorità. Relativamente alla partecipazione interiore alla santa Eucarestia, la Costituzione desidera che "i fedeli non assistano come estranei o muti spettatori a questo mistero di fede, ma, comprendendolo bene per mezzo dei riti e delle preghiere, partecipino all'azione sacra consapevolmente, piamente e attivamente; siano istruiti nella parola di Dio; si nutrano alla mensa del corpo del Signore; rendano grazie a Dio; offrendo l'ostia immacolata, non soltanto per le mani del sacerdote, ma insieme con lui, imparino ad offrire se stessi, e di giorno in giorno, per mezzo di Cristo mediatore siano perfezionati nell'unità con Dio e tra di loro, di modo che Dio sia finalmente tutto in tutti" (SC 48). È quindi decisivo che i cuori si uniscano a Cristo e che insieme con lui si offrano al Padre. Ogni azione liturgica che non si ponga questo fine, per quanto apparentemente "riuscita" e "rispondente", misconosce la natura della liturgia.

Quindi i pastori d'anime "devono vigilare affinché nell'azione liturgica non solo siano osservate le leggi per la valida e lecita celebrazione, ma che i fedeli vi prendano parte consapevolmente, attivamente e fruttuosamente"(SC 11).

Riferendosi alla Costituzione sulla liturgia il Sinodo Romano dei Vescovi, del 1985, sottolinea quindi a ragione che "l'attiva partecipazione [...] non consiste solamente nell'attività esteriore, ma soprattutto nella partecipazione interiore e spirituale, nella partecipazione viva e fruttuosa al mistero pasquale di Gesù Cristo ( cfr. SC 11)"(Relazione finale II. B. b. 1).

Di fronte a una crescente superficialità in tutti i settori della vita l'approfondimento della spiritualità dell'azione liturgica in noi stessi e nei fedeli affidati alle nostre cure deve costituire una preoccupazione urgente.

 

3. La liturgia è una celebrazione dell'incontro con il Dio vivente in parole e in immagini, in simboli e in gesti. Per questo tutto è ordinato in modo tale che la celebrazione stessa sia sorretta dalla nostra fede e dalla nostra carità, dallo spirito di timor di Dio e della sua adorazione e glorificazione. Di fronte alla sempre minore riverenza nell'azione liturgica è molto importante che non ci limitiamo a parlare di timor di Dio, ma che lo manifestiamo anche nel nostro servizio. Promuoveremo il senso del sacro soprattutto comprendendo più profondamente i segni liturgici e compiendoli coscientemente, con fede e con timor di Dio (cfr. Sinodo dei Vescovi, del 1985, Relazione finale II.B.b.1).

Venticinque anni dopo la pubblicazione della Costituzione sulla liturgia ci dobbiamo chiedere se in ogni sforzo di rinnovamento liturgico teniamo anche in considerazione un presupposto essenziale per una partecipazione fruttuosa all'azione liturgica, cioè il timor di Dio. Senza timor di Dio non siamo "sensibili alla liturgia".

Per questo le disposizioni esecutive della Costituzione sulla liturgia, così come le altre direttive liturgiche postconciliari per l'azione liturgica, ricordano ogni volta di nuovo il timor di Dio in campo liturgico, incominciando dalla messa in guardia dagli abusi, che misconoscono il carattere dell'azione liturgica, fino all'esortazione a un comportamento conveniente nella casa del Signore e a ricevere in modo riverente la santa Comunione. Il profondo timor di Dio nelle azioni liturgiche della Chiesa Orientale deve far riflettere noi cristiani in Occidente. Sarebbe grave se fra noi la sensibilità per il sacro si perdesse e l'irriverenza ci portasse a una velata irreligiosità.

Non è un indizio preoccupante della diminuzione di timor di Dio e di senso del sacro se l'altare consacrato viene utilizzato come "tavolo ripostiglio" per oggetti estranei alla liturgia, se l'altare principale e l'ambone sono quanto vi è in chiesa di più scadente per qualità e per forma, se i fedeli, entrando o uscendo da una chiesa, non si inginocchiano o fanno al massimo un cenno di genuflessione, se lo stare in ginocchio in chiesa viene sostituito sempre più dallo stare seduti, se anche durante la liturgia il gesto così ricco di simbolismo delle mani giunte sembra passare sempre più di "moda", se il segno della croce viene fatto automaticamente e senza riflettere, se il canto dei fedeli e la preghiera comune vengono eseguiti in modo "sciatto", se il silenzio della casa del Signore viene disturbato da discorsi inutili e da chiacchiere?

Non dobbiamo cercare di rendere di nuovo accessibile ai fedeli il senso di riverenza nello spazio e nell'azione liturgici, come hanno fatto per esempio Romano Guardini nel suo scritto Von heiligen Zeichen [2] e ultimamente il vescovo mons. Egon Kapellari nel suo volumetto Heilige Zeichen, "Santi segni" (Verlag Styria, Graz-Vienna-Colonia 1988)?

Le manifestazioni di mancanza di timor di Dio sembrano più preoccupanti quando si tratta di ricevere la santa Comunione.

Non si ha qua e là l'impressione che la Comunione venga fatta automaticamente, in un atteggiamento esterno disinvolto e senza la dovuta manifestazione di timor di Dio? Che pensare di una "ressa" per la Comunione domenicale, se d'altra parte si deve constatare quanto è esiguo il numero di coloro che ricevono il sacramento della Penitenza? Non incombe in proposito il pericolo che la Comunione si trasformi in una semplice agape? Possiamo accettare senza difficoltà che nelle Messe in occasione di matrimoni, anniversari, funerali, e così via, ci si comunichi "collettivamente"? Certamente i fedeli sono invitati a partecipare alla celebrazione di tutta la liturgia della Messa e quindi anche a ricevere la Comunione. Come pastori d'anime, però, non dobbiamo spiegare a tutti, ancor più che in passato, che prima di accostarsi all'Eucarestia bisogna sottoporsi a un esame serio? Altrimenti non ci staremmo avviando, con l'automatismo nel ricevere la Comunione, verso una svalutazione dell'Eucarestia e a mangiare e a bere la nostra condanna (cfr. 1 Cor. 11, 28 ss.)?

A questo proposito si deve tener conto che "per Cristo la sua obbedienza fino alla morte è la condizione per potersi donare a noi come cibo e come bevanda di vita eterna; così questo sacramento pretende che anche noi, in una sincera donazione, ci uniamo a Cristo senza riserve. D'altra parte non sarebbe neppure corretto considerare senza senso la partecipazione alla Messa senza comunicarsi, perché anche senza la Comunione la partecipazione alla santa Messa è una partecipazione sacramentale al sacrificio divino. Comunque si devono incoraggiare a partecipare alla Messa anche tutti coloro che, per qualche motivo, non possono partecipare pienamente all'Eucarestia ricevendo la santa Comunione. In nessun caso la libera decisione del singolo deve essere messa in discussione o annullata, anche se rito e testo della santa Messa prevedono che i partecipanti al rito si comunichino" (Lettera dei Vescovi Tedeschi a tutti coloro che sono incaricati dalla Chiesa di annunciare la fede, del 22 settembre 1967, n. 51).

 

4. Ne "la liturgia infatti, [...] massimamente nel divino sacrificio dell'Eucarestia, "si attua l'opera della nostra redenzione"" (SC 2). Essa è soprattutto e innanzitutto azione divina in parole e in segni, in forme d'espressione umane. Essa avanza nei confronti dei fedeli elevate esigenze a cui non è lecito sottrarsi sostituendo il divino con l'umano. Il mistero dell'altare è "mistero della fede". Noi sacerdoti ci occupiamo del sacro tutti i giorni. Così si corre il pericolo dell'abitudine e della routine, se non continuiamo a preoccuparci di compiere coscientemente la celebrazione della fede.

Oggi molti si lamentano che il mistero dell'azione liturgica stia svanendo o sia almeno minacciato. La dimensione del sacro, la profondità di forme simboliche durevoli, l'efficacia del rituale e del sacramentale, la potenza, contraria a ogni banalità, di un memoriale fondato divinamente, spesso non verrebbero più capiti o addirittura rifiutati. Un umanesimo desacralizzante impronterebbe in molti luoghi lo stile delle azioni liturgiche. La santa Messa e l'amministrazione dei sacramenti sarebbero trasformati in campo di prova per esperimenti liturgici "moderni", con il pretesto della "creatività" e della "spontaneità" si insinuerebbe l'arbitrio. Sarebbe necessaria una nuova disciplina arcani per un'azione liturgica di cui non si abusi per esibizioni personali o per la rappresentazione di banalità di tutti i giorni, ma conduca di nuovo nella profondità del mistero, se le nostre azioni liturgiche non devono finire nella dimensione orizzontale e mondana.

Dobbiamo infatti prendere sul serio queste affermazioni, soprattutto in quanto - come ha constatato anche il Sinodo dei Vescovi del 1985 - "oggi [...] ci sono segni di una nuova fame e sete per la trascendenza e il divino" e "la diffusione delle sette" ci pone il quesito "se qualche volta non abbiamo manifestato sufficientemente il senso del sacro" (Relazione finale II.A.1).

La natura stessa della liturgia, ma anche il fatto - e il bisogno che vi sta alla base! - che compaiono in misura crescente "segni di un ritorno al sacro", esigono da noi che, "per favorire questo ritorno al sacro e per superare il secolarismo, dobbiamo aprire la via alla dimensione del "divino" o del mistero" (ibidem). In proposito non si pone l'alternativa "culto misterico o assemblea della comunità". La liturgia della Chiesa è tutte e due: azione della comunità e attualizzazione dell'azione salvifica di Cristo. Noi dobbiamo piuttosto combattere una distorsione, che consiste nel vedere esclusivamente il carattere di assemblea comunitaria o di considerarlo a tal punto dominante che il valore del mistero nell'azione liturgica ne risulta pregiudicato. L'accentuazione del carattere comunitario della celebrazione della Messa non può prevalere sul carattere dell'Eucarestia come azione sacrificale divina rivolta a Dio. "Un primo stimolo" da parte della liturgia ortodossa - ha notato recentemente l'esperto protestante di Chiese Orientali K.-Ch. Felmy - "può essere quello di mettere di nuovo in maggior rilievo la dimensione del mysterium tremendum nella celebrazione dell'azione liturgica. La liturgia non è mai una manifestazione solamente umana, ma irruzione di Dio nella nostra realtà e partecipazione d'onore dell'uomo al servizio divino celeste, celebrato già prima di noi e anche senza di noi. Ogni azione liturgica ha perciò qualcosa di sacro in sé" (KNA-Ökumen. Information, n. 50, 1988, p. 12).

Sacerdoti e diaconi non si possono accontentare del ruolo - inteso più o meno come funzione sociologica - di un "presidente" dell'assemblea liturgica: anzitutto devono essere autentici mistagoghi, che guidano i fedeli al mistero, all'incontro sacramentale e ricco di grazie con Dio.

 

5. In noi sacerdoti e diaconi vengono riposte molte attese, che spesso non sono originate dalla totalità della fede, ma riguardano soltanto certi aspetti particolari. Una simile limitatezza è pericolosa. Essa compromette tanto la natura della liturgia quale celebrazione della fede della Chiesa come anche la sua ripetibilità. Mi sembra che noi oggi ci dobbiamo occupare più che mai dei fondamenti teologici della liturgia, per non soggiacere nella pratica pastorale a criteri che sono estranei alla sua natura.

Una delle principali preoccupazioni di noi pastori d'anime deve essere quella di guidare i fedeli a capire e ad adempiere sempre meglio il loro compito di popolo di Dio, santo e sacerdotale (cfr. 1 Pt. 2, 9) soprattutto nella vita liturgica. Perciò è necessaria una continua formazione teologica, liturgico-pastorale e ascetica. Dobbiamo essere aperti alle conoscenze liturgico-teologiche e alle sollecitazioni liturgico-pastorali. In proposito dobbiamo però tenere presente che, da parte nostra, non siamo autorizzati a modificare a nostro piacimento le forme liturgiche vigenti o a introdurne di nuove. Il potere di regolare la liturgia compete unicamente alla Sede Apostolica e, a norma del diritto, al vescovo (cfr. SC 22). Ogni azione liturgica supera la dimensione della comunità, mette in rapporto con tutta la Chiesa e rappresenta l'unità della Chiesa stessa.

Questo diventa chiaro non da ultimo nella celebrazione dell'azione liturgica in latino. La riforma liturgica ha consentito di celebrare la santa Messa e di amministrare i sacramenti nella lingua nazionale. Questo è molto importante dal punto di vista pastorale. Ma la lingua nazionale, nella quale viene normalmente celebrata la liturgia, non deve assolutamente sostituire del tutto la lingua latina nell'azione liturgica. La Costituzione sulla liturgia sottolinea:"Si abbia cura però che i fedeli possano recitare e cantare insieme, anche in lingua latina, le parti dell'ordinario della Messa che spettano ad essi" (SC 54).  

Gli ultimi Pontefici hanno ripetutamente espresso il desiderio che i fedeli di tutti i paesi sappiano cantare almeno alcuni canti in latino, per esempio il Gloria, il Credo, il Sanctus, il Pater Noster e l'Agnus Dei in gregoriano. Assecondiamo per quanto possibile questo desiderio e quando promuoviamo il canto comune inseriamo anche il canto gregoriano in latino. Un "repertorio di base" di canti gregoriani deve collegare spiritualmente i fedeli con una tradizione plurimillenaria e rafforzare la coscienza dell'unità delle molte Chiese locali.

Le celebrazioni liturgiche "appartengono all'intero corpo della Chiesa, lo manifestano e lo implicano" (SC 26). Questo punto di vista ecclesiale dell'azione liturgica della Chiesa merita la massima attenzione. Indipendentemente dal luogo e dall'occasione in cui celebriamo la liturgia, dobbiamo celebrare la liturgia della Chiesa e non una qualsiasi, creata da una singola comunità, da una commissione liturgica o da un singolo sacerdote in contrapposizione all'ordinamento liturgico della Chiesa. I fedeli hanno un diritto inalienabile alla partecipazione alla liturgia della Chiesa universale. A ragione essi oppongono resistenza ad azioni liturgiche che sono impregnate di elementi soggettivi e di preferenze personali, quando non ne sono completamente costituite. Essi sono particolarmente indignati se durante l'azione liturgica non vengono utilizzati i testi della Sacra Scrittura approvati dalla Chiesa, ma interpretazioni e parafrasi, che non sono più la Parola autentica di Dio.

La riforma liturgica ha considerevolmente ampliato le possibilità di modificare liberamente (cfr. Introduzione Generale al Messale romano [IGM], Norme per la celebrazione della Messa comunitaria, Direttive per la celebrazione della Messa in piccole comunità, e così via). Questa libertà consente ampiamente di adattarsi alla situazione particolare. La liturgia ha però bisogno non solo di libertà d'azione ma anche di sostegno stabile. Proprio l'uomo moderno, che vive in un mondo in continuo mutamento, deve sentire la liturgia come patria, immune da un cambiamento permanente e in cui può anche ritrovare pace interiore e sicurezza. La costanza dei riti e delle preghiere vi contribuisce in modo determinante.

Molte pubblicazioni liturgiche e proposte di testi in circolazione tradiscono un'ignoranza vergognosa in materia liturgica.

Questo riguarda non da ultimo anche le formule delle preghiere dei fedeli nella celebrazione della Messa. Le invocazioni di intercessione sono non di rado ammaestramenti catechizzanti e moraleggianti, presentano una "sottolineatura etica" e sono appelli rivolti agli altri invece di essere veramente oratio fidelium, preghiere di coloro che si sono riuniti nell'azione liturgica e che, solidali con il prossimo, invocano pieni di fiducia il Signore: per le necessità della Chiesa, per i governanti e per la salvezza di tutto il mondo, per quanti sono oppressi da difficoltà di vario genere, per la comunità locale (cfr. IGM 45 ss.).

Durante la celebrazione dell'Eucarestia il diacono o il sacerdote possono esortare a manifestare la disponibilità reciproca alla pace e alla riconciliazione. Questa dimostrazione così come viene pratica in più luoghi non corrisponde per modalità e per durata allo spirito di ciò che vuole significare. Perciò è necessario ricordare quanto segue: il saluto di pace del sacerdote prima della Comunione deve ricordarci di aprire il cuore alla pace e all'amore di Cristo e di prepararci così alla Comunione. L'ordinamento della Messa prevede che i fedeli - in certo qual modo come risposta di assenso - si possano assicurare e augurare reciprocamente questa pace, memori della parola di Cristo: "Amatevi gli uni gli altri, come io vi ho amati" (Gv. 15, 12).

È consuetudine che, per il saluto di pace, ognuno stringa la mano del vicino di destra e di sinistra, che rappresentano tutti gli altri fratelli e sorelle. Poiché non si tratta dell'unica professione in cui ci si riconosce in comunione con Dio e con gli altri, questo gesto non deve essere esteso più del dovuto. Non abbiamo già riconosciuto i nostri peccati e non abbiamo già chiesto perdono a Dio onnipotente, e a tutti i fratelli e sorelle all'inizio della celebrazione? Cantiamo e preghiamo insieme, e sappiamo che il pane che viene portato in offerta all'altare rappresenta in modo misterioso l'unione reciproca e, dopo la consacrazione, anche con Cristo. Non potremmo presentare le nostre offerte con cuore sincero se non fossimo disposti alla riconciliazione (cfr. Mt. 5, 23-24). Quindi il saluto di pace non è l'unico segno della nostra disponibilità a mettere in pratica la pace di Cristo. I sacerdoti che partecipano alla Messa come concelebranti e i diaconi in servizio si scambino il saluto di pace nella forma abituale dell'abbraccio reciproco, in questo modo manifestando la particolare comunione che Cristo ci ha donato con il sacramento dell'Ordine.

Ogni arbitrio nell'abbigliamento liturgico contrasta con la dignità della liturgia. Vi è un nesso stretto fra l'insofferenza verso i paramenti liturgici e l'individualismo liturgico. L'abbigliamento liturgico ha carattere simbolico, serve alla dignità dell'azione liturgica, sottolinea la distinzione fra sacro e profano e rende evidenti le differenti funzioni svolte dai ministri che partecipano alla liturgia. Il sacerdote o il diacono deve essere riconoscibile come rappresentante di Cristo e come presidente dell'azione liturgica e quindi non può fare a meno dei paramenti liturgici. Ogni volta che celebra l'azione liturgica o amministra i sacramenti indossa un abbigliamento religioso adeguato e i paramenti prescritti. Un motivo per questo richiamo è fornito non da ultimo dall'amministrazione del sacramento della Penitenza in chiesa.

Dovrebbe diventare di nuovo ovvio che diaconi e sacerdoti in azioni liturgiche comuni come in occasione di funerali, di ritiri per sacerdoti, nella Messa crismale della Settimana Santa, e così via, portino talare e cotta, se non concelebrano o se non sono in servizio come diaconi. La retta disposizione interiore, richiesta dal servizio a Cristo, si esprime anche nel comportamento esteriore e nell'abbigliamento. Io non credo che l'uomo moderno sia "insensibile ai simboli". Egli è senz'altro recettivo per il linguaggio dei segni in cui viene espresso visibilmente ciò che è invisibile. Spetta a noi rendergli accessibile il significato dei simboli in ambito liturgico.

I tentativi di rendere "più attraenti" le funzioni liturgiche per riscuotere il "successo" possono essere dettati da buone intenzioni ed esprimere autentica preoccupazione pastorale. Sarebbe però espressione di una "modernità pastorale" molto equivoca e di un'inutile preoccupazione per un'azione liturgica di "successo" presso gli uomini se ci si lasciasse guidare dall'"aggiornamento della liturgia" e se si utilizzassero per la celebrazione della Messa trovate più o meno ingegnose, testi di propria creazione, scambio di ruoli, dialoghi improvvisati, rituali di saluto profani, e così via, e il tutto riferito a situazioni particolari della comunità e a fatti d'attualità. Tali forme "moderne" possono sul momento piacere ai fedeli, ma con il tempo diventano esse stesse noiose, perdono la loro attrattiva e tradiscono la natura della santa Messa. Nell'azione liturgica non si tratta tanto della nostra azione quanto piuttosto dell'azione e dell'opera di Dio; si tratta di un atto di fede, che non può essere semplicemente "fatto", ma che deve essere sostenuto dalla grazia di Dio.

La grandezza della celebrazione eucaristica non dipende "da una forma per quanto possibile interessante, ma da quello che essa è: annuncio della Parola di Dio, preghiera della Chiesa, sacrificio di Cristo e convito con Cristo" (dalla Dichiarazione della Conferenza Episcopale Austriaca relativa alla visita "ad limina" del 1987, del 29 marzo 1988).

Più necessaria e più indispensabile dell'"aggiornamento" della celebrazione della Messa con l'introduzione di nuovi testi, forme e modelli è l'educazione liturgica dei fedeli, in modo che essi capiscano meglio natura, composizione ed elementi dell'azione liturgica e quindi vi possano partecipare più proficuamente. Il "successo" - come se si trattasse di uno spettacolo! - e l'"attrattiva" della liturgia, la sua forza e la sua efficacia non derivano da continui mutamenti e da novità superficiali, ma piuttosto da un'approfondita partecipazione all'avvenimento sacro della liturgia, in cui è presente e attivo il mistero di Cristo.

 

6. La celebrazione della liturgia è la fonte del nostro servizio sacerdotale. Essa ci rende coscienti affinché "quanto in essa è umano sia ordinato e subordinato al divino, il visibile all'invisibile, l'azione alla contemplazione, la realtà presente alla città futura verso la quale siamo incamminati" (SC 2). La nostra dedizione al servizio divino davanti a Dio diventa con il suo aiuto fruttuosa per gli uomini, anche se non ci è concesso di constatarlo subito e di vederlo sempre confermato.

Il modo in cui noi celebriamo la liturgia possa essere sempre espressione della nostra fede e della nostra convinzione che - com'è scritto nella Regola di san Benedetto - non si deve anteporre nulla all'"opera di Dio" (cfr. RB 43, 3). Cerchiamo di compiere il nostro servizio liturgico in unanime collaborazione e secondo le disposizioni ecclesiastiche, mettiamo da parte la nostra caparbietà, rinunciamo alle nostre inclinazioni personali per essere servitori della liturgia della Chiesa! In tal modo possiamo preparare quella primavera in cui hanno sperato i Padri conciliari pubblicando la Costituzione sulla liturgia, quel rinnovamento che non indulge a secolarizzazione e ad arbitrio, ma corrisponde alle vere esigenze del nostro tempo.

Cari Confratelli, sono fiducioso che queste parole scaturite dalla mia preoccupazione e dalla mia responsabilità trovino un ascolto pronto e un cuore ben disposto. Mi sento anche obbligato a manifestarvi apprezzamento e riconoscenza per il vostro impegno a celebrare l'azione liturgica secondo le indicazioni e i fini della Costituzione sulla liturgia e a edificazione della nostra comunità.

Se la liturgia è il culmine verso cui tende l'azione della Chiesa e, al tempo stesso, la fonte da cui promana tutta la sua energia (cfr. SC 10), allora bisogna anche dire che una tale "esperienza di vetta" e una tale "esperienza di fonte" sono possibili soltanto per quanti si danno la pena di scalare la vetta e di risalire alla fonte. Auguro a tutti noi di non intiepidirci in questa impresa, ma di procedere con letizia.

Vi saluta di cuore e vi benedice

il vostro vescovo

+Karl Braun
Vescovo di Eichstätt

***

(1) Le sottolineature nel testo della Costituzione conciliare sono state introdotte dall'autore (n.d.r.).

(2) Cfr. Romano Guardini, I santi segni, in Idem, Lo spirito della liturgia. I santi segni, trad. it., Morcelliana, Brescia 1987, pp. 121-203 (n.d.r.).

 


 

*************

Giovanni Paolo II dalla Lettera Dominae Cenae


Conducendo ormai a termine queste mie considerazioni, vorrei chiedere perdono - in nome mio e di tutti voi, venerati e cari fratelli nell'episcopato - per tutto ciò che per qualsiasi motivo, e per qualsiasi umana debolezza, impazienza, negligenza, in seguito anche all'applicazione talora parziale, unilaterale, erronea delle prescrizioni del Concilio Vaticano II, possa aver suscitato scandalo e disagio circa l'interpretazione della dottrina e la venerazione dovuta a questo grande sacramento. E prego il Signore Gesù perché nel futuro sia evitato, nel nostro modo di trattare questo sacro mistero, ciò che può affievolire o disorientare in qualsiasi maniera il senso di riverenza e di amore nei nostri fedeli.

Che Cristo stesso ci aiuti a proseguire per le vie del vero rinnovamento verso quella sapienza di vita e di culto eucaristico, per il cui mezzo si costruisce la Chiesa in quell'unità che essa già possiede e che desidera ancor più realizzare per la gloria del Dio vivente e per la salvezza di tutti gli uomini.




[Modificato da Caterina63 26/02/2012 20:19]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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Insegnamenti sulla liturgia del Santo Padre Benedetto XVI

 

         

  • Ai partecipanti al Convegno promosso dal Pontificio Ateneo Sant'Anselmo, nel 50° anniversario di fondazione (6 maggio 2011)
    [Francese, Inglese, Italiano, Portoghese, Spagnolo, Tedesco]

  • [SM=g1740733]

    e... ATTENZIONE A TUTTI I SACERDOTI:

    La correzione del paragrafo 7 dell’Institutio generalis Missalis Romani


    Da Una Voce Italia
    Per la prima volta – se non erriamo – nella storia della Chiesa, la Santa Sede ha corretto, a meno di un anno dalla sua apparizione, un documento pontificio ufficiale. Si tratta del sinistro paragrafo 7 della Instructio generalis che apre il nuovo messale di Paolo VI, pubblicato nell’aprile 1969. Questo paragrafo, nella edizione del marzo 1970, è radicalmente trasformato. Poiché esso contiene la definizione stessa della messa, non sarà difficile misurare l’importanza della trasformazione. Vittoria grandissima dei Cardinali Ottaviani e Bacci e della Fondazione “Lumen Gentium”, le cui critiche al nuovo messale si sono mostrate così pienamente giustificate, contro il parere di tutti quei cattolici per i quali l’obbedienza è divenuta una droga e che sostenevano l’illegittimità delle osservazioni dei Cardinali.


    Diamo qui sotto le due definizioni; l’originale era questa:

    N. 7 [versione 1969]: “La cena del Signore, o messa, è la sacra sinassi o assemblea del popolo di Dio, presieduta dal sacerdote, per celebrare il memoriale del Signore. Vale perciò eminentemente per questa assemblea locale della Santa Chiesa, la promessa del Cristo: “Là dove due o tre sono radunati nel mio nome, io sono in mezzo a loro” (Mt. XVIII, 20)”.


    Ed ecco la seconda definizione (le sottolineature sono nostre):

    N. 7 [versione 1970]: “Alla messa, o cena del Signore, il popolo di Dio si raduna sotto la presidenza del sacerdote che rappresenta il Cristo, per celebrare il memoriale del Signore o sacrificio eucaristico. Per conseguenza per questa assemblea locale della Santa Chiesa vale la promessa del Cristo: “Là dove due o tre sono radunati nel mio nome, io sono in mezzo a loro” (Mt. XVIII 20). In effetti, alla celebrazione della messa, nella quale si perpetua il sacrificio della Croce, il Cristo è realmente presente nell’assemblea riunita in suo nome, nella persona del ministro, nella sua parola sostanzialmente e in maniera ininterrotta sotto le specie eucaristiche“.

    La differenza dei due testi è capitale: nulla più, nulla meno che una differenza di religione.

    Purtroppo, sulla definizione originale (“che non contiene alcuna delle premesse dogmatiche essenziali alla Messa e ne costituiscono pertanto la vera definizione, sicché una tale omissione volontaria significa il loro “superamento” e, almeno in pratica la loro negazione”, secondo l’Esame Critico di Ottaviani e Bacci), su quella definizione è costruito l’intero messale paolino. E quel messale resta immutato.

    Ma la vittoria dei Cardinali sul paragrafo 7 è la dimostrazione che: 1) è pienamente lecita la critica là dove fede e tradizione siano in gioco; 2) è pienamente lecita la richiesta di correzione dei testi che diano adito a tali critiche; 3) tali critiche e richieste di correzione non sono soltanto legittime ma utili.

    Non si cesserà quindi di criticare, nelle forme dovute, il messale paolino, costruito, da capo a fondo sull’articolo 7 qual era nella sua forma originale.

    Ma, più essenzialmente, non si cesserà di reclamare la conservazione della vera Messa cattolica, quella tridentina, e di celebrarla o farla celebrare ovunque, sine intermissione.

    da: «Una Voce Notiziario», 2 (1970), pp. 3-4.

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    [Modificato da Caterina63 17/03/2012 21:19]
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    "La liturgia ferita" di Mons. Aillet, vescovo di Bayonne. "Troppo secolarizzata ha perso identità".

    "La liturgia è stata sempre più pervasa dalla cultura secolarizzata del mondo circostante, perdendo così la sua propria natura e identità"
    di Mons. Marc Aillet, Vescovo di Bayonne, Francia


    "All'origine del Movimento Liturgico ci fu la volontà del Papa San Pio X, soprattutto con il motu proprio "Tra le sollecitudini" (1903), che aveva lo scopo di restaurare la liturgia rendendo più accessibili le sue ricchezze, tornando ad essere la fonte di una vita autenticamente cristiana, mettendo in guardia dal pericolo di una crescente secolarizzazione ed esortando i fedeli a consacrare il mondo a Dio. Da qui nasce la definizione del Concilio Vaticano II sulla liturgia quale "fonte e culmine della vita e della missione della Chiesa".

    Contro ogni aspettativa, come hanno spesso dichiarato il Beato Papa Giovanni Paolo II e Papa Benedetto XVI, la realizzazione della riforma liturgica ha talvolta condotto a una sorta di sistematica desacralizzazione, permettendo che la liturgia venisse sempre più pervasa dalla cultura secolarizzata del mondo circostante, perdendo così la sua propria natura e identità: "Questo Mistero di Cristo la Chiesa annunzia e celebra nella sua Liturgia, affinché i fedeli ne vivano e ne rendano testimonianza nel mondo" (Catechismo della Chiesa Cattolica, 1068).

    Senza negare i veri frutti della riforma liturgica, si può dire comunque che la liturgia è stata ferita da quelle che Giovanni Paolo II definì "pratiche non accettabili" (Ecclesia de Eucharistia, n. 10) e Benedetto XVI ha denunciato come "deformazioni al limite del sopportabile" (Lettera ai vescovi in occasione della pubblicazione del Motu proprio 'Summorum Pontificum'). Ne risultarono feriti anche l'identità della Chiesa e il sacerdote.

    Negli anni post-conciliari, abbiamo assistito a una sorta di opposizione dialettica tra i difensori del culto liturgico e i promotori dell'apertura verso il mondo. E poiché questi ultimi finivano per ridurre la vita cristiana a soli sforzi sociali, basandosi su un'interpretazione secolare della fede, i primi, per reazione, si rifugiavano nella pura liturgia fino al punto del "rubricismo", col rischio di spingere i fedeli a proteggersi eccessivamente dal mondo.

    Nell'Esortazione Apostolica 'Sacramentum Caritatis', Papa Benedetto XVI mette fine alla controversia e unifica tale contrapposizione. L'azione liturgica deve riconciliare fede e vita. Proprio come la celebrazione del Mistero pasquale di Cristo realmente si attualizza in mezzo al suo popolo, la liturgia dà forma eucaristica all'intera vita cristiana rendendola "un'offerta spirituale a Dio gradita". Pertanto, sia l'impegno dei cristiani nel mondo che il mondo stesso, sono chiamati a consacrarsi a Dio mediante la liturgia. L'impegno dei cristiani nella missione della Chiesa e nella società trova infatti sorgente e impulso nella liturgia, fino a venire attirati nel dinamismo dell'offerta dell'amore di Cristo che ivi si rende presente.

    Il primato che Benedetto XVI intende dare alla liturgia nella Chiesa - "Il culto liturgico è l'espressione suprema dell'esistenza sacerdotale ed episcopale", egli disse ai vescovi di Francia riuniti a Lourdes in Assemblea Plenaria straordinaria il 14 settembre 2008 - è tale da ricollocare l'adorazione al centro della vita del sacerdote e dei fedeli. Invece e al posto del "cristianesimo secolare" che ha spesso accompagnato la realizzazione della riforma liturgica, Papa Benedetto XVI intende promuovere un "cristianesimo teologico", l'unico capace di servire quella che egli ha definito essere la priorità in questa fase storica, cioè "rendere Dio presente in questo mondo e aprire agli uomini l'accesso a Dio" (Lettera ai vescovi della Chiesa cattolica, 10 marzo 2009). Dove infatti meglio che nella liturgia, il sacerdote approfondisce la propria identità, eccellentemente definita dall'autore della Lettera agli Ebrei: "Ogni sommo sacerdote è scelto fra gli uomini e per gli uomini viene costituito tale nelle cose che riguardano Dio, per offrire doni e sacrifici per i peccati" (Eb. 5, 1)?

    L'apertura verso il mondo richiesta dal Vaticano II è stata spesso interpretata, negli anni successivi al Concilio, come una sorta di "conversione alla secolarizzazione". Tale atteggiamento non mancava di generosità, ma portava ad oscurare l'importanza della liturgia e a minimizzare l'osservanza dei riti, considerati troppo distanti dalla vita del mondo che doveva essere amato e col quale occorreva entrare in piena sintonia, fino ad esserne affascinati. Ne è risultata una grave crisi d'identità del sacerdote, il quale non riusciva più a percepire l'importanza della salvezza delle anime e l'obbligo di annunciare al mondo la novità del Vangelo di Salvezza.

    Indubbiamente, la liturgia è il luogo privilegiato per approfondire l'identità del sacerdote, che è chiamato a "combattere la secolarizzazione" poiché, come il Signore Gesù dice nella sua preghiera sacerdotale: "Non prego che tu li tolga dal mondo, ma che tu li custodisca dal Maligno. Essi non sono del mondo, come io non sono del mondo. Consacrali nella verità. La tua parola è verità" (Gv. 17, 15-17).

    Ciò sarà certamente possibile con un'osservanza più rigorosa delle norme liturgiche che preservano il sacerdote dal desiderio, anche inconscio, di attirare l'attenzione dei fedeli sulla sua persona: il rituale liturgico che il celebrante è chiamato a ricevere filialmente dalla Chiesa, permette infatti ai fedeli di accostarsi più facilmente alla presenza di Cristo Signore, di cui la celebrazione liturgica è segno efficace e che sempre deve essere al primo posto.

    La liturgia è ferita quando i fedeli sono lasciati all'arbitrarietà del celebrante, alle sue stranezze, alle sue idee personali od opinioni, alle sue stesse ferite. Ne deriva l'importanza di non banalizzare i riti poiché, strappandoci dal mondo secolare e dunque dalla tentazione d'immanentismo, essi hanno il dono di farci immergere subito nel Mistero e di farci aprire al Trascendente.

    Al riguardo, non si sottolinea mai abbastanza l'importanza del silenzio che precede la celebrazione liturgica, come in un santuario interiore, nel quale siamo liberati dalle preoccupazioni - anche legittime - del mondo secolare, ed entrare nello spazio e nel tempo sacro dove Dio rivela il suo Mistero; non si sottolinea mai abbastanza l'importanza del silenzio nella liturgia per divenire più disponibili all'azione di Dio; e ancora non si sottolinea mai abbastanza la necessità di un tempo congruo per il ringraziamento, integrato o meno con la celebrazione, per cogliere intimamente la portata della missione che ci attende, una volta tornati nel mondo. L'obbedienza del sacerdote alle rubriche è anche in sé un segno eloquente e silenzioso del suo amore per la Chiesa, della quale egli non è che ministro, anzi servitore.

    Da qui deriva pure l'importanza della formazione nella liturgia dei futuri sacerdoti, e specialmente nella partecipazione interiore, senza la quale la partecipazione esteriore invocata dalla riforma, sarebbe senz'anima e favorirebbe una comprensione parziale della liturgia, che si esprimerebbe in termini di eccessiva teatralità dei ruoli, in un cerebralismo riduttivo dei riti e in un'autocelebrazione abusiva dell'assemblea. Se la partecipazione attiva - principio operativo della riforma liturgica - non è l'esercizio del "senso soprannaturale della fede", la liturgia non è più l'opera di Cristo, ma degli uomini. Insistendo sull'importanza della formazione liturgica dei sacerdoti, il Concilio Vaticano II ha fatto della liturgia una delle principali materie degli studi ecclesiastici, evitando di ridurla a una formazione puramente intellettuale. In effetti, prima di essere oggetto di studio, la liturgia è viva, o meglio, "trascende la vita di ciascuno per fonderla con la vita di Cristo". E' l'immersione massima di ogni vita cristiana: immersione nel senso della fede e nel senso della Chiesa, nella lode e nell'adorazione, e nella missione.

    Siamo chiamati perciò a un vero "Sursum corda". L'invito del prefazio, "in alto i nostri cuori", introduce i fedeli al cuore dei cuori della liturgia: la Pasqua di Cristo, il suo passaggio cioè da questo mondo al Padre. L'incontro di Gesù risorto con Maria Maddalena la mattina della risurrezione, è molto significativo in questo senso: dicendo "Noli me tangere", Gesù invita Maria Maddalena a "guardare alle cose di lassù", facendole intuire nel suo cuore che egli non è ancora asceso al Padre, e chiedendole di andare a dire ai suoi discepoli che egli deve tornare al suo e nostro Dio, Padre suo e nostro. La liturgia è esattamente il luogo di questa elevazione, del tendere verso Dio che dà alla vita un nuovo orizzonte, il suo decisivo orientamento. Purché noi non la trattiamo come materiale a disposizione delle nostre manipolazioni fin troppo umane, ma osservando, con filiale obbedienza, le prescrizioni della Santa Chiesa.

    Come dichiarò Papa Benedetto XVI alla conclusione della sua omelia nella solennità dei SS. Pietro e Paolo nel 2008: "Quando il mondo nel suo insieme sarà diventato liturgia di Dio, quando nella sua realtà sarà diventato adorazione, allora avrà raggiunto la sua meta, allora sarà sano e salvo".

    Conferenza tenuta presso la Pontificia Università Lateranense, Roma, 11 marzo 2010.

    trad. it. a cura di d. Giorgio Rizzieri

    fonte: CatholicCulture.org,
    http://www.catholicculture.org/culture/library/view.cfm?id=9276&repos=1&subrepos=0&searchid=855304


    [SM=g1740733]


    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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    07/04/2012 19:11
     
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    RIFLESSIONE

     

     

    una liturgia abbreviata è come vino annacquato

    L'atmosfera della liturgia


     

    Le lunghe liturgie che caratterizzano la settimana santa nelle chiese latine tradizionali e in quelle greche c'impongono delle osservazioni di carattere generale.

    Innanzi tutto, ci si rende conto che il tempo richiesto dalle celebrazioni prende buona parte della mattina o della sera. I lunghi mattutini "delle tenebre", secondo la consuetudine canonicale e monastica latina, gli "Uffici dello Sposo", nella consuetudine bizantina, richiedono almeno due ore. Nel mondo orientale, giungiamo addirittura a superare le tre ore.

    La liturgia tradizionale degli oli santi (Messa crismale) occupa l'intera mattinata del giovedì santo.

    Perché delle liturgie così lunghe? Nel mondo attuale molti sono incapaci di sopportare tale durata. Per questo le liturgie cattoliche attuali hanno scelto tempi brevi col rischio di sostenere i propri fedeli nella loro debolezza, come se in palestra si decidesse di rafforzare un corpo prolungandone il rilassamento.

    Eppure queste liturgie hanno una loro ragione d'essere. Fanno entrare chi vi partecipa in un'atmosfera necessariamente differente e perché questo accada ci vuole un minimo sforzo.

    Sia il mondo greco che quello latino antico e tradizionale danno la percezione di una "densità" particolare, lungo lo svolgimento delle preghiere, una "densità" in grandissima parte evaporata nei riti latini attuali i quali preferiscono piuttosto condividere la scioltezza, la discorsività, l'arte dell'intrattenimento che si riscontra nel culto protestante il quale, a sua volta, non si discosta da una lezione scolastica didatticamente attraente. Ma è questo il culto cristiano?

    Il lungo tempo richiesto da una liturgia tradizionale ci mostra, inoltre, un altro elemento: qui l'uomo abita, non transita di passaggio. Le preghiere diventano la sua casa, il suo cibo col quale si nutre tranquillamente, incurante del tempo che scorre. Non è pioggia che scivola via sulla pelle, è bagno caldo nel quale si è immersi, profumati e riscaldati.

    La liturgia antica della luce, nel sabato santo, se rispetta la consuetudine tradizionale, occupa parte della notte. La liturgia bizantina del sabato santo occupa ugualmente molte ore notturne. Non è possibile decurtare, riassumere, queste liturgie senza negativi contraccolpi. (Quanto sono ridicole, se non blasfeme al significato intrinseco del simbolo, quelle liturgie notturne del sabato santo che si tengono nella luce vespertina, anticipate di molto pur di non stancare le persone per una veglia di solo un paio d'ore della notte!).

    In Occidente l'aver voluto adeguare le liturgie alla debolezza (sempre più marcata) dei popoli, le ha rovinate finendo per svuotarle dalla loro intensità. C'è il reale rischio che siano divenute sale non salato!

    Recentemente ho assistito ad una messa crismale nella quale non riuscivo a percepire quell'atmosfera di densità che normalmente si sente in una liturgia tradizionale. Nonostante fosse eseguita con ordine e senz’alcuna artefazione, la sensazione che infondeva era quasi di banalità, di appiattimento. La messa scorreva con una certa fretta dalla quale sembrava trapelare l’insofferenza di chi la svolgeva.

    Non riuscivo ad irritarmi, per un approccio così superficiale, ma provavo una radente malinconia. Avevo l'impressione d’assaggiare un vino annacquato. Non potevo classificarlo come acqua (una riunione profana) ma ero certo che non si trattasse di puro vino (una liturgia sacra). Certe cose si sentono a pelle, coinvolgono l'interiorità e, immediatamente, danno una sensazione di verticalità o di appiattimento, ci si sente sollevare o abbassare.

    Mi sembrava che il clero di quella messa fosse come certi cagnolini bagnati i quali s’agitano violentemente per scrollare l'acqua dal loro pelo. Avevo la netta sensazione che quei preti non riuscissero ad "abitare nella liturgia" ma ne transitassero solamente. E se il clero non "abita" naturaliter nella liturgia, vien da pensare che abbia il cuore altrove. Se questi sono i pastori, ai quali viene chiesto di più, come possiamo pretendere che i laici siano meglio?

    Viceversa, in un contesto orientale, ricordo che anche il clero più disinteressato e secolarizzato riusciva, in qualche modo, ad entrare nella "casa" della liturgia, ad abitarvi. Non sentivo quel senso di fastidio per le lunghe preghiere, semmai, nel caso peggiore, una pacifica rassegnazione. E si sa che le liturgie orientali sono più ampie rispetto alle corrispondenti liturgie latine tradizionali. Non penso che tutto ciò sia dovuto ad una semplice questione di mentalità o di cultura. D'altronde, nel mondo cristiano un incolto che conserva e pratica le buone tradizioni si nobilita. Viceversa un intellettuale che rigetta tali tradizioni diventa come un villico analfabeta: almeno per alcune cose, s'inspessisce, diviene grossolano, se non proprio insopportabilmente volgare.

    In conclusione si può aggiungere che la liturgia è sempre lo specchio e l'immagine di una chiesa, ne indica lo stato di salute.

    Quello che in Occidente manca, non è tanto una comprensione razionale del rito. Da noi c'è così tanta comprensione razionale d'aver creato un enorme equivoco: si pensa che pregando nella lingua corrente, inculturando il culto, si ha, in qualche modo, capito tutto della liturgia, mentre ci si è esclusi dalle sue mistiche profondità che richiedono un ben altro approccio. L'attuale razionalismo teologico nella liturgia crea un atteggiamento simile a chi, vedendo una mela, pensa che il frutto si esaurisca nel colore e nella consistenza della sua buccia...

    Quello che in Occidente manca, è quella percezione sacra che non ha bisogno di traduzioni, introduzioni, monizioni, raccomandazioni, agitazioni, imposizioni. E' quel senso del sacro, quel sapore particolare il quale, proveniente da un'intensità di spirito e di grazia, avvolge la persona e la porta immediatamente alla percezione intuitiva di un altro mondo che illumina e infonde speranza al mondo presente. E' questo che continua drammaticamente a mancare e che, tuttavia, i culti antichi comunicavano senza tanto fragore e preoccupazioni razionalistiche.

    Oggi le idee su tali argomenti, sono purtroppo lungi dall'essere chiare per cui si continua a mescere vino e acqua spacciando la bevanda risultante per vino autentico. Eppure, nonostante le raccomandazioni pressanti del povero oste di turno, chi beve questo vino annacquato rimarrà sempre insoddisfatto e con la sensazione, più o meno cosciente, d'essere stato imbrogliato.
     
    tratto da: http://traditioliturgica.blogspot.it/
     
    [Modificato da Caterina63 09/04/2012 10:13]
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    18/04/2012 17:38
     
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    Lo sapevate che abbiamo da imparare dagli anglicani?

    Ho appena letto su Cantuale antonianum un articolo del 2009. Intanto il titolo: La celebrazione cattolica secondo l'uso anglicano. Se si può applicare il termine "ossimoro" ad una frase, mi sembra questo il caso...

    Viene riportato un video, purtroppo ora non più visibile, girato nella comunità parrocchiale "di punta" del cosiddetto "Anglican Use", cioè quel particolare rito degli ex anglicani già tornati in comunione con la sede di Roma, con la notazione che, rivisto e adattato, il rito cattolico dell'anglican use è oggi contenuto nel Book of Divine Worship (Libro del Culto Divino), che - secondo il card. Levada - costituirà la base solida della "variante" del rito latino che caratterizzerà gli anglicani di ritorno.

    E quindi risulta che abbiamo un rito romano-anglicano, le cui principali caratteristiche sono:
    1. Celebrazione fortemente bipartita tra liturgia della Parola e liturgia Sacrificale, il cui spartiacque è segnato dal cambio delle vesti del celebrante all'offertorio.
    2. La lingua è l'inglese liturgico, non quello banale della quotidianità, ma un linguaggio aulico.
    3. Il canto è tipicamente anglicano, corale, ma non mancano le antifone proprie, cantate in inglese dal Coro su toni gregoriani.
    4. Tutto l'ordinario è cantato in inglese e anche dal popolo.
    5. I ministri (sacerdote, diacono e suddiacono: loro non hanno avuto la mannaia di Paolo VI sugli ordini minori) sono rivolti versus Dominum.
    6. Sede della celebrazione il sanctuary, cioèil presbiterio, delimitato dal rod screen: una sorta di iconostasi aperta, molto tipica, che è più di una balaustra (ancor più visibile nell'immagine sotto).
    7. Il Vangelo viene proclamato, secondo l'uso della Chiesa d'Inghilterra, al centro dell'assemblea.
    8. I chierichetti e il popolo si inginocchiano molto spesso, anche durante le particolari preghiere di richiesta di perdono che precedono la liturgia eucaristica propriamente detta.
    9. Notevole il ricevere la comunione in ginocchio alla balaustra, ma sotto le due specie, modalità è tipica anche dei luterani, che in realtà è il modo comune di ricevere la comunione della chiesa alto medievale.
    10. Molti altri aspetti sono retaggio del rito romano più antico, che non sono stati abbandonati dalla High Church anglicana o almeno li ha riscoperti grazie al movimento di Oxford (il canto dei ministri, l'incenso, le campane, le luci, le genuflessioni e il clima di composta e insieme solenne devozione...).
    Dal Blog New Liturgical Movement ho tratto una suggestiva immagine del presbiterio anglicano e del loro ambiente e stile liturgici.

    Quindi Cantuale auspica: speriamo che questo rito "di nicchia" possa essere conosciuto, e ora diffondersi ad altri gruppi anglicani che arrivano alla comunione con il Papa.

    Ma l'auspicio più sorprendente è questo (come se non esistesse il Rito Romano da cui imparare): E perchè no, chissà che possa contagiare e fare del bene anche alla celebrazione di tante parrocchie di normale rito romano moderno, esercitando una sana "attrazione gravitazionale".

    Insomma, si riconosce che la Chiesa cattolica ha da imparare dagli anglicani... e purtroppo non è uno scherzo!
     
     
    _____________________________________
    [ Fonte: Cantuale antonianum]
     
    ***
     
     
    ( [SM=g1740733] ci suona come un paradosso, cari Sacerdoti, ma.... guardando bene come avete ridotto le Messe della Domenica in Parrocchia, c'è proprio da augurarsi che gli Anglicani, tornati nella comunione con Roma, abbiano da insegnarvi come si celebra....)
     
    [SM=g1740763]

    e ancora....


    Venerdi, 8 Giugno 2012

    A Messa ci sia più Gesù e meno convivialità


    La festa del Corpus Domini, che celebra la presenza reale di Cristo nell'Eucaristia, è occasione per riflettere sul senso della partecipazione alla Messa. Recentemente ho letto alcune opere dell'allora Cardinale Ratzinger sulla liturgia. Le percorre un’idea di fondo: l'incontro con Cristo durante celebrazione.
    La stessa questione dell'orientamento dell'altare e dell'assemblea celebrante, alla quale Ratzinger dedicò alcune riflessioni che suscitarono una certa polemica, quasi che il futuro Papa indicasse la necessità di ritornare a celebrare con le spalle rivolte al popolo come prima del Vaticano II, nasce proprio dall'esigenza di affermare con forza quell’idea.
    La celebrazione liturgica non può essere considerata solo l’incontro conviviale della comunità cristiana: il riferimento fondamentale della comunità che celebra è il Risorto. Tutti gli attori della celebrazione liturgica sono perciò rivolti a Lui, a Lui guardano, verso di Lui camminano, in forza della Sua presenza si incontrano, grazie a Lui fanno comunione.


    Queste indicazioni sul significato profondo della liturgia che spesso Benedetto XVI ripete possono invitare le nostre comunità ad affrontare con maggior impegno il tema del rapporto tra dimensione orizzontale e dimensione verticale nella celebrazione.
    (..)
    Le nostre Messe domenicali sono momenti di festa gioiosi, dove la convivialità – lo scambio tra le differenti articolazioni della comunità – si può davvero toccare con mano. Questo aspetto è un arricchimento che il Concilio ha portato nella liturgia: tuttavia esso troppe volte cammina di pari passo con l'impoverimento della dimensione verticale. Tanto che, assistendo a certe celebrazioni, viene spontaneo domandarsi se l'assemblea liturgica abbia davvero coscienza di essere alla presenza di Dio: sa di essersi radunata a celebrare perché convocata da Dio, non solo per incontrare gli altri componenti della comunità, ma prima di tutto per incontrare il Risorto? [SM=g1740733]

    Questa è una questione fondamentale delle liturgie oggi. Che si traduce in atteggiamenti. Un esempio è lo stacco radicale tra la celebrazione, il suo prima e il suo dopo. Si entra in chiesa chiacchierando e si continua a farlo: prima della Messa la chiesa sembra un cantiere di lavoro e subito dopo il canto finale diventa una piazza. Cristo è realmente presente in chiesa, nel tabernacolo, nel segno del pane eucaristico, anche prima e dopo la celebrazione: che ne abbiamo fatto della sacralità del luogo dove si raduna l’assemblea attorno a questa Presenza?

    Per non parlare poi della “creatività” liturgica, che spesso diventa la giustificazione e il contenitore di insopportabili soggettivismi dei vari attori della liturgia. A volte c'è addiritura il rischio che qualche prete, faccia della Messa non il palcoscenico di Dio, ma il proprio, personalissimo palcoscenico, amplificando a dismisura i propri spazi (compreso quello dell'omelia), esasperando la propria presenza e vanificando in questo modo il ministero importante e delicato della presidenza della celebrazione liturgica.
    Ricordo con una certa angoscia alcune Messe ai campi estivi nei miei primi anni di sacerdozio dove c’era di tutto e di più. La sobrietà e la verità del rito venivano puntualmente violate dall’aggiunta di ritualismi artificiosi a dir poco banali, sceneggiate oltretutto malfatte. Già, perché l’idea era e spesso è ancora, che “partecipare” vuol dire fare a tutti i costi qualcosa… e via che si moltiplicano i gesti, le parole, gli oggetti che si sovrappongono al rito. “Partecipare”, nella celebrazione, significa anzitutto accogliere un dono, mettersi in ascolto, dire non le parole nostre, ma le parole di Dio e quelle che da secoli dice la comunità dei credenti.

    Sandro Vigani
    Tratto da GENTE VENETA, n.23/2012

     ****************************
    [SM=g1740733] 
    Riporre il Santissimo sull'altare maggiore
     
    da Cordialiter.....

    [Brano tratto dal discorso pronunciato il 12-10-2005 dal Cardinale Janis Pujats al Sinodo dei Vescovi sull'Eucarestia]
     
    Nelle chiese parrocchiali, luogo particolarmente adatto (sul presbiterio) per il Santissimo è l’altare maggiore che ospita il tabernacolo. In questo caso, l’altare maggiore con il suo retablo è veramente il trono di Cristo Re ed attrae a sé gli occhi di tutti coloro che sono in chiesa. La presenza del Santissimo nell’area principale della chiesa dà ai fedeli l’occasione di adorare Dio anche al di fuori del sacrificio della Messa (ad esempio nell’intervallo di tempo tra gli uffici divini).
    Essi vengono infatti in chiesa per pregare, non per conversare. Prima della Comunione, è compito dei sacerdoti invitare i fedeli alla confessione individuale dei peccati. Il luogo migliore per la confessione dei fedeli è il confessionale, collocato in chiesa e costruito con una grata fissa tra il confessore e il penitente. Nella misura in cui è possibile, i sacerdoti devono favorire le condizioni affinché i fedeli accedano alla Penitenza: se infatti gli uomini vivono e muoiono nei peccati, è vano ogni altro sforzo pastorale.
    È opportuno riservare ogni giorno un tempo alla confessione, in ore prestabilite, in particolare prima della Messa. Se vogliamo veramente rinnovare la vita spirituale del popolo, ci è consentito lasciare il confessionale solo dopo che l’ultimo penitente ha ricevuto il perdono. [...]
    In generale, occorre eliminare l’abuso di accedere alla Comunione senza il sacramento della Penitenza. Nel passato, vi era l’abitudine, durante la Messa, di andare in processione alla Comunione, ma col passare del tempo questa prassi fu giustamente respinta per un motivo pastorale. Come sappiamo, in chiesa il popolo ha un comportamento collettivo: tutti rispondono alle parole del sacerdote, tutti, seduti, ascoltano le letture della Sacra Scrittura, tutti stanno in piedi per il Vangelo, tutti si inginocchiano alla consacrazione e, (cosa che ci addolora!), tutti si alzano per partecipare in processione alla Comunione - tra questi anche il fariseo e il pubblicano, il penitente e il non penitente.
    I singoli fedeli hanno timore di astenersi da questa processione, poiché in tal modo si espongono pubblicamente come indegni. Questa è la causa per cui questo abuso è prevalso così presto. Che cosa occorre fare? Bisogna rinnovare la consuetudine di accedere individualmente alla Comunione per preservare la libertà di coscienza. La Messa è un’azione comune, ma la Comunione rimanga individuale.



    ALL'UDIENZA DI QUESTO MERCOLEDI' 27.6.2012 IL SANTO PADRE BENEDETTO XVI RITORNA SULL'IMPORTANZA DEL METTERSI IN GINOCCHIO....

    La seconda indicazione è la prostrazione, il «piegarsi di ogni ginocchio» nella terra e nei cieli, che richiama un’espressione del Profeta Isaia, dove indica l’adorazione che tutte le creature devono a Dio (cfr 45,23). La genuflessione davanti al Santissimo Sacramento o il mettersi in ginocchio nella preghiera esprimono proprio l’atteggiamento di adorazione di fronte a Dio, anche con il corpo. Da qui l’importanza di compiere questo gesto non per abitudine e in fretta, ma con profonda consapevolezza. Quando ci inginocchiamo davanti al Signore noi confessiamo la nostra fede in Lui, riconosciamo che è Lui l’unico Signore della nostra vita.

    Cari fratelli e sorelle, nella nostra preghiera fissiamo il nostro sguardo sul Crocifisso, sostiamo in adorazione più spesso davanti all’Eucaristia, per far entrare la nostra vita nell’amore di Dio, che si è abbassato con umiltà per elevarci fino a Lui.

    [SM=g1740733]

    [Modificato da Caterina63 27/06/2012 14:47]
    Fraternamente CaterinaLD

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    [SM=g1740717] [SM=g1740720] Ad Orientem e il Canone in latino- Benedict XVI

    www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=vIR4aFZa_OU



    [SM=g1740752]

    [SM=g1740738]



    it.gloria.tv/?media=298536

    [SM=g1740717]

    [SM=g1740720] [SM=g1740738]

    [Modificato da Caterina63 09/06/2012 16:04]
    Fraternamente CaterinaLD

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    Manuale per Ministranti di p. Chiesa o.c.d. e presentato da Mons. Guido Marini



    Il "Manuale per Ministranti" è scritto dal Rev.do , Padre Marco Chiesa, Priore del Monastero carmelitano Santa Croce a Bocca di Magra (SP), Diocesi di La Spezia, ed è sicuramente il migliore edito nel post-concilio, presentato da Mons. Guido Marini, Maestro delle Celebrazioni Liturgiche Pontifice, che così scrive:


    "Di un testo così se ne sentiva la neccessità. Senza dubbio non sono mancati e non mancano le pubblicazioni destinate a quanti, soprattutto bambini e ragazzi, svolgono servizio come ministranti all'altare. Tuttavia il presente volume si distingue per alcune peculiarità che vale la pena rilevare con attenzione"

    p. M. CHIESA, Vicino a Gesù… per servirlo! Guida per i ministranti, Ed. Velar-ElleDiCi, maggio 2011, presentazione di Mons. Guido Marini. € 10,00



    La S. Comunione in ginocchio: i 4 passi suggeriti da un parroco ai propri confratelli, per spiegare ed aiutare "a fare come fa il Papa"

    Ci è giunta questa bella lettera. E' bella non per gli apprezzamenti e l'incoraggiamento nella preghiera (che pure fanno piacere e rinvigoriscono, lo ammettiano). La lettera è straordinariamente bella per il contenuto, per la luce che porta su una situazione a volte troppo fosca, per la testimonianza che dà, e per il messaggio che trasmette.
    Abbiamo avuto il permesso del lettore che ce l'ha scritta, il Rev.do don Andrea Brugnoli, parroco di San Zeno alla Zai (Vr), perchè la sua testimonianza e la sua buona volontà possano essere di esempio per sacerdoti giovani, di monito per i più anziani (e per i superiori) e di incoraggiamento per gli insicuri.
    Non c'è da aggiungere altro: la parola a don Andrea.


    Roberto.

    Carissimi amici di Messainlatino.it,
    complimentandomi per la vostra puntualità e l'interesse che dimostrate per la Tradizione, ho una proposta da fare ai miei confratelli parroci. Si tratta di una soluzione non ottimale, ma pastoralmente efficace... in vista di tempi migliori nei quali si potrà nella Chiesa fare le cose senza "passaggi". Ma, si sa, questi son tempi in cui dobbiamo pian piano recuperare la fede e ricostruire ciò che è stato devastato.
    Grazie ancora e complimenti (vi leggo ogni giorno e vi seguo con la preghiera).
    don Andrea
    ps: abbiamo iniziato anche l'adorazione eucaristica perpetua (per ora solo al giovedì: la mia parrocchia è molto piccola) e oggi vi ricorderò nel momento della benedizione eucaristica conclusiva prima della pausa estiva.


    Dal Natale 2012 fino ad oggi, nella mia parrocchia ho iniziato a proporre ai parrocchiani la S. Comunione in ginocchio, nella seguente forma:

    1) All'inizio della S. Messa sono già pronti due inginocchiatoi davanti all'altare.
    2) La S. Messa in rito ordinario prosegue nel consueto modo fino all'Agnello di Dio.
    3) Un lettore legge, mentre il sacerdote va a prendere la pisside al Tabernacolo, queste semplici parole da un foglietto prestampato:
    «Papa Benedetto XVI ci ricorda che la pratica di inginocchiarsi per la santa Comunione ha a suo favore secoli di tradizione ed è un segno di adorazione particolarmente espressivo. Per questo, nella nostra parrocchia, abbiamo deciso di dare a tutti la possibilità di riceverla anche in questo modo».
    4) La comunione viene distribuita alla gente che si accosta con grande varietà di modi. A tutti viene data così come si presentano: in ginocchio e in bocca, in ginocchio e in mano, in piedi in bocca e in piedi in mano.

    Questo viene fatto ad ogni S. Messa, e leggendo il foglietto solo alle S. Messe festive.
    Risultato? Lasciando questa libertà e senza imporre nulla, il 95% dei miei parrocchiani si inginocchia, dimostrando così che la gente capisce subito la posta in gioco e la bellezza di ricevere Gesù nel modo con cui per secoli l'ha ricevuto. E questo sia per gli adulti che per i giovani e i bambini. Provare per credere. [si veda nelle foto sopra, don Andrea mentre comunica i propri parrocchiani in ginocchio, n.d.r.].

    Forza, amici parroci: un po' di coraggio e diamo una mano al Papa che in più occasioni sta cercando di insegnare alla Chiesa, senza imposizioni, il valore di questi gesti.
    Dio vi benedica!

    don Andrea Brugnoli
    parroco di S. Zeno in Zai (Verona) - responsabile internazionale progetto "Sentinelle del mattino"


    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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    22/07/2012 23:07
     
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    Arriva la Messa Gregoriana a Monza e i posti in chiesa non bastano più - di Mario Palmaro

    Non c’era un posto libero, domenica 1° luglio 2012, nella bellissima chiesa delle Adoratrici Perpetue del Santissimo Sacramento di Monza, quando verso le 19 è iniziata la celebrazione della prima Messa secondo il rito gregoriano. 
    Erano 44 anni che nella città di Teodolinda non accadeva un fatto simile. A renderlo possibile, Papa Benedetto XVI e l’iniziativa di un gruppo di fedeli, che con più di cento firme nel 2010 hanno chiesto all’arciprete del Duomo e all’arcivescovo di Milano l’applicazione del Motu Proprio Summorum Pontificum. 
    La risposta è arrivata a maggio di quest’anno, rendendo così possibile la celebrazione di domenica 1 luglio.
     La liturgia in rito antico è stata preparata e celebrata con cura da Padre Bruno Scuccato, sacerdote del Sacro Cuore, che vestiva in pianeta rossa essendo domenica la festività del Preziosissimo Sangue. 
    Ad assisterlo sull’altare Michael e Simone, due giovani cattolici che hanno preso a cuore la serietà e la bellezza della liturgia. 
    Durante la settimana i fedeli si son dati da fare per rimettere insieme tutti i sacri oggetti, le vesti, il manipolo, e ogni altra cosa necessaria a celebrare in conformità alla tradizione cattolica e all’insegnamento della Chiesa. 

     Il colpo d’occhio che si è offerto ai fedeli è stato da togliere il fiato: più di cento persone composte e oranti che facevano da cornice all’antico altare della chiesa delle suore “Preziosine”; un altare ideato su ispirazione divina dalla Madre Serafina, fondatrice dell’ordine.
    Un altare che ha uno sviluppo verticale, proteso verso l’alto da una piccola scalinata che culmina nel luogo in cui viene esposto l’ostensorio all’adorazione perpetua delle suore e dei fedeli.
    Difficile immaginare una collocazione più idonea e più provvidenziale per ridare vita e corpo alla Messa di sempre, con il sacerdote voltato verso Dio, impegnato a compiere quei gesti antichi e a ripetere quelle formule che per secoli e secoli hanno accomunato le Messe di ogni luogo e di ogni prete nell’orbe cattolico. 
    Un altare che in tutti questi anni non è stato demolito o modificato, ma meritoriamente conservato nel suo aspetto originario. 
    Chi pensa che il ritorno alla Messa antica sia un fenomeno che riguarda una minoranza di stravaganti e di vecchi nostalgici, domenica sarà rimasto deluso: nella chiesa delle Adoratrici Perpetue c’erano fedeli di ogni età: giovani e anziani e famiglie con i loro bambini. 
    Una chiesa gremitissima, nella quale i fedeli hanno dimostrato che cosa significa “partecipare” alla Messa. L’altro pregiudizio, infatti, sostiene che con la “messa in latino” la gente non capisce nulla, non segue nulla, appunto “non partecipa”. 

    Bastava esserci, domenica, per accorgersi di quanto questo mito anti liturgico sia destituito di ogni fondamento. Sulle panche c’erano i messalini con il testo latino-italiano per seguire la liturgia; e le fotocopie con il “proprio” della Messa e le letture del giorno. 
    E i fedeli recitavano in modo corale le preghiere di loro competenza. 
    Al termine della celebrazione, Michael ha intonato “Nome dolcissimo”. Dietro di lui si sono levate cento voci all’unisono, dando corpo a una preghiera alla Madonna che ha suggellato in maniera commovente questo ritorno della Messa antica nella città di Monza. 
    All’uscita, sul sagrato, la felicità dei giovani e i volti commossi di qualche anziano. 
    Domenica prossima, alle 18.45, si replica: stessa chiesa e stessa liturgia. 
    Anche per tutto il mese di agosto.
     
     Foto : 
    1) La Santa Messa nella Chiesa delle Adoratrici Perpetue del Santissimo Sacramento di Monza.
    2) Il Venerabile Don Juan Huguet Cardona, Sacerdote e martire ( Alaior, Isole Baleari, Spanga, 28 gennaio 1913 - Ferreries, Spagna, 23 luglio 1936 ). 
    Giovanissimo sacerdote appena ventitreenne, martire nel contesto della Guerra Civile Spagnola. 
    Il 28 giugno 2012 è stato reso noto che il 10 maggio il Santo Padre Benedetto XVI ha decretato il riconoscimento ufficiale da parte della Chiesa del martirio di Juan Huguet Cardona, conferendogli il titolo di “Venerabile” e spianando così la strada alla sua beatificazione che avverrà il 27 ottobre 2013 in Spagna.




    [SM=g1740722]

    Vaticano: S. Messa cantata in rito antico martedì 31 luglio 2012

     

    SANTA MESSA CANTATA IN VATICANO – MARTEDI’ 31 LUGLIO, H 17.15

     

     

    Da più parti, in queste ore arrivano adesioni e consensi alla Santa Messa Cantata in forma extraordinaria in onore dei Santi Apostoli Pietro e Paolo in programma martedì 31 luglio alle ore 17.15 nella Basilica di San Pietro in Vaticano (Cappella del SS. Sacramento).

     

    La Santa Messa sarà celebrata da P. Vincenzo Nuara OP, Officiale della Pontifica Commissione “Ecclesia Dei”.

     

    L'animazione liturgica e musicale sarà curata dai Frati Francescani dell'Immacolata.

    Interverranno per l'occasione gli Studenti del Seminario di Sassoferrato (AN) che cureranno il servizio liturgico e il canto della Messa.

     

    L’iniziativa si colloca nel contesto del pellegrinaggio promosso dall’Associazione “Maria SS. dell’Elemosina” di Biancavilla (CT) nella ricorrenza del 10° anniversario della sua fondazione, e che avrà come meta principale Roma, la Capitale d’Italia e della Cattolicità.

     

    Il pellegrinaggio romano culminerà mercoledì 1 agosto nella partecipazione all’Udienza generale del Santo Padre Benedetto XVI a Castel Gandolfo. Al termine dell’Udienza l’Associazione, con una delegazione dell’Arcidiocesi di Catania e dell’Amministrazione Comunale di Biancavilla, offrirà al Papa una riproduzione dell’Icona bizantina della Madonna dell’Elemosina.

     

    Si tratta di un’occasione per esprimere devozione, filiale affetto e preghiera per il Santo Padre.

     

    Invitiamo tutti i fedeli, che potranno essere presenti, ad intervenire.

     

    Per ulteriori info:

    www.santamariaelemosina.wordpress.com

    ale.scaccianoce@tiscali.it

     

    AMDG

    Alessandro Scaccianoce

    [SM=g1740722]

    La prima Messa di Don Giorgio Lenzi ( Istituto del Buon Pastore) nella chiesa parrocchiale di Sant’Antioco in Sardegna

     

     

     

     

     

     

    E’ con grande piacere e commozione e che pubblichiamo alcune foto della prima Messa celebrata da Don Giorgio Lenzi, secondo sacerdote italiano ordinato per l’Istituto del Buon Pastore, nella chiesa parrocchiale di Sant’Antioco in Sardegna il 14 luglio scorso. 
    La cerimonia è stata toccante per il gran concorso di popolo e per la pietà dimostrata dal popolo sardo. 
     Un ringraziamento va al parroco Don Demetrio per l’accoglienza dimostrata al suo parrocchiano e per aver voluto assistere personalmente al sacro rito.
    N.F. 

    Per vederne altre cliccare qui .

    [SM=g1740717] [SM=g1740720]
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    21/08/2012 23:15
     
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    [SM=g1740720] "Tu non temere, continua a credere e a sperare"


    Omelia del card. Tarcisio Bertone alla Sessione Plenaria della Pontificia Accademia di San Tommaso d'Aquino


    CITTA' DEL VATICANO, lunedì, 2 luglio 2012 (ZENIT.org).- Riportiamo di seguito il testo dell'omelia tenuta ieri dal cardinale Tarcisio Bertone, Segretario di Stato vaticano, in occasione della Sessione Plenaria della Pontificia Accademia di San Tommaso d’Aquino.

    ***

    «O memoriale mortis Domini,
    Panis vivus, vitam praestans homini,
    praesta meae menti de te vivere
    et te illi semper dulce sapere» (Inno Adoro te devote).

    Cari fratelli e sorelle,

    nel giorno del Signore, abbiamo la gioia di ritrovarci intorno alla sua mensa. L’Eucaristia è il momento culminante di ogni incontro ecclesiale, anche di questa Sessione Plenaria della Pontificia Accademia di San Tommaso d’Aquino. Perciò ho voluto porre all’inizio della nostra meditazione una strofa dell’Inno Adoro te devote. Al centro delle vostre giornate di studio, arricchite dagli interventi degli illustri Relatori e dalle relative discussioni, viviamo in questo momento l’ora dell’incontro, l’ora dell’ascolto e della comunione. La viviamo in questa Cappella Paolina che costituisce un luogo privilegiato del Palazzo Apostolico, un luogo silenzioso in cui è custodito il Santissimo Sacramento. Da qui rivolgiamo il nostro devoto pensiero al Santo Padre Benedetto XVI, il quale mi ha incaricato di trasmettervi il Suo cordiale saluto e di parteciparvi la Sua Benedizione, che impartirò al termine della Celebrazione.

    Vorrei pertanto cogliere con voi qualche spunto che ci viene dalla Parola di Dio, e lasciare che sia illuminata in questo modo la tematica da voi già affrontata secondo numerosi punti di vista. Il Vangelo e la prima Lettura propongono il tema di Dio e di Gesù Cristo come sorgente di vita, che ha un potere assoluto sulla morte fisica e sulla malattia. La seconda Lettura ci ricorda invece che la carità di Cristo è la radice e il modello della carità ecclesiale. Entrambi questi aspetti hanno una forte connessione con il Mistero eucaristico.

    Il brano del Libro della Sapienza e quello del Vangelo di Marco formano un dittico stupendo, proprio nella loro diversità, nei lori modi opposti e complementari di affrontare la questione cruciale del rapporto tra Dio e la morte. Lo scrittore sapienziale ci offre una delle risposte più limpide e preziose alla domanda di sempre: se Dio ha creato tutto, ed è buono, da dove viene il male? La risposta è netta: «Dio non ha creato la morte» (Sap 1,13), ma questa «per l’invidia del diavolo è entrata nel mondo» (Sap 2,24). Il Vangelo invece ci racconta un avvenimento, anzi due intrecciati tra loro: la risurrezione della figlia di Giairo e la guarigione dell’emorroissa (Mc 5,21-43). Gesù appare quale Signore assoluto capace di risvegliare dalla morte, che per Lui è come un sonno, e di guarire dal male anche solo al contatto con la sua persona, purché – questa è la condizione essenziale – chi lo accosta sia animato dalla fede.

    Proprio questa fede, profonda e luminosa, anima Tommaso d’Aquino quando contempla il Santissimo Sacramento, «Panis vivus, vitam praestans homini». Nell’Eucaristia Gesù Signore è presente come fonte di vita; è presente in forma visibile, tangibile sotto le specie del pane e del vino. Le specie sensibili possono essere paragonate alle vesti di Gesù, che la donna del Vangelo vuole toccare: «Se riuscirò anche solo a toccare le sue vesti – dice –, sarò salvata» (Mc 5,28). Le toccò, e da Gesù uscì una forza che, grazie alla sua fede, la risanò all’istante (cfr Mc 5,29-30). Quante volte noi, specialmente noi sacerdoti, tocchiamo il Corpo eucaristico di Cristo! Con quale fede lo facciamo? Con quale ansia di essere guariti da Lui?

    Questa elemento del contatto concreto e personale lo ritroviamo anche subito dopo, nel racconto della risurrezione della figlia di Giairo. Entrato nella stanza dove lei giace defunta, Gesù «prese la mano della bambina e le disse: “Talità kum”. E subito la fanciulla si alzò e camminava» (Mc 5,41-42). Venendo a visitarci nella Comunione eucaristica, Gesù in un certo senso ci prende per mano e ci chiama a risvegliarci dal sonno della morte, a rialzarci dalle nostre cadute, dalle inerzie che rallentano il nostro cammino verso la misura alta della vita cristiana, verso la maturità di Cristo in noi. Anche qui la fede è necessaria perché Gesù possa operare con efficacia; in questo caso la fede del padre della fanciulla, a cui Gesù disse: «Non temere, soltanto abbi fede!» (Mc 5,36).

    Queste parole sembrano riassumere il messaggio del Beato Giovanni Paolo II al cristiano del Duemila: Non temere, soltanto abbi fede!

    Sono parole che indicano bene la rotta per quello che sarà l’Anno della fede indetto da Benedetto XVI, evento che, distribuito su un intero anno, farà di noi, se lo vogliamo, “testimoni credibili e gioiosi del Signore risorto nel mondo di oggi, capaci di indicare alle tante persone in ricerca la “porta della fede” (cfr Benedetto XVI, Lett. Ap. Porta fidei, 11 ottobre 2011).

    Alla luce del racconto evangelico, possiamo intendere l’appello ad una rinnovata conversione al Signore Gesù e alla riscoperta della fede, in questo senso: Anche se ti dicono che non c’è più niente da fare, anche se sembra che la morte abbia avuto l’ultima parola, non temere, continua soltanto ad avere fede; anche se i sapienti di questo mondo, riuniti al capezzale dell’umanità, deridono Gesù e lo commiserano per la sua ingenua fiducia in Dio, tu non temere, continua a credere e a sperare. Questo atteggiamento del cuore trova la sua figura emblematica e culminante proprio nella fede in Gesù Eucaristia, cioè nella presenza di Lui vivo in mezzo al suo popolo, nel mistero per cui Egli continua a trasformare l’uomo e il mondo con il suo Sacrificio d’amore e rimane con noi per guidarci nel cammino verso il Regno di Dio.

    In questo pellegrinaggio, sostenuto dal «Panis viatorum», la Chiesa è chiamata a seguire Gesù non solo quanto al fine, ma anche quanto ai mezzi e ai modi per giungere al Regno. L’Apostolo lo ricorda ai Corinzi: «Da ricco che era, si è fatto povero per voi, perché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà» (2 Cor 8,9). Da questa «grazia», che si rinnova in ogni liturgia eucaristica, viene alla comunità cristiana la forza per praticare la condivisione fraterna. Lo ricordava il Beato Giovanni Paolo II nell’Enciclica Ecclesia de Eucharistia: «L’Eucaristia, essendo la suprema manifestazione sacramentale della comunione nella Chiesa, esige di essere celebrata in un contesto di integrità dei legami anche esterni di comunione … poiché – e qui citava l’Aquinate – essa “è come la consumazione della vita spirituale e il fine di tutti i Sacramenti”» (n. 38).

    «Bone Pastor, Panis vere,
    Jesu nostri, miserere!
    Tu nos pasce, nos tuere,
    Tu nos bona fac videre
    In terra viventium» (Inno Lauda Sion).


    [SM=g1740738]

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    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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    30/08/2012 23:41
     
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    [SM=g1740722] Amici, vi offriamo tre file interessanti ed imperdibili attraverso i quali, Padre Riccardo Barile O.P. spiega molte cose sulla Liturgia denunciandone gli abusi, invitando all'amore autentico...


    **********

    PRIMO FILE
    www.gloria.tv/?media=190273


    Ogni buon cuoco conosce l’arte di riutilizzare gli avanzi e ciò che vedete e sentite sono gli avanzi utilizzati e non utilizzati per un video/filmato in argomento, che qui viene riproposto nella sua prima parte, ma rielaborato e aumentato nei contenuti e nelle immagini, anche se ovviamente non si utilizzano filmati.
    In questa prima parte sarà possibile vedere i quattordici modi di pregare di san Domenico con le immagini tratte da un codice manoscritto conservato nel Convento Patriarcale di San Domenico in Bologna. Si tratta di un inedito e di una prima assoluta.

    P. Riccardo Barile


    [SM=g1740717]


    [SM=g1740722] SECONDO FILE
    www.gloria.tv/?media=194019


    San Domenico morì il 6 agosto 1221 e dopo di lui i frati dovettero rimodellare la loro preghiera, dandole una fisionomia più stabile, e anche fondare o sostenere una preghiera del popolo, che non sempre era direttamente liturgica.

    In questa seconda parte sarà riproposto - alla buona - il canto dell’antifona Media vita, quella che faceva piangere san Tommaso d’Aquino.
    P. Riccardo Barile


    [SM=g1740717]

    [SM=g1740722] TERZO FILE
    www.gloria.tv/?media=196851


    Lo sapete che alcuni (giovani) frati domenicani ogni tanto e con solennità celebrano secondo il rito domenicano in vigore prima del Vaticano II?

    Nel video sono visibili immagini che documentano questo fenomeno “di ritorno” - ma è veramente “di ritorno”? -, oltre ad altre immagini più “normali” e financo “di sinistra”.

    Insomma, ce n’è per tutti i gusti.
    P. Riccardo Barile



    [SM=g1740717]

    [SM=g1740738]
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    07/09/2012 14:48
     
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    [SM=g1740720] L’imposizione delle mani  su pane e vino: l'adorazione, l'Eucaristia e la Santa Messa

    Soffermiamoci  sul gesto, spesso marcato dal suono del campanello, dell'imposizione delle mani sul pane e sul vino, gesto che precede la proclamazione delle parole di consacrazione: "Questo è il mio corpo… Questo è il calice del mio sangue". E i fedeli si comunicheranno con il Corpo e Sangue di Cristo, non certo con il corpo e sangue del celebrante, né con una pagnotta e della bibita....

    Nel momento centrale dell'azione Eucaristica le mani del sacerdote eseguono le parole che escono dalla sua bocca: l'invocazione dello Spirito Santo sulle offerte è significata e agisce (compie l'atto da àgere-fare) dalle sue mani distese sopra di esse, attualizzando quel meraviglioso prodigio che è la transustanziazione ossia, mentre le apparenze del pane e del vino restano veramente pane e vino, la loro sostanza diventa il prodigio, il Dio vivo e vero, nascosto, ma realmente presente.
    Noi infatti non adoriamo le apparenze del pane e del vino, non adoriamo ciò che vediamo, ma ciò che le apparenze, da quel momento, contengono. Il sacerdote prenderà poi solennemente in mano il pane e il calice, in sincronia perfetta con il racconto dell'ultima cena, ripetendo così lo stesso gesto del Signore: l'esercizio del sacerdozio ministeriale per il quale Cristo, unico e sommo Sacerdote, si dona ai discepoli radunati nel suo nome, raggiunge l'apice nell'offrire a Dio Padre e all'assemblea dei santificati il Corpo spezzato e il Sangue versato.

    Ci troviamo così di fronte ad un momento d’intensa realtà vissuta dal Cristo sul Calvario. Non è simbolismo, che coniuga in drammatica tensione la parola, che consacra, e il gesto, che sigilla, affinché il dono della salvezza sia gesto divino d'amore irreversibile, ma riviviamo realmente i fatti accaduti sul Golgota. Per questo la santa Messa non è il racconto di un fatto avvenuto duemila orsono, ma è il rivivere, in modo incruento, quei fatti che l'azione stessa della Santissima Trinità rende, sull'Altare, realmente vivi e sostanziali. In quel momento accanto all'Altare (già simbolo della pietra sulla quale Abramo stava per immolare Isacco, figlio unico, prefigurazione del Golgota sul quale verrà immolato il Figlio unico di Dio per portare a compimento tutto il progetto di Dio), c'è la Vergine Maria come stava ai piedi della Croce, e sopra l'Altare non pochi Santi hanno descritto di aver visto, durante la Consacrazione, aprirsi le porte dei Cieli e vedere i Cori degli Angeli unirsi ai nostri canti solenni; hanno visto la schiera dei Santi che in ginocchio si univano alla Santa Messa con noi, ripetendo in Cielo la Divina Liturgia.

    Eucaristia

    Per questo quando il sacerdote proclama l'inno del tre volte Santo, descrive la presenza degli Angeli. E' importante che almeno nel momento della Consacrazione, nel momento in cui il sacerdote impone le mani, le nostre ginocchia si piegano davanti al Re dei re che si rende vivo e vero, realmente presente nelle apparenze del pane e del vino da quel trono che è la Croce. Da questo momento il nostro Signore e nostro Dio è realmente presente sull'Altare e purtroppo molti fedeli, compresi i sacerdoti, spesse volte  continuano la Messa come se quel momento fosse solo un ricordo del passato, una memoria simbolica e non usano atteggiamenti di profonda adorazione dopo la Consacrazione avvenuta. E' invece fondamentale assumere un atteggiamento diverso, più consono alla Divina Presenza. Molti sacerdoti non si inginocchiano più durante la Messa e la Consacrazione e così molti fedeli li hanno imitati rendendosi complici di questa disaffezione che si manifesta anche negli atteggiamenti esteriori.

    Inoltre come per la Consacrazione è necessaria l'azione esteriore dell'imposizione delle mani consacrate del sacerdote, così anche per il resto della Messa è necessaria la nostra disposizione esteriore, affinché assuma quegli atteggiamenti che ci aiutino, l'un con l'altro, a comprendere e accogliere la Presenza Divina sull'Altare.

    Cosa intendiamo per: simbolica azione della mano

    Già di per se stessa, la mano dell'uomo è carica di significato ed è simbolo di potere e strumento di linguaggio in tutte le culture, al punto che le stesse lettere dell'alfabeto provengono da gesti ancestrali espressi dalla mano: la scrittura è proprietà intrinseca della mano. Ora, per non caricare di troppe sottigliezze la presente riflessione, ci limitiamo a sottolineare la sua simbologia attraverso tre significati fondamentali:

    1. la potestà,

    2. la differenza e

    3. l'abbandono.


    1. In tutte le tradizioni religiose la mano esercita una funzione insostituibile e fortemente espressiva: i testi, l'iconografia e i riti fanno della mano una specie d'intermediario tra l'uomo e Dio. Nella Bibbia la mano e il braccio di Dio esprimono la sua potenza creatrice e la sua trascendenza: “Il cielo è il mio trono, la terra lo sgabello dei miei piedi; - queste cose ha fatto la mia mano ed esse sono mie" (Is 66, 1-2). Perciò la creazione è la prima manifestazione (da mani-festare = eseguire con le mani) della grandezza di Dio, la sua prima scrittura; e dalle sue mani s’irradiano la luce e la vita sugli uomini. Così nelle cerimonie religiose le mani assumono la funzione di uno strumento, per il quale Dio trasmette un potere e una salvezza che soltanto Lui possiede e può donare e, nel nostro caso, è quel potere che ha trasmesso, consegnato ai suoi Ministri consacrati. Qui sta il significato profondo dell'imposizione delle mani nei gesti di benedizione; e su questo percorso si determina pure il significato dell'imposizione delle mani sul pane e sul vino nel rito della santa Eucaristia. Anche per questo la Chiesa ha acquisito l'importanza del gesto che sia il Sacerdote a dare la Comunione al fedele e non il fedele a prenderla da sé. Tale potestà è stata consegnata al sacerdote, non ai fedeli.


    2. Nella simbologia culturale dei popoli, la mano può essere destra o sinistra e può esibire la parte palmare o dorsale; di qui la simbolica della differenza: tra bene e male, tra prendere (tenere) e ricevere (contenere). La destra benedice, la sinistra maledice; la destra è misericordia, la sinistra giustizia; "il cuore del saggio va a destra, il cuore dello stolto va a sinistra" (Qo 10, 2). Le mani, in forma di reliquiario, e i talismani, in forma di mano, mettono in evidenza l'aspetto positivo della destra e il suo potere di difenderci dal male: soltanto la destra protegge e libera dalla cattiva sorte. Infine si deve notare che la parte dorsale rende la mano organo della presa e perciò esprime la nostra capacità di com-prendere (di sciogliere gli enigmi), mentre la parte palmare ci rende capaci di toccare lasciandoci toccare, di accarezzare e di costruire relazioni affettive o di amicizia.


    3. La mano nella mano significa la condivisione e l'unione di vita tra i due che si tengono per mano nel calore palmare della presa; nelle cerimonie, come nel rito di vassallaggio, le mani nelle mani significano sottomissione, abbandono, consegna della propria libertà a colui che prende le mani delle sue mani; e questo provoca sottomissione e protezione: "Le anime dei giusti sono nelle mani di Dio; il tormento non le toccherà" (Sap 3, 1).

    Nelle mani del Padre

    Il significato spirituale, che suggerisce come partecipare attivamente al sacrificio di Cristo, proprio nel momento in cui egli si fa nostro "pane vivo", emerge dalle parole con cui egli prese congedo da noi sulla croce: "Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito" (Lc 23,46). Infatti l'Eucaristia attua anche per noi il momento in cui consegnare il nostro spirito, la nostra libertà e volontà, al Signore, per restare veramente liberi: "Cristo ci ha liberati, perché restassimo liberi" (Gal 5,1), capaci di amare e di crescere nell'amore. Anche su Gesù, nel battesimo al Giordano, scese lo Spirito Santo, tanto che poté applicare a sé, nella sinagoga di Nazaret, le parole del profeta: "Lo Spirito del Signore Dio è su di me" (Is 61,1; Lc 4,18); e questo vale anche per noi, in quanto il dono di salvezza è sempre disponibile, proprio perché lo Spirito del Figlio di Dio, per la croce, è ora comunicabile ed è sempre su di noi.

    Ora, perché la celebrazione eucaristica diventi efficace e ci faccia inoltrare nella via della salvezza, sono necessarie alcune operazioni interiori, con le quali possiamo accompagnare (partecipazione attiva) il rito della Consacrazione, dall'invocazione dello Spirito Santo sulle offerte (prima epiclesi) fino all'identica invocazione sull'assemblea (seconda epiclesi); ne indichiamo tre:

    1. metterci nelle mani del Signore come fece Gesù dalla Croce, significa anche inginocchiarsi davanti a Lui;

    2. intenerire il cuore per fare spazio alla Sua Divina Presenza e

    3. invocare forza dall'Alto, lo Spirito di Verità affinché la grazia si renda attiva in noi.


    1. Consegnarci a Cristo nella verità di noi stessi, col nostro positivo e negativo, per essere pure noi "un solo corpo e un solo spirito" (preghiera eucaristica terza), significa accettare senza condizioni o riserve il suo dono: impossibile donarsi a Dio senza accogliere il suo dono. Il dono della salvezza è per tutti, poiché Dio vuole che tutti siano salvi; però la salvezza raggiunge soltanto coloro che l'accettano, che l'accolgano (o almeno non la rifiutano, per questo Benedetto XVI ha scritto una Lettera per chiarire il termine del Pro multis nelle parole della Consacrazione, quale interpretazione più fedele alle parole di Cristo); e più lasciamo entrare la salvezza nella nostra vita, più partecipiamo alla gioia del nostro Signore.
    Perciò, mentre il sacerdote stende le sue mani sulle offerte, ci uniamo a lui per rinnovare la nostra adesione a Cristo e invocando su di noi lo Spirito Santo (Terza Persona della Santissima Trinità e non una specie di energia o spirito fluttuante...) che consacrerà il pane e il vino, siamo fatti partecipi (non dei concelebranti) della Divina Eucaristia; e saremo veri discepoli del Signore.

    A ragione scrive così Benedetto XVI nella sua Enciclica Deus Caritas est:

    La vera novità del Nuovo Testamento non sta in nuove idee, ma nella figura stessa di Cristo, che dà carne e sangue ai concetti — un realismo inaudito.(…) È a partire da questo principio che devono essere comprese anche le grandi parabole di Gesù".

    Le Norme insegnano: I fedeli s’inginocchino alla consacrazione, se non sono impediti da un motivo ragionevole, come il cattivo stato di salute o la ristrettezza del luogo. Dove esiste il costume che i fedeli rimangano in ginocchio dal Sanctus fino alla dossologia della Preghiera eucaristica e prima della Sacra Comunione, all’Ecce Agnus Dei, si conservi lodevolmente tale uso... (Ordinamento Generale del Messale Romano, n. 43).

     La Chiesa, dunque, loda l'uso dell'inginocchiarsi, per chi può, perché questo atteggiamento favorisce una miglior disposizione per interiorizzare il momento sacro che stiamo vivendo e dona agli altri una concreta testimonianza in ciò in cui crediamo.

    Mons. Guido Marini, Maestro delle Celebrazioni Liturgiche del santo Padre, alla domanda:  quali sono le particolarità delle liturgie pontificie?
    Risponde: "Se pure in un contesto peculiare, quale quello dovuto alla presenza del Santo Padre, le liturgie pontificie non possono che presentare le caratteristiche tipiche di questo tempo dell’anno. Con una nota in più: quello della esemplarità. Perché non è mai da dimenticare che le celebrazioni presiedute dal Papa sono chiamate a essere punto di riferimento per l’intera Chiesa. E’ il Papa il Sommo Pontefice, il grande liturgo nella Chiesa, colui che, anche attraverso la celebrazione, esercita un vero e proprio magistero liturgico a cui tutti devono rivolgersi" (intervista dicembre 2010).

    Il Cardinale Antonio Cañizares, Prefetto della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti l’ha esposto in sintesi e con grande chiarezza nel febbraio del 2009 in un’intervista alla rivista  pubblicata anche sull'Osservatore Romano:
    Come è noto, l’attuale disciplina universale della Chiesa prevede che di norma la Comunione venga distribuita nella bocca dei fedeli. C’è poi un indulto che permette, su richiesta degli episcopati, di distribuire la Comunione anche sul palmo della mano. Questo è bene ricordarlo. Il Papa, poi, per dare maggiore risalto alla dovuta reverenza con cui dobbiamo accostarci al Corpo di Gesù, ha voluto che i fedeli che prendono la Comunione dalle sue mani lo facciano in ginocchio. Mi è sembrata un’iniziativa bella ed edificante del Vescovo di Roma.”

    Di conseguenza, lo stesso Cardinale, che allora era ancora Primate di Spagna e Arcivescovo di Toledo, dispose che nella chiesa Cattedrale di Toledo si ponesse un inginocchiatoio per coloro che desideravano “comunicarsi con rispetto e come lo fa il Papa”, ricevendo la Comunione in ginocchio.
    E ancora: “Le liturgie pontificie infatti sono sempre state, e sono tuttora, di esempio per tutto l’orbe e l'urbe cattolico”.
    Non è un segreto che Benedetto XVI ha sempre sostenuto la Comunione in ginocchio. Quando era Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, sottolineava che la pratica di inginocchiarsi per ricevere la Sacra Comunione ha a suo favore una tradizione plurisecolare, ed è un segno particolarmente espressivo di adorazione, del tutto appropriato in ragione della vera, reale e sostanziale presenza di Nostro Signore Gesù Cristo sotto le specie consacrate. Dietro il gesto di inginocchiarsi il Papa vede, dunque, niente meno che una conseguenza della fede cattolica nella presenza reale di Cristo nell’Eucaristia, la conseguenza anche della grave crisi di fede che la Chiesa e il mondo stanno vivendo.

     

    2. Intenerire il cuore significa purificare le nostre mani (intese quali azioni e opere) e renderle meno indegne di ricevere il Corpo del Signore; e questo avviene accogliendo una nuova capacità di amare, di relazionarci con gli altri rispettando, a cominciare proprio dalla nostra relazione con Dio, non solo i Comandamenti ma anche amando la Chiesa che per mezzo di Pietro e dei suoi Successori, ci comunica la comprensione e l'interpretazione corretta di questi Comandamenti e di tutta la Scrittura. Se la Messa è il Culto per eccellenza attraverso il quale Dio si relaziona con noi, a nostra volta siamo chiamati a relazionarci con gli altri, a portare questa relazione agli altri. Un amore davvero nuovo: "siate misericordiosi com'è misericordioso il Padre vostro celeste" (Lc 6,36).

    Benedetto XVI nell'aprile 2009 quando parla alla Pontificia Commissione Biblica, spiega: "..occorre leggere la Scrittura nel contesto della tradizione vivente di tutta la Chiesa. Secondo un detto di Origene, "Sacra Scriptura principalius est in corde Ecclesiae quam in materialibus instrumentis scripta" ossia "la Sacra Scrittura è scritta nel cuore della Chiesa prima che su strumenti materiali". Infatti la Chiesa porta nella sua Tradizione la memoria viva della Parola di Dio ed è lo Spirito Santo che le dona l'interpretazione di essa secondo il senso spirituale... Essere fedeli alla Chiesa significa, infatti, collocarsi nella corrente della grande Tradizione che, sotto la guida del Magistero (...) tutto quello che concerne il modo di interpretare la Scrittura è sottoposto in ultima istanza al giudizio della Chiesa, la quale adempie il divino mandato e ministero di conservare e interpretare la Parola di Dio".

    Per questo è fondamentale che ci accostiamo all'Eucaristia dopo aver accolto il Perdono di Dio mediante il Sacramento della Confessione o Riconciliazione. Senza questo Sacramento si rischia di "mangiare la propria condanna", si rischia di rendere in noi inattiva la grazia, si rischia di accostarsi al Calvario in grave stato di peccato mortale senza la volontà di cancellarlo, di condannarlo. Inoltre il perdono ricevuto non solo ci rende aperti e pronti a ricevere la grazia e a renderla efficace, ma produce frutti di santificazione e rende salde in Cristo le nostre relazioni con gli altri, benedicendole e rendendole fruttuose. Così spiegava Benedetto XVI ai teologi nel dicembre 2010: "C'è una tendenza in esegesi che dice: Gesù in Galilea avrebbe annunciato una grazia senza condizione, assolutamente incondizionata, quindi anche senza penitenza, grazia come tale, senza precondizioni umane. Ma questa è una falsa interpretazione della grazia. La penitenza è grazia".


    3. Prima di salire al cielo, Gesù rivolse agli apostoli questa promessa che è anche per noi: "Avrete forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi e mi sarete testimoni fino agli estremi confini della terra" (At 1,8). In ogni celebrazione eucaristica ci è data la possibilità di avere questa forza dall'Alto, che rende possibile l'impossibile, poiché la Chiesa del Signore non è un'azienda e non nasce né cresce con le sole forze umane: "Il regno di Dio non è questione di cibo o di bevanda, ma è giustizia, pace e gioia nello Spirito Santo" (Rm 14,17). È la Presenza di questa Divina realtà Eucaristica che, come il sale negli alimenti, dà sapore alla nostra fede liberandoci da quella tiepidezza che rende nauseante la testimonianza: "Conosco le tue opere: tu non sei né freddo né caldo. Magari tu fossi freddo o caldo! Ma poiché sei tiepido, non sei cioè né freddo né caldo, sto per vomitarti dalla mia bocca" (Ap 3,15-16). È l'azione dello Spirito Santo che rende attraente la salvezza che Cristo ci offre, portando alla pienezza la vita umana, in tutti i suoi aspetti, corroborandoci nelle gioie e consolandoci veramente nel dolore, nella fatica degli impegni assunti, nelle tribolazioni.

    Nell'Omelia del 3 settembre 2012 alla chiusura del seminario con i suoi ex allievi, così si è espresso Benedetto XVI:

    " Che dobbiamo fare? Che dobbiamo dire? Penso che ci troviamo proprio in questa fase, in cui vediamo nella Chiesa solo ciò che è fatto da se stessi, e ci viene guastata la gioia della fede; che non crediamo più e non osiamo più dire: Egli ci ha indicato chi è la verità, che cos’è la verità, ci ha mostrato che cos’è l`uomo, ci ha donato la giustizia della vita retta. Noi siamo preoccupati di lodare solo noi stessi, e temiamo di farci legare da regolamenti che ci ostacolano nella libertà e nella novità della vita.
    Se leggiamo oggi, ad esempio, nella Lettera di Giacomo: «Siete generati per mezzo di una parola di verità», chi di noi oserebbe gioire della verità che ci è stata donata?  Ci viene subito la domanda: ma come si può avere la verità? Questo è intolleranza! L’idea di verità e di intolleranza oggi sono quasi completamente fuse tra di loro, e così non osiamo più credere affatto alla verità o parlare della verità. Sembra essere lontana, sembra qualcosa a cui è meglio non fare ricorso.
    Nessuno può dire: ho la verità – questa è l’obiezione che si muove – e, giustamente, nessuno può avere la verità. E’ la verità che ci possiede, è qualcosa di vivente! Noi non siamo suoi possessori, bensì siamo afferrati da lei...."

    L'Eucaristia è la verità; è parola fedele ma anche nutrimento, è oggetto di culto, Soggetto della nostra adorazione, ma anche il Soggetto che dobbiamo portare agli altri, che dobbiamo a nostra volta comunicare agli altri. L'Eucaristia che adoriamo e viviamo nella Messa non è un simbolo, non è il ricordo dell'Ultima Cena, non è una sorgente energetica, ma è la Presenza reale del Dio Vivo e vero in mezzo a noi che ha detto: Et ecce ego vobiscum sum omnibus diebus usque ad consummationem saeculi  /  Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo (Mt.18-20).

    Non siamo noi a "possedere" l'Eucaristia, ma è l'Eucaristia che "ci afferra" e vuole essere portata, comunicata al mondo, per questo Gesù cerca "discepoli". Cerca Discepoli non per avanzare le proprie teorie e costruirne di nuove, ma per essere accolto e portato così come lo abbiamo ricevuto.
    Abbiamo così una possibilità unica nel cuore dell'Eucaristia: lasciarci consacrare come pane, che ci corrobora nella debolezza, e come vino, che tonifica le tappe della vita con quella "sobria ebbrezza dello Spirito" che dona e custodisce la pace profonda del cuore, segno inconfondibile della presenza del Signore in mezzo a noi, di questo dobbiamo essere testimoni e discepoli. Nella partecipazione all'Eucaristia, cerchiamo di non lasciarci sfuggire quei  pochi minuti della Consacrazione: l'imposizione delle mani sulle offerte e il tocco del campanello ci ricordano che il momento è solenne, ci ricorda che siamo invitati a piegare le nostre ginocchia davanti al Mistero, ci ricorda che se siamo lì davanti non è un merito nostro ma che in qualche modo siamo stati "chiamati" per rendere questa testimonianza alla Verità. E' importante che in quei momenti facciamo silenzio per interiorizzare questa Presenza, dobbiamo fare attenzione a non banalizzarlo con parole vane e canti inadatti ricordandoci che la fede che stiamo vivendo non crea il Mistero ma lo riceve, lo accoglie, lo accetta. Ora che abbiamo imparato qualcosa di più, cerchiamo di adeguare la nostra vita a questa Verità per esporci al Sole di giustizia che sta per divampare dall'Altare e che cerca testimoni, discepoli che trasmettano i fatti così come ricevuti, insegnati e tramandati infallibilmente dalla Chiesa.

     

    I Santi insegnano: alcuni esempi

    San Tommaso d'Aquino: "La celebrazione della Messa ha lo stesso valore della morte di Gesù sulla croce".

    San Francesco d'Assisi: "L'uomo dovrebbe tremare, la terra dovrebbe vibrare, il cielo intero dovrebbe commuoversi profondamente, quando il Figlio di Dio si rende presente sugli altari nelle mani del sacerdote".

    San Giovanni Maria Vianney, il curato d'Ars: "Se conoscessimo il valore della Messa, moriremmo di gioia"

    San Pio da Pietralcina: "Quando assisti alla Messa, rinnova la tua fede e medita circa la Vittima che si immola per te alla Giustizia Divina, per placarla e renderla propizia. Non te ne andare dall'altare senza versare lacrime di dolore e di amore per Gesù, crocifisso per la tua salvezza. La Vergine Addolorata ti accompagnerà e sarà la tua dolce ispirazione"

    Santa Teresa di Gesù: "Senza la Messa, che sarebbe di noi? Tutti qui giù periremmo, perché solamente la Messa può trattenere il braccio di Dio. Senza di Essa, certamente la Chiesa non durerebbe e il mondo sarebbe perduto senza rimedio."

    San Bernardo: "Si ha maggior merito assistendo ad una santa Messa con devozione, che distribuendo tutte le proprie sostanze ai poveri o viaggiando come pellegrini in tutto il mondo".

    Beata Madre Teresa di Calcutta: " Dovunque vado nel mondo intero, la cosa che mi rende più triste è guardare la gente ricevere la Comunione sulla mano".

    Eucaristia in ginocchio

    [SM=g1740738]

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    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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    Insegnamenti sulla liturgia del Santo Padre Benedetto XVI

     





    A seguito della riforma del Concilio Vaticano II, l'Ufficio per le Cerimonie Pontificie ha assunto una importanza sempre maggiore nel settore della pastorale liturgica. Le celebrazioni presiedute dal Santo Padre, infatti, sono chiamate a essere, anche per l’incidenza dei mass-media, un punto di riferimento esemplare per l’attuazione della riforma liturgica secondo gli insegnamenti conciliari, in continuità con l’intera tradizione ecclesiale e in conformità al più recente magistero dei Sommi Pontefici.


    Insegnamenti sulla liturgia del Santo Padre Benedetto XVI

     

             





    [SM=g1740717] [SM=g1740720]







    [SM=g1740771]

    Riportiamo dalla Redemptionis Sacramentum quanto segue, facendo attenzione alle parti in neretto:


    [91.] Nella distribuzione della santa Comunione è da ricordare che«i ministri sacri non possono negare i sacramenti a coloro che li chiedano opportunamente, siano disposti nel debito modo e non abbiano dal diritto la proibizione di riceverli».[177] Pertanto, ogni cattolico battezzato, che non sia impedito dal diritto, deve essere ammesso alla sacra comunione. Non è lecito, quindi, negare a un fedele la santa Comunione, per la semplice ragione, ad esempio, che egli vuole ricevere l’Eucaristia in ginocchio oppure in piedi.

    [92.] Benché ogni fedele abbia sempre il diritto di ricevere, a sua scelta, la santa Comunione in bocca,[178] se un comunicando, nelle regioni in cui la Conferenza dei Vescovi, con la conferma da parte della Sede Apostolica, lo abbia permesso, vuole ricevere il Sacramento sulla mano, gli sia distribuita la sacra ostia. Si badi, tuttavia, con particolare attenzione che il comunicando assuma subito l’ostia davanti al ministro, di modo che nessuno si allontani portando in mano le specie eucaristiche. Se c’è pericolo di profanazione, non sia distribuita la santa Comunione sulla mano dei fedeli.[179]

    [93.] È necessario che si mantenga l’uso del piattino per la Comunione dei fedeli, per evitare che la sacra ostia o qualche suo frammento cada.[180]

    94.] Non è consentito ai fedeli di «prendere da sé e tanto meno passarsi tra loro di mano in mano»[181] la sacra ostia o il sacro calice. In merito, inoltre, va rimosso l’abuso che gli sposi durante la Messa nuziale si distribuiscano in modo reciproco la santa Comunione.


    *************

    osserviamo quanto segue:

    92. il diritto è quello di ricevere la Comunione alla bocca, mentre, la ricezione della Comunione alla mano è significata da un permesso extra dato dal Vescovo del luogo e confermata dalla Sede apostolica..... Si evince chiaramente che la Comunione alla bocca è la prassi normativa di tutta la Chiesa, mentre quella alla mano è una concessione legittima.
    E laddove ci fosse pericolo di profanazione, la comunione alla mano non deve essere data, mentre resta sicuro e certo il modo tradizionale di ricevere la Comunione alla bocca....

    e da non sottvalutare questi abusi:

    Non è consentito ai fedeli di «prendere da sé e tanto meno passarsi tra loro di mano in mano»[181] la sacra ostia o il sacro calice. In merito, inoltre, va rimosso l’abuso che gli sposi durante la Messa nuziale si distribuiscano in modo reciproco la santa Comunione.

    [Modificato da Caterina63 04/10/2012 14:21]
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    ATTENZIONE: DISCORSO DEL PAPA ALLE SCHOLAE CANTORUM......

    DISCORSO DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI
    AI PARTECIPANTI ALL'INCONTRO PROMOSSO
    DALL'ASSOCIAZIONE ITALIANA SANTA CECILIA

     

    Aula Paolo VI
    Sabato, 10 novembre 2012

     

     

     

    Cari fratelli e sorelle!

     

    Con grande gioia vi accolgo, in occasione del pellegrinaggio organizzato dall’Associazione Italiana Santa Cecilia, alla quale va anzitutto il mio plauso, con il saluto cordiale al Presidente, che ringrazio per le cortesi parole, e a tutti i collaboratori. Con affetto saluto voi, appartenenti a numerose Scholae Cantorum di ogni parte d’Italia! Sono molto lieto di incontrarvi, e anche di sapere - come è stato ricordato - che domani parteciperete nella Basilica di San Pietro alla celebrazione eucaristica presieduta dal Cardinale Arciprete Angelo Comastri, offrendo naturalmente il servizio della lode con il canto.

     

    Questo vostro convegno si colloca intenzionalmente nella ricorrenza del 50° anniversario dell’apertura del Concilio Vaticano II. E con piacere ho visto che l’Associazione Santa Cecilia ha inteso così riproporre alla vostra attenzione l’insegnamento della Costituzione conciliare sulla liturgia, in particolare là dove – nel sesto capitolo – tratta della musica sacra. In tale ricorrenza, come sapete bene, ho voluto per tutta la Chiesa uno speciale Anno della fede, al fine di promuovere l’approfondimento della fede in tutti i battezzati e il comune impegno per la nuova evangelizzazione. Perciò, incontrandovi, vorrei sottolineare brevemente come la musica sacra può, anzitutto, favorire la fede e, inoltre, cooperare alla nuova evangelizzazione.

     

    Circa la fede, viene spontaneo pensare alla vicenda personale di Sant’Agostino - uno dei grandi Padri della Chiesa, vissuto tra il IV e il V secolo dopo Cristo - alla cui conversione contribuì certamente e in modo rilevante l’ascolto del canto dei salmi e degli inni, nelle liturgie presiedute da Sant’Ambrogio. Se infatti sempre la fede nasce dall’ascolto della Parola di Dio – un ascolto naturalmente non solo dei sensi, ma che dai sensi passa alla mente ed al cuore – non c’è dubbio che la musica e soprattutto il canto possono conferire alla recita dei salmi e dei cantici biblici maggiore forza comunicativa. Tra i carismi di Sant’Ambrogio vi era proprio quello di una spiccata sensibilità e capacità musicale, ed egli, una volta ordinato Vescovo di Milano, mise questo dono al servizio della fede e dell’evangelizzazione. La testimonianza di Agostino, che in quel tempo era professore a Milano e cercava Dio, cercava la fede, al riguardo è molto significativa.

    Nel decimo libro delle Confessioni, della sua Autobiografia, egli scrive: «Quando mi tornano alla mente le lacrime che canti di chiesa mi strapparono ai primordi nella mia fede riconquistata, e alla commozione che ancor oggi suscita in me non il canto, ma le parole cantate, se cantate con voce limpida e la modulazione più conveniente, riconosco di nuovo la grande utilità di questa pratica» (33, 50). L’esperienza degli inni ambrosiani fu talmente forte, che Agostino li portò impressi nella memoria e li citò spesso nelle sue opere; anzi, scrisse un’opera proprio sulla musica, il De Musica.
    Egli afferma di non approvare, durante le liturgie cantate, la ricerca del mero piacere sensibile, ma riconosce che la musica e il canto ben fatti possono aiutare ad accogliere la Parola di Dio e a provare una salutare commozione
    .

    Questa testimonianza di Sant’Agostino ci aiuta a comprendere il fatto che la Costituzione Sacrosanctum Concilium, in linea con la tradizione della Chiesa, insegna che «il canto sacro, unito alle parole, è parte necessaria ed integrante della liturgia solenne» (n. 112). Perché «necessaria ed integrante»? Non certo per motivi puramente estetici, in un senso superficiale, ma perché coopera, proprio per la sua bellezza, a nutrire ed esprimere la fede, e quindi alla gloria di Dio e alla santificazione dei fedeli, che sono il fine della musica sacra (cfr ibid.). Proprio per questo vorrei ringraziarvi per il prezioso servizio che prestate: la musica che eseguite non è un accessorio o solo un abbellimento esteriore della liturgia, ma è essa stessa liturgia. Voi aiutate l’intera Assemblea a lodare Dio, a far scendere nel profondo del cuore la sua Parola: con il canto voi pregate e fate pregare, e partecipate al canto e alla preghiera della liturgia che abbraccia l’intera creazione nel glorificare il Creatore.

     

    Il secondo aspetto che propongo alla vostra riflessione è il rapporto tra il canto sacro e la nuova evangelizzazione. La Costituzione conciliare sulla liturgia ricorda l’importanza della musica sacra nella missione ad gentes ed esorta a valorizzare le tradizioni musicali dei popoli (cfr n. 119). Ma anche proprio nei Paesi di antica evangelizzazione, come l’Italia, la musica sacra - con la sua grande tradizione che è propria, che è cultura nostra, occidentale - può avere e di fatto ha un compito rilevante, per favorire la riscoperta di Dio, un rinnovato accostamento al messaggio cristiano e ai misteri della fede.

    Pensiamo alla celebre esperienza di Paul Claudel, poeta francese, che si convertì ascoltando il canto del Magnificat durante i Vespri di Natale nella Cattedrale di Notre-Dame a Parigi: «In quel momento – egli scrive – capitò l’evento che domina tutta la mia vita. In un istante il mio cuore fu toccato e io credetti. Credetti con una forza di adesione così grande, con un tale innalzamento di tutto il mio essere, con una convinzione così potente, in una certezza che non lasciava posto a nessuna specie di dubbio che, dopo di allora, nessun ragionamento, nessuna circostanza della mia vita agitata hanno potuto scuotere la mia fede né toccarla».
    Ma, senza scomodare personaggi illustri, pensiamo a quante persone sono state toccate nel profondo dell’animo ascoltando musica sacra; e ancora di più a quanti si sono sentiti nuovamente attirati verso Dio dalla bellezza della musica liturgica come Claudel.
    E qui, cari amici, voi avete un ruolo importante: impegnatevi a migliorare la qualità del canto liturgico, senza aver timore di recuperare e valorizzare la grande tradizione musicale della Chiesa, che nel gregoriano e nella polifonia ha due delle espressioni più alte, come afferma lo stesso Vaticano II (cfr Sacrosanctum Concilium, 116).

    E vorrei sottolineare che la partecipazione attiva dell’intero Popolo di Dio alla liturgia non consiste solo nel parlare, ma anche nell’ascoltare, nell’accogliere con i sensi e con lo spirito la Parola, e questo vale anche per la musica sacra. Voi, che avete il dono del canto, potete far cantare il cuore di tante persone nelle celebrazioni liturgiche.

     

    Cari amici, auguro che in Italia la musica liturgica tenda sempre più in alto, per lodare degnamente il Signore e per mostrare come la Chiesa sia il luogo in cui la bellezza è di casa. Grazie ancora a tutti per questo incontro!
    Grazie.


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    I Salesiamo editano un messalino N.O. latino-italiano (ed. L.A.S.)

    Dell'ottima opera che i Salesiani conducono da anni per e con il latino, la lingua di S. Romana Chiesa, abbiamo parlato più volte, sia riguardo al salesiano Pontificium Institutum Altioris Latinitatis, sia (e soprattutto) in occasione dell'istituzione della nuova Pontificia Accademia di Latinità (il cui segretario è il salesiano p. R. Spataro).
    Quella che presentiamo è un'iniziativa che è diretta non tanto agli addetti ai lavori o agli studiosi, ma ai fedeli italiani che vogliono scoprire, approfondire e imparare le preghiere della Chiesa nella sua lingua universale, e desiderano poter seguire con partecipazione e frutto le SS. Messe in latino celebrate secondo il messale di Paolo VI.

     Celebrare in latino o in italiano? La risposta in un nuovo messalino
    di Antonio Gaspari, da Zenit del 17.12.2012

     
    ROMA, lunedì, 17 dicembre 2012 (ZENIT.org) - Da tempo se ne sentiva il bisogno, e ora – a 50 anni dal Concilio Vatiticano II – è arrivato in libreria, fresco di stampa. Si tratta del messalino latino-italiano, edito dalla LAS (Libreria Ateneo Salesiano), a cura del Pontificium Institutum Altioris Latinitatis dell’Università Salesiana di Roma. I tre volumi molto agevoli nel formato (e contenuti nel prezzo [€ 32,00, n.d.r.]) vengono ad arricchire il patrimonio di strumenti che possono essere di aiuto ad una partecipazione più consapevole alla divina liturgia.
     
    Per la qualità, l’importanza della pubblicazione e il ruolo che essa può svolgere, abbiamo rivolto alcune domande al professor Manlio Sodi, preside dell’Institutum o Facoltà di Lettere cristiane e classiche, e Direttore di “Rivista Liturgica”.

    Il recente Motu proprio Latina lingua di Benedetto XVI ha avuto una grande eco sulla stampa a livello mondiale; torniamo finalmente ad accostare il patrimonio culturale trasmesso con la lingua latina?

    Il Motu proprio di Benedetto XVI è apparso in una data quanto mai simbolica, il 10 novembre scorso, memoria di san Leone Magno. Con esso il Papa istituisce una nuova Accademia pontificia destinata ad incrementare la conoscenza e l’uso della lingua latina. Il documento ha avuto un’eco mondiale di notevole spessore perché l’interesse per il latino in questi anni è andato crescendo e si constata un aumento vertiginoso di coloro che desiderano conoscere meglio la lingua e cultura latina. Chi si accosta al sito www.latinitas.unisal.it può osservare alcuni aspetti di tale interesse a livello mondiale. E questo per rispondere anche al bisogno di cogliere più in profondità le radici di una cultura che abbraccia quasi tre millenni e che si è espressa fondamentalmente in latino.

    È vero che il latino sta tornando di moda? Quali sono i segni e gli ambiti che ne possono facilitare l’accostamento e l’uso?

    Di per sé il latino non è mai passato di moda; la Chiesa lo ha sempre usato anche quando Istituzioni civili con una certa miopia hanno cercato di accantonarlo nei programmi formativi con motivazioni che nulla avevano a che fare con la cultura. Il latino sta tornando di moda in numerose nazioni non solo europee. Al di là delle Istituzioni accademiche c’è però un contesto in cui il latino è più vivo che mai e questo è costituito dalla liturgia. Tutti i libri liturgici ufficiali della Chiesa di rito romano sono infatti in latino, affidati poi alle singole Conferenze episcopali per la traduzione e l’adattamento nelle lingue vive.

    Preside, bisognava attendere 50 anni per vedere di nuovo un messalino latino-italiano?

    L’occasione del 50° del Vaticano II costituisce una concomitanza interessante. La pubblicazione del messalino viene a coronare un’attesa e un’urgenza sentita da molte parti e Istituzioni. Ci voleva solo il coraggio di una Editrice e di un paziente redattore per mettere insieme 5519 pagine! Il materiale è tanto e, per quanto possibile, si è cercato di essere completi, in modo che a partire dal testo latino, posto sempre nella pagina di sinistra, il testo in lingua viva scorra accanto nella pagina di destra. Tutto questo facilita al massimo la risposta al motivo per cui uno intende usare questo strumento.

    Come si presenta questo prezioso sussidio?
     E dove è possibile trovarlo con facilità?

    Le oltre 5 mila pagine sono distribuite in tre volumi, molto agili ed “economici”. Il primo racchiude tutto ciò che fa parte della liturgia domenicale e festiva. Il secondo e il terzo contengono tutti i testi per i giorni feriali e il santorale, così distribuiti: a) Avvento – Natale – Quaresima – Pasqua – Tempo ordinario 1-10 e santorale dicembre-giugno; b) Tempo ordinario 11-34, e santorale giugno-novembre.
    Dopo una Presentazione in cui si dà il significato del sussidio e soprattutto se ne presenta il valore come risposta a numerose attese, il messalino festivo offre tutti i testi del Proprio del tempo, del Rito della Messa e delle solennità e feste. In questo modo il sussidio intende rispondere sia al bisogno per celebrazioni sia alla possibilità di verificare la ricchezza del linguaggio liturgico nella traduzione e nell’originale. Per completezza è riportata anche l’Appendice al Messale italiano. Opportuni Indici delle letture bibliche, dei salmi responsoriali e dei cantici completano l’opera.
    L’opera completa in 3 volumi costituisce pertanto un unicum che può rispondere a varie attese. Al di là delle librerie cattoliche, diretto può essere il contatto con http://las.unisal.it sia per ulteriori informazioni che per l’acquisto on line.

    Lei è anche Direttore della “Rivista Liturgica”. Quale interesse viene sottolineato dal periodico in ordine alla traditio e quindi in ordine al patrimonio liturgico che è fondamentalmente in latino?

    Con il 2013 la “Rivista Liturgica” (www.rivistaliturgica.it) entra nel 100° anno di vita. Nel suo lungo percorso ha sempre cercato di coniugare traditio e progressio nella forma che la stessa tradizione ci ha trasmesso. Conoscere i tesori della liturgia della Chiesa, anzi delle Chiese, è sempre stato motivo di studio e di approfondimento incoraggiando la conoscenza e lo studio delle fonti per comprendere meglio la ricchezza della liturgia odierna che mette a disposizione il meglio di ciò che le antiche fonti hanno trasmesso. Il fascicolo n. 6 del 2012 – che conclude il 99° anno di pubblicazioni – ha proprio i due termini nel titolo per ricordare il programma di un servizio ma soprattutto per evidenziare ciò che ha operato il Vaticano II.

    Come può essere usato il messalino latino-italiano nelle Istituzioni formative o dal fedele che ha studiato il latino?

    Per chi ha studiato il latino l’uso del messalino può costituire un’occasione per valorizzare il frutto di competenze acquisite nel confronto con tanti autori ma forse non con testi stupendi come sono quelli delle orazioni e dei prefazi per esempio.
    Altrettanto utile il messalino può risultare per i giovani che si preparano al servizio ministeriale e che almeno una volta alla settimana partecipano ad una celebrazione in lingua latina (magari con le letture in lingua viva…). È in questo modo che si entra nei dinamismi di un linguaggio e in contatto con una terminologia il cui accostamento – in altro contesto da quello cultuale – permette di far vedere il rapporto che intercorre tra molti termini e la teologia liturgica che da essi rifluisce.
    Ma l’edizione è anche un invito a saper valorizzare quelle parti dell’ordinario della Messa in lingua latina, costituite dal Gloria, Credo, Sanctus, Agnus Dei… come pure le splendide sequenze (Victimae paschali, Veni sancte Spiritus, Lauda Sion…): testi legati al canto, spesso ben conosciuti, che possono ancora oggi essere eseguiti soprattutto come segno di comunione in contesti di fedeli con provenienza multiculturale, o per mantenere un esplicito rapporto con i tesori della Tradizione di Rito romano.
    Per i cultori del latino questa è un’opportunità preziosa per cogliere e approfondire la ricchezza della teologia liturgica racchiusa nelle espressioni codificate nell’eucologia. La verifica della traduzione predisposta quasi trent’anni fa dalla CEI lascia intravedere le attese che saranno colmate quando apparirà la rinnovata edizione del Messale per la Chiesa in Italia.

    Prospettive ulteriori quindi anche per l’Institutum Altioris Latinitatis?

    L’Institutum ha una sua propria missio orientata a formare persone competenti nella conoscenza del latino e del greco. In questo orizzonte anche la latinitas liturgica come quella canonica ed ecclesiastica hanno il loro spazio per facilitare la conoscenza delle diverse modalità con cui il latino viene valorizzato oggi nella Chiesa.

    L’auspicio che ha spinto all’edizione del messalino si colloca in un contesto di attualità in cui il ritorno al latino sembra costituire un’attesa sollecitata da più parti. Il Pontificium Institutum Altioris Latinitatis, istituito da Paolo VI nel 1964, ha patrocinato quest’opera, sicuro di colmare un’attesa lunga quasi cinquant’anni. Ed è nella stessa prospettiva che sta curando edizioni di prestigio nelle sue due collane “Veterum et Coaevorum Sapientia” (in cui sono apparsi finora 7 volumi) e “Flumina ex Fontibus” che ospiterà vari volumi già a cominciare dal 2013.

    La sfida dunque continua; noi l’abbiamo raccolta e cerchiamo di rispondervi!
     
    ** ** **

    NOTE TECNICHE E DATI
     
     
    Tutti e tre i Messalini dal Sito della L.A.S. Stampa a 2 colori su carta tipo India Formato: cm 12 x 17,5 Rilegatura cartonata
     
    1) NICOLOO' SUFFI (a cura di),  Messale festivo latino-italiano -Domeniche e feste, ed. LAS 2012, pp. 1.824, € 32,00
    Questo messale contiene tutti i testi ufficiali delle preghiere e delle letture della messa delle domeniche e delle solennità e feste del Signore in lingua latina e italiana. I testi latini e italiani sono collocati in pagine affiancate. Il testo è diviso secondo i tempi liturgici: Avvento, Natale, Quaresima, Pasqua, Tempo Ordinario, Solennità e feste del Signore, che, quando cadono di domenica, tengono il posto della liturgia domenicale. Nella parte centrale riporta il rito della Messa con tutte le preghiere eucaristiche.

    I testi italiani sono ricavati dalla seconda edizione del “Messale Romano” e dalla recente edizione del “Lezionario domenicale e festivo” promulgato dalla CEI. I testi eucologici latini sono presi dalla terza edizione tipica del “Missale Romanum”, mentre i testi delle letture sono ricavati dall’edizione tipica della “Nova Vulgata”, promulgata da Giovanni Paolo II.
    Questo messale può essere usato quando la messa viene celebrata in lingua latina, ma può essere utile anche quando la messa è celebrata in italiano, sia per prepararsi alla celebrazione sia perché il confronto con i testi originali latini può a aiutare a comprendere meglio il pieno significato dottrinale della preghiera.
     

     
    2) N. SUFFI (a cura di), Messale feriale latino-italiano I.  Avvento, Natale, Quaresima, T.O. I - X Santorale dicembre-giugno; ed. L.A.S. 2012, pp. 1.902, € 32,00
    Questo Primo volume contiene i testi delle ferie e del santorale dal mese di novembre (inizio dell’Avvento) al mese di giugno (10a settimana del Tempo Ordinario).
     
    3) N. SUFFI (a cura di), Messale feriale latino-italiano II. Tempo ordinario XI - XXXIV, Santorale giugno-novembre; ed. L.A.S. 2012, pp. 1.792, € 32,00
    Il Secondo volume contiene i testi delle ferie e del santorale dal mese di giugno (11a settimana del Tempo Ordinario) al mese di novembre (XXXIV settimana).
     
    Ognuno dei due volumi contiene il Rito della Messa, il Comune dei Santi, le Messe per varie necessità, le Messe votive, le Messe dei defunti.

    Questo Sussidio mette a disposizione dei sacerdoti e dei fedeli laici tutti i testi della Messa, utili per la preparazione e la partecipazione alle Messa oltre che per la meditazione personale. Inoltre, poiché la lex orandi, la lex credendi e la lex vivendi si influenzano a vicenda, il confronto tra i testi liturgici latini e quelli della traduzione italiana può aiutare a riflettere sul modo della comunità odierna di esprimere e di vivere la fede, di pregare la vita e di tradurre la preghiera nella vita.



    [SM=g1740722]
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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    18/12/2012 15:42
     
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    Il colore rosa non è stato abolito. Si può usare anche nel N.O. per le domenica 'Gaudete' e 'Laetare'.

    Spesso, i nostri lettori, con cadenze abbastanza regolari  ci domandano qualche informazione su quali documenti si possa leggere che il rosa (e il nero e il celeste) non sono stati aboliti dalla riforma liturgica, in modo da poter rispondere preparati e con competenza ai parroci o ai preti che, per solo spirito polemico, impugnano la riforma per giustificare loro gusti personali o le loro ideologie "progressiste", tacciando di reazionarismo chi invece chiede solo l'applicazione di consuetudini inveterate, care alla gente e, colpa più grossa,... alla Tradizione.
    A questi lettori abbiamo sempre risposto in privato (e qlche volta abbiamo pubblicato anche foto per rassicurare che anche in pratica il rosa e il celeste sono rimasti).
    Aver trovato il seguente articolo di Zenit, ci fornisce oggi gradita occasione per proporre una più competente e documentata risposta: il rosa (così come il celeste e il nero) non è abolito!
    Questo, qualora l'esempio del Papa felicemente regnante lasci ancora dubbi in proposito.
    Roberto
     
    I paramenti rosa nella terza domenica di Avvento [e nella IV di Quaresima]
    [Traduzione dall’inglese a cura di Paul De Maeyer, Zenit del 14.12.2012
     
     
    ROMA, venerdì, 14 dicembre 2012 (ZENIT.org).- Un nostro lettore anglosassone ha rivolto la seguente domanda a padre Edward McNamara L.C., professore di Teologia e direttore spirituale:
     
    Ho sempre visto indossare il sacerdote una casula rosa nella Domenica Gaudete, la terza Domenica di Avvento. Ma il nostro parroco ci ha informato che tale pratica è stata abolita e che dunque non vi erano più paramenti né candele rosa in Avvento. Ma un sacerdote in visita nella nostra parrocchia li ha portati la Domenica successiva, e, quando gliel'ho chiesto ha insistito sul fatto che la pratica non era mai stata cambiata -- RL, Frederick, Maryland (USA)

    Padre McNamara ha risposto: Il nostro lettore del Maryland (ed altri) hanno posto delle domande rispetto ai paramenti di colore rosa nelle Domeniche Gaudete e Laetare in Avvento.

    Le norme fondamentali riguardo all'uso dei colori liturgici si trovano nell'Ordinamento Generale del Messale Romano, al n° 346.

    “Riguardo al colore delle sacre vesti, si mantenga l'uso tradizionale, e cioè:
    a) Il colore bianco si usa negli Uffici e nelle Messe del tempo pasquale e del tempo natalizio. Inoltre: nelle celebrazioni del Signore, escluse quelle della Passione; nelle feste e nelle memorie della beata Vergine Maria, dei Santi Angeli, dei Santi non Martiri, nelle solennità di Tutti i Santi (1 novembre) e di san Giovanni Battista (24 giugno), nelle feste di san Giovanni evangelista (27 dicembre), della Cattedra di san Pietro (22 febbraio) e della Conversione di san Paolo (25 gennaio).
    b) Il colore rosso si usa nella domenica di Passione (o delle Palme) e nel Venerdì santo, nella domenica di Pentecoste, nelle celebrazioni della Passione del Signore, nella festa natalizia degli Apostoli e degli evangelisti e nelle celebrazioni dei Santi Martiri.
    c) Il colore verde si usa negli Uffici e nelle Messe del tempo ordinario.
    d) Il colore viola si usa nel tempo di Avvento e di Quaresima. Si può usare negli Uffici e nelle Messe per i defunti.
    e) Il colore nero si può usare, dove è prassi consueta, nelle Messe per i defunti.
    f) Il colore rosaceo si può usare, dove è tradizione, nelle domeniche Gaudete (III di Avvento) e Laetare (IV di Quaresima).
    g) Nei giorni più solenni si possono usare vesti festive più preziose, anche se non sono del colore del giorno”.
    Nella versione inglese, il testo continua con il punto h, che dice:

    “Vesti di colore oro o argento possono essere indossate in occasioni più solenni nelle diocesi degli Stati Uniti d'America”.

    A questo si possono aggiungere due osservazioni dell'istruzione Redemptionis Sacramentum, cioè i numeri 121 e 127.

    Il n° 121 dice: “La varietà dei colori nelle vesti sacre ha lo scopo di esprimere, anche con mezzi esterni, da un lato la caratteristica particolare dei misteri della fede che vengono celebrati, e dall'altro il senso della vita cristiana in cammino lungo il corso dell'anno liturgico. In realtà, la differenza di compiti nella celebrazione della sacra Liturgia, si manifesta esteriormente con la diversità delle vesti sacre. Conviene che tali vesti sacre contribuiscano anche al decoro della stessa azione sacra”.

    Nel n° 127 si legge: “Nei libri liturgici si dà speciale facoltà di utilizzare nei giorni più solenni le sacre vesti festive, ovvero di maggiore dignità, anche se non siano del colore del giorno. Tale facoltà, tuttavia, riguardando propriamente vesti tessute molti anni or sono al fine di preservare il patrimonio della Chiesa, viene estesa impropriamente a innovazioni in modo tale che, lasciando da parte gli usi tramandati, si assumono forme e colori secondo gusti soggettivi e si menoma il senso di tale norma a detrimento della tradizione. In occasione di un giorno festivo, vesti sacre di color oro o argento possono sostituire, secondo opportunità, quelle di altro colore, ma non le vesti violacee e nere”.

    Da tutto ciò emerge che l'abitudine di utilizzare paramenti rosa nelle Domeniche Gaudete e Laetare va mantenuta, quandunque possibile.
    Se una parrocchia non ha i paramenti colore rosa si utilizza di solito quelli di colore viola.
    I nomi Gaudete e Laetare vengono dalla tradizionale antifona d'ingresso, o introito, che viene cantata in queste Messe.
    Entrambi i termini possono essere tradotti con "rallegratevi" e “gioire” e riferiscono all'importanza del tema della gioia cristiana, anche in un periodo con una certa caratteristica penitenziale (sebbene più come una preparazione e non tanto di pentimento come la Quaresima), che si riflette nelle formule e nelle letture di entrambe queste domeniche.
    Rev.do don Thomas Jochemczyk
    parroco di Tavole e di Molini di Prelà
    (Diocesi di Albenga-Imperia)

    Per quanto riguarda i colori liturgici, una conferenza episcopale, soprattutto nei territori di missione, può chiedere l'approvazione della Santa Sede per adottare altri colori se il simbolismo dei colori tradizionali potrebbe essere frainteso.

    In alcuni Paesi asiatici, ad esempio, il bianco è il colore tradizionale del lutto e non ha i connotati di festa che prevale nella società occidentale. In tali casi, i vescovi possono proporre i colori tradizionali di festa della cultura.
    Anche se l'azzurro o il celeste non sono colori liturgici ufficiali, alcuni paesi, come la Spagna, ed alcuni santuari mariani hanno il privilegio di usare paramenti di colore azzurro o celeste nelle festività mariane come l'Immacolata Concezione. Si tratta di vesti realizzate con tessuti di colore blu o celeste e non semplicemente vesti di colore bianco o argento con rifiniture o motivi mariani di colore azzurro, che possono essere utilizzati ovunque.

    Dal punto di vista storico, pare che tutti i paramenti sacri erano bianchi fino al settimo secolo circa. Intorno al tempo di Papa Innocenzo III (morto nel 1216) c'erano i quattro colori principali (rosso, bianco, nero e verde) e tre colori secondari (giallo, rosa e viola). Ma un criterio comune per l'uso dei vari colori non venne trovato fino al 1550 circa, quando l'uso attuale diventò norma. 

    Come spiega la Redemptionis Sacramentum al n° 121 (cfr. sopra), lo scopo di utilizzare colori diversi è quello di esprimere la caratteristica particolare dei vari misteri della fede. L'uso dei diversi colori è allo stesso tempo pedagogico e simbolico delle varie feste liturgiche e periodi.

    Così, il bianco, simbolo della luce e della purezza, e l'oro e l'argento sono i colori festivi. Il rosso esprime sia il fuoco dello Spirito Santo e il sangue della passione e del martirio. Il verde è il colore simbolo di speranza e di serenità.

    Il viola, ricorda tristezza e penitenza, ha sostituito in gran parte il nero per i funerali, anche se si può continuare ad usare. Il rosa, che non è mai stato usato frequentemente, serve a ricordare, utilizzando un colore insolito, che siamo arrivati alla metà di un periodo di preparazione e di penitenza.

    [SM=g1740766]


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    05/02/2013 12:55
     
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    Sull’altare come sul Calvario

    68763_4279425878183_15330940_nRIFLESSIONI DI UN SACERDOTE DOPO LA SUA PRIMA MESSA TRIDENTINA

    «Devo confessarvi di essere riuscito a stento a trattenere le lacrime. Per la prima volta in vita mia – salvo le rarissime volte in cui ho celebrato la Messa in privato – mi sono sentito tutto solo sull’altare, a tu per tu col Signore. In chiesa non mi era mai capitato.

    Veramente in questa liturgia il sacerdote appare come colui che offre il sacrificio a nome del Popolo e da solo intercede per tutti. Io vorrei quindi ringraziare tutti voi per avermi dato, col vostro invito, la possibilità di fare questa esperienza. E torno a casa con tanti motivi di riflessione.

    Noi sacerdoti celebriamo ogni giorno, per motivi pastorali, la Messa in volgare, approvata dal Papa, certo, ma che non di rado ci dà motivo di distrazione, coi suoi canti, col suo rumore, coi suoi spostamenti.

    Invece la geografia della Messa antica è molto più circoscritta. Tutto si svolge nell’ambito dell’altare, nell’ambito del Golgota. E così risalta in modo tangibile la tragedia del sacrificio del Calvario, nel quale Gesù Cristo stette fermo sulla croce per tre ore intere.

    Nel raccoglimento che caratterizza questa liturgia, io non credo che il popolo non partecipi. Non credo che vi sia esclusione. Al contrario sono convinto che voi questa sera, col vostro silenzio adorante, abbracciavate tutti gli altri.

    E ora vorrei invitarvi a pregare per il Papa».




    [SM=g1740766]

    Messa

    Predica di Padre Konrad Ringraziamento nella Messa 4.3.2013

     

    In nomine Patri, et Filii, et Spiritus Sancti.
    San Paolo ci ammonisce oggi di non parlare della fornicazione, di impurità o di avarizia, né di ciò che è vergognoso, sciocco o scurrile, ma piuttosto di ringraziare. Dice lui: siamo i figli dilettissimi di Dio e dunque dobbiamo camminare nel Diletto; siamo i figli della luce della quale i frutti sono la bontà, la giustizia e la verità.
    Bisogna esaminarci, carissimi fedeli, sulle nostre parole: i giornali e la televisione ci presentano, quasi unicamente, una visione di una realtà tenebrosa, impura e vergognosa che non è materia degna delle parole, né delle meditazioni di noi cattolici redenti nel Sangue preziosissimo del Signore. Piuttosto bisogna ringraziare.

    Chiediamoci, dunque oggi, che cosa è il ringraziamento, o la gratitudine?

    La gratitudine è la virtù che inclina l'uomo a riconoscere ed a retribuire i benefici che ha ricevuto da un altro. E' una virtù necessaria e bellissima tra l'altro, perché promuove la carità e l'umiltà.
    Promuove la carità in quanto unisce i cuori di coloro che danno a coloro che ricevono e promuove l'umiltà in quanto colui che rende grazie, si sottomette al suo benefattore.
    Per questi motivi è una virtù che i genitori devono istillare con la massima cura nei cuori dei loro figli.

    L'oggetto principale, allora, della nostra gratitudine deve essere Dio stesso. Come tale fa parte della virtù della religione che è la virtù di rendere il culto debito a Dio e si manifesta nella Preghiera.
    La nostra Preghiera non deve essere solo petizione ma anche ringraziamento. Non siamo come coloro che chiedono qualche artefatto in un negozio con grande gentilezza, e quando lo ottengono non dicono più niente. Non siamo come i lebbrosi guariti dal Signore di cui solo uno è tornato per ringraziarLo, ma piuttosto proviamo a far corrispondere la gratitudine alla petizione, in un equilibrio armonioso e perfetto col cuore amorevole ed umile.
    Nel sublime nostro Prefazio della Santa Messa sta il dialogo tra Sacerdote e  fedeli che, secondo Dom Prosper Guéranger, è antico quanto la Chiesa e tutto ci fa credere che siano stati gli stessi Apostoli a fissarlo, poiché si incontra nelle Chiese più antiche e in tutte le Liturgie. In questo dialogo il Sacerdote dice:

    - "Rendiamo grazie al Signore - Gratias agamus Domino Deo nostro", i fedeli rispondono:

    - "Dignum et iustum est - è giusto e necessario", il Sacerdote continua nella persona della Chiesa docente:

    - " Vere dignum et iustum est, aequum et salutare, nos tibi semper ut ubique gratias agere: Domine, sancte Pater, omnipotens aeterne Deus: per Christum Dominum nostrum" (E' veramente giusto e necessario, è nostro dovere e nostra salvezza, renderti grazie sempre e ovunque, o Signore, Padre santo, Dio eterno e onnipotente, mediante il Cristo nostro Signore).

    In questo dialogo osserviamo la frase "semper ut ubique", sempre e ovunque, bisogna ringraziare il Signore dunque, per tutto, per il bene ma anche per il male, perché il male è per il nostro ultimo bene, così come ringraziamo un medico per un trattamento anche se ci fa male, temporaneamente.
    Se l'oggetto principale della nostra gratitudine e ringraziamento è Dio stesso, la sua forma più alta è la Santa Messa perché, nella Santa Messa, riconosciamo i benefici di Dio a noi e li retribuiamo in modo adeguato.
    Riconosciamo i suoi benefici che sono soprattutto il Sacrificio di Nostro Signore Gesù Cristo + per amore di noi sul monte Calvario, e li retribuiamo lì, con l'offerta di questo stesso Sacrificio a Lui, durante i Sacri Misteri. Questa retribuzione è adeguata in quanto offre Nostro Signore Gesù Cristo + in riscambio per nostro Signore Gesù Cristo + in quanto offre Dio in riscambio per Dio, come prega il Sacerdote nella Santa Messa: "Cosa renderò io al Signore per tutte le cose che ha dato a me? Prenderò il Calice della salvezza e invocherò il nome del Signore".

    Sempre nelle parole di Dom Guéranger leggiamo: il Sacrificio del Corpo e del Sangue di Cristo è per noi il mezzo privilegiato per ringraziare la Divina Maestà, poiché solo attraverso di Esso possiamo rendere a Dio tutto ciò che Gli dobbiamo. Il fatto che questo ringraziamento passa attraverso il Signore, viene espresso alla fine del Prefazio con le parole "per Christum Dominum nostrum".
    La Santa Messa, per questi motivi, è un grande atto di ringraziamento a Dio, anzi, l'atto di ringraziamento in assoluto, perciò la Santa Messa si chiama anche Eucharistia che significa, appunto, ringraziamento.
    Il ringraziamento a Dio, però non è completo senza l'offerta di sé  stessi a Dio Padre in unione all'offerta di Dio Figlio. Se nostro Signore si è dato completamente a noi, bisogna che noi ci diamo completamente a Lui.

    Così nel Santo Sacrificio della Messa, nella Eucharistia ci uniamo a nostro Signore Gesù Cristo + nell'offertorio, quando il celebrante offre in anticipo il Divino Agnello al Padre, ci uniamo a Lui nella Consacrazione quando quel Divino Agnello viene immolato; e ci diamo a Lui in quella Preghiera che si chiama il ringraziamento dopo la Santa Messa; ci diamo a Lui come Lui si dona a noi, ossia in modo completo ed intero.
    Bisogna ringraziare, dice San Paolo, e questo soprattutto nella Santa Messa ma anche in tutta la nostra vita in un atteggiamento di riconoscenza per tutti i benefici di Dio e nel desiderio di retribuirli, ma soprattutto con l'offerta a Dio costante di tutto ciò che facciamo, diciamo e pensiamo, di tutto ciò che siamo alla gloria della Santissima Trinità.
    Amen.

    In nomine Patri, et Filii, et Spiritus Sancti.

     

    Sia lodato Gesù Cristo +

     

     
    [Modificato da Caterina63 05/03/2013 11:29]
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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    19/06/2013 16:40
     
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    Attenzione:

    san Giuseppe entra nelle preghiere eucaristiche 

    In questi tempi di grave crisi della Chiesa Cattolica, talvolta siamo portati ad un certo scoraggiamento. Nostro Signore, però, non abbandona né la Chiesa né noi e la notizia di oggi ci riempie i cuori di gioia.

    Infatti, tramite il decreto Paternas vices (prot. N. 215/11/L) della Congregazione per il Culto Divino e la disciplina dei Sacramenti – a firma del card. Prefetto, Antonio Canizares Llovera e datato 1° maggio 2013 – il Sommo Pontefice Francesco – portando a termine un percorso iniziato già sotto il venerato predecessore Benedetto XVI – ha ordinato che il nome di san Giuseppe dovrà comparire nella III edizione tipica del Messale Romano (quella che è in vigore nell’originale latino dal 2002 e che è in corso di traduzione in italiano) non solo nella Preghiera Eucaristica I (Canone Romano)(questo succede già dal 1962, dopo il provvedimento del beato Giovanni XXIII), ma anche nella II, III e IV.

    La seconda preghiera apparirà così: “et cum beata Dei Genetrice Virgine Maria, beato Ioseph, eius Sponso, beatis Apostolis”.
    La terza così: “cum beatissima Virgine, Dei Genetrice, Maria, cum beato Ioseph, eius Sponso, cum beatis Apostolis”.
    La quarta così: “cum Beata Virgine, Dei Genetrice, Maria, cum beato Ioseph, eius Sponso, cum Apostolis”.


    Attendendo la traduzione ufficiale in italiano che probabilmente verrà fornita dalla Congregazione medesima, provvediamo a fornire una nostra modesta traduzione non ufficiale.

    Per la seconda preghiera eucaristica: “insieme con la beata Maria, Vergine e Madre di Dio, con San Giuseppe, suo sposo, con gli apostoli”.
    Per la terza: “con la beata Maria, Vergine e Madre di Dio, con san Giuseppe, suo sposo, con i tuoi santi apostoli”.
    Per la quarta: “con la beata Maria Vergine e Madre di Dio, con san Giuseppe, suo sposo, con gli apostoli”.

    Dunque, tra qualche tempo in tutte le chiese – sperando ovviamente che alcuni reverendi sacerdoti non facciano di testa loro, disattendendo le indicazioni di Roma, magari in nome dell’ “ecumenismo” o di una “fede adulta” – dell’orbe cattolico risuonerà, nel momento più alto di tutta la celebrazione, il carissimo nome di san Giuseppe, padre putativo di Nostro Signore Gesù Cristo, patrono della Chiesa universale, terrore dei demoni, conforto dei moribondi.

    Già sin d’ora il beatissimo sposo della santissima Vergine si degni di intercedere per tutta la Chiesa universale – ma crediamo non abbia mai smesso di farlo, in questi anni – affinché copiose grazie discendano su tutto il Corpo mistico del Signore Nostro Gesù Cristo.
    Interceda pure il beato Giovanni XXIII, che supponiamo dal cielo si stia rallegrando di questo provvedimento del suo successore.
    E, concludendo, un ringraziamento dal profondo del cuore per questo provvedimento al regnante Pontefice Francesco e pure al Papa emerito Benedetto XVI.

    Via: http://wdtprs.com/blog/2013/06/action-item-st-josephs-name-now-in-eucharistic-prayers-ii-iii-iv/

    sanGiuseppe





        IL DRECRETO UFFICIALE:

    Lo scorso 1° maggio la Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti ha emesso un Decreto con il quale ha disposto che, come già avviene nel Canone Romano, anche nelle Preghiere eucaristiche II, III e IV della terza edizione tipica del Messale Romano, dopo la Beata Vergine Maria, si faccia menzione del nome di San Giuseppe, Suo Sposo.

     Pubblichiamo di seguito il testo del Decreto in lingua latina e nelle varie traduzioni, nonché le formule che spettano al nome di San Giuseppe nelle suddette Preghiere eucaristiche, in latino e nelle traduzioni nelle lingue occidentali di maggiore diffusione:
    •TESTO DEL DECRETO IN LINGUA LATINA


     DECRETUM

    Paternas vices erga Iesum exercens, in oeconomia salutis super Familiam Domini constitutus munus gratiae Sanctus Ioseph Nazarenus luculenter adimplevit et, humanae salutis mysteriorum primordiis summopere adhaerens, benignae humilitatis est exemplar, quam christiana fides sublimes ad fines provehit, et documentum communium humanarum simpliciumque virtutum, quae necesse sunt, ut homines boni sint verique Christi sectatores. Per eas vir Iustus ille, amantissimam gerens Dei Genetricis curam laetantique studio Iesu Christi sese institutioni devovens, pretiosissimorum Dei Patris thesaurorum custos factus est et tamquam mystici illius corporis, quae est Ecclesia, subsidium assiduo populi Dei cultu per saecula prosecutus est.

    In Catholica Ecclesia christifideles iugem erga Sanctum Ioseph praebere consueverunt devotionem ac sollemnioribus ritibus assiduoque cultu castissimi Deiparae Sponsi memoriam adhuc utpote caelestis universae Ecclesiae Patroni adeo percoluerunt, ut iam Beatus Ioannes Pp. XXIII tempore Sacrosancti Oecumenici Concilii Vaticani Secundi nomen eius vetustissimo Canoni Romano addi decerneret. Quae honestissima placita pluribus ex locis perscripta Summus Pontifex Benedictus XVI persolvenda suscepit atque benigne approbavit ac Summus Pontifex Franciscus nuperrime confirmavit, prae oculis habentes plenam illam communionem Sanctorum, qui iam nobiscum viatores in mundo ad Christum nos adducunt eique coniungunt.

    Exinde, attentis expositis, haec Congregatio de Cultu Divino et Disciplina Sacramentorum, vigore facultatum a Summo Pontifice Francisco tributarum, perlibenter decrevit, ut nomen Sancti Ioseph Beatae Mariae Virginis Sponsi Precibus eucharisticis II, III et IV, quae in editione typica tertia Missalis Romani sunt, posthac adiciatur, post nomen Beatae Virginis Mariae additis verbis, uti sequitur: in Prece eucharistica II: « ut cum beáta Dei Genetríce Vírgine María, beáto Ioseph, eius Sponso, beátis Apóstolis »; in Prece eucharistica III: « cum beatíssima Vírgine, Dei Genetríce, María, cum beáto Ioseph, eius Sponso, cum beátis Apóstolis »; in Prece eucharistica IV: « cum beáta Vírgine, Dei Genetríce, María, cum beáto Ioseph, eius Sponso, cum Apóstolis ».

    Circa textus lingua latina exaratos, adhibeantur hae formulae, quae nunc typicae declarantur. De translationibus in linguas populares occidentales maioris diffusionis ipsa Congregatio mox providebit; illae vero in aliis linguis apparandae ad normam iuris a Conferentia Episcoporum conficiantur, Apostolicae Sedi per hoc Dicasterium recognoscendae.

    Contrariis quibuslibet minime obstantibus.

    Ex aedibus Congregationis de Cultu Divino et Disciplina Sacramentorum, die 1 mensis Maii anno 2013, sancti Ioseph opificis.

    Antonius Card. Cañizares Llovera
     Praefectus

     + Arturus Roche
     Archiepiscopus a Secretis


    TRADUZIONE IN LINGUA ITALIANA


     DECRETO

    Mediante la cura paterna di Gesù, San Giuseppe di Nazareth, posto a capo della Famiglia del Signore, adempì copiosamente la missione ricevuta dalla grazia nell’economia della salvezza e, aderendo pienamente agli inizi dei misteri dell’umana salvezza, è divenuto modello esemplare di quella generosa umiltà che il cristianesimo solleva a grandi destini e testimone di quelle virtù comuni, umane e semplici, necessarie perché gli uomini siano onesti e autentici seguaci di Cristo. Per mezzo di esse quel Giusto, che si è preso amorevole cura della Madre di Dio e si è dedicato con gioioso impegno all’educazione di Gesù Cristo, è divenuto il custode dei più preziosi tesori di Dio Padre ed è stato incessantemente venerato nei secoli dal popolo di Dio quale sostegno di quel corpo mistico che è la Chiesa.

    Nella Chiesa cattolica i fedeli hanno sempre manifestato ininterrotta devozione per San Giuseppe e ne hanno onorato solennemente e costantemente la memoria di Sposo castissimo della Madre di Dio e Patrono celeste di tutta la Chiesa, al punto che già il Beato Giovanni XXIII, durante il Sacrosanto Concilio Ecumenico Vaticano II, decretò che ne fosse aggiunto il nome nell’antichissimo Canone Romano. Il Sommo Pontefice Benedetto XVI ha voluto accogliere e benevolmente approvare i devotissimi auspici giunti per iscritto da molteplici luoghi, che ora il Sommo Pontefice Francesco ha confermato, considerando la pienezza della comunione dei Santi che, un tempo pellegrini insieme a noi nel mondo, ci conducono a Cristo e a lui ci uniscono.

    Pertanto, tenuto conto di ciò, questa Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, in virtù delle facoltà concesse dal Sommo Pontefice Francesco, di buon grado decreta che il nome di San Giuseppe, Sposo della Beata Vergine Maria, sia d’ora in avanti aggiunto nelle Preghiere eucaristiche II, III e IV della terza edizione tipica del Messale Romano, apposto dopo il nome della Beata Vergine Maria come segue: nella Preghiera eucaristica II: « ut cum beáta Dei Genetríce Vírgine María, beáto Ioseph, eius Sponso, beátis Apóstolis »; nella Preghiera eucaristica III: « cum beatíssima Vírgine, Dei Genetríce, María, cum beáto Ioseph, eius Sponso, cum beátis Apóstolis »; nella Preghiera eucaristica IV: « cum beáta Vírgine, Dei Genetríce, María, cum beáto Ioseph, eius Sponso, cum Apóstolis ».

    Quanto ai testi redatti in lingua latina, si utilizzino le formule che da ora sono dichiarate tipiche. La Congregazione stessa si occuperà in seguito di provvedere alle traduzioni nelle lingue occidentali di maggior diffusione; quelle da redigere nelle altre lingue dovranno essere preparate, a norma del diritto, dalla relativa Conferenza dei Vescovi e confermate dalla Sede Apostolica tramite questo Dicastero.

    Nonostante qualsiasi cosa in contrario.

    Dalla Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, 1 maggio 2013, S. Giuseppe artigiano.

    Antonio Card. Cañizares Llovera
     Prefetto

      + Arthur Roche
     Arcivescovo Segretario




     Nella Preghiera eucaristica II:
    «insieme con la beata Maria, Vergine e Madre di Dio, con san Giuseppe, suo sposo, con gli apostoli...»;

    Nella Preghiera eucaristica III:
    «con la beata Maria, Vergine e Madre di Dio, con san Giuseppe, suo sposo, con i tuoi santi apostoli....»;

    Nella Preghiera eucaristica IV:
    «con la beata Maria, Vergine e Madre di Dio, con san Giuseppe, suo sposo, con gli apostoli...».



    San Giuseppe? Che ci aiuti
    a seguire i suoi passi


        di Antonio, cardinale,Cañizares Llovera

        È stato reso pubblico il decreto della Congregazione per il Culto divino e la disciplina dei sacramenti in virtù del quale il nome di san Giuseppe viene aggiunto nelle preghiere eucaristiche ii, iii e iv, apposto dopo quello di Maria, Vergine e Madre di Dio. Già dal pontificato di Giovanni XXIII il suo nome era stato aggiunto nella prima preghiera, il cosiddetto "Canone romano". Ci rallegriamo di questa scelta che in tanti aspettavamo.

        San Giuseppe, è senza alcun dubbio una figura vicina e cara al cuore del popolo di Dio, una figura che invita a cantare incessantemente la misericordia del Padre, perché il Signore ha compiuto in lui grandi opere e ha mostrato la sua infinita misericordia verso gli uomini. Non possiamo dimenticare che la figura di san Giuseppe, pur restando alquanto nascosta e nel silenzio, riveste un'importanza fondamentale nella storia della salvezza. A lui Dio affidò la custodia dei suoi tesori più preziosi: il suo Figlio unigenito, fattosi carne, e la sua Madre santa, sempre Vergine. A lui obbedì Gesù Cristo, autore della nostra salvezza; in lui abbiamo il grande intercessore presso il Figlio di Dio, nostro redentore, che nacque dalla Vergine Maria, sua sposa; in lui abbiamo l'esempio dell'uomo fedele e credente e del servo prudente.

        Sono pochissime le allusioni a san Giuseppe nei Vangeli, e solo in Matteo e in Luca; tuttavia, con grande sobrietà, ci offrono i tratti che delineano questa singolare figura, nella quale Dio ha trovato una docilità totale per portare a termine le sue promesse. Giuseppe, sposato con Maria, era della casa di Davide. Così unì Gesù alla discendenza davidica, di modo che, compiendo le promesse fatte sul Messia, il Figlio della Vergine Maria, per opera dello Spirito Santo, potesse veramente chiamarsi "figlio di Davide". Davide non vedrà il suo successore promesso, "il cui trono durerà per sempre", perché questo successore annunciato, velatamente nella profezia di Natan, è Gesù.

        Davide confida in Dio. Allo stesso modo, Giuseppe confida in Dio quando ascolta il messaggero, l'angelo, che gli dice: "Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa, perché quel che è generato in lei viene dallo Spirito Santo". E Giuseppe "fece come gli aveva ordinato l'angelo".
        Matteo dice che Giuseppe, "poiché era un uomo giusto", obbedì al mandato. Dire che era giusto significa dire tutto di Giuseppe; non significa solo che era un uomo buono e comprensivo; vuole indicare anche e semplicemente il vigore e la solidità di tutta la sua persona che si caratterizzano nella sua identità più profonda, fino a definirlo per il suo vivere della fede, come "il giusto vive della fede", il suo confidare pienamente nel Signore, e quindi il suo essere interamente benedetto da Dio, come l'albero che cresce accanto alle acque del fiume. Il giusto è colui che cammina nella legge del Signore e ascolta le sue richieste, colui che vive nella totale comunione con il volere divino e realizza la sua verità, colui che resta fermo nell'incrollabile fedeltà di Dio, e prende parte alla sua consistenza, che è quella di Dio stesso.

        Per l'uomo giusto, come viene ritenuto e giudicato Giuseppe, giunge il momento della prova, una dura prova per la sua fede e per la sua fedeltà. Promesso di Maria, prima di andare a vivere con lei scopre la sua misteriosa maternità e ne resta turbato. L'evangelista Matteo sottolinea proprio che, essendo giusto, non voleva ripudiarla e decise quindi di licenziarla in segreto. Ma, di notte, in sogno, l'angelo gli fece capire che era opera dello Spirito Santo; e Giuseppe, fidandosi di Dio, e rinunciando a se stesso e al suo giudizio, al suo modo di vedere le cose e al suo progetto, accetta e collabora con il piano di salvezza: lascia che Dio sia Dio, senza imporgli alcuno stampo o criterio umano preesistente, prestabilito dall'uomo.

        Certo l'intervento divino nella sua vita non poteva non turbarne il cuore, sommerso nell'oscurità della notte, e della mancanza di luce in quel momento. Confidare in Dio non significa infatti vedere tutto chiaro secondo i nostri criteri, non significa realizzare ciò che abbiamo programmato; confidare in Dio vuol dire espropriare se stessi, ossia svuotarsi di se stessi, rinunciare a se stessi, perché solo chi accetta di perdersi per Dio può essere "giusto", con la giustizia o la verità di Dio, come san Giuseppe; ovvero può conformare la propria volontà e il proprio volere a Dio, al suo disegno, e così vivere e camminare nella verità e nella luce. Nella storia Giuseppe è l'uomo che ha dato la più grande prova di fedeltà e di fiducia a Dio, persino dinanzi a un annuncio così sorprendente. In lui vediamo la fede del nostro padre Abramo, padre dei credenti.

    In Giuseppe troviamo un autentico erede della stessa fede di Abramo; fede in Dio che guida gli eventi della storia secondo il suo misterioso disegno salvifico. In realtà, come dice la Lettera agli Ebrei parlando di Abramo, anche Giuseppe "credette contro ogni speranza". Ebbe totale fiducia in Dio. La sua fede è come quella della sua sposa Maria, che dice: "Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto". In questa fede, e proprio grazie a essa, vediamo quanto Giuseppe sia unito alla sua sposa per compiere la volontà di Dio, per fare quello che Dio vuole, per ascoltare e obbedire alla Parola di Dio, a ciò che Dio ordina, e realizzare così il disegno divino: beato "perché ha ascoltato la parola di Dio", l'ha accolta, le ha obbedito, senza nessuna certezza umana, fidandosi solamente di quello che il messaggero gli ha trasmesso. Come lo stesso Gesù, fattosi uomo nel grembo di Maria, per opera dello Spirito Santo: "un corpo mi hai preparato (...). Ecco io vengo (...). Per fare, o Dio, la tua volontà".


        Questa grandezza di Giuseppe, che è la grandezza della fede, come quella di Maria, emerge ancora di più perché ha compiuto la sua missione in modo umile e nascosto nella casa di Nazareth. Del resto, Dio stesso, nella persona del suo Figlio incarnato, ha scelto questo cammino e questo stile - quelli dell'umiltà e del nascondimento - nella sua esistenza terrena. Giuseppe, come lo descriveva il beato Giovanni Paolo ii, è l'uomo del silenzio, del "silenzio di Nazareth". È lo stile che lo caratterizza in tutta la sua esistenza: come nella notte in cui è nato Gesù, come quando ascolta l'anziano Simeone, o quando Gesù viene ritrovato nel tempio e ricorda ai sui genitori che deve occuparsi delle cose del Padre suo, perché solo Dio è nostro Padre e "ogni paternità viene da Dio".

        Possiamo considerare san Giuseppe benedetto e beato, perché fu il primo a cui venne confidato direttamente il mistero dell'incarnazione, il compimento delle promesse di Dio, del Dio con noi, l'Emmanuele. E come Maria, mantenne questo segreto nascosto ai secoli e rivelato nella pienezza dei tempi. Lo serbò nel cuore e lo custodì; perché il "segreto" era il Figlio di Maria, al quale avrebbe dato il nome di Gesù, il "Salvatore" di tutti gli uomini, messia e Signore.

        A Giuseppe il Padre celeste affidò la cura quotidiana di suo figlio, sulla terra, una cura realizzata nell'ubbidienza, nell'umiltà e nel silenzio. A lui spettarono l'onore e la gloria di allevare Gesù, ossia di nutrirlo e d'istruirlo, di guidarlo lungo i cammini della vita perché imparasse a essere uomo, perché imparasse a lavorare come uomo, ad amare come uomo con cuore di uomo, perché s'inserisse in una storia e in una tradizione concreta, quella del Popolo di Dio eletto e amato, per educarlo come uomo e per educarlo anche nella preghiera di quel popolo a pregare come uomo.

        Quanto è meraviglioso il fatto che il Figlio di Dio si sia sottomesso così a Giuseppe e abbia imparato a obbedire e a camminare nella vita dell'uomo accanto a Giuseppe! Come riflette bene tutto ciò quel meraviglioso dipinto di El Greco, esposto nella sacrestia della cattedrale di Toledo, a detta degli esperti uno dei quadri più belli del pittore, toledano di adozione: Gesù, bambino, pieno di gioia guidato da Giuseppe, che l'osserva attentamente con uno sguardo di tenerezza e di fede incomparabili, che cammina con lui, che lo tiene con la mano, con lo sguardo rivolto a Gesù e all'orizzonte, o meglio al cielo, ripercorrendo il cammino della propria vita.

        Come non rendere grazie a Dio per questa meraviglia che Egli ha compiuto tra gli uomini: Giuseppe, il giusto, sposo della Vergine Maria, il falegname di Nazareth, del quale Gesù era ritenuto il figlio, per disprezzarlo per la sua umile condizione, ma così grande agli occhi di Dio da affidargli la custodia di suo Figlio e di sua Madre, Dio che continua oggi ad affidargli la protezione e il sostegno della Chiesa, di cui Maria è immagine e madre?

        Come non fare menzione del suo nome, accanto a quello della sua sposa, la Vergine Madre di Dio, Maria, nelle preghiere eucaristiche, se occupa un posto così importante nella storia della salvezza, nella pienezza di questa storia, nell'opera redentrice di Gesù, il Salvatore, nato da Maria Vergine per opera dello Spirito Santo? Come non tenerlo presente ogni volta che celebriamo il memoriale del mistero pasquale, nell'Eucaristia, che fa la Chiesa, essendo così legato a ciò che è la Chiesa, e la custodisce, come suo protettore universale?

    Che questo inserimento del nome di san Giuseppe ci aiuti tutti a seguire i suoi passi, la sua fede, la sua fedeltà e la sua prontezza nel compimento silenzioso della missione che la Chiesa affida a ognuno di noi, per servire Gesù, nel quale è la salvezza del mondo intero, e servirlo come lui, suo grande servo e servitore, lo ha servito: con tutto il suo essere, con tutto il suo cuore.




    (L'Osservatore Romano 20 giugno 2013)

    [Modificato da Caterina63 19/06/2013 22:35]
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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    La liturgia tra i riformisti radicali e gli intransigenti



    Viene pubblicato in Italia il libro di Alcuin Reid «Lo sviluppo organico della liturgia. I principi della riforma liturgica e il loro rapporto con il Movimento liturgico del XX secolo prima del Concilio Vaticano II» (Cantagalli, 432 pagine, 22 euro). Il libro ha la prefazione dell'allora cardinale Joseph Ratzinger

    Joseph Ratzinger
    Città del Vaticano

    Pubblichiamo l'interno testo del futuro Benedetto XVI
    Negli ultimi decenni, la questione della corretta celebrazione della liturgia è diventata sempre più uno dei punti centrali della controversia attorno al Concilio Vaticano II, ovvero a come dovrebbe essere valutato e accolto nella vita della Chiesa.

    Ci sono gli strenui difensori della riforma, per i quali è una colpa intollerabile che, a certe condizioni, sia stata riammessa la celebrazione della santa Eucaristia secondo l’ultima edizione del Messale prima del Concilio, quella del 1962. Allo stesso tempo, però, la liturgia è considerata come “semper reformanda”, cosicché alla fine è la singola “comunità” che fa la sua “propria” liturgia, nella quale esprime se stessa. Un Liturgisches Kompendium [Compendio liturgico, ndr] protestante (curato da Christian Grethlein e Günter Ruddat, Göttingen 2003) ha recentemente presentato il culto come “progetto di riforma” (pp. 13-41) riflettendo il modo di pensare anche di molti liturgisti cattolici. D’altra parte vi sono anche i critici accaniti della riforma liturgica, i quali non solo criticano la sua pratica applicazione, ma anche le sue basi conciliari.

    Essi vedono la salvezza solo nel totale rifiuto della riforma. Tra questi due gruppi, i riformisti radicali e i loro avversari intransigenti, viene a perdersi spesso la voce di coloro che considerano la liturgia come qualcosa di vivo, qualcosa che cresce e si rinnova nel suo essere ricevuta e nel suo attuarsi. Costoro, peraltro, in base alla stessa logica, insistono anche sul fatto che la crescita è possibile solo se viene preservata l’identità della liturgia, e sottolineano che uno sviluppo adeguato è possibile soltanto prestando attenzione alle leggi che dall’interno sostengono questo “organismo”. Come un giardiniere accompagna una pianta durante la sua crescita con la dovuta attenzione alle sue energie vitali e alle sue leggi, così anche la Chiesa dovrebbe accompagnare rispettosamente il cammino della liturgia attraverso i tempi, distinguendo ciò che aiuta e risana da ciò che violenta e distrugge.

    Se le cose stanno in tal modo, allora dobbiamo cercare di definire quale sia la struttura interna di un rito, nonché le sue leggi vitali, così da trovare anche le giuste strade per preservare la sua energia vitale nel mutare dei tempi per incrementarla e rinnovarla. Il libro di dom Alcuin Reid si colloca in questa linea. Percorrendo la storia del Rito romano (Messa e breviario), dalle origini fino alla vigilia del Concilio Vaticano II, cerca di stabilire quali siano i principi del suo sviluppo liturgico, attingendo così dalla storia, con i suoi alti e bassi, i criteri su cui ogni riforma deve basarsi. Il libro è diviso in tre parti. La prima, molto breve, analizza la storia della riforma del Rito romano dalle sue origini alla fine del XIX secolo. La seconda parte è dedicata al movimento liturgico fino al 1948.

    La terza – di gran lunga la più estesa – tratta della riforma liturgica sotto Pio XII fino alla vigilia del Concilio Vaticano II. Questa parte si rivela molto utile, proprio perché tale fase della riforma liturgica non viene più molto ricordata, nonostante che proprio in essa – come anche nella storia del movimento liturgico, evidentemente – si ritrovino tutte le questioni circa le modalità corrette per una riforma, facendo sì che sia possibile acquisire anche dei criteri di giudizio. La decisione dell’autore di fermarsi alla soglia del Concilio Vaticano II è molto saggia. Egli evita così di entrare nella controversia legata all’interpretazione e alla ricezione del Concilio, illustrando il momento storico e la struttura delle varie tendenze, la quale risulta determinante per la questione circa i criteri della riforma. Alla fine del suo libro, l’autore elenca i principi per una corretta riforma: essa dovrebbe essere in egual misura aperta allo sviluppo e alla continuità con la Tradizione; dovrebbe sapersi legata a una tradizione liturgica oggettiva e fare sì che la continuità sostanziale sia salvaguardata. L’autore, poi, in accordo con il Catechismo della Chiesa cattolica, sottolinea che «anche la suprema autorità della Chiesa non deve modificare la liturgia arbitrariamente, ma solo in obbedienza alla fede e con rispetto religioso per il mistero della liturgia» (CC n. 1125). Come criteri ulteriori troviamo, infine, la legittimità delle tradizioni liturgiche locali e l’interesse per l’efficacia pastorale. Vorrei sottolineare ulteriormente, dal mio punto di vista personale, alcuni dei criteri già brevemente indicati del rinnovamento liturgico. Comincerò con gli ultimi due criteri fondamentali. Mi sembra molto importante che il Catechismo, nel menzionare i limiti del potere della suprema autorità della Chiesa circa la riforma, richiami alla mente quale sia l’essenza del primato, così come viene sottolineato dai Concili Vaticani I e II: il papa non è un monarca assoluto la cui volontà è legge, ma piuttosto il custode dell’autentica Tradizione e perciò il primo garante dell’obbedienza. Non può fare ciò che vuole, e proprio per questo può opporsi a coloro che intendono fare ciò che vogliono.

    La legge cui deve attenersi non è l’agire ad libitum, ma l’obbedienza alla fede. Per cui, nei confronti della liturgia, ha il compito di un giardiniere e non di un tecnico che costruisce macchine nuove e butta quelle vecchie. Il “rito”, e cioè la forma di celebrazione e di preghiera che matura nella fede e nella vita della Chiesa, è forma condensata della Tradizione vivente, nella quale la sfera del rito esprime l’insieme della sua fede e della sua preghiera, rendendo così sperimentabile, allo stesso tempo, la comunione tra le generazioni, la comunione con coloro che pregano prima di noi e dopo di noi. Così il rito è come un dono fatto alla Chiesa, una forma vivente di parádosis. È importante a tale riguardo interpretare correttamente la “continuità sostanziale”. L’autore ci mette espressamente in guardia dalla strada sbagliata sulla quale potremmo essere condotti da una teologia sacramentaria neoscolastica slegata dalla forma vivente della liturgia. Partendo da essa, si potrebbe ridurre la “sostanza” alla materia e alla forma del sacramento, e dire: il pane e il vino sono la materia del sacramento, le parole dell’istituzione sono la sua forma; solo queste due cose sono necessarie, tutto il resto si può anche cambiare. Su questo punto modernisti e tradizionalisti si trovano d’accordo. Basta che ci sia la materia e che siano pronunciate le parole dell’istituzione: tutto il resto è “a piacere”. Purtroppo molti sacerdoti oggi agiscono sulla base di questo schema; e persino le teorie di molti liturgisti, sfortunatamente, si muovono in questa direzione.

    Essi vogliono superare il rito come qualcosa di rigido e costruiscono prodotti di loro fantasia, ritenuta pastorale, attorno a questo nocciolo residuo, che viene così relegato nel regno del magico oppure privato del tutto del suo significato. Il movimento liturgico aveva cercato di superare questo riduzionismo, prodotto di una teologia sacramentaria astratta, e di insegnarci a considerare la liturgia come l’insieme vivente della Tradizione fattasi forma, che non si può strappare in piccoli pezzi, ma che deve essere visto e vissuto nella sua totalità vivente. Chi, come me, nella fase del movimento liturgico alla vigilia del Concilio Vaticano II, è stato colpito da questa concezione, può solo constatare con profondo dolore la distruzione di quel che ad esso stava a cuore. Vorrei brevemente commentare altre due intuizioni che appaiono nel libro di dom Alcuin Reid. L’archeologismo e il pragmatismo pastorale – quest’ultimo, peraltro, è spesso un razionalismo pastorale – sono entrambi errati. Potrebbero essere descritti come una coppia di gemelli profani. I liturgisti della prima generazione erano per la maggior parte storici e, di conseguenza, inclini all’archeologismo.

    Volevano dissotterrare le forme più antiche nella loro purezza originale; vedevano i libri liturgici in uso, con i loro riti, come espressione di proliferazioni storiche, frutto di passati fraintendimenti e ignoranza. Si cercava di ricostruire la più antica Liturgia romana e di ripulirla da tutte le aggiunte posteriori. Non era cosa del tutto sbagliata; ma la riforma liturgica è comunque qualcosa di diverso da uno scavo archeologico e non tutti gli sviluppi di qualcosa di vivo devono seguire la logica di un criterio razionalistico/storicistico. Questa è anche la ragione per cui – come l’autore giustamente osserva – nella riforma liturgica non deve spettare agli esperti l’ultima parola. Esperti e pastori hanno ciascuno il proprio ruolo (così come, in politica, i tecnici e coloro che sono chiamati a decidere rappresentano due livelli diversi). Le conoscenze degli studiosi sono importanti, ma non possono essere immediatamente trasformate in decisioni dei pastori, i quali hanno la responsabilità di ascoltare i fedeli nell’attuare con intelligenza assieme a loro ciò che oggi aiuta a celebrare i Sacramenti con fede oppure no. Una delle debolezze della prima fase della riforma dopo il Concilio fu che quasi soltanto gli esperti avevano voce in capitolo. Sarebbe stata auspicabile una maggiore autonomia da parte dei pastori. Poiché spesso, ovviamente, risulta impossibile elevare la conoscenza storica al rango di nuova norma liturgica, molto facilmente questo “archeologismo” si è legato al pragmatismo pastorale. Si è deciso in primo luogo di eliminare tutto ciò che non era riconosciuto come originale e, di conseguenza, come “sostanziale”, per poi integrare lo “scavo archeologico” – qualora fosse sembrato ancora insufficiente – con “il punto di vista pastorale”. Ma che cosa è “pastorale”? I giudizi intellettualistici dei professori su queste questioni erano sovente determinati dalle loro considerazioni razionali e non tenevano conto di ciò che realmente sostiene la vita dei fedeli. Cosicché oggi, dopo la vasta razionalizzazione della liturgia nella prima fase della riforma, si è di nuovo alla ricerca di forme di solennità, di atmosfere “mistiche” e di una certa sacralità.

    Ma poiché esistono – necessariamente e sempre più evidentemente – giudizi largamente divergenti su che cosa sia pastoralmente efficace, l’aspetto “pastorale” è divenuto il varco per l’irruzione della “creatività”, la quale dissolve l’unità della liturgia e ci mette spesso di fronte a una deplorevole banalità. Con questo non si vuol dire che la liturgia eucaristica, come anche la liturgia della Parola, non siano molte volte celebrate, a partire dalla fede, in modo rispettoso e “bello” nel senso migliore della parola.

    Ma dato che stiamo cercando i criteri della riforma, dobbiamo pure menzionare i pericoli che negli ultimi decenni, purtroppo, non sono rimasti soltanto fantasie di tradizionalisti nemici della riforma. Vorrei soffermarmi ancora sul fatto che, in quel compendio liturgico citato sopra, il culto è stato presentato come “progetto di riforma”, e cioè come un cantiere dove ci si dà sempre un gran da fare. Simile, seppure un po’ diverso, è il suggerimento, da parte di alcuni liturgisti cattolici, di adattare la riforma liturgica al mutamento antropologico della modernità e di costruirla in modo antropocentrico.

    Se la liturgia appare anzitutto come il cantiere del nostro operare, allora vuol dire che si è dimenticata la cosa essenziale: Dio. Poiché nella liturgia non si tratta di noi, ma di Dio. La dimenticanza di Dio è il pericolo più imminente del nostro tempo. A questa tendenza la liturgia dovrebbe opporre la presenza di Dio. Ma che cosa accade se la dimenticanza di Dio entra persino nella liturgia, se nella liturgia pensiamo solo a noi stessi? In ogni riforma liturgica e in ogni celebrazione liturgica, il primato di Dio dovrebbe sempre occupare il primissimo posto. Con questo sono andato molto oltre il libro di dom Alcuin. Ma credo che, comunque, sia risultato chiaro che questo libro, con la ricchezza dei suoi spunti, ci insegna dei criteri e ci invita a un’ulteriore riflessione. Per questo ne raccomando la lettura.

     





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    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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    04/08/2013 10:43
     
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    La Liturgia nel pensiero di Benedetto XVI
    "La Chiesa ha nei suoi confronti un debito di gratitudine per la chiarezza di pensiero, l'invito alla bellezza e la promozione della liturgia"


    di Giles D. Dimock da The Institute for Sacred Architecture, vol 23 - spring 2013
    trad. it. di d. G. Rizzieri del(28/07/2013), da Sito della Diocesi di Porto Santa Rufina
     
     
     
     
     
    La Liturgia nel pensiero di Benedetto XVI
     
    "La Chiesa nei suoi confronti un debito di gratitudine per la chiarezza di pensiero, l'invito alla bellezza e la promozione della liturgia"
     
     
     
    di Giles D. Dimock
     
    Benedetto XVI ama la liturgia, intesa come la dimensione nella quale il nostro essere viene assimilato al Mistero divino della salvezza, e ha promosso tale visione durante il pontificato con i suoi scritti, con la predicazione e il suo magistero. La sua spiritualità sembra avere non solo un'impronta agostiniana, ma mostra anche un'influenza dell'originario movimento liturgico tedesco, favorito in gran parte dai Benedettini verso i quali egli ha sempre avuto una grande devozione. In questo articolo, esamineremo il suo sviluppo liturgico da giovane in Germania fino al suo operato sulla cattedra di Pietro, per il quale siamo tutti grati.
     
     
     

    La giovinezza

     
    Il pensiero liturgico di Benedetto XVI si può ritrovare in gran parte nella sua autobiografia "La mia vita", che ne descrive la vita fino alla sua venuta a Roma. Qui leggiamo il grande effetto che la liturgia ebbe su di lui quando era ragazzo nella sua chiesa parrocchiale, soprattutto la spogliazione della chiesa durante il sobrio tempo quaresimale. Fu ancor più introdotto ai santi misteri quando i genitori gli regalarono un messalino per i bambini simile al loro messale tascabile.

     
    Al suo ingresso in seminario, scoprì il nuovo personalismo di Martin Buber insieme all'insegnamento di San Tommaso, la cui "logica cristallina" era "troppo racchiusa in sé, almeno nella rigida neo-scolastica" con cui veniva presentata. All'università, fu influenzato  da Michael Schmaus che aveva abbandonato la neo-scolastica per il nuovo movimento liturgico che presentava la fede come un ritorno alle Sacre Scritture e ai Padri della Chiesa. Mi piace inserire qui una nota personale: mi sento in piena sintonia con lui, poiché anch'io lasciai una formazione tomistica estremamente rigida per studiare la liturgia, e più tardi riscoprii la grande sapienza del nostro fratello maggiore, San Tommaso. Era ormai nell'aria la "nuova teologia". Un suo professore era influenzato dalla "teologia del mistero" di Dom Odo Casel, OSB, mentre un altro vedeva nella Messa il momento centrale di ogni giorno, e lo studio della Sacra Scrittura era considerato l'anima della teologia... tutti temi che sarebbero stati ripresi dal Vaticano II.
     
    Tuttavia agli inizi, il giovane Joseph Ratzinger aveva delle riserve: un certo "razionalismo e storicismo unilaterali" del movimento liturgico nel quale alcuni vedevano "valida soltanto una forma della liturgia", cioè quella della Chiesa primitiva. Non così invece per De Lubac, il cui insegnamento sull'unità della Chiesa sostenuta dall'Eucaristia influì profondamente il suo pensiero.
     
     
     

    Il Vaticano II

     
    Il racconto di Ratzinger sulla considerazione della liturgia al Vaticano II - al quale partecipò come 'peritus' - è interessante. Egli afferma che lo schema liturgico al Concilio non avrebbe suscitato controversie poiché nessuno si aspettava grandi cambiamenti. Ma avvenne che dalla Francia e dalla Germania ci furono pressioni per riformare la Messa secondo la forma più pura del Rito Romano in conformità alle riforme di Pio XI e Pio XII. Una Messa secondo tali linee fu respinta da un sinodo di Padri conciliari nel 1967, ma ciò nonostante divenne il modello operativo per la nuova Messa. La Sacrosanctum Concilium decretò di mantenere il latino e che i fedeli possano cantare l'Ordinario della Messa in latino, e allo stesso modo i chierici possano pregare l'Ufficio. Ben presto ciò divenne una questione controversa (Vittorio Messori, "Rapporto sulla Chiesa", intervista con il Cardinale Ratzinger).
     
     
     

    Il Messale di Paolo VI

     
    La reazione di Ratzinger all'introduzione del Messale di Paolo VI fu in qualche modo negativa, ma non del tutto. La proibizione del Messale di Pio V lo rattristò (in realtà solo un rifacimento del Messale del Rito Romano usato fin dal tempo di San Gregorio Magno). Ritenne che questa fosse una breccia nella prassi, per cui vediamo qui già un'anticipazione del Motu Proprio che avrebbe emanato da Papa. Sosteneva che molto di quanto doveva essere mantenuto fosse stato cancellato e che molti tesori fossero scomparsi nella nuova liturgia creata da una commissione, e spesso celebrata in modo trascurato e priva di qualità artistiche. Per cui chi critica l'attuale liturgia come banale in una comunità autocelebrativa, non necessariamente è integralista. La sua critica riguarda il fatto che "la liturgia non è celebrata in modo che il dato del grande mistero di Dio in mezzo a noi mediante l'azione della Chiesa risplenda". La Chiesa ci dona il rituale, ma non può generare la potenza, l'energia operante in tali riti, è infatti il totalmente Altro che agisce. Noi possiamo partecipare di fatto e realmente e personalmente spesso in profondo silenzio. Partecipiamo al Mistero che rimane incomprensibile.

     
    Nel suo libro "La festa della fede", Joseph Ratzinger afferma di essere riconoscente per il nuovo Messale di Paolo VI in quanto contiene nuove preghiere e prefazi, molti dei quali provenienti da altri riti occidentali: il gallicano, il mozarabico e l'ambrosiano. Considera fuorvianti le preghiere all'offertorio della vecchia Messa, in quanto tendevano a identificare l'offerta del Sacrificio di Cristo con questa parte della Messa, invece che alla consacrazione stessa. Ratzinger criticava soprattutto il modo non tradizionale di interpretare la nuova liturgia, con una ermeneutica di discontinuità piuttosto che di continuità. Si rallegrò perciò dell'indulto di Papa Giovanni Paolo II che egli forse volle proseguire con il suo Motu Proprio.
     
     
     

    Il sacrificio

     
    Un grande tema teologico caro a Ratzinger concerne la convinzione che "l'Eucaristia è più di un convito fraterno". Primariamente è il sacrificio della Chiesa in cui il Signore prega con noi e si dona a noi. In "Feast of Faith", il futuro Papa chiarisce che se l'Eucaristia ha "il contesto di una cena", la "Eucharistia è la preghiera di anamnesi o sacrificio verbale nel quale il sacrificio di Cristo si rende presente". Pertanto, non è mai inutile parteciparvi, anche chi non può ricevere la comunione, come i divorziati e i cattolici risposati. Tale sacrificio è una festa in cui trascendiamo noi stessi in qualcosa di più grande... entriamo nella gioia cosmica della Risurrezione, il Mysterium Paschale. Nel suo libro "God is near Us", egli vede l'Eucaristia come la fonte di vita dal fianco aperto di Cristo in sacrificio, pienamente presente a tutti noi sparsi nel mondo e ai santi in cielo.
     
     
     

    L'adorazione

     
    Se Cristo è presente in modo reale nell'Eucaristia con il suo corpo risorto, noi rispondiamo non solo ricevendolo, ma pure adorandolo con gesti e posture, con la genuflessione e con il silenzio. La riscoperta dell'aspetto di convito non elimina la necessità dell'adorazione. Si è dimenticato, egli dice, che adorare è intensificare la comunione, tanto è vero che la processione del Corpus Christi è una intensificazione della processione di comunione, un camminare con il Signore. In "Feast of Faith", racconta la storia di questa processione: il Signore come capo di Stato, visita le strade di ogni villaggio, una processione trionfale di Cristo Vincitore nella sua lotta contro la morte.
    E' una bella pratica anche se non è di origine patristica ma medievale, la Chiesa infatti è sempre viva e sia la Chiesa del Medio Evo che quella dell'era barocca svilupparono una profondità liturgica che deve essere bene esaminata prima di abbandonarla. Nel libro "Spirit of the Liturgy", il nostro autore sottolinea che il dibattito medievale sulla transustanziazione ha dato origine ai tabernacoli di ogni sorta, esposizione, ostensori, processioni: "tutti errori medievali" secondo alcuni, Ratzinger però non è affatto d'accordo. Egli fa risalire la custodia eucaristica alla Chiesa primitiva che la riservava per i malati, e attribuisce all'evangelizzazione francescana e domenicana l'enfasi sull'Eucaristia mediante le colombe eucaristiche, le nicchie per i vasi sacri, e le torri sacramentarie costruite per custodire l'Eucaristia.

    Afferma che questa devozione medievale fu "un meraviglioso risveglio spirituale" e che "una chiesa senza la presenza eucaristica è morta", il che mi ritrova perfettamente d'accordo. Concludiamo questo paragrafo con la sua osservazione sul fatto che se l'Eucaristia è il centro della vita della Chiesa, ciò presuppone gli altri sacramenti a cui si riferiscono. Presuppone anche preghiera personale, familiare, extra liturgica come la Via Crucis, il Rosario e in particolare la devozione alla Madonna.
     
     
     

    L'architettura

     
    Il nostro autore ha una prospettiva ben definita sull'architettura sacra. Nel suo "Introduzione allo spirito della Liturgia", cita Bouyer per il concetto che come la sinagoga rifletteva la presenza di Dio a Gerusalemme, così le prime chiese erano volte verso oriente dove sorge il sole, segno di Cristo Sole di giustizia che esce "come sposo dalla stanza nuziale" (Salmo 19). Camminiamo verso Cieli nuovi e terra nuova e verso Cristo luce del mondo. L'immagine di Cristo in questo modo si fonde presto con l'immagine della croce sull'abside orientale della chiesa, secondo Ratzinger. L'altare sotto la croce nell'abside è "il luogo dove si apre il cielo" e dove noi siamo condotti alla gloria eterna. Seguendo Bouyer, sottolinea come nelle prime chiese siriane i fedeli si riunivano dapprima attorno al presbiterio per la Liturgia della Parola, e poi si accostavano all'altare e all'oriente per l'Eucaristia, volti insieme al celebrante nella stessa direzione, "conversi ad Dominum", guardando ad oriente.

    A Roma, la basilica di San Pietro a causa della topografia della collina vaticana, era volta non a oriente ma ad occidente, e l'altare al centro della navata si volgeva a oriente attraverso le porte principali. Quando San Gregorio Magno fece portare avanti l'altare sulla tomba di San Pietro, pose le basi per il successivo sviluppo della Messa 'versus populum'. Altre chiese a Roma copiarono San Pietro per la sua direzione verso il popolo (ma non si hanno riscontri fuori Roma), e ciò divenne l'ideale del rinnovamento liturgico anche se non fu esplicitamente menzionato nella Sacrosanctum Concilium del Vaticano II. Ratzinger mantiene la forte convinzione che sia più importante il mandato che tutti si volgano ad Dominum, piuttosto che sacerdote e fedeli si pongano l'uno di fronte agli altri. Riorientare tante chiese sarebbe un compito improbo e costoso, per cui egli propone di appendere una croce sospesa sull'altare o di collocarla sull'altare stesso, in modo che tutti sarebbero orientati ad Dominum invece che l'uno verso gli altri. Coloro che hanno partecipato a Messe papali in San Pietro o hanno assistito a quelle celebrate dal Papa nella sua visita in altri Paesi, ricordano che la croce (crocifisso) era sempre sull'altare davanti al Papa, e spesso anche le candele.
     
     
     

    La bellezza

     
    Ratzinger è assai attratto dalla bellezza come irradiazione della verità e dichiara in "Feast of Faith" che i cristiani devono fare della chiesa edificio un luogo in cui la bellezza sia di casa, e con drammaticità afferma che senza bellezza il mondo diventa l'ultimo cerchio dell'inferno. I teologi che non "amano l'arte, la poesia, la musica e la natura possono essere pericolosi (perché) la cecità e la sordità verso il bello non sono incidentali, ma si riflettono necessariamente nella teologia". Le immagini sacre sono necessarie e tutte le forme storiche di arte dalla cristianità primitiva al barocco pongono i principi dell'arte sacra nel futuro. Non si deve buttare via tutta l'arte che si è formata da San Gregorio Magno in poi. La solennità e la bellezza sono ricchezze di tutti (compresi i poveri) che le desiderano ardentemente e che sanno perfino privarsi del necessario pur di tributare onore a Dio.
     
     
     

    La musica

     
    Musicista egli stesso, Benedetto XVI si è molto impegnato ad incoraggiare la buona musica sacra, dedicando perfino un libro all'argomento "A new song for the Lord". Suo fratello Georg sacerdote era direttore della corale della grande cattedrale di Regensburg, il cui nome è sinonimo della grande tradizione del bel canto e della eccellente polifonia. Benedetto pensa che in nome della partecipazione popolare, abbiamo dato alla gente "musica di servizio", vale a dire banale e monotona, al suo minimo denominatore comune. La liturgia semplice non deve essere banale, perché la vera semplicità viene solo da una ricchezza spirituale, culturale e storica.

    La Chiesa deve suscitare la voce del cosmo, magnificarne la gloria facendo sì che esso diventi anche glorioso, bello, abitabile e amato. Egli cita San Tommaso d'Aquino nella II-IIae della Summa q 91, a I, resp. 1 poiché il gaudio nel Signore, la gioia condivisa per essere alla Sua presenza, è l'effetto della nostra lode che ci fa ascendere a Dio per essere condotti a un senso di riverenza, essendo "l'orazione vocale necessaria non per Dio, ma per l'orante". L'uomo vuole cantare, afferma Sant'Agostino, perché "amare è cantare", ma anche l'ascolto è una forma di partecipazione: "ascoltare la grande musica è partecipazione interiore così come ascoltare il coro che canta grandi brani di musica corale rallegra il cuore ed eleva lo spirito", e l'assemblea può unirsi alla bella e semplice musica.
     
     

    L'esortazione apostolica Sacramentum Caritatis

     
    Nell'Esortazione Apostolica sull'Eucaristia 'Sacramentum Caritatis' (pubblicata dopo il Sinodo dei Vescovi sull'Eucaristia dell'ottobre 2005), Benedetto XVI, nel suo primo magistero pontificio sulla liturgia, articola - secondo il suo modo originale - la classica fede cattolica sulla Eucaristia come mistero e sacrificio. Viene trattata la relazione della SS.ma Trinità con questo mistero e in particolare lo Spirito Santo, la relazione della Chiesa con l'Eucaristia, e il rapporto con gli altri sacramenti. Infine si rapporta l'Eucaristia alla escatologia e alla Beata Vergine Maria.
     
    E' da sottolineare la sua interpretazione dell'ars celebrandi dell'Eucaristia e l'enfasi che pone al rito stesso, ricordando che questo è il modo migliore per garantire una actuosa participatio (SC 38). Ci sollecita inoltre al rispetto dei libri liturgici, ai colori liturgici dei paramenti, all'arredo e al luogo sacro per l'arte, le parole, i movimenti del corpo e i silenzi che nella liturgia "hanno una varietà di registri di comunicazione che consentono di mirare al coinvolgimento di tutto l'essere umano" (SC 40). Pone in luce l'architettura della chiesa e la sua disposizione per la celebrazione dei sacri misteri, e proponendo la collocazione del tabernacolo, che deve essere segnalato da una lampada e facilmente visibile da tutti nella chiesa. Si possono usare vecchi altari maggiori oppure un altare centrale nel presbiterio, purché non vi stia davanti la cattedra del celebrante. Si possono usare cappelle per la custodia eucaristica, secondo il giudizio dell'Ordinario (SC 69).

    La musica liturgica deve essere bella nel rispetto del grande patrimonio ecclesiale. Tratta anche la struttura della Messa, la liturgia della Parola e l'omelia. Sottolinea l'esigenza di una buona predicazione basata sui testi del Lezionario, senza temere di usare le quattro colonne del Catechismo: il Credo, i Sacramenti, i 10 Comandamenti, e la Preghiera (SC 46). Nella liturgia eucaristica, invita a sapersi controllare nello scambiarsi il segno della pace (in un'altra occasione, ha proposto di spostare il segno della pace al termine della Liturgia della Parola 'cfr. S. Giustino'). Ricorda la partecipazione attiva interiore (SC 52)e l'adorazione eucaristica (SC 66-68). Solleva la questione di grandi concelebrazioni che possono distogliere dall'attenzione, l'unità del sacerdozio e l'obbligo di studiare il latino per quelli che si preparano al sacerdozio in modo da poter celebrare e cantare in latino (SC 62).
     
     
     
     
    Il motu proprio Summorum Pontificum

     
    Papa Benedetto XVI ci ha dunque offerto una splendida teologia dell'Eucaristia nella Sacramentum Caritatis e ha altresì indicato una nuova direzione alla vita liturgica della Chiesa con il suo Motu Proprio che ha reso disponibile la Messa in latino di San Pio V.
     
    Benedetto XVI nel documento sottolinea il ruolo dei Papi nell'assicurare rituali degni da offrire alla suprema Maestà e le Chiese particolari concorrono con la Chiesa universale non solo nella dottrina ma anche nei segni sacramentali e nelle consuetudini universalmente accettate dalla tradizione apostolica, che devono essere osservati non soltanto per evitare gli errori ma pure per trasmettere l'integrità della fede, perché lex orandi statuit lex credendi (San Prospero di Aquitania). Elogia poi San Gregorio Magno che contribuì a codificare il Rito Romano e inviò il grande Ordine di San Benedetto in tutta Europa. E rende omaggio al santo domenicano, Papa Pio V, per il rinnovamento di quel medesimo rito al tempo del Concilio di Trento.
     
    Menziona la radicale riforma del Messale Romano di Papa Paolo VI e la sua traduzione in vernacolare, come pure la terza edizione tipica di Papa Giovanni Paolo II. Tuttavia, nota che "non sono pochi" gli affezionati al vecchio rito e quello stesso Papa lo aveva permesso a certe condizioni nel 1984 (Quattuor Adhinc Annis) e successivamente i vescovi esortarono ad essere generosi nel permetterlo ai devoti del vecchio rito nel 1988 (Ecclesia Dei). Considerando come ci fosse ancora necessità, dopo aver consultato il Concistoro dei Cardinali nel 2000, Papa Benedetto pubblicò il Motu Proprio Summorum Pontificum il 7 luglio 2007, con il quale autorizza i sacerdoti a celebrare la Messa del Messale del Beato Giovanni XXIII.

    Le disposizioni sono le seguenti:

     
    Nella lettera accompagnatoria il Papa esprime il timore di alcuni secondo i quali questa concessione sarebbe un voltare le spalle al Vaticano II. Afferma che la forma ordinaria per i cattolici continuerà ad essere il rito corrente. Alcuni ritengono che questo porterà disunione nella Chiesa. Il Papa chiarisce che l'uso del vecchio rito richiede formazione liturgica, conoscenza del Messale e del latino, cosa non possibile per tutti. Un uso che sarà perciò limitato. Osserva che il duplice uso del Rito Romano sarà mutualmente arricchente, con nuovi santi e prefazi per il vecchio Messale e maggiore riverenza per la Messa nel nuovo Messale. Esprime la speranza che ciò porti una più grande unità nella Chiesa, soprattutto da parte dei dissidenti a destra, come è già avvenuto.

     
    Il Papa ritorna sulla continuità della tradizione della Chiesa, che aveva già ricordato negli auguri natalizi alla Curia nel 2005. Non sorprende la continuità nel suo approccio con la liturgia. Il nuovo Maestro delle celebrazioni pontificie, Mons. Guido Marini, ha estratto ricchezze della tradizione che erano state dimenticate e di cui oggi ci possiamo riappropriare. Nelle Messe papali vengono indossate magnifiche casule, e in altri momenti permane il più fluente gotico. Vecchi troni e altri paramenti pontifici vengono rispolverati, non per un ritorno al trionfalismo ma come oggetti che manifestano la bellezza al servizio della liturgia. La ristrutturazione della Congregazione per il Culto Divino ha assegnato ora un ufficio per promuovere l'arte, l'architettura e la musica liturgica. Il direttore di questo nuovo ufficio è l'abate Michael Zelinski, OSB, esperto in canto gregoriano. Sono da attendersi cose egregie in futuro.

     
    Abbiamo dunque percorso il pensiero liturgico di Joseph Ratzinger nel suo sviluppo dall'adolescenza alle esperienze da seminarista e da perito al Vaticano II, da professore universitario, Arcivescovo di Monaco, Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, e infine da Papa, e tutto con una costante coerenza di principio. Vedremo come la sua teologia e l'indirizzo pastorale toccherà la liturgia della Chiesa e il suo desiderio di continuità, ma credo che prometta bene e certamente costituisce la sua eredità alla Chiesa del futuro. Abbiamo un gran debito di gratitudine a Papa Benedetto per la chiarezza di pensiero, l'invito alla bellezza e la promozione della liturgia, e ora egli prega per noi.

    [SM=g1740738]

    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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    03/01/2014 22:37
     
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    Editoriale "Radicati nella fede" - Gennaio 2014

     
     
     
     

    Tutto, praticamente tutto viene permesso, tutto eccetto la Tradizione.

     Dopo il coraggioso e, nello stesso tempo, timido gesto di Benedetto XVI, costituito dal motu proprio del 2007, si è assistito ad una costante opera di “confino” della Tradizione della Chiesa.

     Il Santo Padre disse che la Messa antica non fu mai abolita. In qualche modo confermò che non si può abolire, perché l'Autorità nella Chiesa serve a custodire la Tradizione come fonte della Rivelazione, così come serve a custodire la Sacra Scrittura, e non può mai far da padrona su di esse; se facesse da padrona, l'Autorità non sarebbe quella voluta da Nostro Signore e si configurerebbe come autoritarismo. 
     Ebbene, dopo il motu proprio Summorum Pontificum, le varie curie diocesane si impegnarono in una instancabile opera per fermare, arginare, confinare qualsiasi tentativo di ritorno alla gloriosa Tradizione della Chiesa, in campo sia liturgico che dottrinale.
     È stato il boicottaggio totale della volontà del Papa, volontà che poi era un semplice atto di giustizia: non si può abolire la Messa che la Chiesa ha celebrato per quindici secoli e che ha fatto i Santi.

     Nemmeno la terribile mancanza di preti, cui assisteremo in questi anni, nemmeno questa potrà liberare la Tradizione dal suo confino. Piuttosto staranno senza preti, piuttosto chiuderanno le chiese, ma non permetteranno a un sacerdote tradizionale di celebrare la messa di sempre.

     Quanti preti erano pronti a passare alla Tradizione, quanti erano seriamente interessati a riappropriarsi di ciò che è il più profondo patrimonio della Chiesa, quanti chiesero di imparare la Messa antica. Poi, come mannaia implacabile, la scure scese su coloro che con gioiosa semplicità iniziarono a celebrarla: processi canonici, rimozione dalle parrocchie, sottili accuse di scisma!... ecc... la storia la conoscete. Così il gelo cadde sui sacerdoti, molti dei quali giovani, che sognavano già di poter dire salendo all'altare “Introibo ad altare Dei...”. E che dire dei chierici? "Se ami la Tradizione sei pericoloso e non puoi essere ordinato per questa Chiesa”, questo è il refrain dei superiori dei seminari obbedienti ai loro vescovi.

     Un gelo tremendo è così calato su una primavera possibile per le anime, dei sacerdoti prima e dei fedeli poi. Il Papa aveva sperato in un cambio di clima nella Chiesa, ma la vecchia guardia, fatta di ex- sessantottini oggi nelle curie diocesane, non ha permesso alcunché.


     I preti amanti della Tradizione si sono rinchiusi in un mutismo prudenziale, i seminaristi in una “apnea” di coscienza per poter giungere alla sospirata ordinazione, illusoriamente convinti che le cose cambieranno quando saranno preti.


     Ma è normale tutto questo? No di certo, non è normale nella Chiesa!


     Tutti questi signori che osteggiano la Tradizione e la impediscono con strani bizantinismi, sono ancora preoccupati per la salvezza delle anime? Vogliono ancora fare il Cristianesimo? O aspirano a qualcosa di diverso? E se è così perché occupano la Chiesa di Dio?


     Hanno promosso una nuova religione con dei timidi riferimenti al Cristianesimo di un tempo. Hanno lavorato, spendendo notevoli soldi!, per una trasformazione del Cattolicesimo in una religione presentabile nei salotti della cultura; si perdono dietro un dipinto da restaurare o dietro un testo da commentare, ma sono assenti sul campo... non vanno in confessionale e non salgono tutti i giorni all'altare, perché impegnati in qualche progetto culturale.


     Sono ancora preoccupati che le anime si accostino ai sacramenti? Reputano ancora i sacramenti necessari alla salvezza, o sono solo preoccupati di fare “comunità”, sostituendo la struttura all'essenziale, cioè a Dio?


     Ci auguriamo di tutto cuore che il nuovo anno porti due cose:


    1. Un sussulto di coraggio in tutti quei preti e seminaristi che stanno soffrendo per una chiesa sempre più nemica del suo passato. Vorremmo dire loro “Cosa aspettate a ribellarvi? Sì, a ribellarvi per obbedire a Dio! Considerate l'esito di questa Chiesa malamente ammodernata, considerate la grande tristezza che ha prodotto e obbedite gioiosamente a Dio. Solo così servirete  con amore la Chiesa, perché la Chiesa è Tradizione.


    2. Un ravvedimento in coloro che hanno così osteggiato la Messa tradizionale e l'hanno confinata. Sappiamo che non tutti sono in cattiva coscienza. A loro vorremmo dire “lasciateci fare l'esperienza della Tradizione”, dateci le Chiese, permetteteci la cura delle anime e poi venite con tutta semplicità a considerare i frutti. Avete dato le chiese anche agli ortodossi scismatici, pubblicate anche gli orari di culto degli eretici protestanti, quando farete uscire dal limbo la Messa di sempre? Cosa direbbero i vostri vecchi parroci, i vostri nonni e i santi di duemila anni di cristianesimo? 


     Perdonateci se vi abbiamo parlato in tutta schiettezza, non vogliamo offendere nessuno ma suscitare un sussulto di coscienza: nelle situazioni drammatiche non c'è tempo per i convenevoli.


     Che l'anno 2014 possa smuovere, per grazia di Dio e per la preghiera di molti, dal torpore tante anime sincere.

     


    Venezia : alcune foto della Messa di Mezzanotte a San Simeon Piccolo

     
    Agli Amici lettori di Messa in latino con gli Auguri più fraterni e cari. 
    Invio in anteprima le foto della Messa di Mezzanotte 2013, Natale, a San Simeon celebrata da Padre Konrad . 
    Anche per quest'anno, la Santa Messa di Mezzanotte nell'antico rito romano  è stata magistralmente accompagna dal Coro e dall'Organista. ( Vorremmo sapere i nomi per favore N.d.R.) 
    La Chiesa si è andata man mano riempiendo con una silenziosa e calorosa partecipazione ai Divini Misteri in questa Notte Santa, come dimostrano le foto, dopo che Padre Konrad aveva trascorso anche un'ora, prima della Messa, al Confessionale. 
    Le luci delle candele, l'incenso e i canti, hanno davvero aiutato noi fedeli ad una viva partecipazione per predisporci ad accogliere l'Emmanuele, il Dio con noi, fatto Bambino per salvarci. 
    Con l'Adeste Fideles si è conclusa la celebrazione mentre il sacerdote deponeva il Bambinello nel Presepio.... 
    Al termine della Sacra Funzione, Padre Konrad si è trattenuto con i Fedeli per un breve, vista l'ora, fraterno saluto e augurio di Buon Natale. 
     
    (Una fedele di San Simeon Piccolo
     












     




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    16/02/2014 21:52
     
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    “Il vestiario liturgico, cioè i paramenti sacri,
    è il segno distintivo del sacerdote Cattolico.
    Non sono qualcosa di facoltativo” 
    (Giovanni Paolo II)













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    30/03/2014 13:13
     
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     IL VELO O CONOPEO DELLA PISSIDE, QUESTO SCONOSCIUTO.

                                      


    Tra le sacre suppellettili che la tradizione ci consegna, probabilmente il velo che ricopre la pisside è il meno conosciuto.
    Credo che solo chi per questioni di età abbia avuto modo di partecipare alla messa preconciliare, possa ricordarlo.

    Eppure un tempo era corredo integrante della Pisside stessa.

    Ne era prescritta la confezione usando tessuti preziosi come la seta, ancor meglio se arricchiti in trama ed ordito con filo d'oro.
    Anche la decorazione doveva essere importante, con ricami in oro ed argento.
    Dunque doveva presentarsi ricco e solenne, ma non rigido o pesante al punto da renderne difficoltoso l'utilizzo.

    Del conopeo si parla nell' ORNATUS ECCLESIAE, laddove si prescrive che "per la pisside si appresti una sorta di piccolo piviale, in stoffa d'oro o argento ove possibile o comunque ornato con gemme e pietre preziose".

    PERCHE' TANTA ATTENZIONE ALLA "RICCHEZZA" DEL CONOPEO?
    Prendo a pretesto la questione del conopeo, per estendere la faccenda a tutti i paramenti e sacre suppellettili.

    Il conopeo della pisside deve essere ricco, poiché deve formare il manto regale per il trono del "Dio nascosto".

    Che non è molto diverso dall'affermare che anche una casula e tutto il parato ecclesiastico debba essere egualmente ricco poiché usato nel momento della discesa dello Spirito Santo sui fedeli.

    HAI MAI VISTO QUANTI TIPI DIVERSI DI CONOPEI CI SONO IN GIRO?

    Io ne ho sintetizzati 4 tipi:

    1 - A PIVIALE , ovvero una quasi ruota a cui si asporta una piccola porzione di tessuto. Sembra davvero un piccolo piviale antico.
    2 - A CROCE GRECA, ottimo per i tessuti più preziosi, semplice da realizzare
    3- POLIGONALE, il più complesso poiché costituito da 4 facce sagomate e cucite insieme successivamente
    4- A PAENULA, come l'antico mantello. In sostanza si tratta di una circonferenza con un buco adeguato al centro per la croce.
    Ovviamente questa variante va bene per i tessuti più semplici. 

                                

                                  

    Ancora una volta, è da attribuirsi a San Carlo Borromeo con le sue Instructiones, la codifica della fattura ed utilizzo di questa sacra suppellettile, poiché in realtà nei tempi precedenti e massimamente nel Medio Evo, le abitudini erano differenti.

    ANCHE OGGI LE ABITUDINI SONO DIFFERENTI : NESSUNO USA PIU' IL CONOPEO....



                                                        

                                                        

     



    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    01/08/2014 09:08
     
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      Pace sì, ma senza confusioni. Francesco aggiusta la liturgia





    pace


    Il segno della pace nel rito romano rimarrà nello stesso momento della messa in cui è tuttora collocato, prima della distribuzione dell’eucaristia. Ma vanno corretti gli abusi che si sono registrati finora, soprattutto riguardo alla confusione che spesso contraddistingue questo momento della liturgia.


    È questo il senso di una lettera circolare inviata dalla congregazione per il culto divino alle conferenze episcopali del mondo, che si può leggere qui nella sua versione spagnola:


    > “A los señores Obispos…”


    Nella missiva, firmata dal cardinale prefetto Antonio Cañizares Llovera e dall’arcivescovo segretario Arthur Roche, si ricorda che lo studio della questione era stato avviato nel corso del sinodo sull’eucarestia del 2005.


    E si cita ciò che al punto 49 dell’esortazione apostolica postsinodale del 2007, “Sacramentum caritatis”, Benedetto XVI aveva scritto:


    “Durante il sinodo dei vescovi è stata rilevata l’opportunità di moderare questo gesto, che può assumere espressioni eccessive, suscitando qualche confusione nell’assemblea proprio prima della comunione. È bene ricordare come non tolga nulla all’alto valore del gesto la sobrietà necessaria a mantenere un clima adatto alla celebrazione, per esempio facendo in modo di limitare lo scambio della pace a chi sta più vicino”.


    Papa Joseph Ratzinger in nota aveva poi aggiunto:


    “Tenendo conto di consuetudini antiche e venerabili e dei desideri espressi dai padri sinodali, ho chiesto ai competenti dicasteri di studiare la possibilità di collocare lo scambio della pace in altro momento, ad esempio prima della presentazione dei doni all’altare. Tale scelta, peraltro, non mancherebbe di suscitare un significativo richiamo all’ammonimento del Signore sulla necessaria riconciliazione previa ad ogni offerta a Dio”.


    Prima dell’offertorio è anche il momento in cui il segno della pace è collocato nella liturgia ambrosiana, in vigore nella diocesi di Milano.


    La circolare, i cui contenuti sono stati approvati da papa Francesco nel corso di una udienza concessa a Cañizares lo scorso 7 giugno, spiega che – dopo aver consultato le conferenze episcopali e dopo un una approfondita riflessione – si è deciso di far rimanere lo scambio della pace prima della comunione per non introdurre cambi strutturali al messale romano.


    Nello stesso tempo però vengono date alcune indicazioni pratiche per ovviare agli inconvenienti riscontrati.


    E cioè:


    1. Si ricorda che non è necessario invitare meccanicamente ogni volta i fedeli a scambiarsi il segno della pace, e quindi se lo si ritenga conveniente lo si tralasci.


    2. Si rileva l’opportunità che nella pubblicazione della nuova edizione del messale in corso le conferenze episcopali cambino in meglio le modalità suggerite precedentemente: passando ad esempio da gesti familiari e profani di saluto a gesti più appropriati.


    3. Si indica la necessità che nello scambio della pace si evitino: l’introduzione di un canto della pace inesistente nel rito romano; lo spostamento dei fedeli dal proprio posto; l’abbandono dell’altare da parte del sacerdote per dare la pace ad alcuni fedeli. Inoltre, si raccomanda di evitare che in alcune circostanze – come le solennità di Pasqua o Natale, i battesimi, le prime comunioni, le cresime, i matrimoni, le ordinazioni sacerdotali, le professioni religiose, le esequie – il darsi la pace sia occasione per felicitarsi o per esprimere condoglianze tra i presenti.  


    4. Si invitano le conferenze episcopali a preparare catechesi liturgiche sul significato del rito della pace nella liturgia romana e sul corretto sviluppo nella celebrazione della messa.


    La lettera è datata 8 giugno. E la notizia della sua esistenza è trapelata in Spagna dove è stata trasmessa ai singoli vescovi con una lettera di accompagnamento datata 28 luglio.


    Ora si vedrà se e come verrà applicata, in Spagna e altrove.


    <<<  >>>


    NOTA BENE !


    Il blog “Settimo cielo” fa da corredo al sito “www.chiesa”, curato anch’esso da Sandro Magister, che offre a un pubblico internazionale notizie, analisi e documenti sulla Chiesa cattolica, in italiano, inglese, francese e spagnolo.


    Gli ultimi tre servizi di “www.chiesa”:


    29.7.2014
    > Müller: “Queste teorie sono radicalmente errate”
    Il prefetto della congregazione per la dottrina della fede confuta le tesi di chi vorrebbe consentire le seconde nozze con il primo coniuge in vita. Gli dà man forte il cardinale Sebastián, anche lui contro il cardinale Kasper. Ma papa Francesco con chi sta?

     


    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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