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La vera e autentica Comunità Cristiana, come deve essere e come si deve comportare, di Don Divo Barsotti

Ultimo Aggiornamento: 12/04/2012 22:50
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12/04/2012 22:47
 
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Si diceva che, in fondo, se anche io ho un impegno di amare gli altri, non per questo io debbo immediatamente spogliarmi di tutto in favore del primo venuto, ma devo rispondere al bisogno che gli altri hanno, all'apertura che l'anima mi offre. In me ci deve essere questa disposizione a donarmi totalmente, ma il dono effettivo per gli altri difficilmente si consuma come dono totale, perché appunto non posso donarmi che quando Dio mi presenta un bisogno e quando un'anima mi chiede qualcosa, sia pure implicitamente, cioè quando io riconosco il bisogno di un'anima e la mia carità risponde al bisogno di quest'anima. C'è dunque in me una disposizione totale a donarmi, una disposizione al dono totale, ma non c'è un effettivo dono totale a un'altra creatura, anche perché nemmeno la creatura potrebbe riceverlo totalmente, per una impenetrabilità che c'è fra tutte le creature, perché non siamo comunicabili fino in fondo.


La teologia ci dice che il fondo dell'anima non può essere visitato altro che da Dio. Che vuol dire questo? Che rimangono zone inesplorate all'anima stessa, un segreto che Dio solo conosce. A Dio solo l'anima si apre totalmente, e Dio solo fino in fondo la conosce, la penetra, la può possedere.
Se dunque dobbiamo avere questa disposizione di dono totale verso ogni creatura, effettivamente un dono totale non si realizza mai con la creatura: si realizza con Dio, per questo il mio rapporto di amore con Lui rimane esclusivo. Per questo anche l'unione nuziale l'anima può operarla e viverla soltanto con Dio che, essendo Puro Spirito, si infonde totalmente nell'anima, totalmente si dà anche se l'anima non può totalmente riceverlo. Il tormento di due che si amano è anche questo: che non possono donarsi totalmente. Nessuno di noi può totalmente ricevere l'altra creatura.
Dio si può infondere totalmente. L'opacità del corpo non impedisce a Dio di totalmente donarsi, e nell'anima non c'è nulla che sia impenetrabile a Dio perché Egli non possa veramente donarsi. Sono escluse due impossibilità che invece si riscontrano sempre nella creatura come tale di fronte a un'altra creatura. Di fronte a Dio l'anima è aperta: Dio può penetrarla totalmente, sia perché Egli stesso non ha impedimenti a questo suo dono, sia perché l'anima di fronte a Dio non può opporre difesa.
D'altra parte, anche l'anima di fronte a Dio non deve soltanto avere una disposizione al dono totale, ma deve realizzare il dono totale: questo è l'impegno cristiano, di realizzare un dono totale di noi stessi al Signore onde, veramente, ciascuna delle nostre anime è sposa del Cristo e in tanto vive in quanto realizza queste nozze mistiche con Lui.
Il matrimonio non può essere altro che il segno di un'altra unione ben più intima e profonda che è l'unione degli sposi con Dio. Unione che gli uomini sono impegnati a realizzare e realizzeranno in un dono effettivo di sé al Signore. Impegno, ripeto, proprio di qualunque cristiano – non solo di chi ha i voti religiosi, ma di qualunque cristiano, perché la legge fondamentale del Cristianesimo, la legge dell'amore, non esclude nulla, non si riserva nulla che non debba dare a Dio. Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutte le tue forze. Nulla è possibile sottrarre all'esigenza di questo amore divino. Tu devi donarti totalmente. Come Dio tutto si dona a te, così tutto tu devi donarti al Signore.


L'aspetto comunitario del Cristianesimo è una prova ed è anche la conferma e il frutto di un'altra unione: della nostra unione nuziale con Dio. Prova e frutto. Tu non amerai Dio che non vedi se non ami il fratello che vedi, ci dice San Giovanni. Direi soprattutto che è frutto, perché non è possibile nemmeno una comunione fra gli uomini se prima, almeno logicamente, non interviene la nostra unione con Dio. Logicamente, dico, perché non si può mettere un prima e un dopo in senso temporale; ma certo, siccome la comunione tra fratelli dipende dalla nostra unione con Dio, logicamente l'unione con Dio precede l'unione tra i fratelli. Se dobbiamo amarci fra noi, realizzeremo praticamente una comunità fra gli uomini soltanto nella misura che avremo realizzato la nostra comunione con Cristo. Dopo il peccato, una comunità fra gli uomini non ha possibilità di realizzarsi se non ha un carattere religioso. E tanto più questa comunità si realizzerà, si attuerà, quanto più ciascuno dei componenti avrà realizzato la sua unione con Dio.
Vogliamo dunque che la comunità viva? L'impegno è questo: che si sia veramente figli di Dio e ciascuno di noi sposa del Cristo. Qui non c'è sesso, anche gli uomini possono dire di essere tali, perché l'uomo di fronte a Dio è sempre passivo, la sua attitudine di fronte a Dio è sempre un'attitudine femminile. È la passività, l'aprirsi, l'abbandonarsi a una grazia, a un Dio che visita l'anima e la possiede. Questa è la santità cristiana.
Dobbiamo dunque realizzare il nostro rapporto con Cristo: prima di tutto, questo. Sarà frutto della santità personale di ciascuno la creazione di una vera comunità fraterna fra noi, di una vera unità di spirito, di anima, di cuore, di vita fra noi.


E dimostreremo, precisamente attraverso quella che è la vita della comunità, quanto sia grande il nostro amore per Dio. La comunità è veramente il distintivo, il segno del nostro amore per Cristo. In concreto il nostro amore ha la sua dimostrazione precisa nel creare una comunità dove veramente si realizza una reciprocità di dono, dove veramente all'amore dell'uno risponde l'amore dell'altro: diligites alterutrum. Questo è vero sempre, nella Chiesa di Dio: nella Chiesa Cattolica non si vive mai tutta la vita della Chiesa Cattolica; per vivere il nostro amore, un amore reale, si vengono a creare naturalmente delle piccole comunità, che non sono chiuse e che, pur mantenendosi aperte, sono però delle comunità più o meno piccole quanto più o meno piccola è la capacità d'amore che un'anima ha.
All'amore di Cristo risponde l'unità di tutta la Chiesa, perché tutta la Chiesa Egli riassume in Sé, a tutti Egli si dona, tutti Egli salva, e tutti lo debbono amare. Anch'io debbo amare tutti, sono chiamato ad amare tutti, ma non avrò mai la capacità di amore che ha Cristo. Il mio dono effettivo non potrà essere dato a chiunque in un modo così pieno come lo ha dato Gesù così da salvare in Sé ogni anima. Il fatto della universalità dell'amore di Cristo non nuoce per nulla alla sua intensità, alla sua efficacia, alla sua immensa realtà; ma in noi nuocerebbe. Fintanto che noi si dice di amare tutti, praticamente non si ama nessuno. Bisogna che la comunità sia fatta a nostra misura. Ecco la necessità di una comunità entro la Chiesa: non è una piccola Chiesa entro la Chiesa, non una congrega chiusa all'amore: è invece l'effettiva riprova di un impegno, è effettivamente il congregarsi di un impegno di amore.


Vogliamo dunque noi amare molto Dio? Bisogna che anche la comunità sia fatta su nostra misura, sulla misura del nostro amore. Ecco l'impegno: realizziamo la comunità in modo reale, vero, concreto, che ci sia una vera comunione di tutti i beni, per cui nulla è più mio e tutto è di tutti. Mia è la vostra povertà, economica, spirituale, culturale; vostra è la mia ricchezza, se ho una ricchezza. Nulla è più mio. Tutto quello che possiedo in tanto lo possiedo in quanto lo dono. Non perché me ne spogli, ma perché donandolo io venga a possedere quello che voi mettete in comune. Cor unum et anima una vuol dire precisamente questo: non divenire tutti poveri, ma divenire tutti ricchi, della ricchezza che è una sola. È la reciprocità, qui, che conta.
Se la Chiesa precede come unità mistica il nostro impegno di amore, la comunità non precede il nostro impegno di amore, e sarà realizzata precisamente nella misura che noi vivremo un effettivo dono di noi stessi ai nostri fratelli.


La comunione fra noi si realizzerà soltanto indirettamente, attraverso un vivere insieme. Però è pericolosissimo il parlare, il mio parlare! Dà noia a me, e se non dà noia a voi è peggio ancora, perché anche voi state a sentire un discorso. Insomma, la vita della comunità è un'altra cosa: è la vita della preghiera, un incontro con Dio, è lo stare insieme per amore. Questa è la vita della comunità! Troppo si parla! [SM=g1740721]

Il pranzo in comune fa molto, ma anche la preghiera. La giornata deve essere più spoglia di parole e più piena di preghiere. Non un silenzio che ci isola, ma una serenità, una pace, una distensione interiore che importa sì un silenzio, ma non un silenzio assoluto. Il pericolo è che ci possa essere un isolamento per alcuni che sono impegnati soltanto alle loro preghiere, senza un legame effettivo di carità con gli altri. È esclusivamente il valore religioso che veramente ci impegna e ci unisce, ma l'impegno religioso è difficile se non c'è un minimo di convivenza, perché potrebbe diventare un impegno soltanto pietistico.


Siamo tutti così disparati, ma nonostante questo ci sentiamo tutti vicini, perché il nostro rapporto non è costituito dalla cultura o da qualche cosa di sovrapposto, ma da qualche cosa che è intimo, che è ontologico: la carità soprannaturale. Ci saranno sempre dei limiti, perché l'impenetrabilità è propria della creatura, siamo fatti così. Però è anche vero che questa nostra unione che è, sì, fondata su un rapporto religioso, per essere concreta e reale bisogna che realizzi un certo essere l'uno nell'altro. La cosa importante è che noi ci amiamo.

 

[SM=g1740717] Don Divo Barsotti

 

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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