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Centenario di un TITANIC che osò sfidare il cielo... cronaca di una tragica fine annunciata

Ultimo Aggiornamento: 24/04/2012 16:56
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Il Titanic, che sfidò l'ira del Cielo

 

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In occasione del primo centenario dell'affondamento del famoso vascello da crociera, riproponiamo alla lettura l'articolo La maledizione del Titanic, comparso sul fascicolo del mensile Studi Cattolici, diretto a Milano da Cesare Cavalleri, del gennaio 2000.

 

Nella mitologia greca i Titani cercarono di sfidare gli dèi e ne furono precipitati negli abissi. E’ solo una delle tante singolari coincidenze che segnano la vicenda della nave più famosa della storia. Non fu la prima né l’ultima nave che affondò con gravi perdite di vite umane, ma questa è rimasta nell’immaginario collettivo in modo speciale.

Agatha Christie diceva che due coincidenze fanno un indizio e due indizi una prova; qualcuno è più esplicito: un incontro è un caso, due una coincidenza, tre un complotto. Dietro l’affondamento del Titanic e la morte di 1522 persone, tuttavia, non c’è alcun complotto; solo un’impressionante serie di coincidenze che ne hanno fatto davvero una nave maledetta dagli dèi. Una nave che, va detto, fece di tutto per attirare su di sé la collera divina. Ed è forse per questo suo simbolismo prometeico, in un’epoca in cui gli uomini erano così orgogliosi della loro scienza da ritenere di poter sfidare Dio e fare a meno di Lui, che la tragedia del Titanic si è impressa per sempre nelle menti di tutti.

Costituiva, quella nave, il punto più alto di una Belle Epoque che aveva celebrato i suoi fasti nell’Expo Universale di Parigi del 1900, tutta all’insegna dell’elettricità, la potenza del fulmine carpita dall’uomo agli dèi. Subito dopo il perdersi del Titanic nell’abisso, scoppiò la più immane guerra che il mondo avesse mai visto, detta appunto Grande Guerra, in cui la scienza mostrò per la prima volta il suo aspetto demoniaco; e il secolo ventesimo, quello del progresso (diceva Victor Hugo: «Il diciannovesimo secolo è grande, ma il ventesimo sarà felice»), divenne il più sanguinoso e terrificante dell’intera storia umana. Il Titanic, che incarnava la fede assoluta nel progresso tecnologico, non terminò nemmeno il suo primo viaggio.

Fiore all’occhiello dell’impero britannico, il più esteso della storia, era la nave più lussuosa di tutti i tempi. Aveva due sorelle, la Olympic e la Gigantic, ma era la più grande. Alta come un palazzo di ventisei piani, con un motore di quindici metri d’altezza, fumaioli lunghi venti metri e così ampi da poter farci passare due locomotive. Quella nave smisurata fu denominata l’inaffondabile e varata il 31 maggio 1911. L’arredamento era in stile Luigi XIV. Luigi XV, Luigi XVI e Impero. Porcellane, argenteria, menu faraonici. Inoltre, un’intera armata di serventi per ogni situazione, dai ragazzi d’ascensore ai musicisti. L’inaffondabile poteva continuare a navigare anche con quattro di quei suoi famosi compartimenti stagni, di cui andava fiera, allagati. Peccato che l’iceberg ne abbia sventrati cinque. La tecnologia dell’epoca, poi, non teneva nel giusto conto il fatto che il freddo rende l’acciaio più friabile e che l’eccessiva lunghezza del Titanic, oltre a impedire una virata veloce, lo rendeva fragile al centro (infatti, si spezzò in due). Si aggiunsero i noti errori umani, come l’insufficiente numero di scialuppe. Ma a che servivano, in una nave per definizione inaffondabile?

Poi, gli accadimenti premonitori. Il giorno del varo un supporto della chiglia si staccò e uccise un operaio. Pochi giorni dopo, un altro operaio cadde in mare e annegò. Il giorno della partenza per il viaggio inaugurale, il 10 aprile 1912, i giganteschi ormeggi che trattenevano la nave al molo rischiarono di trascinare una nave americana, che si salvò a stento. Qualche ora dopo, un furioso incendio scoppiò nella riserva di carbone. Ci vollero tre giorni a domarlo. Il fuoco indebolì la struttura in quel punto, cosa che permise all’iceberg di sventrare anche il quinto compartimento stagno. Il 15 aprile, a mezzanotte e venticinque, il disastro. L’Inghilterra era stata paralizzata da un grande sciopero di minatori nel gennaio e la White Star Line (la compagnia proprietaria del Titanic) voleva assolutamente che la prima nave a partire fosse una delle sue. Per questo reclutò gran parte dell’equipaggio appena qualche ora prima della partenza. Pochissimi marinai avevano messo piede sul Titanic, e la nave non aveva effettuato alcuna prova in mare. Gli ufficiali sapevano perfettamente che la zona da attraversare era infestata da iceberg. Alle 23.40 la vedetta scorge l’iceberg fatale. La nave vira ma è troppo tardi: in dieci secondi, cento metri di chiglia sono sventrati. La responsabilità è del presidente della White Star Line: ha costretto il capitano a procedere ad alta velocità nella zona pericolosa, ha intasato la radio di bordo con i suoi messaggi augurali, ha deciso di non prendere in considerazione gli avvertimenti delle altre navi. Voleva per il Titanic il Nastro Azzurro, il record di velocità, e l’aveva spinto a nord, sulla rotta più breve: le azioni della compagnia sarebbero andate alle stelle.

Fu arrestato, allo sbarco, per ordine del Presidente americano in persona, ma nel processo riuscì a cavarsela. Diversi miliardari annegarono: J.J. Astor, proprietario della catena di hotel Waldorf Astoria: il re del cuoio B. Guggenheim, la cui famiglia aveva messo in ginocchio il Messico; C. Hays, re delle ferrovie canadesi, e J. Tayer, re di quelle statunitensi; I. Strauss, padrone della catena di grande distribuzione Macy’s; G. Widener, re delle tramvie americane: W. T. Stead, proprietario del Pall Mall Gazette; W. H. Parr, boss della rete elettrica americana. Tutto il loro denaro non servì a niente, mentre oscuri poveracci si salvarono. Qualcuno di loro cercò vanamente di comprarsi un posto in scialuppa. Qualcun altro morì con grande dignità. Come Stead, spiritista fervente, che i medium avevano avvisato: sarebbe morto in un naufragio. Si cimentava anche nei racconti, e ne aveva scritto uno sulla Rewiew of Rewiews: la storia di una nave della White Star Line, il Majestic, comandata da un capitano di nome Edward John Smith e affondata per l’urto con un iceberg. Attese la fine in poltrona leggendo il giornale: aveva capito che era arrivata la sua ora. Qualche settimana prima un altro racconto, scritto da Mayn Glew Garnett, era apparso sul Popular Magazine: una nave lunga 250 metri colava a picco urtata da un iceberg e metà dei passeggeri moriva per l’insufficienza delle scialuppe. L’autore disse poi di averne avuto l’idea dopo essere salito sull’Olympic. Prima di lui la poetessa Celia Thaxter aveva composto una lirica su un iceberg che, spostandosi a sud, affondava una nave.

Ma la premonizione più impressionante risale al 1898, anno in cui era uscito il romanzo Futilità dello scrittore Morgan Robertson: una nave di lusso, il Titan, affondava durante il viaggio inaugurale, una notte d’aprile, per aver urtato un iceberg. La catastrofe del Titanic segnò l’inizio della fine della supremazia europea nel mondo: i contraccolpi economici della scomparsa subitanea di una mezza dozzina di grandi finanzieri non tardarono a manifestarsi e si aprì una campagna che portò alle legislazioni antitrust. Il marinaio John Priest («prete») era scampato a un rischio affondamento sull’Olympic, si salvò dal Titanic, dal Britannic (ex Gigantic), dall’Alcantara e dal Donegal, tutte navi naufragate. Dopo di che, nessuno lo volle più a bordo. Il capitano del Titanic morì cercando di salvare un bambino. I trentasei ingegneri meccanici e i cinque addetti si sacrificarono per continuare a fornire elettricità alla nave. Lo stesso fecero i membri dell’orchestra, che suonarono fino alla fine per rincuorare chi restava a bordo. Rimase anche il prete cattolico Byles, che diede l’assoluzione a tutti quelli senza scampo. Diverse scene di eroismo si videro, e altrettante di ignobile vigliaccheria. La compagnia tolse i marinai del Titanic dal libro-paga esattamente alle ore 2.30, appena affondata la nave. Il vicepresidente della White Star Line, approfittando del lasso di tempo intercorrente tra la notizia del disastro e il suo recepimento a Londra, sottoscrisse altre polizze assicurative con i Lloyds, che ricevettero una bella batosta. Ma non salvò dalla rovina la compagnia. La vedetta del Titanic fu licenziata per non aver voluto mentire in tribunale e finì suicida. Tutte le navi che avevano avuto a che fare con Titanic, in qualsiasi modo, fecero una brutta fine.

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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Passare i mari. Suonava così il titolo di una benemerita lotteria promossa dai missionaria comboniani. Obiettivo, raccogliere fondi per permettere a tanti araldi di portare 'religione e civiltà' - parola di don Nicola Mazza, maestro di Daniele Comboni - in ogni angolo del mondo.

E anche nella sciagura, oggi centenaria, del Titanic fanno capolino missionari (e missionarie!) che si erano imbarcati (tutti in seconda classe) nel transatlantico protagonista di una delle tragedie­simbolo della Belle Èpoque. Due gli esponenti del clero cattolico: padre Thomas Byle, sacerdote inglese, formatosi come prete anglicano al Balliol College di Oxford per poi abbracciare il cattolicesimo. Studente a Roma, nel 1905 divenne titolare della chiesa di St Helen a Ongar, nell’Essex: «Molto amato e stimato dai membri della comunità locale», lo definì il giornale "Epping Gazzette" quando fu annoverato tra le vittime del naufragio.

«Da quando è arrivato a Ongar il numero dei partecipanti è notevolmente aumentato»: questo il suo epitaffio, che dava l’idea della pietà di questo prete. Il quale si stava recando a New York per unire in matrimonio suo fratello. Secondo 'don': padre Joseph Peruschitz, 40enne tedesco di Monaco, benedettino, destinato a dirigere una scuola nel Minnesota. Dove non arrivò mai. Sul Titanic vi erano anche altri religiosi cristiani. Il reverendo anglicano Ernest Carter, nato nel 1858, vicario della chiesa di St Jude di Commercial Street, una malfamata zona di Londra, venne pianto parecchio - insieme a sua moglie Lillian, anch’essa deceduta nell’Oceano - dalla sua comunità: «In tutte le sue opere buone portava un gaio entusiasmo», fu il ricordo di un suo fedele. I Carter guidarono, la sera di quel fatidico 14 aprile 1912, un incontro di preghiera nella seconda classe del transoceanico cui parteciparono alcune centinaia di passeggeri, con tanto di inni cantati e accompagnati da un pianoforte. L’ultimo, profetico, si intitolava "Day is Over" ('La giornata è finita'). Ancora: un personaggio fuori dagli schemi era Charles Kirkland, canadese, classe 1841, convertitosi alla religione battista, impiantatosi nel Maine, flagellato dalla vita: gli morirono tre figli e la moglie. Predicatore itinerante, nel 1911 approdò in Scozia. Terra che trovò inospitale, per cui decise di far ritorno nel Nuovo mondo: non ci arrivò mai. Curiosa poi la vicenda di Annie Clemmer Funk, missionaria mennonita, nata in Pennsylvania nel 1874. Dopo gli studi nel Massachusetts, si immerse nella missione urbana nel Tennessee e nel New Jersey. Quindi nel 1906 si imbarcò per l’India: fu la prima missionaria mennonita. Sei anni dopo da Bombay fece ritorno in patria per assistere la madre in fin di vita: in un avventuroso viaggio che la portò dall’India a Marsiglia, quindi a Liverpool, di qui si imbarcò su una nave per Philadelphia. Lo sciopero del carbone di quel tempo la 'costrinse' a salire sul Titanic: durante il viaggio verso casa, il 12 aprile, scoccava il suo 38° compleanno, l’ultimo per lei.

L’epopea della nave del secolo sommerse anche alcuni cristiani «in fuga dalle persecuzioni turco­musulmane e dalle privazioni. I passeggeri che si imbarcavano in terza classe erano soprattutto cristiani armeni e libanesi». È quanto ricorda il recente e godibilissimo "Lo spettro del ghiaccio. Vite perdute sul Titanic" (Einaudi), di Richard Davenport-Hines. Il genocidio armeno non era ancora scoccato ma già l’avversione anticristiana soffiava forte nell’Impero ottomano: Ortin e Mapriededer Zakarian, David Vartanian, Sarkis Mardirosian, Neshan Krikorian, Orsen Sirayanian sono alcuni di questi eroi anonimi, sfuggiti ad una morte voluta dagli uomini e che finirono la loro vita nelle fredde acque dell’oceano.

 

Lorenzo Fazzini
 
 ***************
 

I preti a bordo del TITANIC

 

Fu il 15 aprile 1912, quando il TITANIC affondò nelle acque ghiacciate del Nord Atlantico portando con sé oltre 1500 vite. Proclamata ampiamente come inaffondabile, fu il più grande oggetto mobile mai costruito dall'uomo in quell'epoca. Alcune delle persone più ricche del mondo furono a bordo. La più grande, la più lussuosa nave conosciuta dall'uomo in quel tempo se n'era andata, ricordando al mondo la nostra fragilità di esseri umani. Ma l'affondamento del TITANIC fu più di una tragedia storica, fu la storia di un eroismo coraggioso e di una fede incrollabile.
I preti a bordo del TITANIC donarono la loro vita in un eroico sacrificio, lasciando uno storico esempio di coraggio e di fede. Due preti cattolici annegarono, con gli uomini e le donne, raggruppati vicino a loro, intonando preghiere. Ma non soltanto i cattolici, anche i preti protestanti e gli stessi ebrei, rendendosi conto che la loro ultima ora fu prossima, parteciparono al servizio religioso finale sul ponte inclinato del TITANIC, mentre la nave venne trascinata verso il fondo degli abissi.


 

Robert James Bateman
Robert James Bateman


 

Il Reverendo Robert James Bateman si imbarcò sul TITANIC a Southampton diretto in Florida. Viaggiò in seconda classe, con il biglietto numero 1166, insieme alla cognata Ada E. Hall Balls. Secondo Walter Lord, il Reverendo Bateman sorvegliò che la signora Ada E. Hall Balls salisse a bordo della lancia di salvataggio numero 10. Mentre la barca fu abbassata in mare, il Reverendo si tolse la sua cravatta e la passò alla cognata come ricordo.
Ada E. Hall Balls più tardi ricordò quanto segue: "Mi ha forzato a salire nell'ultima barca; credo che fosse stata l'ultima persona ad abbandonare la nave. Mi ha gettato il suo soprabito sopra le mie spalle mentre la scialuppa stava calando in mare, lui ha preso la sua cravatta nera e me l'ha gettata dicendomi: -Goodbye, God bless you!-".
Il Reverendo Bateman ebbe 51 anni all'epoca del naufragio. Il suo corpo successivamente fu recuperato e contrassegnato dal numero 174, dal Mackay Bennett.


 

Thomas Roussel Davis Byles
Thomas Roussel Davis Byles


 

Padre Thomas Roussel Davis Byles, salì a bordo del TITANIC diretto a New York dove dovette officiare le nozze del fratello. La mattina di domenica, del 14 aprile, Padre Byles celebrò la santa messa dapprima per i passeggeri di seconda classe e successivamente per quelli di terza classe. Dopo che il TITANIC colpì l'iceberg, Padre Byles si comportò coraggiosamente aiutando i passeggeri di terza classe a salire sulle scialuppe di salvataggio. Si recò quindi all'estremità della nave dove ascoltò oltre un centinaio di confessioni dei passeggeri che non riuscirono salire sulle scialuppe di salvataggio. A Padre Byles parecchie volte venne offerto un posto su una scialuppa di salvataggio, ma egli rifiutò e conseguentemente affondò con il TITANIC. Il suo corpo non fu mai recuperato.


 

John Harper
John Harper


 

Il Reverendo John Harper fu a bordo del TITANIC quando salpò da Southampton, per il suo viaggio inaugurale. Mentre molti passeggeri parlarono e converarono di operazioni commerciali, acquisti e desideri materiali, i sopravvissuti riferirono di aver visto il Reverendo Harper, nei giorni precedenti alla tragedia, vivere come un uomo di fede, pronunciando parole gentili. La sera del 14 aprile, mentre i passeggeri ballarono o tentarono la fortuna ai tavoli da gioco, il Reverendo Harper mise sua figlia Nina a letto. Alle 23:40 il TITANIC urtò l'iceberg: la nave inaffondabile fu condannata.
Sia che fossero increduli o inconsapevoli, i passeggeri continuarono nei loro divertimenti. Soltanto quando l'equipaggio della nave mandò una serie di segnali di pericolo, illuminando la notte senza luna, i passeggeri finalmente si resero conto della gravità della loro situazione. Seguì allora il caos. Accadde tutto così rapidamente, che il Reverendo Harper poté solo reagire: svegliò sua figlia, la sollevò e l'avvolse in una coperta prima di portarla sul ponte. Qui, con un bacio la salutò e la affidò nelle mani di un membro dell'equipaggio, che la calò nella scialuppa numero 11. Il Reverendo Harper seppe in cuor suo che non avrebbe mai più visto la figlia e che ella sarebbe rimasta orfana all'età di 6 anni. Poi il Reverendo Harper diede il suo giubbotto di salvataggio ad un passeggero, ponendo così fine ad ogni sua possibilità di sopravvivenza. I sopravvissuti riferirono di averlo visto sul ponte superiore circondato da passeggeri terrorizzati, mentre pregò in ginocchio per la loro salvezza. Alle 2:20 del mattino il TITANIC scomparve sotto l'Atlantico del Nord, lasciando una nuvola di fumo e vapore a forma di fungo sulla sua tomba e, tragicamente, più di un migliaio di persone, incluso il Reverendo Harper, che lottarono per le loro vite nell'acqua gelata. Egli cercò di trovare un pezzo di relitto galleggiante per aggrapparvisi ma presto cominciò a soccombere al mare. Persino nell'ultimo momento continuò nello scopo della sua vita di conquistare le anime perdute. Il Reverendo Harper, come sappiamo, non sopravvisse, ma il suo esempio di fede imperitura visse come un esempio per tutti.


 

Charles Leonard Kirkland
Charles Leonard Kirkland


 

Il Reverendo Charles Leonard Kirkland, 57 anni, fu un ministro presbiteriano di Glasgow, Scozia. Egli si stette recando negli Stati Uniti per far visita a sua sorella. Fu accompagnato nel suo viaggio da Frank Hubert Maybery e prenotò un posto come passeggero di seconda classe. Kirkland morì nell'affondamento, il suo corpo, se recuperato, non fu mai identificato.


 

Joseph Mantvila
Joseph Mantvila


 

Il Reverendo Joseph Mantvila fu nativo della Lituania. In seguito ad un soggiorno in Inghilterra, prenotò il viaggio, a Southampton, a bordo del TITANIC, diretto in Massachusetts. La passeggera di seconda classe Ellen Toomey dichiarò ai giornalisti dopo il disastro che sia padre Peruschitz che padre Byles ogni giorno, a bordo il TITANIC, officiarono delle sante messe.
Dopo lo scontro, secondo i rapporti, il giovane prete lituano, 27 anni all'epoca della tragedia, rifiutò un posto su di una delle scialuppe di salvataggio della nave, scegliendo di amministrare le funzioni ai viaggiatori. Mantvila, dunque, morì nell'affondamento ed il suo corpo, se recuperato, non fu mai identificato; fu considerato un eroe in Lituania ed è attualmente allo studio la sua canonizzazione dalla parte della chiesa cattolica.


 

Josef Peruschitz
Josef Peruschitz


 

Padre Josef Peruschitz, tedesco di 41 anni, si imbarcò sul TITANIC a Southampton come passeggero di seconda classe (biglietto numero 237393). Padre Peruschitz concesse l'assoluzione a tutti coloro che stettero per morire, mentre a quelli che entrarono nelle scialuppe di salvataggio si rivolse loro con parole commoventi. Anche a Padre Peruschitz fu offerto un posto che rifiutò e morì nell'affondamento. Il suo corpo, se venne recuperato, non fu mai identificato.

 

Il Reverendo Ernest Courtenay Carter, 54 anni, s'imbarcò sul TITANIC come passeggero di seconda classe, a Southampton (con biglietto numero 244252). Durante il viaggio il Reverendo Carter si procurò un raffreddore; la sera del 14 aprile, presiedette un servizio religioso per circa un centinaio passeggeri di seconda classe nella grande sala da pranzo. Alle ventidue in punto, un cameriere gli servì del caffè ed il Reverendo Carter, alla fine, ringraziò tutti gli intervenuti ed il Commissario di bordo per l'uso del salone. Lo stesso Commissario di bordo disse che fu la prima volta che vennero cantati degli inni religiosi su una nave nella serata di domenica. Il Reverendo Carter morì nell'affondamento: il suo corpo, se recuperato, non fu mai identificato.

 

Il Reverendo William Lahtinen, 30 anni, fu originario della Finlandia. Fu sposato con Anna. Il Reverendo William ed Anna, insieme ad una loro amica Lyyli Karolina Silven, s'imbarcarono sul TITANIC a Southampton diretti a Minneapolis. Dopo che il TITANIC urtò l'iceberg, Anna inizialmente fu imbarcata su una scialuppa di salvataggio, ma decise poi di rimanere con suo marito. Lyyli Karolina Silven (sopravvissuta al naufragio), dichiarò che Anna Lahtinen fu molto nervosa, mentre William fumò tranquillamente un sigaro. Nessuno dei corpi dei coniugi Lahtinen fu ritrovato.

 

 

[Modificato da Caterina63 18/04/2012 15:52]
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18/04/2012 14:53
 
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«Scendi subito da quella nave!». Il telegramma del padre provinciale era perentorio e non lasciava spazio a fraintendimenti. E così Frank Browne, scolastico gesuita irlandese a tre anni dall’ordinazione sacerdotale, a malincuore scese dal transatlantico con la sua valigia e la sua macchina fotografica. [SM=g1740733]
 
In quel momento, padre Frank non poteva sapere che quell’ordine così severo non solo gli avrebbe salvato la vita, ma avrebbe salvato le sue fotografie, immagini destinate a entrare nella storia. Sì, perché i suoi furono gli ultimi scatti del Titanic, presi poche ore prima del tragico affondamento avvenuto domenica 14 aprile 1912 come conseguenza dell’impatto con un iceberg. In occasione del centenario della tragedia, nella quale persero la vita 1.523 dei 2.223 passeggeri imbarcati (compresi gli 800 uomini dell’equipaggio), quelle foto sono state raccolte, digitalizzare e stampate in un libro pubblicato in Irlanda in edizione speciale Father Browne’s Titanic Album (che in realtà è una ristampa aggiornata e arricchita di un volume uscito nel 1997).

Ma chi era il giovane gesuita? E perché si trovava a bordo del Titanic? Quella di padre Browne è una vita piena di episodi eccezionali. Nel 1909, quando è ancora novizio, accompagna lo zio, il vescovo Robert Browne di Cloyne, in un pellegrinaggio a Roma. Nel corso di quel viaggio, ha l’occasione di incontrare, in un colloquio privato, l’allora pontefice Pio X. Ma il gesuita, a suo modo, è già entrato nella storia. All’università, ha la fortuna di essere compagno di corso dello scrittore irlandese James Joyce che lo immortalerà nel personaggio del «signor Browne il gesuita» nel suo capolavoro Finnegans Wake (La veglia per Finnegan).

Padre Browne coltiva una passione: la fotografia. È un autodidatta, ma con una sensibilità tutta particolare per l’immagine considerata non solo dal punto di vista artistico, ma anche documentaristico (con i suoi scatti testimonierà le tragedie della prima guerra mondiale alla quale parteciperà come cappellano e sarà decorato).

Così, quando suo zio gli regala un biglietto per la prima tratta (Southampton-Cobh) del viaggio inaugurale del Titanic, decide di portarsi dietro la sua macchina fotografica e tutto l’armamentario (flash, cavalletti, ecc.) per scattare più immagini possibili. Una volta a bordo non perde un attimo e inizia a fotografare ciò che gli sembra interessante: le stanze e il salone da pranzo della prima classe, la palestra, la biblioteca, i passeggeri che camminano sul ponte, ma anche gli emigranti della terza classe. Molti delle persone immortalate sulle sue lastre periranno nel naufragio. Tra esse il capitano Edward Smith. Fu proprio padre Browne a scattargli l’ultima fotografia prima del tragico incidente.

È stato grazie alle sue immagini che storici e ingegneri sono riusciti a ricostruire almeno una parte della storia del Titanic. Anche il regista James Cameron ha consultato le foto del gesuita irlandese per allestire il set del suo colossal Titanic (1997). La scena del bambino che gioca con una trottola sul ponte di prima classe sotto il vigile sguardo del papà è stata ricostruita proprio a partire da uno scatto di padre Browne (nella foto).

A bordo, il gesuita conosce una coppia americana che si offre di pagargli il biglietto fino a New York. Padre Browne telegrafa al suo superiore a Dublino per chiedergli il permesso, ma gli arriva l’ordine di scendere dalla nave. Con dispiacere obbedisce. http://m21.paperblog.com/i/100/1009014/francis-browne-il-gesuita-che-immortalo-il-ti-L-sPrKrd-175x130.jpeg Tornato nella sua comunità, sviluppa e cataloga le fotografie e poi le archivia in uno scantinato, dimenticandosele. Sarà un suo confratello, molti anni dopo, a ritrovarle e a pubblicarle.
Enrico Casale
© FCSF – Popoli

http://pazzo-per-il-mare.m.libero.it/rresize?location=http://3.bp.blogspot.com/-nJtEzpZLzVA/TaNROTW_hFI/AAAAAAAAKXg/fLGz1XI8Cts/s640/titanic+last+photo+image+foto+ultima+foto.jpg&width=93

Ultima immagine del Titanic
11 aprile 1912: Giovedì ore 13:30 - Il TITANIC ancora fuori da Roche's Point, Queenstown, Irlanda, venne fotografato l'ultima volta da un seminarista gesuita.

 

 

 

Quel gesuita sul Titanic salvo per miracolo

Titanic - Foto di Padre Frank Browne al piccolo Douglas Spedden

La foto che vedete qui sopra non è stata scelta a caso: è una delle foto di Padre Frank Browne, scattata a bordo del Titanic. E’ la foto che immortala il piccolo Douglas Spedden mentre gioca con il padre sul ponte della nave e a cui il regista Cameron si è ispirato per una famosa scena del suo film del 1997 con Leonardo Di Caprio. Se questo scatto oggi possiamo vederlo anche noi, è solo grazie ad un miracolo.

A distanza di 100 anni dal naufragio e con l’uscita nelle sale della nuova versione 3D del film, si è tornati a parlare di Titanic. Non tutti sanno però che a bordo della nave nel 1912 c’era anche un sacerdote gesuita, Padre Browne, appassionato di fotografia che immortalò la nave e i passeggeri che partivano dalla stazione di Londra. Il sacerdote scattò quasi 80 foto, immagini che hanno fatto il giro del mondo e che sono diventate l’ultima testimonianza di ciò che accadeva a bordo del transatlantico prima del disastro (guarda QUI alcune delle foto di Padre Browne).
Il gesuita era imbarcato sul Titanic e si salvò grazie al suo spirito di obbedienza ai superiori: uno zio gli aveva pagato il biglietto per la

Padre Frank Browne

prima tappa del viaggio (quella da Southampton a Queenstown in Irlanda), a cena una sera nella sala da pranzo si trovò a chiacchierare con una coppia di coniugi americani. I due erano rimasti colpiti dal suo spirito di avventura e si offrirono di pagargli il viaggio fino a New York, per tutta la traversata. Il sacerdote rispose: “Il mio superiore di Dublino non mi darà mai il permesso”. Ma il turista americano – come racconta Padre Eddie O’Donnell – rincarò la dose: “Andiamo nella sala telegrafo e inviamo al suo superiore un telegramma per spiegargli tutto”. Dopo diversi giorni arrivò la risposta, un ordine preciso: “Scendi da quella nave”.
Padre Browne dovette obbedire e questo gesto gli salvò la vita. Qualche giorno dopo infatti ci sarebbe stata la tragedia che causò la morte di 1517 persone. Molti anni più tardi, nel 1960, dopo la morte del sacerdote gesuita, un confratello trovò in uno scantinato all’interno di un vecchio baule 40mila fotografie. Tra tutte riuscì a recuperare anche quelle del Titanic, diventate un patrimonio comune e diffuse oggi in tutto il mondo.

 

 

[Modificato da Caterina63 24/04/2012 16:56]
Fraternamente CaterinaLD

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