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De Spiritu et littera. Dal libro Senso religioso, peccato originale, concupiscenza, fede in sant’Agostino

Ultimo Aggiornamento: 25/08/2012 17:08
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29/07/2012 14:50
 
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E, concludendo, Paolo sembra anticipare l’accenno di Agostino circa i platonici. I platonici, con tutto il loro parlare di Dio, «pensano che occorra offrire onori di riti sacri e di sacrifici ai demoni»10; «“et mutaverunt gloriam incorruptibilis Dei in similitudinem imaginis corruptibilis hominis et volucrum et quadrupedum e serpentium” / “e hanno cambiato la gloria del Dio incorruttibile con immagini dell’uomo corruttibile, di uccelli, di animali e di rettili”».

Così san Paolo. Qui comincia il commento di Agostino. «Vide quemadmodum non eos dixerit veritatis ignaros / Vedi come ha detto non che hanno ignorato la verità [non sono ignari della verità questi uomini inescusabili], / sed quod veritatem in iniquitate detinuerint. / ma che hanno soffocato la verità nell’iniquità. / Et quia occurrebat animo ut quaereretur unde illis esse potuerit cognitio veritatis / E siccome si affacciava all’animo la domanda da dove a loro potesse essere venuta la conoscenza della verità, / quibus Deus legem non dederat, / loro ai quali Dio non aveva dato la legge [che non avevano ricevuto la legge, cioè che non avevano la rivelazione storica], / neque hoc tacuit unde habere potuerint: / [l’apostolo] non ha taciuto da dove questi uomini poterono avere la conoscenza della verità: / per visibilia namque creaturae / attraverso le cose visibili della creazione [questo è il realismo di Paolo. La verità comunque si conosce sempre e solo attraverso le cose visibili della creazione, attraverso la realtà creata] / pervenisse eos dixit ad intelligentiam invisibilium Creatoris, / essi pervennero, ha detto, all’intelligenza delle perfezioni invisibili del Creatore, / quoniam revera sic magna ingenia quaerere perstiterunt sic invenire potuerunt / poiché in realtà i grandi ingegni, perseverando nel cercare, riuscirono a trovare». Qui è molto bello, perché Agostino ha compassione della loro perseveranza nel cercare.

Quando si dichiarano sapienti da sé stessi, allora diventano inescusabili. Ma il loro tentativo commuove. Questa perseveranza nel cercare è stata l’espressione poetica anche di questi ultimi secoli. Leopardi per esempio ha perseverato nel cercare, Pavese ha perseverato nel cercare. In alcuni momenti hanno intuito. E quindi li chiama magna ingenia / di intelligenza grande. Le domande del pastore errante dell’Asia sono le domande del cuore di ogni uomo e sono una cosa commovente11. Così è umano, quando un bimbo nasce e quando una persona muore, domandarsi se c’è qualcosa per cui val la pena vivere e morire.

«Ubi ergo impietas? /Allora dov’è l’empietà? / “Quia” videlicet “cum cognovissent Deum, non sicut Deum glorificaverunt aut gratias egerunt / [qui ripete le parole di Paolo, Rm 1, 21] “Perché, avendo conosciuto Dio, non Lo hanno glorificato come Dio e non gli hanno reso grazie, / sed evenuerunt in cogitationibus suis”/ ma hanno vaneggiato nei loro pensieri”». Non è innanzitutto un problema di incoerenza morale il non renderGli grazie. Il non renderGli grazie vuol dire non riconoscerLo come Dio. Vuol dire non accorgersi che Lo si riconosce in quanto è Lui che nella creazione si rivela. L’iniziativa è del Mistero12. Quando invece uno si vanta di arrivare lui a comprendere Dio, ciò di cui parla non è Dio, è altro da Dio13. Il non renderGli grazie non è innanzitutto una questione di incoerenza morale. Il rendere grazie è all’origine della possibilità stessa di riconoscere l’esistenza del Mistero come Mistero. Lo si può riconoscere nello stupore. Anche a livello creaturale, Lo si riconosce per stupore. Lo si riconosce perché Lui nella creazione si manifesta. Nella bellezza della creazione si manifesta14. La bellezza pur fragile delle cose create lascia intravvedere il Creatore, è testimonianza del Creatore15. Quindi il renderGli grazie non è innanzitutto una conseguenza morale. Non Lo si riconosce come Mistero se non rendendo grazie. Diventa una proiezione di sé, non è il Mistero che si rivela nella realtà creata, se non Gli si rende grazie. Se è una proiezione di sé, dalla religione possono nascere pazzie e violenze grandi16.

«Eorum proprie vanitas morbus est / Vaneggiare [impazzire] è propriamente la loro malattia [la malattia di chi pure conosce la verità] , / qui se ipsos seducunt / in quanto ingannano sé stessi / dum videntur sibi aliquid esse cum nihil sint [cfr. Gal 6, 3] / [questa è la frase che dice tutto] perché si credono qualcosa, mentre non sono niente». Si credono talmente qualcosa che, in un’altra opera, Agostino dice che sicreano Dio17. Quel Dio che affermano è una creatura loro, non è il Mistero che si manifesta. Si credono talmente qualcosa che creano loro Dio. Non riconoscono quell’originale dipendenza, non hanno quella reverentia cui accenna anche Tacito18.

«Denique hoc tumore superbiae sese obumbrantes / Poi ottenebrando sé stessi con questo cancro della superbia, / cuius pedem sibi non venire deprecatur sanctus ille cantator qui dixit: “In lumine tuo videbimus lumen”, / dal cui piede il salmista aveva pregato di non essere raggiunto quando disse: “Nella tua luce vedremo la luce” [Ps 35, 10] [per quanto riguarda la conoscenza naturale di Dio, il versetto del salmo «Nella tua luce vedremo la luce» vuol dire semplicemente che le creature in quanto creature sono testimonianza del Creatore. La creatura visibile è segno, lascia intravvedere l’esistenza del Creatore invisibile], / ab ipso lumine incommutabilis veritatis aversi sunt “et obscuratum est insipiens cor eorum”. / da questa luce della verità che non muta si sono allontanati [si sono allontanati da questo stupore creaturale] “e il loro cuore insipiente è diventato tenebra”. / Non enim sapiens cor quamvis cognovissent Deum / Un cuore dunque che non è sapiente, benché abbiano conosciuto Dio, / sed insipiens potius, / ma piuttosto insipiente, / quia non sicut Deum glorificaverunt aut gratias egerunt / perché non hanno a Lui dato gloria come Dio e reso grazie». Quindi non Lo hanno riconosciuto come Dio. Ciò di cui parlano è un idolo cioè un’immagine loro, una proiezione di sé.

«“Dixit” enim “homini: Ecce pietas est sapientia” [Gb 28, 28]. / Infatti “disse all’uomo: la sapienza è la pietà”. / Ac per hoc “dicentes se esse sapientes”, quod non aliter intellegendum est nisi hoc ipsum sibi tribuentes, “stulti facti sunt” [Rm 1, 22]. / E per questo, “dicendo di essere sapienti”, cosa che non si può intendere diversamente se non nel senso che si sono attribuiti ciò da loro stessi, “sono diventati stolti”. / Iam quae sequuntur quid opus est dicere? / Che bisogno c’è di aggiungere ormai altre cose? / Per hanc quippe impietatem illi homines – illi, inquam, homines, qui per creaturam Creatorem cognoscere potuerunt – / Attraverso questa empietà, quegli uomini – quegli uomini, dico, che hanno potuto conoscere il Creatore attraverso la realtà creata – / quo prolapsi, cum Deus superbis resistit, atque ubi demersi sint, / dove siano caduti, perché Dio resiste ai superbi, e dove siano affondati, / melius ipsius epistolae consequentia docent / le parti che seguono di questa stessa lettera [la Lettera ai Romani] lo dicono meglio / quam hic commemoratur a nobis / di quanto possiamo ricordarlo ora noi». Questi uomini hanno ammesso l’esistenza di Dio, ma non gli hanno reso grazie e si sono attribuiti loro da loro stessi di essere sapienti, come se fosse una loro bravura arrivare a conoscere l’esistenza del Creatore.

«[...]Non in eo nos divinitus adiuvari ad operandam iustitiam quod legem Deus dedit plenam bonis sanctisque praeceptis, / [...] Noi non siamo aiutati da Dio nell’operare la giustizia [nel fare il bene] dal fatto che Dio ha dato una legge piena di santi e buoni comandamenti, / sed quod ipsa voluntas nostra, sine qua operari bonum non possumus, adiuvetur et erigatur impertito spiritu gratiae / ma dal fatto che la nostra stessa volontà, senza la quale non possiamo fare il bene, è aiutata ed è destata dal dono dello Spirito della grazia». È buona la legge. Ma la legge non può destare la volontà di compiere quel bene che indica. Anzi la legge di per sé conferma e stimola il desiderio cattivo. Dio aiuta e desta la volontà a fare il bene attraverso il suo dono, il dono della sua grazia;

«sine quo adiutorio / e senza questo aiuto / doctrina illa littera est occidens. / quella dottrina [il sapere che Dio esiste e il conoscere la legge di Dio] è lettera che uccide. / Quia reos potius praevaricationis tenet quam iustificat impios. / Perché la dottrina rende i peccatori anche prevaricatori, piuttosto che rendere gli empi giusti. / Nam sicut illis per creaturam cognitoribus Creatoris ea ipsa cognitio nihil profuit ad salutem, / Infatti come per coloro che hanno conosciuto il Creatore attraverso la realtà creata, quella stessa conoscenza non è servita nulla alla salvezza, / “quia cognoscentes Deum non sicut Deum glorificaverunt aut gratias egerunt dicentes se esse sapientes” [Rm 1, 21], / “perché, conoscendo Dio, non hanno reso gloria e grazie a Lui come Dio, anzi [attribuendoa sé questa conoscenza di Dio] si sono detti sapienti”, / ita eos qui per legem Dei cognoscunt quemadmodum sit homini vivendum / così quelli che attraverso la legge di Dio conoscono in che modo l’uomo debba comportarsi, / non iustificat ipsa cognitio / questa stessa conoscenza non li rende giusti / “quia suam iustitiam volentes constituere iustitiae Dei non sunt subiecti” [Rm 10, 3] / “perché, volendo stabilire la propria giustizia, non sono sottomessi alla giustizia che viene da Dio”».

Ho letto questi due brani non solo per i suggerimenti d’intelligenza circa le condizioni attuali della Chiesa e del mondo. Li ho letti perché si comprenda a che livello debba agire l’attrattiva della grazia perché noi possiamo operare il bene. Ad un livello che non è in mano nostra. Il nostro desiderio, che è la cosa più povera e più nostra che abbiamo, non è in mano nostra. Il nostro desiderio, che sorge dal cuore, non è peccato, ma ferito dal peccato decade e alla lunga al peccato conduce. Allora occorre un’altra cosa, un’altra attrattiva, un altro stupore che desti e sorregga il desiderio, che desti e sorregga la volontà. Come quando i primi correvano dietro a Francesco. O meglio – come Dante suggerisce in modo mirabile – correvano dietro all’attrattiva cui Francesco correva dietro19. Per questo bisogna domandare di essere misericordiosi. Non si può che essere misericordiosi20. Infatti se l’esperienza di questa attrattiva (l’esperienza di questo correre dietro) non è stata così presente nella vita, e se la memoria di questa attrattiva non si rinnova nel presente21 (e se non si rinnova nel presente, il passato non è memoria, anzi può diventare bestemmia), non si può agire bene22. È letterale: «senza di me non potete far nulla» (Gv 15, 5)23. Niente. Niente vuol dire che neppure il destarsi del desiderio è in mano nostra, che non si può comandare al desiderio. Occorre un’altra attrattiva che desti il desiderio. Un’altra cosa, più bella. Se uno ha sperimentato il correr dietro a questa concupiscenza più bella, sa di che cosa si tratta24. E allora, nonostante i tradimenti, è facile riprendersi, perché occorre un odio diabolico per non riconoscere che è più bella. E così, riconoscendo che è più bella,anche solo da lontano, piangere per questa cosa più bella.

Volevo accennare a un brano di sant’Ambrogio nell’Antico Breviario Ambrosiano25. Ambrogio evidenzia di più non solo che la legge è buona, ma il fatto che, quando uno incontra la grazia, si accorge che la legge tutta accenna alla grazia del Signore26. È bellissimo. Ambrogio aggiunge che «[la legge] tyrannicis mundi istius potestatibus [...] inclusa cohibetur / è tenuta rinchiusa in un carcere dalle potenze tiranniche di questo mondo». Perché la legge, che è buona, è tenuta in carcere? «Quo minus lucem dominicae resurrectionis effunderet / perché non faccia risplendere la luce della risurrezione del Signore». La legge è già un riflesso della risurrezione del Signore. Quindi lo stupore creaturale, lo stupore di fronte alle cose belle e buone, se rimane originario stupore, se non è attribuito a sé, se rimane apertura e attesa creaturale, come quella di un bambino27, rimanda alla risurrezione del Signore. In Ambrogio, da questo punto di vista, la positività della legge è come più evidenziata.

 




[SM=g1740758]  seguono le Note

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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