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.....e ne scelse dodici Mt. 10,2-4 / Mc. 3,16-19 / Lc. 6,13-16

Ultimo Aggiornamento: 11/08/2012 16:16
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02/08/2012 16:21
 
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San Timoteo




SAN TIMOTEO
Timoteo, nato nella colonia romana di Listra in Licaonia (Asia Minore) nel quarto decennio del I secolo da padre greco e da madre giudea, Eunice (convertita da Paolo stesso quando giunse a Listra nel suo primo viaggio, insieme a Barnaba, verso il 47-49), è già cristiano quando, verso il 50, Paolo ritorna a Listra e lo prende con sé come il suo più stretto collaboratore. Di lui si parla numerose volte negli Atti degli Apostoli e nelle lettere di Paolo: e nella prima lettera indirizzata da Paolo stesso proprio a Timoteo, questi ci appare a capo della Chiesa di Efeso (1Tm 1, 2), dove probabilmente, secondo il Martirio di san Timoteo primo patriarca della metropoli di Efeso (opera che appare come di Policrate, vescovo di Efeso nella seconda metà del II secolo, ma è in realtà una composizione più tarda, anche se attendibile), morì martire sotto l’impero di Domiziano (81-96) o forse sotto quello di Nerva (97-98), e dove fu sepolto in un luogo detto Pione.

La cronaca consolare costantinopolitana (Consularia Constantinopolitana) registra, all’anno 356, la notizia della traslazione delle reliquie di Timoteo: «Sotto il consolato di Costanzo (l’ottavo) e di Giuliano Cesare fecero il loro ingresso a Costantinopoli le reliquie dell’apostolo Timoteo, il primo del mese di giugno». Infatti in quell’anno (non il 1° giugno, ma più probabilmente il 24, come riportano Teodoro il Lettore e altri), su ordine dell’imperatore Costanzo, il suo fiduciario Artemio prelevò da Efeso, dove erano sepolte, le spoglie mortali di Timoteo, per riporle sotto l’altare dell’Apostoleion, la chiesa degli Apostoli a Costantinopoli. A esse si aggiungeranno poco dopo i corpi di Andrea apostolo e Luca evangelista, traslati l’anno successivo.

La notizia della traslazione delle reliquie di Timoteo da Efeso a Costantinopoli non ha motivi per essere messa in dubbio, anche se sussistono perplessità sull’esattezza della data. A Costantinopoli le ritroviamo ancora nel 536, secondo quanto afferma Procopio di Cesarea: in quell’anno infatti Giustiniano ricostruisce l’Apostoleion, distrutto da un incendio che però non danneggia i corpi di Timoteo, Luca e Andrea, le cui bare di legno vengono viste sotto il pavimento della chiesa (Sugli edifici, I, 4, 21). Ancora lì sono testimoniati nel corso dei secoli successivi, e per ultimo da Nicolao Mesarita, che descrive minuziosamente l’Apostoleion tra il 1199 e il 1203: «Il sacro altare di Cristo, di puro argento fino e splendente, nasconde dentro di sé quale inestimabile tesoro i corpi degli apostoli Luca, Andrea e Timoteo, che per Lui affrontarono la morte». Il 12 aprile 1204 Costantinopoli viene occupata, messa a ferro e fuoco e saccheggiata dai soldati latini della IV Crociata: e, come riferisce Niceta Coniata, neanche i sepolcri vengono rispettati. Dopo il sacco, le reliquie di Timoteo scompaiono da Costantinopoli e le loro tracce si perdono.

È credibile che esse abbiano seguito i crociati di ritorno in Occidente: una notizia ci riferisce che nel 1205, l’anno seguente al sacco, due denti di san Timoteo giungono al monastero di San Giovanni in Vineis di Soissons, nella Francia settentrionale. Il cranio di Timoteo invece appare, quasi quattro secoli più tardi, a Termoli, cittadina il cui porto per tutta l’epoca medievale fu strategico luogo di approdo e di transito verso l’Oriente. Lo nomina una relazione episcopale
ad limina del 1592, nella chiesa cattedrale dedicata a Maria (dove tuttora si trova), custodito in un reliquiario di XIII-XIV secolo che ne fa sospettare la presenza a Termoli da una data ben più antica.

Nel 1945 avvenne, del tutto casualmente, la scoperta del resto delle reliquie di Timoteo. Vennero infatti intrapresi dei lavori nella Cattedrale per ricavare una cripta sotto l’altare, e si scoprirono le strutture murarie di una chiesa più antica, dell’XI secolo. Inglobata in esse si trovò una lastra di marmo grezzo, che copriva orizzontalmente un loculo di forma quadrangolare contenente una cassetta di legno. Sulla faccia inferiore della lastra un’iscrizione, intenzionalmente nascosta alla vista ed evidentemente composta per chi avrebbe scoperto il loculo, diceva: «Nel nome di Cristo, amen. Nell’anno del Signore 1239. Qui riposa il corpo del beato Timoteo, discepolo di Paolo apostolo, nascosto dal venerabile Stefano vescovo di Termoli insieme con il capitolo». L’evidenza archeologica indicava senza dubbio che quando il loculo era stato fatto, nel 1239, la chiesa precedente era già stata sostituita dalla nuova.

La cassetta di legno conteneva ossa umane: il 14 maggio 1945 l’analisi necroscopica attestò che i resti appartenevano allo scheletro quasi completo di un adulto di sesso maschile e di età avanzata. Del cranio era presente solo una parte di mandibola, una di quelle mancanti nella reliquia già nota: si trattava delle ossa dello stesso individuo.
Da nessuno fu messa in dubbio l’autenticità del reperto, anche se non era facile spiegare il perché del suo arrivo e della sua permanenza a Termoli, e soprattutto il motivo della perdita della memoria della sua presenza. Il cardinale di Milano Alfredo Ildefonso Schuster avanzò la richiesta di trasferire il corpo di Timoteo a Roma, nella Basilica di San Paolo, ma non fu accolta. Papa Pio XII riconobbe l’autenticità delle reliquie di Timoteo con una bolla in data 25 aprile 1947.

Dopo la ricognizione del 1945, le reliquie (in parte ricomposte) furono deposte in una cassetta di legno che venne collocata all’interno di una statua di vescovo in abiti liturgici, compresi mitra e pastorale, adagiata in una urna di vetro e legno. La lapide fu affissa nella cripta ricavata sotto l’altare, al muro dell’abside di destra, dove è ancora oggi visibile. Nel 1994 e poi nel 2000 si è proceduto a nuove ricognizioni. Le reliquie, in parte consolidate, sistemate in un apposito contenitore sigillato, sono ora nella cripta della Cattedrale, chiuse in un’urna di bronzo posta tra la lapide del 1239 e il luogo dove furono ritrovate.

Nel frattempo una serie di ricerche ha fatto innanzitutto comprendere, con lo studio della decorazione scultorea e delle fonti epigrafiche, che la Cattedrale venne riedificata proprio in conseguenza dell’arrivo delle reliquie di Timoteo, forse passate in Italia unitamente a quelle di Andrea, che continuarono il loro viaggio fino alla costa tirrenica. Altre indagini scientifiche sono tuttora in corso.



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San Tito




SAN TITO
Tito, discepolo e collaboratore di Paolo, era un pagano greco, forse nato ad Antiochia, dove conobbe Paolo e fu probabilmente da lui convertito e battezzato. Le notizie su Tito ci provengono soprattutto dalle Lettere di Paolo, che lo ebbe con sé nel suo terzo viaggio missionario (53-58), poi lo inviò a Corinto, infine, recatosi a Creta dopo la sua prigionia a Roma (62-63), lo lasciò nell’isola a continuare la sua opera di evangelizzazione, come leggiamo nella lettera che gli scrisse: «Per questo ti ho lasciato a Creta, perché regolassi ciò che rimane da fare e perché stabilissi presbiteri in ogni città, secondo le istruzioni che ti ho dato» (Tt 1, 5).

Nella stessa lettera Paolo gli chiede di raggiungerlo a Nicopoli nell’Epiro (
Tt 3, 12), mentre successivamente troviamo Tito in Dalmazia, regione nella quale tuttora il suo culto è molto diffuso. Paolo infatti scrive dalla seconda prigionia romana, nel 66, a Timoteo: «Cerca di venire presto da me, perché Dema mi ha abbandonato avendo preferito il secolo presente ed è partito per Tessalonica; Crescente è andato in Galazia, Tito in Dalmazia» (2 Tm 4, 9-10). Secondo Eusebio di Cesarea (Storia ecclesiastica, III, 4, 5), tornato a Creta, Tito ne fu il primo vescovo: «Apprendiamo quindi che Timoteo fu il primo cui toccò l’episcopato della diocesi di Efeso, come Tito, ugualmente per primo, ricevette quello delle Chiese di Creta». Qui sarebbe morto di morte naturale, in età molto avanzata, dopo aver vissuto in perpetua verginità. Venne sepolto a Gortyna, dove il suo corpo fu conservato nella Cattedrale fino a quando i Saraceni distrussero la città nell’823.

Delle reliquie di Tito fu salvato solamente il capo; nel 961, quando il generale bizantino Niceforo Foca riconquistò l’isola, venne edificata a Heraklion (Eraclea) una chiesa intitolata a san Tito, dove da allora la reliquia venne conservata. Nel 1669, per sottrarlo alla profanazione dei turchi, il capo di Tito fu portato dai veneziani nella Basilica di San Marco a Venezia. Il 15 maggio del 1966, dopo una serie di contatti avviati nel 1957, fu solennemente restituito – con l’intento ecumenico di concorrere all’auspicata comunione della Chiesa di Roma con le Chiese d’Oriente – alla Chiesa metropolitana di Heraklion, dove è nuovamente tornato nella Cattedrale di San Tito.

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San Barnaba




SAN BARNABA
Barnaba è il soprannome di Giuseppe, giudeo levita nato a Cipro.

Eusebio di Cesarea e, prima, Clemente Alessandrino ci dicono che fu uno dei settantadue discepoli di Gesù. Fu il garante della conversione di Paolo presso i cristiani di Gerusalemme, che ancora diffidavano di lui. Fu con Paolo nel suo primo viaggio missionario, che da Cipro toccò varie città dell’Asia Minore, accompagnato nella prima parte dell’itinerario dal cugino Giovanni, cioè Marco, il futuro evangelista, che a un certo punto ritornò indietro. Verso il 51, alla vigilia della partenza per un secondo viaggio missionario per visitare le comunità fondate nel primo, Paolo e Barnaba entrarono in contrasto, perché, mentre Barnaba avrebbe voluto portare con sé anche Marco, Paolo si oppose, vista l’esperienza del viaggio precedente. «Il dissenso fu tale che si separarono l’uno dall’altro; Barnaba, prendendo con sé Marco, s’imbarcò per Cipro» (
At 15, 39).

Tertulliano attribuisce a Barnaba la Lettera agli Ebrei, ipotesi che ha trovato qualche riscontro negli studi moderni. Dal momento del suo ritorno a Cipro notizie certe su di lui vengono a mancare, e occorre affidarsi agli
Atti di Barnaba, opera del V secolo, che narrano con toni leggendari il suo apostolato a Cipro e il suo martirio a Salamina (a nord di Famagosta), a opera di giudei siriani, che lo avrebbero lapidato e poi bruciato. Nonostante il contesto della narrazione, gli storici sono propensi a ritenerne fondati i dati essenziali, cioè la predicazione e il martirio.

Gli
Atti di Barnaba riferiscono ancora che, al tempo dell’imperatore bizantino Zenone (474-491), Barnaba sarebbe apparso nel sonno all’arcivescovo Anthemios indicandogli il luogo dove scavare per ritrovare l’ipogeo che conteneva la sua sepoltura in un sarcofago, cosa che l’arcivescovo fece, ritrovando il corpo di Barnaba che aveva ancora sul petto il Vangelo di Matteo, scritto di sua mano. La tomba di Barnaba si mostra tuttora a Salamina ed è visitabile: vi si accede dall’interno di un oratorio che vi fu costruito sopra, ora abbandonato, a 150 metri circa dal monastero a lui intitolato. Si tratta di una tomba del periodo romano, scavata nel sottosuolo, di forma irregolare, dentro la quale si trovano due arcosoli e il sarcofago dove un tempo era il corpo del santo.

Questo fu trasportato, sempre secondo la tradizione, da Anthemios nel luogo dove tuttora è deposto, cioè nell’abside della navata sud della basilica che l’arcivescovo stesso costruì poco lontano dalla tomba e che dedicò a Barnaba, mentre il Vangelo venne donato all’imperatore Zenone, che concesse l’autocefalia alla Chiesa di Cipro. Il luogo divenne da allora un’importante meta di pellegrinaggio e attorno alla basilica si sviluppò molto presto un monastero. Attualmente, a causa della situazione politica dell’isola (il monastero ricade nella parte occupata dall’esercito turco), i monaci sono stati allontanati e il complesso è stato trasformato in museo di icone.

Esiste in Occidente la tradizione di Barnaba primo evangelizzatore dell’Italia settentrionale, in particolare della città di Milano, dove nella chiesa di Santa Maria del Paradiso si mostra ancora (lì trasportata dalla distrutta chiesa di San Dionigi) la pietra forata nella quale egli avrebbe piantato la croce al suo arrivo nell’anno 51. La critica storica ha dimostrato come infondata questa tradizione.

Parallelamente, esiste anche una tradizione della presenza a Milano del capo di Barnaba, conservato in un’urna d’argento nella chiesa di San Francesco (l’antica Basilica Naboriana) fino all’anno della sua distruzione, nel 1799, quindi trasportato nella Basilica di Sant’Ambrogio, non più visibile perché murato in un altare insieme alle reliquie dei santi Nabore e Felice. Un cranio attribuito a Barnaba sarebbe anche presso la parrocchiale di Endenna in Val Brembana.


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Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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