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Ultimo Aggiornamento: 05/04/2016 21:31
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22/10/2013 09:50
 
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  Illustrissimo e beatissimo padre Giulio II…


Posted on 21/10/2013 da papalepapale.com

IlLastrissimi 4°




Caro Giulio II,

non sei stato un papa santo,

ma c’era del buono anche in te…

 

C’era una volta un Papa… che con buona probabilità non era il più santo tra i pontefici. Ma questo – che pure fu un grande limite – non inficia la sua grandezza di uomo che seppe essere quella guida che i tempi richiedevano. Stiamo parlando di Giulio II. Il quale non era certo la persona evangelica che l’alta missione a cui era stato chiamato avrebbe richiesto, ma si sa bene che i tempi in cui visse furono particolari per il papato. Eppure a lui, al suo mecenatismo, dobbiamo quel capolavoro senza pari che è la Cappella Sistina. Troppo poco per rivalutare il suo illustre committente? Noi pensiamo di no. Anche perchè l’amore per la cultura e l’interesse per la Chiesa ispirò molte altre sue azioni.

 

 

di Alessandro Lastra

Illustrissimo e beatissimo padre Giulio II,

tra la moltitudine di papi del passato ho scelto di scrivere a voi per primo. Incuriosito dalla figura del Papa in armatura, così famigerato da guadagnarsi l’appellativo “il Terribile”, compii su di voi qualche ricerca. Ciò che più di tutto mi sorprese fu che, se oggi possiamo ammirare le meraviglie della Cappella Sistina di Michelangelo e le Stanze di Raffaello, dobbiamo essere grati a voi che le avete commissionate a quei grandi artisti.

Alcuni anni fa, il vostro onorato successore Benedetto XVI disse che l’arte del Medioevo e del Rinascimento è il vivo testimone di un’epoca in cui la fede era vitale, palpabile, diversamente dagli storici che vogliono propinarcela come secoli bui.

Per amor del vero, bisogna ammettere che voi, Santità, foste un principe del Rinascimento, dedito alla politica e alla guerra, più che un Papa. C’è stato chi ha tentato di tracciare un vostro ritratto in antitesi con Alessandro VI, un predecessore del cui passaggio vi premuraste di cancellare ogni traccia. Nonostante l’astio che c’era tra voi due, operaste concordemente sia negli eccessi che nella politica: entrambi inclini alle donne, al nepotismo e ferventi propugnatori della supremazia temporale della Chiesa. Io però ammetto di preferire voi.

Giuliano Della Rovere, in età matura, nella sua tenuta preferita: quella di soldato

Nel decennio in cui portaste il triregno (dal 1503 al 1513) vi impegnaste assiduamente nel mestiere delle armi. Dapprima scendeste in campo per sottomettere le città della Romagna che si erano ribellate all’autorità pontificia; cingeste d’assedio Bologna, Faenza, Rimini e Ravenna, il più delle volte comandando gli eserciti di persona. Poi, assieme all’imperatore Massimiliano e ai sovrani di Francia e Spagna (riuniti nella Lega di Cambrai) attaccaste Venezia, trionfando nella battaglia di Agnadello. In seguito a questa comune esperienza, i francesi rimasero insoddisfatti della vostra decisione di trattare una pace separata e, da alleati, divennero vostri agguerriti nemici. Il re Luigi XII riunì persino alcuni cardinali in concilio per rimuovervi dal soglio pontificio ma aveva fatto il passo più lungo della gamba.

Senza indugio dichiaraste nullo il “conciliabolo” e ingaggiaste una milizia di soldati elvetici per la vostra protezione personale (la famosissima e ancora esistente Guardia Svizzera Pontificia). Dopodiché, marciaste di nuovo verso la guerra; settantenne e afflitto dalla malattia, giuraste di non tagliarvi mai più la barba prima di aver scacciato per sempre i barbari francesi dall’Italia.

Il giovane cardinale nepote, Giuliano della Rovere, futuro Giulio II. Un bell’uomo certamente

Ai primi mesi del 1511 risale il più memorabile dei vostri trionfi: la conquista di Mirandola. I cronisti riportano che vi aggiravate per il campo, incurante di neve, vento e pioggia, mostrando «una tempra di gigante» e tenendo alto il morale dei soldati. Il vostro voler stare vicino alle truppe per poco non vi costò la vita, poiché una palla di cannone piombò sul vostro alloggio, ferendo due attendenti e mancandovi di poco. Dopo un assedio diciotto giorni, la città si arrese e, poiché le porte erano state distrutte, per penetrare in testa a tutti gli uomini doveste salire su per una scala a pioli, arrancando per il male alle gambe.

 Quanto al mecenatismo, non foste secondo a Lorenzo il Magnifico. Vi adoperaste per la costruzione della Basilica di San Pietro, il cui progetto originario affidaste a Bramante. Quanto vorrei che poteste ammirarla così come è oggi, Santità, e poter così vedere la realtà superare ogni vostra aspettativa. Per nulla disposto ad occupare l’Appartamento Borgia, affidaste a Raffaello il compito di affrescare il secondo piano del Palazzo Apostolico (che già presentava pitture di grandi artisti delle mie terre quali Piero della Francesca, Bartolomeo della Gatta e Luca Signorelli) ed egli diede vita alle Stanze Vaticane.

Cappella Sistina: la dobbiamo al mecenatismo di Giulio II

Per non parlare di quel capolavoro universale che è la Cappella Sistina! Dopo un lungo muro contro muro tra voi e Michelangelo – che si considerava più che altro uno scultore, poco addentro alla tecnica dell’affresco – alla fine la spuntaste e l’artista, seppur di malavoglia, si accinse all’opera che lo rese immortale. Costretto a lavorare sulla schiena, al fioco lume di un candela e con la tintura fresca che gli cadeva sugli occhi, l’artista fu consumato da quell’impresa titanica, che lo tenne impegnato quattro anni. L’unico ad aver accesso alla cappella eravate voi e, quando vi trovavate a Roma, non mancavate di far visita a Michelangelo, arrampicandovi su per l’impalcatura col bastone e minacciando di percuotere l’artista quando la stanchezza gli impediva di proseguire.

Ora Santità, se me lo permettete, vorrei per un momento parlare dell’uomo che eravate prima di diventare Papa. Dopo un’infanzia senza troppo sfarzo, nel savonese, molto giovane vi faceste francescano e, sotto la protezione dello zio paterno, studiaste in Francia e a Perugia. Quando il vostro prozio salì al soglio col nome di Sisto IV, iniziò per voi una rapida carriera ecclesiastica che portò all’elevazione a cardinale a ventisette anni (non insolito, dal momento che il vostro successore Leone X indossò la porpora a soli quattordici). Otteneste i benefici di numerose abbazie e ricopriste incarichi apostolici ad Avignone, Bologna, Ostia e Vercelli, diventando anche protettore dell’Ordine Francescano.

Giulio II Della Rovere, in preghiera

Il potere che iniziava a radunarsi nelle vostre mani esercitò su di voi una forte tentazione e la vostra fede non dovette essere solida abbastanza da resistergli. Allora iniziaste ad indulgere a tutti i vizi che erano in voga nell’alto clero. Si dice che foste anche sodomita ma pare si tratti di una maldicenza messa in giro dai francesi che, desiderosi com’erano di screditarvi, si sarebbero inventati qualunque cosa. È vero che aveste molte amanti e una vi diede tre figlie.

Mai in tutta la vostra vita trascuraste l’amore per la cultura tanto che, ottenuto il controllo di alcune università francesi, vi chiamaste ad insegnare famosi umanisti e istituiste anche dei collegi per i poveri che volevano far studiare i loro figli.

Ad essere onesto è proprio l’uomo d’armi che io ammiro in voi. Non cercaste mai di mascherare i vostri reali intenti che, per un pontefice del vostro tempo, sono più che comprensibili. Il vostro sogno era di unire gli stati d’Italia sotto le chiavi incrociate di San Pietro e, fatto ciò, bandire una nuova crociata contro i turchi, per la quale metteste da parte un capitale e proclamaste anche un’indulgenza, nella speranza di celebrare un giorno la messa solenne in Santa Sofia a Costantinopoli.

Che oggi un Papa si ponga alla testa di un esercito è impensabile, anche perché in effetti andrebbe contro i princìpi del Vangelo. Malgrado ciò, se mi è consentito fare il processo alle intenzioni, la vostra opera di condottiero non fu violenza fine a se stessa. Secondo la mentalità del vostro tempo, raramente le contese si risolvevano con la diplomazia e un atto di guerra si rendeva spesso inevitabile. Avete combattuto coloro che vedevano un nemico nella potenza politica della Chiesa e avete saputo metterli a bada, mostrandovi a volte anche clemente con gli sconfitti. La lunga guerra mossa ai francesi che volevano deporvi, fu fatta per difendere la vostra autorità e, al contempo, per liberare le terre della Chiesa da un popolo di invasori.

Erasmo da Rotterdam: immaginò che san Pietro aveva chiuso la porta del Paradiso a Giulio II.

Trovo fastidiosi i tentativi di esaltare in voi l’immagine negativa che si ebbero già tra i vostri contemporanei: ci fu chi asserì che avevate gettato le chiavi di San Pietro nel Tevere, conservando solo la spada di San Paolo. Erasmo da Rotterdam scrisse il dialogo Iulius exclusus a coelis in cui, dopo la vostra morte, si vede San Pietro rifiutarvi l’ingresso in Paradiso poiché vi ritiene colpevole di aver reso la Chiesa «schiava dei poteri terreni», tanto che «non c’è da meravigliarsi che lassù capiti così poca gente». Si aggiunga che, per ingraziarsi Leone X, l’umanista negò la paternità di quest’opera, che gli studiosi stabiliscono però concordemente provenire di suo pugno. Per quanto mi riguarda, l’Unico che doveva giudicarvi lo ha già fatto e nessuno di noi può sindacare.

Il Grande Vecchio, Indro Montanelli. Fu uno dei pochi a valutare obiettivamente Giulio II.

Ho notato però che solo Indro Montanelli, il più atipico degli storici che si sono interessati a voi, pur non risparmiandosi in biasimi, ha la premura di riportare un fatto importante, avvenuto negli ultimi giorni della vostra vita.

“La mattina del 4 febbraio 1513 [il Papa] chiamò il cerimoniere e diede istruzioni sul funerale. Disse che non doveva essere troppo sfarzoso, ma nemmeno scalcagnato come quello di Alessandro. I cardinali non vedevano l’ora che il pontefice li liberasse della sua incomoda presenza, ma Giulio, nonostante i continui collassi, non si decideva ad accontentarli. Negl’intervalli di lucidità riceveva ambasciatori e prelati, dettava lettere, impartiva ordini. Teneva sotto il letto una bottiglia di malvasia che tracannava di nascosto dai medici, i quali invano tentavano di propinargli i comuni farmaci. Ogni poco faceva capolino nella stanza il confessore, ma Giulio regolarmente lo cacciava bestemmiando e brandendo l’inseparabile bastone. Il 20 febbraio, presagendo la fine, si decise finalmente a ricevere il viatico, quindi chiamò al capezzale i cardinali e al loro cospetto dichiarò di esser un gran peccatore e di aver malgovernato la Chiesa. Fu il suo ultimo – e unico – gesto di umiltà”.

Particolare del michelangiolesco monumento funebre a Giulio II in San Pietro in Vincoli, ma non vi fu mai sepolto. In realtà, il papa avrebbe voluto fare dell’intera basilica vaticana la sua tomba. Ironia della sorte, Pio XII ordinò che i resti dei due papi Della Rovere fossero sepolti nella più umile forma: sotto il pavimento della basilica vaticana, un’anonima lapide che passa inosservata da tutti, mentre la calpestano, rassegnata ne indica il punto.

Sul perché la maggior parte degli storici tralasci questa parte non c’è molto da interrogarsi. È vero, Santità, foste un uomo dai grandi eccessi, tirannico, iracondo, lussurioso e chi più ne ha più ne metta, ma quest’unico atto di contrizione cambia tutto. In piena regola si tratta di un pentimento in punto di morte, più che sufficiente a farvi guadagnare l’accesso al Regno dei Cieli, che Erasmo – e non San Pietro – vi avrebbe negato.

Sinceramente vostro,

Alessandro Lastra







Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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