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Arbitrarietà dell'alternativa fra il «Gesù storico» e il «Cristo kerygmatico»

Ultimo Aggiornamento: 26/08/2012 15:19
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06/08/2012 21:47
 
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Per un annuncio indipendente da fatti storici non sarebbe stato necessario un testimone oculare, che avesse vissuto tutto il periodo della vita pubblica di Gesù a partire dal battesimo di Giovanni.
In questo contesto si può collocare anche il discorso di Pentecoste di Pietro. Pietro fa notare innanzitutto agli ebrei quello che hanno vissuto come testimoni quando dice:

«Gesù di Nazaret - uomo accreditato da Dio presso di voi per mezzo di miracoli, prodigi e segni, che Dio stesso operò fra di voi per opera sua, come voi ben sapete - dopo che, secondo il prestabilito disegno e la prescienza di Dio, fu consegnato a voi, voi l'avete inchiodato sulla croce per mano di empi e l'avete ucciso»

E in seguito dice ancora:

«Questo Gesù Dio l'ha risuscitato e noi tutti ne siamo testimoni» (11).

In questo discorso vengono riportati eventi di cui gli stessi ebrei erano a conoscenza e completati con altri di cui gli apostoli sono testimoni.
Anche nei Vangeli si trovano dei riferimenti specifici a testimonianze personali. Così dice Giovanni:

«Non gli spezzarono le gambe, ma uno idei soldati gli colpì il fianco con la lancia e subito ne uscì sangue e acqua. Chi ha visto ne dà testimonianza e la sua testimonianza è vera» (12).

Analogamente, nella conclusione del Vangelo di Giovanni si afferma:

«Questo è il discepolo che rende testimonianza su questi fatti e li ha scritti. e noi sappiamo che la sua testimonianza è vera» (13)

Questi passaggi dimostrano che gli evangelisti sono certamente interessati a un messaggio di salvezza, ma anche che la credibilità di tale messaggio dipende dalla credibilità di determinati fatti storici. Per questo motivo porre l'alternativa se i Vangeli costituiscano un messaggio di salvezza oppure una testimonianza di eventi storici è porre la domanda in modo sbagliato e privo di senso. Chi cerca di rispondere a questa domanda impostata in modo fondamentalmente errato, può solo ottenere risposte prive di senso. I Vangeli dimostrano che nell'intenzione degli autori c'è il messaggio di salvezza - in questo la teologia moderna ha certamente ragione - ma dimostrano altrettanto chiaramente che questo messaggio di salvezza è di per sé inscindibilmente legato alla testimonianza di determinati avvenimenti, in particolare alla morte e alla risurrezione di Gesù.

Come dimostrano gli scritti neotestamentari, i primi annunciatori del messaggio cristiano erano perfettamente consapevoli di questa connessione inscindibile. In questo senso Paolo scrive nella 1ª Lettera ai Corinzi:

«Ma se Cristo non è risuscitato, allora è vana la nostra predicazione ed è vana anche la vostra fede. Noi, poi, risultiamo falsi testimoni di Dio, perché contro Dio abbiamo testimoniato che egli ha risuscitato Cristo, mentre non lo ha risuscitato, se è vero che i morti non risorgono» (14)

Non si potrebbe evidenziare in modo più chiaro il rapporto fra il messaggio di salvezza e la testimonianza credibile di determinati fatti storici.


NOTE

(1) Naturalmente Federico il Grande si aspettava di sentire una dimostrazione filosofica dell'esistenza di Dio, consona al tenore della discussione.
(2) R. BULTMANN, Die Geschíchte der svnoptischen Tradition, Göttingen 1964/6, 396; tr. it. Storia dei vangeli sinottici, EDB, 1969.
(3) W. MARXSEN, Einleitung in das Neue Testament, Gütersloh 1964/3, 114s: cf. G. BORNKAMM, Jesus von Nazareth, 1956, 15; tr. it. Gesù di Nazaret, Torino 1977.
(4) W. MAWXSEN, Der Streit um die Bibel, Gladbek 1965, 22; tr. it. Bibbia in contestazione, Brescia 1969.
(5) Milano 1983.
(6) J. HABERMAS, Erkenntnis und Interesse, Frankfurt/M. 1973; tr. it. Conoscenza e interesse, Bari 21 973.
(7) Queste tesi sono state pubblicate per la prima volta, in una versione precedente, nella rivista della Kari-Fleim-Gesellschaft Evangelium uud Wissenschaft - Beiträge zum interdisziplinären Gespräch (1982) 5, 23s.
(8) Così si esprime R. BULTMANN, «Neues Testament und Mythologie», in Kerygma und Mythos, 4 ed. ampl. 1960, 1, 46s.
(9) Onde, evitare malintesi, si noti innanzi tutto che la differenza fra una cronaca e un racconto non consiste nel fatto che la cronaca corrisponde sempre e totalmente agli avvenimenti reali. A differenza di quanto accade per il racconto, però nel caso della cronaca è assolutamente legittimo porre la questione della verità, chiedersi cioè se la cronaca corrisponde o no agli eventi reali.
Peraltro W. MARXSEN sostiene, per esempio, (Die Auferstehung Jesu von Nazareth, Gütersloh 1968, 159s; tr. it. La resurrezione di Gesù di Nazareth, EDB, 1970) che gli autori degli scritti neotestamentari non facevano distinzioni fra immagini, racconti e fatti storici, ma che siamo stati noi, «che viviamo nella tradizione dell'Illuminismo, […] a introdurre nei testi una distinzione, che allora era ancora estranea ai loro autori».
Ma chi si occupa di storia del pensiero, sa invece che la concezione, sostenuta da Marxsen, di uno stacco assoluto - fra prima e dopo l'illuminismo - è sbagliata. Al più tardi a partire dallo sviluppo del pensiero filosofico nell'antichità, ritroviamo continuamente dell'illuminismo nella storia del pensiero europeo, e fin dagli inizi della storiografia ad opera di Erodoto e Tucidide è stata sempre posta la domanda se degli eventi tramandati possono essere considerati eventi storici, e se si sono svolti proprio così come vengono raccontati. Quando, basandosi su questo livello superiore di consapevolezza, miti e leggende sono stati inseriti in opere storiche, sono stati chiaramente indicati come tali e, in questo senso, separati dalla storia. Al posto di tanti esempi citiamo solo una frase tratta dall'introduzione di Livio: «E consentito all'antichità rendere più solenni le origini delle città facendo concorrere l'umano e il divino (Ab urbe condita, proemio).
Un'impostazione critica analoga si ritrova anche nella storiografia medievale. Otto von Freising scrive per esempio nella sua Cronaca universale: «Fra gli altri venne preso prigioniero anche il reverendo arcivescovo Thiemo che, secondo la tradizione, sarebbe stato costretto ad adorare degli idoli. Ma egli chiese del tempo per riflettere, entrò nel tempio e, con grande forza di corpo e di spirito, fece a pezzi le statue degli idoli che avrebbe dovuto adorare, e dimostrò così che non erano dei, ma opera dell'uomo. Per questo fu portato dinnanzi al tribunale e, con terribili torture e supplizi di ogni genere, ricevette la gloriosa corona del martirio. Il fatto che egli subì il martirio a causa della sua fede cristiana è tradizione assolutamente attendibile, ma il fatto che egli fece a pezzi le statue degli idoli è già più difficile da credere, perché è risaputo che tutti i saraceni adorano un solo Dio» (Cronaca VII, 7). Anche qui, indipendentemente dal significato del racconto, ci si chiede quale sia l'evento storico e quale la sua credibilità storica.
Senza dubbio Marxsen ha ragione sostenendo che questa problematica è stata approfondita dall'illuminismo ed è diventata patrimonio comune di un numero relativamente ampio di intellettuali. Ma questo fatto, d'altra parte, non può nascondere che c'è stato un illuminismo a partire al più tardi dal VI secolo a.C. in tutto l'ambito della cultura occidentale, a cui appartenevano anche le province dell'impero romano, e nemmeno che, a tutt'oggi, ci sono persone che intellettualmente ancora non hanno raggiunto lo stadio dell'illuminismo. Quindi Marxsen sbaglia quando presuppone genericamente, per tutte le opere nate prima dell'illuminismo, un pensiero di tipo inconsapevole. A quale livello di consapevolezza si trovino le opere va ricercato, al contrario di quanto sostiene Marxsen, nelle opere stesse.
Questo tipo di ricerca è relativamente facile per quanto riguarda gli scritti neotestamentari. Il loro livello di consapevolezza è dimostrato già dal fatto che le parabole vengono quasi sempre indicate come tali. Si legge per esempio: «Egli disse loro ancora un'altra parabola…»; oppure «il regno dei cieli è come un re...». Non si legge invece: «Gesù disse: "C'erauna volta un re, che diede un banchetto..."». Ciò significa che i Vangeli raggiungono un livello di consapevolezza in cui i racconti inventati vengono separati nettamente dagli avvenimenti reali. Analogamente, a proposito di eventi reali, a volte si assicura espressamente che si sono svolti nel modo riportato. Questo accade in varie forme: o nominando espressamente i testimoni, o con sottolineature dei tipo «Egli è risorto davvero» e in molti altri modi. La questione che si tratti di avvenimenti reali oppure no non viene lasciata inconsapevolmente aperta, ma viene risolta in un modo o nell'altro.
I dati dimostrano quindi che Marxsen ha semplicemente torto quando sostiene che la distinzione fra gli eventi storici reali e le rispettive interpretazioni «era ancora estranea» agli autori degli scritti neotestamentari.
(10) At 1,21s.
(11) At 2,22s e 2,32.
(12) Gv 19, 33b-35a.
(13) Gv 21,24.
(14) 1 Cor 15,14s.

testo tratto da: H. STAUDINGER, Credibilità storica dei Vangeli, Bologna: EDB, 1991, pp. 11-20.
ll testo è stato annotato in un punto a c. della redazione di Flos Carmeli




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Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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