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Se avete desiderio di capire che cosa insegna la Bibbia che il Magistero della Santa Chiesa, con il Sommo Pontefice ci insegna, questo Gruppo fa per voi. Non siamo "esperti" del settore, ma siamo Laici impegnati nella Chiesa che qui si sono incontrati da diverse parti d'Italia per essere testimoni anche nella rete della Verità che tentiamo di vivere nel quotidiano, come lo stesso amato Giovanni Paolo II suggeriva.
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Gesù e la dignità della Donna nella storia e nella Chiesa. La vera schiavitù della Donna oggi

Ultimo Aggiornamento: 18/01/2017 14:53
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Gesù e la dignità della Donna nella storia e nella Chiesa

 Con questa breve raccolta di testi intendiamo sfatare il mito, duro a morire, di una Chiesa matrigna o misogina.... [SM=g1740733]  senza nulla togliere alle personali azioni, opere (od omissioni) di uomini interni alla Chiesa contro le Donne, a noi interessa comprendere come l'insegnamento della Chiesa sia sempre stato in linea con il Vangelo, e di come la Chiesa (anch'Essa al femminile, Mater et Magistra) abbia invece esaltato sempre il ruolo femminile.... Senza dubbio siamo contro il "femminismo", soprattutto gli slogan e quell'esasperazione che ha portato oggi la donna a competere contro l'uomo, a volerlo "superare" quasi che l'uomo fosse il "nemico da abbattere".....
Invitiamo tutti a non estrapolare singole parti per snaturalizzare tutto il contenuto del discorso e di portare questa fonte laddove lo si volesse copiare....
Grazie!

****

Cari fratelli e sorelle,

nel 1988, in occasione dell’Anno Mariano, il Venerabile Giovanni Paolo II ha scritto una Lettera Apostolica intitolata Mulieris dignitatem, trattando del ruolo prezioso che le donne hanno svolto e svolgono nella vita della Chiesa. “La Chiesa - vi si legge - ringrazia per tutte le manifestazioni del genio femminile apparse nel corso della storia, in mezzo a tutti i popoli e a tutte le nazioni; ringrazia per tutti i carismi che lo Spirito Santo elargisce alle donne nella storia del popolo di Dio, per tutte le vittorie che essa deve alla loro fede, speranza e carità; ringrazia per tutti i frutti di santità femminile” (n. 31). Anche in quei secoli della storia che noi abitualmente chiamiamo Medioevo, diverse figure femminili spiccano per la santità della vita e la ricchezza dell’insegnamento.

(Benedetto XVI Catechesi del 1.9.2010)

 

Partendo da S. Teresa del Bambin Gesù che dice: "Nel cuore della Chiesa, mia Madre, io sarò l’amore", e andando a sfogliare il ricco Magistero ecclesiale, Gesù cosa dice delle Donne, e la Chiesa come e in quale modo riconosce la loro dignità?

Vogliamo qui sfatare alcuni luoghi comuni, accuse di oscurantismo contro la Chiesa e, senza pretesa alcuna, far emergere l'autentico Magistero sulla Donna e il suo ruolo nella Chiesa a servizio per il mondo.

 

Proviamo a fare un piccolo rendiconto storico dei tempi di Gesù.

Nella preghiera degli Ebrei e di altri popoli l’uomo ringraziava Dio per non essere nato infedele, donna, schiavo e ignorante! Le donne ebree si limitavano a ringraziare il Signore per essere state "semplicemente create". Ma non bisogna generalizzare, in altri testi del giudaismo ci sono espressioni bellissime che esaltano le virtù femminili e pongono la Donna sopra un piedistallo.

Gesù, uomo tra gli uomini che ha insegnato con parole e atteggiamenti tipici del suo tempo, non si è posto il problema della "dignità della Donna", ma la sua dottrina traluce dai fatti e di certo assai più eloquenti e convincenti delle parole!

Il Vangelo della Salvezza comincia e finisce con interventi al femminile!

- Il primo Annuncio è affidato a Maria di Nazaret;

- il primo miracolo alle nozze di Canaan, accade su richiesta della Madre;

- su richiesta di Marta, sua amica, risorge Lazzaro;

- sotto la Croce chiede a Giovanni di occuparsi della Madre, alla Madre affida l’umanità intera;

- la notizia della Sua Risurrezione viene affidata alle Donne accorse al Sepolcro per profumare il Corpo di Gesù;

- con la Pentecoste, tutti i Discepoli sono riuniti per dare inizio alla grande missione della Chiesa pellegrina sulla terra, al centro di essi c’è Maria, Donna e Madre per eccellenza!

- infine, la Chiesa stessa è immagine e figura della maternità divina, rigenera gli uomini mediante il Battesimo, li nutre coi Sacramenti della Salvezza, li accompagna per l'approdo finale nella Vita Eterna.

In nessun'altra "religione" o istituzione "sociale" il ruolo della Donna ha avuto uno sviluppo così forte, coerente al suo essere, e che ha saputo dare alla società in ogni tempo il proprio contributo spirituale e culturale, affettivo ed intellettivo.

 

Nel corso della sua vita, contrariamente a quanto accadeva presso gli altri Ebrei che si esprimevano in parabole, Gesù fa riferimento alle Donne e al loro mondo, citandone spesso la vita e la propria natura umana: per esempio la massaia intenta a preparare il pane o della donna ansiosa per una moneta smarrita e poi ritrovata (Lc.13, 20-21/ 15, 8-10). La famosa parabola delle vergini sagge (Mt.25, 1-13), ma anche della donna che non si stanca di pregare (Lc.18, 1-8). Gesù è stato il primo a dedicarsi alla Donna, nobilitandola e vedendola spesso protagonista del suo insegnamento di salvezza. Non soltanto nelle parabole, anche nella vita reale Gesù propone la Donna quale esempio per tutti, come quando esalta la pietà e la generosità della vedova (Mc.12, 41-44). Per loro compie i miracoli.

Egli accoglie la Donna, l’aiuta, l’incoraggia, l’ama! Quando è a Betania (Lc.10, 38-42); quando elogia la donna che gli unge il capo (Gv.12, 1-8). Ma Gesù osa di più: una "peccatrice" diventa esempio e monito a un fariseo (Lc.7, 36-50); Gesù non smentisce la verità poiché è lui stesso la Verità, perciò non ha paura di andare contro la mentalità dell’epoca, non teme di difendere la dignità, fino allora nascosta, della Donna, Egli "osa" portare cambiamenti, aprire i cuori, amare con cuore puro! Dall’episodio dell'adultera esce fuori tutto il dramma della prostituzione femminile: "scaglia la tua pietra se sei senza peccato" (Gv.8, 1-11), invita quella donna a non peccare più, le sorride, lei comprende, non si sente più sola, sfruttata, umiliata!

Con questo gesto Gesù inchioda gli accusatori nella loro ipocrisia portandoli ad un naturale riconoscimento del proprio stato di peccatori e sfruttatori, ed alla donna che schiacciava con la prostituzione la sua dignità redenta, risolleva le sorti spingendola a confidare in quel perdono, a seguire Gesù il suo Salvatore per "non peccare più"!

Leggiamo il brano della Samaritana e vediamo come Egli mette a nudo la mentalità superficiale di chi si crede superiore: Gesù, contrariamente ai maestri che si rifiutavano di insegnare alle donne le Sacre Scritture, discorre con una Donna, ma fa di più perché le confida uno dei più alti segreti della nuova Rivelazione "il culto da rendere a Dio – in spirito e verità –" (Gv.4, 1-42).

Nella Mulieris Dignitatem, leggiamo: "Il modo di agire di Cristo, il Vangelo delle sue opere e delle sue parole, è una coerente protesta contro ciò che offende la dignità della donna. Perciò le donne che si trovano vicine a Cristo riscoprono se stesse nella verità che egli «insegna» e che egli «fa», anche quando questa è la verità sulla loro «peccaminosità». Da questa verità esse si sentono «liberate», restituite a se stesse: si sentono amate di «amore eterno», di un amore che trova diretta espressione in Cristo stesso. Nel raggio d'azione di Cristo la loro posizione sociale si trasforma. Sentono che Gesù parla con loro di questioni delle quali, a quei tempi, non si discuteva con una donna."

Così come nel discorso sul Matrimonio Gesù va a correggere quella pretestuosa pretesa di voler ripudiare la propria moglie, spesso anche quando non fosse colpevole di alcun reato, ma che l'uomo usava come pretesto (ipocrita) per cambiare moglie quando voleva (cfr Mt.19).

Nella famosa testimonianza resa al popolo eletto ed ai sacerdoti, dice: "In verità vi dico: i pubblicani e le prostitute vi precedono nel regno di Dio" (Mt.21, 31-32), scatenando tutto l’orgoglio e la presunzione più nascosta. Sono, così messi a confronto il meglio e il peggio secondo la pubblica opinione dell’epoca e la sua bilancia precipita a favore del peggio che diventa il meglio a motivo della loro disponibilità spirituale, a motivo della loro conversione!

A volte le donne, che Gesù incontrava e che da lui ricevevano tante grazie, lo accompagnavano, mentre con gli Apostoli peregrinava attraverso città e paesi, annunciando il Vangelo del Regno di Dio; e «li assistevano con i loro beni».

Il Vangelo nomina tra loro Giovanna, moglie dell'amministratore di Erode, Susanna e «molte altre» (cf. Lc 8, 1-3). In tutto l'insegnamento di Gesù, come anche nel suo comportamento, nulla si incontra che rifletta la discriminazione, propria del suo tempo, della donna. Al contrario, le sue parole e le sue opere esprimono sempre il rispetto e l'onore dovuto alla donna. La donna ricurva viene chiamata «figlia di Abramo» (Lc 13, 16): mentre in tutta la Bibbia il titolo di «figlio di Abramo» è riferito solo agli uomini. Percorrendo la via dolorosa verso il Golgota, Gesù dirà alle donne: «Figlie di Gerusalemme, non piangete su di me» (Lc 23, 28). Questo modo di parlare delle donne e alle donne, nonché il modo di trattarle, costituisce una chiara «novità» rispetto al costume allora dominante. Cristo parla con le donne delle cose di Dio, ed esse le comprendono: un'autentica risonanza della mente e del cuore, una risposta di fede. E Gesù per questa risposta spiccatamente «femminile» esprime apprezzamento e ammirazione...

Scrive Giovanni Paolo II nella Mulieris Dignitatem: "Nell'insegnamento di Cristo la maternità è collegata alla verginità, ma è anche distinta da essa. Al riguardo, rimane fondamentale la frase detta da Gesù ed inserita nel colloquio sull'indissolubilità del matrimonio. Sentita la risposta data ai farisei, i discepoli dicono a Cristo: «Se questa è la condizione dell'uomo rispetto alla donna, non conviene sposarsi» (Mt 19, 10). Indipendentemente dal senso che quel «non conviene» aveva allora nella mente dei discepoli, Cristo prende lo spunto dalla loro errata opinione per istruirli sul valore del celibato: egli distingue il celibato per effetto di deficienze naturali, anche se causate dall'uomo, dal «celibato per il Regno dei cieli».

Cristo dice: «E vi sono altri che si sono fatti eunuchi per il Regno dei cieli» (cf. Mt 19, 12). Si tratta, dunque, di un celibato libero, scelto a motivo del Regno dei cieli, in considerazione della vocazione escatologica dell'uomo all'unione con Dio. Egli poi aggiunge: «Chi può capire, capisca», e queste parole sono una ripresa di ciò che aveva detto all'inizio del discorso sul celibato (cf. Mt 19, 11).

Pertanto il celibato per il Regno dei cieli è frutto non solo di una libera scelta da parte dell'uomo, ma anche di una speciale grazia da parte di Dio, che chiama una determinata persona a vivere il celibato. Se questo è un segno speciale del Regno di Dio che deve venire, nello stesso tempo serve anche a dedicare in modo esclusivo tutte le energie dell'anima e del corpo, durante la vita temporale, per il regno escatologico.

Le parole di Gesù sono la risposta alla domanda dei discepoli. Esse sono rivolte direttamente a coloro che ponevano la domanda: in questo caso erano uomini. Nondimeno, la risposta di Cristo, in se stessa, ha valore sia per gli uomini che per le donne. In questo contesto essa indica l'ideale evangelico della verginità, ideale che costituisce una chiara «novità» in rapporto alla tradizione dell'Antico Testamento".

 

E' da questa realtà che si sviluppa, fin dal primo secolo, la "Consacrazione delle Vergini", definito a ragione il primo nucleo comunitario della Chiesa sviluppando armoniosamente quella "maternità secondo lo spirito" che tanti frutti ha portato alla Chiesa e al mondo.

Lo  spiega così Giovanni Paolo II: "Quelle donne, ed in seguito altre ancora, ebbero parte attiva ed importante nella vita della Chiesa primitiva, nell'edificare sin dalle fondamenta la prima comunità cristiana - e le comunità successive - mediante i propri carismi e il loro multiforme servizio. Gli scritti apostolici annotano i loro nomi, come Febe, «diaconessa di Cencre» (cf. Rm 16, 1 ), Prisca col marito Aquila (cf. 2 Tim 4, 19), Evodia e Sintiche (cf. Fil 4, 2), Maria, Trifena, Perside, Trifosa (cf. Rm 16, 6. 12). L'apostolo parla delle loro «fatiche» per Cristo, e queste indicano i vari campi del servizio apostolico della Chiesa, iniziando dalla «chiesa domestica». In essa, infatti, la «fede schietta» passa dalla madre nei figli e nei nipoti, come appunto si verificò nella casa di Timoteo (cf. 2 Tm 1, 5)".

 

Possiamo concludere questo breve excursus  affermando come nella dottrina e nella pratica del Vangelo la Donna ha nel mondo un posto privilegiato e caratteristico, non uguale a quello dell’uomo né superiore, né inferiore ma suo proprio nel quale si manifesta tutta la sua natura e nella quale viene rispettata al massimo la sua dignità. Gesù accoglie la Donna, l’aiuta, la istruisce, la elogia, l’ammira, la propone come modello e intorno a sé ha voluto un gruppo femminile stabile! Un gruppo ben diverso dai Dodici, una missione ben diversa, un ruolo che gli è proprio così come il ruolo dei Dodici gli è proprio per il Governo della Chiesa.

Infine, diamo uno sguardo a Maria, la Madre di Gesù, la "Donna" da cui è nato il "Figlio di Dio" (Gal.4, 4).

Maria apre le pagine più sorprendenti del Vangelo (Gv.2, 4), fino a splendere nel Libro dell’Apocalisse (12, 1). Sull’abisso della grandezza segreta e palese di Maria – Donna per eccellenza – ci si può affacciare su questo mondo con gli occhi della fede ed ognuno di noi con Lei, come nel giorno del Cenacolo, in silenzioso raccoglimento, potrà essere cuore che pulsa nella Chiesa, Chiesa sgorgata dal Sangue di Cristo!

Solo così potremmo dire anche noi, come S. Teresa: "Nel cuore della Chiesa, mia Madre, io sarò l’Amore".

 

Scrive Giovanni Paolo II:

"Viene l'ora, l'ora è venuta, in cui la vocazione della donna si svolge con pienezza, l'ora in cui la donna acquista nella società un'influenza, un irradiamento, un potere finora mai raggiunto. E' per questo che, in un momento in cui l'umanità conosce una così profonda trasformazione, le donne illuminate dallo spirito evangelico possono tanto operare per aiutare l'umanità a non decadere. (..)  il mio Predecessore Paolo VI  ha esplicitato il significato di questo «segno dei tempi», attribuendo il titolo di Dottore della Chiesa a santa Teresa di Gesù e a santa Caterina da Siena, ed istituendo, altresì, su richiesta dell'Assemblea del Sinodo dei Vescovi nel 1971, un'apposita Commissione, il cui scopo era lo studio dei problemi contemporanei riguardanti la «promozione effettiva della dignità e della responsabilità delle donne». In uno dei suoi Discorsi Paolo VI disse tra l'altro: Nel cristianesimo, infatti, più che in ogni altra religione, la donna ha fin dalle origini uno speciale statuto di dignità, di cui il Nuovo Testamento ci attesta non pochi e non piccoli aspetti (...); appare all'evidenza che la donna è posta a far parte della struttura vivente ed operante del cristianesimo in modo così rilevante che non ne sono forse ancora state enucleate tutte le virtualità.."

(Mulieris Dignitatem n.1)

Nella Lettera ai Vescovi dell'allora cardinale  Ratzinger, Prefetto della CdF, sulla collaborazione fra l'uomo e la donna, così esordisce: " Esperta in umanità, la Chiesa è sempre interessata a ciò che riguarda l'uomo e la donna. In questi ultimi tempi si è riflettuto molto sulla dignità della donna, sui suoi diritti e doveri nei diversi settori della comunità civile ed ecclesiale. Avendo contribuito all'approfondimento di questa fondamentale tematica, in particolare con l'insegnamento di Giovanni Paolo II,  la Chiesa è oggi interpellata da alcune correnti di pensiero, le cui tesi spesso non coincidono con le finalità genuine della promozione della donna".

 





[SM=g1740771] continua.....
[Modificato da Caterina63 10/08/2012 22:06]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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10/08/2012 22:09
 
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[SM=g1740733] Quali sono queste "correnti di pensiero" che non coincidono con l'autentica promozione della donna?

Riportiamo i passi direttamente dal Documento citato:

- " Una prima tendenza sottolinea fortemente la condizione di subordinazione della donna, allo scopo di suscitare un atteggiamento di contestazione. La donna, per essere se stessa, si costituisce quale antagonista dell'uomo. Agli abusi di potere, essa risponde con una strategia di ricerca del potere. Questo processo porta ad una rivalità tra i sessi, in cui l'identità ed il ruolo dell'uno sono assunti a svantaggio dell'altro, con la conseguenza di introdurre nell'antropologia una confusione deleteria che ha il suo risvolto più immediato e nefasto nella struttura della famiglia.

- Una seconda tendenza emerge sulla scia della prima. Per evitare ogni supremazia dell'uno o dell'altro sesso, si tende a cancellare le loro differenze, considerate come semplici effetti di un condizionamento storico-culturale. In questo livellamento, la differenza corporea, chiamata sesso, viene minimizzata, mentre la dimensione strettamente culturale, chiamata genere, è sottolineata al massimo e ritenuta primaria. L'oscurarsi della differenza o dualità dei sessi produce conseguenze enormi a diversi livelli. Questa antropologia, che intendeva favorire prospettive egualitarie per la donna, liberandola da ogni determinismo biologico, di fatto ha ispirato ideologie che promuovono, ad esempio, la messa in questione della famiglia, per sua indole naturale bi-parentale, e cioè composta di padre e di madre, l'equiparazione dell'omosessualità all'eterosessualità, un modello nuovo di sessualità polimorfa".

Appare evidente che la crisi d'identità della donna e del suo ruolo, contribuisce inevitabilmente anche all'espandersi dell'omosessualità, alla crisi d'identità dell'uomo, ripercuotendosi inevitabilmente sulla Famiglia e sulla società.

La chiave di comprensione per affrontare e tentare di risolvere il problema non può non tenere conto del fatto che i ruoli dell'Uomo e della Donna non sono assolutamente concorrenziali o competitivi, ma di collaborazione e completamento delle risorse intellettive ed affettive. La radice di questi problemi va ricercata in quel malsano tentativo della persona umana di "liberarsi" dai propri "condizionamenti biologici" , spiega infatti l'allora cardinale Ratzinger: "Secondo questa prospettiva antropologica la natura umana non avrebbe in se stessa caratteristiche che si imporrebbero in maniera assoluta: ogni persona potrebbe o dovrebbe modellarsi a suo piacimento, dal momento che sarebbe libera da ogni predeterminazione legata alla sua costituzione essenziale. Questa prospettiva ha molteplici conseguenze. Anzitutto si rafforza l'idea che la liberazione della donna comporti una critica alle Sacre Scritture che trasmetterebbero una concezione patriarcale di Dio, alimentata da una cultura essenzialmente maschilista. In secondo luogo tale tendenza considererebbe privo di importanza e ininfluente il fatto che il Figlio di Dio abbia assunto la natura umana nella sua forma maschile".

 

La citazione che segue è un po lunga, ma vale la pena di leggerla meditando rigo per rigo:

"Il secondo racconto della creazione (Gn 2,4-25) conferma in modo inequivocabile l'importanza della differenza sessuale. Una volta plasmato da Dio e collocato nel giardino di cui riceve la gestione, colui che è designato, ancora con termine generico, come Adam, fa esperienza di una solitudine che la presenza degli animali non riesce a colmare. Gli occorre un aiuto che gli sia corrispondente. Il termine designa qui non un ruolo subalterno, ma un aiuto vitale. Lo scopo è infatti di permettere che la vita di Adam non si inabissi in un confronto sterile e, alla fine, mortale solamente con se stesso. È necessario che entri in relazione con un altro essere che sia al suo livello. Soltanto la donna, creata dalla stessa «carne» ed avvolta dallo stesso mistero, dà alla vita dell'uomo un avvenire. Ciò si verifica a livello ontologico, nel senso che la creazione della donna da parte di Dio caratterizza l'umanità come realtà relazionale. In questo incontro emerge anche la parola che dischiude per la prima volta la bocca dell'uomo in una espressione di meraviglia: «Questa volta essa è carne dalla mia carne e osso dalle mie ossa» (Gn 2,23). La donna  è un altro “io” nella comune umanità. Sin dall'inizio essi [uomo e donna] appaiono come “unità dei due”, e ciò significa il superamento dell'originaria solitudine, nella quale l'uomo non trova “un aiuto che gli sia simile” (Gn 2,20). Si tratta qui solo dell'“aiuto” nell'azione, nel “soggiogare la terra”? (cfr Gn 1,28). Certamente si tratta della compagna della vita, con la quale, come con una moglie, l'uomo può unirsi divenendo con lei “una sola carne” e abbandonando per questo “suo padre e sua madre” (cfr Gn 2,24).

La differenza vitale è orientata alla comunione ed è vissuta in un modo pacifico espresso dal tema della nudità: Ora tutti e due erano nudi, l'uomo e sua moglie, ma non ne provavano vergogna» (Gn 2,25). In tal modo, il corpo umano, contrassegnato dal sigillo della mascolinità o della femminilità, «racchiude fin “dal principio” l'attributo “sponsale”, cioè la capacità di esprimere l'amore: quell'amore appunto nel quale l'uomo-persona diventa dono e — mediante questo dono — attua il senso stesso del suo essere ed esistere. E, sempre commentando questi versetti della Genesi, il Santo Padre Giovanni Paolo II continua: «In questa sua particolarità, il corpo è l'espressione dello spirito ed è chiamato, nel mistero stesso della creazione, ad esistere nella comunione delle persone, “ad immagine di Dio”». Nella stessa prospettiva sponsale si comprende in che senso l'antico racconto della Genesi lasci intendere come la donna, nel suo essere più profondo e originario, esista «per l'altro» (cfr 1Cor 11,9): è un'affermazione che, ben lungi dall'evocare alienazione, esprime un aspetto fondamentale della somiglianza con la Santa Trinità le cui Persone, con l'avvento del Cristo, rivelano di essere in comunione di amore, le une per le altre. «Nell'“unità dei due”, l'uomo e la donna sono chiamati sin dall'inizio non solo ad esistere “uno accanto all'altra” oppure “insieme”, ma sono anche chiamati ad esistere reciprocamente l'uno per l'altro... Il testo di Genesi 2,18-25 indica che il matrimonio è la prima e, in un certo senso, la fondamentale dimensione di questa chiamata. Però non è l'unica. Tutta la storia dell'uomo sulla terra si realizza nell'ambito di questa chiamata. In base al principio del reciproco essere “per” l'altro, nella “comunione” interpersonale, si sviluppa in questa storia l'integrazione nell'umanità stessa, voluta da Dio, di ciò che è “maschile” e di ciò che è “femminile”.

Nella visione pacifica che conclude il secondo racconto di creazione riecheggia quel «molto buono» che chiudeva, nel primo racconto, la creazione della prima coppia umana. Qui sta il cuore del disegno originario di Dio e della verità più profonda dell'uomo e della donna, così come Dio li ha voluti e creati. Per quanto sconvolte e oscurate dal peccato, queste disposizioni originarie del Creatore non potranno mai essere annullate".

(Lettera ai Vescovi sulla collaborazione fra l'uomo e la donna nella Chiesa e nel mondo - 31.5.2004 - card. J. Ratzinger Congregazione per la Dottrina della Fede)

 

In questa chiarissima distinzione dei ruoli, con due sole battute rispondiamo anche alle pretese di chi vorrebbe vedere le donne, uguali all'uomo, intraprendere per esempio la via al sacerdozio, rispondeva così Giovanni Paolo II: " Benché la dottrina circa l'ordinazione sacerdotale da riservarsi soltanto agli uomini sia conservata dalla costante e universale Tradizione della Chiesa e sia insegnata con fermezza dal Magistero nei documenti più recenti, tuttavia nel nostro tempo in diversi luoghi la si ritiene discutibile, o anche si attribuisce alla decisione della Chiesa di non ammettere le donne a tale ordinazione un valore meramente disciplinare.

Pertanto, al fine di togliere ogni dubbio su di una questione di grande importanza, che attiene alla stessa divina costituzione della Chiesa, in virtù del mio ministero di confermare i fratelli, dichiaro che la Chiesa non ha in alcun modo la facoltà di conferire alle donne l'ordinazione sacerdotale e che questa sentenza deve essere tenuta in modo definitivo da tutti i fedeli della Chiesa".

(Ordinatio Sacerdotalis 19 maggio 1994)

E' possibile parlare del ruolo della donna e dell'uomo senza infilarci sempre la Bibbia? In teoria si, ma nella pratica e nelle risposte necessarie a specificare l'autentica identità del maschio e della femmina, no! è ovvio che no! Esiste la verità su questa identità e, il fatto che si discute su questa verità, chi ne discute non può al tempo stesso farne a meno, gli verrebbe a mancare la verità stessa. Se si escludesse questa verità, la si andrebbe a sostituire con il relativismo, le proprie opinioni, filosofie moderniste assunte a piccole verità intercambiabili a seconda delle mode: ieri era così, oggi è cambiato così, domani si cambierà ancora, ma questa non è la verità!

L'identità e il ruolo della Donna nel mondo è la realizzazione del proprio essere in funzione per ciò che è stata creata, così è per l'uomo, le identità non sono affatto "uguali" ma non sono neppure competitivi fra loro, piuttosto sono complementari, hanno bisogno l'una dell'altro: "Adam, fa esperienza di una solitudine che la presenza degli animali non riesce a colmare. Gli occorre un aiuto che gli sia corrispondente. Il termine designa qui non un ruolo subalterno, ma un aiuto vitale ".

Scrive ancora Ratzinger nella Lettera sopra citata: " Il Libro della Genesi attesta il peccato che è il male del «principio» dell'uomo, le sue conseguenze che sin da allora gravano su tutto il genere umano, ed insieme contiene il primo annuncio della vittoria sul male, sul peccato. Lo provano le parole che leggiamo in Genesi 3, 15 solitamente dette «Protovangelo»: «Io porrò inimicizia tra te e la donna, tra la tua stirpe e la sua stirpe: questa ti schiaccerà la testa e tu le insidierai il calcagno». E' significativo che l'annuncio del Redentore, del Salvatore del mondo, contenuto in queste parole, riguardi «la donna».

Questa è nominata al primo posto nel Proto-vangelo come progenitrice di Colui che sarà il redentore dell'uomo. E, se la redenzione deve compiersi mediante la lotta contro il male, per mezzo dell'«inimicizia» tra la stirpe della donna e la stirpe di colui che, come «padre della menzogna» (Gv 8, 44), è il primo autore del peccato nella storia dell'uomo, questa sarà anche l'inimicizia tra lui e la donna. In queste parole si schiude la prospettiva di tutta la Rivelazione, prima come preparazione al Vangelo e poi come Vangelo stesso. In questa prospettiva si congiungono sotto il nome della donna le due figure femminili: Eva e Maria. Le parole del Protovangelo, rilette alla luce del Nuovo Testamento, esprimono adeguatamente la missione della donna nella lotta salvifica del Redentore contro l'autore del male nella storia dell'uomo..."

L'uomo - sia il maschio che la femmina - è l'unico essere nel mondo che Dio abbia voluto per se stesso: è una persona, è un soggetto che, senza dubbio,  decide di sé, ma per decidere in bene e per essere veramente utile alla società umana, ha bisogno di scoprire o riscoprire la sua identità, perché è stato creato, perché questa distinzione "maschio e femmina", quale utilità, e così via. L'uomo infatti non può ritrovarsi pienamente se non mediante un dono sincero di sé, con tutto ciò che questo comporta. E' stato già detto che questa descrizione, anzi, in un certo senso, questa definizione della persona corrisponde alla fondamentale verità biblica circa la creazione dell'uomo - uomo e donna - a immagine e somiglianza di Dio. Questa non è un'interpretazione puramente teorica, o una definizione astratta, ideologica, filosofica, poetica, intercambiabile a seconda delle mode dei tempi, poiché essa indica in modo essenziale il senso dell'essere uomo, mettendo in rilievo il valore del dono di sé, della persona, nella distinzione indiscutibile dell'essere maschio e femmina, entrambi con due ruoli ben definiti e diversi fra loro, ma complementari e per lo sviluppo della società umana.

"L'utero è mio e lo gestisco io" di infelice memoria, nel cuore della protesta femminista degli anni '60, non ha fatto altro che offuscare il ruolo della donna facendola precipitare in una pietosa solitudine sfociata in una ribellione contro l'uomo, e la prima vittima di questa assurda ed incomprensibile rivendicazione è stata proprio la Famiglia, e poi la vita umana, i figli concepiti che vengono uccisi (per legge) per rivendicare una libertà che è diventata una autentica schiavitù del nostro tempo, vittima di se stessa anche la società che ha permesso la deriva dell'irragionevolezza, dell'irrazionalità sull'identità dell'essere maschio e dell'essere femmina.

Scrive Giovanni Paolo II nella Mulieris Dignitatem: "Il reciproco dono della persona nel matrimonio si apre verso il dono di una nuova vita, di un nuovo uomo, che è anche persona a somiglianza dei suoi genitori. La maternità implica sin dall'inizio una speciale apertura verso la nuova persona: e proprio questa è la «parte» della donna. In tale apertura, nel concepire e nel dare alla luce il figlio, la donna «si ritrova mediante un dono sincero di sé». Il dono dell'interiore disponibilità nell'accettare e nel mettere al mondo il figlio è collegato all'unione matrimoniale, che - come è stato detto - dovrebbe costituire un momento particolare del reciproco dono di sé da parte e della donna e dell'uomo. Il concepimento e la nascita del nuovo uomo, secondo la Bibbia, sono accompagnati dalle seguenti parole della donna-genitrice: «Ho acquistato un uomo dal Signore» (Gen 4, 1). L'esclamazione di Eva, «madre di tutti i viventi», si ripete ogni volta che viene al mondo un nuovo uomo ed esprime la gioia e la consapevolezza della donna di partecipare al grande mistero dell'eterno generare. Gli sposi partecipano della potenza creatrice di Dio!(..) L'analisi scientifica conferma pienamente come la stessa costituzione fisica della donna e il suo organismo contengano in sé la disposizione naturale alla maternità, al concepimento, alla gravidanza e al parto del bambino, in conseguenza dell'unione matrimoniale con l'uomo. Al tempo stesso, tutto ciò corrisponde anche alla struttura psico-fisica della donna. Quanto i diversi rami della scienza dicono su questo argomento è importante ed utile, purché non si limitino ad un'interpretazione esclusivamente bio-fisiologica della donna e della maternità. Una simile immagine «ridotta» andrebbe di pari passo con la concezione materialistica dell'uomo e del mondo. In tal caso, andrebbe purtroppo smarrito ciò che è veramente essenziale: la maternità, come fatto e fenomeno umano, si spiega pienamente in base alla verità sulla persona. La maternità è legata con la struttura personale dell'essere donna e con la dimensione personale del dono: «Ho acquistato un uomo dal Signore» (Gen 4, 1). Il Creatore fa ai genitori il dono del figlio.

(..) Alla luce del «principio» la madre accetta ed ama il figlio che porta in grembo come una persona. Questo modo unico di contatto col nuovo uomo che si sta formando crea, a sua volta, un atteggiamento verso l'uomo - non solo verso il proprio figlio, ma verso l'uomo in genere -, tale da caratterizzare profondamente tutta la personalità della donna. Si ritiene comunemente che la donna più dell'uomo sia capace di attenzione verso la persona concreta e che la maternità sviluppi ancora di più questa disposizione. L'uomo - sia pure con tutta la sua partecipazione all'essere genitore - si trova sempre «all'esterno» del processo della gravidanza e della nascita del bambino, e deve per tanti aspetti imparare dalla madre la sua propria «paternità». Questo - si può dire - fa parte del normale dinamismo umano dell'essere genitori, anche quando si tratta delle tappe successive alla nascita del bambino, specialmente nel primo periodo. L'educazione del figlio, globalmente intesa, dovrebbe contenere in sé il duplice contributo dei genitori: il contributo materno e paterno. Tuttavia, quello materno è decisivo per le basi di una nuova personalità umana."

 

Lo stesso principio appena letto deve essere fatto quando parliamo del ruolo della Donna nella Chiesa e fare attenzione a non limitarlo ad una interpretazione esclusivamente "mistica", tipicamente devozionista, da santino stampato...

"Nel cuore della Chiesa, mia Madre, io sarò l’Amore" significa al tempo stesso mettersi a servizio dell'uomo e della stessa società.

Dal settembre 2010 al febbraio 2011 il santo Padre Benedetto XVI ha fatto una serie di Catechesi dedicate alle Donne nel Medioevo, Donne che hanno fatto grande la Chiesa e che hanno avuto un ruolo a volte anche determinante, nella società del proprio tempo. Certo, il Papa parla di Donne impegnate nella Chiesa, diventate Sante, Donne di preghiera e consacrate, ma non è da sottovalutare la loro biografia nel sociale. Nel presentare la figura di santa Ildegarda, che presto sarà riconosciuta Dottore della Chiesa, ebbe a dire: "su questa grande donna “profetessa”, che parla con grande attualità anche oggi a noi, con la sua coraggiosa capacità di discernere i segni dei tempi, con il suo amore per il creato, la sua medicina, la sua poesia, la sua musica, che oggi viene ricostruita, il suo amore per Cristo e per la Sua Chiesa, sofferente anche in quel tempo, ferita anche in quel tempo dai peccati dei preti e dei laici, e tanto più amata come corpo di Cristo (...) Con l’autorità spirituale di cui era dotata, negli ultimi anni della sua vita Ildegarda si mise in viaggio, nonostante l’età avanzata e le condizioni disagevoli degli spostamenti, per parlare di Dio alla gente. Tutti l’ascoltavano volentieri, anche quando adoperava un tono severo: la consideravano una messaggera mandata da Dio. Richiamava soprattutto le comunità monastiche e il clero a una vita conforme alla loro vocazione. In modo particolare, Ildegarda contrastò il movimento dei cátari tedeschi.  Già da questi brevi cenni vediamo come anche la teologia possa ricevere un contributo peculiare dalle donne, perché esse sono capaci di parlare di Dio e dei misteri della fede con la loro peculiare intelligenza e sensibilità", queste Donne "parlano anche a noi oggi".





[SM=g1740771] continua.....
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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Parlando di altri Santi e dell'amicizia fra loro a vantaggio anche di una operosa attività pubblica e sociale, così scrive il Papa: "In una delle quattro lettere che Chiara inviò a sant’Agnese di Praga, la figlia del re di Boemia, che volle seguirne le orme, parla di Cristo, suo diletto Sposo, con espressioni nunziali, che possono stupire, ma che commuovono: “Amandolo, siete casta, toccandolo, sarete più pura, lasciandovi possedere da lui siete vergine. La sua potenza è più forte, la sua generosità più elevata, il suo aspetto più bello, l’amore più soave e ogni grazia più fine. Ormai siete stretta nell’abbraccio di lui, che ha ornato il vostro petto di pietre preziose… e vi ha incoronata con una corona d’oro incisa con il segno della santità” (Lettera prima: FF, 2862).

(..) L’amicizia è uno dei sentimenti umani più nobili ed elevati che la Grazia divina purifica e trasfigura. Come san Francesco e santa Chiara, anche altri santi hanno vissuto una profonda amicizia nel cammino verso la perfezione cristiana, come san Francesco di Sales e santa Giovanna Francesca di Chantal.

Ed è proprio san Francesco di Sales che scrive: “È bello poter amare sulla terra come si ama in cielo, e imparare a volersi bene in questo mondo come faremo eternamente nell'altro. Non parlo qui del semplice amore di carità, perché quello dobbiamo averlo per tutti gli uomini; parlo dell'amicizia spirituale, nell'ambito della quale, due, tre o più persone si scambiano la devozione, gli affetti spirituali e diventano realmente un solo spirito” (Introduzione alla vita devota III, 19). Ciò mostra - spiega Benedetto XVI - come anche nei secoli del Medioevo, il ruolo delle donne non era secondario, ma considerevole. A questo proposito, giova ricordare che Chiara è stata la prima donna nella storia della Chiesa che abbia composto una Regola scritta, sottoposta all’approvazione del Papa, perché il carisma di Francesco d’Assisi fosse conservato in tutte le comunità femminili che si andavano stabilendo numerose già ai suoi tempi e che desideravano ispirarsi all’esempio di Francesco e di Chiara."

E il Carisma di Santa Chiara continua: erano attrici, pubblicitarie, avvocatesse, imprenditrici, semplici impiegate le 130 e più, donne, che oggi hanno dato vita ad una Congregazione in questi nostri tempi. Provengono da tutta la Spagna e appartengono ad ogni classe sociale. Hanno una laurea e svolgevano una professione. Oggi sono Suore di Clausura e vivono nel Monastero di Lerma, un paesino in provincia di Burgos, in Spagna, con un'età media inferiore ai 30 anni.  Un vero e proprio miracolo di fecondità vocazionale, generato da persone che hanno lasciato la sicurezza dei loro giorni per dedicarsi totalmente ad un Uomo che si è fatto crocifiggere per amore. Sono di Clausura si, ma anche attive nella predicazione e nell'incontro soprattutto con i giovani per spiegare loro le realtà del nostro tempo, le responsabilità, l'attesa di una chiamata, la risposta a certe domande!

Presentando sant'Angela da Foligno, così dice il Papa: "la vita di santa Angela comincia con un’esistenza mondana, abbastanza lontana da Dio. Ma poi l'incontro con la figura di san Francesco e, finalmente, l'incontro col Cristo Crocifisso risveglia l'anima per La presenza di Dio, per il fatto che solo con Dio la vita diventa vera vita, perché diventa, nel dolore per il peccato, amore e gioia. E così parla a noi santa Angela. Oggi siamo tutti in pericolo di vivere come se Dio non esistesse: sembra così lontano dalla vita odierna. Ma Dio ha mille modi, per ciascuno il suo, di farsi presente nell'anima, di mostrare che esiste e mi conosce e mi ama. E santa Angela vuol farci attenti a questi segni con i quali il Signore ci tocca l'anima, attenti alla presenza di Dio, per imparare così la via con Dio e verso Dio, nella comunione con Cristo Crocifisso..."

Presentando la figura di santa Elisabetta d'Ungheria, il Papa si sofferma sulle questioni sociali del suo tempo e dice: "Nella sua profonda sensibilità Elisabetta vedeva le contraddizioni tra la fede professata e la pratica cristiana. Non sopportava i compromessi.

Come si comportava davanti a Dio, allo stesso modo si comportava verso i sudditi. Tra i Detti delle quattro ancelle troviamo questa testimonianza: "Non consumava cibi se prima non era sicura che provenissero dalle proprietà e dai legittimi beni del marito. Mentre si asteneva dai beni procurati illecitamente, si adoperava anche per dare risarcimento a coloro che avevano subito violenza” (nn. 25 e 37). Un vero esempio per tutti coloro che ricoprono ruoli di guida: l’esercizio dell’autorità, ad ogni livello, dev’essere vissuto come servizio alla giustizia e alla carità, nella costante ricerca del bene comune...(..) Il suo fu un matrimonio profondamente felice: Elisabetta aiutava il coniuge ad elevare le sue qualità umane a livello soprannaturale, ed egli, in cambio, proteggeva la moglie nella sua generosità verso i poveri e nelle sue pratiche religiose. Sempre più ammirato per la grande fede della sposa, Ludovico, riferendosi alla sua attenzione verso i poveri, le disse: “Cara Elisabetta, è Cristo che hai lavato, cibato e di cui ti sei presa cura”. Una chiara testimonianza di come la fede e l’amore verso Dio e verso il prossimo rafforzino la vita familiare e rendano ancora più profonda l’unione matrimoniale."

 

Nella figura di queste e tante altre Donne impegnate nella Chiesa, vediamo come la fede, l'amicizia con Cristo creino il senso della giustizia, dell'uguaglianza di tutti, dei diritti degli altri e creino l'amore, la vera carità.

Nel presentare l'opera di santa Brigida di Svezia, scrive il Papa: "A Roma, in compagnia della figlia Karin, Brigida si dedicò a una vita di intenso apostolato e di orazione. E da Roma si mosse in pellegrinaggio in vari santuari italiani, in particolare ad Assisi, patria di san Francesco, verso il quale Brigida nutrì sempre grande devozione. Finalmente, nel 1371, coronò il suo più grande desiderio: il viaggio in Terra Santa, dove si recò in compagnia dei suoi figli spirituali, un gruppo che Brigida chiamava “gli amici di Dio”. Durante quegli anni, i Pontefici si trovavano ad Avignone, lontano da Roma: Brigida si rivolse accoratamente a loro, affinché facessero ritorno alla sede di Pietro, nella Città Eterna..."

Un appello che, come sappiamo, si realizzò con l'operato di santa Caterina da Siena, della quale scrive il Papa:

"La dottrina di Caterina, che apprese a leggere con fatica e imparò a scrivere quando era già adulta, è contenuta ne Il Dialogo della Divina Provvidenza ovvero Libro della Divina Dottrina, un capolavoro della letteratura spirituale, nel suo Epistolario e nella raccolta delle Preghiere. Il suo insegnamento è dotato di una ricchezza tale che il Servo di Dio Paolo VI, nel 1970, la dichiarò Dottore della Chiesa, titolo che si aggiungeva a quello di Compatrona della città di Roma, per volere del Beato Pio IX, e di Patrona d’Italia, secondo la decisione del Venerabile Pio XII. (..) Molti si misero al suo servizio e soprattutto considerarono un privilegio essere guidati spiritualmente da Caterina. La chiamavano “mamma”, poiché come figli spirituali da lei attingevano il nutrimento dello spirito. Anche oggi la Chiesa riceve un grande beneficio dall’esercizio della maternità spirituale di tante donne, consacrate e laiche, che alimentano nelle anime il pensiero per Dio, rafforzano la fede della gente e orientano la vita cristiana verso vette sempre più elevate. (..)

Quando la fama della sua santità si diffuse, fu protagonista di un’intensa attività di consiglio spirituale nei confronti di ogni categoria di persone: nobili e uomini politici, artisti e gente del popolo, persone consacrate, ecclesiastici, compreso il Papa Gregorio XI che in quel periodo risiedeva ad Avignone e che Caterina esortò energicamente ed efficacemente a fare ritorno a Roma.

Viaggiò molto per sollecitare la riforma interiore della Chiesa e per favorire la pace tra gli Stati: anche per questo motivo il Venerabile Giovanni Paolo II la volle dichiarare Compatrona d’Europa: il Vecchio Continente non dimentichi mai le radici cristiane che sono alla base del suo cammino e continui ad attingere dal Vangelo i valori fondamentali che assicurano la giustizia e la concordia.  “Abbiate memoria di Cristo crocifisso, Dio e uomo (…) - conclude Benedetto XVI usando le parole della Santa - ponetevi per obietto Cristo crocifisso, nascondetevi nelle piaghe di Cristo crocifisso, annegatevi nel sangue di Cristo crocifisso” (Epistolario, Lettera n. 16: Ad uno il cui nome si tace)."

E non poteva mancare nel pensiero di Benedetto XVI il ruolo e la figura di santa Giovanna d'Arco, ma leggiamo dalle sue parole: "oggi vorrei parlarvi di Giovanna d'Arco, una giovane santa della fine del Medioevo, morta a 19 anni, nel 1431. Questa santa francese, citata più volte nel Catechismo della Chiesa Cattolica, è particolarmente vicina a santa Caterina da Siena, patrona d'Italia e d'Europa, di cui ho parlato in una recente catechesi.

Sono infatti due giovani donne del popolo, laiche e consacrate nella verginità; due mistiche impegnate, non nel chiostro, ma in mezzo alle realtà più drammatiche della Chiesa e del mondo del loro tempo. Sono forse le figure più caratteristiche di quelle “donne forti” che, alla fine del Medioevo, portarono senza paura la grande luce del Vangelo nelle complesse vicende della storia.

Potremmo accostarle alle sante donne che rimasero sul Calvario, vicino a Gesù crocifisso e a Maria sua Madre, mentre gli Apostoli erano fuggiti e lo stesso Pietro lo aveva rinnegato tre volte. La Chiesa, in quel periodo, viveva la profonda crisi del grande scisma d'Occidente, durato quasi 40 anni. Quando Caterina da Siena muore, nel 1380, ci sono un Papa e un Antipapa; quando Giovanna nasce, nel 1412, ci sono un Papa e due Antipapa. Insieme a questa lacerazione all'interno della Chiesa, vi erano continue guerre fratricide tra i popoli cristiani d'Europa, la più drammatica delle quali fu l'interminabile “Guerra dei cent’anni” tra Francia e Inghilterra.

Giovanna d'Arco non sapeva né leggere né scrivere, ma può essere conosciuta nel più profondo della sua anima grazie a due fonti di eccezionale valore storico: i due Processi che la riguardano. Il primo, il Processo di Condanna (PCon), contiene la trascrizione dei lunghi e numerosi interrogatori di Giovanna durante gli ultimi mesi della sua vita (febbraio-maggio 1431), e riporta le parole stesse della Santa. Il secondo, il Processo di Nullità della Condanna, o di “riabilitazione” (PNul), contiene le deposizioni di circa 120 testimoni oculari di tutti i periodi della sua vita (cfr Procès de Condamnation de Jeanne d'Arc, 3 vol. e Procès en Nullité de la Condamnation de Jeanne d'Arc, 5 vol., ed. Klincksieck, Paris l960-1989). (..)  Attraverso la “voce” dell'arcangelo san Michele, Giovanna si sente chiamata dal Signore ad intensificare la sua vita cristiana e anche ad impegnarsi in prima persona per la liberazione del suo popolo. La sua immediata risposta, il suo “sì”, è il voto di verginità, con un nuovo impegno nella vita sacramentale e nella preghiera: partecipazione quotidiana alla Messa, Confessione e Comunione frequenti, lunghi momenti di preghiera silenziosa davanti al Crocifisso o all'immagine della Madonna. La compassione e l’impegno della giovane contadina francese di fronte alla sofferenza del suo popolo sono resi più intensi dal suo rapporto mistico con Dio. Uno degli aspetti più originali della santità di questa giovane è proprio questo legame tra esperienza mistica e missione politica.

(..) L'appello di Giovanna al giudizio del Papa, il 24 maggio, è respinto dal tribunale (al Papa non viene detto di questa richiesta). La mattina del 30 maggio, riceve per l'ultima volta la santa Comunione in carcere, e viene subito condotta al supplizio nella piazza del vecchio mercato. Chiede a uno dei sacerdoti di tenere davanti al rogo una croce di processione. Così muore guardando Gesù Crocifisso e pronunciando più volte e ad alta voce il Nome di Gesù (PNul, I, p. 457; cfr Catechismo della Chiesa Cattolica, 435). Circa 25 anni più tardi, il Processo di Nullità, aperto sotto l'autorità del Papa Callisto III, si conclude con una solenne sentenza che dichiara nulla la condanna (7 luglio 1456; PNul, II, p 604-610). Questo lungo processo, che raccolse le deposizioni dei testimoni e i giudizi di molti teologi, tutti favorevoli a Giovanna, mette in luce la sua innocenza e la perfetta fedeltà alla Chiesa. Giovanna d’Arco sarà poi canonizzata da Benedetto XV, nel 1920.

(..) Nell'Amore di Gesù, Giovanna trova la forza di amare la Chiesa fino alla fine, anche nel momento della condanna.

Mi piace ricordare come santa Giovanna d’Arco - conclude il Papa - abbia avuto un profondo influsso su una giovane Santa dell'epoca moderna: Teresa di Gesù Bambino.. "

Lucetta Scaraffia, in un articolo sull'Osservatore Romano dell'8 maggio 2011, riportando queste Catechesi del Papa, conclude: "Un aspetto colpisce subito, alla prima lettura dei testi: quante di queste donne fossero colte, o per meglio dire coltissime. Molte infatti conoscevano il latino, e spesso erano addirittura in grado di scrivere in questa lingua, inoltre avevano una grande dimestichezza non solo con le Sacre Scritture, ma anche con la patristica. (..) Ma se molte furono le dotte, è significativo il fatto che il titolo di Dottore della Chiesa, concesso da Paolo VI nel 1970, sia andato a Caterina da Siena, una giovane donna analfabeta, che dettava le sue lettere e le sue opere, traendo la sua saggezza dalla fede e dall'unione mistica con Dio. Ad ognuna delle donne evocate la Chiesa deve qualcosa di specifico: a Chiara d'Assisi il modello di amicizia spirituale fra un uomo e una donna, a cui si ispirarono poi altri santi, come Francesco di Sales; a Matilde di Hackeborn l'attenzione alla liturgia e la composizione di preghiere; a Gertrude La Grande la capacità di vivere una intensa passione intellettuale riuscendo poi a indirizzarla esclusivamente a Dio; ad Angela da Foligno la narrazione di una delle più intense e al tempo stresso originali esperienze mistiche; a Elisabetta d'Ungheria il ruolo di guida spirituale nei confronti del marito e la capacità di coniugare amore e giustizia; a Brigida, esempio anch'essa di spiritualità coniugale, anche la capacità di governo della comunità da lei fondata; a Margherita d'Oingt, l'audace uso del linguaggio, con cui paragona la passione di Gesù ai dolori del parto; a Giuliana di Cornillon, la trasformazione di una intensa devozione eucaristica nella proposta di una festa, quella del Corpus Domini; a Caterina da Siena, l'intuizione Cristo come ponte fra cielo e terra, e la capacità di renderlo vivo e presente a tutti; a Giuliana di Norwich, il paragone dell'amore divino con l'amore materno; a Veronica Giuliani, la descrizione delle sue esperienze mistiche in 22.000 pagine manoscritte; a Caterina da Bologna, l'invito a compiere la volontà di Dio; a Caterina da Genova, che si dedica ai malati, la prova che «la mistica non crea distanza dall'altro». E, alla fine, una santa tanto celebre quanto poco conosciuta dal punto di vista religioso come Giovanna d'Arco, capace di coniugare l'esperienza mistica con la missione politica, la cui condanna da parte dell'Inquisizione il Papa definisce «pagina illuminante sul mistero della Chiesa», al tempo stesso santa e da purgare.

Si tratta di donne che hanno impresso con originalità un segno indelebile alla tradizione cristiana, sia proponendo nuovi modi di pregare o nuove solennità festive, che rivelando con le loro visioni sconosciuti e importanti aspetti del legame fra Dio e l'essere umano. Donne che hanno influito in molti modi nella cultura del tempo. (..) Il Papa sottolinea soprattutto la grande capacità femminile di identificarsi nel Cristo sofferente, e di conseguenza di comprendere fino in fondo il tesoro costituito dall'amore che Dio nutre nei nostri confronti: un amore sconfinato, che molte sante osano paragonare con l'unico sentimento umano che gli si può avvicinare, quello materno".

 

Régine Pernoud, la storica francese già direttrice degli archivi nazionali di Parigi i cui libri hanno tirature da bestseller, sfata una leggenda, un mito sulle donne: altro che “secoli bui”: donne a capo di conventi, maggior età a 14 anni, predicatori di crociate che leggono il Corano, educatrici, severi moniti per la corruzione del proprio tempo, contro la corruzione del Clero, contro la disobbedienza di preti e vescovi, richiami per il ruolo del Pontefice, amministratici sagge e prudenti...

Quando parla del Medioevo si infervora! In una intervista su 30giorni del 1985, così esordisce la storica francese:

«Anch’io da giovane ero convinta fosse un periodo di ignoranza e sottosviluppo. Per forza. I libri di storia lo liquidano in poche pagine. Noi non sopporteremmo una contabilità che trascuri mille pagine dal registro di bilancio, ma non ci stupiamo di presuntuosi bilanci storici che dimenticano un millennio.  Anche studiosi cattolici parlano della Chiesa come se iniziasse nel XVI secolo. Jean Delumeau, nel suo Le christianisme il va à mourir, traccia una sintesi storica che tralascia completamente il Medioevo. Curiosamente, il rinnovamento attuale degli studi medievali viene dagli americani: hanno una visione più completa. Gli europei sono più attenti alle questioni che riguardano l’arte che non al dinamismo dimostrato dalla tecnica nell’XI e XII secolo. Ma questi aspetti sono fondamentali per comprendere le dinamica di una società così complessa».

- Complessa? Quotidianamente ascoltiamo riflessioni come ‘non siamo più nel Medioevo’ o ‘c’è un ritorno al Medioevo’. «Qualcuno si sorprenderà — aggiunge ironicamente — sapendo che per ben due volte in assise internazionali (a Parigi nel 1974 in sede dell’Ocse e a Dakar nel 1980) ci si è rivolti a medievalisti perché studiassero soluzioni tecniche per l’agricoltura del Terzo Mondo.

Un medievalista ha persino intitolato un suo libro La rivoluzione industriale del Medioevo: una rivoluzione operata senza rinchiudere i bambini nelle fabbriche perché lavorassero per un salario di fame».

- Le domandano: eppure, le lotte di un certo femminismo erano per non ricondurre le donne all’epoca medievale in cui erano vessate e trattate come schiave. E la Chiesa poi, era davvero così ostile alle donne? Il Concilio di Trento ha davvero  concesso, solo allora, di possedere l’anima?

S'infervora la storica e non risparmia risposte: «Quante sciocchezze. Eppure ho sentito anche una nota scrittrice sostenere che la Chiesa ha dato l’anima alle donne solo nel XV secolo. E così, per i primi mille-cinquecento anni si sarebbero battezzati, confessati, ammessi all’eucarestia degli esseri sprovvisti di anima! In tal caso, perché non degli animali? Strano che i primi martiri che sono stati onorati come santi siano donne e non uomini: Sant’Agnese, Santa Cecilia, Sant’Agata e tanti altri. Non è sorprendente che ai tempi feudali la regina venisse incoronata come il re, a Reims generalmente (ma a volte anche in altre cattedrali) eppure sempre dalle mani dell’arcivescovo di Reims? In altre parole, si attribuiva all’incoronazione della regina altrettanto valore che a quella del re. Eleonora d’Aquitania e Bianca di Castiglia hanno dominato il loro tempo, e potevano esercitare un potere incontestato non solo qualora il re fosse deceduto, ma anche nel caso fosse assente o malato. Nel Medioevo, anche donne non provenienti da famiglie nobili hanno goduto nella Chiesa, e attraverso la loro funzione in essa, di un potere straordinario. Alcune badesse agivano come autentici signori feudali e il loro potere era rispettato al pari di quello degli altri signori; alcune donne indossavano la croce come i vescovi; sovente amministravano vasti territori che includevano villaggi e parrocchie. Ciò significa che nella stessa vita laica alcune donne, per le loro funzioni religiose, esercitavano un potere che oggi molti uomini potrebbero invidiare».

- Sorprende venire a sapere che l’enciclopedia più nota del XII secolo è opera di una religiosa, la badessa Herrada di Landsberg. E che, se Eloisa leggeva in greco e latino, un’altra religiosa, Gertrude di Hefta, era felice nel XIII secolo, di passare dal grado di ‘grammatica’ a quello di ‘teologa’, vale a dire che dopo aver percorso il ciclo di studi preparatori, si apprestava a passare al ciclo superiore come si faceva all’università. Ma le donne che non erano né alte dame né badesse, né tantomeno monache, bensì contadine, o madri di famiglia, o che esercitavano un mestiere?

 «Dai documenti che abbiamo — risponde la studiosa — emerge un quadro sorprendente. Le donne votavano come gli uomini nelle assemblee cittadine e in quelle dei comuni rurali. Negli atti notarili, inoltre, è molto frequente trovare donne sposate che agiscono per conto proprio, potendo possedere ed amministrare i loro beni, per esempio avviando un negozio o un commercio. Gli atti delle inchieste amministrative ordinate da San Luigi tra il popolo minuto iniziativa senza precedenti e, del resto, senza seguito, ci mostrano una folla di donne esercitanti i più vari mestieri: maestra di scuola, medico, farmacista, gessaiuola, tingitrice, copista, miniaturista, rilegatrice…».

Certo è che se alla voce Medioevo si risponde con l'immaginario falsato di Eco con il suo In nome della rosa, c'è di che preoccuparsi riguardo al concetto di conoscenza autentica della storia!

 

Concludiamo queste riflessioni con un passo dal libro "Piccole Donne" di Louisa May Alcott, cap.II "Un lieto Natale" , apparentemente potrebbe non c'entrare nulla con l'argomento qui trattato, ma si tratta di Donne, Piccole Donne, un messaggio che auguriamo fecondo in ogni Famiglia, per ogni donna affinché anche l'uomo ne tragga beneficio e si torni a far pace fra i due sessi, a collaborare insieme per un futuro davvero fecondo e migliore.

- Stamattina dopo aver letto il libro - mi sono vergognata del mio egoismo. Appena alzata sono uscita per cambiare la boccetta, ma adesso sono contenta perché il mio regalo è il più bello di tutti - soggiunse Amy.

La porta di casa si chiuse di nuovo e le ragazze fecero sparire rapidamente il paniere sotto il divano.

- Buon Natale, mamma! Buon Natale! Grazie dei libri: abbiamo già cominciato a leggerli e saranno la nostra lettura di ogni mattina - gridarono allegramente le quattro ragazze.

"Buon Natale a voi, figlie mie! Sono contenta che abbiate già iniziato e spero che continuerete. Ma prima di sederci, devo dirvi una cosa. Poco lontano da qui, una donna ha appena avuto un bimbo. Ne ha già altri sei, che stanno rannicchiati in un unico letto per non gelare. Infatti, non hanno né legna per il fuoco, né qualcosa da mangiare... Bambine mie, vorreste donare loro la vostra colazione come regalo di Natale?"

Per un momento nessuna parlò: avevano un grande appetito poiché attendevano già da un'ora. L'indecisione durò per poco.

- Sono contenta che tu sia arrivata prima che cominciassimo.

- Vengo io ad aiutarti? - chiese Beth con premura.

- Io porto la crema e le focaccine, - soggiunse Amy.

- Sapevo che le mie bambine avrebbero fatto questo piccolo sacrificio - disse sorridendo la signora March. - Verrete tutte con me e quando torneremo faremo colazione con latte, pane, burro.

In pochi minuti tutte furono pronte per uscire. Per loro fortuna, le strade erano deserte e nessuno si meravigliò di quella processione.

 

LDCaterina63
[SM=g1740758] [SM=g1740750] [SM=g1740752]

[Modificato da Caterina63 10/08/2012 22:13]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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10/08/2012 22:19
 
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[SM=g1740733] E la suora inventò l’infermiera

Inchiesta sul ruolo delle religiose nella storia della cura

Il compito di alleviare le sofferenze dei malati, considerato poco nobile nella gerarchia sociale, è delegato da sempre al sesso femminile, garante dello sviluppo e del mantenimento della specie. Ma per le suore arrivare a praticare l’assistenza ai malati è stato difficile. Il contatto con i corpi sembrava prerogativa delle donne che quei corpi li conoscevano: quelle sposate o addirittura le prostitute. L’assistenza agli infermi è stata la prassi delle beghine nel nord Europa, cioè donne Henriette Browne, «Suore al lavoro in convento» (XIX secolo)che si univano in gruppi spontaneamente, senza l’approvazione ecclesiastica, per condurre una vita religiosa, a cui si ispirarono, nell’Italia del XIII secolo, i Terzi ordini legati a domenicani e francescani. Tutti ricordano che Caterina da Siena, che faceva parte del terz’ordine domenicano, aveva curato i malati di peste fino a mettere a repentaglio la sua vita, ma si trattava di situazioni di emergenza che richiedevano misure eccezionali.

Il primo a vincere il tabù che separava le religiose dalla cura dei corpi fu nel 1617 san Vincenzo de’ Paoli, con la fondazione delle Figlie della Carità. «Per monastero le case dei malati — scrive san Vincenzo de’ Paoli — per cella una camera d’affitto, per cappella la chiesa parrocchiale, per chiostro le vie della città, per clausura l’obbedienza, per grata il timor di Dio, per velo la santa modestia».

Nasce la prima compagnia di religiose col caratteristico copricapo con le ali, pronte ad andare «dove nessuno va», pagando anche con la vita: quattordici Figlie della Carità ghigliottinate durante la rivoluzione francese, dieci uccise nel 1870 in Cina, dieci durante l’ultima rivoluzione spagnola e molte altre ancora. Le numerose congregazioni nate nel XIX secolo cominciarono ad affiancare all’insegnamento anche la fondazione di ospedali e di organizzazioni di assistenza ai malati a domicilio, nonostante la normativa ecclesiastica ancora imponesse alle religiose di non assistere nessuno a domicilio, ed escludesse comunque partorienti e malati di sesso maschile.

Ma le suore infermiere, in nome della loro missione, molto spesso disattendevano queste disposizioni, non negando il loro aiuto ai sofferenti e aprendo quindi continue discussioni con l’istituzione ecclesiastica, come testimonia l’inchiesta generale avviata dalla Sacra Congregazione dei Religiosi nel 1909 in tutto il mondo cattolico, in seguito alle molte proteste per la prassi consolidata delle religiose a prestare assistenza infermieristica, sia a domicilio che negli ospedali, anche agli uomini.

Alla fine le suore la spuntarono e, consapevoli dell’esigenza di una preparazione professionale, ottennero anche da san Pio X, nel 1905, la possibilità di fondare la prima scuola professionale per infermiere. Il welfare della Chiesa, ancora oggi vitale, radicato nel territorio e “supplente” del pubblico ha quindi una storia antica ed eroica.

Racconta la sua esperienza di cura una veterana: suor Odilia D’Avella. Figlia della Carità a vent’anni, a 26 già dirige la scuola dell’Ospedale dei Pellegrini a Napoli e per due decenni forma generazioni di infermiere, battendosi per sottrarre la professione infermieristica dal ruolo ancillare a quella medica, per cambiare i profili professionali e promuovere i diritti del malato. Molte le cariche guadagnate sul campo: presidente delle direttrici per scuole infermieristiche della federazione italiana religiose ospedaliere, per 15 anni presidente dell’Ipasvi (Federazione Nazionale Collegi Infermieri professionali), membro per la formazione infermieristica della Comunità europea e del Consiglio superiore di Sanità. Cinquant’anni a stretto contatto con un mondo laico senza sentirne il peso. «Una lunga esperienza vissuta nel rispetto reciproco — sottolinea suor D’Avella —. Il valore etico comune è il rispetto della vita e l’obiezione di coscienza».

L’Ipasvi non registra la condizione delle religiose infermiere: non censite, parificate ma non omologabili, le religiose si sentono diverse. «Ci deve essere più cuore in quelle mani — racconta suor D’Avella —. Possono esserci laiche più brave e competenti delle religiose ma solo in un luogo di lavoro con un’identità religiosa si può manifestare pienamente il proprio carisma. È un privilegio».

Le religiose infermiere che vivono l’ospedale come una missione, senza orario e riposo settimanale, facendo riferimento alle responsabili della loro comunità religiose e versando lì il proprio stipendio, rischiano essere viste come nemiche? «Non sono mancati i conflitti. Dalle convenzioni con le comunità religiose gli ospedali hanno sempre ricavato un vantaggio economico — risponde suor D’Avella — ma anche un rapporto fiduciario: sanno che i malati sono assistiti nella loro totalità. Fino agli anni Sessanta le caposala erano tutte delle religiose, oggi le laiche le hanno soppiantate. Eravamo degli eserciti, ora siamo poche ma buone». L’atteggiamento dei medici è diverso con le religiose infermiere? «Più deferenza, ma dipendeva sempre dalla loro autorevolezza e preparazione». E quello dei malati? «C’è più rispetto e fiducia. Persone semplici, in momenti difficili, mi hanno chiesto di essere confessate. Si fidavano e volevano essere ascoltate e assolte: cercavano Dio e per ignoranza, o per paura della morte, non facevano differenze».

Oltre alla cura è importante la difesa dei diritti. «Non sempre il malato è messo al centro del sistema sanitario e spesso si fa passare un diritto come un privilegio. Nel 1978 con l’istituzione del servizio sanitario nazionale ho sentito un amministratore affermare: “Le Usl potrebbero funzionare bene se non ci fossero i malati”. E allora chi? Al centro non devono esserci gli interessi privati, la politica, gli affari, le mafie, ma solo la persona». Cose che non succedono nella sanità gestita da religiosi? «Non dovrebbero».

La laicizzazione pone nuovi temi: bioetica, eutanasia e testamento biologico. Le religiose infermiere rispondono al medico di guardia ma soprattutto a Dio. «A Dio e alla propria coscienza — sottolinea suor D’Avella —. La medicina non è onnipotente e non tutto quello che scientificamente è possibile è eticamente lecito». Con la legge del 1971 in Italia i corsi infermieristici aprono anche agli uomini. Cosa cambia? «L’arrivismo — commenta suor D’Avella —. Sin dall’inizio hanno voluto occupare i posti dirigenziali. Prima i capi erano tutte suore, poi suore e laiche, oggi sono in prevalenza uomini». Maschilismo anche tra i medici? «Sicuramente, ma ce n’è anche nelle gerarchie della Chiesa. Se la Chiesa gerarchica è maschilista, quella carismatica è al femminile».

Secondo i dati riportati dal libro Religiose nel mondo della salute di Angelo Brusco e Laura Biondo (Torino, Edizioni Camilliane, 1992), dal 1975 al 1992 in Italia il numero delle suore ospedaliere è passato da 15.234 a poco più di 10.000. E dal 1992 i dati sono gradualmente in calo. Le strutture sanitarie si laicizzano, l’infermiere generico va a esaurirsi, nel 2001 nasce quello laureato. E le religiose la professione infermieristica sembra preferiscano esercitarla nelle missioni. «Trincee con bisogni più urgenti» dichiara suor Emilia Balbinot, ostetrica, 68 anni, brasiliana di origine italiana, delle Ministre degli infermi di San Camillo, prima caposala al cto di Firenze e poi per 26 anni in missione in Kenia. «Ho vissuto in villaggi poverissimi: senza mezzi e in frontiera, ho fatto nascere bambini tagliando il cordone ombelicale alla luce di una pila elettrica. E ogni volta ho pensato di essere davanti a un tabernacolo che si apre alla vita dando la luce a un nuovo essere voluto da Dio. Soprattutto in missione si realizza la chiamata e la consacrazione. Lì trovi il Gesù abbandonato».

«Quello che facciamo è solo una goccia nell’oceano, ma se non lo facessimo l’oceano avrebbe una goccia in meno» diceva Madre Teresa di Calcutta, una delle molte infermiere diventate sante o beate. «Ci si guadagna il regno di Dio, che è anche su questa terra, tra chi ha bisogno — sottolinea suor D’Avella —. Ci sono malati che non sono in un letto d’ospedale: la sofferenza morale, il disagio mentale, l’assuefazione all’alcool e alla droga. Un mondo di invisibili, sofferenti ed emarginati». Oggi suor D’Avella, a 74 anni, dirige «Il sentiero», un servizio per persone e famiglie con problemi di alcol e droga. «Sono in trincea da quando avevo 20 anni e alla ritirata non penso proprio».

  Cinzia Leone
Osservatore Romano 30 giugno 2012

[SM=g1740771]

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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10/08/2012 22:31
 
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[SM=g1740733] «Il giorno in cui Dio l’ha voluta femmina e non maschio»

«Il genio femminile è una ricchezza per la società e anche per la Chiesa, ma molto spesso si ha paura del diverso; ciò che è diverso rappresenta per molti non tanto una ricchezza ma una minaccia», sostiene suor Viviana Ballarin O.P., presidente dell’Usmi, da cui dipendono tutti gli ordini religiosi femminili italiani, per un totale di oltre settantamila suore.
«Allora si affidano alle donne, anche plurititolate, servizi e ruoli secondari ed esecutivi», continua suor Viviana, notando come in molti organismi ecclesiastici tante donne svolgano mansioni non adeguate ai loro studi e preparazione.
«È ancora piuttosto raro che vengano affidati nella Chiesa alle donne ruoli a più ampio respiro, intendo dire di responsabilità, di decisionalità. È abbastanza raro che possano sedere ai tavoli dove si pensa o si programma. Quando nelle culture, nelle società e anche nella Chiesa non viene rispettato il progetto creazionale si cade o nel maschilismo o nel femminismo o altro. Gli ismi dicono sempre qualcosa di negativo».
Il problema è di un influsso culturale che «condiziona anche la Chiesa degli uomini. Ma non la Chiesa di Cristo. Gesù, infatti, nella vita terrena ha dato esempi meravigliosi di rottura con leggi molto sfavorevoli nei confronti delle donne».

A Franca Giansoldati («Il Messaggero») che le chiede se vorrebbe il sacerdozio femminile, risponde no: «Come donna mi sento pienamente realizzata sia nella mia identità che nella mia missione. Ciò che conta veramente per ogni donna è vivere quella diaconia e quel sacerdozio che sono stati impressi nella sua carne come fuoco il giorno in cui Dio l’ha voluta femmina e non maschio».

 
Osservatore Romano 31 maggio 2012



[SM=g1740757]

«Fanciulla, io ti dico alzati»

Inchiesta tra le suore che salvano le nuove schiave

 


«“Perché fate tanto strepito e piangete? La bambina non è morta, ma dorme”. Ed essi lo deridevano. Ma egli (...) presa la mano della bambina, le disse: Talità kum, che significa: “Fanciulla, io ti dico, alzati!”. Subito la fanciulla si alzò e si mise a camminare» (Marco, 5, 39-42).

Anna è una contadina armena di famiglia poverissima. Un giorno incontra una donna che le sembra buona e affidabile e che le promette un lavoro come governante in una casa turca a seicento dollari al mese. Accetta ed è felice di poter finalmente risollevare la sua famiglia dalla povertà. Si ritrova costretta a fare per un anno la prostituta.
Elena è una giovane donna albanese. Lei un lavoro ce l’ha, ma lo lascia per seguire il fidanzato in Gran Bretagna. Si sveglia in un appartamento sconosciuto, durante la notte è stata drogata, il suo corpo è diventato blu per le violenze subite. Da quel momento diventa una schiava.
Vivian è thailandese, pensa di andare a lavorare in un centro massaggi ad Amsterdam ma chi la accoglie all’aeroporto le toglie soldi e passaporto e la costringe a stare in un bordello.
Nadia è ucraina, anche lei ha bisogno di un lavoro e accetta l’invito di un amico di famiglia che le promette un’occupazione in Belgio. Si ritrova chiusa in un appartamento per quattro settimane costretta a soddisfare trenta clienti al giorno.

Di storie come queste se ne potrebbero raccontare centinaia di migliaia anzi, stando ai dati, addirittura milioni, tutte diverse, ma anche tutte uguali. Donne povere, che devono pagare dei debiti, che vogliono un futuro, che si affidano o vengono affidate dalla famiglia ad altre donne o ad amici che le vendono come schiave. I giornali australiani hanno raccontato di un fiorente commercio di donne coreane vendute in Australia. Prezzo quindicimila dollari. E, malgrado il controllo delle autorità, il traffico risulta fiorentissimo fra la Corea del Nord e la Cina.
La mancanza di donne in alcune regioni cinesi, conseguenza della politica del figlio unico, ha creato un vero è proprio business. Giovani costrette ad attraversare il confine, vendute e rapite, a disposizione di chi le vuole comperare. Il traffico ha una dimensione planetaria. Per fare un esempio di schiave ne arrivano da 14.000 a 17.000 all’anno solo negli Stati Uniti. E se anche i numeri spesso rimangono imprecisi comunque indicano un’enormità del fenomeno e una sua diffusione che attraversa gli oceani e invade l’intero pianeta.

È di circa due milioni l’anno l’incremento del traffico degli “schiavi” del lavoro e del sesso. Questi ultimi sono circa 600.000. Secondo l’Oim (Organizzazione internazionale delle migrazioni), ci sono addirittura almeno tre milioni di esseri «reclutati o costretti a spostamenti attraverso l’inganno o la coercizione allo scopo di sfruttarne il corpo o parti di esso». L’ottanta per cento del mercato è costituito da donne. Sono loro le schiave del nuovo millennio e il fenomeno è in costante aumento, avvertono al Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti.
È un commercio fiorente che rende e che è arrivato a circa quaranta miliardi di dollari l’anno, un affare criminale inferiore solo a quelli della droga e delle armi.

A partire da queste storie e da questi numeri è nata Talità Kum (“fanciulla, alzati”) la rete che collega nel mondo più di 4.000 suore presenti in 82 paesi. In Italia sono circa trecento le religiose che svolgono questo lavoro difficile e delicato: combattere la tratta e la schiavitù. Liberare le donne e restituirle alla propria vita.
C’erano già alcune associazioni impegnate in questo difficile compito. Laiche e religiose. Ma ora proprio le religiose hanno creato questa rete per dare più forza e organizzazione a un lavoro che svolgono da anni. Talità Kum è stata proposta e approvata dal Congresso organizzato dall’Unione internazionale delle superiore generali (Uisg, che riunisce le superiore di 1.900 congregazioni femminili) e dall’Oim (struttura intergovernativa cui aderiscono 125 Stati), tenuto a Roma qualche anno fa. Il suo nome ha un profondo significato simbolico. È l’invito che Gesù rivolge alla giovane figlia di Giairo che tutti credono morta e che, invece, ascoltando le sue parole, si alza e cammina. Le religiose di Talità Kum ripetono quell’invito alle ragazze rese schiave e costrette alla prostituzione in tutti i Paesi del mondo. Il loro lavoro è quasi impossibile. Perché, certo, il fenomeno è stato monitorato, esaminato e studiato.
Ma poi tocca a loro andare avanti, agire concretamente, cercare le ragazze rese schiave. Ed è difficile individuarle perché hanno paura, è difficile avvicinarle, conquistare la loro fiducia, parlare, convincerle a superare il terrore dei loro aguzzini, garantire la loro incolumità. Ma lo fanno e il loro lavoro è oramai universalmente riconosciuto. In una intervista alla Radio vaticana il cardinale Vegliò, presidente del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti, dopo aver ricordato gli sforzi fatti dalle Chiese locali, le dichiarazioni, le lettere pastorali ha affermato: «Nel mondo le più attive in questo ambito sono le congregazioni internazionali di religiose».

Suor Rita è un’orsolina e fa questo “lavoro" da 17 anni a Caserta, in un centro di accoglienza chiamato Casa Ruth. Il giorno dell’inizio lo ricorda perfettamente. Era l’8 marzo 1997. «Con due volontarie andai sulla strada dove sapevo c’erano queste ragazze per portare loro un fiore. No, non era una mimosa, era una piccola piantina di primule, un messaggio vitale, con il quale volevamo segnalare la nostra vicinanza. Hanno capito e ci hanno chiesto di incontrarci. Abbiamo visto i segni della tortura, i tagli sul loro corpo e la paura. Ne avevano tanta. Erano schiave. Come donna e come consacrata non ho potuto tirarmi indietro.
Abbiamo fatto spazio nella nostra comunità e abbiamo accolto la prima ragazza.
Si chiamava Vera, era polacca. Aveva sul corpo e sulla testa le ferite e i segni della violenza. Poi ne sono venute altre e la nostra struttura è diventata più grande. Oggi abbiamo tre appartamenti nel centro di Caserta».

Suor Rita è orgogliosa di ciò che ha fatto. È stato difficile avvicinarsi a donne di cui non si conosceva la lingua, ragazze venute dall’Est Europa o dall’Africa a cui ripeteva insistentemente due parole: I sister, sperando che il messaggio fosse compreso. C’è riuscita in una lotta continua, con momenti di gioia e momenti di sconforto. «È stato duro soprattutto con le ragazze che vengono dall’Est europeo. Sono venute a riprendersele, ma loro sono scappate di nuovo e sono tornate da noi».

Schiave. La religiosa usa continuamente questo termine. E può sembrare una parola antica, esagerata. Nel mondo moderno si parla di povertà, emarginazione, esclusione dai diritti. Per le donne si parla di prostituzione, di vendita coatta del proprio corpo. La schiavitù è persino inimmaginabile. Al Pontificio Consiglio per i Migranti e gli Itineranti ci tengono molto a fare subito una distinzione. «Quando parliamo di tratta e di schiavitù per sfruttamento sessuale — precisa Francesca Donà, officiale del settore rifugiati del dicastero — non parliamo di prostituzione, ma di donne che sono state prostituite. Le donne di cui si occupano le religiose sono state sequestrate, violentate, assoggettate, minacciate».

In poche parole mentre nella prostituzione può esserci qualche volta condivisione o complicità, a volte anche libera scelta, le religiose si trovano di fronte a donne costrette con la forza a vedere il proprio corpo. Padre Frans Thoolen, responsabile del settore rifugiati, parla di vere e proprie organizzazioni criminali e di varia natura. «Possono essere a livello micro o livello macro. Nel primo caso si tratta di criminali che agiscono singolarmente o in piccoli gruppi, nel secondo caso di grandi organizzazioni internazionali con emissari locali. Le donne vengono in genere prelevate con l’inganno dall’Africa, dall’Asia, dall’America latina e dirottate verso l’Europa o il nord America. Ma spesso il traffico è anche locale. Si svolge nello stesso Paese o fra Paesi vicini o fra città e città».

Si è quindi ritornati alla vecchia schiavitù?
Qualche anno fa, al congresso di Nairobi «Verso una migliore pastorale per i migranti e i rifugiati in Africa all’alba del terzo millennio», l’arcivescovo Novatus Rugambwa, già sottosegretario del Pontificio Consiglio per i Migranti e gli Itineranti, ora nunzio apostolico in Angola, ha precisato: «Chiamiamo oggi questo fenomeno moderna schiavitù, tuttavia c’è una differenza fra questa e l’antica forma di schiavitù. Quest’ultima era legata alla proprietà di un altro essere umano, la schiavitù moderna è legata allo sfruttamento e alla privazione totale del controllo di un essere umano sulla propria vita».

  Ritanna Armeni
Osservatore Romano 31 maggio 2012

**********************************

Segnaliamo, naturalmente, che esiste anche una schiavitù al maschile, specialmente bambini venduti come schiavi o costretti a diventare soldati.... imbracciare fucili, armi, e ad uccidere....
segnaliamo anche la schiavitù dei cristiani quando le donne vengono violentate e gli uomini mutilati e torturati prima di essere uccisi... Un  caso  emblematico è  quello  di  Giuseppe,  cristiano  sudanese  la  cui  triste  storia  è  stata  denunciata due anni fa dalla Lega italiana dei diritti dell’uomo. Catturato dai predoni musulmani del  Nord nel suo villaggio a sette anni, fu venduto come schiavo (come migliaia di donne e bambini  cristiani)  a  un  padrone  musulmano  il  quale  un  giorno,  irritato,  l’ha  torturato  e  crocifisso  a  un  tavolaccio  di  legno. Così come di catechisti mutilati e sacerdoti ai quali vengono tagliate le mani perchè non possano più celebrare l'Eucaristia.... ma in questi casi è la schiavitù del mondo che li uccide nella loro scelta alla vera libertà.... mentre i casi qui trattati nell'argomento, riguardano le donne schiave o del femminismo, e quindi di una ideologia, o rese schiave dall'erotismo del mondo....


[SM=g1740771]

[Modificato da Caterina63 11/08/2012 15:22]
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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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[SM=g1740733] La Visitazione....

Due donne incinte che si incontrano e si abbracciano. Sono da sempre il simbolo dell’aiuto reciproco fra donne nel momento topico femminile, il parto. Ma anche di un momento fondamentale nella storia dell’Incarnazione: è una donna, Elisabetta, la prima a riconoscere in Maria la madre del Messia. E a insegnarci le parole con cui rivolgerci a lei. Per questo l’immagine della Visitazione da secoli è l’icona del rapporto fra donne nella cultura cristiana: aiuto e riconoscimento reciproco sono il messaggio che ancora oggi ci suggerisce.




[SM=g1740757] [SM=g1740750] [SM=g1740752]

Le uniche a non abbandonarlo

Portatrici di aromi per scongiurare le tenebre

Quando nella Settimana santa ascoltiamo il racconto della passione di Cristo, della sua crocifissione e morte, ci colpisce sempre un particolare: la fedeltà a Lui di pochi seguaci, prevalentemente donne, di cui nel Vangelo non si dice quasi nient’altro. I discepoli di Cristo erano fuggiti tutti, abbandonandolo. Giuda l’aveva tradito. Pietro aveva abiurato per tre volte.

Intere folle avevano seguito Cristo durante la sua predicazione. Tutti si attendevano da lui qualcosa: si attendevano aiuto, miracoli, guarigioni, si attendevano la liberazione dall’odiato giogo romano, il riassetto dei propri affari terreni. Il senso del suo insegnamento — la predicazione del sacrificio di sé, dell’amore, di una dedizione senza riserve — tutte Cima da Conegliano, «Lamentazioni sul corpo di Cristo con santi carmelitani» (XV-XVI secolo)queste innumerevoli persone non lo capivano bene, e non ci facevano neppure molto caso. Cristo poteva aiutarle, e loro si rivolgevano a lui e lo seguivano.

Ma poi crebbe nei suoi confronti l’odio dei capi del popolo e dei potenti. Nella predicazione di Cristo, incentrata sull’amore, cominciarono a echeggiare predizioni sul fatto che ora Lui stesso si sarebbe immolato per amore. E la folla cominciò a diradarsi, a dissolversi. Per l’ultima volta la gloria terrena, il successo umano di Cristo conobbero una vivida fiammata nel giorno del suo ingresso trionfale a Gerusalemme, quando, come dice il Vangelo, «tutta la città fu presa da agitazione» (Matteo 21, 10). Ma fu solo un istante. E, del resto, la gente non accolse con tanta esultanza e solennità Cristo perché ancora una volta si attendeva da Lui, voleva da Lui un regno terreno, una vittoria terrena, di forza e gloria?

Tutto questo finì subito. La luce si spense, e alla Domenica delle palme seguirono il buio, la solitudine e la disperata tristezza della Settimana di passione. In questi ultimi giorni la cosa più terribile fu probabilmente il tradimento dei suoi, dei discepoli, di coloro a cui Cristo si era donato interamente. Nell’orto del Getsemani perfino i tre più intimi non seppero resistere e si addormentarono, mentre Gesù negli spasimi, inondato di sudore di sangue, si preparava a una morte orribile. Sappiamo che Pietro, sebbene avesse protestato con veemenza che sarebbe morto insieme a Cristo, all’ultimo momento tremò, venne meno, abiurò, tradì… «E allora — scrive l’evangelista — tutti i suoi discepoli lo abbandonarono e fuggirono» (Matteo 26, 56).

In realtà, non tutti fuggirono. Ai piedi della croce sopraggiunge l’ora della fedeltà umana, dell’amore umano. Quelle che nel momento del “successo” sembravano tanto lontani, che noi quasi non incontriamo nelle pagine del Vangelo, quelle a cui, secondo le parole dell’Evangelista, Cristo non aveva parlato della sua resurrezione e per le quali, dunque, in questa notte ai piedi della Croce tutto era finito, irrimediabilmente perduto, ebbene costoro gli rimasero fedeli, riaffermarono il proprio amore umano. Scrive san Giovanni: «Stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre, Maria madre di Cleopa e Maria di Magdala» (Giovanni 19, 25).

Poi, dopo la morte di Gesù, «venuta la sera, giunse un uomo ricco, di Arimatea, chiamato Giuseppe; anche lui era diventato discepolo di Gesù. Questi si presentò a Pilato e chiese il corpo di Gesù. Pilato allora ordinò che gli fosse consegnato. Giuseppe prese il corpo, lo avvolse in un lenzuolo pulito e lo depose nel suo sepolcro nuovo, che si era fatto scavare nella roccia; rotolata poi una grande pietra all’entrata del sepolcro, se ne andò» (Matteo 27, 57-60). Trascorso il sabato, all’alba del terzo giorno le medesime donne si recarono al sepolcro per imbalsamare il cadavere con aromi, secondo la consuetudine. E proprio a esse, per la prima volta, apparve Cristo risorto, esse per prime udirono da Lui il «Salute a voi!» che sarebbe poi divenuto l’essenza della forza cristiana.

A queste persone, a queste donne Cristo non aveva svelato, come aveva fatto con i dodici apostoli che si era scelto, i misteri del futuro. Esse non conoscevano né il senso della sua morte, né i misteri della futura vittoria, della futura resurrezione. Per loro la morte del maestro e dell’amico era la morte, la fine, e una morte orribile, oltraggiosa, un’orribile fine, uno strappo. Rimasero ai piedi della croce solo perché amavano Gesù, lo amavano e ne avevano pietà. Non abbandonarono questo povero corpo martoriato, ma compirono tutto quello che da sempre compie l’amore nell’ultimo distacco. Coloro a cui Cristo aveva chiesto di rimanere con Lui nell’ora della terribile lotta, quando, come dice il Vangelo, «cominciò a provare tristezza e angoscia» (Matteo 26, 37), lo abbandonarono, fuggirono, abiurarono.

Invece, quelli a cui non aveva chiesto niente, rimasero fedeli al proprio semplice amore umano. «Maria stava vicino al sepolcro e piangeva». Così per l’eternità piange l’amore, come Cristo stesso aveva pianto al sepolcro del suo amico Lazzaro. Ed è proprio questo amore a venire a sapere per primo della vittoria. A questo amore, a questa fedeltà per primi viene concesso di sapere che non bisogna più piangere, che la «morte è stata inghiottita dalla vittoria», e che non esiste, non esisterà mai più questo disperante distacco.

È qui il senso dell’episodio delle mirofore al sepolcro. Esso ci ricorda che l’amore e la fedeltà rifulsero, unici, in questa oscurità senza fondo. Ci chiama a far sì che l’amore e la fedeltà non muoiano, non soccombano nel mondo. È un giudizio sulla nostra pusillanimità, sulla nostra paura, sul nostro perpetuo e servile tentativo di giustificarci. I pressoché sconosciuti Giuseppe e Nicodemo, oppure queste donne che all’alba si recarono al sepolcro occupano così poco posto nel Vangelo. Eppure proprio qui si decide il destino eterno di ciascuno di noi.

Io penso che ai nostri giorni abbiamo un bisogno particolare di far memoria di questo amore e della semplice fedeltà umana. È venuto infatti il tempo in cui anche queste esperienze vengono dissacrate dalla falsa dottrina sull’uomo e sulla vita umana che impera nel mondo. Nei secoli, sia pur fievolmente, ha continuato a splendere e a brillare nel mondo un riflesso della fedeltà, dell’amore, della compassione che silenziosamente erano presenti al cospetto della passione di quell’Uomo, abbandonato da tutti. E noi dobbiamo aggrapparci come a un’ancora di salvezza a tutto ciò che nel nostro mondo ancora vive del calore, della luce di questo semplice, concreto amore umano. L’amore non chiede all’uomo teorie o ideologie, si rivolge al suo cuore e alla sua anima.

Romba la storia umana, nascono e crollano i regni, la cultura si evolve, ribollono guerre sanguinose, ma sempre, immutabilmente sulla terra, nella nostra torbida, tragica storia risplende la figura femminile, simbolo di sollecitudine, dedizione, amore, compassione. Senza questa presenza, senza questa luce, il nostro mondo sarebbe solo un mondo orribile, nonostante tutte le sue riuscite e conquiste. Si può dire, senza tema di esagerazione, che è stata, che è la donna a salvare l’umanità dell’uomo, e non attraverso parole, idee, ma proprio con questa sua presenza silenziosa, sollecita, amorosa.

E se, nonostante tutto il male imperante nel mondo, non viene meno la misteriosa festa della vita, se essa si celebra con altrettanta gioia in una povera stanza, a un misero desco come in un palazzo, la gioia e la luce di questa festa sono racchiuse in essa, nella donna, nel suo amore e nella sua fedeltà inesauribili. «Non hanno più vino». Finché c’è lei — madre, sposa, amata — ci sarà sempre vino, amore, ci sarà luce per tutti.

Aleksandr Šmeman nasce a Revel’ in Estonia il 13 settembre 1921. A otto anni emigra con la famiglia a Parigi, dove trascorre la giovinezza negli ambienti dell’emigrazione russa. Compie studi teologici e nel 1943 si sposa con Uljana Ossorgina’ga. Tre anni dopo è ordinato sacerdote ortodosso. Nel 1951 emigra a New York, dove insegna teologia al Seminario ortodosso di San Vladimir. Divenuto un’autorità soprattutto per la sua teologia eucaristica, mantiene in sé le profonde radici spirituali dell’oriente ortodosso, lo sradicamento dell’emigrato e la capacità di adattamento a ogni nuova situazione. La sua fede si è sviluppata e arricchita fra queste contraddizioni. Per trent’anni ha tenuto regolari programmi sulla liturgia e le Scritture per Radio Liberty, che trasmetteva in lingua russa per i Paesi oltrecortina. È morto a New York il 13 dicembre 1983. Le trasmissioni di padre Aleksandr Šmeman su Pasqua, mirofore, incredulità di Tommaso e ascensione sono uscite in versione integrale sulla rivista «La Nuova Europa» (n. 4, 2012).

  Aleksandr Šmeman


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30/05/2013 22:48
 
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ECCO COME IL CRISTIANESIMO HA RIDATO DIGNITA' ALLE DONNE VIOLENTATE
Sant'Agostino invitò le donne a non sentirsi colpevoli imponendo alla cultura di allora questa innovativa distinzione: ''Strano a dirsi, erano due (violentatore e violentata) e uno solo commise adulterio''

di Francesco Agnoli

Eva Cantarella è una rinomata studiosa del mondo greco e romano, autrice, tra l'altro, de "L'ambiguo malanno", in cui viene affrontata, come recita il sottotitolo, la "condizione e immagine della donna nell'antichità greca e romana". In questo testo risulta chiara la condizione di profonda inferiorità della donna nel mondo pre-cristiano. Basti pensare alla visione di Platone e di molti greci, secondo cui "il rapporto omosessuale è quello nel quale l'uomo greco esprime la sua parte superiore, la sua intelligenza, la sua affettività al livello più alto".

L'omosessualità greca, spiega la studiosa, fu "il fatto culturale che rafforzò la marginalizzazione delle donne e la loro reclusione nella sfera della famiglia. Per l'uomo greco, che viveva il rapporto omosessuale come il luogo privilegiato delle scambio di esperienza e che in esso trovava risposta alle sue esigenze più alte, considerare la donna come adibita ad un compito esclusivamente biologico, fu estremamente facile". Si può immaginare una forma di misoginia più evidente del ritenere che l'unico vero rapporto "nobile ed educativo", per un uomo, sia quello con un altro uomo?

Cantarella continua ricordando che i greci "consideravano lecita la prostituzione femminile, mentre punivano come reato quella maschile". Nelle ultime pagine dedica invece brevi considerazioni all'avvento del cristianesimo. Benché riconosca che la "predicazione di Cristo agì in profondità, portando innovazioni radicali nel rapporto tra i sessi", soprattutto con l'introduzione del "matrimonio monogamico ed indissolubile", cioè paritario, e, per la prima volta, libero, l'autrice non si stacca del tutto, in queste pagine, da una certa vulgata che ha sempre svilito il Medioevo.

In questo modo, però, finisce per lasciare inspiegato il fatto che mentre le donne, nel mondo antico, non fanno storia, dall'avvento del cristianesimo in poi, divengono decisive in mille ambiti della società, non ultimo quello del potere.

Ci viene allora in soccorso uno dei più migliori medievisti italiani, Lodovico Gatto, con il suo "Le grandi donne del medioevo": 500 pagine di ritratti di affascinanti figure di regine, di religiose, di intellettuali, in generale di donne, del Medioevo cristiano. Figure trascurate da una storiografia, spiega Gatto, troppo influenzata dai clichè femministi e dalle semplificazioni manichee di certe visioni pigre o ideologiche. In verità, proprio la media aetas è stato "il primo periodo storico" in cui le donne, come molti uomini, hanno vissuto una nuova "emancipazione culturale e pure sociale", innescata dalla visione cristiana di Dio e dell'uomo.
Non bisogna dimenticare, infatti, che il culto di Maria, madre di Dio, nobilitò il genere femminile intero, mentre "a chi ricorda che accanto alla madre di Dio campeggiò allora l'immagine di Eva, la peccatrice, va risposto che l'essenza del cristianesimo sta proprio nello spirito di redenzione che ne costituisce la base; ed Eva, quindi, fu intesa più come un pericolo da evitare che come una macchia indelebile e causa di eterna dannazione" (pericolo che Eva stessa evitò, se è vero che la Chiesa la ha sempre annoverata tra i salvati).


Come la Cantarella, anche Gatto non può non sottolineare che la visione biblica e l'opera della Chiesa agirono soprattutto nel conferire all'uomo e alla donna pari dignità "nel vincolo matrimoniale e nella vita familiare". In effetti non ci si pensa abbastanza, ma la lotta al divorzio altro non fu, in termini sociali, che l'emancipazione della donna dalla spada di Damocle del ripudio, cui nel mondo antico era molto spesso sottoposta, mentre la condanna dell'aborto favorì un maggior rispetto della donna, perché rese anche il maschio responsabile di ogni gravidanza e di ogni vita, e limitò fortemente un motivo di alta mortalità femminile.

Per concludere farei due esempi, tra i tanti possibili, di cosa significò il cristianesimo per le donne, soffermandomi sulla purezza, virtù eminentemente cristiana. Il primo: la Chiesa, lungi dal favorire la prostituzione femminile, "sacra" o meno che fosse, propria di tante religioni e società antiche, la condannò come dissacrazione della donna.

Usando, nello stesso tempo, verso le prostitute, la stessa benevolenza di Cristo, che aveva salvato la adultera dalla lapidazione.
Accanto all'adulterio femminile, poi, condannò, parimenti, quello maschile, minando così l'idea secolare per cui l'uomo, in campo sessuale, gode di ampie "libertà". Il secondo esempio: in molte culture non cristiane, come ricorda Marzio Barbagli nel suo "Congedarsi dal mondo", la donna violentata è spesso considerata in qualche modo colpevole anch'essa: "nell'antica Roma non si faceva alcuna distinzione fra adulterio (femminile) e stupro, perché si riteneva che questo rapporto avesse sempre e comunque un effetto contaminante sulla donna sposata, sia che fosse consensuale sia che fosse dovuto ad un atto violento". Di qui l'esistenza, ancora oggi, in certe culture, della lapidazione per donne violentate (si ricordi il caso recente della nigeriana Safiya); di qui l'usanza di molte donne "disonorate", dall'antica Roma alla Cina, antica e contemporanea, di suicidarsi.

Fu sant'Agostino, nel solco della dottrina cattolica, a condannare tale consuetudine, negando che lo stupro "facesse perdere l'onore a una donna e dunque la riempisse di vergogna". Per Agostino infatti "se una donna subiva violenza, poteva perdere l'integrità del suo corpo, la sua verginità, non la sua castità"!
Per questo invitò le donne a non sentirsi affatto colpevoli, imponendo con la sua autorità, nella cultura di allora, questa innovativa distinzione: "Strano a dirsi, erano due (violentatore e violentata, ndr) e uno solo commise adulterio".

 
Fonte: Libertà e persona, 23/04/2012
Pubblicato su BastaBugie n. 249





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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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25/01/2014 14:07
 
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 Dalla sua intuizione si arriverà, negli anni successivi, a utilizzare la chemioterapia per debellare o almeno curare una malattia mortale come il cancro o conoscere in modo più appropriato malattie come l'Aids. 

E un libro dal titolo The Soul of Dna: 
the true story of a catholic sister and her role in the greatest scientific discovery of the twentieth century («L'anima del Dna: la vera storia di una suora cattolica e il suo ruolo nella più grande scoperta del XX secolo», Lumina Press, pagine 164) a firma del discepolo della Stimson, lo statunitense di origini giapponesi Jun Tsuji e ricercatore di genetica alla Siena Height University, l'ateneo che ebbe per più di 30 anni la religiosa domenicana come docente, ha tentato di risarcire il contributo di questa donna nella scoperta scientifica più importante del secolo passato. «La grandezza della Stimson - racconta l'autore - è stata quella di imporsi come donna e come suora cattolica in una comunità scientifica, quella degli anni 50 fortemente dominata dai maschi e da un establishment, che comprendeva uomini del calibro di James Waston e Francis Crick. Suor Miriam fu una delle prime scienziate a testare il modello della doppia elica del Dna. Il suo metodo e la sua via chimica al Dna è ancora attuale oggi».

Pio XII ne fu entusiasta da dare il permesso alla Suora di occuparsi dei suoi studi scientifici.

Il volume è il frutto di più di 10 incontri con la scienziata e religiosa ma anche vuole essere un corollario di aneddoti e di racconti sul difficile ingresso della Stimson nella comunità scientifica Usa degli anni '50. 

Il libro, non a caso, ripercorre tutti gli aspetti dalla vita di suor Miriam dalla precoce vocazione religiosa all'innata passione per la chimica alla destrezza nel maneggiare il galvanometro in laboratorio, al suo rapporto molto severo ma anche di «grande fascino per la sua saggezza» che aveva con gli allievi, alla «grande fatica» che farà la giovane professoressa di liceo del Michigan, poi divenuta docente universitaria, per ottenere i fondi per la sua ricerca sul Dna grazie ad istituzioni come la National Cancer Institute o l'American cancer society. 

Ma a introdurre la Stimson alla ricerca scientifica e a spalancare la strada sullo studio della natura chimica dei cromosomi sarà uno dei suoi maestri George Sperti e poi, già negli anni della ribalta accademica, Erwin Chargaff, uno dei chimici collaboratori di Waston e Crick. Il 1945 è un anno importante per la Stimson perché pubblicherà, per la prima volta, sulla rivista Nature la sua ricerca sui raggi ultravioletti, il suo studio sulla cromatografia (paper cromatography) e sull'origine del cancro nelle cellule. Finalmente nel 1948 ottiene il dottorato in chimica. Da quella data si susseguiranno con una certa continuità le sue pubblicazioni su riviste prestigiose come il Journal of the american chemical society. Vera porta d'ingresso nella comunità scientifica sarà la sua scoperta sul Dna nei primi anni 50: la sperimentazione della spettroscopia a raggi infrarossi e la tecnica di una soluzione di potassio e di bromuro attraverso l'utilizzo di una speciale pressa. «La cosa sorprendente - confida nel libro suor Stimson - era la cortina di diffidenza e di ironica leggerezza che si nutriva nei miei confronti da parte della comunità scientifica internazionale solo perché ero una donna e per di più una suora cattolica e quindi incapace a trattare temi così difficili». [SM=g1740733]

Ma da quella scoperta e dalla fatica di tanti anni di studio arriveranno i primi attestati accademici: dalla sua lezione nel 1951, seconda donna dopo il Nobel madame Marie Curie, alla Sorbona di Parigi al riconoscimento ufficiale della sua ricerca come cura per il cancro da parte del Chester Beatty Institute of Cancer research di Londra. «Una donna genuina e mite - scrive l'autore nelle pagine conclusive del libro - che attraverso la sua fede e la sua devozione alla ricerca è riuscita a entrare nel labirinto del Dna e a fare centro: a capire che nella via chimica, quella del bromuro di potassio, vi era la soluzione del problema».







    Il Papa: più spazio per la donna nella Chiesa e nella società, insostituibile suo ruolo nella famiglia

2014-01-25 Radio Vaticana

Si accresca la presenza femminile nella sfera pubblica, mantenendo il ruolo imprescindibile della donna nella famiglia. E’ quanto sottolineato da Papa Francesco nell’udienza al Cif, il Centro italiano femminile, in occasione del 70.mo anniversario di fondazione. Il Papa ha, inoltre, auspicato che si espandano gli spazzi di responsabilità delle donne in ambito ecclesiale e civile. Il servizio di Alessandro Gisotti:

La Chiesa riconosce “la forza morale” e “la forza spirituale” della donna. Papa Francesco ha iniziato il suo discorso al Cif ribadendo quanto affermato dal Concilio Vaticano II e ribadito poi con forza da Giovanni Paolo II nella Mulieris Dignitatem. Il Pontefice ha rilevato che negli ultimi decenni il ruolo della donna, tanto nella famiglia quanto nella società, ha “conosciuto mutamenti notevoli”. Ed ha ribadito, come già in altre occasioni, “l’indispensabile apporto della donna nella società”, specie con la “sua sensibilità” verso i più deboli:
“Mi sono rallegrato nel vedere molte donne condividere alcune responsabilità pastorali con i sacerdoti nell’accompagnamento di persone, famiglie e gruppi, come nella riflessione teologica; ed ho auspicato che si allarghino gli spazi per una presenza femminile più capillare ed incisiva nella Chiesa”.

Il Papa ha auspicato che per le donne possano “ulteriormente espandersi” questi “nuovi spazi e responsabilità che si sono aperti”, “nell’ambito ecclesiale quanto in quello civile e delle professioni”. E tuttavia, ha soggiunto, non si può “dimenticare il ruolo insostituibile della donna nella famiglia”:
“Le doti di delicatezza, peculiare sensibilità e tenerezza, di cui è ricco l’animo femminile, rappresentano non solo una genuina forza per la vita delle famiglie, per l’irradiazione di un clima di serenità e di armonia, ma una realtà senza la quale la vocazione umana sarebbe irrealizzabile”.

“Se nel mondo del lavoro e nella sfera pubblica è importante l’apporto più incisivo del genio femminile – ha proseguito – tale apporto rimane imprescindibile nell’ambito della famiglia”. Questo, infatti, ha precisato, “per noi cristiani non è semplicemente un luogo privato, ma quellaChiesa domestica, la cui salute e prosperità è condizione per la salute e prosperità della Chiesa e della società stessa”:
“Pensiamo alla Madonna... La Madonna nella Chiesa crea qualcosa che non possono creare i preti, i vescovi e i Papi. E’ lei il genio femminile proprio, no? E pensiamo alla Madonna nelle famiglie... A cosa fa la Madonna in una famiglia. La presenza della donna nell’ambito domestico si rivela quanto mai necessaria, dunque, per la trasmissione alle generazioni future di solidi principi morali e per la stessa trasmissione della fede”.

“Come è possibile – si chiede dunque il Papa – crescere nella presenza efficace in tanti ambiti della sfera pubblica, nel mondo del lavoro” laddove sono “adottate le decisioni più importanti, e al tempo stesso mantenere” un’attenzione “preferenziale e del tutto speciale nella e per la famiglia?”. E qui, è stata la sua riflessione, “è il campo del discernimento che, oltre alla riflessione sulla realtà della donna nella società, presuppone la preghiera assidua e perseverante”:
“E’ nel dialogo con Dio, illuminato dalla sua Parola, irrigato dalla grazia dei Sacramenti, che la donna cristiana cerca sempre nuovamente di rispondere alla chiamata del Signore, nel concreto della sua condizione”.
In questo impegno, ha concluso il Papa, la presenza materna di Maria “vi indichi la strada da percorrere per approfondire il significato e il ruolo della donna nella società e per essere pienamente fedeli al Signore”.








[Modificato da Caterina63 25/01/2014 14:10]
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  Una donna al top in Vaticano. Ma nelle nomine dei vescovi non deve metter becco

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luzia

Papa Francesco ha nominato ieri nuovi membri della congregazione per l’evangelizzazione dei popoli. Tra essi ci sono dei cardinali, dei vescovi, alcuni religiosi e una suora, la superiora delle missionarie comboniane, la brasiliana Luzia Premoli.

E questa è una novità.

Lo fa notare “Avvenire” spiegando che pur essendo prassi di questo dicastero annoverare tra i suoi membri anche superiori generali di ordini religiosi, è la prima volta che ad esser nominata è la superiora di un istituto femminile.

Così, con papa Francesco, per la prima volta una donna diventa membro di un ministero di prima fascia della curia romana, cioè di una congregazione.

Neanche la congregazione per i religiosi, che pure ha tra i suoi membri dei superiori religiosi, ha mai avuto tra essi delle donne, ma sempre e solo superiori di ordini esclusivamente maschili. Va comunque detto che in questa congregazione una presenza femminile c’è, quella di Nicla Spezzati delle suore adoratrici del Sangue di Cristo, nel ruolo di sottosegretaria. Così come vi sono da tempo religiose e laiche tra i membri di alcuni pontifici consigli: quelli dei laici, della famiglia, di Cor Unum, di giustizia e pace.

“Propaganda Fide” è uno dei dicasteri più importanti della curia romana, avendo vaste competenze su tutti i territori di missione.

Spetta a questa congregazione, infatti, istruire le pratiche per la nomina degli ordinari di oltre mille circoscrizioni ecclesiastiche sparse nel mondo: circa il 40 per cento di tutte quelle della Chiesa cattolica.

Sono i membri del dicastero quindi a valutare le “ponenze” riguardanti i candidati vescovi di quasi tutta l’Africa e l’Asia, dell’Oceania tranne l’Australia e di alcune zone delle Americhe come l’Amazzonia e l’Alaska.

Ma suor Luzia Premoli, al pari dei superiori religiosi maschi membri della congregazione, non potrà occuparsi di nomine episcopali.

Come ha spiegato tempo fa il cardinale prefetto di “Propaganda”, Fernando Filoni, ci sono infatti due tipi di riunioni della congregazione: la sessione ordinaria dove si trattano le nomine ecclesiastiche e quella plenaria che “traccia le linee direttrici dell’attivita missionaria da proporre poi al Santo Padre”.

Alla prima partecipano esclusivamente i membri cardinali e vescovi, mentre i superiori generali e quindi, ora, anche la superiora delle comboniane sono ammessi solo alla seconda.

Come notazione stilistica si può aggiungere che tanto suor Luzia Premoli (vedi foto) quanto suor Nicla Spezzati – che continua ad essere la donna più alta in grado in Vaticano – non usano portare sul capo il velo caratteristico delle loro rispettive congregazioni.




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   Un sacerdote risponde


Se davvero Gesù ha riconosciuto alle donne una dignità pari a quella degli uomini, perché non si è spinto fino ad affidare anche a loro il ministero apostolico?


Quesito


Caro Padre Angelo, 
sono un insegnante di religione cattolica nella scuola media. Nei giorni scorsi ho spiegato agli alunni di una classe terza che Gesù ha rivoluzionato il modo antico, ebraico e non, di rapportarsi con le donne. Un’alunna mi ha posto una domanda di questo tenore: «Se davvero Gesù ha riconosciuto alle donne una dignità pari a quella degli uomini, perché non si è spinto fino ad affidare anche a loro il ministero apostolico?». Le ho risposto adducendo motivazioni di carattere sociale e culturale, ma mi rendo conto, leggendo la sua risposta ad una domanda del 25 febbraio 2013 sul sacerdozio femminile, che la questione è molto più complessa. Come spiegarla ad alunni di 13-14 anni? 
Sia lodato Gesù Cristo. 
Tiziano


Risposta del sacerdote

Caro Tiziano,
1. l’esclusione delle donne dal ministero ordinato sembra metterle in secondo piano rispetto all’uomo.
Così appare a chi giudica le cose secondo l’ottica umana, che è portata a giudicare la grandezza di una persona dal potere che esercita.
Ma non è questa la vera grandezza.
La vera grandezza agli occhi di Dio è quella che dura eternamente.

2. Scegliendo solo i maschi per il ministero ordinato Gesù rimane nella logica della sua predicazione evangelica, quella secondo la quale i primi saranno gli ultimi e gli ultimi i primi.
La vera grandezza è quella esaltata da Gesù mentre sta ad osservare la gente che mette la propria offerta nel tempio: “E sedutosi di fronte al tesoro, osservava come la folla gettava monete nel tesoro. E tanti ricchi ne gettavano molte. Ma venuta una povera vedova vi gettò due spiccioli, cioè un quattrino. Allora, chiamati a sé i discepoli, disse loro: «In verità vi dico: questa vedova ha gettato nel tesoro più di tutti gli altri. Poiché tutti hanno dato del loro superfluo, essa invece, nella sua povertà, vi ha messo tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere” (Mc 12,41-44).

3. Non si legge nel Vangelo che il Signore abbia esaltato la grandezza di un uomo perché ha donato tutto quanto aveva per vivere.
Ha esaltato invece la grandezza di una povera vedova, che agli occhi del mondo era insignificante.
Ha dato due spiccioli, ma ha dato tutto.
Come non vedere in questo gesto un’esaltazione permanente della donna che di fatto quotidianamente in termini di amore e di dedizione batte di gran lunga la pigrizia e mi verrebbe da dire l’egocentrismo dei maschi?

4. Pertanto la risposta alla domanda delle tue alunne è una risposta che è ordinata a spiazzare la logica umana.
È una risposta che viene data sul piano soprannaturale, su quello della fede, che ribalta i criteri secondo cui gli uomini misurano la loro grandezza.
È una risposta provocatrice e la comprendono bene solo coloro che si mettono in questa logica, al seguito di Gesù.
Penso che sia questo il motivo per cui le numerose Sante donne della storia della Chiesa non hanno mai rivendicato questo potere. Sapevano bene che, sebbene insigniti dei poteri stessi di Cristo, si poteva finire all’inferno.
Con la grazia santificante invece avvertivano una dignità ancora più grande, quella secondo la quale il salmista ha detto: “Come sono onorificati i tuoi amici, Dio” (Sal 139,17 Vlg).

5. Insieme con tutte le altre risposte (e in  particolare Sulla possibilità di ordinare sacerdotesse  => www.amicidomenicani.it/leggi_sacerdote.php?id=1044 ) quella che ti ho presentato adesso introduce in una logica diversa da quella degli uomini, spesso così miope e anche così meschina.

Ti ricordo al Signore e ti benedico.
Padre Angelo









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Questa suora dà lezioni a Renzi: così risparmi 17 miliardi l'anno

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Questa suora dà lezioni a Renzi: così risparmi 17 miliardi l'anno

Suor Anna Monia Alfieri ha trovato la strada perché la scuola sia veramente buona. Lo ha fatto con la pazienza di una certosina, la passione di un' innamorata e la determinazione di chi sa che si sta giocando la partita della sua vita. Dopo lunghi studi, calcoli incrociati, analisi statistiche e con l' aiuto di grafici e tabelle è arrivata alla conclusione che la buona scuola non solo è possibile ma farebbe anche risparmiare allo Stato 17 miliardi di euro l' anno. Il risultato è nel libro Il diritto di apprendere (Giappichelli), scritto insieme al professore di economia e gestione aziendale Marco Grumo e alla commercialista Maria Chiara Parola. Il libro, con la prefazione del ministro dell' Istruzione Stefania Giannini, sarà presentato alla Camera il prossimo 18 dicembre.

Suor Anna Monia è esperta di politiche scolastiche, legale rappresentante dell' ente Casa religiosa Istituto di cultura e di lingue Marcelline, presidente della Fidae Lombardia e docente universitaria all' Alta scuola impresa e società della Cattolica: ci può spiegare qual è questa formula magica. Come si fa a risparmiare tanti soldi e avere anche una scuola migliore?
«Una premessa: l' Italia è l' unico paese d' Europa in cui alle famiglie è negato il diritto alla scelta educativa. Di fatto oggi chi sceglie la scuola paritaria paga due volte: la retta e le tasse. E poi ci sono famiglie che per i propri figli vorrebbero una scuola paritaria ma non possono permetterselo. Non è una questione ideologica, ma sociale».

E come si risolve questo problema secondo lei?
«Con il costo standard di sostenibilità per ogni allievo, sia della scuola statale che di quella paritaria. Oggi lo Stato spende 8mila euro l' anno solo di spese correnti per ogni alunno a prescindere dal corso di frequenza, cioè sia che si tratti di un bimbo di tre anni che di un liceale. Ma questo è illogico oltre che dispendioso. Dai nostri calcoli è emerso che il costo standard per allievo è di varie tipologie. Ad esempio per un bambino che frequenta la scuola dell' infanzia il costo è di 3.200 euro. Se le condizioni della famiglia sono disagiate sale a 4.573 euro. Ovviamente se in classe c' è un disabile la cifra aumenta. Certo è che in nessun caso si arriva agli 8mila euro che adesso spende lo Stato. Il libro è pieno di tabelle che spiegano, tenendo conto di tante variabili, quanto costa un alunno. Spero che Renzi, a cui ho mandato una copia, lo legga e si renda conto di quanto potrebbe risparmiare».

Con il costo standard di sostenibilità lo Stato farebbe quello che fa normalmente un buon amministratore?
«Sì. Spenderebbe i soldi che servono effettivamente per ciascun alunno a seconda della scuola e del corso di studi che frequenta. Altro che spending review: così risparmierebbero 17 miliardi di euro l' anno. Ci sarebbe una vera concorrenza tra scuole sotto lo sguardo dello Stato che da gestore diventerebbe garante. La qualità dell' istruzione migliorerebbe. Le famiglie potrebbero scegliere in base alle prestazioni, alla trasparenza dei bilanci e sarebbero finalmente sanate una serie di ingiustizie sociali. Questa è la battaglia della mia vita. Per questo sono disposta anche a morire».
Suor Anna Monia, lei non è una suora «facile».
«Non sono più brava, forse sono solo più folle. Nell' immaginario collettivo la suora è una persona fuori dal mondo. Io invece, come molte altre religiose, voglio starci dentro a questo mondo. Voglio sporcarmi le mani». 

Lei ha tre lauree. Giurisprudenza, teologia ed economia e commercio. Ma cosa voleva fare da grande?
«All' età di sette anni avevo detto a mia madre che volevo diventare suora. Ma la vocazione è arrivata molto più tardi.
In realtà da grande volevo fare il magistrato. I miei modelli erano, e sono ancora, Falcone e Borsellino. Sono esempi di coraggio, libertà ed etica».

Poi cosa è successo?
«Mi sono laureata e ho cominciato a fare pratica presso uno studio legale. Ma quando mi sono trovata a difendere un uomo sapendo che era colpevole, dentro di me è successo qualcosa. Sul codice penale avevo studiato che la pena è redentiva, non detentiva. Ho capito che la mia idea di giustizia si realizza su un altro piano, quello etico. La giustizia che si fa nei Tribunali a me non bastava. Da qui è nata un' altra sfida».
È diventata suora.
«Ho deciso di giocarmi la mia storia d' amore con Dio lottando nel mondo, cercando di cambiarlo. Sono una religiosa consapevole che alla base ci debba essere una laicità aperta al senso civico. E ancora agisco guardando al modello dei due magistrati siciliani. Non dico che si debba essere ammazzati, ma bisogna dare fastidio. Se non sei scomodo significa che non stai facendo bene il tuo lavoro. Penso alle parole di Falcone: "Chi tace e chi piega la testa muore ogni volta che lo fa, chi parla e cammina a testa alta muore una sola volta". Io parlo».
Lei dà molto fastidio nel mondo della scuola… «Io chiedo solo il riconoscimento di un diritto. Non è solo una questione ideologica. Molti pensano: "Sei una suora, difendi le scuole cattoliche". No, io difendo le famiglie. Anche quelle che scelgono per i figli la scuola statale. Perché con il costo standard di sostenibilità tutti avrebbero una scuola migliore. Più trasparente, più competitiva».

Ma cosa pensa della buona scuola di Renzi?
«La sua riforma ha lanciato dei buoni segnali. Ha chiuso con i precari e con l' idea della scuola come ammortizzatore sociale. Finalmente avremo docenti che vanno nelle aule dopo aver superato concorsi e dopo aver frequentato corsi di formazione, insegnanti che saranno valutati per la loro capacità. E ha finalmente introdotto la possibilità di detrarre la retta scolastica».

Lei sa tutto di scuola, quanto lavora ogni giorno?
«Dalle otto all' una di notte (tolte le due ore di preghiera)».

Si è mai pentita della sua scelta?
«Lei si è mai pentita della sua vita? Ha mai pensato di scappare dal marito, dai figli?
Sì, soprattutto quando sono stanca. Ma io non sono una suora.
«Io ho avuto delle crisi rispetto alla Chiesa, non alla scelta. Ma mi sono detta: "Puoi scendere dal palcoscenico della tua vita e giudicarlo, oppure starci sopra e sporcarti le mani per ripulirlo". Ho scelto la seconda strada. Io sono una peccatrice come gli altri».

Ha mai avuto dei fidanzati?
«Sì, da adolescente. Ma ho sempre avuto dentro un amore grandissimo che nessuno riusciva a colmare».
Suor Anna Monia, più la sento parlare più fatico ad immaginarla in un convento. La vedo benissimo nell' aula di un Tribunale.
«Non avrei potuto fare la suora di clausura. La mia vocazione mi porta nelle periferie dell' esistenza dell' uomo».

Lei quando e come esplora queste periferie?
«Quando si presenta una famiglia senza soldi che vorrebbe iscrivere i suoi figli in una scuola paritaria ma non può farlo. E allora che facciamo? La rimandiamo a casa? No, ipotechiamo i nostri immobili per dare anche a questi bambini la possibilità di studiare nella scuola che desiderano i loro genitori».

Quanto guadagna?
«Zero. Sono rappresentate legale che, in un' azienda, equivale all' amministratore delegato, con 600 dipendenti, ma non voglio togliere soldi alla cassa delle mie scuole. Non mi intessa il denaro. Mi interessa parlare e vincere la battaglia della libertà di scelta educativa delle famiglie».

Quanto manca?
«Finché vivo farò di tutto perché questo accada presto, prestissimo».

Lucia Esposito 





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  Nasce un nuovo sito di storia della Chiesa. La Chiesa e la donna

storia

E’ nato in questi giorni un nuovo sito di storia della Chiesa. I primi approfondimenti tematici riguardano la Chiesa e la donna. In particolare un lungo articolo, intitolato La Chiesa e la donna; la donna nelle altre religioni e culture, affronta la tematica in modo ricco, soffermandosi sul cambiamento portato dal cristianesimo, per quanto riguarda concezione del matrimonio, della vedovanza, della sterilità femminile, dell’infanticidio femminile… E’ l’articolo più lungo e completo.

Un altro articolo, più breve, è dedicato a Sant’Agostino, di cui si sente talora dire che fu “misogino”. InSant’Agostino e le donne viene ricordato quanto il santo vescovo di Ippona fece per cambiare alcune ingiuste consuetudini della sua epoca, alla luce del Vangelo

Vi è poi un pezzo, Le grandi donne del Medioevonel quale il medievista Ludovico Gatto invita a “sfatare unluogo comune stantio e poco veritiero, e al contrario troppo largamente diffuso, secondo cui il Medioevo sarebbe l’epoca storica in cui la donna fu sempre svilita e oppressa”; un altro articolo, Le donne hanno l’anima? Affronta un altro luogo comune: dove ha origine l’assurda diceria secondo cui la Chiesa

dei primi secoli avrebbe negato l’anima delle donne?

Infine un articolo La liberazione sessuale: fu vera liberazione delle donne?, si interroga sulla cosidetta emancipazione femminile del 1968. A farlo sono soprattutto alcune ex femministe americane e italiane che affrontano il tema della sessualità, dell’aborto, della fecondazione artificiale.

Qui il link: http://www.storiaechiesa.it/category/chiesa-e-donne/






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18/01/2017 14:53
 
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L'altra metà del cielo. Le donne che fabbricarono San Pietro



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Fabbrica


In quel suo capolavoro che è il saggio "Il Sovrano Pontefice" il grande storico della Chiesa Paolo Prodi mostrò come nel XVI secolo la monarchia papale anticipò la struttura degli Stati dell'Europa moderna.


Ma ora è uscito un libro che per la prima volta documenta come la Chiesa di Roma ha anticipato la modernità anche nel campo dell'edilizia. La costruzione della nuova basilica di San Pietro, dal Cinquecento in poi, non ha prodotto solo un incomparabile monumento dell'arte cristiana, ma ha anche introdotto e sperimentato pratiche costruttive di assoluta avanguardia, sotto il profilo tecnico e soprattutto umano: dalla sicurezza sul cantiere a una sorta di welfare aziendale per i lavoratori e le loro famiglie.


La copertina del volume ritrae l'incoronazione di papa Sisto V sullo sfondo di una basilica di San Pietro ancora con la vecchia facciata, ma con la nuova grandiosa cupola che già dietro si innalza.


Ha appunto il nome di "Fabbrica di San Pietro" l'istituto che governò da principio la costruzione della nuova basilica. E che è tuttora in vita, trattandosi di un'impresa praticamente senza fine.


Ed è da questa "Fabbrica" che prende il titolo il volume, curato dalle due responsabili dell'Archivio Storico della Fabbrica di San Pietro in Vaticano:


> Assunta Di Sante e Simona Turriziani (a cura di), "Quando la Fabbrica costruì San Pietro. Un cantiere di lavoro, di pietà cristiana e di umanità, XVI-XIX secolo", Il Formichiere, Foligno, 2016, pp. 592, euro 35.


Il libro ha un apparato scientifico di prim'ordine, eppure è avvincente come pochi. Specialmente in quella sorprendente sequenza di saggi che illustrano il grande ruolo esercitato nel cantiere dalle donne, attive già dal XVI secolo e in posizioni anche di spicco, come "tagliatrici di pietre dure, vetrare, ferrare, fornaciare, cristallare, indoratrici e capatrici di smalti per i mosaici".


Basta scorrere i titoli dei saggi centrali del volume per intuirne la novità:


- "L’altra metà del cielo. Le donne nel cantiere petriano", di Simona Turriziani;
- "Francesca Bresciani tagliatrice di lapislazzuli per il tabernacolo di Bernini 'che si fa del Santissimo in S. Pietro'", di Assunta Di Sante e Sante Guido;
- "'Ad uso di sua arte': Giovanna Jafrate vetrara della Fabbrica di San Pietro", di Nicoletta Marconi;
- "Le sorelle Palombi 'ferrare' della Fabbrica di San Pietro", di Giovanna Marchei;
- "Spunti per una breve storia al femminile della Fabbrica di San Pietro. 'Capatrici e fornaciare' degli smalti per il mosaico", di Paola Torniai.

Ma poi c'è nel libro molto altro d'interessante e d'inaspettato: dai salari, tra i più alti d'Europa, con cui venivano pagati i lavoranti, alle "allegrezze" per festeggiare le tappe della costruzione con "danze, brindisi e pranzetti"; dalle provvidenze per prevenire e soccorrere gli infortuni sul cantiere alle opere di carità che fiorivano attorno alla Fabbrica.

Una lettura da non perdere, per chi vuol capire a fondo nascita, vita e miracoli della basilica che sorge nel cuore della cristianità, sulla tomba dell'apostolo Pietro.

*

> Tutti gli articoli di Settimo Cielo in italiano



Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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