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Gesù e la dignità della Donna nella storia e nella Chiesa. La vera schiavitù della Donna oggi

Ultimo Aggiornamento: 18/01/2017 14:53
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Sesso: Femminile
10/08/2012 22:31
 
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[SM=g1740733] «Il giorno in cui Dio l’ha voluta femmina e non maschio»

«Il genio femminile è una ricchezza per la società e anche per la Chiesa, ma molto spesso si ha paura del diverso; ciò che è diverso rappresenta per molti non tanto una ricchezza ma una minaccia», sostiene suor Viviana Ballarin O.P., presidente dell’Usmi, da cui dipendono tutti gli ordini religiosi femminili italiani, per un totale di oltre settantamila suore.
«Allora si affidano alle donne, anche plurititolate, servizi e ruoli secondari ed esecutivi», continua suor Viviana, notando come in molti organismi ecclesiastici tante donne svolgano mansioni non adeguate ai loro studi e preparazione.
«È ancora piuttosto raro che vengano affidati nella Chiesa alle donne ruoli a più ampio respiro, intendo dire di responsabilità, di decisionalità. È abbastanza raro che possano sedere ai tavoli dove si pensa o si programma. Quando nelle culture, nelle società e anche nella Chiesa non viene rispettato il progetto creazionale si cade o nel maschilismo o nel femminismo o altro. Gli ismi dicono sempre qualcosa di negativo».
Il problema è di un influsso culturale che «condiziona anche la Chiesa degli uomini. Ma non la Chiesa di Cristo. Gesù, infatti, nella vita terrena ha dato esempi meravigliosi di rottura con leggi molto sfavorevoli nei confronti delle donne».

A Franca Giansoldati («Il Messaggero») che le chiede se vorrebbe il sacerdozio femminile, risponde no: «Come donna mi sento pienamente realizzata sia nella mia identità che nella mia missione. Ciò che conta veramente per ogni donna è vivere quella diaconia e quel sacerdozio che sono stati impressi nella sua carne come fuoco il giorno in cui Dio l’ha voluta femmina e non maschio».

 
Osservatore Romano 31 maggio 2012



[SM=g1740757]

«Fanciulla, io ti dico alzati»

Inchiesta tra le suore che salvano le nuove schiave

 


«“Perché fate tanto strepito e piangete? La bambina non è morta, ma dorme”. Ed essi lo deridevano. Ma egli (...) presa la mano della bambina, le disse: Talità kum, che significa: “Fanciulla, io ti dico, alzati!”. Subito la fanciulla si alzò e si mise a camminare» (Marco, 5, 39-42).

Anna è una contadina armena di famiglia poverissima. Un giorno incontra una donna che le sembra buona e affidabile e che le promette un lavoro come governante in una casa turca a seicento dollari al mese. Accetta ed è felice di poter finalmente risollevare la sua famiglia dalla povertà. Si ritrova costretta a fare per un anno la prostituta.
Elena è una giovane donna albanese. Lei un lavoro ce l’ha, ma lo lascia per seguire il fidanzato in Gran Bretagna. Si sveglia in un appartamento sconosciuto, durante la notte è stata drogata, il suo corpo è diventato blu per le violenze subite. Da quel momento diventa una schiava.
Vivian è thailandese, pensa di andare a lavorare in un centro massaggi ad Amsterdam ma chi la accoglie all’aeroporto le toglie soldi e passaporto e la costringe a stare in un bordello.
Nadia è ucraina, anche lei ha bisogno di un lavoro e accetta l’invito di un amico di famiglia che le promette un’occupazione in Belgio. Si ritrova chiusa in un appartamento per quattro settimane costretta a soddisfare trenta clienti al giorno.

Di storie come queste se ne potrebbero raccontare centinaia di migliaia anzi, stando ai dati, addirittura milioni, tutte diverse, ma anche tutte uguali. Donne povere, che devono pagare dei debiti, che vogliono un futuro, che si affidano o vengono affidate dalla famiglia ad altre donne o ad amici che le vendono come schiave. I giornali australiani hanno raccontato di un fiorente commercio di donne coreane vendute in Australia. Prezzo quindicimila dollari. E, malgrado il controllo delle autorità, il traffico risulta fiorentissimo fra la Corea del Nord e la Cina.
La mancanza di donne in alcune regioni cinesi, conseguenza della politica del figlio unico, ha creato un vero è proprio business. Giovani costrette ad attraversare il confine, vendute e rapite, a disposizione di chi le vuole comperare. Il traffico ha una dimensione planetaria. Per fare un esempio di schiave ne arrivano da 14.000 a 17.000 all’anno solo negli Stati Uniti. E se anche i numeri spesso rimangono imprecisi comunque indicano un’enormità del fenomeno e una sua diffusione che attraversa gli oceani e invade l’intero pianeta.

È di circa due milioni l’anno l’incremento del traffico degli “schiavi” del lavoro e del sesso. Questi ultimi sono circa 600.000. Secondo l’Oim (Organizzazione internazionale delle migrazioni), ci sono addirittura almeno tre milioni di esseri «reclutati o costretti a spostamenti attraverso l’inganno o la coercizione allo scopo di sfruttarne il corpo o parti di esso». L’ottanta per cento del mercato è costituito da donne. Sono loro le schiave del nuovo millennio e il fenomeno è in costante aumento, avvertono al Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti.
È un commercio fiorente che rende e che è arrivato a circa quaranta miliardi di dollari l’anno, un affare criminale inferiore solo a quelli della droga e delle armi.

A partire da queste storie e da questi numeri è nata Talità Kum (“fanciulla, alzati”) la rete che collega nel mondo più di 4.000 suore presenti in 82 paesi. In Italia sono circa trecento le religiose che svolgono questo lavoro difficile e delicato: combattere la tratta e la schiavitù. Liberare le donne e restituirle alla propria vita.
C’erano già alcune associazioni impegnate in questo difficile compito. Laiche e religiose. Ma ora proprio le religiose hanno creato questa rete per dare più forza e organizzazione a un lavoro che svolgono da anni. Talità Kum è stata proposta e approvata dal Congresso organizzato dall’Unione internazionale delle superiore generali (Uisg, che riunisce le superiore di 1.900 congregazioni femminili) e dall’Oim (struttura intergovernativa cui aderiscono 125 Stati), tenuto a Roma qualche anno fa. Il suo nome ha un profondo significato simbolico. È l’invito che Gesù rivolge alla giovane figlia di Giairo che tutti credono morta e che, invece, ascoltando le sue parole, si alza e cammina. Le religiose di Talità Kum ripetono quell’invito alle ragazze rese schiave e costrette alla prostituzione in tutti i Paesi del mondo. Il loro lavoro è quasi impossibile. Perché, certo, il fenomeno è stato monitorato, esaminato e studiato.
Ma poi tocca a loro andare avanti, agire concretamente, cercare le ragazze rese schiave. Ed è difficile individuarle perché hanno paura, è difficile avvicinarle, conquistare la loro fiducia, parlare, convincerle a superare il terrore dei loro aguzzini, garantire la loro incolumità. Ma lo fanno e il loro lavoro è oramai universalmente riconosciuto. In una intervista alla Radio vaticana il cardinale Vegliò, presidente del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti, dopo aver ricordato gli sforzi fatti dalle Chiese locali, le dichiarazioni, le lettere pastorali ha affermato: «Nel mondo le più attive in questo ambito sono le congregazioni internazionali di religiose».

Suor Rita è un’orsolina e fa questo “lavoro" da 17 anni a Caserta, in un centro di accoglienza chiamato Casa Ruth. Il giorno dell’inizio lo ricorda perfettamente. Era l’8 marzo 1997. «Con due volontarie andai sulla strada dove sapevo c’erano queste ragazze per portare loro un fiore. No, non era una mimosa, era una piccola piantina di primule, un messaggio vitale, con il quale volevamo segnalare la nostra vicinanza. Hanno capito e ci hanno chiesto di incontrarci. Abbiamo visto i segni della tortura, i tagli sul loro corpo e la paura. Ne avevano tanta. Erano schiave. Come donna e come consacrata non ho potuto tirarmi indietro.
Abbiamo fatto spazio nella nostra comunità e abbiamo accolto la prima ragazza.
Si chiamava Vera, era polacca. Aveva sul corpo e sulla testa le ferite e i segni della violenza. Poi ne sono venute altre e la nostra struttura è diventata più grande. Oggi abbiamo tre appartamenti nel centro di Caserta».

Suor Rita è orgogliosa di ciò che ha fatto. È stato difficile avvicinarsi a donne di cui non si conosceva la lingua, ragazze venute dall’Est Europa o dall’Africa a cui ripeteva insistentemente due parole: I sister, sperando che il messaggio fosse compreso. C’è riuscita in una lotta continua, con momenti di gioia e momenti di sconforto. «È stato duro soprattutto con le ragazze che vengono dall’Est europeo. Sono venute a riprendersele, ma loro sono scappate di nuovo e sono tornate da noi».

Schiave. La religiosa usa continuamente questo termine. E può sembrare una parola antica, esagerata. Nel mondo moderno si parla di povertà, emarginazione, esclusione dai diritti. Per le donne si parla di prostituzione, di vendita coatta del proprio corpo. La schiavitù è persino inimmaginabile. Al Pontificio Consiglio per i Migranti e gli Itineranti ci tengono molto a fare subito una distinzione. «Quando parliamo di tratta e di schiavitù per sfruttamento sessuale — precisa Francesca Donà, officiale del settore rifugiati del dicastero — non parliamo di prostituzione, ma di donne che sono state prostituite. Le donne di cui si occupano le religiose sono state sequestrate, violentate, assoggettate, minacciate».

In poche parole mentre nella prostituzione può esserci qualche volta condivisione o complicità, a volte anche libera scelta, le religiose si trovano di fronte a donne costrette con la forza a vedere il proprio corpo. Padre Frans Thoolen, responsabile del settore rifugiati, parla di vere e proprie organizzazioni criminali e di varia natura. «Possono essere a livello micro o livello macro. Nel primo caso si tratta di criminali che agiscono singolarmente o in piccoli gruppi, nel secondo caso di grandi organizzazioni internazionali con emissari locali. Le donne vengono in genere prelevate con l’inganno dall’Africa, dall’Asia, dall’America latina e dirottate verso l’Europa o il nord America. Ma spesso il traffico è anche locale. Si svolge nello stesso Paese o fra Paesi vicini o fra città e città».

Si è quindi ritornati alla vecchia schiavitù?
Qualche anno fa, al congresso di Nairobi «Verso una migliore pastorale per i migranti e i rifugiati in Africa all’alba del terzo millennio», l’arcivescovo Novatus Rugambwa, già sottosegretario del Pontificio Consiglio per i Migranti e gli Itineranti, ora nunzio apostolico in Angola, ha precisato: «Chiamiamo oggi questo fenomeno moderna schiavitù, tuttavia c’è una differenza fra questa e l’antica forma di schiavitù. Quest’ultima era legata alla proprietà di un altro essere umano, la schiavitù moderna è legata allo sfruttamento e alla privazione totale del controllo di un essere umano sulla propria vita».

  Ritanna Armeni
Osservatore Romano 31 maggio 2012

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Segnaliamo, naturalmente, che esiste anche una schiavitù al maschile, specialmente bambini venduti come schiavi o costretti a diventare soldati.... imbracciare fucili, armi, e ad uccidere....
segnaliamo anche la schiavitù dei cristiani quando le donne vengono violentate e gli uomini mutilati e torturati prima di essere uccisi... Un  caso  emblematico è  quello  di  Giuseppe,  cristiano  sudanese  la  cui  triste  storia  è  stata  denunciata due anni fa dalla Lega italiana dei diritti dell’uomo. Catturato dai predoni musulmani del  Nord nel suo villaggio a sette anni, fu venduto come schiavo (come migliaia di donne e bambini  cristiani)  a  un  padrone  musulmano  il  quale  un  giorno,  irritato,  l’ha  torturato  e  crocifisso  a  un  tavolaccio  di  legno. Così come di catechisti mutilati e sacerdoti ai quali vengono tagliate le mani perchè non possano più celebrare l'Eucaristia.... ma in questi casi è la schiavitù del mondo che li uccide nella loro scelta alla vera libertà.... mentre i casi qui trattati nell'argomento, riguardano le donne schiave o del femminismo, e quindi di una ideologia, o rese schiave dall'erotismo del mondo....


[SM=g1740771]

[Modificato da Caterina63 11/08/2012 15:22]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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