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San Giovanni XXIII era devotissimo del beato Pio IX e di san Pio X

Ultimo Aggiornamento: 19/04/2015 18:22
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Pio IX nel pensiero e sul cuore di Giovanni XXIII


I due pontefici che verranno beatificati insieme il 3 settembre sembrano agli antipodi: l’ultimo Papa re e il Papa buono. Ma non è così. Angelo Roncalli aveva una venerazione particolare per Pio IX come spiega in questo studio il suo segretario, monsignor Capovilla


di Loris Francesco Capovilla su 30giorni di luglio-agosto 2000


Giovanni XXIII e Loris Francesco Capovilla, suo segretario particolare prima a Venezia poi in Vaticano

Giovanni XXIII e Loris Francesco Capovilla, suo segretario particolare prima a Venezia poi in Vaticano

1. In apertura di queste note, non volendo discostarmi dal tema né avanzare proposizioni e conclusioni personali, amo dare subito la parola a Giovanni XXIII, il Pontefice che auspicò tra i cattolici italiani una conoscenza di Pio IX meno approssimativa e più documentata. Sono quattro righe della sua agenda 1962, alla data del 31 agosto: «Nel pomeriggio veramente magnifica ed indimenticabile la visita improvvisa a Marino (Laziale). Un vero trionfo, di rispetto e di amore al Papa. La ricorderò finché viva. Egualmente cara la visita che feci a monsignor Alberto Canestri e infine alla cripta rimessa a nuovo della chiesa parrocchiale di Castello».

Quell’avverbio e quell’aggettivo: «egualmente cara», da sentirsi quindi animato a conservare della visita il ricordo «finché viva» vorrebbero, accanto alla copiosa illustrazione fotografica, la rilettura della relazione redatta, con encomiabile misura, dal compianto monsignor Alberto Canestri (La visita di Sua Santità al postulatore, 31 agosto 1962. Estratto da La Voce di Pio IX, n. 47, 1962).

Mi accontento della conclusione: «Gesù benedetto, spoglia chi scrive da qualsiasi senso di vanità per tanto onore, e lascia nel suo cuore soltanto, con la doverosa umiltà e la devozione al tuo Vicario, il desiderio di una vicina glorificazione del suo grande predecessore: il Papa dell’Immacolata e della infallibilità. Nei giorni che hanno seguito il fausto avvenimento sino ad oggi, il postulatore è stato coperto da una pioggia di telefonate e lettere di congratulazioni per lui e di ammirazione per la paterna degnazione del Papa».


Giovanni XXIII, entrato nella successione dell’apostolo Pietro il 28 ottobre 1958, non attese molto tempo per mettersi in relazione con monsignor Canestri. Lo attesta un delizioso biglietto autografo, di cui diamo il testo: «Vaticano 12 gennaio 1959. Saluto di cuore il rev.mo monsignor Alberto Canestri, di cui ho letto il discorso sulla “Coscienza di un Papa dell’Ottocento”. So della sua validissima cooperazione alla causa di beatificazione di Pio IX, di cui mi compiaccio assai. Intanto umilmente ma fervidamente benedico la sua persona che sarei ben lieto di accogliere in udienza, e lo incoraggio per una santa impresa che mi sta molto a cuore, come questa della glorificazione di Pio IX. Joannes XXIII Pp.».
Pio IX, uomo eminente, sacerdote integerrimo, rimase sempre vivo nella memoria di Angelo Giuseppe Roncalli, non a seguito di mitica infatuazione, bensì come espressione di festosa conoscenza, di profondo rispetto, di devoto amore. Piace ricordare che il 16 ottobre 1958, nell’imminenza del conclave, si recò al Verano per soffermarsi, in cimitero, presso la tomba dei suoi antichi superiori del Seminario romano e per venerare, a San Lorenzo, l’ipogeo di Pio IX.

Divenuto papa, gli riuscì naturale e ritenne doveroso riferirsi ripetutamente alla persona e all’operato di Pio IX. Seppe farlo senza alcuna inibizione, così che non si potrebbe asserire essersi trattato di improvvisa simpatia né di omaggio protocollare reso a un suo lontano predecessore. Volle anzitutto leggere quanto, in proposito, gli venne sotto mano: i volumi dei processi, editi dalla postulazione e dalla Congregazione dei riti; il Pio IX di Alberto Serafini, primo volume, pubblicato a fine settembre 1958 e non potuto presentare a Pio XII cui era dedicato; il Pie IX (primo volume) di Pierre Fernessole. Questo lo lesse in due notti, e dispose che il cardinale Tardini, segretario di Stato, redigesse un riscontro non di semplice complimento, ma auspicante la prosecuzione del lavoro: «Sa Sainteté, qui n’a pas oublié les souvenirs de ses rencontres avec vous à la nonciature de Paris, forme les meilleurs voeux pour que vous puissiez mener à bon terme l’oeuvre que vous avez entreprise» (Lettera 57604, 15 mars 1961).

Non minore attenzione egli portò sui tre volumi del gesuita Pietro Pirri: La laicizzazione dello Stato sardo, La Questione romana, La Questione romana dalla Convenzione di settembre alla caduta del potere temporale. Su quest’ultimo si soffermò con particolare curiosità. Esplorò sovente la Biographie du Souverain Pontife Pie IX, di Francesco Massi, nella collezione “Actes et histoire du Concile Oecuménique de Rome MDCCCLXIX”, Pilon et Lemercier, Impr., Paris.

Pio IX in preghiera nella cripta di Santa Cecilia, dipinto del XIX secolo conservato nel Palazzo Apostolico Lateranense, Roma

Pio IX in preghiera nella cripta di Santa Cecilia, dipinto del XIX secolo conservato nel Palazzo Apostolico Lateranense, Roma

Troppo lungo sarebbe enumerare le svariate letture proseguite ininterrottamente; ed ancor più arduo determinare il giudizio che se ne sarebbe fatto su ciascuna. Su alcune delle citate pubblicazioni i competenti nutrivano non poche riserve. Egli lo sapeva.
Lo storico Giacomo Martina, pur riconoscendo che il Serafini pubblicò «vari documenti interessanti», giudica l’opera nel suo complesso «farraginosa, apologetica, prolissa»; e definisce l’altra, del Fernessole, addirittura «tipico esempio di un’apologetica deteriore ascientifica» (G. Martina, Pio IX e mondo moderno, in Studium, 1976, p. 199).
Molti personaggi dei dicasteri e degli atenei romani potrebbero attestare circa l’interesse che Giovanni XXIII portava alle ricerche e agli studi intesi a far piena luce sulla vita e sul pontificato di Pio IX, e a sgombrare il terreno verso la sua eventuale e da molti desiderata glorificazione.

È sintomatico l’inciso di Arturo Carlo Jemolo in un suo articolo su papa Giovanni: «Desidererei procedesse la canonizzazione di Pio IX, di cui pur gli avversari riconobbero la profonda bontà, la generosità, la fede sconfinata» (Un Papa di genio, in La Stampa, 2 giugno 1964).



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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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Quanto a Giovanni XXIII, piace citare una nota della sua agenda 1960, con l’elenco delle persone ricevute mercoledì 23 novembre: «…padre [Ferdinando] Antonelli, procuratore (sic!) della Fede ai Riti. Lo interessai vivamente per il processo di beatificazione del S[anto] P[adre] Pio IX».

All’udienza generale del 6 settembre 1961, rivolgendosi ai millecinquecento pellegrini di Senigallia, il Papa ricordò subito la figura del suo antecessore marchigiano: «I pellegrini di Senigallia vantano una gloria specialissima: Pio IX.
E il vecchio Pio IX deve tornare a farsi vedere. Il pensiero va spesso a questo insigne servo di Dio e non è disgiunto dal desiderio per una sua glorificazione, riconosciuta anche sulla terra. Ci sarà il Concilio Vaticano II, il quale non può, in qualche modo, non riallacciarsi al Concilio Vaticano I, voluto e aperto da Pio IX. Chissà che in tale circostanza non ci sia pure l’auspicabile gaudio di vedere Pio IX oggetto di particolare venerazione. Sarà, comunque, quel che Iddio disporrà per la sua maggior gloria. Il Signore è mirabilis in sanctis tuis, tanto in quelli decorati con l’aureola della venerazione ufficiale decretata dal capo visibile della Chiesa, quanto in tutti gli altri che popolano il paradiso.


Noi dobbiamo attendere, quaggiù, alla nostra santificazione, il che equivale a imitare i moltissimi che hanno bene compiuto, con la fede e le opere, il pellegrinaggio terreno» (L’Osservatore Romano, 8 settembre 1961; cfr. La Civiltà Cattolica, 7 ottobre 1961, q. 2671, pp. 73-74; Voce misena, Senigallia, 16 settembre 1961).
Poco dopo, avendo letto l’indirizzo preparato e non potuto proclamare in aula dal vescovo Umberto Ravetta, dispose che il cardinale Cicognani, segretario di Stato, gli scrivesse in questi termini: «Il Santo Padre, che ben ricorda il folto gruppo guidato da Vostra Eccellenza, e le fervide testimonianze di fede, con cui esso ha sottolineato le espressioni del suo paterno discorso, riferentesi al servo di Dio Pio IX, gloria imperitura di cotesta diocesi, ha avuto così una nuova conferma della sincerità e intensità di quei sentimenti, e un motivo di più intima consolazione» (11 settembre 1961).

Pio IX davanti alla chiesa romana di San Carlo al Corso

Pio IX davanti alla chiesa romana di San Carlo al Corso

2. Giovanni XXIII fu buon conoscitore della storia della Chiesa, con particolare riferimento al periodo che corre dal Concilio di Trento al Vaticano I.
Docente di storia nel seminario della sua Bergamo (1906-1920), egli si era impegnato a coltivare, del maestro di questa scienza, le doti che in una sua dissertazione del 1907, aveva attribuite al Baronio: «Carattere inflessibile, così da non volere che la verità ad ogni costo, per quanto l’esporla nettamente gli costasse talora sacrifici molto gravi ed amarezze estreme, sostenute sempre dal principio che Dio non ha bisogno delle nostre bugie o dei nostri ripieghi, e che, mi sia permesso il ripeterlo, la migliore apologia della Chiesa è la storia schietta della sua vita; prerogativa questa molto apprezzata nel Baronio dagli stessi avversari, i quali come il Casaubono [Isaac Casaubon] ed il Sarpi proibirono che si attaccasse il nostro storico di mala fede o di menzogna; lavoratore instancabile, e prodigioso, mentre lo stesso Ruggero Bonghi scriveva nella Nuova Antologia, che l’opera di lui fu, quanto a copia e ricerca di documenti, per i tempi in cui si compì, mirabilissima, e quanto a ricchezza di erudizione e instancabilità di lavoro mirabile in tutti i tempi; santo, infine, mantenendo sempre indirizzate e subordinate le sue fatiche ai tre grandi ideali della sua vita: Dio, la Chiesa, le anime» (Angelo Roncalli, Il cardinale Cesare Baronio, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 21961, p. 41).

Avendo buon fiuto Giovanni XXIII riusciva con facilità ad individuare le fonti, ad affrontare un fatto, a collocarvi gli attori, a confrontare tra loro gli avvenimenti; a scoprire i rapporti tra gli avvenimenti religiosi e politici. Nell’accingersi alla lettura di un volume, sapeva cogliere ed apprezzare di primo acchito tutto l’apparato scientifico: presentazione, note marginali, appendici, indici.

Si fosse imbattuto in evidenti scogli, non era proclive né a condanne aprioristiche né ad assoluzioni pietistiche. Nemmeno subiva il fascino dell’esaltazione trionfalistica, incline com’era ad usare la vena dell’humour che disincanta e disintossica; d’altro canto, insofferente per sé e per gli altri del culto della personalità o del lasciarsi infettare – come diceva egli – dal morbus biographicus, non era facile agli incantesimi di carismi eccezionali, sempre bisognosi di venire adeguatamente studiati e autenticati.
Le motivazioni apologetiche, non infrequenti agli inizi di questo secolo, allorquando il Roncalli conchiudeva i suoi studi a Roma (di questa apologetica taluno potrebbe, in vero, trovare traccia nel Giornale dell’anima) e si avviava sui sentieri del suo iter pastorale, non spegnevano la sua vigilanza critica. Basterà aggiungere che egli ebbe sempre in uggia il romanzo storico, e mai trovò gusto al romanzo tout court, fatta eccezione per I promessi sposi del Manzoni.

Si ebbe più volte la riprova di questa sua equità dinanzi a possibili scandali, ove si fosse divulgata questa o quella notizia, essendogli familiare il rigido criterio biblico enunciato nel libro di Giobbe: «Vorresti forse in difesa di Dio dire il falso e in suo favore parlare con inganno?» (13, 7).

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15 marzo 1953, giorno 
in cui Angelo Roncalli entra solennemente a Venezia 
tre mesi dopo la sua nomina a patriarca della città

15 marzo 1953, giorno in cui Angelo Roncalli entra solennemente a Venezia tre mesi dopo la sua nomina a patriarca della città

3. Due domande tuttavia si impongono: era Giovanni XXIII conoscitore di uomini nel profondo? Non si lasciava egli facilmente influenzare? Alla prima risponderei positivamente, alla seconda negativamente. Ho riflettuto su questi come su altri quesiti. So bene che non basta la mia testimonianza. Epperò quando essa verrà confrontata coi documenti d’archivio – essi pure sempre insufficienti, giacché il molto che si vive, in minima parte viene anche trascritto – le mie affermazioni saranno convalidate.
È pur vero che quando un personaggio gli era entrato nell’animo, egli ne viveva il rapporto come un’antica amicizia, a prescindere dal periodo storico in cui fosse vissuto. Si dovrà dire pertanto che, più che devoto, egli fu amico di Lorenzo Giustiniani, di Carlo Borromeo, di Gregorio Barbarigo, di Cesare Baronio – per citare solo alcuni – e di alcune grandi figure di vescovi e di spirituali condottieri dei secoli XVII, XVIII, XIX sino a san Pio X, al quale, nonostante la polemica non ancora spenta sui controversi rapporti con persone che al Roncalli furono carissime – dicasi il cardinale Ferrari, il vescovo Radini Tedeschi, i professori Pedrinelli e Mojoli, suoi condiscepoli bergamaschi –, si sentì affettuosamente legato, nonostante scoprisse via via qualcosa, e più di qualcosa, che ne lo diversificava.

Aveva asserito nei suoi giovani anni: «L’anima nostra è fatta così: penetrando oltre le apparenze, si sente attrarre istintivamente là dove si cela la vera grandezza, e innanzi a questa, tutto che circonda gli uomini grandi, anche le piccole cose che li riguardano, assumono talora proporzioni imprevedute, altissimi significati» (A. Roncalli, Il cardinale Cesare Baronio, op. cit., p. 25).
Incline al rispetto di chicchessia, anche peccatore, o in errore, alla prudente valutazione, all’ottimismo sereno, egli pur tuttavia non fu facile sottoscrittore di decreti proclamanti eroicità delle virtù.
Dobbiamo altresì osservare che egli aveva fiducia nella grazia di stato: dottrina questa facilmente accolta da teologi ed asceti. Dio proporziona le grazie alla particolare vocazione di ciascuno e al servizio che l’uomo è chiamato a svolgere nella Chiesa e nell’umanità, beninteso ammessa la disponibilità generosa del chiamato.

Dottrina valida per Maria santissima come per san Giuseppe, per gli apostoli di ogni tempo e per i pastori imperterriti di tutte le epoche. La applicava innocentemente ed incredibilmente a se stesso. Alcune volte, conversando con monsignor Dell’Acqua, o col confessore monsignor Cavagna, o con me, lo si udì raccontare: «Stamane in udienza la tal persona mi ha detto che dopo la benedizione del Papa, nel tal infermo s’è riscontrato un miglioramento… oppure la guarigione. Non amo soffermarmi a fantasticare su queste cose. Ma è pur vero che io ho pregato con fervore e con convinzione, e non troverei niente di strano che il Signore porgesse ascolto alla voce del suo servo obbediente e fedele...».

4. La devozione di Angelo Giuseppe Roncalli a Pio IX nacque in famiglia, si dilatò in parrocchia e si perfezionò in diocesi. In casa egli vedeva nelle mani del prozio Zaverio, il suo educatore, una biografia popolare di Pio IX. Così pure nella modesta abitazione sorrideva alle pareti una oleografia del Pontefice. A Sotto il Monte, egli apprese a chiamarlo «l’angelico Pio», in eco alle tante volte che don Francesco Rebuzzini, il santo parroco del suo battesimo, l’aveva così presentato nelle sue catechesi.
Vaticano, 27 marzo 1958. Roncalli di ritorno 
da Lourdes è ricevuto da Pio XII

Vaticano, 27 marzo 1958. Roncalli di ritorno da Lourdes è ricevuto da Pio XII

D’altronde Pio IX era morto da tre anni appena, allorquando Angelo Giuseppe Roncalli venne recato al fonte battesimale, il giorno stesso della sua nascita, il 25 novembre 1881.
Le gesta del Papa marchigiano continuavano a risuonare in tutta la Bergamasca negli anni dell’adolescenza del predestinato successore di Pio IX.

Richiamandosi ai ricordi lontani, Giovanni XXIII confidò un giorno ai soci del Circolo di San Pietro: «Legittimo è ricordare il passato. E se si ripensa a quanto si è dovuto soffrire e superare, viene naturale il proposito di essere altrettanto forti nelle odierne circostanze, senza, perciò, lamentarci dei tempi nostri, ma cercando fervidamente di santificarci, anzitutto con la buona condotta, la buona parola, con la fedeltà a quella dottrina di cui san Tito è stato illustre assertore ed esecutore. Sempre vera e luminosa è l’affermazione di Pio IX. In qualsiasi evenienza, il Papa sa di poter contare sul cuore dei suoi figli, sulla loro forza e risolutezza, sulla devozione che essi professano per il Sommo Pontefice, i vescovi, i sacerdoti e per quanti amano la santa Chiesa cattolica, apostolica e romana» (Discorsi, messaggi, colloqui del santo padre Giovanni XXIII, Tipografia Poliglotta Vaticana, Città del Vaticano 1960-1967, vol. I, p. 598).
Vescovi e sacerdoti di Bergamo, educatori ed educatrici insigni, fondatori e fondatrici di istituti religiosi e di istituzioni caritative erano stati in rapporto diretto con Pio IX, suscitando in città e diocesi entusiasmi non passeggeri.

Il vescovo Radini Tedeschi, accanto al quale don Angelo Roncalli esercitò l’ufficio di segretario per dieci anni, fu un fervido ammiratore di Pio IX. Ho potuto rintracciare, assieme ad altri consimili documenti, il discorso declamato a Sant’Ignazio, in Roma, nel 1894, per il primo centenario della nascita di Giovanni Mastai Ferretti. Ne erano trascorsi sedici dalla morte. L’introduzione del discorso, da sola sarebbe testimonianza tanto più sorprendente quando si sapesse che Radini Tedeschi era uno dei beniamini di Leone XIII, il quale non eccedette davvero in elogi nei confronti del suo immediato antecessore. Dicasi inoltre che Radini Tedeschi parlò a Sant’Ignazio, tempio notoriamente riservato allora a manifestazioni ufficiali: «Commemorare un grande, al cospetto di chi vivente lo conobbe sì bene, e tanto lo venerò ed amò; dopo che degne ed eloquenti labbra ne dissero splendido e commovente sulla tomba l’elogio; quando vivo e parlante quasi sta ancora in mezzo a mille cuori, che ne ricordano le angeliche virtù, le amabili sembianze, il cuore amante di padre e di re, è compito soprammodo malagevole. Ti avessi almeno potuto conoscere, o Pio IX! Come ti venerai da lungi, e come fosti visione incantevole de’ miei primi anni, e palpito tenerissimo del mio cuore, e ideale di pontefice e di sovrano; avessi potuto il bacio mio stampare sulla tua destra benedicente, sul piede a te che evangelizzavi la pace e il bene, sul tuo labbro anzi su cui errava eterno il sorriso e dal quale sgorgava l’accento della verità e della vita!» (Parole di monsignor Giacomo Radini Tedeschi dette nella chiesa di Sant’Ignazio di Roma nella solenne Accademia per la celebrazione del primo centenario della nascita del grande Pontefice, Tip. Arcivescovile, Bologna 1894).

Roma, 5 novembre 1961. Il cardinale Montini, arcivescovo di Milano, accoglie il Papa all’ingresso della facoltà di Medicina dell’Università Cattolica del Sacro Cuore

Roma, 5 novembre 1961. Il cardinale Montini, arcivescovo di Milano, accoglie il Papa all’ingresso della facoltà di Medicina dell’Università Cattolica del Sacro Cuore

5. A dare respiro alla testimonianza su Pio IX, amo richiamare quattro momenti particolarmente significativi: il venticinquesimo dei Patti Lateranensi (1954); il Discorso mariano a Santa Maria Maggiore (1960); il centenario dell’unità d’Italia (1961); il Concilio Vaticano II.

A. Il cardinale Angelo Giuseppe Roncalli è l’unico vescovo italiano, salvo errori ed omissioni, che celebrò il venticinquesimo dei Patti Lateranensi, esattamente l’11 febbraio 1954, con un discorso nella Basilica di San Marco a Venezia, presenti le massime autorità cittadine e gran folla di popolo. Questo lo schema del discorso: Letizia e pace. Principato civile legittimo e sacro. Pio IX e l’idea nazionale italiana. Tempi umili e infausti. L’ora del Signore. Un vaso infranto. Il significato dei Patti Lateranensi. Benedizioni, auguri, preghiere: per la Chiesa, per l’Italia.
Anzitutto egli ricordò la ripercussione suscitata nel mondo dall’avvenimento al suo compiersi. «Gli amici sinceri d’Italia se ne compiacquero; gli amici non sinceri se ne dolsero; i cattolici retti ed onesti ne esultarono dinanzi al Signore» (Angelo Giuseppe card. Roncalli, Scritti e discorsi, Edizioni Paoline, Roma 1959-1962, vol. I; tutto il discorso: pp. 160-170).

Il cardinale Roncalli prospettava la Questione romana nei suoi termini esatti e complessi, per segnalare che sulla tessitura buona dell’unità si era frammischiato un più vasto disegno di irreligione, lotta inaspritasi durante le guerre per l’indipendenza: «Da allora, giorno per giorno, si fece chiara la verità circa l’intimo sentimento dei romani pontefici in faccia al duplice problema della unità italiana da una parte, e degli interessi individuali e collettivi delle anime dall’altra: e prese fine la leggenda che sete di dominio temporale determinasse le attitudini del papa nei riguardi del suo principato civile. Questo gli era stato affidato dalla Provvidenza a difesa e a sostegno del suo ministero spirituale ed universale; sovente la sua legittimità venne confermata dalla voce del popolo, e dallo stesso tumulto degli avvenimenti; e nessuna dinastia d’Europa fu mai meglio fondata in un diritto legittimo e sacro di questa pontificale, che le precedette tutte, le vide nascere e scomparire, e per suo conto non impiegò mai la rapacità, né la violenza con alcuno come instrumentum regni, ma più volte ne fu innocente vittima.
Episodi isolati e mutevoli di debolezze personali nulla tolgono alla magnifica trama del principato civile dei papi, che rispondeva al suo compito di difesa e di sostegno degli interessi più alti dello spirito umano e cristiano, nell’atto di servire alla stessa pace fra i vari Stati d’Italia e d’Europa.

Ma era un compito indiretto e provvisorio, abbandonato alla mutabilità dei tempi e degli uomini. La Provvidenza del Signore aveva apprestato ai successori di san Pietro questo piccolo patrimonio per la libertà e la santa indipendenza della loro missione supernazionale e mondiale» (Scritti…, I, op. cit.).
Non diversamente si era espresso Leone XIII il 15 giugno 1887, dieci anni dopo la morte di Pio IX – in conformità perfetta dunque col pensiero e la parola del suo immediato predecessore –, in una lettera al cardinale Rampolla, suo segretario di Stato: «L’autorità del sommo pontefice istituita da Gesù Cristo e conferita a san Pietro, e per esso ai suoi legittimi successori, i romani pontefici, destinati a continuare nel mondo, fino alla consumazione dei secoli, la missione riparatrice del Figlio di Dio, arricchita delle più nobili prerogative, dotati di poteri sublimi, propri e giuridici, quali si richiedono per il governo di una vera e perfettissima società, non può, per la stessa natura e per la espressa volontà del suo divin fondatore, sottostare a veruna potestà terrena, deve anzi godere della più piena libertà nell’esercizio delle sue eccelse funzioni.
E poiché da questo supremo potere e dal libero esercizio di esso dipende il bene di tutta la Chiesa, era della più alta importanza che la nativa sua indipendenza e libertà fosse assicurata, garantita, difesa attraverso i secoli nella persona di chi ne era investito. [...] Importa grandemente osservare che la ragione e l’indipendenza della libertà pontificia nell’esercizio dell’apostolico ministero, piglia una forza maggiore e tutta propria quando si applica a Roma, sede naturale dei sommi pontefici, centro della vita della Chiesa, capitale del mondo cattolico».


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Pio IX con i prelati dell’anticamera segreta nel 1862

Pio IX con i prelati dell’anticamera segreta nel 1862

L’anno dopo, Leone XIII, nel suo cinquantesimo di sacerdozio, ricevendo in udienza il cardinale Alimonda e i sacerdoti italiani convenuti a Roma, tornava ancora sull’argomento (25 settembre 1888): «Si osa affermare che le rivendicazioni del Pontefice sono dettate da spirito di ambizione e da cupidigia di mondana grandezza... Ben più in alto sono rivolte le nostre mire: in verità è la grande causa della libertà e della indipendenza della Chiesa che ora si agita».

Sessantasei anni dopo, il cardinale Roncalli, nel citato discorso del XXV dei Patti Lateranensi, respingendo e confutando la troppo ripetuta accusa di «libidine del potere», raccontava, mite e faceto, un episodio della sua giovinezza sacerdotale: «La stampa spregiudicata e mondana tornava sovente sulla insinuazione maliziosa del Papa affetto, lui e i suoi più vicini collaboratori, dalla libidine del potere. Giusto quando il beato Pio X – e lo ascoltai io stesso, con i miei due orecchi, da giovane prete, al termine di un colloquio riservato con il mio vescovo, che io accompagnavo – “Figuratevi, monsignore, – e lo diceva in dialetto veneto – che cosa mi succede. Ieri ho ricevuto una commissione di personaggi degni e gravi venuti a propormi di risolvere la Questione romana accontentandomi di Roma, che il governo italiano potrebbe lasciarmi. Oh, monsignore, adesso ci vorrebbe anche Roma, da governar, anca Roma da governar, con tutte quelle poche brighe che mi procura già il governo di questa brava e buona gente qui dentro”. E sorrideva piacevolmente» (Scritti…, I, op. cit., p. 165).

Il discorso dell’11 febbraio 1954 spazia su vasto orizzonte e affronta senza sottintesi il nocciolo della questione, finendo col collocare Pio IX al suo giusto posto. Gli riconosce infatti il diritto di difendere «questo piccolo patrimonio apprestato dal Signore per la libertà e la santa indipendenza della missione supernazionale e mondiale» della Chiesa: «Era naturale – ripetiamolo bene – che il Papa lo dovesse difendere ad ogni costo, fino al giorno in cui un nuovo segno venisse dall’alto, e che trovasse un’eco nella sacra intimità della sua coscienza pontificale, ad arrestare il corso delle sue doverose affermazioni e rivendicazioni» (Scritti… I, op. cit., p. 162).
Veramente solenne, quasi volesse prevenire la obiettiva, spassionata valutazione di tutto quel periodo dolorosissimo, appare la pagina intitolata: Pio IX e l’idea nazionale italiana, meritevole di attenta considerazione, dacché tocca il nocciolo della questione: «Quanto agli interessi d’Italia, ed al movimento nazionale inteso alla sua unità, conviene ricordare che cosa ne pensasse Pio IX, che aveva iniziato il suo pontificato nel 1846 con le parole: “Gran Dio, benedite l’Italia!”.

È di questi giorni la esumazione della testimonianza di un famoso diplomatico protestante (von Bülow), a proposito di un certo conte, tedesco e cattolico, che deplorava innanzi al Papa le sventure che il movimento per l’unità d’Italia recava alla Chiesa. Il Papa ascoltò pensoso e sembrò dare segni di tacita approvazione. Ma, congedato il personaggio, disse al gentiluomo italiano di servizio, che gli stava accanto: “Questo signore non capisce niente della grandezza e della bellezza della idea nazionale italiana”.

Parole espressive: come la risposta che con lo spirito arguto e buono che gli era congenito, lo stesso Pio IX diede ad un cardinale che lo confortava: “Santità, faccia cuore: la barca di san Pietro non sarà preda della tempesta: è parola del Signore”. “Già” rispose “ma il Signore non ha parlato dell’equipaggio!”.
La proclamazione del dogma dell’infallibilità pontificia durante il Concilio Vaticano I nel 1870

La proclamazione del dogma dell’infallibilità pontificia durante il Concilio Vaticano I nel 1870

Sopraggiunsero avvenimenti gravi. Il 1870 segnò l’apogeo della potenza spirituale del Papa nel successo e nella gloria del Concilio Vaticano; ma il passaggio della violenza militare, attraverso la breccia di Porta Pia, fu anche l’inizio di anni difficili, di disagio e di tribolazioni, per la Santa Sede, e per i cattolici d’Italia.
Ad onore di Pio IX basta la testimonianza di uno degli uomini politici più in vista di quel tempo, e non molto tenero per la Chiesa: “Questo vecchio sacerdote, scemato di potere, stremato di forze [...] perseguito ormai da tanti vituperi da quanti applausi era stato assordato un giorno; che non s’inchina né davanti a chi lo difende né davanti a chi l’offende; che non si concilia un nemico solo, con una menzogna o una umiliazione; che negli spiriti dei suoi fedeli tenta di riaccendere l’antica fiamma, facendo guizzare più viva quella dell’animo proprio, provocando l’amore del sacrificio in tanta parte del mondo; [...] mantenendo fra i suoi devoti e nel clero una maggiore e più ferma unità che non s’è mai vista, e ciò con il nudo imperio della parola; questo vecchio sacerdote è il più straordinario e mirabile fatto dei tempi nostri, tempi già tanto pieni di novità e di meraviglie” [Ruggero Bonghi]» (Scritti…, I, op. cit., pp. 162-163).

B. Secondo momento. L’8 dicembre 1960, nella cornice stupenda della solennità dell’Immacolata e dell’itinerario devozionale alla colonna di piazza di Spagna, durante la celebrazione mariana a Santa Maria Maggiore, Giovanni XXIII incastonava la gemma stupenda dell’omaggio a Pio IX.
Giusto nel testo di questo discorso, monsignor Dell’Acqua, sostituto della Segreteria di Stato, e io stesso avevamo ritenuta ridondante una certa dichiarazione in esso contenuta, la quale avrebbe potuto meglio trovar posto in una bolla di canonizzazione. Non potrei precisarne con esattezza i termini: essi comunque risuonano dentro di me. Si fece osservare al Papa che la prassi non consentiva e la prudenza sconsigliava di spingersi tanto oltre. Egli amabilmente accettò l’osservazione contentandosi di mantenere la sostanza delle sue affermazioni, ben esplicite del resto e cariche di significato, come risulta evidente: «In questo otto dicembre, che tutti gli anni ricorda la solenne e più che centenaria proclamazione del domma soave e luminosissimo dell’Immacolata, il pensiero nostro corre spontaneamente a colui, che di esso fu la voce autorevole, l’infallibile oracolo.
La soave figura del nostro predecessore Pio IX, di grande, di santa memoria, ci è particolarmente venerata e cara, perché egli nutrì per la Vergine un amore tenerissimo e si applicò fin dai giovani anni allo studio ed alla penetrazione del privilegio dell’immacolato concepimento di Maria santissima. Risalendo a ritroso nei secoli egli amò avvolgersi nello stesso mantello di gloria di cui si ornarono tanti suoi illustri antecessori nel romano pontificato, nelle ripetute testimonianze di devozione e di amore a Maria, che il popolo romano riconosce ufficialmente quale sua salute invocata e benedetta, salus populi romani, e che tutto il mondo acclama, del cielo e della terra regina» (Discorsi…, op. cit., III, p. 75).

Un papa non scrive in tal senso, né lo proclama così autorevolmente, al cospetto del popolo romano, se non ne è intimamente convinto.
La circostanza non ammette divagazioni puramente sentimentali.


Il 25 dicembre 1961, Giovanni XXIII firma 
la costituzione apostolica Humanae salutis, con la quale convoca il Concilio

Il 25 dicembre 1961, Giovanni XXIII firma la costituzione apostolica Humanae salutis, con la quale convoca il Concilio

Giovanni XXIII richiamava ed esaltava la devozione a Maria, invocata nel suo privilegio di donna preservata dal peccato originale, da parte di otto pontefici, anteriormente alla dogmatica definizione: Benedetto XIV, Clemente XI, Innocenzo XII, Clemente IX, Alessandro VII, Clemente VIII, san Pio V, Sisto IV, per aprirsi il varco a ciò che più gli premeva di rivelare: «Questo breve excursus storico ci riconduce alla mitissima figura del pontefice Pio IX. La luce di Maria Immacolata posata sopra di lui ci fa comprendere il segreto di Dio nel servizio altissimo e santo che egli diede alla santa Chiesa.

Trentadue anni di pontificato gli permisero di toccare tutti i punti della cattolica dottrina, di volgersi paterno e suadente ai figli suoi del mondo intero per un richiamo sollecito, affettuoso, instancabile di disciplina, di onore, di coraggio, in faccia alle accresciute difficoltà, agli attacchi velati o aperti, alle sfide gettate alla religione, proprio allora quando da persone di alta fama si proclamava moribonda, o già morta.

Pio IX seppe contro speranza credere alla speranza (cfr. Rm 4, 18), e tenere radunato con incrollabile fermezza e infinita amorevolezza il gregge spaurito e incerto; e così mite che egli era, non ebbe timori davanti alle macchinazioni tenebrose delle sètte, non vacillò di fronte alle opposizioni, non indietreggiò in faccia alle calunnie.

Amiamo ripeterlo! Sì: la luce di Maria Immacolata – definita tale ad alta voce, solennissima, in faccia a tutta la Chiesa, nonostante il clamore canzonatorio degli increduli e il timido sussurrare di alcuni incerti –, la luce della Immacolata, diciamo, batteva sulla fronte e sul cuore del grande Pontefice, e fu la animatrice delle sue fatiche e il conforto della sua immolazione» (Discorsi…, op. cit., III, pp. 76-77).


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Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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C. Terzo momento da valutare attentamente è quello del centenario dell’unità d’Italia: 1961, durante la presidenza di Giovanni Gronchi, col ricevimento in Vaticano dell’onorevole Amintore Fanfani, presidente del Consiglio dei ministri.
Nella sua garbata allocuzione, il Papa sottolineò anzitutto l’ambito caratteristico delle attribuzioni specifiche della Chiesa e dello Stato, con particolare sottolineatura sulla essenza e sulla variazione dei rapporti che devono intercorrere tra le due entità: «La singolare condizione della Chiesa cattolica e dello Stato italiano – due organismi di diversa struttura, fisionomia ed elevazione, quanto alle caratteristiche finalità dell’uno e dell’altro – suppone una distinzione ed un tal quale riserbo di rapporti, pur fatti di garbo e di rispetto, che rendono tanto più gradite le occasioni dell’incontrarsi, di tratto in tratto, dei loro più alti rappresentanti, anche a titolo di comune letizia e di edificante incoraggiamento verso la ricerca dei beni più preziosi per la vita sociale» (Discorsi…, op. cit., III, pp. 204-205).


Poi offrì, in nome suo proprio e del governo centrale della Chiesa, l’attestato di una presenza festosa alla celebrazione, quasi a cancellare – come più compiutamente avrebbe fatto col pellegrinaggio a Loreto e Assisi nel 1962 – un secolo talora turbato da reciproca incomprensione: «La ricorrenza che in questi mesi è motivo di sincera esultanza per l’Italia, il centenario della sua unità, ci trova, sulle due rive del Tevere, partecipi di uno stesso sentimento di riconoscenza alla Provvidenza del Signore, che pur attraverso variazioni e contrasti, talora accesi, come accade in tutti i tempi, ha guidato questa porzione elettissima d’Europa verso una sistemazione di rispetto e di onore nel concerto delle nazioni, grazie a Dio depositarie, sì, oggi ancora, della civiltà che da Cristo prende nome e vita» (Discorsi…, op. cit., III, p. 205).
Tutto questo, a mio avviso, per introdurre, infine, il diffuso accenno a Pio IX «che del suo nome, della sua storia ha lasciato un’orma così profonda nel nostro Paese» (Discorsi…, op. cit., I, p. 617), come aveva detto esplicitamente due anni prima. Niente e nessuno lo obbligava a farlo; forse taluno, temendo, da questo inciso, una ulteriore “scapigliatura” della stampa, l’avrebbe dissuaso. Ecco il testo proclamato, notisi bene, dinanzi al presidente del Consiglio dei ministri dello Stato democratico e repubblicano: «Ai figli d’Italia, per cui negli anni più accesi del movimento per l’unità nazionale certa letteratura, alquanto scapigliata, fu motivo di turbamento, non può sfuggire che astro benefico e segno luminoso, invitante al trionfo del magnifico ideale, fu papa Pio IX, che lo colse nella sua significazione più nobile e, da parte sua, lo vivificò come palpito della sua grande anima così retta e pura» (Discorsi…, op. cit., III, p. 205).

Astro benefico e luminoso! Non sono parole cadute dalla penna a caso. Esse insinuavano un giudizio storico; non direi che lo imponessero; miravano piuttosto ad indicare l’opportunità di uscire da vecchi schemi preconcetti e di ricominciare da capo e in profondità la valutazione del pontificato di Pio IX. Impareggiabile nella sua finezza di autentico principe della parola rispettosa e della comunione cordiale, principe della Chiesa e del popolo di Dio, Giovanni XXIII si congedò con estrema delicatezza, compendiando, per così dire, l’apertura del cuor suo in un’immagine primaverile: «Questo semplice tocco, che ci siamo permessi di offrirle, signor presidente, è come un fiore di campo sull’avviarsi della primavera. Esso è accompagnato dal voto che quotidianamente eleviamo innanzi al Signore per il capo dello Stato – che in questi giorni seguiamo con viva simpatia e con paterni auguri –, eleviamo per lei e per quanti con lei dividono le responsabilità nel governo della pubblica cosa, come l’abbiamo invocato nella liturgia della settimana santa: religionis integritas et patriae securitas. Qui sta invero la sostanza dei Patti Lateranensi: esercizio della religione libero e rispettato, ispirazione cristiana della scuola, nozze sacre, espansione di apostolato per la verità, per la giustizia, per la pace» (Discorsi…, op. cit., III, pp. 205-206).


Non sfuggì ai figli d’Italia! Sarebbe interessante lo spoglio dei giornali e delle riviste dell’epoca: lavoro che converrà compiere, essendo io convinto della sua estrema utilità ai fini di conoscere gli umori dell’opinione pubblica, per constatare che, ad ogni buon conto, di acqua ne era passata sotto i ponti del Tevere. Per quanto so ricordare, la stampa italiana, di partito e di informazione, fatta eccezione del commento acido da parte di un paio di fogli, fu pressoché unanime nell’apprezzare nel suo complesso la parola e le argomentazioni del Papa. Tanta sua amabile accortezza dovette indurre a tranquillo silenzio l’eventuale resto di intolleranza di giudizio ancor diffuso nell’aria nei confronti di Pio IX.

Nel discorso, nessun riferimento diretto ai «tempi umili e infausti» (Scritti…, op. cit., I, p. 164); eppure davanti al suo sguardo dovettero apparire le seguenze «del disagio e delle condizioni insopportabili create alla Santa Sede e alla Chiesa cattolica in Roma, in quegli anni che corsero dal 1870 allo scoppio della prima guerra europea»: dal fallito tentativo di gettare sul Tevere le spoglie di Pio IX, «per cui tutto il mondo aveva palpitato e che morendo non aveva chiesto per sé altro favore che di dormire l’ultimo sonno nell’Agro Verano, in mezzo al popolo suo»; dall’oltraggiosa inaugurazione nel 1888 «e a pochi passi dal Vaticano» di una statua a Giordano Bruno «monaco infelice e ribelle»: quell’anno stesso, Zaverio Roncalli, prozio di Angelino, pellegrinò all’Urbe con un nutrito gruppo di bergamaschi; dall’«augurio laico e compassionevole: l’avvenire riposa sulle ginocchia di Giove», fatto stupidamente recitare al capo dello Stato, lo scettico Umberto I, proprio «mentre Leone XIII inaugurava dal Vaticano l’anno santo, con invito a tutto il mondo alla implorazione delle celesti grazie per la purificazione e la salute dei popoli»; sino alla celebrazione del 20 settembre 1900 – trentennio della presa di Roma –, a motivo della quale i pellegrini vennero sollecitati ad abbandonare la capitale: il chierico Roncalli era tra costoro, e ne profittò per recarsi a Loreto ed Assisi.

D. Quarto momento: il Concilio: l’ora di Dio e dell’appuntamento della storia. Nel citato discorso dell’8 dicembre 1960, Giovanni XXIII aveva espressamente accostato la sua alla persona di Pio IX, con riferimento alle difficoltà manifestatesi un secolo innanzi e sempre prevedibili nel succedersi dei papi e dei grandi fatti della Chiesa, ma considerate nella luce della fede: «Come la sua figura si leva alta e indicatrice davanti a noi! e ci propone la via giusta, noi ci teniamo con l’aiuto di Dio ad imitarlo e lo imiteremo nel proseguire il nostro apostolico ministero: con calma, con mitezza, con inespugnabile pazienza, con sicurezza, ardore di speranza e di vittoria spirituale: qualunque cosa ci accada.
Il volgersi delle circostanze di umane convenienze, talora propizie, tal altra avverse o silenziose alle nostre imprese, non potrà né esaltarci oltre misura, né deprimere le nostre energie, che contano soprattutto su l’intercessione della Madre immacolata di Gesù: Mater Ecclesiae, et Mater nostra dulcissima» (Discorsi…, op. cit., III, p. 77).

Le due anime gemelle: Angelo Giuseppe Roncalli e Giovanni Maria Mastai Ferretti si accostavano per proseguire insieme lo stesso cammino.

L’evidente proposito di volersi collegare all’azione magisteriale e pastorale di Pio IX apparve chiarissima nel sermone: «Dalla contemplazione della figura mite e forte di Pio IX, prendiamo ispirazione per inoltrarci di buon passo nella grande impresa del Concilio Vaticano II, che ci sta innanzi.
Anche in questo impegno, forse il più grave della nostra umile vita di “servus servorum Dei” ci conforta e ci fortifica la sicurezza di obbedire alla buona e potente volontà del Signore. E questa sicurezza, se è motivo di tranquillità, e di consueto abbandono alla grazia dell’alto, corrobora altresì l’anima nostra, le nostre imprese, elevandole sulle ali di una attesa, che tutta si fonda in Dio» (Discorsi…, op. cit., III, pp. 77-78).

Il 24 novembre, giusto quattordici giorni innanzi a quell’8 dicembre, il Papa, parlando ai suoi collaboratori e figli di Roma, nell’atto di commentare gli atti del primo Sinodo diocesano, celebrato in gennaio, aveva confidato con risolutezza i suoi propositi di forte lavoro nel valico, com’egli si trovava come Pio IX nella stessa circostanza, tra il settantanovesimo e l’ottantesimo anno di vita: «Da mesi, il Papa dà alcune delle sue ore subsecivae alla storia degli ultimi concilii, con speciale riferimento al Vaticano I; ed in questa giornata, sentendo intorno alla nostra umile persona gli echi di tante buone parole di augurio per la continuazione della lunga vita che il Signore ci ha concesso, pensiamo al venerato predecessore nostro Pio IX di gloriosissima e santa memoria, che appunto all’età nostra esatta, sul finire del suo settantanovesimo anno, e sull’inizio dell’anno ottantesimo, come accade a noi in quest’ora, si accingeva alla apertura immediata del Concilio Vaticano, che tanto beneficio nell’ordine spirituale e pastorale doveva apportare e portò alla Chiesa cattolica nel mondo intero.

Da tempo amiamo applicare a noi stessi quanto diceva di sé il cardinale Federigo Borromeo (Manzoni, I promessi sposi, cap. XXVI): “Dio conosce i miei mancamenti e quello che ne conosco anch’io, basta a confondermi”. Ed è per questo che anche nella circostanza dell’ottantesimo vi preghiamo di lasciarci quasi nell’ombra del grande nostro predecessore Pio IX, di cui amiamo leggervi una testimonianza che teniamo nelle nostre note personali.
“La sua salute è perfetta” scriveva Luigi Veuillot. “Egli conversa con tanta finezza che bontà. Il suo occhio riconosce sempre i suoi amici, nella folla, ed ama dire di averli veduti qua e là. La sua mano, che pure sostiene una così gran parte di peso del mondo, non trema affatto. Il suo orecchio ascolta e comprende il cuore commosso di rispetto e di amore di chi gli parla a bassa voce. Il suo spirito è presente a tutto, e ricorda tutto, tranne le ingiurie” [Louis Veuillot, Rome pendant le Concile, ed. Lethielleux, Paris 1927, p. 366]» (Discorsi…, op. cit., III, pp. 50-51).

6. Nella stima riverente di Giovanni XXIII, il pontefice dell’Immacolata e del Vaticano I fu il papa del magistero e della strenua difesa della fede, colui che osò convocare la grande assise ecumenica in tempi procellosi, proprio perché la sua fede era solida come la roccia: «All’annunzio del Concilio ecumenico Vaticano I (1869-1870) vi fu chi, con voce ritenuta tra le più risonanti del tempo, non esitò a scrivere al Sommo Pontefice che se un concilio poteva comprendersi agli albori del cristianesimo, come fu il primo Concilio di Nicea (325), un simile avvenimento, indetto nei tempi moderni, poteva significare soltanto la fine della Chiesa. Ma il Signore ha pienamente smentito l’incauto presagio. La Chiesa vive ed è più che mai fiorente nel mondo, anche se non mancano ostacoli, contrarietà, martiri» (Discorsi…, op. cit., IV, p. 677).

«L’importante è di basarsi saldamente sul più vitale ed eccellente principio: il Vangelo da una parte; l’insegnamento, la cultura dall’altra. Come a proposito sovveniva la squisita parola d’ordine del sommo pontefice Pio IX: “Illuminate, illuminate, illuminate!” prodigarsi, cioè, non solo a dissipare le tenebre dell’ignoranza e dell’errore, ma anche a fornire non effimeri luccichii, bensì corroboranti fulgori» (Discorsi…, op. cit., I, p. 634).
«Oh! grande Pio IX, amabile e forte, custode inflessibile della verità, e previdente apostolo dei tempi moderni! quale esempio continua a darci di vera grandezza, di costanza tenace, di illuminata prudenza, a conforto e incoraggiamento delle nostre umili, ma generose intraprese!» (Discorsi…, op. cit., pp. 9-10).

7. È stato detto che Giovanni XXIII avrebbe fatto una certa pressione sulla congregazione preposta alle cause dei servi di Dio, avrebbe anzi, addirittura segnato per iscritto la circostanza in cui avrebbe dovuto aver luogo la beatificazione di Pio IX. Pressione è termine equivoco; non si addice alla natura, al temperamento, alla formazione di Giovanni XXIII. È risaputo, invece, che egli chiese spesso, potremmo aggiungere ansiosamente, anche per rispondere a sollecitazioni che gli venivano da distinte persone: «Ditemi quali obiezioni si fanno alla conclusione della causa, quali scogli realmente si presentano, se sormontabili o meno».

Ritengo importantissime, anche se contenenti notizie conosciute, due lettere di monsignor Alberto Serafini, a me indirizzate, ulteriore testimonianza dell’interessamento di Pio XII e Giovanni XXIII per questa “benedetta” causa. Esse meritano attento studio, perché lasciano trasparire i contorni precisi della coscienza di papa Pacelli e di papa Roncalli a questo proposito.

È dunque provato che Giovanni XXIII volesse ad ogni costo beatificare Pio IX? E in quale circostanza avrebbe desiderato l’auspicata glorificazione? L’indicazione, nel senso di voto ardente del cuore, riguardava la chiusura del Concilio Vaticano II, che avrebbe dovuto essere, nella mens di Giovanni XXIII, una solenne celebrazione della santità della Chiesa cattolica, una grande festa di ognissanti: provenienti da ogni popolo, lingua ed area culturale. Espresse questo voto a voce e per iscritto numerose volte: come il 25 agosto 1959, primo anno del suo pontificato, a Genazzano, rievocando la visita fatta a quel santuario della Mater Boni Consilii dall’angelico Pio, novantacinque anni innanzi: «Pio IX: ecco un nuovo motivo di preghiera al Signore perché, se a lui piacerà, si degni di affrettare il giorno della glorificazione anche in terra del grande e venerato Pontefice» (Discorsi…, op. cit., I, p. 785).

Passeranno tre anni. Il 22 agosto 1962 in udienza pubblica, ricordando la festa del Cuore immacolato di Maria, Giovanni XXIII farà riapparire dinanzi alla commossa assemblea il Papa dell’Immacolata, nuovamente compromettendosi sul tema della glorificazione del servo di Dio: «Eccelsa e nobile figura di pastore, del quale fu anche scritto, nell’avvicinarlo all’immagine di nostro Signore Gesù Cristo, che nessuno fu più di lui amato e odiato dai contemporanei. Ma le sue imprese, la sua dedizione alla Chiesa rifulgono oggi più che mai; unanime è l’ammirazione: mi conceda, cioè, il Signore il grande dono di poter decretare gli onori dell’altare, durante lo svolgimento del XXI Concilio ecumenico a colui che indisse e celebrò il XX, il Vaticano I» (Discorsi…, op. cit., IV, p. 849).

Nel conchiudere questa timida esposizione, riprendo il mano Il giornale dell’anima di Giovanni XXIII, la raccolta delle «espressioni immediate, candide e pie della sua intima cronaca spirituale» (Insegnamenti di Paolo VI, XI, 1973): il libro cioè delle effusioni spontanee di un ecclesiastico mite e forte, pio e zelante; e mi soffermo su quattro righe, stilate nel raccoglimento del suo ritiro spirituale del 1959, riassumenti lo stato d’animo del Pontefice, ben consapevole, per lunga esperienza, che la croce è inscindibile dal servizio: «Io penso sempre a Pio IX di santa e gloriosa memoria: ed imitandolo nei suoi sacrifici vorrei essere degno di celebrarne la canonizzazione».

Giovanni XXIII non celebrò l’auspicata glorificazione di Pio IX. Ci si è arrivati oggi, ma la beatificazione in sé importa sino a un certo punto: vale assai più la pubblicazione di carteggi e di testi, affidata alla decifrazione di persone rette e giudiziose, affinché, in prosieguo di tempo, il personaggio si riaffacci alla ribalta della storia nei suoi contorni più nitidi e sia consentita una più esatta definizione della sua personalità. In tal modo verrebbe, inoltre, dimostrato che i suoi devoti sono ansiosi di verità non di trionfalismi; che la comunità dei fedeli vuol trarne edificazione e incoraggiamento; che la Chiesa non ha nulla da temere dalla scoperta di un’ombra quando il quadro nel suo insieme risultasse luminoso.

Credo di poter asserire che questo fosse, in concreto, il pensiero di Giovanni XXIII: nessuna ansietà pretenziosa da parte sua di pronunciare un giudizio definitivo ed inappellabile; ma egualmente nessuna negligenza nell’impostazione e nel prosieguo dell’indagine, essendo noi doverosamente invitati ad individuare i “segni dei tempi” e a scoprire in ciascuno di essi, persona o episodio, il nascosto disegno della Provvidenza. Nel caso potrebbe trattarsi della divina rivelazione, più convenientemente presentata, della libertà religiosa strenuamente difesa, della incontaminata devozione mariana, dell’unione col papa, del servizio apostolico.

Ho finito. Mi accade sovente di salire dalle Marche sino al valico umbro, per ridiscendere di là nella meravigliosa vallata spoletana, cantata da Francesco d’Assisi: «Nihil iucundius vidi valle mea spoletana»; e di rivivere, come in sogno, l’itinerario lauretano-assisano compiuto da papa Giovanni nel 1900 e nel 1962. Allora, ripercorrendo a ritroso alcuni decenni, mi immagino di incontrare uno studente di teologia chino sui rozzi banchi di un’improvvisata aula di caserma, mentre svolge il suo componimento d’italiano agli esami per la promozione a sergente: “La presa di Spoleto da parte delle truppe italiane (1860)”. E risento la voce melodiosa che a distanza di oltre sessant’anni commentava quell’episodio non senza una vena di humour: «Allo scritto me la cavai discretamente con i fatti d’arme di Spoleto.
Ma nella esercitazione pratica, dovendo comandare l’attacco del mio plotone all’assalto, poco mancò che i soldati, se avessero fatto sul serio, si infilzassero l’uno l’altro… Decisamente il comando militare non mi era congeniale».


Caro papa Giovanni! Sorridevate compiaciuto ai ricordi della vostra innocente giovinezza, e di questo vostro esame di sergente.
Chiamato ad essere il vicario del Principe della pace, la pace irradiava dal vostro volto, dal vostro sorriso, dal vostro servizio....


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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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19/04/2015 16:07
 
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[SM=g1740717] RADIOMESSAGGIO DEL SANTO PADRE
GIOVANNI XXIII
AI FEDELI DELLE TRE VENEZIE
RIUNITI IN PREGHIERA
NELLA BASILICA D'ORO E IN PIAZZA SAN MARCO,
PER VENERARE LE SPOGLIE
DI SAN PIO X*

Domenica, 10 maggio 1959



Diletti figli,

Sul chiudersi delle celebrazioni in onore di San Pio Decimo, eccoCi di nuovo tra voi, non soltanto per mezzo del Nostro degnissimo Cardinale Legato e della Missione Pontificia, ma altresì con la Nostra voce e con la tenerezza del Nostro cuore.

L'undici aprile, circondati dalla venerabile assemblea dei Cardinali residenti nell'Urbe, vi consegnavamo il sacro tesoro delle Spoglie mortali del grande Pontefice, lasciando intendere che, come risposta alle nostre preghiere, qualcosa di misterioso e di lieto stava per maturare su questo passaggio attraverso le vie d'Italia.

Le parole parvero profetiche. Ad un mese di distanza possiamo ben ripetere, e l'eco risuona dappertutto, che veramente qualcosa di soprannaturale si è fatto sentire sopra le nostre teste e nelle intimità dei cuori.

Voi ne foste testimoni, Nostri cari figli di Venezia; e Noi seguimmo giorno per giorno la realizzazione perfetta di quelle parole della Sacra Liturgia, che sono espressione viva del comune sentimento: Sancii tui, Domine, nos ubique laetificant.

Fu una letizia santa e benedetta, come quando la grazia passa sulle anime, le penetra e le esalta.

Nel 1903, partendo per il Conclave, il Cardinale Patriarca Sarto disse che sarebbe tornato. É tornato infatti, ed ha rinnovato nella sua diletta Venezia, ed in tutta la regione Triveneta, il prodigio della sua azione pastorale così penetrante, che edifica e santifica. Benediciamone Iddio.

Lungo le rive dei fiumi, su cui passarono alluvioni improvvise e straordinarie, furono incise talvolta sulla pietra viva parole di ricordo come queste: — Sin qui, a questa altezza, si sono sollevate le acque.

Forse mai nella storia di Venezia fu dato constatare un fenomeno di così alto e sincero fervore religioso, come per questo postumo passaggio di un Patriarca santo ed acclamato dopo quasi mezzo secolo dalla sua morte, perciò Pastore umile e grande nella Chiesa del Signore.

Su una delle pietre di San Marco fate scolpire, ad edificazione dei posteri : — Anno Domini 1959: 12 aprile-10 maggio: intorno al Corpo di San Pio Decimo, già Patriarca nostro e Papa della Chiesa universale: fluminis impetus laetificavit civitatem Dei.

Che conforto anche per i cittadini di Roma, che letizia universale l'assistere alla visione edificantissima delle accoglienze veneziane all'antico Pastore che tornava glorificato! Tutto fu notato e piacque: anche quella commovente cooperazione di Sampietrini e Gondolieri, associati nel levare in alto le sacre Spoglie del Pontefice Santo, e lo scorgere nel gesto il simbolo della ininterrotta peregrinatio di tutte le classi sociali, di tutte le età, di tutte le sofferenze ed umane speranze, poste intorno all'altare benedetto, ad espressione della unità della fede nello stesso linguaggio della preghiera, e del proposito fermo e deciso della mutua fraternità cristiana, che deve vivificare l'umano consorzio.

Figli di Venezia! Mentre vi apprestate a riaccompagnare il Santo, lungo la via regale del Canal Grande, per il suo ritorno a Roma, attraverso le trionfali manifestazioni che lo attendono sulla porta di molte città d'Italia, lasciate che ancora una volta vi ringraziamo dello spettacolo vibrante e pio, che avete offerto.

A Roma le sacre Spoglie sono attese con esultanza. L'esempio mirabile di devozione, di cui il popolo Triveneto le ha rese oggetto, è motivo di anche più fervorosa emulazione in tutta la Santa Chiesa.

Col Santo Padre Pio Decimo, che partendo vi saluta e vi benedice, anche il di lui piccolo ed umile successore così a Venezia, come qui sulla Cattedra di San Pietro, ancora una volta vi saluta e vi benedice.

I vostri due Patriarchi dal nome comune di Giuseppe, divenuti Pontefici Romani col nome di Pio e di Giovanni, uno beatissimo in cielo, l'altro umilmente e ansiosamente inteso allo stesso compito di pastore universale fra le vie aspre e difficili della terra, insieme vi incoraggiano e vi assicurano della loro paterna affezione, che voi sapete del resto così bene meritare.

Il Santo Padre Pio Decimo, scrivendo al Sindaco Grimani, gli diceva con mesto sorriso delle parole la sua gioia di stare come in ascolto lontano, da Roma, delle campane di San Marco: quelle del mattino e della sera, quelle del lavoro, e quelle della letizia e del pianto: così il vostro più recente Patriarca, divenuto Papa, ama mantenersi familiare col suo pensiero ai ricordi del suo più breve, ma pur tanto consolante, ministero pastorale di Venezia: con gli occhi dell'anima contemplanti la stupenda paradisiaca Basilica d'Oro, fattasi più accogliente per le grandi assemblee liturgiche, e da San Marco rivolti a tutti i Sestieri della città, alle isole, alla terraferma, al litorale, alla campagna, alle città sorelle delle Tre Venezie, a cotesta diletta porzione della Santa Chiesa, che era e Ci resta familiare e cara.

Voglia Iddio, per la intercessione della Vergine Madre, dei Santi Apostoli ed Evangelisti, e particolarmente di San Pio Decimo, che si compia sempre per tutti voi la promessa biblica: Benedictio patris fortificat domum filiorum.

Con questi sentimenti e voti paterni, di cuore impartiamo al Signor Cardinale Legato, alla Missione Pontificia, al Clero, ai Seminaristi, alle Autorità della Regione, al popolo tutto, — con un tocco di speciale preferenza, che Ci vorrete concedere, ai bambini, ai poveri, agli ammalati, ai sofferenti — la Nostra Apostolica Benedizione, propiziatrice di grazie celesti e di grandi consolazioni.



* AAS. vol. LI, 1959, pp. 373-375.



**********************


DISCORSO DEL SANTO PADRE GIOVANNI XXIII
AL CLERO E ALLE AUTORITÀ CIVILI,
RACCOLTI IN PREGHIERA
DINANZI ALLE VENERATE SPOGLIE
DEI SANTI PIO X E GIOVANNI BOSCO*

Basilica Vaticana
11 maggio 1959



Venerabili Fratelli e diletti figli!

Lo spettacolo che questa sera si offre alla contemplazione dei Nostri occhi Ci riempie l'animo di profonda e commossa esultanza. La grande piazza della Basilica di S. Pietro, che da secoli apre le sue braccia marmoree al saluto delle folle oranti e pellegrine, invitandole al raccoglimento ed alla preghiera, riceve in questo vespero i due Santi gloriosi e tanto cari al cuore delle moltitudini cristiane: S. Pio X, Pontefice Romano, e S. Giovanni Bosco, apostolo della gioventù.

Lo spazio, recinto dal colonnato possente del Bernini, è trasmutato in quest'ora come in un tempio solenne, in un altare di preghiera e di lode. Vi tornano le venerate spoglie del Pontefice Santo, dopo un mese, di quella che quasi vorremmo chiamare l'ultima visita pastorale nel Patriarcato che un giorno fu suo; ed in coincidenza felice di eventi, esse si incontrano coi resti mortali di S. Giovanni Bosco, che, portato dalla pietà dei suoi figli nella chiesa a lui recentemente dedicata nel quartiere Tuscolano, sta per ritornare alla sua Torino.

Con viva soddisfazione dell'animo, ed anche con la personale partecipazione della parola, dello scritto e della presenza, abbiamo seguito giorno per giorno le due solenni manifestazioni, che tanto fervore e tanta devozione hanno ovunque suscitato nell'eco diffusa in tutto il mondo: Venerabili Fratelli Nostri e diletti figli, consentite che nel momento conclusivo, che accosta in significazione così singolare ed amabile i due luminosi modelli di santità dei tempi nostri, abbiamo a rilevare lo spirituale valore dell'odierna circostanza.

1. Per quanto si riferisce a Pio X, la scena edificante di questa sera, è in tutto degna delle prime pagine del Libro Divino: degna di essere comparata a quel capo cinquantesimo del Genesi, dove è detto che i figli di Giacobbe accompagnarono per la deposizione definitiva la salma del loro Patriarca alla tomba duplice, che Abramo si era fatto per sé e per i suoi in terra di Canaan, nel campo di Efron Eteo, in faccia a Mambre [1].

Non diversamente i figli di Venezia, a cui per distinto segno di affezione avevamo concesso il grande favore, e il grande onore, di trasferire per breve tempo nelle Lagune, le spoglie sante di Papa Pio X, già loro insigne Patriarca, prima che Pontefice glorioso della Chiesa universale, come per aiutarlo al compimento di una sua antica promessa, eccoli ora pronti, in perfetta fedeltà, alla restituzione del sacro pegno, perchè, ricomposto nella Basilica di S. Pietro, prosegua di qui una sopravvivenza di intercessione per quanti lo invocano, e di edificazione e di letizia per tutto il popolo cristiano.

Ma quale grandezza, quale trionfo in questa postuma peregrinazione del Patriarca antico presso la sua buona gente Veneta: quale spirituale esaltazione sul suo passaggio presso le porte delle principali città, disposte lungo il suo cammino da Venezia a Roma: e qui in Roma, quanta cordialità devotissima ed entusiastica di accoglimento, sì da farCi ripetere più volte : « Mirabilis Deus in sanctis suis ! » [2].

Nulla è mancato invero alla solennità di questo ritorno e di questo ricevimento: innanzitutto la turba, non solo « non modica », ma imponentissima; e i « currus et equites » pazienti o scalpitanti, poiché tutte le forme moderne di trasporto furono messe in azione, a renderlo più rapido e solenne.

Grande benedizione fa questa per le genti Venete, e per la gente Italica: apostolato efficacissimo di verità, di pietà religiosa e di pace!

Il rilevarlo, oltre al riuscire di profonda soddisfazione al Nostro spirito, Ci apre il cuore alle più liete speranze.

La vita dei Santi che il Signore ha la bontà di donare di tratto in tratto alla sua Chiesa, ritrae moltissimo dalla varia configurazione dei luoghi, dei tempi e degli uomini, tra cui questi esseri privilegiati e generosi vissero e moltiplicarono le virtù predare ed i buoni esempi, di cui si arricchisce il patrimonio spirituale di un popolo forte e cristiano.

E per questo, Venerabili Fratelli e diletti figli, che ringraziando Iddio per le ricchezze immense, moltiplicate da questo passaggio delle sacre spoglie di un santo Pontefice, Noi le accogliamo nel loro ritorno all'Urbe, e le ricomponiamo con commossa riverenza, qui dove continueranno ad essere oggetto di venerazione da parte dei pellegrini di tutto il mondo.

Ad alcuni Santi più illustri nella Chiesa di Dio sono riservati talora compiti eccezionali che si prolungano nei secoli. Ogni Santo poi ha la sua provvidenziale missione da compiere, ha una sua fisionomia, che lascia una particolare impronta nel tempo suo, e che talora si estende anche nell'ordine materiale e temporale.

Pio X è tutta una glorificazione dei compiti pastorali; e ad osservare minutamente gli undici anni del suo governo di Pontefice Sommo, se ne deduce una tale molteplicità e pienezza di saggi provvedimenti per la struttura interna della amministrazione ecclesiastica, per il rinvigorimento della pietà religiosa del clero e del popolo, per l'esercizio della carità e del ministero pastorale, da riempire l'anima di ammirazione e di stupore. A lui si potrebbe bene applicare come a pastore insigne, vigilante e incomparabile, il trinomio in cui un altro dei suoi più lontani antecessori, in tempi più difficili ed aspri dei nostri, riassumeva la Chiesa Santa, quale egli la volle, ed in parte l'ottenne: cioè: « libera, casta, catholica ».

Ed eccolo ora, il santo Pio Decimo, come l'antico Patriarca Giacobbe, in faccia a Mambre, « in possessionem sepulcri », e per sempre: eccolo al cospetto del popolo suo, di questa sua « gens sancta », di questo « regale sacerdotium », di questo « populus acquisitionis », — così S. Pietro lo chiamava — a rammentare, come il morente Patriarca ai figli suoi esuli in terra straniera, i precetti del Signore.

Egli è qui: e la sua voce, che giunge dal seno di Dio, ricorda a tutti i cristiani la giusta via da seguire: l'apprezzamento esatto, che deve farsi delle cose terrene, e cioè non in vista semplicemente ed esclusivamente della prosperità materiale, ma nella preparazione, per ciascun uomo, del suo ritorno alla Casa del Padre, per cui tutti fummo creati, e segnati in fronte del divino sigillo della grazia.

O glorioso Pontefice nostro Pio! Eccoci innanzi alla tua tomba, al tuo altare. Nel rito di ricomporti nella pace serena e benefica dei Santi del Signore, Ci stanno intorno i Principi della Santa Chiesa, residenti nell'Urbe, componenti il Sacro Collegio dei Cardinali: e accanto a loro i primi e più preziosi e diletti collaboratori del governo ecclesiastico. Si aggiunge la distinta schiera dei prelati, Nostri e loro infaticabili cooperatori ; dei sacerdoti specialmente consacrati al servizio delle anime, nei diversi gradi dell'ecclesiastico ordinamento parrocchiale: e i cori vibranti della gioventù novella, qui convenuta da ogni punto della terra ad educarsi alle conquiste dell'avvenire del Regno di Cristo nella Chiesa; ed infine la folla, la folla devotissima e pia, dei fedeli dell'Urbe e dell'orbe, che un fascino egualmente nobile e potente di ammirazione e di amore attira verso la tua protezione, o Padre Santo. Sii per tutti, o Santo Pio X, amico, ispiratore, intercessore.

2. Accanto a San Pio X, già lo dicemmo, Noi porgiamo egualmente tributo affettuoso di venerazione e di esultanza, in mirabile unanimità di sentimenti e di affetti, a San Giovanni Bosco.

Una felice concomitanza di significati preparò il suo ritorno nell'Urbe, a cento anni di distanza dalla sua prima venuta. L'umile sacerdote dei quartieri popolari di Torino non era sconosciuto, quando la prima volta capitò a Roma.

Per il popolo, Don Bosco fu sempre il prete dei ragazzi, dei giovani, che è quanto dire il sacerdote tutto dedito alla loro istruzione religiosa, alla educazione morale, alla formazione alle virtù civiche ed al lavoro. In questo, egli con sapiente lungimiranza vedeva la prosperità futura della Chiesa e della società e vi si applicò con dolcezza conquidente e ferma dirittura.

Ma per chi sapeva leggere a fondo, Don Bosco si mostrò subito, insieme che della giovinezza, il sacerdote del Papa: il prete Romano, sì da far dire nella sua città, con una punta di gelosia: « Roma ti ammira: Torino ti ama ». A distanza di tanti anni, nell'irradiazione luminosa della sua figura e della sua Opera, ben a ragione si può dire, quasi correggendo la frase geniale : u Tutto il mondo ti ammira: tutto il mondo ti ama ».

Don Bosco è tuttora vivo nell'incanto che egli esercita sulle anime giovanili. Egli infatti ebbe la rara capacità di raccogliere e capire le aspirazioni della giovinezza. Non è vero che questa voglia sempre strafare, imporsi alla luce della dottrina, all'indirizzo della buona disciplina. Al contrario, essa vuole essere compresa con intelletto benevolo, guidata con braccio robusto, con parola sincera : vuol trovare cuori che la amino e la stimino, aiutandola dolcemente e fermamente nella ricerca di ciò che è veramente importante nella vita ; nella vita presente e nella direzione verso la futura.

Ciò è apparso con Nostro profondo compiacimento nella giornata radiosa di Domenica 3 maggio, quando, tra le più che centomila persone che Ci attorniavano al quartiere Tuscolano, la maggior parte erano giovinezze vibranti, che acclamavano il Papa, e nel Papa la perenne giovinezza della Chiesa. Ripensando a questa magnifica realtà, ripetiamo ai giovani le parole di Pio IX, che fu il Pontefice dei tempi di Don Bosco : « Noi siamo con voi ». Il Papato, per cui Cristo governa le anime, ha il suo fondamento non nelle dimensioni territoriali di uno Stato, ma nelle espressioni di attività missionaria apostolica, caritativa, nelle forme di vita in cui si plasmano per il domani le anime giovanili.

In questa sera di commozione e di amore, l'inno di gratitudine si eleva a Don Bosco, apostolo della gioventù, e con lui a tutti i fondatori e condottieri di istituzioni antiche e moderne, che dispiegano in Roma e nel inondo le loro energie alla educazione delle generazioni novelle con la sicurezza di un'alba sempre promettente di vita, di attività e di perfezione cristiana.

Venerabili Fratelli e diletti figli!

Sulla soglia di questa Basilica, presso le tombe degli Apostoli, dei Martiri, dei Dottori insigni, a cui si volgono gli sguardi dei fedeli cattolici di tutto il inondo. Noi risentiamo in quest'ora, a monito solenne e ad incoraggiamento suadente, le profetiche parole della Liturgia: — vidi coniunctos viros, habentes splendidas vestes, et Angelus Domini locutus est ad me dicens: isti sunt viri sancti fatti amici Dei. —

Eccoli insieme questi amici di Dio, dopo il viaggio mirabile della loro esistenza terrena, durante la quale si conobbero e si amarono: eccoli, dopo la peregrinazione di questi giorni da Roma a Venezia, da Torino a Roma.

In vero la supplicazione Ci sale commossa alle labbra: — Sancti tui, Domine, mirabile consecuti sunt iter. —

Il viaggio di questi Santi si è compiuto, anche nel voto di un incontro di S. Pio X con i suoi Veneziani, e di S. Giovanni Bosco con quella popolazione dell'Urbe affidata al ministero pastorale dei figli suoi.

Diletti figli! Come gli occhi si volgono a queste urne gloriose, così i passi di ciascuno di noi si dispongono a proseguire il cammino verso il compimento della vocazione terrena ed eterna.

Sancte Pie, ora pro nobis: Sancte Ioannes, ora pro nobis. O Santi del Signore ! pregate per la Chiesa tutta intera, che vi acclama e vi venera; pregate perchè ciò che fu in cima ai vostri pensieri, ciò che fu l'applicazione costante del vostro lavoro apostolico sia sempre l'impegno nostro per la purezza della fede, per la santità del costume, per la carità dei rapporti fraterni e sociali. Pregate perchè si moltiplichino le buone famiglie, che danno alla Chiesa ed alla società i servitori generosi e fedeli; pregate perché gli uomini tutti, meditando pensieri di pace, giungano alla ferma convinzione che soltanto la bontà mite e generosa scioglie ciò che è arduo e difficile, rafforza i vincoli della fraternità, conquista i cuori, salva le famiglie ed i popoli.

* AAS. vol. LI, 1959, pp. 367-371.

[1] Gen. 50, 13.

[2] Ps. 67, 36.



www.youtube.com/watch?v=0BCnSQqyGvQ







[SM=g1740738]

[Modificato da Caterina63 19/04/2015 18:22]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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