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San Giovanni della Croce, Salita del Monte Carmelo

Ultimo Aggiornamento: 07/09/2012 18:54
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07/09/2012 17:38
 
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CAPITOLO 12

Ove si risponde a un’altra domanda, dicendo quali sono gli appetiti sufficienti a provocare nell’anima i suddetti danni.

1. Potrei dilungarmi molto su questa materia della notte dei sensi, analizzando ancora altri danni che causano gli appetiti, non solamente sotto gli aspetti già considerati, ma altresì sotto molti altri. Tuttavia, per lo scopo che mi sono prefisso, basta quanto è stato detto. Mi sembra, infatti, d’aver spiegato sufficientemente perché la mortificazione degli appetiti si chiami notte e quanto sia opportuno entrare in essa per andare a Dio. Per concludere questa parte, rimane solo da risolvere qualche dubbio che potrebbe sorgere nella mente del lettore su ciò che ho detto, prima di affrontare il modo di entrare in questa notte.

2. Anzitutto ci si potrebbe chiedere se basti un qualsiasi appetito a produrre e causare nell’anima i due mali sopracitati, cioè quello privativo, che priva l’anima della grazia di Dio, e quello positivo, che provoca in essa i cinque danni principali, dei quali, appunto, ho parlato. In secondo luogo ci si potrebbe chiedere se sia sufficiente qualsiasi appetito, per quanto piccolo e di qualsiasi genere, a causare tutti questi cinque danni insieme, oppure se alcuni appetiti causino determinati danni, e altri danni diversi; per esempio, se alcuni causino tormento, altri stanchezza, altri tenebra, ecc.

3. Per rispondere al primo dubbio circa il danno positivo, dico che solo gli appetiti volontari, aventi per oggetto il peccato mortale, possono privare l’anima di Dio e lo fanno totalmente. Essi, infatti, privano l’anima della grazia in questa vita e nell’altra della gloria, cioè del possesso di Dio. Al secondo dubbio rispondo affermando che sia gli appetiti in materia di peccato mortale sia quelli volontari in materia di peccato veniale o di imperfezione sono sufficienti a provocare nell’anima tutti questi danni positivi insieme. Li chiamo positivi, sebbene in un certo senso siano privativi, perché si riferiscono all’anima che si volge alle cose create, come il privativo di riferisce al suo allontanamento da Dio. Ma c’è una differenza: gli appetiti, aventi per oggetto il peccato mortale, causano cecità totale, tormento, sporcizia e debolezza, ecc.; mentre quelli aventi per oggetto i peccati veniali o l’imperfezione non causano questi mali in forma assoluta e in sommo grado, perché non privano l’anima della grazia, da cui dipende la loro presenza. La morte della grazia è, infatti, la vita degli appetiti. Tuttavia essi provocano nell’anima qualcosa di tali mali gradualmente, a mano a mano che diminuisce in essa la grazia. In questo modo, più un appetito riduce l’azione della grazia, più grave è il tormento, la cecità e l’impurità che procura all’anima.

4. Va notato, però, che, sebbene ciascun appetito causi tutti questi mali che ho chiamato positivi, tuttavia ve ne sono alcuni che ne provocano uno in modo principale e diretto, dal quale poi derivano tutti gli altri. Sebbene sia vero che un appetito sensuale causi tutti questi mali, è altrettanto vero che principalmente e propriamente esso insudicia l’anima e il corpo. Tutti questi danni li provoca anche l’appetito dell’avarizia, ma principalmente e direttamente esso genera afflizione. Allo stesso modo, sebbene un appetito di vanagloria, come gli altri, sia causa di tutti quegli effetti, principalmente e direttamente, però, esso provoca tenebre e cecità. Infine, sebbene un appetito di gola generi i suddetti mali, principalmente provoca tiepidezza nella virtù. Lo stesso vale per gli altri appetiti.

5. Qualsiasi atto volontario degli appetiti produce, dunque, nell’anima tutti questi effetti insieme, perché è direttamente contrario agli atti di virtù che producono nell’anima gli effetti contrari. Come un atto di virtù produce nell’anima e genera allo stesso tempo soavità, pace, consolazione, luce, purezza e forza, così un appetito disordinato causa tormento, fatica, stanchezza, cecità e debolezza. Tutte le virtù crescono quando se ne pratica una, e tutti i vizi, insieme agli effetti da essi lasciati nell’anima, crescono con l’aumentare di uno di essi. E sebbene nel momento in cui si soddisfa quell’appetito non si riescano a vedere tutti questi mali, perché il piacere provato non lo consente, tuttavia prima o poi se ne avvertono le conseguenze. Tale verità viene chiaramente insegnata nell’Apocalisse, quando l’angelo comanda a san Giovanni di mangiare un libro, che gli sembrò dolce nella bocca e amaro nelle viscere (Ap 10,9-10). Infatti, quando l’appetito viene soddisfatto è dolce e sembra buono, ma dopo se ne avvertono i suoi amari effetti. Questo lo può ben dire chi si lascia trasportare dalle passioni. Non ignoro, tuttavia, che esistono persone tanto cieche e insensibili da non sentire tale amarezza, perché, non curandosi di andare a Dio, non si preoccupano degli ostacoli che li separano da lui.

6. Qui non tratterò degli appetiti secondo natura, che sono involontari, né dei pensieri che rimangono allo stadio di moti primi, né di altre tentazioni alle quali non si acconsente, perché tutti questi non recano nessuno dei mali suddetti all’anima. La persona che li subisce, a causa della passione e del turbamento che in quel momento le provocano, può pensare che la stiano sporcando e accecando, ma non è così; anzi, le procurano i vantaggi contrari. Opponendo resistenza ad essi, infatti, acquista fortezza, purezza, luce, consolazione e molti altri beni, secondo quanto il Signore ha insegnato a san Paolo: La virtù si manifesta pienamente nella debolezza (2Cor 12,9). Quanto agli appetiti volontari, essi provocano tutti i mali di cui abbiamo parlato e molti altri. Per questo la preoccupazione principale dei maestri di spirito è quella di mortificare nei loro discepoli qualsiasi appetito, invitandoli a privarsi della soddisfazione dei loro desideri, per liberarli da una miseria così grande.

 

CAPITOLO 13

Ove si tratta del comportamento che l’anima deve seguire per entrare in questa notte dei sensi.

1. Non mi resta, ora, che offrire alcune norme, perché l’anima sappia e possa entrare in questa notte dei sensi. A tale proposito, occorre sapere che l’anima abitualmente entra in questa notte dei sensi in due modi: uno attivo e l’altro passivo. Quello attivo comprende tutto ciò che l’anima può fare e fa da sola per entrare nella notte. Ne tratterò subito nelle norme che seguiranno. Quello passivo, invece, si verifica quando l’anima non fa nulla da sé, ma resta passiva all’azione di Dio. Di questa tratterò nel libro quarto, quando si parlerà dei principianti. E poiché là, a Dio piacendo, darò molti suggerimenti ai principianti, secondo le molte imperfezioni in cui abitualmente cadono lungo questo cammino, qui non mi dilungo. Del resto, questo non è il luogo più opportuno per dare tali suggerimenti, perché qui ci occupiamo di conoscere solo i motivi per cui questo passaggio si chiami notte, in che cosa essa consista e in quante parti si divida. Perché la mia esposizione non appaia troppo breve e poco utile alle anime, proporrò loro alcuni mezzi o norme necessarie per esercitarsi in questa notte degli appetiti. Ho voluto fornirli qui di seguito in forma succinta. Lo stesso farò alla fine delle altre due parti o cause di questa notte, di cui mi propongo di trattare con l’aiuto di Dio.

2. I suggerimenti seguenti, necessari per vincere gli appetiti, sebbene siano brevi e pochi, sono, a mio avviso, molto utili ed efficaci quanto concisi. Chi, dunque, volesse davvero metterli in pratica, non ne avrà bisogno di altri, perché questi li comprendono tutti.

3. In primo luogo, occorre coltivare un costante desiderio d’imitare Cristo in ogni azione, conformandosi alla sua vita, sulla quale bisogna riflettere per saperla imitare e per comportarsi come lui si comporterebbe.

4. In secondo luogo, per ben riuscire in quest’intento, occorre rinunciare a qualsiasi piacere che si presenti ai sensi, che non sia unicamente a onore e gloria di Dio. Occorre liberarsene per amore di Gesù Cristo, che in questa vita non ebbe né cercò altro piacere che fare la volontà del Padre suo, che egli chiamava suo cibo e sua bevanda (Gv 4,34). Se, per esempio, si presenta un’occasione di ascoltare con piacere cose che non servono al servizio e all’onore di Dio, si rinunzi al gusto di ascoltarle. Se, poi, si offre il piacere di guardare cose che non aiutano ad amare di più Dio, si reprima il desiderio di guardarle. Ci si comporti allo stesso modo nel parlare, nel compiere qualche altra azione o nel soddisfare qualche altro senso, per quanto sarà possibile. Se ciò non fosse possibile, basta non assaporarne il gusto delle cose che non si possono evitare. In questo modo, occorre mortificare e liberare i sensi dalle soddisfazioni, come se li si lasciasse al buio. Così facendo, in breve tempo si progredirà molto.

5. Per mortificare e placare le quattro passioni naturali, che sono la gioia, la speranza, il timore e il dolore, dalla cui concordia e pacificazione derivano questi e altri beni, è rimedio efficace, fonte di grande merito e causa di grandi virtù mettere in pratica quanto segue.

6. Procuri l’anima di tendere sempre:

            non al più facile, ma al più difficile;

            non al più saporito, ma al più insipido;

            non al più piacevole, ma al più disgustoso;

            non al riposo, ma alla fatica;

            non al conforto, ma allo sconforto;

            non al più, ma al meno;

            non al più alto e pregevole, ma al più vile e spregevole;

            non a voler qualcosa, ma a non voler nulla;

            non alla ricerca del meglio nelle cose terrene, ma al peggio, e desiderare in tutto nudità, vuoto e povertà di quanto v’è al mondo per amore di Cristo.

7. Occorre che l’anima abbracci di cuore queste norme e procuri di addestrarvi la volontà. Se, infatti, le metterà in pratica, in brevissimo tempo troverà in esse gran diletto e consolazione, e agirà con ordine e discrezione.

8. Per entrare nella notte dei sensi è sufficiente eseguire bene quanto ho detto. Ciò nonostante, per offrire più ampie spiegazioni, proporrò un’altra sorta di esercizi che insegnano a mortificare la concupiscenza della carne, la concupiscenza degli occhi e la superbia della vita, cose che secondo san Giovanni, regnano nel mondo (1Gv 2,16) e dalle quali derivano tutti gli altri appetiti.

9. Anzitutto, l’anima cerchi di lavorare al disprezzo di sé e di desiderare che lo facciano anche gli altri; questa pratica va contro la concupiscenza della carne. In secondo luogo, cerchi di parlare in proprio disprezzo e desiderare che anche gli altri si comportino allo stesso modo; questa pratica va contro la concupiscenza degli occhi. In terzo luogo, cerchi di pensare umilmente di sé fino al proprio disprezzo e di desiderare che anche gli altri facciano lo stesso; questa pratica va contro la superbia della vita.

10. A conclusione di questi suggerimenti e di queste norme, è opportuno riportare qui quei versi scritti sotto il disegno della Salita del Monte, riprodotto nelle pagine immediatamente prima di quest’opera. Essi racchiudono la dottrina per salire al suo vertice, cioè all’unione divina. Sebbene sia vero che ivi si parla del lavoro spirituale e interiore dell’anima, s’insegna anche a mortificare lo spirito d’imperfezione nel suo aspetto sensibile ed esteriore, come si può vedere nelle due vie poste ai lati del sentiero della perfezione. È in quest’ultimo senso che qui li intendiamo. Nella seconda parte di questa notte, invece, li interpreteremo in senso spirituale.

11. I versi dicono così:

            Per poter gustare il tutto,

            non cercare il gusto in nulla.

            Per poter possedere il tutto,

            non voler possedere nulla.

            Per poter essere tutto,

            non voler essere nulla.

            Per poter conoscere il tutto,

            non voler sapere nulla.

            Per raggiungere ciò che ora non godi,

            devi passare per dove non godi.

            Per arrivare a ciò che non sai,

            devi passare per dove non sai.

            Per arrivare al possesso di ciò che non hai,

            devi passare per dove non hai.

            Per giungere a ciò che non sei,

            devi passare per dove non sei.

METODO PER NON OSTACOLARE IL TUTTO

12.       Se ti fissi su qualcosa,

            tralasci di slanciarti verso il tutto.

            Se vuoi giungere per davvero al tutto,

            devi rinnegarti totalmente in tutto.

            E qualora giungessi ad avere il tutto,

            devi possederlo senza voler nulla.

            Se vuoi possedere qualcosa nel tutto,

            non hai il tuo unico tesoro in Dio.

13. In questa nudità la persona spirituale trova pace e riposo. Non desiderando nulla, nulla l’appesantisce nell’ascesa verso l’alto, nulla la sospinge verso il basso, perché è al centro della sua umiltà. Quando, invece, brama qualcosa, proprio per questo si affatica.

 

CAPITOLO 14

Ove si spiega il secondo verso della strofa:

            Con ansie, dal mio amor tutta infiammata.

1. Ho già spiegato il primo verso di questa strofa, che parla della notte dei sensi; ho pure detto che cosa intendere per notte dei sensi e perché si chiama notte. Si è parimenti indicato l’ordine e il comportamento da seguire per entrare attivamente in essa. Ora è il momento di trattare delle sue proprietà e dei suoi effetti meravigliosi, contenuti nei versi successivi di detta strofa. Perciò, come ho promesso nel Prologo, citerò e spiegherò brevemente questi versi; poi passerò al libro II, che tratta dell’altra parte di questa notte, cioè della notte dello spirito.

2. L’anima afferma, dunque che con ansie e dall’amor tutta infiammata, attraverso la notte oscura del senso, giunse all’unione con l’Amato. In realtà, per vincere tutti gli appetiti e mortificare le attrattive di tutte le cose create, per amore e affetto delle quali la volontà è solita accendersi allo scopo di goderne, era necessaria un’altra fiamma di un amore superiore, che è quello del suo Sposo. Riponendo in lui la propria gioia e la propria forza, trova vigore e costanza per negare facilmente tutti gli altri amori. Per vincere la forza degli appetiti sensibili, non basta all’anima il semplice amore per il suo Sposo; deve altresì ardere d’amore e stare in ansia per lui. Accade, infatti, come testimonia l’esperienza, che la sensibilità è talmente attratta verso le realtà sensibili da tante ansie di appetito che se la parte spirituale non è infiammata da un amore ancora più forte verso le realtà spirituali, non potrà spezzare il giogo della natura, né entrare in questa notte dei sensi, né avere il coraggio di starsene all’oscuro di tutte le cose, privandosi del loro piacere.

3. Non è possibile né opportuno dire in questo luogo quali e quanti siano i desideri d’amore che le anime nutrono agli inizi di questo cammino di unione; quali siano le attenzioni e gli espedienti da loro adoperati per uscire dalla propria casa, cioè dalla propria volontà, nella notte della mortificazione dei loro sensi; e, infine, quanto le ansie dello Sposo rendano facili, dolci e piacevoli le fatiche e i pericoli di questa notte. Poiché è meglio meditare e sperimentare tali cose più che descriverle, passerò alla spiegazione degli altri versi nel capitolo che segue.

 

CAPITOLO 15

Ove si spiegano gli altri versi della strofa:

            Oh, sorte fortunata!,

            uscii, né fui notata,

            stando la mia casa al sonno abbandonata.

1. L’anima ricorre a una metafora per indicare la triste situazione di schiavitù in cui essa giace; così reputa sorte fortunata quella di chi riesce a liberarsene senza che nessuno dei carcerieri glielo impedisca. Difatti, dopo il peccato originale, l’anima è veramente come prigioniera in questo corpo mortale, soggetta alla passione e agli appetiti naturali. Essa considera sorte fortunata l’essersi liberata dal loro dominio senza esser veduta, cioè senza che passione o appetito alcuno glielo abbia impedito o l’abbia trattenuta.

2. A questo scopo le è giovato entrare nella notte oscura, cioè privarsi di tutti i gusti e mortificare tutti i suoi appetiti, come ho detto. Quando aggiunge: stando la mia casa al sonno abbandonata, vuol dire che la casa, cioè la parte sensitiva, sede di tutte le passioni, è tutta addormentata, perché le ha vinte e tenute a freno. Ma fino a quando le passioni non sono assopite per mezzo della mortificazione della sensibilità, e la stessa sensibilità non è lasciata in pace da quelle, in modo da non fare alcuna guerra allo spirito, l’anima non può giungere alla vera libertà né godere l’unione con il suo Amato.

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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