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San Giovanni della Croce, Salita del Monte Carmelo

Ultimo Aggiornamento: 07/09/2012 18:54
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07/09/2012 17:55
 
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CAPITOLO 24

Ove si parla delle due specie di visioni spirituali che vengono a noi per via soprannaturale.

1. Parlerò adesso specificamente delle visioni spirituali che si formano nell’intelletto senza mediazione alcuna dei sensi corporali. Queste visioni sono di due specie: alcune hanno per oggetto sostanze corporee, altre sostanze semplici o incorporee. Le prime riguardano tutte le cose esistenti in cielo e sulla terra; l’anima le può vedere, pur restando nel suo corpo, attraverso una certa luce soprannaturale che le viene da Dio, nella quale può contemplare tutte le cose lontane, del cielo e della terra. Ciò è quanto vide san Giovanni, come si legge nel capitolo 21 dell’Apocalisse. Qui egli descrive e racconta la bellezza della Gerusalemme celeste, da lui veduta. Si sa anche che san Benedetto in una visione spirituale vide il mondo intero. Tale visione, afferma san Tommaso nel primo libro dei suoi Quodlibeta, consiste in un lume, che, come ho detto, viene dall’alto.

2. Le altre visioni, quelle cioè che riguardano le sostanze incorporee, non si possono vedere neanche con l’aiuto di questa luce proveniente da Dio di cui si parla qui, ma con un altro lume più elevato, denominato lume di gloria. Tali visioni di sostanze incorporee, come quelle aventi per oggetto gli angeli e le anime, non sono propriamente di questa vita né si possono vedere fin quando si è nel corpo mortale. Difatti, se Dio volesse comunicarle nella loro essenza all’anima, questa lascerebbe il suo corpo e cesserebbe la sua vita mortale. Per questo Dio rispose a Mosè che gli chiedeva di vedere la sua essenza: Non videbit me homo, et vivet: Nessun uomo può vedermi e restare vivo (Es 33,20). Così i figli d’Israele, al pensiero di vedere Dio, o di aver visto lui o un angelo, temevano di morire, come si legge nell’Esodo, quando, presi dalla paura, esclamarono: Non loquatur nobis Dominus, ne forte moriamur: Non ci parli Dio, altrimenti moriremo! (Es 20,19). Anche nel libro dei Giudici leggiamo che Manoach, padre di Sansone, che aveva visto nella sua essenza un angelo sotto forma di un giovane molto bello, disse a sua moglie che aveva avuto la stessa visione: Morte moriemur, quia vidimus Dominum: Moriremo certamente, perché abbiamo visto Dio (Gdc 13,22).

3. Queste visioni non sono, dunque, di questa vita, se non raramente e in modo passeggero. Anche in questo caso Dio sostiene le condizioni della vita naturale, poiché sottrae totalmente lo spirito da essa, facendo in modo che la sua grazia supplisca alle funzioni dell’anima nel corpo. Questo il motivo per cui san Paolo, che aveva avuto visioni di questo genere, cioè aveva visto delle sostanze semplici nel terzo cielo, disse: Sive in corpore nescio, sive extra corpus nescio; Deus scit (2Cor 12,2); cioè fu rapito verso di esse, ma dice di non sapere se, quando le vide, era nel corpo o fuori del corpo; solo Dio lo sa. Si vede chiaramente che trascese la vita naturale, nel modo voluto da Dio. Allo stesso modo, quando Dio, come crediamo, volle mostrare la sua essenza a Mosè, gli disse che lo avrebbe posto nel cavo della roccia e lo avrebbe protetto coprendolo con la destra, sostenendolo perché non morisse quando sarebbe passata la sua gloria. Questo passaggio della gloria di Dio consisteva nel manifestarsi in modo transitorio, mentre, con la destra, egli avrebbe conservato la vita naturale di Mosè (Es 33,22). Ma queste visioni così sostanziali, come quelle accordate a san Paolo, a Mosè, al nostro padre Elia quando si coprì il volto al soffio soave di Dio (1Re 19,12-13), anche se passeggere, accadono raramente o quasi mai, e sono brevissime, perché Dio le riserva a quelli più forti nello spirito della Chiesa e nella sua legge, come i tre personaggi menzionati sopra.

4. Sebbene in questa vita l’intelletto non possa avere queste visioni di sostanze spirituali in modo chiaro ed evidente, tuttavia è possibile sentirle nella sostanza dell’anima con soavissimi tocchi e amplessi che appartengono ai sentimenti spirituali, dei quali, a Dio piacendo, parlerò in seguito: l’intento è, infatti, quello di guidare l’anima verso l’amplesso e l’unione con l’Essenza divina. Ne parlerò quando tratterò dell’intelligenza mistica, confusa e oscura, di cui si discuterà quando occorrerà mostrare come mediante questa conoscenza amorosa e oscura l’anima si unisca a Dio in grado elevato e divino. Tale conoscenza oscura e amorosa, che è la fede, serve infatti in qualche modo, quaggiù, all’unione divina, come il lume di gloria serve nell’altra vita da mezzo per la chiara visione di Dio.

5. Pertanto, adesso tratto delle visioni di sostanze corporee che vengono comunicate in modo spirituale all’anima e che somigliano alle visioni corporee. Infatti, come gli occhi del corpo vedono gli oggetti sensibili mediante la luce naturale, così l’anima, o per meglio dire, l’intelletto, per mezzo della luce soprannaturale, di cui ho parlato, vede interiormente questi stessi oggetti naturali e altri, se Dio vuole. C’è, però, una differenza nel grado e nel modo della visione, perché le visioni spirituali e intellettuali sono più chiare e più sottili di quelle corporee. Infatti, quando Dio vuole accordare una grazia di questo genere all’anima, le comunica la luce soprannaturale di cui si diceva. Con l’aiuto di questa, essa vede con facilità e con molta chiarezza ciò che Dio vuole manifestarle, sia del cielo che della terra, senza che la presenza o l’assenza dell’oggetto possa esserle di ostacolo. A volte è come se le si aprisse una porta luminosissima e attraverso di essa irrompesse una luce come un lampo che, in una notte oscura, illumina improvvisamente gli oggetti in modo chiaro e distinto, per poi farli ripiombare nel buio, anche se le loro forme e immagini rimangono impresse nell’immaginazione. Ciò è quanto accade nell’anima in modo più perfetto, perché tali visioni s’imprimono nel suo spirito così profondamente con l’aiuto di quella luce, che ogni volta che vi ritorna sopra le rivede in sé come le aveva viste al principio. L’anima è come lo specchio in cui si vedono le forme riflesse ogni volta che lo si guarda. Queste visioni sono tali che le immagini delle cose che l’anima ha visto una volta non spariscono mai completamente, anche se con il tempo diventano più opache.

6. Tra gli effetti prodotti nell’anima da queste visioni si possono annoverare la quiete, l’illuminazione, una gioia simile a quella dello stato di gloria, la dolcezza, la purezza, l’amore, l’umiltà, l’attrazione o elevazione dello spirito in Dio. Sono effetti più o meno intensi, più marcati in una virtù che in un’altra, a seconda dello spirito con il quale sono ricevuti e a seconda del beneplacito di Dio.

7. Anche il demonio può provocare queste visioni nell’anima servendosi di qualche luce naturale, in cui per suggestione spirituale fa vedere allo spirito cose presenti o assenti. Così, al fine di spiegare il testo di san Matteo, ove si legge che il demonio mostrò a Cristo tutti i regni del mondo con la loro gloria: Ostendit omnia regna mundi et gloriam eorum (Mt 4,8), alcuni interpreti dicono che lo fece per suggestione spirituale. Non era, infatti, possibile che facesse vedere a Gesù con gli occhi del corpo tutti i regni del mondo e la loro gloria. Tuttavia c’è molta differenza tra queste visioni provocate dal demonio e quelle che provengono da Dio. Gli effetti che esse producono nell’anima non sono come quelli delle visioni buone, anzi provocano aridità di spirito nei rapporti con Dio, tendenza all’autostima, suggerendo di accogliere e dare importanza a tali visioni; d’altra parte esse non producono affatto la dolcezza dell’umiltà e l’amore di Dio. Per di più, gli oggetti di queste visioni non rimangono impressi nell’anima con la luminosità soave delle altre. Non durano a lungo, anzi si cancellano presto, eccetto quando l’anima le stima molto; in questo caso la stima stessa fa sì che se ne conservi il ricordo in modo naturale: ma è un ricordo molto arido, che non produce quell’amore e quell’umiltà procurati dal ricordo delle visioni buone.

8. Queste visioni, poiché hanno per oggetto creature con le quali Dio non ha alcuna proporzione o somiglianza nell’essenza, non possono servire all’intelletto come mezzo prossimo per l’unione con Dio. All’anima, quindi, conviene comportarsi in maniera del tutto negativa nei loro confronti, come nei confronti delle altre di cui ho parlato, se vuole progredire con il mezzo prossimo che è la fede. L’anima, dunque, non deve conservare né apprezzare le forme di quelle visioni che le rimangono impresse e nemmeno vi si deve attaccare. Se si ferma a quelle forme, immagini e persone che risiedono nel suo intimo, sarà ostacolata nell’andare a Dio per la via della rinuncia assoluta. Nel caso, poi, che quelle forme si ripresentino continuamente, non le recheranno alcun danno se non darà loro importanza. È vero che il loro ricordo suscita nell’anima qualche grado d’amore di Dio e la conduce alla contemplazione, ma molto di più ve la spingeranno e innalzeranno la fede pura e il cieco distacco da tutte quelle visioni, senza voler sapere come e da dove vengono. Accade, così, che l’anima sia infiammata d’ansie di amore molto puro per Dio, senza sapere da dove vengano né su cosa si fondino. Questo perché, come la fede si è radicata e si è molto sviluppata nell’anima per mezzo di questo vuoto, di queste tenebre e del distacco da tutte le cose – in breve, per mezzo di questa povertà spirituale –, così si è parimenti radicata e sviluppata nell’anima la carità di Dio. Da ciò segue che, quanto più l’anima s’impegna a restare nelle tenebre e nel nulla rispetto a tutte le cose esteriori e interiori che le possono essere comunicate, tanta maggior fede, quindi amore e speranza verranno infuse in essa, dal momento che queste tre virtù teologali progrediscono insieme.

9. A volte la persona non comprende né avverte quest’amore, perché esso non passa attraverso i sensi con dolcezza, ma si stabilisce nell’anima con una forza, un coraggio e un’audacia superiori al passato, sebbene alcune volte si ripercuota nei sensi e appaia tenero e dolce. Per arrivare, perciò, a questo amore, a quest’allegria, a questa gioia che tali visioni producono e causano, l’anima deve avere forza, esercitarsi nella mortificazione e nell’amore per voler rimanere libera e all’oscuro nei loro confronti. In tal modo essa fonderà questo amore e questa gioia su ciò che non vede e non sente, e che non può vedere né sentire in questa vita, cioè su Dio, che è incomprensibile e al di sopra di tutto. Questo il motivo per cui è necessario andare a Dio attraverso la negazione di ogni cosa. Altrimenti, pur supponendo che l’anima sia tanto abile, umile e forte da impedire al demonio d’ingannarla per mezzo di tali visioni e di farla cadere nella presunzione, com’è solito fare, il maligno non permetterà all’anima di progredire, perché essa frappone qualche ostacolo alla nudità spirituale, alla povertà di spirito, al distacco della fede, elementi richiesti per la sua unione con Dio.

10. Poiché la dottrina riguardante queste visioni è la stessa esposta nei capitoli 17-18 a proposito delle visioni e delle percezioni soprannaturali dei sensi, non spenderò qui altro tempo per ripetere quanto già detto.

 

CAPITOLO 25

Ove si parla delle rivelazioni. Si dice cosa siano e se ne offre una distinzione.

1. Seguendo l’ordine prefisso, devo ora trattare del secondo genere di conoscenze spirituali, che ho chiamato rivelazioni. Esse appartengono, precisamente, allo spirito di profezia. A proposito di questo argomento, prima d’ogni cosa è opportuno sapere che la rivelazione non è altro che la manifestazione di qualche verità nascosta o di qualche segreto o mistero. Così, ad esempio, Dio fa comprendere all’anima una cosa spiegandone all’intelletto la verità, o le svela qualcosa che egli ha fatto, fa o pensa di fare.

2. In base a questo, si può dire che vi sono due specie di rivelazioni. Le prime consistono nella manifestazione di alcune verità all’intelletto; vengono chiamate propriamente conoscenze intellettuali o intelligenze. Le altre consistono nella manifestazione di segreti e, più propriamente delle prime, vengono chiamate rivelazioni. Le prime, infatti, non possono essere chiamate, a rigor di termini, rivelazioni, perché consistono nella conoscenza di verità pure e nude, che Dio concede all’anima su cose non solo temporali ma anche spirituali, in modo chiaro ed esplicito. Voglio parlarne sotto il nome di rivelazioni, primo, perché sono molto vicine e collegate con esse, e, secondo, per non moltiplicare troppo le divisioni.

3. Ciò detto, ora si può benissimo dividere le rivelazioni in due specie di conoscenze: le prime le chiamerò conoscenze intellettuali, le altre manifestazioni di segreti e misteri nascosti di Dio. Ne parlerò il più brevemente possibile nei due capitoli seguenti, cominciando subito dalle prime.

 

CAPITOLO 26

Ove si parla della conoscenza di pure verità da parte dell’intelletto. Vengono divise in due categorie e si spiega come l’anima deve comportarsi nei loro confronti.

1. Per parlare con precisione della conoscenza di pure verità da parte dell’intelletto, occorre che Dio mi prenda la mano e guidi la mia penna. Sappi, infatti, caro lettore, che ciò che esse sono in se stesse, in rapporto all’uomo, supera ogni parola. Non è mia intenzione parlarne esplicitamente, ma voglio solo mostrare all’anima come servirsene per tendere all’unione divina. Mi si permetta, perciò, di parlarne brevemente e quanto è sufficiente a tale scopo.

2. Questa specie di visioni o, per meglio dire, di conoscenze di pure verità è molto diversa da quelle di cui ho appena parlato nel capitolo 24. Essa non consiste nel vedere con l’intelletto gli essere corporei, ma nel comprendere e nel vedere mediante tale facoltà alcune verità relative a Dio o alle cose presenti, passate e future; tutto ciò è molto vicino allo spirito di profezia, di cui parlerò più avanti.

3. Va notato che questo genere di conoscenze si divide in due categorie: come ho appena detto, le une riguardano il Creatore, le altre le creature. Sebbene sia le une che le altre procurino grande delizia nell’anima, tuttavia non c’è paragone se guardiamo al diletto che producono quelle che riguardano Dio, né vi sono vocaboli o termini per darne un’idea, perché si tratta di conoscenze che hanno per oggetto Dio stesso e le delizie che egli procura all’anima, secondo quanto afferma Davide: Non v’è alcuna cosa simile a lui (Sal 39,6). Queste conoscenze, poiché hanno Dio per oggetto, vengono direttamente concesse da lui; grazie ad esse si avverte molto profondamente qualche attributo di Dio: la sua onnipotenza, la forza, la bontà, la dolcezza, ecc. Tutte le volte che egli si fa sentire all’anima, s’imprime in essa ciò che va provando. Poiché qui si tratta di contemplazione pura, l’anima vede chiaramente che non è possibile dirne qualcosa, se non in termini generali che traboccano dall’abbondanza del diletto e del bene che essa prova, ma che sono insufficienti a far comprendere ciò che ha gustato e sentito.

4. Davide, per esempio, dopo aver provato qualcosa di tale favore, ne parlò in termini vaghi e generici, affermando: Iudicia Domini vera, iustificata in semetipsa. Desiderabilia super aurum et lapidem pretiosum multum, et dulciora super mel et favum: I giudizi del Signore, cioè le virtù e gli attributi che vediamo in Dio, sono tutti fedeli e giusti, più preziosi dell’oro, di molto oro fino, più dolci del miele e di un favo stillante (Sal 18,10-11). Di Mosè leggiamo che, essendo stato elevato a una sublime conoscenza di Dio, concessagli una volta che gli passò davanti, riferì solo ciò che si può esprimere con parole comuni. Difatti, presentandoglisi il Signore in quella conoscenza, si prostrò subito a terra, gridando: Dominator Domine Deus, misericors et clemens, patiens et multae miserationis ac verax. Qui custodis misericordiam in millia, ecc.: Il Signore, il Signore, Dio misericordioso e pietoso, lento all’ira e ricco di grazia e di fedeltà, che conserva il suo favore per mille generazioni (Es 34,5-8). In questo passo si vede come Mosè, non potendo esprimere ciò che aveva appreso di Dio in questa sola conoscenza, lo disse e lo ripeté attraverso questa serie di parole. Sebbene, talvolta, in circostanze simili l’anima dica molte parole, si accorge di non aver detto nulla di quanto ha provato, perché sa che non v’è parola in grado di esprimere quest’esperienza. San Paolo, per esempio, quando fu favorito da quella sublime conoscenza di Dio, non si preoccupò di parlarne; disse solo che all’uomo non è permesso di trattare di tali argomenti (cfr. 2Cor 12,4).

5. Queste conoscenze divine, o che hanno Dio per oggetto, non sono mai circoscritte a cose particolari. Poiché riguardano il sommo Principio, non se ne può dire nulla in particolare, a meno che non si tratti in qualche modo di qualche verità riguardante un oggetto inferiore a Dio, che potrebbe essere conosciuto insieme nello stesso atto; ma le altre no, non possono essere riferite in nessuna maniera. Conoscenze così eccelse possono venir accordate solo all’anima pervenuta all’unione con Dio, perché esse medesime sono quell’unione. Questa consiste nel possedere simili conoscenze mediante un certo tocco che intercorre tra l’anima e la Divinità, per cui in quel momento è Dio stesso che viene sentito e gustato. Sebbene questo tocco di conoscenza e di soavità non sia manifesto e chiaro come nella gloria, tuttavia è talmente elevato e profondo da penetrare la sostanza dell’anima. Il demonio non può intromettervisi né produrre qualcosa di simile, perché nulla gli assomiglia né può essergli paragonato; il demonio non può infondere simili diletti e gioie. Tali conoscenze hanno il sapore dell’essenza divina e della vita eterna e il demonio non può simulare un favore tanto sublime.

6. Potrebbe però scimmiottarle, presentando all’anima alcune cose elevate e grandiose capaci di impressionarla vivamente, cercando di convincerla che si tratta di un favore divino; ma non potrà mai fare in modo che esse penetrino nella sostanza dell’anima, la rinnovino dal di dentro e l’innamorino repentinamente, come invece fanno le conoscenze provenienti da Dio. Vi è, infatti, qualche conoscenza o tocco soprannaturale che il Signore prova nella sostanza dell’anima e l’arricchisce in modo tale che ne basta una sola per liberarla una volta per tutte dalle imperfezioni che essa non era riuscita a correggere nell’intera sua vita, lasciandola colma di virtù e di beni divini.

7. Questi tocchi divini sono così pieni di sapore e di intime delizie che uno solo di essi basterebbe per ripagare l’anima di tutte le innumerevoli fatiche affrontate nella vita. L’anima rimane talmente incoraggiata e con tanto desiderio di soffrire molto di più per il Signore, da avvertire un particolare tormento al pensiero di soffrire molto poco per lui.

8. A queste sublimi conoscenze l’anima non può giungere attraverso qualche comparazione o immaginazione da parte sua, perché quelle trascendono simili espedienti. Dio le produce nell’anima senza alcuna sua attiva collaborazione. Dio è solito accordarle questi tocchi divini, che le imprimono alcuni ricordi di Dio stesso. Tali ricordi, a volte, si risvegliano improvvisamente nell’anima al solo pensiero di cose spesso insignificanti; sono talmente sensibili che non solo l’anima, ma anche il corpo ne freme di gioia; altre volte invece si fanno sentire quando lo spirito è in una calma profonda, senza produrre alcun fremito, ma un improvviso senso di diletto e di refrigerio per lo spirito.

9. Altre volte questi favori si verificano quando le anime dicono o sentono dire qualche parola della sacra Scrittura o di altra fonte. Ma non sempre hanno la stessa efficacia o si fanno sentire con la stessa intensità. Difatti molte volte sono assai deboli, ma, per quanto deboli possano essere, uno solo di questi ricordi e tocchi divini nell’anima vale più di molte altre conoscenze o considerazioni sulle creature e le opere di Dio. E poiché tali conoscenze sono offerte all’anima all’improvviso e senza il concorso della sua volontà, essa non deve far nulla per cercarle o respingerle. Deve solo restare umile e rassegnata nei loro confronti; Dio compirà la sua opera come e quando vorrà.

10. Non dico, però, che l’anima debba comportarsi negativamente nei confronti di queste conoscenze come con le altre, perché queste, ripeto, fanno parte dell’unione verso cui andiamo conducendo l’anima. A tale scopo, le insegnano a spogliarsi e a staccarsi da tutte le altre conoscenze. Perché Dio conceda tali favori, bisogna essere umili e saper soffrire per amore di Dio con pazienza e disinteresse per qualsiasi ricompensa. Tali favori, infatti, non vengono accordati all’anima che dimostra spirito di possesso. Essi provengono da un amore molto particolare di Dio perché l’anima lo ripaghi con un amore altrettanto disinteressato. Questo è quanto intendeva dire il Figlio di Dio per mezzo di san Giovanni con queste parole: Qui autem diligit me, diligetur a Patre meo, et ego diligam eum, et manifestabo ei meipsum: Chi mi ama sarà amato dal Padre mio e anch’io lo amerò e mi manifesterò a lui (Gv 14,21). Tali parole alludono alle conoscenze e ai tocchi di cui stiamo parlando, attraverso i quali Dio si manifesta all’anima che si accosta a lui e lo ama per davvero.

11. La seconda categoria di conoscenze o visioni di verità interiori è molto diversa da quella esposta finora, perché concerne oggetti inferiori a Dio. Essa riguarda la conoscenza della verità delle cose in sé, dei fatti e degli avvenimenti che accadono tra gli uomini. Questa conoscenza è tale che le verità conosciute s’imprimono nel più profondo dell’anima, senza che alcuno le dica nulla. Anche se le dicessero il contrario, essa non darebbe il suo assenso interiore, nonostante i suoi sforzi, perché lo spirito vede una cosa diversa in ciò che gli si rappresenta in quello stesso istante. È come se l’anima la vedesse con molta chiarezza. Tale visione appartiene allo spirito di profezia o a quella grazia che san Paolo chiama dono del discernimento degli spiriti (1Cor 12,10). Sebbene l’anima ritenga questa conoscenza molto certa e vera, come ho detto, e non possa esimersi dal dare il suo assenso interiore passivo, tuttavia non deve cessare di aver fede e di dare il suo assenso razionale a quanto il maestro spirituale le dirà o comanderà, anche se è molto contrario a ciò che essa prova. In questo modo essa cammina nella fede sino all’unione divina; verso questa meta essa deve tendere più con l’aiuto della fede che della ragione.

12. Di entrambe queste conoscenze abbiamo testimonianze molto chiare nella sacra Scrittura. Il Saggio, a proposito della conoscenza spirituale che si può avere delle cose, afferma: Ipse dedit mihi horum quae sunt scientiam veram, ut sciam dispositionem orbis terrarum, et virtutes elementorum, initium et consummationem temporum, vicissitudinum permutationes, et consummationes temporum et morum mutationes, divisiones temporum, et anni cursus, et stellarum dispositiones, naturas animalium et iras bestiarum, vim ventorum, et cogitationes hominum, differentias virgultorum, et virtutes radium, et quaecumque sunt abscondita, et improvisa didici: omnium enim artifex docuit me sapientia: Egli mi ha concesso la conoscenza infallibile delle cose, per comprendere la struttura del mondo e la forza degli elementi, il principio, la fine e il mezzo dei tempi, l’alternarsi dei solstizi e il susseguirsi delle stagioni, il ciclo degli anni e la posizione degli astri, la natura degli animali e l’istinto delle fiere, la forza e il movimento dei venti e i ragionamenti degli uomini, la varietà delle piante e le proprietà delle radici. Tutto ciò che è nascosto e ciò che è palese io lo so, perché mi ha istruito la sapienza artefice di tutte le cose (Sap 7,17-21). Anche se questa conoscenza di tutte le cose di cui parla qui il Saggio e che gli è stata data da Dio fosse infusa e generale, tuttavia il testo prova sufficientemente la possibilità di tutte le conoscenze particolari che Dio infonde, quando vuole, nelle anime per via soprannaturale. Egli non concede loro la scienza generale e abituale di tali oggetti, come nel caso di Salomone, ma a volte manifesta loro alcune verità su qualcuna di quelle cose di cui parla il Saggio. È vero che il Signore concede a molte anime abiti infusi relativamente a molte cose, però essi non sono mai così generali come quelli concessi a Salomone. Tali abiti variano a seconda dei doni che il Signore distribuisce e tra i quali san Paolo annovera la sapienza, la scienza, la fede, la profezia, il discernimento o conoscenza degli spiriti, l’intelligenza delle lingue, l’interpretazione delle parole, ecc. (1Cor 12,8-10). Tutte queste conoscenze sono abiti infusi, da Dio gratuitamente concessi a chi vuole, in modo sia naturale che soprannaturale; naturalmente, come a Balaam, ad altri profeti idolatri e a molte sibille alle quali concesse lo spirito di profezia; e soprannaturalmente, come ai santi profeti, agli apostoli e ad altri santi.

13. Ma oltre a questi abiti o grazie gratis datae, affermo che le persone perfette, o quelle perlomeno che fanno progressi nella perfezione, comunemente ricevono illuminazioni o conoscenze sulle cose presenti e assenti. Tale grazia viene accordata attraverso una luce che si comunica al loro spirito già illuminato e purificato. A tale riguardo possiamo ascoltare il seguente brano del libro dei Proverbi: Quomodo in aquis resplendent vultus prospicientium, sic corda hominum manifesta sunt prudentibus: Come nelle acque appare il volto di coloro che vi si specchiano, così i cuori degli uomini sono conosciuti dalle persone prudenti (Pro 27,19), cioè di coloro che posseggono già la saggezza dei santi, che la sacra Scrittura chiama prudenza. In questo modo tali spiriti così purificati conoscono a volte altre verità; non ogni volta che vogliono, perché questo è consentito solo a coloro che hanno l’abito infuso, e anche a costoro non sempre in tutto, ma solo come e quando Dio vuole.

14. Occorre sapere che le persone, il cui spirito è del tutto purificato, possono, chi più chi meno, con molta facilità e naturalezza conoscere ciò che è nel cuore o nell’intimo dell’anima, le inclinazioni e le qualità degli altri. Tali persone conoscono tutto questo attraverso indizi esterni, anche minimi, come possono essere le parole, i movimenti o altri segni. Come il demonio, perché spirito, ha questo potere, così anche la persona spirituale lo possiede, come dice l’Apostolo: Spiritualis autem iudicat omnia: L’uomo spirituale giudica ogni cosa (1Cor 2,15). Altrove aggiunge: Spiritus enim omnia scrutatur etiam profunda Dei: Lo Spirito scruta ogni cosa, anche le profondità di Dio (1Cor 2,10). Da ciò si deduce che le persone spirituali non possano conoscere i pensieri e il fondo dei cuori per via naturale, ma solo con l’aiuto della luce soprannaturale o per indizi. Se, poi, in questi ultimi casi sovente possono sbagliarsi, la maggior parte delle volte indovinano. Tuttavia, non bisogna fidarsi né dell’uno né dell’altro mezzo di conoscenza, perché il demonio s’intromette con molta facilità e astuzia, come dirò subito. È opportuno, quindi rinunciare sempre a tali comunicazioni e conoscenze.

15. Che le persone spirituali, anche se distanti, possano conoscere fatti o avvenimenti degli uomini, è dimostrato da un esempio del quarto libro dei Re. Giezi, servo del nostro padre Eliseo, voleva nascondere il denaro ricevuto da Naaman il Siro. Ma Eliseo gli disse: Nonne cor meum in praesenti erat,quando reversus est homo de curru suo in occursum tui?: Non era forse presente il mio spirito quando quell’uomo si voltò dal suo carro per venirti incontro? (2Re 5,26). Ciò accadeva spiritualmente. Difatti il profeta aveva visto tutto in spirito, come se fosse stato presente con il corpo. Un episodio simile lo troviamo ancora nel medesimo libro. Vi si legge che Eliseo rivelava al re d’Israele tutto ciò che il re di Siria trattava in segreto con i suoi principi, vanificando così le sue deliberazioni. Allora il re di Siria, vedendo che si sapeva tutto, disse ai suoi consiglieri: “Perché non mi dite chi di voi mi ha tradito presso il re d’Israele?”. Uno dei suoi servi gli rispose: Nequaquam, domine mi rex, sed Eliseus propheta, qui est in Israel, indicat regi Israel omnia verba quaecumque locutus fueris in conclavi tuo: “No, o re mio signore, ma è Eliseo, il profeta che si trova in Israele, che riferisce al re d’Israele tutte le parole che dici in segreto” (2Re 6,11-12).

16. Sia l’una che l’altra forma di conoscenza delle cose, come pure le altre, vengono comunicate all’anima passivamente, senza il minimo concorso da parte di quest’ultima. Può accadere, infatti, che mentre la persona è molto distratta e lontana, le sia dato di conoscere profondamente ciò che essa ascolta o legge, in modo anche più chiaro del suono delle parole; a volte, pur non comprendendo le parole, perché in latino, che lei non conosce, ne avrà ugualmente una perfetta conoscenza senza capirle.

17. Ci sarebbe molto da dire sugli inganni a cui il demonio può ricorrere – e ricorre – in questa specie di comunicazioni e di conoscenze, perché sono numerosi e ben sottili. Egli può, infatti, servendosi della suggestione, presentare all’anima molte conoscenze intellettuali e imprimerle talmente in essa da farle sembrare vere. Se l’anima non è umile e prudente, senza dubbio il demonio le farà credere mille menzogne. Le suggestioni, infatti, a volte hanno molta presa nell’anima, soprattutto quando questa partecipa un po’ della debolezza dei sensi. Ivi il demonio imprime le conoscenze con tanta forza, tanta persuasione e tanta efficacia che l’anima allora ha bisogno di molta preghiera ed energia per respingerle. Qualche volta la suggestione rappresenta peccati di altri, il cattivo stato delle coscienze e la malvagità delle anime, falsamente e con molta chiarezza. Scopo del demonio è quello di diffamare il prossimo, facendo conoscere a tutti questi peccati, e perché se ne commettano altri con il pretesto che occorre raccomandare queste anime a Dio. È vero che a volte Dio presenta alle anime sante i bisogni del prossimo perché gliele raccomandino o vi pongano un rimedio. A tale riguardo, per esempio, leggiamo che il Signore rivelò a Geremia la debolezza del profeta Baruc per indicargli la soluzione da prendere (cfr. Ger 45,3). Ma molte volte anche il demonio agisce in questo modo con grande falsità, per indurre le persone all’infamia, al peccato e allo sconforto, come c’insegna abbondantemente l’esperienza. Altre volte egli dà un gran peso ad altre conoscenze per farle credere.

18. Tutte queste conoscenze, vengano da Dio oppure no, giovano pochissimo all’anima che vuole servirsene per andare a lui. Al contrario, se essa non cercasse di distaccarsene, non soltanto la turberebbero, ma la danneggerebbero molto e la farebbero cadere in molti errori. Tutti i pericoli e gli inconvenienti che possono nascondersi nelle comunicazioni soprannaturali, di cui ho trattato finora, possono annidarsi anche qui. Questo è il motivo per cui non mi dilungherò di più su questo punto, avendone già proposto una dottrina idonea. Mi limiterò solo a dire che si faccia molta attenzione a rinunciare sempre a simili conoscenze, cercando di camminare verso Dio attraverso il non sapere. L’anima ne tenga sempre informato il proprio confessore o maestro spirituale, attenendosi sempre a ciò che le consiglierà. Quanto a quest’ultimo, cerchi di distogliere in fretta l’anima da simili fenomeni, non dando loro alcuna importanza, perché non occorrono per avanzare verso l’unione con Dio. Difatti, poiché tali favori sono ricevuti passivamente dall’anima, sortiscono sempre l’effetto da Dio voluto per l’anima, senza che questa vi concorra. Questo è il motivo per cui non credo sia il caso di parlare qui dell’effetto prodotto dalle conoscenze vere o da quelle false, perché non finirei più e provocherei stanchezza. Del resto, queste cose non si possono spiegare in poche parole, poiché queste conoscenze sono numerose e varie, così come lo sono gli effetti: le buone producono effetti buoni e le cattivi effetti cattivi, ecc. Quando dico che bisogna respingerle tutte, ho detto quanto basta per non cadere nell’errore.

 

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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