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L'Ordine domenicano ha compiuto 796 anni, il 22.12.2012..... ci avviamo verso gli 800

Ultimo Aggiornamento: 07/01/2013 11:34
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07/01/2013 11:17
 
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[SM=g1740758] 3. La castità

1. La purezza esemplare di San Domenico


Il Beato Angelico, pittore di Fiesole, non mancò mai di proiettare sulla fronte del suo padre S. Domenico una stella raggiante. Essa sta a significare la radiosa purezza del Patriarca dei Predicatori, di cui tutti i contemporanei subirono la straordinaria attrattiva.
La Beata Cecilia, sua figlia spirituale, racconta che “gli usciva dalla fronte e tra le sopracciglia una certa luce radiosa che attirava il rispetto e l’amore”.
Sulla cenere in cui spirò, una delle sue ultime parole fu in favore della castità: “Figli miei, la misericordia di Dio mi conservò fino ad oggi una carne pura e una verginità senza macchia. È la custodia di questa virtù che rende il servo di Dio gradito a Cristo e che gli dà gloria e credito davanti agli uomini”.
Perciò egli organizzò la vita religiosa dei suoi figli in modo da mantenerli in una perfetta purezza e renderli capaci di mescolarsi al mondo senza contrarne le lordure.
La vita domenicana assale direttamente tutti i nemici della purità. Quelli che vengono dal corpo, mediante la mortificazione dei sensi, l’astinenza, il digiuno, le discipline, le veglie, la durezza del letto.
Quelli che vengono dallo spirito, mediante la disciplina dell’immaginazione, mediante lo studio, la preghiera e la contemplazione, che occupano tutte le ore del religioso e lo strappano alla disoccupazione.
Finalmente i nemici esterni, mediante la solitudine del chiostro e il silenzio.
Se lo stesso scopo dell’Ordine esclude un isolamento totale, la Regola si guarda dall’abbandonare il religioso nell’esercizio del ministero: essa lo segue da per tutto, regolando le sue relazioni necessarie e, con la sua larga e ferma sorveglianza, cerca di avvolgere il Predicatore con i principali benefici della clausura.

2. La protezione della Madonna

S. Domenico, per la purezza dei suoi figli, fece assegnamento al di sopra di tutto sullo speciale patrocinio della Santa Vergine, Madre d’ogni purezza. L’ Ordine considerò sempre questo patrocinio come il suo più potente appoggio soprannaturale.
L’antichità domenicana è ricca di fatti meravigliosi che dimostrano l’amabile vigilanza della Madre di Dio su coloro che Ella chiama: “Mio Ordine”, Ordo meus11.
“Vi era in Lombardia una pia donna devotissima della Vergine, che conduceva una vita solitaria. Avendo saputo che era stato fondato un nuovo Ordine di predicatori, concepì un vivo desiderio di veder qualcuno di quei frati. Ora accadde che fra Paolo, predicando in quelle contrade, venisse a passare in quel luogo insieme al suo compagno. Secondo il costume si fermarono presso la religiosa e le rivolsero qualche pia esortazione. Questa donna si informò a qual Ordine appartenessero, ed essi le riposero che erano dell’Ordine dei Predicatori. E considerando che essi erano giovani, belli e convenientemente vestiti, prese a disprezzarli, pensando che uomini di tal sorta, percorrendo il mondo, non potevano conservar a lungo la loro virtù. Ma, la notte seguente, la Vergine le apparve con volto corrucciato e le disse: ‘Ieri mi offendesti gravemente: credi tu che io non possa custodire i miei servitori, che corrono attraverso il mondo per salvare le anime, anche se siano giovani? Sappi che io li presi sotto la mia speciale protezione, e ti mostrerò quelli che ieri disprezzasti’. E, alzando il suo manto, Ella fece vedere alla pia solitaria una moltitudine di frati, e fra quelli i medesimi di cui aveva ella sospettato il giorno innanzi”12.

3. La castità è una grazia particolare dei domenicani

Alcuni pii autori scrissero che S. Domenico, nella cui bolla di canonizzazione si afferma che morì conservando l’innocenza battesimale, ottenne dalla Madonna per il suo Ordine la grazia di manifestare specialmente la virtù angelica, come altri Ordini hanno la grazia di manifestare particolarmente la povertà e l’ubbidienza.
Le Vitae Fratrum riferiscono che “un religioso, avendo udito in poco tempo la confessione generale di cento Frati, ne trovò più di sessanta che avevano conservata la perfetta purezza del corpo e dell’anima”13.
Il nostro più gran teologo è S. Tommaso d’Aquino, che per la sua ammirabile purezza fu soprannominato il Dottor angelico.
Il nostro primo martire canonizzato è S. Pietro da Verona, la cui innocenza di vita attirava nella sua cella la visita dei Santi del Cielo.
Uno dei nostri più potenti missionari, S. Giacinto, per la raggiante santità fu il favorito della Vergine.
Uno dei nostri più illustri predicatori, S. Vincenzo Ferreri fu chiamato “l’Angelo del Giudizio” tanto per lo splendore della sua purezza quanto per la sua formidabile eloquenza14.
Il primo dei nostri artisti fu chiamato Fra’ Angelico a causa del suo candore verginale.
Infine va ricordata la serafica Vergine di Siena, il fiore della nostra numerosa scuola mistica.
Tutti portano sulla fronte il segno della verginità.

4. “Castitas transfusiva”

Certamente tutti i veri cristiani onorano e riproducono questa virtù, della quale il Padre Lacordaire diceva che è caratteristica della Chiesa.
Tuttavia il Frate Predicatore deve aver per lei un culto speciale: così volle S. Domenico, così esige la sua vocazione apostolica.
Il Frate Predicatore, fu scritto, dev’essere «l’Angelo della verità». Bella parola che esprime bene la sua sublime vocazione e nel medesimo tempo il motivo per cui S. Domenico raccomandò tanto ai suoi figli questa ammirabile virtù.
L’Ordine della verità dev’essere l’Ordine della castità.
Nessuna cosa dispone meglio alla verità che la castità. “L’anima che non ha mai ubbidito alle voluttà carnali, assicura S. Alberto Magno, possiede per ciò stesso un’intelligenza più pura e meglio disposta alle cose celesti”.
Inoltre va sottolineato che la castità esercita sui popoli un prestigio unico; irradia e conquista. Essa è una delle più grandi forze al servizio di una causa.
È per questo certamente che lo stemma dell’Ordine simboleggia l’ideale domenicano nell’irradiamento d’una stella: esso dice al Predicatore che per distribuire i puri splendori della verità, deve allontanarsi dalla carne e dal mondo.
Quindi il figlio di S. Domenico si sforza di praticare il suo voto di castità nella sua maggior perfezione, prima di tutto per i motivi che obbligano ogni cristiano, e di più perchè la castità guadagna i cuori a Gesù Cristo. Per essere meglio apostolo, egli segue lietamente le tracce del suo beato Padre, del quale Giacomo da Varazze scriveva che “la sua castità era comunicativa”: castitas transfusiva. 4. L'obbedienza
     
      1. Fondamento della vita religiosa
     
      La prima parola che disse Gesù entrando in questo mondo fu una parola di piena obbedienza alla volontà di Dio, suo padre: “Ecco, io vengo, o Dio, per fare la tua volontà” (Ebr 10,7).
      Simile è la prima parola di chiunque entra nell’Ordine di S. Domenico, la parola che fa il Predicatore: “Prometto obbedienza fino alla morte”.
      È il voto più essenziale alla sua vita, il solo che sia enunziato nella formula della professione. Egli promette “obbedienza a Dio, alla B. Vergine Maria, al B. Padre Domenico e al Maestro dell’Ordine”.
      Son presto dette queste due parole: “Prometto obbedienza”; ma quale pienezza di senso! Esse inquadrano tutta quanta la vita del Predicatore, s’impadroniscono di tutte le sue potenze, determinano la natura e la misura del ministero da esercitare, i mezzi da usare; regolano il minimo dei suoi atti fino alla morte.
     
      2. I grandi servizi resi a motivo dell’obbedienza
     
      Indispensabile condizione e fondamento d’ogni vita religiosa, l’obbedienza lo è particolarmente della vita domenicana. Grazie a Dio, i Predicatori se ne ricordarono durante tutta la loro lunga storia.
      L’obbedienza è stata una delle grandi forze dell’Ordine.
      Un rapido sguardo alla storia della Chiesa dal secolo XIII in poi è sufficiente per mostrare gli immensi servizi che essi hanno reso alla causa di Dio per essersi stretti unanimemente attorno al loro Maestro generale, che li faceva stare uniti al Papa.
      La forza dell’obbedienza salvò l’unità del loro Ordine. Gli storici fanno notare che l’Ordine di S. Domenico è il solo che abbia conservato l’unità del governo, mentre tutti gli ordini antichi, a motivo delle varie riforme, si sono divisi in parecchi rami. Esso si sparse per tutta la terra, senza che un solo ramo si staccasse dal tronco.
      La forza dell’obbedienza salvò ugualmente l’unità nello spirito religioso, nella dottrina, nell’azione.
      In grazia dell’obbedienza, i frati predicatori effettuarono per più secoli “la santa predicazione universale” così ardentemente desiderata da S. Domenico; svilupparono nel mondo intero le Missioni intraprese fin dall’inizio del secolo XIII, e ancor oggi fiorenti; fecero conoscere e praticare la preghiera del Rosario da parte di tutta la Chiesa. Dal punto di vista dottrinale, basta nominare la dottrina di San Tommaso, per dire i servizi resi alla teologia cattolica.
      Per l’obbedienza il nostro Ordine si potrebbe definire: un carisma organizzato e servito fino alla morte da migliaia di uomini coraggiosi.
     
      3. Caratteri dell’obbedienza domenicana
     
      Come avviene per ogni elemento della vita religiosa, anche l’obbedienza del Frate Predicatore ha il suo carattere speciale, facile a determinarsi, secondo la dottrina delle Costituzioni e i commenti o la pratica dei nostri Santi.
      Per il voto d’obbedienza, il Frate Predicatore si dà al suo superiore o meglio a Dio stesso, per un’opera precisa: la salvezza dei suoi fratelli.
      Per meglio assicurare quest’opera egli offre la sua libertà, interamente. Promette il suo tempo e le sue forze, la sottomissione sempre pronta e fiduciosa del suo corpo a tutte le pene e fatiche, della sua volontà a tutti i comandi, finalmente di tutto se stesso a ciò che il superiore giudicherà bene di ordinare per la gloria di Dio.
      Il sacrificio domandato può anche giungere fino alla morte, se la carità o la salute delle anime lo esige.
      Non vi è obbedienza più estesa. Nulla sfugge al suo ambito. Per caratterizzarla, il B. Umberto de Romanis scrisse che deve essere “universale senza alcuna eccezione” (universalis sine exceptione).
      Egli aggiunge: “semplice senza discussione” (simplex sine discussione). Il Frate Predicatore si proibisce anticipatamente ogni discussione, perchè discutere il comando è un diminuirlo e togliergli la sua energia, perchè l’opera divina richiede operai risoluti, ardenti, e il cercar dei limiti all’obbedienza è un allentarne e spezzarne lo slancio. L’autorità e l’obbedienza confidano l’una nell’altra, senza timore di eccedere la misura e s’accordano reciprocamente, proprio come nella famiglia s’accordano l’autorità del padre e l’obbedienza dei figli.
      Difatti l’obbedienza domenicana ha un carattere familiare.
      Il Superiore è il padre di tutti i suoi religiosi. Egli tiene il posto di Dio nel convento, compie la funzione di Cristo. Ha piena autorità, ma un’autorità che cerca di «farsi amare più che farsi temere».
      Come il padre nella famiglia, egli deve governare mediante l’armonico accordo del timore e dell’amore, della forza e della dolcezza, e meritare, come S. Domenico, il doppio titolo di «Consolatore dei Frati» e di «Zelatore della regolarità». Il nostro B. Padre «puniva le colpe con energia e nondimeno imponeva le penitenze con tanta dolcezza e benignità che i frati le accettavano volentieri»15.
      Il B. Umberto de Romans non vuole Prelati indolenti che lascino addormentare l’autorità: come quei Vescovi, dice, che i pittori rappresentano seduti sulla loro cattedra, nell’atto di dormire pacificamente e di lasciarsi cadere dalle mani il bastone pastorale. L’autorità sia forte.
      Ma aggiunge: «sia nel medesimo tempo amante e paterna. Perchè, se si correggono i cattivi col timore, si correggono i buoni con l’amore». L’obbedienza diventa perciò più facile, e, come vuole la Regola, lieta, libera, filiale, escludendo ogni sentimento di servitù.
      Il Frate Predicatore obbedisce, non come il servo che teme la minaccia, né come il cadavere che si lascia muovere meccanicamente, ma come il figlio amante che adatta la sua volontà alla volontà del padre suo.
      Obbedienza che non si rassegna, ma che fa amare lo stato di dipendenza, perché esso garantisce contro le deviazioni della volontà propria.
      Obbedienza che va incontro al Superiore nel quale il religioso vede un protettore contro le cadute sempre possibili, un sostegno alla sua debolezza.
      Obbedienza che sacrifica di buon animo le idee e le convenienze personali e si rimette, lietamente, filialmente, a colui che Dio ha deputato per dirigerlo.
      Tale è il carattere tradizionale dell’obbedienza domenicana: essa è familiare. Stretta e senza riserva, ma anche senza durezza. Essa armonizza il rispetto dell’autorità e una lieta libertà, la libertà dei figli di Dio. Nel nostro Ordine, dice graziosamente Santa Caterina da Siena, “la disciplina è tutta regale; perciò la nostra religione è tutta larga, tutta gioconda, tutta odorifera”16.
     
      4. L’obbedienza nelle attuali costituzioni
     
      (Riteniamo utile proporre il testo delle attuali costituzioni dell’Ordine domenicano sull’obbedienza. Ci si accorge subito che, al di là dello stile, il contenuto è lo stesso, segno questo della fedeltà dell’Ordine alla propria storia e al proprio carisma).
     
      n. 17 § 1. Agli inizi dell’Ordine, san Domenico chiedeva ai suoi frati che gli promettessero vita comune e obbedienza. E lui stesso, con molta umiltà, si sottoponeva alle disposizioni e specialmente alle leggi che il capitolo generale dei frati aveva stabilito dopo matura riflessione. Invece, fuori dell'ambito del capitolo generale, sia pure con modi affabili ma fermamente, esigeva da tutti una obbedienza volontaria in tutto quello che lui, come superiore dell'Ordine, ordinava dopo aver riflettuto a lungo. Difatti la vita comune, per mantenersi fedele al suo spirito e alla sua missione, deve fondarsi sul principio dell'unità che è costituito appunto dall'obbedienza.
      § II. Ed è proprio per questo motivo che nella nostra formula di professione pronunciamo una sola promessa: quella di obbedire al maestro dell'Ordine e ai suoi successori secondo la legislazione dei frati predicatori; così si salva l'unità dell'Ordine e della professione, unità che dipende dall'unità del capo a cui tutti devono obbedire.
     
      n. 18 § I. Con questa professione imitiamo in modo tutto particolare Cristo che fu sempre soggetto alla volontà del Padre per la salvezza del mondo, e così ci uniamo più intimamente alla Chiesa, alla cui edificazione ci siamo consacrati insieme con i confratelli, per il bene comune della Chiesa e dell'Ordine, sotto la conduzione dei superiori che in umano servizio rappresentano l'operare di Dio.
      § II. Questo bene comune ci si manifesta anche nelle aspirazioni religiose e apostoliche della comunità e nella illuminazione interiore dello Spirito Santo che aiuta ad assolvere la missione dell'Ordine.
      § III. I nostri frati sono tenuti ad obbedire ai loro superiori in tutto quello che riguarda la Regola e le nostre leggi. Al contrario, non siamo tenuti, anzi non possiamo obbedire in ciò che è contro i comandamenti di Dio, i precetti della Chiesa e le leggi dell'Ordine, o in quelle cose nelle quali il superiore non è autorizzato a concedere dispense. Nel dubbio tutti dobbiamo obbedire.
     
      n. 19 § I. Tra i consigli evangelici, il voto più importante è quello di obbedienza con cui la persona si consacra completamente a Dio e le sue azioni si avvicinano di più al fine della professione che consiste nella perfezione della carità, senza dimenticare che nell'obbedienza è incluso anche tutto ciò che riguarda la vita apostolica.
      § II. Dal momento che con l'obbedienza ci uniamo a Cristo e alla Chiesa, ogni sforzo e ogni mortificazione che facciamo per metterla in pratica è come un prolungamento dell'oblazione di Cristo e acquista valore di sacrificio sia per noi personalmente che per la Chiesa: nella consumazione di questo sacrificio si compie tutta l’opera della creazione.
      § III. L’obbedienza con cui ci innalziamo interiormente al di sopra di noi stessi, è utilissima per acquistare la libertà interiore propria dei figli di Dio e ci dispone a donarci con la carità.
     
      n. 20 § I. Il bene comune in forza del quale i frati sono vincolati all'obbedienza, esige anche che i superiori si mostrino ben disposti ad ascoltare le loro opinioni e che anzi, quando si tratta di questioni di maggior rilievo, ne discutano con loro, ferma restando la loro autorità di stabilire quello che si deve fare. In tal modo tutta la comunità, come un corpo solo, può orientarsi verso il fine comune della carità.
      § II. Siccome lo Spirito Santo dirige la sua Chiesa anche con speciali talenti e carismi, i superiori, nell'esercizio della loro autorità, sappiano riconoscere molto attentamente i doni particolari dei frati, giudichino e indirizzino quelli che, secondo le circostanze e le necessità, lo Spirito Santo elargisce nell'Ordine per il bene della Chiesa. Perciò sia nell'intraprendere nuove opere sia nel proseguire quelle già iniziate, entro i limiti del bene comune e secondo l'indole di ognuno, si riconosca ai frati la congrua responsabilità e si conceda loro la conveniente libertà.
      § III. Il superiore, nella ricerca della volontà di Dio e del bene comune, "non si ritenga felice per la potestà di comandare; ma per la sua carità messa a servizio degli altri e cerchi di ottenere non una sottomissione servile, ma un libero impegno.
      § IV. A loro volta i frati collaborino fraternamente coi loro superiori con spirito di fede e di amore per la volontà di Dio; con lealtà si sforzino di entrare nel loro ordine di idee e con fattiva ponderazione facciano quello che viene loro ordinato. Nel compimento del loro dovere facciano sì che la loro obbedienza sia pronta e precisa senza dilazioni, e semplice senza discussioni inutili.
      Tutto il nostro Ordine e i singoli religiosi sono soggetti al Romano Pontefice come a loro supremo superiore, e sono tenuti ad obbedirgli anche in forza del voto di obbedienza (Can. 499 § 1).
     
      n. 23 Se per il bene dell’Ordine o della Chiesa è necessario affidare un incarico ad un frate anche con grave pericolo della sua vita, questo non lo si faccia mai senza prima aver sentito l’interessato. Dopo di che il superiore deve agire con molta prudenza non senza aver prima assunto informazioni e sentito il parere di religiosi prudenti.

[SM=g1740771]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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