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L'Ordine domenicano ha compiuto 796 anni, il 22.12.2012..... ci avviamo verso gli 800

Ultimo Aggiornamento: 07/01/2013 11:34
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07/01/2013 11:19
 
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[SM=g1740758] Capitolo II
LA VITA CONTEMPLATIVA

1. Perché il Predicatore è un contemplativo
     
      Perché egli è consacrato al ministero apostolico. Se vi è una certezza saldamente stabilita dall’insegnamento della Chiesa e dall’esperienza dei Santi, è questa: che la vita attiva è una manifestazione esterna della vita contemplativa; per esser feconda, l’azione non può far senza la contemplazione.
      Gli Apostoli, modelli a cui un religioso deve sempre ritornare se vuole raggiungere l’ideale della sua vocazione, quando vollero definire le loro funzioni, parlarono della contemplazione e del ministero delle anime, ma collocando la contemplazione al primo posto: “Noi invece ci dedicheremo all’orazione e al ministero della parola” (At 6,4).
      Tutta l’antichità ecclesiastica visse secondo queste parole: i chierici facevano la vita contemplativa. Quando Eusebio volle spiegare ai pagani chi sono i chierici della nuova religione, li definì come “coloro che vivono nella rinunzia a tutte le cose della terra e, sciolti dalle cure temporali, s’applicano alla contemplazione delle cose eterne”.
      Alla fine del secolo V, Giuliano Pomerio scrivendo un trattato della vita dei chierici lo intitola: De vita contemplativa. Vita clericale e vita contemplativa erano sinonimi. E chi ignora che per lunghi secoli la preghiera liturgica tenne il primo e più largo posto nella vita di tutti i ministri di Dio, anche di quelli che si occupavano più attivamente delle opere di carità? Ancora nel secolo XIV, tutte le ore canoniche erano dovunque solennemente celebrate e difficilmente si sarebbe trovato un curato di campagna che, circondato dai suoi chierici, non cantasse ogni giorno nella sua chiesa almeno la Messa e i Vespri, e non si levasse la notte per il canto del Mattutino.
      Il ministero straordinariamente fecondo del clero primitivo si nutriva dunque di un’abbondante contemplazione. S. Tommaso non fa altro che riassumere questa lunga esperienza dei Santi, quando con la sua ordinaria precisione scrive: “La vita attiva, nella quale vengono comunicate le realtà contemplate attraverso la predicazione e l’insegnamento, presuppone un’abbondanza di contemplazione”.
      Si può dire che questa verità è la nota fondamentale delle Costituzioni domenicane. S. Domenico volle che la vita quotidiana dei suoi figli fosse una vita contemplativa, cioè una vita di raccoglimento, di studio, e di preghiera: il silenzio facilita lo studio, lo studio nutre la preghiera, la preghiera attira la carità, anima d’ogni apostolato; perché “lo zelo - dice ancora S. Tommaso - è un amore intenso” (Somma teologica, I-II, 28, 4).
      La contemplazione è l’anima dell’apostolato domenicano. L’Ordine non potrebbe rinunciarvi senza diminuire di altrettanto l’efficacia delle sue opere. Senza vita contemplativa tutto è colpito di sterilità: lo studio perde il suo senso profondo, le opere si vuotano dello spirito di carità, perchè la contemplazione è la grande sorgente non solo dell’amore, ma anche dell’intelligenza.
      Privato di questa sorgente vivificante, l’Ordine intristisce, si dissecca come un albero piantato in una terra arida, troppo povera per nutrirlo. Forse formerebbe ancora professori sapienti, capaci di dotte lezioni e di libri eruditi, ma lezioni e libri impotenti a produrre la pietà. I suoi Predicatori non distribuirebbero alle anime se non eloquenza umana, sterile.
      Per evitare questa sventura d’avere un Ordine di religiosi, la cui scienza non fosse rivolta alla pietà e le cui opere non fossero penetrate di soprannaturale, S. Domenico diede alla preghiera un così largo posto, e le Costituzioni raccomandano in maniera pressante ai Priori di mantenere nei Conventi “le solennità dell’ufficio divino, il canto, le processioni ed altre cerimonie prescritte, persuasi che Dio onnipotente spanderà ben più larghe benedizioni sulla predicazione e sul ministero dei Frati cui una più lieta devozione renderà più assidui al lavoro”. “I predicatori - aggiunge il B. Umberto - attingono dalla contemplazione quello che versano poi nella predicazione”.
      Il figlio autentico di S. Domenico è un contemplativo. Non è la scienza o l’eloquenza che lo caratterizzano anzitutto, ma l’amore della preghiera. Prima di tutto egli cerca di “fortificare in se stesso l’uomo interiore, al fine di essere radicato e fondato nella carità e riempito di tutta la pienezza di Dio” (Ef 3,14). Egli è penetrato di questa convinzione che l’apostolato, anziché agitazione, è l’espansione della vita interiore, l’irradiamento di un’anima tutta piena di Dio, la cui vita trabocca e si comunica ad altre anime. Egli serba come regola di condotta quotidiana le brevi parole del sublime testamento di S. Domenico: In fervore spiritus consiste: “rimani nel fervore dell’amore”.

2. La casa della contemplazione
     
      È il nome che un antico cronista dava al convento dei Predicatori: Domus contemplationis.
      Poiché il Frate Predicatore è prima un contemplativo, S. Domenico volle creare per la sua formazione dei luoghi adatti alla vita contemplativa, avvolti di silenzio e di preghiera.
      Il convento domenicano, come lo organizzano le Costituzioni dell’Ordine, potrebbe definirsi: una casa religiosa fatta per la contemplazione.
      Anche nella sua disposizione materiale, il convento deve favorire la vita interiore21. D’ordinario accanto alla chiesa, centro della vita conventuale, si sviluppa il chiostro. Il chiostro circonda un cortile silenzioso e ricopre le tombe dei Frati defunti. Luogo sacro che solo si attraversa pregando. Intorno vi sono i luoghi regolari: la sacrestia, il refettorio, il capitolo, la biblioteca. Sopra, il Dormitorio, largo corridoio sul quale si aprono tutte le celle dei religiosi.
      Le Costituzioni vogliono che quest’insieme sia costruito senza lusso, senza decorazioni inutili. Ma non escludono una certa eleganza di forma, perché il bello facilita lo slancio dell’anima. Le Vitae Fratrum raccontano che Fra Guy, dopo la sua morte, fu ricompensato del bel chiostro che aveva innalzato. E non mancarono Frati artisti per arricchire l’interno del convento, il chiostro soprattutto, di belle opere d’arte, che dovevano aiutare i religiosi a sollevarsi a Dio.
      Su tutti questi luoghi, il raccoglimento, la pace.
      Difatti si tratta di allontanare ciò che S. Tommaso segnala fra i principali ostacoli della contemplazione: tumultus exteriores. Appena entrato il novizio è impressionato dal silenzio, uno dei primi obblighi della vita domenicana. Con quale stringente gravità raccomandano le Costituzioni “la santissima legge del silenzio!”. “I frati tacciano” ordinano esse, enumerando i luoghi regolari, dove mai una parola dev’essere pronunziata: la chiesa, il chiostro, il refettorio, la cella. Se a volte bisogna assolutamente parlare, si farà con rapide parole e come silenziosamente. In refettorio il silenzio è perpetuo; solo il Maestro Generale e i vescovi possono permettere che vi si parli. La cella è un santuario; nessuno vi entra, nessuno vi parla mai, il religioso in essa vi deve solo “leggere, scrivere o pregare”.
      Nel convento non si deve udire alcun rumore, alcuna parola. Tutto tace nel luogo della pace. Quanto sarebbero qui fuori di posto le futili conversazioni del mondo! Anche quando vi si parla, non vi si deve udir altro che parole tutte interiori, parole piene che rivelano gli ordinari pensieri di quelli che sono abituati alle cose divine e il culto ch’essi celebrano nel santuario intimo dell’anima.
      Infatti la Regola impone il silenzio materiale come un mezzo per raggiungere uno scopo più elevato, il raccoglimento interiore. A che serve il tacere cogli uomini, essere sobrii di conversazioni se, dietro il mutismo delle labbra, le voci interne fanno strepito? Più ancora che alle labbra, è ai sensi che la Regola vuole imporre silenzio, all’immaginazione, alla sensibilità! L’ideale ch’essa ci propone, è quello di S. Domenico, di cui gli antichi cronisti ci riferiscono questo magnifico elogio: Linguae observantissimus custos non nisi cum Deo aut de Deo loquebatur (osservantissimo custode della lingua, non parlava se con Dio o di Dio); quello di Santa Caterina da Siena, che conversa senza posa con Gesù nella sua «cella interiore», pur attendendo alle opere più svariate; quello di S. Tommaso d’Aquino, che riferisce tutti i suoi studi e ciascuno dei suoi pensieri a Dio: quello di S. Alberto Magno, che scrive ai suoi fratelli: «Il religioso che penetra in se stesso oltrepassa se stesso e sale veramente verso Dio.
      Raccogliamoci dunque lungi dai divertimenti mondani per fissarci nella luce della contemplazione».
      In verità, il Frate Predicatore, nel suo convento, è consacrato al silenzio.

2. La casa della contemplazione (segue)
     
      D’ordinario il novizio arriva agitato, con l’anima in preda all’inquietudine. Il primo beneficio del convento è dargli la radiosa calma del silenzio. Tutto cospira a fargli dimenticare i vani tumulti del di fuori e lo spinge a cercare il trionfo nel regno interno. Se egli non è un’anima mediocre, una di quelle anime tiepide, che mancano di profondità e di mistero, ben presto ama questo silenzio che comincia col mettere ordine in lui stesso e a poco a poco l’introduce nella pace.
      Nel medesimo tempo ch’egli è protetto contro le forze malefiche, che assediavano l’anima sua, una misteriosa potenza viene a commuoverlo. Tutto lo allontana dal mondo, tutto lo solleva a Dio. Egli si sente circondato dal soprannaturale. La preghiera si eleva da per tutto, ad ogni ora. Sovente nel giorno ed anche in piena notte, la campana lo chiama al gran dovere della lode divina. Da tutti i luoghi di questa casa abitata dallo Spirito sale verso di Lui un canto ch’egli non si stanca di ascoltare, che lo trascina, il canto delle anime in cerca di Dio, eterno motivo dell’amore.
      Fin dal primo giorno egli si trova in presenza di esempi viventi. I suoi nuovi fratelli gli mostrano ad ogni istante quale è quella via ch’egli deve percorrere. Li vede ad ogni ora tendere verso quell’ideale comune. Tutti i loro pensieri, tutti i loro atti ad esso convergono. E da questo sforzo collettivo, da quest’ardore comunicativo irradia una forza piena di speranza. Irresistibilmente il novizio obbedisce a questa chiamata che sale da tutte le cose e da tutti i cuori, a quest’ordine di divenire perfetto. Si sente trascinato in un vasto movimento, il cui termine è Dio. Vede ch’egli continua una lunga tradizione. Quando attraversa i chiostri, cammina sulle tombe. Un gran soffio di storia passa e l’avvolge. I minimi gesti dei novizi, che armonizzano un medesimo pensiero e una pari generosità, svelano la bellezza della tradizione; essi riallacciano i figli ai loro padri. Così pregava S. Domenico, così gl’innumerevoli figli che Dio gli suscitò nel corso dei secoli. Tutti diedero alla loro fede un’espressione identica. Tutti formano una cosa sola, confusi nella generosità del medesimo sacrificio, nella formula d’una preghiera simile.
      La Regola viene e s’impadronisce della sua vita, nella quale essa ispira i minimi particolari, organizzandoli tutti in ordine a Dio, dando a tutti, anche ai più infimi, qualcosa di santo.
      Imponendogli la povertà, la castità, le rinunce dell’obbedienza e le austerità della penitenza, essa rimuove l’altro ostacolo alla contemplazione, segnalato ancora da S. Tommaso: la veemenza delle passioni (vehementia passionum). La pratica della Regola purifica nel medesimo tempo e il corpo e il cuore e lo spirito.
      Al Predicatore basta osservarne tutti i punti per essere elevato ad un grado eminente di vita interiore, per la virtù degli sforzi, che questa fedeltà suppone e per la fecondità della grazia, di cui la Regola è come il canale. “Datemi un Frate Predicatore che osservi la sua Regola fino all’ultimo jota - diceva il papa Giovanni XXII ed io lo canonizzo senza bisogno d’altro miracolo”.
      Per il figlio di S. Domenico è una forza immensa il sottomettersi ad una tale disciplina. Essa lo libera, lo trascina, lo solleva. E’ per questa Regola, scritta e sperimentata da innumerevoli Santi e così prodigiosamente feconda, che la vita domenicana, per usare una parola delle Costituzioni, apparisce come una bella cerimonia: pulchra cerimonia: vita larga, piena, gioconda, armonicamente bella, fonte inesauribile della gioia intellettuale ed affettiva.
      I giorni del Predicatore si svolgono nella pace della regolarità, nella gioia delle rinunce e della carità fraterna. Estraneo alle cure e ai piaceri del mondo, sciolto dalle sollecitudini della vita esteriore, schivo da ogni volgare distrazione, nel corso delle sue ore di volontaria solitudine, egli non vede e non sente se non quello che vi è di divino nel mondo. Raccoglie tutto ciò che gli parla di Dio. Effettua l’unità di vita: compenetra tutto di divino. In questa pace del chiostro dove l’austerità e la castità preparano l’anima sua alla verità, egli veglia, sta in ascolto: quando viene Dio, egli ode meglio la sua voce.
      Ora Dio viene spesso. Dovunque e in ogni istante Egli si dà all’anima che lo desidera: durante lo studio che la carità vivifica, nel chiostro, nel coro, nella cella. La cella è il rifugio tutto pieno di Dio, il luogo abituale della contemplazione del religioso e delle sue più abbondanti conversazioni intime. Al Predicatore fervente essa parla sempre, e dà lezioni che solo essa conosce. Il P. Lacordaire assicurava d’aver scoperto nella sua angusta cella “un orizzonte più vasto che il mondo”.
      Veramente la vita domenicana tal quale la costituì S. Domenico, luminosa, larga e disciplinata, austera e gioconda, rivela e dona Iddio. Il convento domenicano è il luogo favorevole al riposo e all’espansione dell’anima. La preghiera si svolge liberamente. Lo studio, calmo e sereno, è ivi profondo e fruttuoso. È davvero la pax operosa richiesta da Sant’Agostino. Se un’anima generosa vien a rifugiarvisi, la sua influenza, sufficientemente sostenuta, produrrà una vita forte e piena, una vita armonica e feconda.
      Dopo aver preparato il Predicatore all’esercizio dell’apostolato, questa stessa vita conventuale lo proteggerà contro l’esaurimento del ministero. Al ritorno dai suoi viaggi apostolici, egli verrà nel raccoglimento e nella pace della sua cella a ritemprarsi per nuove fatiche.
      Il convento gli offrirà il necessario riposo; il raccoglimento lo arricchirà di nuove provvigioni di vita; l’anima sua si farà nuova. Rifatto e di nuovo provvisto, egli potrà ripartire senza pericolo per la conquista delle anime22.
      Sant’Antonino aveva fatto scrivere sulla porta d’una cella: Silentium est pater Praedicatorum. Infatti nel silenzio del suo convento il Frate Predicatore riempie l’anima sua della vita soprannaturale, che deve distribuire agli uomini. E fu davvero un pensiero geniale quello che guidò il Patriarca d’Osma allorché, con l’intento di formare degli apostoli, cominciò ad immergere i suoi figli nella vita contemplativa23.

[SM=g1740771]


Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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