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La Teologia oggi: prospettive, principi e criteri

Ultimo Aggiornamento: 15/06/2013 21:52
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09/01/2013 23:18
 
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[SM=g1740758] Capitolo Secondo
Rimanere nella Comunione della Chiesa

20. Il giusto luogo della teologia è all’interno della Chiesa, riunita dalla Parola di Dio. L’ecclesialità della teologia è un aspetto costitutivo del compito teologico, poiché la teologia è fondata sulla fede, e la fede stessa è sia personale sia ecclesiale. La rivelazione di Dio è rivolta alla convocazione e al rinnovamento del popolo di Dio, e attraverso la Chiesa i teologi ricevono l’oggetto della loro ricerca. Nella teologia cattolica si è molto riflettuto sui «loci» della teologia, ossia i punti di riferimento fondamentali per il compito teologico [28]. È importante conoscere non solo i loci, ma anche il loro peso relativo, e come si rapportano tra loro.

1. Lo studio della Scrittura come anima della teologia

21. «Lo studio delle sacre pagine» dovrebbe essere «l’anima della sacra teologia» [29]. È questa l’affermazione cardine del Concilio Vaticano II relativamente alla teologia. Ribadisce Papa Benedetto XVI: «Dove la teologia non è essenzialmente interpretazione della Scrittura nella Chiesa, questa teologia non ha più fondamento» [30]. La teologia nella sua interezza dovrebbe conformarsi alle Scritture, e le Scritture dovrebbero sostenere e accompagnare tutta l’opera teologica, poiché la teologia si occupa della «verità del Vangelo» (Gal 2,5), e può conoscere la verità soltanto se ne studia le testimonianze normative nel canone della sacra Scrittura [31] e se, nel fare ciò, pone in relazione le parole umane della Bibbia alla Parola vivente di Dio. «Gli esegeti cattolici non devono mai dimenticare che ciò che interpretano è la Parola di Dio […] Lo scopo del loro lavoro è raggiunto solamente quando hanno chiarito il significato del testo biblico come Parola attuale di Dio» [32].

22. Compito dell’esegesi, secondo la Dei Verbum, è accertare «ciò che Dio ha voluto comunicarci» [33]. Per capire e spiegare il significato dei testi biblici [34], deve utilizzare ogni opportuno metodo filologico, storico e letterario, per chiarire e comprendere la sacra Scrittura nel suo contesto e periodo. Si tiene così conto in modo metodologico della storicità della Rivelazione. La Dei Verbum (n. 12) fa particolare riferimento alla necessità di un’attenzione alle forme letterarie: «La verità infatti viene diversamente proposta ed espressa in testi in vario modo storici, o profetici, o poetici, o anche in altri generi di espressione». Successivamente al Concilio sono stati sviluppati nuovi metodi che possono far emergere nuovi aspetti del significato della Scrittura [35]. La Dei Verbum indica, tuttavia, che per riconoscere la dimensione divina della Bibbia e raggiungere un’interpretazione veramente «teologica» della Scrittura, devono essere considerati anche tre criteri fondamentali: [36] l'unità della Scrittura, la testimonianza della Tradizione e l’analogia della fede [37]. Il Concilio fa riferimento all’unità della Scrittura perché la Bibbia testimonia l’intera verità della salvezza soltanto nella sua multiforme totalità [38]. L’esegesi ha sviluppato modalità metodologiche per considerare il canone della Scrittura nel suo insieme come punto di riferimento ermeneutico per l’interpretazione della Scrittura. In tal modo è possibile valutare la significatività del contesto e del contenuto dei diversi libri e pericopi. Nel complesso, come insegna il Concilio, l’esegesi dovrebbe cercare di leggere e interpretare i testi biblici nell’ampio contesto della fede e della vita del popolo di Dio, sostenuto nel corso dei secoli dall’opera dello Spirito Santo. In tale contesto l’esegesi cerca il senso letterale e si apre al senso più pieno o spirituale (sensus plenior) della Scrittura [39]. «Soltanto dove i due livelli metodologici, quello storico-critico e quello teologico, sono osservati, si può parlare di una esegesi teologica – di una esegesi adeguata a questo Libro» [40].

23. Affermando che lo studio della sacra Scrittura è «anima» della teologia, la Dei Verbum ha in mente tutte le discipline teologiche. Questo fondamento nella Parola rivelata di Dio, così com’è testimoniata dalla Scrittura e dalla Tradizione, è essenziale per la teologia. Suo compito primario è l’interpretazione della verità di Dio in quanto verità salvifica. Sollecitata dal Concilio Vaticano II, la teologia intende occuparsi in tutta la sua opera della Parola di Dio e quindi della testimonianza della Scrittura [41]. Così nelle esposizioni teologiche prima di ogni altra cosa vanno «proposti i temi biblici» [42]. Questo approccio corrisponde ancora una volta a quello dei Padri della Chiesa, che furono «in primo luogo ed essenzialmente dei “commentatori della sacra Scrittura”» [43], e apre la possibilità della collaborazione ecumenica: «L’ascolto comune delle Scritture spinge perciò al dialogo della carità e fa crescere quello della verità» [44].

24. Un criterio della teologia cattolica è che questa deve costantemente attingere alla testimonianza canonica della Scrittura, facendo sì che a tale testimonianza sia ancorata tutta la dottrina e la pratica della Chiesa, affinché «la predicazione ecclesiastica, come la stessa religione cristiana, sia nutrita e regolata dalla sacra Scrittura» [45]. La teologia deve tentare di spalancare le Scritture ai fedeli cristiani [46], così che questi possano entrare in contatto con la Parola vivente di Dio (cfr Eb,4-12).

2. La fedeltà alla Tradizione apostolica

25. Gli Atti degli Apostoli danno una descrizione della vita delle prime comunità cristiane che è fondamentale per la Chiesa di ogni tempo: «Erano perseveranti nell’insegnamento degli apostoli e nella comunione, nello spezzare il pane e nelle preghiere» (At 2,42; cfr Ap 1,3). Questa concisa descrizione, che si colloca alla fine del racconto della Pentecoste, quando lo Spirito Santo aprì la bocca degli apostoli alla predicazione, portando alla fede molti tra coloro che li ascoltarono, mette in luce diversi aspetti essenziali dell’opera dello Spirito tuttora in corso nella Chiesa. Viene già tratteggiata un’anticipazione dell’insegnamento e della vita sacramentale della Chiesa, della sua spiritualità e del suo impegno alla carità. Tutte queste cose hanno avuto inizio nella comunità apostolica, e la trasmissione di questo stile di vita nello Spirito è la Tradizione apostolica. La lex orandi (la norma della preghiera), la lex credendi (la norma della fede) e la lex vivendi (la norma di vita) sono tutte aspetti essenziali di questa Tradizione. Paolo si riferisce alla Tradizione nella quale è stato incorporato come apostolo quando parla di «trasmettere» quello che egli stesso «ha ricevuto» (1 Cor 15,1-11, cfr anche 1 Cor 11,23-26).

26. La Tradizione è dunque qualcosa che è vivo e vitale, un processo in corso dove l’unità della fede trova espressione nella varietà dei linguaggi e nella diversità delle culture. Cessa di essere Tradizione se si fossilizza. «Questa Tradizione di origine apostolica progredisce nella Chiesa con l’assistenza dello Spirito Santo: cresce infatti la comprensione tanto delle cose quanto delle parole trasmesse […]. Così la Chiesa nel corso dei secoli tende incessantemente alla pienezza della verità divina, finché in essa vengano a compimento le parole di Dio» [47]. La Tradizione ha luogo nella potenza dello Spirito Santo, il quale, come promesso da Gesù ai discepoli, guida la Chiesa alla verità intera (cfr Gv 16,13) fissando fermamente la memoria di Gesù stesso (cfr Gv 14,26), mantenendo la Chiesa fedele alle sue origini apostoliche, rendendo possibile la trasmissione sicura della fede e incoraggiando una presentazione sempre attuale del Vangelo sotto la direzione dei pastori successori degli apostoli [48]. Componenti vitali della Tradizione sono quindi: uno studio costantemente rinnovato della sacra Scrittura, il culto liturgico, l’attenzione a ciò che ci hanno insegnato nel corso della storia i testimoni della fede, la catechesi che alimenta la crescita nella fede, l’amore pratico a Dio e al prossimo, il ministero ecclesiale strutturato e il servizio reso dal Magistero alla Parola di Dio. Ciò che viene trasmesso «comprende tutto quanto contribuisce alla condotta santa del popolo di Dio e all’incremento della fede». La Chiesa «nella sua dottrina, nella sua vita e nel suo culto, perpetua e trasmette a tutte le generazioni tutto ciò che essa è, tutto ciò che essa crede» [49].

27. «Le affermazioni dei santi Padri attestano la vivificante presenza di questa Tradizione, le cui ricchezze sono trasfuse nella pratica e nella vita della Chiesa che crede e che prega» [50]. Poiché i Padri della Chiesa, d’Oriente come d’Occidente, hanno un ruolo unico nella «fedele trasmissione e spiegazione» della verità rivelata [51], i loro scritti sono un punto di riferimento specifico (locus) per la teologia cattolica. La Tradizione conosciuta e vissuta dai Padri era sfaccettata e pulsante di vita, come mostra la pluralità di famiglie liturgiche e di tradizioni spirituali ed esegetico-teologiche (ad esempio, le scuole di Alessandria e di Antiochia), una pluralità saldamente ancorata e unita nell’unica fede. Durante le grandi controversie del IV e V secolo, la conformità o meno di una dottrina al consenso dei Padri era prova di ortodossia o di eresia [52]. Per Agostino la testimonianza dell’insieme dei Padri era la voce della Chiesa [53]. I Concili di Calcedonia e Trento hanno dato inizio alle loro solenni dichiarazioni con la formula: «Secondo i Santi Padri…» [54], e il Concilio di Trento e il Concilio Vaticano I hanno indicato chiaramente che il «consenso unanime» dei Padri era guida sicura per l’interpretazione della Scrittura [55].

28. Molti dei Padri erano vescovi che, insieme ad altri vescovi, si raccoglievano nei Concili, prima regionali e successivamente mondiali o «ecumenici», che segnano la vita della Chiesa sin dai primissimi secoli, seguendo l’esempio degli apostoli (cfr At 15,6-21). Di fronte alle eresie cristologiche e trinitarie che minacciavano la fede e l’unità della Chiesa durante il periodo patristico, i vescovi si sono riuniti in grandi Concili ecumenici — Nicea I, Costantinopoli I, Efeso, Calcedonia, Costantinopoli II, Costantinopoli III e Nicea II — per condannare l’errore e proclamare la fede ortodossa nei credi e nelle definizioni di fede. Questi Concili hanno attribuito al loro insegnamento, e in particolare alle loro solenni definizioni, carattere normativo e universalmente vincolante; e queste definizioni esprimono e appartengono alla Tradizione apostolica e continuano a servire la fede e l’unità della Chiesa. Concili successivi, riconosciuti come ecumenici in Occidente, hanno proseguito questa prassi. Il Concilio Vaticano II fa riferimento alla funzione d’insegnamento o magistero del Papa e dei vescovi della Chiesa, e afferma che i vescovi insegnano in modo infallibile quando, o radunati col Vescovo di Roma in Concilio ecumenico, o in comunione con lui sebbene dispersi nel mondo, concordano che una particolare dottrina concernente la fede e i costumi «si impone in maniera assoluta». Il Papa stesso, capo del collegio dei vescovi, insegna in modo infallibile quando «quale supremo pastore e dottore di tutti i fedeli […] sancisce con atto definitivo una dottrina riguardante la fede o la morale» [56].

29. La teologia cattolica riconosce l’autorità magisteriale dei Concili ecumenici, il magistero ordinario e universale dei vescovi, e il magistero papale. Riconosce lo speciale status dei dogmi, ossia asserzioni «nelle quali la Chiesa propone una verità rivelata in via definitiva, e secondo modalità che sono vincolanti per la Chiesa, così che la loro negazione è respinta in quanto eresia ed è colpita da anatema» [57]. I dogmi appartengono alla Tradizione apostolica viva e sempre attuale. I teologi sono ben consapevoli delle difficoltà attinenti al loro lavoro di interpretazione. Ad esempio, è necessario comprendere la questione oggetto di esame alla luce del suo contesto storico e discernere come il significato e il contenuto di un dogma sono legati alla sua formulazione [58]. Ciononostante i dogmi sono punti di riferimento sicuri per la fede della Chiesa e vengono usati come tali nella riflessione e argomentazione teologica.

30. Nella fede cattolica la Scrittura, la Tradizione e il Magistero della Chiesa sono congiunti inseparabilmente. «La sacra Tradizione e la sacra Scrittura costituiscono un solo sacro deposito della Parola di Dio affidato alla Chiesa», e «l’ufficio di interpretare autenticamente la Parola di Dio, scritta o trasmessa, è affidato al solo Magistero vivo della Chiesa» [59]. La sacra Scrittura non è semplicemente un testo, ma locutio Dei [60] e Verbum Dei [61] testimoniata inizialmente dai profeti dell’Antico Testamento e infine dagli apostoli nel Nuovo Testamento (cfr Rm 1,1-2). Nata in seno al Popolo di Dio, e da questo unificata, letta e interpretata, la sacra Scrittura appartiene alla Tradizione viva della Chiesa, quale testimonianza canonica della fede per ogni tempo. Infatti, «la Scrittura è il primo elemento nella tradizione scritta» [62]. «[L]a Scrittura va proclamata, ascoltata, letta, accolta e vissuta come Parola di Dio, nel solco della Tradizione apostolica dalla quale è inseparabile» [63]. Questo processo è sostenuto dallo Spirito Santo, «per mezzo del quale la viva voce dell’Evangelo risuona nella Chiesa e per mezzo di questa nel mondo» [64]. «La sacra Scrittura è la parola di Dio in quanto consegnata per iscritto per ispirazione dello Spirito divino; quanto alla sacra Tradizione, essa trasmette integralmente la parola di Dio — affidata da Cristo Signore e dallo Spirito Santo agli apostoli — ai loro successori, affinché, illuminati dallo Spirito di verità, con la loro predicazione fedelmente la conservino, la espongano e la diffondano; ne risulta così che la Chiesa attinge la certezza su tutte le cose rivelate non dalla sola Scrittura» [65].. Attinge tale certezza anche dalla Tradizione apostolica, poiché questa è il processo vivo dell’ascolto della Parola di Dio da parte della Chiesa.

31. Il Concilio Vaticano II distingue fra la Tradizione e quelle tradizioni che appartengono a periodi particolari della storia della Chiesa, o a particolari regioni e comunità, come, ad esempio, gli ordini religiosi o specifiche Chiese locali [66]. Questa distinzione fra Tradizione e tradizioni è stato uno dei principali compiti della teologia cattolica dopo il Vaticano II, e della teologia in generale negli scorsi decenni [67]. È un compito profondamente legato alla cattolicità della Chiesa, e che presenta numerose implicazioni ecumeniche. Sorgono numerosi interrogativi, come, ad esempio: «È possibile determinare in modo più preciso qual è il contenuto dell’unica Tradizione, e attraverso quali mezzi? Le tradizioni che si proclamano cristiane contengono tutte la Tradizione? Come possiamo distinguere fra tradizioni che esprimono la vera Tradizione e quelle che sono semplicemente tradizioni umane? Dove troviamo la vera Tradizione, e dove invece una tradizione impoverita o persino distorta? [68]. Da una parte la teologia deve dimostrare che la Tradizione apostolica non è qualcosa di astratto, ma che esiste concretamente nelle diverse tradizioni che si sono formate all’interno della Chiesa. D’altra parte la teologia deve esaminare perché certe tradizioni sono caratteristiche non della Chiesa nel suo insieme, ma soltanto di particolari ordini religiosi, Chiese locali o periodi storici. Mentre non è opportuno che la Tradizione apostolica sia soggetta a critica, le tradizioni devono invece essere sempre aperte alla critica, in modo che possa aversi quella «continua riforma» di cui ha bisogno la Chiesa [69], e in modo che la Chiesa possa rinnovarsi permanentemente sul suo unico fondamento, ossia Gesù Cristo. Una tale critica mira a verificare se una particolare tradizione esprime realmente la fede della Chiesa in un particolare tempo e luogo e cerca poi di rafforzarla o correggerla attraverso il contatto con la fede viva di ogni tempo e ogni luogo.

32. La fedeltà alla Tradizione apostolica è un criterio della teologia cattolica. Tale fedeltà richiede che vengano recepite in modo attivo e con discernimento le diverse testimonianze ed espressioni della Tradizione apostolica tuttora in corso. Essa comporta lo studio della sacra Scrittura, della liturgia e degli scritti dei Padri e dei Dottori della Chiesa, nonché attenzione all’insegnamento del Magistero.

3. Attenzione al «sensus fidelium»

33. Nella sua prima lettera ai Tessalonicesi, San Paolo scrive: «Rendiamo continuamente grazie a Dio perché, ricevendo la parola di Dio che noi vi abbiamo fatto udire, l’avete accolta non come parola di uomini ma, qual è veramente, come parola di Dio, che opera per voi credenti» (1 Ts 2,13). Queste parole illustrano quello che il Concilio Vaticano II ha definito «il senso soprannaturale della fede [sensus fidei] di tutto il popolo» [70], e la «profonda esperienza delle cose spirituali» [71] da parte dei fedeli, ossia il sensus fidelium. Soggetto della fede è il popolo di Dio nel suo insieme, che nella potenza dello Spirito afferma la Parola di Dio. Per tale ragione il Concilio dichiara che la totalità del popolo di Dio partecipa al ministero profetico di Gesù [72] e che, avendo l’unzione che viene dallo Spirito Santo (cfr 1 Gv 2,20.27), «non può sbagliarsi nel credere» [73]. I pastori che guidano il popolo di Dio, al servizio della sua fede, sono essi stessi innanzitutto membri della comunione dei credenti. Quindi la Lumen gentium prima parla del popolo di Dio e del sensus fidei che questo ha [74], e poi dei vescovi [75] che, tramite la successione apostolica nell’episcopato e il conferimento del loro specifico charisma veritatis certum (carisma certo di verità) [76], costituiscono, in quanto collegio in comunione gerarchica con il loro capo, il Vescovo di Roma e successore di Pietro al soglio pontificio [77], il M agistero della Chiesa. Analogamente la Dei Verbum insegna che la Parola di Dio è stata «affidata alla Chiesa» e parla di come ad essa aderisca «tutto il popolo santo», per poi specificare che l’ufficio di interpretare autenticamente la Parola di Dio è affidato al Papa e ai vescovi [78]. Questo ordinamento è fondamentale per la teologia cattolica. Come ha affermato da sant’Agostino: «Vobis sum episcopus, vobiscum sum christianus» [79].

34. Occorre comprendere correttamente la natura e la localizzazione del sensus fidei o sensus fidelium. Per sensus fidelium non si intende semplicemente un’opinione di maggioranza in una data epoca o cultura, né si tratta soltanto di un’affermazione secondaria rispetto a ciò che viene prima insegnato dal Magistero. Il sensus fidelium è il sensus fidei del popolo di Dio nella sua totalità, obbediente alla Parola di Dio e guidato dai suoi pastori lungo le vie della fede. Il sensus fidelium è quindi il senso della fede profondamente radicato nel popolo di Dio che riceve, comprende e vive la parola di Dio nella Chiesa.

35. Per I teologi il sensus fidelium riveste grande importanza. Non è soltanto oggetto di attenzione e di rispetto, è anche fondamento e locus per il loro lavoro. Da una parte, i teologi dipendono dal sensus fidelium, poiché la fede da essi esplorata e spiegata vive nel popolo di Dio. È chiaro, quindi, che i teologi stessi devono partecipare alla vita della Chiesa per averne una reale conoscenza. D’altra parte, il servizio particolare dei teologi all’interno del corpo di Cristo è anche proprio quello di spiegare la fede della Chiesa così com’è contenuta nelle Scritture, nella liturgia, nei credi, nei dogmi, nei catechismi e nel sensus fidelium stesso. I teologi contribuiscono a chiarire e articolare il contenuto del sensus fidelium, riconoscendo e dimostrando che le problematiche relative alla verità della fede possono essere complesse e richiedono un’indagine puntuale [80]. Ricade inoltre su di loro il compito, di volta in volta, di esaminare criticamente le espressioni della pietà popolare, le nuove correnti di pensiero e i movimenti interni alla Chiesa, in nome della fedeltà alla Tradizione apostolica. Le valutazioni critiche dei teologi devono essere sempre costruttive; devono essere date con umiltà, rispetto e chiarezza: «La conoscenza (gnosis) riempie di orgoglio, mentre l’amore (agape) edifica» (1 Cor 8,1).

36. L’attenzione al sensus fidelium è un criterio della teologia cattolica. Questa dovrebbe cercare di scoprire e articolare correttamente ciò in cui credono effettivamente i fedeli cattolici. Deve parlare la verità nell’amore, in modo che i credenti possano maturare nella fede e non essere «in balia delle onde, trasportati qua e là da qualsiasi vento di dottrina» (Ef 4,14-15).

4. Adesione responsabile al Magistero ecclesiastico

37. Nella teologia cattolica, il Magistero è parte integrante dell’opera teologica stessa, in quanto la teologia riceve il suo oggetto da Dio per mezzo della Chiesa, la cui fede è autenticamente interpretata dal «solo Magistero vivo della Chiesa» [81], ossia il Magistero del Papa e dei vescovi. La fedeltà al Magistero è necessaria affinché la teologia possa essere scienza della fede (scientia fidei) e funzione ecclesiale. Una corretta metodologia teologica richiede quindi una giusta comprensione della natura e autorità del Magistero ai suoi diversi livelli, e delle relazioni che correttamente esistono tra Magistero ecclesiastico e teologia [82]. Vescovi e teologi hanno una chiamata diversa, e devono rispettare le rispettive competenze, per evitare che il Magistero riduca la teologia a mera scienza ripetitiva, o i teologi presumano di sostituirsi all’ufficio di insegnamento dei pastori della Chiesa.

38. Una comprensione della Chiesa come comunione è un buon quadro di riferimento entro il quale considerare come tra teologi e vescovi, tra teologia e Magistero, possa esservi un rapporto di feconda collaborazione. La prima cosa da riconoscere è che i teologi nel loro lavoro e i vescovi nel loro magistero sottostanno entrambi al primato della Parola di Dio, e mai sono ad essa superiori [83]. Tra vescovi e teologi dovrebbe esserci una collaborazione ispirata al rispetto reciproco. Nell’ascolto obbediente a questa Parola e nella sua fedele proclamazione; nell’attenzione al sensus fidelium e nel servizio alla crescita e maturazione della fede; nella loro preoccupazione di trasmettere la Parola alle generazioni future, mostrando rispetto per le nuove sfide e interrogativi; e nella testimonianza colma di speranza dei doni già ricevuti; in tutte queste cose vescovi e teologi hanno i loro rispettivi ruoli in una missione comune [84] dalla quale Magistero e teologia traggono entrambi la propria legittimità e funzione [85]. La teologia studia e articola la fede della Chiesa, e il Magistero ecclesiastico proclama questa fede e la interpreta autenticamente [86].

39. Da una parte il Magistero ha bisogno della teologia per dare prova nei propri interventi non solo di autorità dottrinale, ma anche di competenza teologica e di capacità di valutazione critica; i teologi dovrebbero quindi essere chiamati a fornire assistenza nella preparazione e formulazione dei pronunciamenti magisteriali. D’altra parte il Magistero è per la teologia un ausilio indispensabile, in quanto trasmette autenticamente il deposito della fede (depositum fidei), soprattutto in momenti decisivi di discernimento. I teologi dovrebbero riconoscere il contributo dato dalle affermazioni magisteriali al progresso teologico, e operare affinché tali affermazioni vengano accolte. Gli stessi interventi magisteriali possono stimolare la riflessione teologica, e i teologi dovrebbero mostrare come i propri contributi si conformano e approfondiscono, precedenti affermazioni dottrinali del magistero. Esiste effettivamente nella Chiesa un certo «magistero» dei teologi [87], ma non possono invece trovarvi posto magisteri paralleli alternativi o contrari [88] o posizioni che separino la teologia dal Magistero della Chiesa.

40. Per quanto attiene poi all’interpretazione «autentica» della fede, il Magistero svolge un ruolo che la teologia semplicemente non può assumersi. La teologia non può sostituire un giudizio proveniente dalla comunità teologica scientifica a quello dei vescovi. L’accettazione di questa funzione del Magistero relativamente all’autenticità della fede richiede che vengano riconosciuti i diversi livelli delle affermazioni magisteriali [89]. A questi diversi livelli corrisponde una risposta differenziata da parte dei credenti e dei teologi. L’insegnamento del Magistero non ha tutto lo stesso peso. Questo è di per sé pertinente per il lavoro teologico, e infatti i diversi livelli sono descritti da quelle che vengono denominate «qualificazioni o note teologiche» [90].

41. Proprio in ragione di questa gradazione, l’obbedienza dovuta al Magistero da parte dei teologi in quanto membri del popolo di Dio comporta sempre un commento e una valutazione critica ma costruttiva [91]. La teologia cattolica non può esprimere «dissenso» nei confronti del Magistero, ma può e persino deve indagare e interrogare se vuole svolgere la propria funzione [92]. Qualunque sia la situazione, non basta che ci sia da parte dei teologi un’obbedienza o un’adesione meramente formale ed esteriore. I teologi dovrebbero cercare di approfondire la verità proclamata dal Magistero della Chiesa, ricercandone le implicazioni per la vita cristiana e per il servizio alla verità. In tal mondo i teologi esercitano il proprio compito e l’insegnamento del Magistero non si riduce a semplici citazioni decorative nel discorso teologico.

42. Il rapporto tra vescovi e teologi è spesso caratterizzato da cordialità e fiducia reciproca, nel pieno rispetto delle rispettive chiamate e responsabilità. Ad esempio, i vescovi assistono e partecipano alle riunioni nazionali e regionali delle associazioni teologiche, si rivolgono ad esperti teologici nella formulazione dei propri insegnamenti e orientamenti, e visitano e sostengono le Facoltà e le scuole teologiche presenti nelle loro diocesi. Inevitabilmente nel rapporto tra teologi e vescovi possono talvolta prodursi tensioni. Nella sua profonda analisi dell’interazione dinamica, all’interno dell’organismo vivente della Chiesa, fra i tre uffici di Cristo in quanto profeta, re e sacerdote, il beato John Henry Newman ha riconosciuto la possibilità di tali «contrasti o collisioni croniche» ed è bene ricordare che erano da lui considerati «nella norma delle cose» [93]. «La teologia è il principio fondamentale e regolatore di tutto il sistema ecclesiale», ha scritto, e tuttavia «non sempre la teologia può prevalere» [94]. Riguardo alle tensioni tra teologi e Magistero, la Commissione Teologica Internazionale si è così espressa nel 1975: «Dovunque c’è vera vita lì c’è pure una tensione. Essa non è inimicizia né vera opposizione, ma piuttosto una forza vitale e uno stimolo a svolgere comunitariamente ed in modo dialogico l’ufficio proprio di ciascuno» [95].

43. La libertà della teologia e dei teologi è un tema di particolare interesse [96]. Tale libertà «deriva da una vera responsabilità scientifica» [97]. Il concetto di adesione al Magistero talvolta produce un contrasto critico tra una cosiddetta teologia «scientifica» (dove mancano i presupposti della fede e l’obbedienza ecclesiale) e una cosiddetta teologia «confessionale» (elaborata all’interno di una confessione religiosa), ma tale contrapposizione non è adeguata [98]. Altri dibattiti vertono sulla libertà di coscienza del credente, o sull’importanza del progresso scientifico nell’indagine teologica, e il Magistero viene talvolta rappresentato come una forza repressiva o un freno al progresso. L’analisi di tali problematiche è di per sé parte del compito teologico, affinché possano essere correttamente integrati tra di loro gli aspetti scientifici e confessionali della teologia, e la libertà della teologia possa essere vista entro l’orizzonte del disegno e della volontà di Dio.

44. Dare adesione responsabile al Magistero nelle sue diverse gradazioni è un criterio della teologia cattolica. I teologi cattolici devono riconoscere la competenza dei vescovi e, in particolar modo, del collegio dei vescovi con a capo il Papa, a dare un’interpretazione autentica della Parola di Dio trasmessa nella Scrittura e nella Tradizione [99].

5. La comunità dei teologi

45. Come per qualsiasi altra vocazione cristiana, anche il ministero del teologo, oltre ad essere personale, è anche comunitario e collegiale. Viene cioè esercitato nella e per la Chiesa tutta, e viene vissuto in solidarietà con coloro che hanno avuto la medesima chiamata. I teologi sono giustamente consapevoli e orgogliosi degli stretti vincoli di solidarietà da cui sono uniti gli uni agli altri nel servizio al corpo di Cristo e al mondo. In molti modi diversi, in quanto colleghi presso le scuole e le Facoltà teologiche, in quanto membri delle stesse società e associazioni teologiche, in quanto collaboratori nella ricerca, e in quanto scrittori e docenti, essi si sostengono, si incoraggiano e si ispirano a vicenda; fungono inoltre da guide e mentori per coloro, in particolare studenti universitari, che aspirano a diventare teologi. Inoltre, com’è giusto, tali vincoli di solidarietà si estendono nello spazio e nel tempo, unendo tra di loro teologi di Paesi e culture diverse, come pure teologi appartenenti a epoche e contesti differenti. Questa solidarietà è veramente utile quando promuove la consapevolezza e l’osservanza dei criteri della teologia cattolica così come sono stati individuati in questo documento. Nessuno meglio dei loro colleghi può assistere i teologi cattolici nel loro intento di offrire il miglior servizio possibile, conformemente alle vere caratteristiche della loro disciplina.

46. Al giorno d’oggi, nella ricerca e nelle pubblicazioni, è sempre più diffusa la collaborazione, sia all’interno dello stesso campo teologico, sia in quello trasversale. Vanno promosse le occasioni di interventi, seminari e conferenze, che possano rafforzare la conoscenza e l’apprezzamento reciproco tra colleghi di istituzioni e Facoltà teologiche. Vanno inoltre incoraggiate anche le occasioni di incontro e scambio interdisciplinare tra teologi e filosofi, scienziati naturali e sociali, storici e così via, poiché, come esposto in questo documento, la teologia è una scienza che si sviluppa nell’interazione con le altre scienze, e queste fanno altrettanto nello scambio proficuo con la teologia.

47. In ragione della natura stessa del loro compito, i teologi spesso operano alle frontiere dell’esperienza e della riflessione della Chiesa. In particolare, dato l’ormai ampio numero di teologi laici che hanno esperienza di particolari aree di interazione tra la Chiesa e il mondo, tra il Vangelo e la vita, con le quali possono non avere invece altrettanta familiarità i teologi ordinati e i teologi religiosi, si verifica spesso che, in presenza di nuove circostanze o questioni, i teologi diano un’articolazione iniziale della «fede che cerca di comprendere». I teologi necessitano e meritano di essere sostenuti dalla preghiera di tutta la comunità ecclesiale, e soprattutto reciproca, nei loro sinceri sforzi a favore della Chiesa, ma in tali circostanze è particolarmente importante un’attenta adesione ai criteri fondamentali della teologia cattolica. I teologi dovrebbero essere sempre consapevoli della provvisorietà intrinseca del loro lavoro e sottoporre la loro opera all’esame e alla valutazione di tutta la Chiesa [100].

48. Tra i servizi più preziosi che i teologi si rendono a vicenda vi è quello del reciproco porre interrogativi e della correzione scambievole, ad esempio nella prassi medievale della disputatio e nella consuetudine odierna di sottoporre alla revisione reciproca i propri scritti, in modo che idee e i metodi possano essere progressivamente affinati e perfezionati; questo processo, che di norma trova il suo corretto svolgimento all’interno della comunità teologica stessa [101], può tuttavia essere, per sua stessa natura, lento e limitato ad una dimensione privata; soprattutto in quest’epoca di comunicazione istantanea e di diffusione delle idee ben oltre i confini della comunità teologica propriamente detta, sarebbe poco realistico presumere che un tale meccanismo di autocorrezione sia sufficiente in ogni caso. I vescovi, che custodiscono i fedeli, insegnando loro e prendendosene cura, hanno certamente il diritto e il dovere di parlare, di intervenire e se necessario di censurare il lavoro teologico che essi ritengono essere erroneo o nocivo [102].

49. La ricerca e il dialogo ecumenico costituiscono un ambito unicamente privilegiato e potenzialmente proficuo per la collaborazione tra i teologi cattolici e quelli di altre tradizioni cristiane. Durante questo scambio vengono sottoposte ad una riflessione approfondita tematiche relative alla fede, al significato e al linguaggio. Lavorando per promuovere la comprensione reciproca su questioni che sono state causa di contrasti tra le rispettive tradizioni, i teologi agiscono da ambasciatori per le loro comunità nel santo compito di ricercare la riconciliazione e l’unità dei cristiani, in modo che il mondo possa credere (cfr Gv 17,21). Questa funzione di ambasciatore richiede da parte dei partecipanti cattolici una particolare adesione ai criteri qui esposti, in modo che le molteplici ricchezze contenute nella tradizione cattolica possano essere veramente offerte in quello «scambio di doni» che in un certo senso è sempre il dialogo ecumenico e la collaborazione in generale [103].

50. Un criterio della teologia cattolica è che va esercitata nella collaborazione professionale, nella preghiera e nella carità con l’intera comunità dei teologi cattolici nella comunione ecclesiale, in uno spirito di apprezzamento e sostegno reciproco, attenti sia alle necessità e ai commenti dei fedeli, sia alla guida dei pastori della Chiesa.

6. In dialogo con il mondo

51. «Il popolo di Dio […] crede di essere condotto dallo Spirito del Signore che riempie l’universo» [104]. Il Concilio Vaticano II ha affermato che la Chiesa quindi deve essere pronta a discernere «negli avvenimenti, nelle richieste e nelle aspirazioni […] del nostro tempo» quali siano i veri segni dell’agire dello Spirito [105]. «Per svolgere [il proprio] compito è dovere permanente della Chiesa di scrutare i segni dei tempi [signa temporum perscrutandi] e di interpretarli alla luce del Vangelo, così che, in modo adatto a ciascuna generazione, possa rispondere ai perenni interrogativi degli uomini sul senso della vita presente e futura e sulle loro relazioni reciproche. Bisogna infatti conoscere e comprendere il mondo in cui viviamo, le sue attese, le sue aspirazioni e il suo carattere spesso drammatico» [106].

52. Nel vivere con fede la loro esistenza quotidiana nel mondo, tutti i cristiani si confrontano con la sfida di interpretare gli avvenimenti e le crisi che caratterizzano le vicende umane, e tutti partecipano a conversazioni e dialoghi in cui, inevitabilmente, viene messa in discussione la fede e si richiede una risposta. La Chiesa intera vive, per così dire, nell’interfaccia tra il Vangelo e la vita quotidiana, che è anche il confine tra passato e futuro man mano che la storia va avanti. La Chiesa è sempre in dialogo e sempre in movimento, e all’interno della comunione dei battezzati, tutti in tal modo dinamicamente impegnati, particolari responsabilità ricadono su vescovi e teologi, come sottolineato dal Concilio. «È dovere di tutto il popolo di Dio, soprattutto dei pastori e dei teologi, con l’aiuto dello Spirito Santo, ascoltare attentamente, discernere e interpretare i vari linguaggi del nostro tempo, e saperli giudicare alla luce della Parola di Dio, perché la verità rivelata sia capita sempre più a fondo, sia meglio compresa e possa venir presentata in forma più adatta» [107].

53. A tale riguardo la teologia ha una particolare competenza e responsabilità. Mediante un dialogo costante con le correnti sociali, religiose e culturali del tempo, e con l’apertura verso altre scienze che, utilizzando i propri metodi, studiano questi sviluppi, la teologia può aiutare i fedeli e il Magistero a vedere l’importanza dei movimenti, avvenimenti e tendenze della storia umana, e a discernere e interpretare i modi attraverso i quali è possibile che lo Spirito stia parlando alla Chiesa e al mondo.

54. Per «segni dei tempi» si possono intendere quegli avvenimenti o fenomeni nella storia umana che in un certo senso, in ragione della loro portata o impatto, definiscono un periodo e danno espressione a particolari esigenze o aspirazioni dell’umanità di quel tempo. L’uso che fa il Concilio dell’espressione «segni dei tempi» mostra come avesse pienamente riconosciuto la storicità non solo del mondo, ma anche della Chiesa, che è nel mondo (cfr Gv 17,11.15.18) sebbene non del mondo (cfr Gv 17,14.16). Ciò che accade nel mondo in generale, in positivo o in negativo, non può mai lasciare indifferente la Chiesa. Il mondo è il luogo dove la Chiesa, sulle orme di Cristo, annuncia il Vangelo, rende testimonianza alla giustizia e misericordia di Dio, e partecipa al dramma della vita umana.

55. Negli ultimi secoli si sono avuti grandi sviluppi sociali e culturali. Si potrebbero, ad esempio, citare la scoperta della storicità, e movimenti come l’Illuminismo e la Rivoluzione francese (con i suoi ideali di libertà, uguaglianza e fraternità), i movimenti per l’emancipazione e la promozione dei diritti delle donne, i movimenti per la pace e la giustizia, i movimenti di liberazione e democratizzazione, e il movimento ecologico. In passato l’ambivalenza della storia umana ha portato talvolta la Chiesa ad essere eccessivamente cauta nei confronti di questi movimenti, vedendo soltanto le minacce che questi potevano presentare per la dottrina e la fede cattolica, e trascurandone la significatività. Questi atteggiamenti, tuttavia, si sono gradualmente modificati grazie al sensus fidei del Popolo di Dio, alla chiaroveggenza di singoli credenti profetici, e al paziente dialogo tra teologi e culture circostanti. Si è fatto un miglior discernimento alla luce del Vangelo, con una più pronta disponibilità a vedere come lo Spirito di Dio potesse parlare attraverso tali eventi. In ogni caso il discernimento deve fare un’attenta distinzione tra elementi compatibili col Vangelo e quelli che vi sono contrari, tra contributi positivi e aspetti ideologici, ma la maggiore comprensione del mondo che ne risulta non può che spingere verso un più penetrante apprezzamento di Cristo Signore e del Vangelo [108], poiché Cristo è il Salvatore del mondo.

56. Se il mondo della cultura umana trae vantaggio dall’attività della Chiesa, anche questa beneficia della storia e dell’evoluzione del genere umano». «L’esperienza dei secoli passati, il progresso della scienza, i tesori nascosti nelle varie forme di cultura umana, attraverso cui si svela più appieno la natura stessa dell’uomo e si aprono nuove vie verso la verità, tutto ciò è di vantaggio anche per la Chiesa» [109]. Il meticoloso lavoro di intrecciare legami proficui con altre discipline, scienze e culture per meglio illuminare e ampliare queste vie è compito particolare dei teologi, e il discernimento dei segni dei tempi presenta grandi opportunità per l’opera teologica, nonostante le complesse questioni ermeneutiche che vengono sollevate. Grazie al lavoro di molti teologi, il Concilio Vaticano II ha potuto riconoscere diversi segni dei tempi con riferimento al proprio insegnamento [110].

57. Prestando ascolto alla Parola finale di Dio in Gesù Cristo, i cristiani sono aperti a cogliere le risonanze della sua voce in altre persone, luoghi e culture (cfr At 15,15-17; 17,24-28; Rm 1,19-20). Il Concilio ha esortato i fedeli a «conoscere bene le tradizioni nazionali e religiose degli altri, lieti di scoprire e pronti a rispettare quei germi del Verbo che vi si trovano nascosti» [111]. Ha insegnato specificamente che la Chiesa cattolica «nulla rigetta di quanto è vero e santo» nelle religioni non cristiane, i cui precetti e dottrine «non raramente riflettono un raggio di quella verità che illumina» ogni persona [112]. Portare alla luce questi germi e discernere questi raggi di verità è anche questo compito speciale dei teologi, che hanno un importante contributo da offrire al dialogo interreligioso.

58. Un criterio della teologia cattolica è che questa dovrebbe essere in dialogo costante con il mondo. Dovrebbe aiutare la Chiesa a leggere i segni dei tempi, illuminata dalla luce che viene dalla rivelazione divina, e nel far ciò a trarne vantaggio nella sua vita e missione.



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[Modificato da Caterina63 09/01/2013 23:19]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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