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La Teologia oggi: prospettive, principi e criteri

Ultimo Aggiornamento: 15/06/2013 21:52
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II

LA VOCAZIONE DEL TEOLOGO

6. Fra le vocazioni suscitate dallo Spirito nella Chiesa si distingue quella del teologo, che in modo particolare ha la funzione di acquisire, in comunione con il Magistero, un’intelligenza sempre più profonda della Parola di Dio contenuta nella Scrittura ispirata e trasmessa dalla Tradizione viva della Chiesa.

Di sua natura la fede fa appello all’intelligenza, perché svela all’uomo la verità sul suo destino e la via per raggiungerlo. Anche se la verità rivelata è superiore ad ogni nostro dire ed i nostri concetti sono imperfetti di fronte alla sua grandezza ultimamente insondabile (cf. Ef 3, 19), essa invita tuttavia la ragione - dono di Dio fatto per cogliere la verità - ad entrare nella sua luce, diventando così capace di comprendere in una certa misura quanto ha creduto. La scienza teologica, che, rispondendo all’invito della voce della verità cerca l'intelligenza della fede, aiuta il Popolo di Dio, secondo il comandamento dell'apostolo (cf. 1 Pt 3, 15), a rendere conto della sua speranza a coloro che lo richiedono.

7. Il lavoro del teologo risponde così al dinamismo insito nella fede stessa: di sua natura la Verità vuole comunicarsi, perché l'uomo è stato creato per percepire la verità, e desidera nel più profondo di se stesso conoscerla per ritrovarsi in essa e per trovarvi la sua salvezza (cf. 1 Tm 2, 4). Per questo il Signore ha inviato i suoi apostoli perché facciano «discepole» tutte le nazioni e le ammaestrino (cf. Mt 28, 19s.). La teologia, che ricerca la «ragione della fede» ed a coloro che cercano offre questa ragione come una risposta, costituisce parte integrante dell’obbedienza a questo comandamento, perché gli uomini non possono diventare discepoli se la verità contenuta nella parola della fede non viene loro presentata (cf. Rm 10, 14s).

La teologia offre dunque il suo contributo perché la fede divenga comunicabile, e l'intelligenza di coloro che non conoscono ancora il Cristo possa ricercarla e trovarla. La teologia, che obbedisce all’impulso della verità che tende a comunicarsi, nasce anche dall’amore e dal suo dinamismo: nell’atto di fede, l’uomo conosce la bontà di Dio e comincia ad amarlo, ma l’amore desidera conoscere sempre meglio colui che ama[3]. Da questa duplice origine della teologia, iscritta nella vita interna del Popolo di Dio e nella sua vocazione missionaria, consegue il modo con cui essa deve essere elaborata per soddisfare alle esigenze della sua natura.

8. Poiché oggetto della teologia è la Verità, il Dio vivo ed il suo disegno di salvezza rivelato in Gesù Cristo, il teologo è chiamato ad intensificare la sua vita di fede e ad unire sempre ricerca scientifica e preghiera[4]. Sarà così più aperto al «senso soprannaturale della fede» da cui dipende e che gli apparirà come una sicura regola per guidare la sua riflessione e misurare la correttezza delle sue conclusioni.

9. Nel corso dei secoli la teologia si è progressivamente costituita in vero e proprio sapere scientifico. È quindi necessario che il teologo sia attento alle esigenze epistemologiche della sua disciplina, alle esigenze di rigore critico, e quindi al controllo razionale di ogni tappa della sua ricerca. Ma l’esigenza critica non va identificata con lo spirito critico, che nasce piuttosto da motivazioni di carattere affettivo o da pregiudizio. Il teologo deve discernere in se stesso l’origine e le motivazioni del suo atteggiamento critico e lasciare che il suo sguardo sia purificato dalla fede. L’impegno teologico esige uno sforzo spirituale di rettitudine e di santificazione.

10. Pur trascendendo la ragione umana, la verità rivelata è in profonda armonia con essa. Ciò suppone che la ragione sia per sua natura ordinata alla verità in modo che, illuminata dalla fede, essa possa penetrare il significato della Rivelazione. Contrariamente alle affermazioni di molte correnti filosofiche, ma conformemente ad un retto modo di pensare che trova conferma nella Scrittura, si deve riconoscere la capacità della ragione umana di raggiungere la verità, così come la sua capacità metafisica di conoscere Dio a partire dal creato[5].

Il compito proprio alla teologia di comprendere il senso della Rivelazione esige pertanto l’utilizzo di acquisizioni filosofiche che forniscano «una solida ed armonica conoscenza dell’uomo, del mondo e di Dio»[6], e possano essere assunte nella riflessione sulla dottrina rivelata. Le scienze storiche sono egualmente necessarie agli studi del teologo, a motivo innanzitutto del carattere storico della Rivelazione stessa, che ci è stata comunicata in una «storia di salvezza». Si deve infine fare ricorso anche alle «scienze umane», per meglio comprendere la verità rivelata sull’uomo e sulle norme morali del suo agire, mettendo in rapporto con essa i risultati validi di queste scienze.

In questa prospettiva è compito del teologo assumere dalla cultura del suo ambiente elementi che gli permettano di mettere meglio in luce l’uno o l’altro aspetto dei misteri della fede. Un tale compito è certamente arduo e comporta dei rischi, ma è in se stesso legittimo e deve essere incoraggiato.

A questo proposito è importante sottolineare che l’utilizzazione da parte della teologia di elementi e strumenti concettuali provenienti dalla filosofia o da altre discipline esige un discernimento che ha il suo principio normativo ultimo nella dottrina rivelata. È essa che deve fornire i criteri per il discernimento di questi elementi e strumenti concettuali e non viceversa.

11. Il teologo, non dimenticando mai di essere anch’egli membro del Popolo di Dio, deve nutrire rispetto nei suoi confronti e impegnarsi nel dispensargli un insegnamento che non leda in alcun modo la dottrina della fede.

La libertà propria alla ricerca teologica si esercita all’interno della fede della Chiesa. L’audacia pertanto che si impone spesso alla coscienza del teologo non può portare frutti ed «edificare» se non si accompagna alla pazienza della maturazione. Le nuove proposte avanzate dall’intelligenza della fede «non sono che un’offerta fatta a tutta la Chiesa. Occorrono molte correzioni e ampliamenti di prospettiva in un dialogo fraterno, prima di giungere al momento in cui tutta la Chiesa possa accettarle». Di conseguenza la teologia, in quanto «servizio molto disinteressato alla comunità dei credenti, comporta essenzialmente un dibattito oggettivo, un dialogo fraterno, un’apertura ed una disponibilità a modificare le proprie opinioni»[7].

12. La libertà di ricerca, che giustamente sta a cuore alla comunità degli uomini di scienza come uno dei suoi beni più preziosi, significa disponibilità ad accogliere la verità così come essa si presenta al termine di una ricerca, nella quale non sia intervenuto alcun elemento estraneo alle esigenze di un metodo che corrisponda all’oggetto studiato.

In teologia questa libertà di ricerca si iscrive all’interno di un sapere razionale il cui oggetto è dato dalla Rivelazione, trasmessa ed interpretata nella Chiesa sotto l’autorità del Magistero, ed accolta dalla fede. Trascurare questi dati, che hanno un valore di principio, equivarrebbe a smettere di fare teologia. Per ben precisare le modalità di questo rapporto con il Magistero, è ora opportuno riflettere sul ruolo di quest’ultimo nella Chiesa.

 

III

IL MAGISTERO DEI PASTORI

13. «Dio, con somma benignità, dispose che quanto egli aveva rivelato per la salvezza di tutte le genti, rimanesse sempre integro e venisse trasmesso a tutte le generazioni»[8]. Egli ha dato alla sua Chiesa, mediante il dono dello Spirito Santo, una partecipazione alla propria infallibilità[9]. Il Popolo di Dio, grazie al «senso soprannaturale della fede», gode di questa prerogativa, sotto la guida del Magistero vivo della Chiesa, che, per l’autorità esercitata nel nome di Cristo, è il solo interprete autentico della Parola di Dio, scritta o trasmessa[10].

14. Come successori degli Apostoli, i Pastori della Chiesa «ricevono dal Signore... la missione di insegnare a tutte le genti e di predicare il vangelo ad ogni creatura, affinché tutti gli uomini... ottengano la salvezza»[11]. Ad essi è quindi affidato il compito di conservare, esporre e diffondere la Parola di Dio, della quale sono servitori[12].

La missione del Magistero è quella di affermare, coerentemente con la natura «escatologica» propria dell’evento di Gesù Cristo, il carattere definitivo dell’Alleanza instaurata da Dio per mezzo di Cristo con il suo popolo, tutelando quest’ultimo da deviazioni e smarrimenti, e garantendogli la possibilità obiettiva di professare senza errori la fede autentica, in ogni tempo e nelle diverse situazioni. Ne consegue che il significato del Magistero ed il suo valore sono comprensibili solo in relazione alla verità della dottrina cristiana ed alla predicazione della Parola vera. La funzione del Magistero non è quindi qualcosa di estrinseco alla verità cristiana né di sovrapposto alla fede; essa emerge direttamente dall’economia della fede stessa, in quanto il Magistero è, nel suo servizio alla Parola di Dio, un’istituzione voluta positivamente da Cristo come elemento costitutivo della Chiesa. Il servizio alla verità cristiana reso dal Magistero è perciò a favore di tutto il Popolo di Dio, chiamato ad entrare in quella libertà della verità che Dio ha rivelato in Cristo.

15. Perché possano adempiere pienamente il compito loro affidato di insegnare il Vangelo e di interpretare autenticamente la Rivelazione, Gesù Cristo ha promesso ai Pastori della Chiesa l’assistenza dello Spirito Santo. Egli li ha dotati in particolare del carisma di infallibilità per quanto concerne materie di fede e di costumi. L’esercizio di questo carisma può avere diverse modalità. Si esercita in particolare quando i vescovi, in unione con il loro capo visibile, mediante un atto collegiale, come nel caso dei concili ecumenici, proclamano una dottrina, o quando il Pontefice romano, esercitando la sua missione di Pastore e Dottore supremo di tutti i cristiani, proclama una dottrina «ex cathedra»[13].

16. Il compito di custodire santamente e di esporre fedelmente il deposito della divina Rivelazione implica, di sua natura, che il Magistero possa proporre «in modo definitivo»[14] enunciati che, anche se non sono contenuti nelle verità di fede, sono ad esse tuttavia intimamente connessi, così che il carattere definitivo di tali affermazioni deriva, in ultima analisi, dalla Rivelazione stessa[15].

Ciò che concerne la morale può essere oggetto di magistero autentico, perché il Vangelo, che è Parola di vita, ispira e dirige tutto l’ambito dell’agire umano. Il Magistero ha dunque il compito di discernere, mediante giudizi normativi per la coscienza dei fedeli, gli atti che sono in se stessi conformi alle esigenze della fede e ne promuovono l’espressione nella vita, e quelli che al contrario, per la loro malizia intrinseca, sono incompatibili con queste esigenze. A motivo del legame che esiste fra l’ordine della creazione e l’ordine della redenzione, e a motivo della necessità di conoscere e di osservare tutta la legge morale in vista della salvezza, la competenza del Magistero si estende anche a ciò che riguarda la legge naturale[16].

D’altra parte la Rivelazione contiene insegnamenti morali che di per se potrebbero essere conosciuti dalla ragione naturale, ma a cui la condizione dell’uomo peccatore rende difficile l’accesso. È dottrina di fede che queste norme morali possono essere infallibilmente insegnate dal Magistero[17].

17. L’assistenza divina è data inoltre ai successori degli Apostoli, che insegnano in comunione con il successore di Pietro, e, in una maniera particolare, al Romano Pontefice, Pastore di tutta la Chiesa, quando, senza giungere ad una definizione infallibile e senza pronunciarsi in un «modo definitivo», nell’esercizio del loro magistero ordinario propongono un insegnamento, che conduce ad una migliore comprensione della Rivelazione in materia di fede e di costumi, e direttive morali derivanti da questo insegnamento.

Si deve dunque tener conto del carattere proprio di ciascuno degli interventi del Magistero e della misura in cui la sua autorità è coinvolta, ma anche del fatto che essi derivano tutti dalla stessa fonte e cioè da Cristo che vuole che il suo Popolo cammini nella verità tutta intera. Per lo stesso motivo le decisioni magisteriali in materia di disciplina, anche se non sono garantite dal carisma dell’infallibilità, non sono sprovviste dell’assistenza divina, e richiedono l’adesione dei fedeli.

18. Il Pontefice Romano adempie la sua missione universale con l’aiuto degli organismi della Curia Romana ed in particolare della Congregazione per la Dottrina della Fede per ciò che riguarda la dottrina sulla fede e sulla morale. Ne consegue che i documenti di questa Congregazione approvati espressamente dal Papa partecipano al magistero ordinario del successore di Pietro[18].

19. Nelle Chiese particolari spetta al vescovo custodire ed interpretare la Parola di Dio e giudicare con autorità ciò che le è conforme o meno. L’insegnamento di ogni vescovo, preso singolarmente, si esercita in comunione con quello del Pontefice romano, Pastore della Chiesa universale, e con gli altri vescovi dispersi per il mondo o riuniti in Concilio ecumenico. Questa comunione è condizione della sua autenticità.

Membro del collegio episcopale in forza della sua ordinazione sacramentale e della comunione gerarchica, il vescovo rappresenta la sua Chiesa, così come tutti i vescovi in unione con il Papa, rappresentano la Chiesa universale nel vincolo della pace, dell’amore, dell'unità e della verità. Convergendo nell'unità, le Chiese locali, con il loro proprio patrimonio, manifestano la cattolicità della Chiesa. Da parte loro, le Conferenze episcopali contribuiscono alla realizzazione concreta dello spirito («affectus») collegiale[19].

20. Il compito pastorale del Magistero, che ha lo scopo di vigilare perché il Popolo di Dio rimanga nella verità che libera, è dunque una realtà complessa e diversificata. Il teologo, nel suo impegno al servizio della verità, dovrà, per restare fedele alla sua funzione, tener conto della missione propria al Magistero e collaborare con esso. Come si deve intendere questa collaborazione? Come si realizza concretamente e quali ostacoli può incontrare? È ciò che occorre adesso esaminare più da vicino.


Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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