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Mons. Gerhard L. Müller spiega il rapporto tra fede e pace nell'autentico "spirito d'Assisi"

Ultimo Aggiornamento: 17/01/2013 18:34
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17/01/2013 18:31
 
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[SM=g1740758] 5. Bussare alla porta dell’umanità che esiste in ogni uomo e che si esprime nella sua religiosità, non significa che tutte le religioni sviluppatesi storicamente possano essere trattate come un’indistinta espressione della stessa esperienza umana.

La Rivelazione di Dio non è la descrizione della universale esperienza religiosa umana. Le teorie pluralistiche delle religioni che si dirigono in questa direzione non sono dunque teologie fondate sulla Parola di Dio, e spesso cominciano con un a priori ingiustificato, secondo cui tutte le religioni in fondo sarebbero simili, negando o dubitando della possibilità di una reale comunicazione fra Dio e l’uomo.


[SM=g1740733] Vi è chi nega la possibilità stessa della Incarnazione, dell’assunzione della natura umana da parte di una Persona divina. Così, l’Incarnazione del Figlio di Dio, che è il cuore della fede cristiana, sarebbe ridotta ad una metafora poetica, bella ma irreale. Coloro che ragionano in questi termini negano l’a posteriori del fatto della Rivelazione storica e dell’Incarnazione stessa, in nome di un a priori metafisico che non consente di considerare la kenosi di Dio verso l’uomo come una realtà(5). Così, dopo aver parlato di un “Dio ignoto”, l’apostolo di Cristo compie il proprio annuncio: “Quello che voi adorate senza conoscere, io ve lo annunzio” (At 17,23). 

Perciò una teologia autenticamente cristiana delle religioni non può accettare simili posizioni. [SM=g1740721]

Il riconoscimento del Dio Creatore, il fatto della Rivelazione storica e dell’Incarnazione, che culmina nel Mistero Pasquale di Gesù Cristo, non cancella le verità sull’uomo che la ragione può conoscere anche senza l’aiuto diretto della grazia e non impedisce che le religioni possano esprimere un senso morale ed una religiosità naturali. Il rispetto di questa religiosità può essere mantenuto insieme con la fede cristiana, perché la fede non è contro la ragione e lascia dunque spazio anche alla morale e alla religione naturali, riconoscendo però i limiti della natura laddove non è illuminata ed elevata dalla fede. Rispettare la coscienza religiosa dell’umanità non significa infatti dimenticare che le religioni storiche presentano anche ostacoli, come pure forme malate e disturbate di religione.

6. Dopo aver rilevato il valore e l’universalità della religiosità naturale, insieme ai suoi limiti, occorre poi notare anche la relazione e la differenza fondamentale tra questa e la fede. La fede è distinta dalla religiosità naturale(6). Essa è un dono, una virtù teologale ricevuta da Dio. Non è un prodotto della natura umana e anche se permette il perfezionamento della natura umana. La fede è una realtà soprannaturale, cioè un dono della grazia che viene da Dio ed ha per oggetto Dio che si rivela, il quale è l’origine e il compimento della stessa fede. Oggetto della religiosità naturale sono gli atti di culto a Dio, compiuti nel rispetto dovuto a Dio Creatore, che la ragione naturale può conoscere. Essenzialmente, il contenuto della fede è ricevuto attraverso la Rivelazione di Dio ed è trasmesso mediante l’insegnamento della Chiesa (cf. Ef 3,10). Gli atti di fede aprono alla potenza salvatrice di Dio (cf. Mc 5,30) e introducono alla vita soprannaturale, alla “vita eterna”(7).

Dio si nasconde nel mistero e può essere conosciuto solamente con la fede, non perché Egli sminuisca il valore dell’intelletto naturale umano, bensì perché la fede, con la forza della grazia, offre alla ragione maggiori certezze su Dio e la aiuta a riconoscerLo, ad avere fiducia in Lui, ad aprirsi alla Sua presenza. Nella fede Dio si rivela come un Dio personale, che ama come un Padre.
Egli non si lascia confinare nel solo concetto di un Assoluto astratto, che la ragione magari percepisce, rispetta o teme. Da ciò si comprende quanto sia scorretto confondere la fede cristiana con la religiosità naturale e usare il termine “fede” per il credo delle religioni non-bibliche(8). Con ciò non si vuol negare la possibilità che Dio conceda di credere a coloro che non conoscono la Parola rivelata, né conoscono Cristo e la Chiesa, ma credono che Egli “esiste e ricompensa coloro che lo cercano” (Eb 11,6). In questo caso, bisogna però sottolineare che il credere, se non è nutrito dalla Parola di Dio e dai sacramenti della Chiesa, vive in una situazione di pericolo e rischia di essere deformata.

La fede illumina il valore della religiosità naturale, la quale offre l’humus adeguato alla prima, anche se soltanto la vita teologale donata da Dio attribuisce agli atti religiosi una profondità spirituale e un valore inattingibili con le sole forze e progresso umani. Dunque da quel centro interiore che è la religiosità, la religione può e deve essere valutata e purificata. Non bisogna allora giustapporre la religiosità alla fede. La fede, come dono di grazia, si innesta sulle naturali facoltà umane e produce un cambiamento noetico ed etico. Essa cambia la religiosità dal di dentro, assicurandole una fecondità soprannaturale, ed ex parte sua, la religiosità naturale offre alla fede un contesto che l’accoglie, la indirizza e le permette di esprimersi a tutti i livelli della natura umana.

7. La Chiesa cattolica e il Cristianesimo non rifiutano, pertanto, il dialogo con le religioni, proprio perché dalla fede cristiana proviene un rispetto verso la naturale sensibilità religiosa degli uomini(9). Il rispetto dovuto alla coscienza – anche nel caso in cui questa sembra essere nascosta in una religiosità incapace di discernere i valori morali e di esserne responsabile – esige un dialogo da compiere con passi lenti, nella paziente attesa dall’apertura della ragione alla pienezza della verità.
La Chiesa, pur nutrendo fiducia nella grandezza della ratio – che invita a non chiudersi in limiti troppo riduttivi(10) e ad aprirsi alla ricerca della verità – nello stesso tempo sa che la sola ratio raramente può arrivare a scoprire le verità fondamentali. Solitamente solo pensatori, onesti e profondi, di acume non comune, giungevano, sulla base della ragione naturale, alla piena e rispettosa scoperta della dignità e del destino umani, del valore della pace e della solidarietà. È tuttavia da rimarcare che, ben conoscendo i limiti della ragione naturale, la Chiesa non perde la fiducia nella ragione e non accetta il pessimismo veritativo, che distingue gli ambienti nichilisti o relativisti. Proprio in nome della fiducia nelle capacità naturali della ragione, e confidando in esse, la Chiesa può impegnarsi nel dialogo interreligioso.

In secondo luogo, occorre ribadire che lo scopo del dialogo non è il dialogo in sé stesso. Lo scopo del dialogo è la conoscenza della verità. Il dialogo è un metodo che aiuta nel cammino verso la verità.
Già il dialogo socratico serviva in questo senso, come strada per la ricerca filosofica della verità e per liberare la mente così da non allontanarsi dalla verità. [SM=g1740722]

Talvolta questi allontanamenti, benché nascosti ed incoscienti, sono motivati dal fatto che la verità conosciuta si rivela esigente. Avendo scoperto la verità occorre accettarne l’autorità, e, proprio perché è vera, occorre seguirla, anche se non tutti sono pronti ad accettare il necessario sforzo. A volte, l’uomo si chiude in posizioni relativistiche o in una semplificante religiosità naturale per sentirsi libero dalle esigenze della verità. Il relativismo preferisce il dubbio permanente per non lasciarsi obbligare dalla certezza della verità. Così, le religioni naturali possono offrire qualche risposta alle domande fondamentali dell’uomo, placare qualche inquietudine intellettuale e spirituale ed offrire un certo orizzonte di vita, sebbene talvolta esonerino dall’obbligo di cercare la verità nella sua pienezza e di informare la coscienza ad essa. Il dialogo interreligioso serve dunque a provocare l’uomo, perché si incammini con coraggio nella ricerca della verità e si apra con fiducia alle sue esigenze.

Inoltre, nel dialogo interreligioso si crea un contesto dove è possibile anche testimoniare la fede in Gesù Cristo. La Chiesa è obbligata dal perenne impegno missionario, che viene da Cristo stesso (Mc 16,15-16), proclamare il buon annuncio di Gesù Cristo, unico Salvatore del mondo. Per un cristiano, pertanto, il rispetto della religiosità altrui non significa, e non potrebbe significare, una rinuncia alla propria fede, alla propria identità e alla verità definitiva ricevuta, tramite la Chiesa, nella Rivelazione di Dio. Tale rispetto e il dialogo non significano il dissolvimento del proprio credo in una religiosità generica, fondata sull’assioma della inconoscibilità di Dio, né la riduzione della fede cristiana al livello di un’espressione generica, comune ad altre forme di religiosità. Anzi, la Chiesa può proporre un dialogo vero solo a partire della verità su se stessa. Sarebbe menzognero nascondere la fede autentica ed abbandonare l’unicità della Rivelazione e della Incarnazione del Figlio di Dio, in nome di un dialogo politically correct. È giustificato e corretto solamente un dialogo condotto nella verità e nell’amore. Perciò la nostra fede, indirizzata verso Cristo, e la verità su noi stessi devono sempre avere un posto privilegiato in ogni occasione di dialogo dei cristiani con coloro che non lo sono.

A tal proposito, la fede è diversa da una posizione ideologica, che cerca di imporre sé stessa agli altri con la forza, ed esige un atteggiamento di apertura verso il prossimo, simile all’apertura verso Dio, nella fede e nella carità. La fede è un dono di Dio, che esige una libera e personale adesione. L’insegnamento sul carattere personale della fede, che sottende una libera disposizione e collaborazione è una costante nell’insegnamento della Chiesa – dal Concilio di Trento(11) fino al Concilio Vaticano II – e proprio qui trova il suo fondamento la libertà religiosa(12).


Per tal motivo, nella trasmissione della fede, nella evangelizzazione e nel dialogo interreligioso la Chiesa esclude ogni forma di proselitismo che si basi su manipolazioni e falsità, perché mancherebbe di rispetto all’altro e al suo cammino personale. D’altronde, è da respingere anche la posizione di coloro che negano a Dio il diritto di offrire il dono della fede secondo la Sua divina generosità e rifiutano qualsiasi dialogo e collaborazione con i seguaci di religioni non-cristiane, come di coloro che – sul lato opposto – cadono nel relativismo religioso, oscurando la verità della Rivelazione cristiana(13) e il ruolo unico di Cristo nei confronti delle altre religioni. [SM=g1740733]




[SM=g1740771]  continua.........

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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