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Se avete desiderio di capire che cosa insegna la Bibbia che il Magistero della Santa Chiesa, con il Sommo Pontefice ci insegna, questo Gruppo fa per voi. Non siamo "esperti" del settore, ma siamo Laici impegnati nella Chiesa che qui si sono incontrati da diverse parti d'Italia per essere testimoni anche nella rete della Verità che tentiamo di vivere nel quotidiano, come lo stesso amato Giovanni Paolo II suggeriva.
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Breve storia degli Ordini Mendicanti: Domenicani, Francescani....

Ultimo Aggiornamento: 10/03/2013 22:29
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10/03/2013 22:25
 
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10. Le «Artes praedicandi»

Dal XII al XV secolo si moltiplicano i trattati sulla predicazione, che offrono al predicatore non solo le regole del sermo modernus, ma anche raccomandazioni morali e una messe di argomenti predicabili. Ecco alcune pagine del De eruditione praedicatorum di Umberto di Romans, uno dei maggiori organizzatori dell'ordine domenicano (cfr. Opera de vita regulari, ed. J. J. BERTHIER, Romae, 1889, vol. II, pp. 400-402).

DE SCIENTIA PRAEDICATORIS

Circa scientiam praedicatoris notandum est quod ad praedicatorem pertinet habere scientiam, cum habeat alios docere. Et ideo dicitur de quibusdam, I Tim. I, in eorum reprehensionem: Volentes esse legis doctores, non intelligentes quae loquuntur, nec de quibus affirmant [1].

Multiplex autem est scientia, quae eis est necessaria. Una est scientia sanctarum Scripturarum. Cum enim omnis praedicatio debeat fieri de sacris Scripturis, juxta illud Ps. 103: De medio petrarum, idest duorum testamentorum, dabunt voces [2]; et hoc non possint facere praedicatores nisi habeant eorum scientiam, necessaria est eis hujusmodi scientia. Et ideo Dominus licet vocaverit simplices ad officium praedicationis, tamen dedit eis scientiam Scripturarum sanctarum, ut patet ex eorum scriptis, in quibus auctoritates veteris testamenti frequenter allegant…

Alia est scientia creaturarum. Effundit enim Deus sapientiam suam super omnia opera sua: propter quod beatus Antonius [3] dixit creaturas esse librum. Et ex isto libro qui sciunt ibi bene legere, eliciunt multa, quae multum valent ad aedificationem. Hac autem scientia utens Dominus, Matth. 6, in praedicatione, dicebat: Considerate volatilia coeli; et iterum: Considerate lilia agri [4].

Alia est scientia historiarum. Sunt enim multae historiae, non solum apud fideles, sed etiam apud infideles, quae interdum multum valent in praedicatione ad aedificationem: unde et Dominus his utens Luc. 11, contra indevotos ad verbum Dei dicebat: Regina austri surget in judicio cum viris generationis hujus, et condemnabit eos, quia venit a finibus terrae audire sapientiam Salomonis; et ecce plusquam Salomon hic. Item, contra impoenitentes ibidem dicebat: Viri Ninivitae etc. [5].

Alia est scientia mandatorum Ecclesiae; quia circa horum multa instruendi sunt homines. Act. 15: Perambulabat Paulus Syriam et Ciliciam confrmans ecclesiam, praecipiens custodire praecepta Apostolorum [6].

Alia est scientia mysteriorum Ecclesiae, de qua dicit Apostolus: Et si noverim omnia mysteria [7]. Plena est enim Ecclesia figuris mysticis [8], quae expositae conferunt multum ad aedificationem, et ideo expedit praedicatori ista scire. Et ideo Eccl. 15: In medio Ecclesiae aperuit os ejus, idest praedicatoris, et implevit illum Dominus Spiritu sapientiae et intellectus [9]. Spiritus quidem intellectus dicitur quo intelliguntur quae sub figuris latent intus, quia intelligere est quasi intus legere.

Alia est scientia experimentalis. Qui enim multa sunt experti circa statum animarum, plura possunt loqui de pertinentibus ad eas. Eccl. 34: Vir expertus in multis cogitabit multa, et enarrabit intellectum [10].

Alia est scientia discretionis. Haec est enim quae docet quibus non est praedicandum verbum Dei, quia nec canibus, nec porcis; et quibus est praedicandum.

Item, quando est praedicandum, et quando non: quia tempus tacendi, tempus loquendi. Eccl. 3 [11].

Item, quid, cui, sicut docet Gregorius in Pastorali [12], ponens circa hoc triginta sex varietates.

Item, ponit modum circa prolixitatem, et circa clamorem, et circa gestus inhonestos, et circa inordinationem dicendorum, et alia hujusmodi, quae in praedicatione minus bene fiunt. Et ideo praedicatori competit discretio.

LA SCIENZA DEL PREDICATORE

[Quanto alla scienza del predicatore è da notare che egli è tenuto possedere sicure nozioni, dovendo poi insegnarle agli altri. Perciò è detto di alcuni nella Prima lettera a Timoteo, nel capitolo 1, a loro biasimo: Vogliono essere dottori della legge e non capiscono né quello che dicono né quello che vanno affermando e sostenendo.

Molteplice è la scienza necessaria ai predicatori. Una è la conoscenza delle Sante Scritture. Poiché ogni sermone deve farsi sulla base della Sacra Scrittura (secondo ciò che è detto nel Salmo 103: Tra le pietre, cioè i due Testamenti, cinguetteranno) e ciò non è possibile senza averne una buona conoscenza, evidentemente è necessario che si possieda questa scienza. Perciò il Signore, pur avendo chiamato dei semplici alla predicazione, diede loro la scienza delle Sante Scritture, come è ben evidente dai loro scritti, nei quali vengono spesso allegate citazioni dell'Antico Testamento…

È necessaria anche la scienza delle creature. Dio infatti sparge la sua sapienza su tutte le sue opere: perciò il beato Antonio disse che le creature sono un libro. Da esso, chi vi sappia ben leggere, può cavare molti insegnamenti utili all'edificazione dei fedeli. Il Signore, servendosi di questa scienza nella sua predicazione, diceva, secondo quel che si legge in Matteo, capitolo 6: Considerate gli uccelli dell'aria; e ancora: Considerate i gigli del campo.

Serve anche la conoscenza delle storie. Vi sono molti racconti storici, non solo presso i fedeli, ma anche presso i gentili; e questi sono utilissimi a chi vuole fare un sermone edificante. E il Signore, usando queste storie, stando a quel che racconta Luca nel capitolo 11, contro quelli che non credono la parola di Dio diceva: La regina del Mezzogiorno risorgerà nel giorno del Giudizio, perché ella venne dai confini della terra per udire la sapienza di Salomone; ed ecco qui uno che è più di Salomone. Contro quelli che non facevano penitenza diceva nello stesso passo evangelico: Gli abitanti di Ninive risorgeranno etc. Occorre anche la scienza dei precetti della Chiesa, perché la gente ha gran bisogno di essere istruita a questo proposito. Si dice negli Atti degli Apostoli al capitolo 15: Paolo girava per la Siria e la Cilicia confermando nella fede le chiese, ordinando di custodire i precetti degli apostoli.

Un'altra scienza indispensabile è quella dei misteri della Chiesa, della quale parla l'Apostolo: E se conoscessi tutti i misteri. La Chiesa infatti è piena di figure mistiche che, ben chiarite, servono molto a edificare gli uditori: perciò è utile che il predicatore abbia questa scienza.

E dice l'Ecclesiastico al capitolo 15: In mezzo alla Chiesa aperse la sua bocca, cioè del predicatore, e il Signore lo riempì di spirito di sapienza e di intelligenza. E' detto spirito di intelligenza quello che aiuta a comprendere i sensi nascosti sotto le figure storiche, perché intelligere è quasi un “leggere dentro”.

Vi è poi una scienza che viene dall'esperienza. Chi ha una lunga esperienza dei problemi della vita spirituale, può dire più cose pertinenti a quelli. Afferma l'Ecclesiastico nel capitolo 34: L'uomo di grande esperienza sa molte cose, e darà saggi consigli.

Occorre anche la scienza della discrezione. Solo essa infatti insegnerà a chi non si deve predicare la parola di Dio – poiché non si deve predicare né a cani né a porci –; a chi invece è buono predicare. In base a questa scienza si saprà quando bisogna predicare e quando no, perché, come dice l'Ecclesiaste al capitolo 3: Vï è tempo di tacere e tempo per parlare. La stessa scienza dirà che cosa, e a chi predicare, come insegna Gregorio nel Pastorale, distinguendo trentasei casi. La discrezione poi frena la prolissità e evita i clamori, i gesti non convenienti, le parole non opportune e altri eccessi che non si addicono alla predicazione. Perciò la discrezione è scienza più che mai conveniente a chi predica].

[1] Prima lettera a Timoteo 1, 7.

[2] Salmo. 103, 12.

[3] Si tratta di sant'Antonio abate.

[4] Matteo 6, 26 e 28.

[5] Luca 11, 32.

[6] Atti 15, 41.

[7] Prima lettera ai Corinzi 13, 2.

[8] Qui si allude all'interpretazione spirituale (allegorica, morale, anagogica) della Scrittura.

[9] Ecclesiastico 15, 5.

[10] Ecclesiastico 34, 9.

[11] Ecclesiaste 3, 7.

[12] Intende il Regulae Pastoralis Liber, sulle responsabilità dei pastori. Cfr. Patrologia Latina, tomo 77.

***
11. Raccolte di «exempla»

Tra le moltissime sillogi di exempla propongo due campioni. Il primo aneddoto (a) è tratto dal Dialogus miraculorum del monaco cistercense Cesario di Heisterbach († 1240): ed. J. STRANGE pubblicata a Colonia, Bonn e Bruxelles nel 1851; ristampata a Ridgewood, New Jersey, nel 1966, vol. II, pp. 131-132. Questo è il modello probabile della novella di Messer Torello e del Saladino (Decameron X, 9). Segue (b) una pagina del Breviloquium de virtutibus del francescano Giovanni di Galles († 1302), secondo uno dei quattro volgarizzamenti toscani a noi noti (cfr. M. BARBI, La leggenda di Traiano nei volgarizzamenti del Breviloquium de virtutibus di fra Giovanni Gallese, Firenze, per nozze Flamini-Fanelli, 1895). Trascrivo dal codice II IV 121 della Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze (cap. XXII, a cc. 21ra-22rb).
a) La storia di Gerardo

In villa quae dicitur Holenbach, miles quidam habitavit nomine Gerardus. Huius nepotes adhuc vivunt, et vix aliquis in eadem reperitur villa quem lateat miraculum quod de illo dicturus sum. Hic sanctum Thomam Apostolum [1], tam ardenter diligebat, tam specialiter prae ceteris sanctis honorabat, ut nulli pauperi in illius nomine petenti eleemosynam negaret. Multa praeterea privata servitia, ut sunt orationes, ieiunia et missarum celebrationes, illi impendere consuevit. Die quadam Deo permittente omnium bonorum inimicus diabolus ante ostium militis pulsans, sub forma et habitu peregrini, in nomine sancti Thomae hospitium petivit. Quo sub omni festinatione intromisso, cum esset frigus, et ille se algere simularet, Gerardus cappam suam furratam bonam satis, qua se tegeret iens cubitum, transmisit. Mane vero cum is, qui peregrinus videbatur, non appareret, et cappa quaesita non fuisset inventa, uxor marito irata ait: Saepe ab huiusmodi trutanis illusus estis, et adhuc a superstitionibus vestris non cessatis. Cui ille tranquillo animo respondit: Non turbari, bene restituet nobis hoc damnum sanctus Thomas. Haec egit diabolus ut militem per damnum cappae ad impatientiam provocaret, et Apostoli dilectionem in eius corde extingueret.

Sed militi cessit ad gloriam, quod diabolus praeparaverat ad ruinam, et inde ille amplius est accensus, unde iste confusus est ac punitus. Nam parvo emerso tempore Gerardus limina beati Thomae adire volens, cum esset in procinctu positus, circulum aureum in oculis uxoris in duas partes dividens, easque coram illa coniungens, unam illi dedit et alteram sibi reservavit, dicens: Huic signo credere debes. Rogo etiam ut quinque annis reditum meum exspectes, quibus expletis nubas cui volueris. Et promisit ei. Qui via vadens longissima, tandem cum magnis expensis maximisque laborioso pervenit ad civitatem sancti Thomae Apostoli. In qua a civibus officiosissime est salutatus, et cum tanta caritate susceptus, ac si unus illorum esset eisque notissimus.

Gratiam eandem ascribens beato Apostolo, oratorium eius intravit et oravit, se, uxorem, et omnia ad se pertinentia illi commendans. Post haec termini sui reminiscens, et in eodem die quinquennium completum considerans, ingemuit et ait: Heu modo uxor mea viro alteri nubet. Impedierat Deus iter eius propter hoc quod sequitur. Qui cum tristis circumspiceret, vidit praedictum daemonem in cappa sua deambulantem. Et ait daemon: Cognoscis me Gerarde? Non, inquit, te cognosco, sed cappam. Respondit ille: Ego sum qui in nomine Apostoli hospitium a te petivi, et cappam tibi tuli, pro qua et valde punitus sum. Et adiecit: Ego sum diabolus, et praeceptum est mihi, ut antequam homines cubitum vadant, in domum tuam te transferam, eo quod uxor tua alteri viro nupserit, et iam in nuptiis cum illo sedeat. Tollens eum, in parte diei ab India in Theutoniam, ab ortu solis in eius occasum transvexit, et circa crepusculum in curia propria illum sine laesione deposuit. Qui domum suam sicut barbarus intrans, cum uxorem propriam cum sponso suo vidisset comedentem, proprius accessit, eaque aspiciente partem circuli in scyphum mittens abcessit. Quod ubi illa vidit, mox extraxit, et partem sibi dimissam adiungens, cognovit eum suum esse maritum. Statim exiliens in amplexus eius ruit, virum suum Gerardum illum esse proclamans, sponso valedicens. Quem tamen Gerardus illa nocte pro honestate secum retinuit.

[In una città chiamata Holenbach abitava un cavaliere di nome Gerardo: i suoi nipoti vivono ancora e nessuno ignora in quella città il miracolo che mi accingo a narrarvi. Gerardo dunque aveva un amore così ardente per san Tommaso apostolo, e lo venerava così specialmente sopra tutti gli altri santi, che non rifiutava l'elemosina a nessun povero, purché la chiedesse in suo nome. Usava anche prestare a quel santo in privato molte attenzioni, come preghiere, digiuni e messe.

Un giorno, col permesso di Dio, il diavolo, che odia ogni bene, bussò alla porta del cavaliere travestito da pellegrino, e chiese ospitalità in nome di san Tommaso. Senza indugio fu introdotto, e poiché faceva un gran freddo e il diavolo fingeva di rabbrividire, Gerardo gli diede la sua bella cappa foderata di pelliccia, perché si ricoprisse durante il sonno. Ma al mattino, non comparendo il falso pellegrino e non ritrovandosi la cappa, nonostante le ricerche più attente, la moglie disse al marito piena d'ira; «Sei già stato ingannato parecchie volte da questi viandanti, e non hai ancora smesso con le tue superstizioni!». Al che Gerardo tranquillo replicò: «Non turbarti, san Tommaso ci ripagherà bene di questo danno». Il diavolo aveva trovato questa via per indurre il cavaliere all'impazienza per la perdita della cappa, e per spegnere nel suo cuore l'amore per l'apostolo Tommaso. Ma ciò che il diavolo aveva preparato per la rovina del cavaliere, ridondò poi a sua gloria: egli diventò più accesamente devoto, e il diavolo fu confuso e punito.

Poco tempo dopo infatti, volendo Gerardo fare un pellegrinaggio al santuario di san Tommaso, sul punto di partire, spezzò un anello d'oro in due parti sotto gli occhi della moglie, e davanti a lei mostrò come esse combaciavano perfettamente; poi gliene diede una e tenne l'altra, dicendo: «Presta fede a questo segno di riconoscimento. Ti chiedo di aspettare cinque anni il mio ritorno, dopo sposa pure chi vuoi». La donna promise. Egli con un lunghissimo viaggio, con grandi spese e indicibili stenti giunse alla fine alla città di san Tommaso apostolo. Lì fu accolto con grandissimo onore dagli abitanti e sostentato con tanta carità come se fosse un loro concittadino, noto da gran tempo. Egli, attribuendo al beato apostolo questo miracolo, entrò nel suo santuario e pregò, mettendo sotto la sua protezione se stesso, la moglie e tutti i suoi beni. Ma ricordandosi all'improvviso del termine fissato al suo ritorno, e riflettendo che in quello stesso giorno spirava il quinquennio, disse con un gemito: «Ohimè, tra poco mia moglie si risposerà!». Dio aveva reso più lungo il suo viaggio per realizzare il miracolo che sentirete. Guardandosi attorno tristemente, egli vide passeggiare con la sua cappa il demonio di cui si diceva all'inizio della storia. Questi chiese: «Mi conosci, Gerardo?». «Non riconosco te – rispose il cavaliere – ma la mia cappa!». E quell'altro: «Io sono quello che in nome dell'Apostolo ti chiesi albergo e ti rubai la cappa, e perciò sono stato punito gravemente». E proseguì: «Io sono il diavolo, e mi è stato ordinato di trasportarti a casa prima che la gente vada a dormire. Tua moglie infatti si è già sposata a un altro uomo, e già siede con lui al banchetto di nozze». Lo prese e in quel che restava di tempo prima della notte lo trasportò dall'India in Germania, dall'Oriente in Occidente, e verso il crepuscolo lo depose sano e salvo nel suo palazzo.

Gerardo, entrando in casa sua come uno straniero, avendo scorta la moglie a banchetto col suo sposo, si avvicinò, e sotto i suoi occhi gettò in una coppa una metà dell'anello; poi si scostò. Non appena vide questo gesto, ella estrasse la parte dell'anello, e accostatolo alla metà che le era stata lasciata, riconobbe che quello straniero era suo marito. Sùbito, balzata in piedi, si gettò tra le sue braccia, gridando che quello era suo marito, Gerardo, e congedò il novello sposo. Ma Gerardo per quella sera lo pregò di trattenersi a banchetto perché non fosse disonorato].
b) Continenza di Diogene

Valerio [2] narra della grande continenzia di Diogene filosafo, che vegnendo Allexandro a lui, trovandolo sedere al sole, sì li disse: «Io ti priego che se tu hai bisogno di nulla, che tu lo mi dica, e io te 'l darò». Allora Diogene non si levò da sedere, e rispose: «A uomo robusto, cioè savio, non fa bisogno prestanza, ma io vorrei che tu non stesse tra me e 'l sole». Allexandro s'era isforzato di sapere se potesse levare Diogene dalla sua continenzia, però che mai non volle possedere alcuna cosa, e più tosto arebbe vinto, e vinse, Dario che Diogene. E di ciò disse Seneca che più ricco e più potente fue Diogene che Allexandro, lo quale possedea tutto lo mondo, però che più era quello che Diogene non arebbe tolto o voluto, che tutto quello che Allexandro avesse potuto dare; e in quello die fue vinto Allexandro, però che trovò uomo al quale non poté dare né torre alcuna cosa.

E di lui parla quello altro filosafo dicendo: Diogene famosissimo filosafo fu via più potente d'Allexandro, però che vinse la natura umana; però che, essendo lui discepolo d'Antistine, lo quale neuno discepolo tenea da certo tempo innanzi, vogliendo cacciare da sé Diogene, non poteo, e alla fine lo minacciò di darli con uno bastone. Allora Diogene chinò le spalle e disse: «Non fie [3] sì duro bastone che mi possa fare partire dal tuo servigio». E di lui parla Orazio [4], e dice che per la sua continenzia non si vestiva quando era caldo se non d'uno pannolino sottile, e quando era freddo l'adoppiava [5]. Lo suo celleri [6] era uno vaso di legno e la sua casa era una cesta, la quale volgea come si volgea lo sole: quando era di verno volgea la bocca verso lo sole, e la state facea lo contrario. Lo suo aiuto era uno bastone, lo quale tenea per andarsi apoggiando quando era vecchissimo. Lo cibo chiedeva, e più non tollea che li bastasse per volta. E un dì vide uno fanciullo bere l'acqua con mano: incontenente [7] gittò lo nappo suo e disse: «Io non sapea che la natura avessi dato nappo all'uomo…»

[1] San Tommaso, apostolo ed evangelizzatore dell'India. Cfr. Legenda Aurea, cap. 5.

[2] S'intende Valerio Massimo, autore dei Factorum et dictorum memorabilium libri novem, fonte importantissima della narrativa medievale (cfr. ed. C. KEMPF, Stuttgart, Teubner, 1888, libro IV, cap. III, Ext. § 4, p. 186).

[3] Sarà.

[4] Epistola XVII, vv. 25 segg.

[5] Ne usava uno più pesante.

[6] Cantina.

[7] Sùbito.

***
12. Vite dei santi

L'agiografia fornisce ai predicatori, soprattutto se devono tenere un sermone in onore di un santo, un vastissimo materiale narrativo. Si scelgono tre passi tratti dalle raccolte agiografiche più note nel Medioevo: a) un capitolo della via di sant'Antonio abate, inserita nelle Vite dei santi padri secondo il volgarizzamento attribuito a Domenico Cavalca (ed. per cura di B. SORIO e A. RACHELI, Trieste, 1858, p. 18); b) un miracolo di san Benedetto raccontato nel libro II del Dialogo di san Gregorio, pure volgarizzato dal Cavalca (cfr. Volgarizzamenti del Due e Trecento, a cura di C. SEGRE, Torino, Utet, 1966, p. 273); c) un miracolo di san Nicola secondo il volgarizzamento trecentesco della Legenda Aurea di Jacopo da Varazze (ed. a cura di A. LEVASTI, Firenze, Libreria Editrice Fiorentina, 1924, vol. I, pp. 56-57).
a) Le tentazioni di sant'Antonio

E vedendo e intendendo lo nimico dell'umana generazione in Antonio tante virtudi e tanta fama e gloria, brigava molto, tentandolo, di ritrarnelo da quello santo proponimento. E prima movendogli guerra gl'incominciò a mettere pensieri importuni delle ricchezze che avea lasciate, e della sorella ch'era rimasa, e della nobiltà di sua schiatta, e della gloria e pompa del secolo, la quale avere solea e potea, se volea. E poi per ispaventarlo gli mettea forti imaginazioni della grande fatica che è a venire a virtù, della fragilità del suo corpo, de' molti pericoli e lacciuoli che sono nella via della penitenza. Anche come era giovane e però potea assai tempo godere lo mondo e poi tornare a Dio. Delle quali tutte cose e imaginazioni Antonio, armatosi del segno della croce e continuando l'orazione e la memoria della passione di Cristo, facendosene beffe, vedendosi lo nimico vincere e vergognandosi d'essere da lui sconfitto, mossegli l'usata battaglia che suole dare a' giovani, cioè della carne, e molestavalo in mettendogli di dì e di notte laidissimi pensieri e imaginazioni e fantasie. Ed era sì forte questa battaglia, mettendo lo nimico importunamente questi pensieri e imaginazioni e fantasie, e Antonio isforzandosi di cacciarli orando e piangendo e gridando a Dio, che senza dubbio parea a chi 'l sentia in questa agonia, ch'egli visibilmente pugnasse col diavolo. Lo nimico gli scaldava la carne e incitavalo a disonesti reggimenti; ed egli la macerava vegghiando, orando e digiunando e in molti modi sé affliggendo. Lo nimico gli facea apparire di notte forme di bellissime femmine e impudiche; ed egli, ripensando lo fuoco dello 'nferno e i vèrmini apparecchiati ai disonesti, resistea e contradicea valentemente, e facendosi di lui beffe, rimanea vincitore, e intra tante e tali tentazioni servava senza macula la purità dell'anima.
b) Un miracolo di san Benedetto

COME FECE GITTARE LO VAGELLO [1] DEL VETRO PER LE FINESTRE E NON SI RUPPE (CAP. XXXII)

In quel tempo che tutta Campagna era in grandissima carestia e fame, lo pietoso Benedetto per compassione ch'aveva a' povari affamati distribuitte e diede loro ciò che nel monistero poté trovare da dare, intanto che non vi rimase se no un poco d'olio in uno vasello di vetro. Allora un sodiacano [2] ch'aveva nome Agabito venne a san Benedetto, e pregollo per Dio [3] che li facesse dare un poco d'olio. Allora l'omo di Dio Benedetto, che s'aveva posto in cuore di dare in terra ogne cosa pe[r] ritrovare in cielo, comandò al camarlengo [4] che li desse quel poco dell'olio che v'era rimaso. Le quali parole e 'l qual comandamento lo camarlengo uditte, ma non l'ubiditte. E stando uno poco domandollo san Benedetto se aveva dato l'olio sicondo che elli li aveva comandato. E quelli rispose che no, perché s'elli lo desse non ve ne rimarrebbe per li frati. Allora irato Benedetto comandò a un altro monaco che quel vasello del vetro coll'olio gittasse giù per la finestra, acciò che in casa non rimanesse cosa per inobedienza. E così fu fatto. Ed essendo gittato lo vagello, e venendo sopra' sassi che erano sotto la finestra, così stette e rimase saldo e sano come se non fusse gittato; e non solamente non si ruppe lo vasello, ma eziandio l'olio non si versoe. Lo qual vasello san Benedetto fece ricogliare e dare a quel povaro suddiacano. E poi, adunati li frati tutti, riprese e corresse lo monaco disubidiente denanzi a tutti.
c) San Nicola mallevadore

Uno uomo accattò in prestanza da uno giudeo una quantità di moneta giurando di rendere per santo Niccolaio, però che non potea trovare altro mallevadore che tanto piacesse al giudeo. Sì che, tenendo costui lungo tempo la pecunia, il giudeo gliele raddomandava; e quelli affermava come gliel'avea renduta.

Il giudeo il fece menare a la Corte, e il giudice fa giurare il debitore. Quando il debitore sentì che dovea andare a la Corte, pensoe malizia, e tolse in mano un bastone cavato e votollo dentro (ovvero una canna) e missevi dentro oro trito di più valuta che non dovea rendere, e portavalo quasi come s'andasse appoggiando con esso. Sì che, quando andò a fare il saramento [5] dinanzi al giudice, diede quel bastone intanto a serbare al giudeo, e giurò che gli avea renduto più che 'l giudeo non gli avea prestato. E quando ebbe giurato, si fece rendere il bastone; e 'l giudeo, non conoscendo la malizia, sì glielo rendeo.

Tornando a casa questi ch'avea commessa la frode, addormentossi in uno crocicchio di via, e un carro, tratto con grande empeto, lo scalpitò, ed ebbelo morto [6]; e l'oro ch'era nel bastone si sparse. La qual cosa udendo il giudeo, corse tosto làe, e fue veduta la malizia di costui. Allora dicendo al giudeo molti ch'erano tratti là a vedere che si togliesse tutto quello oro, disse che non lo torrebbe, se, per li meriti di santo Niccolaio, quel morto non fosse prima recato a vita; affermando, se questo fia, egli riceverà il battesimo e farassi cristiano. Incontanente il morto si levò suso sano e salvo; e 'l giudeo fu battezzato nel nome di Cristo.

[1] Recipiente.

[2] Suddiacono.

[3] In nome di Dio.

[4] Economo, dispensiere.

[5] Giuramento.

[6] Lo travolse e lo uccise sul colpo.



Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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