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Se avete desiderio di capire che cosa insegna la Bibbia che il Magistero della Santa Chiesa, con il Sommo Pontefice ci insegna, questo Gruppo fa per voi. Non siamo "esperti" del settore, ma siamo Laici impegnati nella Chiesa che qui si sono incontrati da diverse parti d'Italia per essere testimoni anche nella rete della Verità che tentiamo di vivere nel quotidiano, come lo stesso amato Giovanni Paolo II suggeriva.
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Lo stile di Papa Francesco e le omelie della Messa delle 7 del mattino

Ultimo Aggiornamento: 24/08/2015 18:38
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22/03/2013 19:16
 
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[SM=g1740733] Ogni Pontefice ha il proprio stile e il proprio Carisma, fare dei paragoni fra l'uno e l'altro è solo seminare zizzania, screditare gli stessi Pontefici negli odiosi paragoni ed inificiare l'opera di ognuno.....
Ogni Pontefice è chiamato a servire la Chiesa con il proprio Carisma e i Doni specifici che Dio gli dona, inoltre ogni Pontefice gestisce nel proprio pontificato il proprio presente e quindi ad ogni Papa Dio ha dato un incarico diverso ma sempre nella continuità....

Fatta questa premessa, posteremo qui lo "stile di Papa Francesco" perchè in fin dei conti piace e se piace può davvero convertire molti cuori se.... noi accompagneremo i suoi gesti con la Preghiera e la fiducia....
Riguardo all'amato venerabile (come lo ha già definito Papa Francesco) predecessore (emerito) Benedetto XVI, chi volesse unirsi SPIRITUALMENTE E NELLA PREGHIERA  a lui, può farlo cliccando su questa icona....

figli spirituali di Benedetto XVI


abbiamo aperto un forum infatti nel quale vogliamo considerarci "Figli spirituali di Benedetto XVI" proprio per seguire e servire ancora di più e meglio la Chiesa con il suo Successore, Papa Francesco....



********************

Papa Francesco chiama alla Messa del mattino i netturbini di piazza san Pietro.... [SM=g1740722]


Padre Lombardi, parlando delle messe che il Papa ha celebrato queste mattine nella residenza dove attualmente abita in Vaticano, ha riferito che il Pontefice prima o dopo la Messa si siede tra i banchi con gli atri fedeli, solitamente nelle file in fondo, per un momento di preghiera personale.

Il Papa nelle Messe mattutine a Santa Marta sta anche incontrando dei gruppi per condividere questi primi giorni. Questa mattina è stata la volta di giardinieri e netturbini tra quelli che normalmente puliscono piazza San Pietro. «Fa l'omelia sul Vangelo del giorno parlando a braccio», riferisce padre Lombardi. Oggi il Vangelo riferisce un episodio in cui Gesù stava per essere lapidato e «il Papa - racconta il direttore della sala stampa - ha fatto un breve pensiero molto bello: se noi abbiamo il cuore chiuso, se abbiamo il cuore di pietra, le pietre arrivano tra le mani e siamo pronti a gettarle» e per questo bisogna aprire il cuore all'amore.

Sono usciti commossi dalla cappella di Santa Marta i netturbini e i giardinieri che lavorano in Vaticano e che questa mattina hanno partecipato alla Messa di Papa Francesco. Alla fine della celebrazione il pontefice ha voluto conoscerli tutti, uno per uno, e per ciascuno di loro ha avuto una parola.

È stata una vera e propria sorpresa per gli oltre trenta dipendenti che hanno accolto con gioia l'invito del Pontefice. «Siamo gli invisibili», dice Luciano Cecchetti, responsabile del servizio dei giardini e della nettezza urbana, parlando - ai microfoni di Radio Vaticana - di quanti ogni giorno lavorano provvedendo a tenere pulita Piazza San Pietro e curando le piante che rendono il piccolo Stato un giardino delle meraviglie.

«Trovarsi di fronte al Santo Padre, in una Messa per noi, è una cosa che non capita tutti i giorni. Mi giravo - ha raccontato Cecchetti alla radio - e vedevo le facce dei dipendenti: siamo usciti un po' tutti con gli occhi lucidi. È stata una Messa veramente molto semplice, a contatto diretto con chi da pochi giorni è stato eletto Pontefice. Lo abbiamo ringraziato tanto, specialmente quando ci ha salutato alla fine: siamo stati presentati uno ad uno e per ognuno di noi ha avuto una parola. Quello che ci ha detto un po' a tutti quanti è: `Pregate per me´. Tanti dipendenti, essendo giardinieri, gli hanno chiesto di visitare insieme a loro i giardini: lui ha annuito, facendo un cenno dalla testa. Non ha detto di no...».






dal grande Gino Basile Voce di uno che grida nel deserto

[SM=g1740733]




Messa del Pontefice a Santa Marta 4.4.2013

La pace non ha prezzo

La pace non si compra nè si vende: è un dono di Dio. E lo dobbiamo chiedere. Lo ha ricordato  Papa Francesco giovedì mattina, 4 aprile, parlando  dello “stupore” manifestato dai discepoli di Emmaus davanti ai miracoli di Gesù. L’occasione è stata il commento del brano evangelico di Luca (24, 35-48), proclamato nella liturgia della consueta messa mattutina nella cappella della Domus Sanctae Marthae, alla presenza di dipendenti vaticani, questa mattina una cinquantina di responsabili e operatori della Tipografia Vaticana.

«I discepoli che sono stati testimoni della guarigione dello storpio e adesso vedono Gesù — ha detto il Pontefice — sono un po’ fuori di sé, ma non per una malattia mentale: fuori di sé per lo stupore». Ma cos’è questo stupore? «È qualcosa — ha detto il Santo Padre — che fa sì che siamo un po’ fuori di noi, per la gioia: questo è grande, è molto grande. Non è un mero entusiasmo: anche i tifosi nello stadio sono entusiasti quando vince la loro squadra, no? No, non è un entusiasmo, è una cosa più profonda: è lo stupore che viene quando ci incontriamo con Gesù».

Questo stupore, ha spiegato il Pontefice, è l’inizio «dello stato abituale del cristiano». Certamente, ha fatto notare, non possiamo vivere sempre nello stupore, ma questa condizione è l’inizio che permette di lasciare «l’impronta nell’anima, e la consolazione spirituale». Infatti, lo stato del cristiano deve essere la consolazione spirituale, nonostante i problemi, i dolori, le malattie. «L’ultimo scalino della consolazione — ha detto il Papa — è la pace: si incomincia con lo stupore, e il tono minore di questo stupore, di questa consolazione è la pace». Il cristiano, pur nelle prove più dolorose, non perde mai «la pace e la presenza di Gesù» e con «un po’ di coraggio, possiamo dirlo al Signore: “Signore, dammi questa grazia che è l’impronta dell’incontro con te: la consolazione spirituale”». E, soprattutto, ha sottolineato, «mai perdere la pace». Guardiamo al Signore, il quale  «ha sofferto tanto, sulla Croce, ma non ha perso la pace. La pace, questa, non è nostra: non si vende né si compra». È un dono di Dio che dobbiamo chiedere. La pace è come «l’ultimo scalino di questa consolazione spirituale, che incomincia con lo stupore di gioia». Per questo, non dobbiamo farci «ingannare dalle nostre o da tante altre fantasie, che ci portano a credere che queste fantasie siano la realtà». Infatti, è più cristiano «credere che la realtà non possa essere tanto bella». Il Papa ha concluso chiedendo la grazia della consolazione spirituale e della pace, che «incomincia con questo stupore di gioia nell’incontro con Gesù Cristo».

Insieme con il Pontefice hanno concelebrato, tra gli altri, i salesiani don Sergio Pellini, direttore generale della Tipografia Vaticana Editrice L’Osservatore Romano, e don Marek Kaczmarczyk, direttore commerciale. Erano presenti anche  Domenico Nguyen Duc Nam, direttore tecnico, Antonio Maggiotto e Giuseppe Canesso.

 
OR 5 aprile 2013

[SM=g1740771]
[Modificato da Caterina63 06/04/2013 19:01]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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06/04/2013 14:33
 
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[SM=g1740720] Messa del Papa a Santa Marta 5.4.2013

  [SM=g1740717] Nel nome di Gesù

Solo il nome di Gesù è la nostra salvezza. Solo lui ci può salvare. E nessun altro. Tanto meno i moderni “maghi” con le improbabili profezie dei tarocchi che ammaliano e illudono l’uomo moderno.

 Ed è proprio sul nome di Gesù che Papa Francesco ha incentrato la riflessione proposta la mattina del 5 aprile, venerdì dell’ottava di Pasqua,  nella messa celebrata nella cappella della Domus Sanctae Marthae, alla presenza dei sediari pontifici e di responsabili,  dipendenti e religiosi dei Fatebenefratelli che lavorano nella Farmacia vaticana.

Il Pontefice ha preso spunto in particolare dalla prima lettura, tratta dagli Atti degli Apostoli (4, 1-12), per riflettere sul valore e sul significato del nome di Gesù. Il brano propone l’episodio di Pietro e Giovanni che,  arrestati perché predicavano al popolo la risurrezione del Cristo,  vennero condotti davanti al sinedrio. Alla domanda sul perché avessero guarito lo storpio presso la porta del Tempio, Pietro rispose: «L’abbiamo fatto nel nome di Gesù Cristo».  Nel nome di Gesù,  ha ripetuto  il Papa, aggiungendo: «Lui è il Salvatore; questo nome, Gesù. Quando uno dice Gesù, è proprio lui, cioè  colui che  fa dei miracoli. E questo nome ci accompagna nel cuore». 

Anche nel Vangelo di Giovanni, ha aggiunto il Papa,  gli apostoli un po’ fuori di senno «perché non avevano pescato nulla durante tutta la notte, quando il Signore chiese loro qualcosa da mangiare» non avendo nulla, risposero  di no in modo un po’ brusco. Ma  «quando il Signore disse loro “gettate la rete dalla parte destra della barca e troverete”, forse pensarono a quella volta in cui il Signore aveva detto a Pietro di andare a pescare e lui aveva risposto proprio: “Non abbiamo preso nulla tutta la notte ma nel tuo nome andrò!”».

Tornando poi agli Atti, Papa Francesco ha spiegato  che «Pietro rivela una verità quando dice: “lo abbiamo fatto nel nome di Gesù”» perché egli risponde ispirato dallo  Spirito Santo.  Infatti noi, ha proseguito, «non possiamo confessare Gesù, non possiamo parlare di Gesù, non possiamo dire qualcosa di Gesù senza lo Spirito Santo». È proprio lo Spirito Santo che «ci spinge a confessare Gesù o a parlare di Gesù o ad avere fiducia in Gesù». Ed è  proprio Gesù che ci è accanto «nel cammino della nostra vita, sempre».

 Il Pontefice ha poi raccontato una sua esperienza personale, legata al ricordo di un uomo, padre di otto figli, che lavora da trenta anni nella curia arcivescovile di Buenos Aires. «Prima di uscire, prima di andare a fare qualsiasi cosa dovesse fare — ha detto —  sussurrava sempre tra sé e sé : “Gesù!”.  Una volta, gli ho chiesto: “Ma perché dici sempre  Gesù?”. “Quando io dico ‘Gesù’, mi ha risposto questo uomo umile, mi sento forte, mi sento di poter lavorare, perché io so che lui è al mio fianco, che lui mi custodisce”». Eppure, ha sottolineato il Papa, quest’uomo «non ha studiato teologia: ha soltanto la grazia del battesimo e la forza dello Spirito». E «questa sua testimonianza — ha confessato Papa Francesco — a me ha fatto tanto bene. Il nome di Gesù. Non c’è un altro nome. Forse ci farà bene a tutti noi», che viviamo in un «mondo che ci offre tanti “salvatori”».  A volte «quando ci sono dei problemi — ha notato —  gli uomini si affidano non a Gesù, ma ad altre realtà»,  ricorrendo magari a sedicenti maghe  «perché risolvano le situazioni», oppure «vanno a consultare i tarocchi» per sapere e capire cosa fare. Ma non è ricorrendo a maghi o tarocchi che si trova la salvezza: essa è  «nel nome di Gesù. E dobbiamo dare testimonianza di questo! Lui è l’unico salvatore».

Un riferimento poi è stato dedicato al ruolo della Vergine Maria. «La Madonna — ha detto il Pontefice — ci porta sempre a Gesù. Invocate la Madonna, e Lei farà quello che ha fatto a Cana: “Fate quello che Lui vi dirà!”».  Lei «ci porta sempre a Gesù. È la prima ad agire nel nome di Gesù». Infine il Papa ha concluso esprimendo un desiderio: «Vorrei che in questo giorno, che è un giorno nella settimana dalla risurrezione del Signore, pensassimo a questo: io mi affido al nome di Gesù; io prego “Gesù, Gesù!”».

 
OR 6 aprile 2013






[SM=g1740758] Testimoniare con coraggio l’integralità della fede:
è l’invito lanciato stamani da Papa Francesco durante la Messa presieduta nella Cappellina della Casa Santa Marta stamani 6.4.2013. Alla celebrazione erano presenti una famiglia argentina e alcune religiose delle Figlie di San Camillo e delle Figlie di Nostra Signora della Carità. 


Nella sua breve omelia, il Papa ha commentato le letture di questo Sabato dell’Ottava di Pasqua: la prima vede Pietro e Giovanni testimoniare con coraggio la fede davanti ai capi giudei nonostante le minacce, mentre nel Vangelo Gesù risorto rimprovera l’incredulità degli apostoli che non credono a quanti affermano di averlo visto vivo.

Il Pontefice pone questa domanda: “Come va, la nostra fede? E’ forte? O alle volte è un po’ all’acqua di rose?”. Quando arrivano delle difficoltà “siamo coraggiosi come Pietro o un po’ tiepidi?”. Pietro – ha osservato – non ha taciuto la fede, non è sceso a compromessi, perché “la fede non si negozia”.

Sempre – ha affermato il Papa – “c’è stata, nella storia del popolo di Dio, questa tentazione: tagliare un pezzo alla fede”, la tentazione di essere un po’ “come fanno tutti”, quella di “non essere tanto, tanto rigidi”. “Ma quando incominciamo a tagliare la fede, a negoziare la fede, un po’ a venderla al migliore offerente – ha sottolineato - incominciamo la strada dell’apostasia, della non-fedeltà al Signore”.


“L’esempio di Pietro e Giovanni ci aiuta, ci dà forza” – rileva ancora il Papa - ma nella storia della Chiesa sono tanti i martiri fino ad oggi, “perché per trovare i martiri non è necessario andare alle catacombe o al Colosseo: i martiri sono vivi adesso, in tanti Paesi. I cristiani – afferma Papa Francesco - sono perseguitati per la fede. In alcuni Paesi non possono portare la croce: sono puniti se lo fanno. Oggi, nel secolo XXI, la nostra Chiesa è una Chiesa dei martiri”, di quelli che dicono come Pietro e Giovanni: “Non possiamo tacere quello che abbiamo visto e ascoltato”. E questo – ha proseguito – “ci dà forza, a noi, che alle volte abbiamo la fede un po’ debole”.

Ci dà la forza di testimoniare con la vita la “fede che abbiamo ricevuto, questa fede che è il dono che il Signore dà a tutti i popoli”. Ma questo – ha precisato – “non possiamo farlo da noi stessi: è una grazia. La grazia della fede. Dobbiamo chiederla, tutti i giorni: ‘Signore … custodisci la mia fede, falla crescere, che la mia fede sia forte, coraggiosa, e aiutami nei momenti in cui – come Pietro e Giovanni – devo renderla pubblica. Dammi il coraggio’. Questa – ha concluso - sarebbe una bella preghiera per il giorno di oggi: che il Signore ci aiuti a custodire la fede, a portarla avanti, ad essere, noi, donne e uomini di fede. Così sia”.




Testo proveniente dalla pagina it.radiovaticana.va/news/2013/04/06/papa_francesco:_la_fede_non_si_negozia,_per_questo_la_chiesa_è_anch/it...
del sito Radio Vaticana

[SM=g1740771]



[Modificato da Caterina63 06/04/2013 18:52]
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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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Messa del Pontefice a Santa Marta 9.4.2013

 Elogio della mitezza

[SM=g1740733] La tentazione di chiacchierare degli altri e bastonarli con le parole è sempre dietro l’angolo. Anche in famiglia, tra amici e in parrocchia «dove le signore della catechesi lottano contro quelle della Caritas» e viceversa.
Queste «sono tentazioni quotidiane» — «nemiche della mitezza» e dell’unità tra le persone e nella comunità cristiana — «che capitano a tutti, anche a me». E proprio da questo atteggiamento Papa Francesco ha messo in guardia durante la celebrazione della messa, martedì mattina 9 aprile, nella cappella della Domus Sanctae Marthae.

Il Pontefice ha indicato la strada della mitezza evangelica per lasciare allo Spirito la possibilità di lavorare e rigenerarci a una «vita nuova», fatta di unità e di amore. «Chiediamo la grazia», ha detto, di «non giudicare nessuno» e di imparare a «non chiacchierare» alle spalle degli altri — sarebbe «un gran bel passo avanti» — cercando di «essere caritatevoli l’uno con l’altro», «rispettosi» e lasciando con mitezza «il posto all’altro».

Con il Santo Padre hanno concelebrato, tra gli altri, i monsignori Luigi Mistò, segretario dell’Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica e presidente del consiglio di amministrazione del Fondo Assistenza Sanitaria, e Paolo Nicolini, delegato per i settori amministrativo-gestionali dei Musei Vaticani, nel venticinquesimo anniversario di sacerdozio.

Tra i presenti Giovanni Amici, direttore dei servizi generali del Governatorato dello Stato della Città del Vaticano, e Paolo Sagretti, floriere, con i rappresentanti dei servizi della motorizzazione, del transito merci e della floreria, e i componenti del consiglio di amministrazione del Fondo Assistenza Sanitaria con i dipendenti.

«Nella preghiera all’inizio della messa — ha detto il Pontefice nell’omelia — abbiamo chiesto al Signore che, per la forza di Gesù risorto, manifesti al mondo la pienezza della vita nuova. Dopo la risurrezione di Gesù, incomincia una vita nuova: è questo che Gesù disse a Nicodemo. Dovette “nascere dall’alto”, incominciare». Nicodemo — ha spiegato Papa Francesco in riferimento al brano evangelico di san Giovanni (3, 7-15) — «è un uomo studioso. Un po’ prima, nel Vangelo, aveva risposto a Gesù: ma come un uomo può nascere di nuovo, tornare nel grembo della sua mamma e nascere di nuovo? Gesù parlava di un’altra dimensione: “nascere dall’alto”, nascere dallo Spirito. È una nuova nascita, è quella vita nuova, quella potenza, bellezza della vita nuova che abbiamo chiesto nella preghiera. È la vita nuova che noi abbiamo ricevuto nel Battesimo, ma che si deve sviluppare».

«Dobbiamo fare di tutto — ha affermato ancora il Papa — perché quella vita si sviluppi nella vita nuova. E come sarà, questa vita nuova? Non è che oggi diciamo: “Sì, oggi sono nato, è finito, incomincio di nuovo”. È un cammino, è un laborioso cammino, bisogna lavorare per fare. Ma è anche un cammino che non dipende soltanto da noi: principalmente dipende dallo Spirito, e noi dobbiamo aprirci allo Spirito perché lui faccia in noi questa vita nuova».

«Nella prima lettura — ha detto Papa Francesco commentando il passo degli Atti  degli apostoli (4, 31-37) della liturgia odierna — abbiamo come un anticipo, un’anteprima di quello che sarà la “vita nuova”, quello che deve essere la “vita nuova”. La moltitudine di coloro che erano diventati credenti aveva un cuore solo e un’anima sola. L’anima sola, il cuore solo: l’unità, quell’unità, quella unanimità, quell’armonia dei sentimenti nell’amore, l’amore mutuo. Quel pensare che “gli altri sono meglio di me”: e questo è bello, no?».

«Ma la realtà — ha spiegato il Pontefice — ci dice che questo, dopo il Battesimo, non viene automaticamente. Questo è un lavoro da fare nel cammino della vita, è un lavoro da fare dallo Spirito in noi ed è fedeltà allo Spirito da parte nostra». E «questa mitezza nella comunità è una virtù un po’ dimenticata. Essere miti, lasciare il posto all’altro. Ci sono tanti nemici della mitezza, a incominciare dalle chiacchiere, no? Quando si preferisce chiacchierare, chiacchierare dell’altro, bastonare un po’ l’altro. Sono cose quotidiane che capitano a tutti, anche a me».

«Sono tentazioni del maligno — ha quindi proseguito — che non vuole che lo Spirito venga da noi e faccia questa pace, questa mitezza nelle comunità cristiane. Andiamo in parrocchia, e le signore della catechesi lottano contro quelle della Caritas». E «sempre ci sono queste lotte. Anche in famiglia o nel quartiere. Ma anche tra amici. E questa non è la vita nuova. Quando viene lo Spirito e ci fa nascere in una vita nuova, ci fa miti, caritatevoli. Non giudicare nessuno: l’unico Giudice è il Signore». Ecco allora il suggerimento a «stare zitti. E se devo dire qualcosa, la dico a lui, a lei: ma non a tutto il quartiere. Ma soltanto a chi può rimediare alla situazione».

«Questo — ha concluso Papa Francesco — è soltanto un passo nella vita nuova, ma è un passo quotidiano. Se, con la grazia dello Spirito, riusciamo a non chiacchierare mai, sarà un gran bel passo avanti. E ci farà bene a tutti. Chiediamo al Signore che manifesti a noi e al mondo la bellezza e la pienezza di questa vita nuova, di questo nascere dello Spirito che viene nella comunità dei fedeli e ci porta a essere miti, a essere caritatevoli l’uno con l’altro. Rispettosi. Chiediamo questa grazia per tutti noi».

 
Osservatore Romani 10 aprile 2013

[SM=g1740771]








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11/04/2013 14:40
 
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“Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito perché chiunque crede in Lui non vada perduto ma abbia la vita eterna”: su questa affermazione di Gesù contenuta nel Vangelo proposto dalla liturgia del giorno, il Papa ha svolto la sua breve omelia durante la Messa presieduta nella Cappellina della Casa Santa Marta 10.4.2013. Con lui hanno concelebrato il cardinale Angelo Sodano e il cardinale Angelo Comastri, alla presenza di alcuni dipendenti della Fabbrica di San Pietro e del ministro italiano dell’Interno Anna Maria Cancellieri accompagnata dai familiari.

“Il Signore – ha detto il Papa - ci salva con il Suo amore: non ci salva con una lettera, con un decreto, ma ci ha salvato con il suo amore”. Un amore così grande che lo spinge ad inviare suo Figlio che “si è fatto uno di noi, ha camminato con noi … e questo ci salva”. Ma – si chiede il Papa – “cosa significa, questa salvezza? Che significa essere salvati?”. Significa – spiega - riavere dal Signore “la dignità che abbiamo perduto”, la dignità di essere figli di Dio. Significa riavere la speranza.

Questa dignità cresce “fino all’incontro definitivo con Lui. Questa è la strada della salvezza, e questo è bello: lo fa l’amore soltanto. Siamo degni, siamo donne e uomini di speranza. Questo significa essere salvati dall’amore”. Ma il problema – ha sottolineato - è che a volte vogliamo salvarci da soli “e crediamo di farcela”, basando per esempio le nostre sicurezze sui soldi e pensiamo: “sono sicuro ho dei soldi, tutto … non c’è problema … Ho dignità: la dignità di una persona ricca”. Ma questo – ha affermato – “non basta. Pensiamo a quella parabola del Vangelo, di quell’uomo che aveva il granaio tutto pieno e disse: ‘Ne farò un altro per avere di più e poi dormirò tranquillo’. E il Signore gli dice: ‘Sciocco! Questa sera morirai’. Quella salvezza non va, è una salvezza provvisoria, è anche una salvezza apparente!”.

Altre volte – ha proseguito – “pensiamo di salvarci con la vanità, con l’orgoglio, no?, crederci potenti … Anche quello non va. Mascheriamo la nostra povertà, i nostri peccati con la vanità, l’orgoglio … Anche quello finisce”. Ma “la vera salvezza” – ha ribadito - sta nella dignità che Dio ci ridona, nella speranza che Cristo ci ha dato nella Pasqua. “Facciamo oggi un atto di fede – è stato il suo invito – ‘Signore, io credo. Credo nel Tuo amore. Credo che il Tuo amore mi ha salvato. Credo che il Tuo amore mi ha dato quella dignità che non avevo. Credo che il Tuo amore mi dà la speranza”. E “soltanto l’amore di Dio” può dare la vera dignità e la vera speranza. “E’ bello credere nell’amore – ha concluso il Papa - questa è la verità. E’ la verità della nostra vita. Facciamo questa preghiera: 'Signore, credo nel Tuo amore. E apriamo il cuore perché questo amore venga, ci riempia e ci spinga ad amare gli altri'. Così sia”.

**************

[SM=g1740771]


Ascoltare Dio ci rende liberi e ci dona quella felicità che “le proposte del mondo” non possono garantire.

E’ quanto ha affermato Papa Francesco questa mattina 11.4.2013, durante la Messa presieduta nella Cappellina della Casa Santa Marta alla presenza di alcuni dipendenti dell’Osservatore Romano.


“Obbedire a Dio – ha affermato il Papa - è ascoltare Dio, avere il cuore aperto per andare sulla strada che Dio ci indica. L’obbedienza a Dio è ascoltare Dio. E questo ci rende liberi”.
Obbedire al Signore significa ascoltare la sua voce, come ha fatto Pietro, che, rivolgendosi ai farisei e agli scribi, ha detto: “Io faccio quello che mi dice Gesù, non quello che voi volete che io faccia”. “Nella nostra vita - ha aggiunto Papa Francesco - sentiamo anche cose che non vengono da Gesù, che non vengono da Dio”.
 “Le nostre debolezze, a volte, ci portano su quella strada” o in un altro percorso – ha aggiunto – che prevede un duplice orientamento, una sorta di “doppia vita”, alimentata da “quello che ci dice Gesù” e da “quello che ci indica il mondo”. Ma cosa succede - ha chiesto il Pontefice - quando ascoltiamo Gesù? A volte quelli che fanno l’altra proposta, legata alle cose del mondo, "si infuriano" e la strada finisce nella persecuzione. Molti ascoltano quello che Gesù chiede loro, tanti sono perseguitati. Molti con la loro vita testimoniano la volontà di obbedire a Dio, di percorrere la strada che Gesù indica loro.

E’ questa la meta – ha spiegato Papa Francesco - alla quale oggi la Chiesa ci esorta con questa Liturgia: “Andare per la strada di Gesù”. Si tratta di non sentire le proposte del mondo, “proposte di peccato” o di compromesso che ci allontanano dal Signore. “Questo non ci renderà felici”.
 L’aiuto per percorrere la strada indicata da Gesù e per obbedire a Dio possiamo trovarlo nello Spirito Santo. “E’ proprio lo Spirito Santo – ha detto il Santo Padre - che ci dà forza per andare”, per proseguire lungo questo cammino. Nostro Padre – ha affermato – “ci dà lo Spirito, senza misura, per ascoltare Gesù e andare per la strada di Gesù”.

Ma dobbiamo essere coraggiosi in questo, chiedere “la grazia del coraggio”, il coraggio di dire: “Signore, sono peccatore, alle volte obbedisco a cose mondane ma voglio obbedire a Te, voglio andare per la Tua strada”.
Chiediamo questa grazia di andare sempre per la strada di Gesù. E quando non lo facciamo – ha concluso il Papa - chiediamo perdono: “Il Signore ci perdona, perché Lui è tanto buono”.



[SM=g1740771]


2013-04-12 da L’Osservatore Romano

Le «fantasie trionfalistiche» sono «una grande tentazione nella vita cristiana». Ma Dio «non fa come una fata con la bacchetta magica», che può salvare l’uomo in un istante; piuttosto si serve della strada della perseveranza, perché «ci salva nel tempo e nella storia», nel «cammino di tutti i giorni». È questa la riflessione che il Papa ha offerto durante la messa celebrata venerdì mattina, 12 aprile, nella cappella della Domus Sanctae Marthae.

Tra i concelebranti il cardinale Telesphore Placidus Toppo, arcivescovo di Ranchi, monsignor Fabián Pedacchio Leaniz, officiale della Congregazione per i Vescovi, monsignor Giuseppe Antonio Scotti e don Giuseppe Costa, presidente del consiglio di sovrintendenza e direttore della Libreria Editrice Vaticana (Lev) — che al termine della messa ha presentato al Pontefice le tre recentissime pubblicazioni  che raccolgono testi di Bergoglio — con il carmelitano Edmondo Caruana, responsabile editoriale, e don Giuseppe Merola, redattore editoriale. Fra i presenti, Ernst von Freyberg e Paolo Cipriani, presidente del consiglio di sovrintendenza e direttore generale dell’Istituto per le Opere di Religione, i membri del consiglio di sovrintendenza della  Lev e alcuni dipendenti della Farmacia Vaticana con il direttore amministrativo, fratel Rafael Cenizo Ramírez.

Riferendosi al passo degli Atti degli apostoli (5, 34-42) proclamato nella prima lettura, il Papa ha indicato in Gamalièle  «un uomo saggio», perché «ci dà un esempio di come Dio agisce nella nostra vita. Quando tutti questi sacerdoti, farisei, dottori della legge erano tanto nervosi, impazziti per quello che facevano gli apostoli, e volevano pure ammazzarli, disse: ma fermatevi un po’! E ricorda alcune storie di Giuda il Galileo, di Tèuda, che non erano riusciti a fare nulla: dicevano che erano il Cristo, il Messia, i salvatori e poi tutto era rimasto senza successo. “Date tempo al tempo” dice Gamalièle».

«È un consiglio saggio — ha spiegato Papa Francesco — anche per la nostra vita. Perché il tempo è il messaggero di Dio: Dio ci salva nel tempo, non nel momento. Qualche volta fa i miracoli, ma nella vita comune ci salva nel tempo. Alle volte pensiamo che il Signore viene nella nostra vita, ci cambia. Sì, ci cambia: le conversioni sono quello. “Voglio seguirti, Signore”. Ma questo cammino deve fare storia». Il Signore, dunque, «ci salva nella storia: nella nostra storia personale. Il Signore non fa come una fata con la bacchetta magica. No. Ti dà la grazia e dice, come diceva a tutti quelli che Lui guariva: “Va, cammina”. Lo dice anche a noi: “Cammina nella tua vita, dai testimonianza di tutto quello che il Signore fa con noi”».

Bisogna rifuggire allora da «una grande tentazione nella vita cristiana, quella del trionfalismo. È una tentazione — ha affermato il Pontefice — che anche gli apostoli hanno avuto. Per esempio, quando Pietro dice al Signore: ma, Signore, io mai ti rinnegherò, sicuro! Il Signore gli dice: stai tranquillo, prima che il gallo canti, prima che ci sia il canto del gallo, per tre volte dirai contro di me». Questa è appunto la tentazione del «trionfalismo: credere che in un momento sia stato fatto tutto! No, in un momento incomincia: c’è una grazia grande, ma dobbiamo andare nel cammino della vita».

Anche dopo la moltiplicazione dei pani — narrata nel Vangelo di Giovanni (6, 1-15) — c’è la tentazione del trionfalismo. «Allora la gente, visto il segno che Egli aveva compiuto, diceva: “Questi è davvero il profeta, colui che viene nel mondo! Ma Gesù, sapendo che venivano a prenderlo per farlo re”, se ne va». Ecco, dunque, «il trionfalismo: ah, questo è il re! E poi Gesù li rimprovera: voi venite dietro a me non per sentire le mie parole, ma perché ho dato da mangiare».

«Il trionfalismo — ha spiegato il Papa — non è del Signore. Il Signore è entrato sulla terra umilmente. Ha fatto la sua vita per trent’anni, è cresciuto come un bambino normale, ha avuto la prova del lavoro, anche la prova della croce. E poi, alla fine, è risorto. Il Signore ci insegna che nella vita non è tutto magico, che il trionfalismo non è cristiano».

È vero «quello che ha detto il saggio Gamalièle: lasciateli, il tempo dirà!». E «anche noi — ha proseguito il Pontefice — diciamo a noi stessi: “Io voglio andare dietro al Signore, sulla sua strada, ma non è cosa di un momento, è cosa di tutta la vita, di tutti i giorni”. Quando mi alzo al mattino: “Signore, andare con Te, andare con Te”. Questa è la grazia che dobbiamo chiedere: quella della perseveranza».

Si tratta dunque — ha concluso — di «perseverare nel cammino del Signore, fino alla fine, tutti i giorni. Non dico incominciare di nuovo tutti i giorni: no, proseguire il cammino. Proseguire sempre. Un cammino con difficoltà, con il lavoro, anche con tante gioie. Ma il cammino del Signore».

«Chiediamo — ha esortato — la grazia della perseveranza. E che il Signore ci salvi dalle fantasie trionfalistiche. Il trionfalismo non è cristiano, non è del Signore. Il cammino di tutti i giorni, nella presenza di Dio, quella è la strada del Signore. Andiamo per quella».

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[Modificato da Caterina63 12/04/2013 20:49]
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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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Uno scritto del 1969, poco prima di essere ordinato sacerdote
Titolo Articolo
La «confessione» di padre Bergoglio

I gesti, accompagnati dalle parole, con i quali papa Francesco ci ha portati in quest’ultima settimana alla Pasqua di oggi, rimandano alla vivezza della Biblia pauperum, le medioevali raccolte di immagini sulla vita di Gesù destinate a coloro che, non avendo ricevuto un’istruzione e non sapendo leggere, potevano così, solo guardandole, imparare da esse.

I ripetuti gesti di Papa Francesco sono per il suo stesso carattere un: «uscire», «uscire da se stessi, da un modo di vivere la fede stanco e abitudinario, dai propri schemi che finiscono per chiudere l’orizzonte che è di Dio». Un andare e un chinarsi senza fatica. Giornate senza invecchiamento, per così dire. Contravvenendo alla legge universale dell’invecchiamento, direbbe Charles Péguy, come scrive in Veronique. Dialogue de l’histoire et de l’âme charnelle: «Contravvenendo a questa perpetua abitudine, a questo invecchiamento dominatore, a questo smussamento. Qui appare, qui sboccia, qui sgorga la virtù che abbiamo chiamato la bambina speranza. È essenzialmente l’anti-abitudine e per questo è l’anti-morte. È la sorgente e il germe. È lo sgorgare e la grazia. È il cuore della libertà. E soprattutto è quella che garantisce alla Chiesa di non soccombere sotto il proprio meccanismo. Senza la speranza la fede si abituerebbe a credere al mondo, a Dio, e senza la speranza la carità si abituerebbe all’amore, al povero, a Dio».

Avere «un cuore giovane che in Cristo non invecchia mai» è stato l’augurio che papa Francesco ci aveva rivolto la domenica delle Palme. Una sorta di riinizio della vita temporale non fiaccata nel tempo, dal tempo.
Una vita "trapassata" dallo sguardo d’amore di Dio.

Come testimonia questa personale confessione di fede di padre Bergoglio, scritta nel 1969, in un momento "di grande intensità spirituale", poco prima di essere ordinato sacerdote; e che, lasciandola in copia autografa a mio marito e me, ha detto di sottoscrivere oggi come allora: «Voglio credere in Dio Padre, che mi ama come un figlio, e in Gesù, il Signore, che ha infuso il suo spirito nella mia vita per farmi sorridere e portarmi così al regno di vita eterna. / Credo nella mia storia, che è stata trapassata dallo sguardo di amore di Dio e, nel giorno di primavera, 21 settembre, mi ha portato all’incontro per invitarmi a seguirlo. / Credo nel mio dolore, infecondo per l’egoismo, nel quale mi rifugio. / Credo nella meschinità della mia anima, che cerca di inghiottire senza dare… senza dare. / Credo che gli altri siano buoni, e che devo amarli senza timore, e senza tradirli mai per cercare una sicurezza per me. / Credo nella vita religiosa. / Credo di voler amare molto. / Credo nella morte quotidiana, bruciante, che fuggo, ma che mi sorride invitandomi ad accettarla. / Credo nella pazienza di Dio, accogliente, buona come una notte d’estate. / Credo che papà sia in cielo insieme al Signore. / Credo che anche padre Duarte (*)  stia lì intercedendo per il mio sacerdozio. / Credo in Maria, mia madre, che mi ama e mai mi lascerà solo. E aspetto la sorpresa di ogni giorno nel quale si manifesterà l’amore, la forza, il tradimento e il peccato, che mi accompagneranno fino all’incontro definitivo con quel volto meraviglioso che non so come sia, che fuggo continuamente, ma che voglio conoscere e amare. Amen».


(*) il sacerdote che lo confessò il 21 settembre


Stefania Falasca (da Avvenire 31.3.2013)

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2013-04-13 Radio Vaticana

Di fonte ai problemi della vita, il cristiano non prenda scorciatoie ma si affidi sempre a Dio, che non gli farà mancare il suo aiuto. È questo, in sintesi, il messaggio che Papa Francesco ha tratto dalla liturgia della Messa di oggi, celebrata questa mattina a Casa Santa Marta. Presenti alla celebrazione gli uomini della Gendarmeria Vaticana, dei Vigili del Fuoco vaticani e le religiose Figlie della carità.

La vita non va “truccata” quando le cose vanno male, perché questo vuol dire non avere fiducia in Dio, che della vita è il Signore. Un cristiano, viceversa, sa accettare ciò che gli accade. È una profonda lezione di vita quella che Papa Francesco desume dalla lettura degli Atti degli Apostoli, che la liturgia propone in questi giorni dopo la Pasqua. All’omelia della Messa, il Pontefice continua a riflettere sulle vicende della prima comunità cristiana. Nel brano odierno, la situazione vede i nuovi fratelli di fede discutere tra loro – greci contro ebrei – a causa di alcune necessità pratiche, come l’assistenza alle vedove, giudicata trascurata.
Papa Francesco si sofferma sulla scena e osserva: “La prima cosa che fanno è mormorare: chiacchierare uno contro l’altro”:

“Ma questo non porta ad alcuna soluzione, questo non dà soluzione. Gli apostoli, con l’assistenza dello Spirito Santo, hanno reagito bene: hanno convocato il gruppo dei discepoli e hanno parlato. E quello è il primo passo: quando ci sono difficoltà, bisogna guardarle bene e prenderle e parlarne. Mai nasconderle”.

Ed è quello che gli Apostoli fanno. Non si nascondono ma, afferma il Papa, valutano e decidono, senza tergiversare. Avendo compreso che il loro primo dovere “era la preghiera e il servizio della Parola”, optano per dei diaconi che li assistano in tali servizi. E qui – legando questa vicenda dei primi cristiani alla lettura del Vangelo che vede Gesù rassicurare i Discepoli sul lago in tempesta – Papa Francesco chiosa: “Quando ci sono i problemi, bisogna prenderli e il Signore ci aiuterà a risolverli”:
“Non dobbiamo avere paura dei problemi: Gesù stesso dice ai suoi discepoli: ‘Sono io, non abbiate paura. Sono io’. Sempre. Con le difficoltà della vita, con i problemi, con le nuove cose che dobbiamo prendere: il Signore è là. Possiamo sbagliare, davvero, ma Lui è sempre vicino a noi e dice: ‘Hai sbagliato, riprendi la strada giusta (…) Non è un buon atteggiamento quello di truccare la vita, di fare il maquillage alla vita: no, no. La vita è come è, è la realtà. E’ come Dio vuole che sia o come Dio permette che sia, ma è come è, e dobbiamo prenderla come è. E lo Spirito del Signore ci darà la soluzione ai problemi”.

“Non abbiate paura, sono io!”. Questa, ribadisce Papa Francesco, “è la parola di Gesù, sempre”: nelle difficoltà, “nei momenti dove tutto è oscuro” e “non sappiamo cosa fare”. Dunque, ha concluso, “prendiamo le cose come vengono, con lo Spirito del Signore e l’aiuto dello Spirito Santo.
E così andiamo avanti, sicuri su una strada giusta”:

“Chiediamo al Signore questa grazia: di non avere paura, di non truccare la vita, di prendere la vita come viene e cercare di risolvere i problemi come hanno fatto gli Apostoli, e cercare pure l’incontro con Gesù che sempre è di fianco a noi, anche nei momenti più oscuri della vita”.

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2013-04-15 Radio Vaticana
“La calunnia distrugge l’opera di Dio nelle persone”. Lo ha affermato questa mattina Papa Francesco all’omelia della Messa presieduta nella cappella della Casa “S. Marta”, alla presenza, fra gli altri, di personale dei Servizi telefonici vaticani e dell’Ufficio Internet vaticano. Il Pontefice ha invitato a pregare per i tanti martiri che anche oggi sono falsamente accusati, perseguitati e uccisi in odio alla fede.

Stefano, il primo martire della Chiesa, è una vittima della calunnia. E la calunnia è peggio di un peccato: la calunnia è un’espressione diretta di Satana. Non usa mezzi termini Papa Francesco per stigmatizzare uno dei più spregevoli comportamenti umani. La lettura degli Atti degli Apostoli presenta Stefano, uno dei diaconi nominati, dai Discepoli, che viene trascinato davanti al Sinedrio per via della sua testimonianza al Vangelo, accompagnata da segni straordinari. E davanti al Sinedrio – si legge nel testo – compaiono ad accusare Stefano dei “falsi testimoni”.

Sul punto, Papa Francesco è netto: poiché – nota – “non andava bene la lotta pulita, la lotta tra uomini buoni”, i nemici di Stefano hanno imboccato “la strada della lotta sporca: la calunnia”:

“Noi tutti siamo peccatori: tutti. Abbiamo peccati. Ma la calunnia è un’altra cosa. E’ un peccato, sicuro, ma è un’altra cosa. La calunnia vuole distruggere l’opera di Dio; la calunnia nasce da una cosa molto cattiva: nasce dall’odio. E chi fa l’odio è Satana. La calunnia distrugge l’opera di Dio nelle persone, nelle anime. La calunnia utilizza la menzogna per andare avanti. E non dubitiamo, eh?: dove c’è calunnia c’è Satana, proprio lui”.

Dal comportamento degli accusatori, Papa Francesco sposta l’attenzione su quello dell’accusato. Stefano, osserva, non ricambia menzogna con menzogna, “non vuole andare per quella strada per salvarsi. Lui guarda il Signore e obbedisce alla legge”, rimanendo nella pace e nella verità di Cristo. Ed è quanto, ribadisce, “succede nella storia della Chiesa”, perché dal primo martire a oggi numerosissimi sono gli esempi di chi ha testimoniato il Vangelo con estremo coraggio:
“Ma il tempo dei martiri non è finito: anche oggi possiamo dire, in verità, che la Chiesa ha più martiri che nel tempo dei primi secoli. La Chiesa ha tanti uomini e donne che sono calunniati, che sono perseguitati, che sono ammazzati in odio a Gesù, in odio alla fede: questo è ammazzato perché insegna catechismo, questo viene ammazzato perché porta la croce… Oggi, in tanti Paesi, li calunniano, li perseguono… sono fratelli e sorelle nostri che oggi soffrono, in questo tempo dei martiri”.

La nostra, ha ripetuto Papa Francesco”, “è un’epoca con più martiri che non quella dei primi secoli”. E un’epoca di così “tante turbolenze spirituali” ha richiamato alla mente del Pontefice l’immagine di un’icona russa antica di secoli, quella della Madonna che copre con il suo manto il popolo di Dio:
“Noi preghiamo la Madonna che ci protegga, e nei tempi di turbolenza spirituale il posto più sicuro è sotto il manto della Madonna. E’ la mamma che cura la Chiesa. E in questo tempo di martiri, è lei un po’ – non so se si dice così, in italiano – la protagonista, la protagonista della protezione: è la mamma. (…) Diciamole con fede: ‘Sotto la tua protezione, Madre, è la Chiesa. Cura la Chiesa’”.

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[Modificato da Caterina63 15/04/2013 17:51]
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Papa Francesco: lo Spirito spinge a cambiare, ma c'è chi vuole andare indietro. Messa dedicata a Benedetto XVI




Lo Spirito Santo spinge le persone e la Chiesa stessa ad andare avanti ma noi opponiamo resistenza e non vogliamo cambiare: è quanto ha affermato il Papa stamani durante la Messa presieduta nella Cappellina di Casa Santa Marta, alla presenza di alcuni dipendenti del Governatorato. Ce ne parla Sergio Centofanti:

Oggi è il compleanno di Benedetto XVI, compie 86 anni, e Papa Francesco lo ricorda all’inizio della Messa:

“Offriamo la Messa per lui, perché il Signore sia con lui, lo conforti e gli dia molta consolazione”.

Nell’omelia commenta la prima lettura del giorno: ci parla del martirio di Santo Stefano che prima di essere lapidato annuncia la Risurrezione di Cristo risorto, ammonendo i presenti con parole forti: “Testardi! Voi opponete sempre resistenza allo Spirito Santo”. Stefano ricorda quanti hanno perseguitato i profeti e dopo averli uccisi gli hanno costruito “una bella tomba” e solo dopo li hanno venerati. Anche Gesù – osserva il Papa – rimprovera i discepoli di Emmaus: “Stolti e lenti di cuore, a credere a tutto quello che hanno annunciato i profeti!”. “Sempre, anche tra noi” – rileva il Pontefice – “c’è quella resistenza allo Spirito Santo”:

“Per dirlo chiaramente: lo Spirito Santo ci dà fastidio. Perché ci muove, ci fa camminare, spinge la Chiesa ad andare avanti. E noi siamo come Pietro nella Trasfigurazione: ‘Ah, che bello stare così, tutti insieme!’ … ma che non ci dia fastidio. Vogliamo che lo Spirito Santo si assopisca … vogliamo addomesticare lo Spirito Santo. E quello non va. Perché Lui è Dio e Lui è quel vento che va e viene e tu non sai da dove. E’ la forza di Dio, è quello che ci dà la consolazione e la forza per andare avanti. Ma: andare avanti! E questo da fastidio. La comodità è più bella”.

Oggi – ha proseguito il Papa – sembra che “siamo tutti contenti” per la presenza dello Spirito Santo, ma “non è vero. Questa tentazione ancora è di oggi. Un solo esempio: pensiamo al Concilio”:

“Il Concilio è stato un’opera bella dello Spirito Santo. Pensate a Papa Giovanni: sembrava un parroco buono e lui è stato obbediente allo Spirito Santo e ha fatto quello. Ma dopo 50 anni, abbiamo fatto tutto quello che ci ha detto lo Spirito Santo nel Concilio? In quella continuità della crescita della Chiesa che è stato il Concilio? No. Festeggiamo questo anniversario, facciamo un monumento, ma che non dia fastidio. Non vogliamo cambiare. Di più: ci sono voci che vogliono andare indietro. Questo si chiama essere testardi, questo si chiama voler addomesticare lo Spirito Santo, questo si chiama diventare stolti e lenti di cuore”.

Succede lo stesso – aggiunge il Papa – “anche nella nostra vita personale”: infatti, “lo Spirito ci spinge a prendere una strada più evangelica”, ma noi resistiamo. Questa l’esortazione finale: “non opporre resistenza allo Spirito Santo. E’ lo Spirito che ci fa liberi, con quella libertà di Gesù, con quella libertà dei figli di Dio!”:

“Non opporre resistenza allo Spirito Santo: è questa la grazia che io vorrei che tutti noi chiedessimo al Signore: la docilità allo Spirito Santo, a quello Spirito che viene da noi e ci fa andare avanti nella strada della santità, quella santità tanto bella della Chiesa. La grazia della docilità allo Spirito Santo. Così sia”.



[SM=g1740771]


Messa del Papa a Santa Marta  17 aprile 2013

La Chiesa non è una babysitter

 

La Chiesa non deve essere come "una babysitter che cura il bambino per farlo addormentare". Se così fosse sarebbe una "Chiesa sopita". Chi ha conosciuto Gesù ha la forza e il coraggio di annunciarlo. Allo stesso modo, chi ha ricevuto il battesimo ha la forza di camminare, di andare avanti, di evangelizzare.
E "quando facciamo questo la Chiesa diventa una madre che genera figli" capaci di portare Cristo nel mondo. È questa in sintesi la riflessione proposta da Papa Francesco questa mattina, mercoledì 17 aprile, durante la celebrazione della messa nella cappella della Domus Sanctae Marthae, alla quale hanno assistito numerosi dipendenti dell'Istituto per le Opere di Religione. Tra i concelebranti i monsignori Vincenzo Pisanello, vescovo di Oria, e Giacinto Boulos Marcuzzo, vicario del patriarca di Gerusalemme dei latini per Israele.

Durante l'omelia il Pontefice - commentando la prima lettura tratta dagli Atti degli apostoli (8, 1-8) - ha ricordato che "dopo il martirio di Stefano, scoppiò una violenta persecuzione contro la Chiesa di Gerusalemme. Abbiamo letto nel libro degli Atti che la Chiesa era tutta tranquilla, tutta in pace, la carità tra loro, le vedove erano curate. Ma poi arriva la persecuzione. Questo è un po' lo stile della vita della Chiesa: fra la pace della carità e la persecuzione".

E ciò accade perché questo, ha spiegato, è stata la vita di Gesù. In seguito alla persecuzione, ha proseguito il Pontefice, tutti fuggirono tranne gli apostoli. I cristiani invece "sono andati. Soli. Senza prete. Senza vescovi: soli. I vescovi, gli apostoli, erano a Gerusalemme a fare un po' di resistenza a queste persecuzioni".

Tuttavia quelli che erano fuggiti "andarono di luogo in luogo, annunziando la Parola". Proprio su costoro il Papa ha voluto focalizzare l'attenzione dei partecipanti. Essi "hanno lasciato la casa, hanno portato con sé forse poche cose; non avevano sicurezza, ma andarono di luogo in luogo annunciando la Parola. Portavano con sé la ricchezza che avevano: la fede. Quella ricchezza che il Signore aveva dato loro. Erano semplici fedeli, appena battezzati da un anno o poco più, forse. Ma avevano quel coraggio di andare ad annunziare. Ed erano creduti! E facevano anche miracoli! "Molti indemoniati espellevano spiriti impuri, emettendo alte grida, e molti paralitici e storpi furono guariti"".

E alla fine: ""Vi fu grande gioia in quella città!". Era andato anche Filippo Questi cristiani - cristiani da poco tempo - hanno avuto la forza, il coraggio di annunciare Gesù. Lo annunziavano con le parole, ma anche con la loro vita. Suscitavano curiosità: "Ma… chi sono questi?". E loro lo dicevano: "Abbiamo conosciuto Gesù, abbiamo trovato Gesù, e lo portiamo". Avevano soltanto la forza del battesimo. E il battesimo dava loro questo coraggio apostolico, la forza dello Spirito".

La riflessione del Papa si è quindi spostata sull'uomo di oggi: "Io penso a noi, battezzati, se abbiamo questa forza. E penso: "Ma noi, crediamo in questo? Che il battesimo sia sufficiente per evangelizzare? O speriamo che il prete dica, che il vescovo dica… E noi?"". Troppo spesso, ha notato il Pontefice, la grazia del battesimo è lasciata un po' in disparte e noi ci rinchiudiamo nei nostri pensieri, nelle nostre cose.
"A volte pensiamo: "No, noi siamo cristiani: abbiamo ricevuto il battesimo, abbiamo fatto la cresima, la prima comunione… e così la carta d'identità è a posto. E adesso, dormiamo tranquilli: siamo cristiani". Ma dov'è questa forza dello Spirito che ti porta avanti?" si è domandato il Papa. "Siamo fedeli allo Spirito per annunciare Gesù con la nostra vita, con la nostra testimonianza e con le nostre parole? Quando facciamo questo, la Chiesa diventa una Chiesa Madre che genera figli" figli della Chiesa che testimoniano Gesù e la forza dello Spirito. "Ma - è stato il monito del Papa - quando non lo facciamo, la Chiesa diventa non madre, ma Chiesa babysitter, che cura il bambino per farlo addormentare. È una Chiesa sopita. Pensiamo al nostro battesimo, alla responsabilità del nostro battesimo".

E per rafforzare il concetto espresso Papa Francesco ha ricordato un episodio accaduto in Giappone nei primi decenni del Seicento, quando i missionari cattolici furono cacciati dal Paese e le comunità rimasero oltre due secoli senza preti. Senza. Quando poi tornarono i missionari trovarono una comunità viva nella quale tutti erano battezzati, catechizzati, sposati in chiesa! E persino quanti erano morti avevano ricevuto una sepoltura cristiana. "Ma - ha proseguito il Papa - non c'è prete! Chi aveva fatto questo? I battezzati!". Ecco la grande responsabilità dei battezzati: "Annunciare Cristo, portare avanti la Chiesa, questa maternità feconda della Chiesa. Essere cristiano non è fare una carriera in uno studio per diventare un avvocato o un medico cristiano; no. Essere cristiano è un dono che ci fa andare avanti con la forza dello Spirito nell'annuncio di Gesù Cristo". Infine il Papa ha rivolto il suo pensiero alla Madonna la quale ha sempre accompagnato i cristiani con la preghiera quando erano perseguitati o dispersi. «Pregava tanto. Ma anche li animava: "Andate, fate…!"».

"Chiediamo al Signore - ha concluso - la grazia di diventare battezzati coraggiosi e sicuri che lo Spirito che abbiamo in noi, ricevuto dal battesimo, ci spinge sempre ad annunciare Gesù Cristo con la nostra vita, con la nostra testimonianza e anche con le nostre parole".


[SM=g1740771]
fede è credere in un Dio che è Persona, non in un “dio spray”




La fede è un dono che comincia incontrando Gesù, Persona reale e non un “dio-spray”. Lo ha detto Papa Francesco all’omelia della Messa celebrata questa mattina, 18 aprile, a Casa Santa Marta. Alla celebrazione ha preso parte il personale dell’Ispettorato di Pubblica Sicurezza presso il Vaticano, accolto da mons. Giovanni Angelo Becciu, sostituto della Segreteria di Stato, e da mons. Bettencourt, capo del Protocollo del medesimo organismo. Il servizio di Alessandro De Carolis:

Non una presenza impalpabile, un’essenza nebulizzata che si spande intorno senza sapere bene cosa sia. Dio è “Persona” concreta, è un Padre, e dunque la fede in Lui nasce da un incontro vivo, di cui si fa esperienza tangibile. Il brano del Vangelo di Giovanni su cui riflette Papa Francesco – nel quale Gesù dice alla folla che “chi crede ha la vita eterna”– è occasione per un esame di coscienza. “Quante volte”, si chiede il Papa, tanta gente dice in fondo di credere in Dio. “Ma in quale Dio tu credi?”, è stata la sua domanda diretta, con la quale il Pontefice ha messo di fronte l’evanescenza di certe convinzioni con la concretezza di una fede vera:

“Un ‘dio diffuso’, un ‘dio-spray’, che è un po’ dappertutto ma non si sa cosa sia. Noi crediamo in Dio che è Padre, che è Figlio, che è Spirito Santo. Noi crediamo in Persone, e quando parliamo con Dio parliamo con Persone: o parlo con il Padre, o parlo con il Figlio, o parlo con lo Spirito Santo. E questa è la fede”.

Nel brano del Vangelo, Gesù afferma pure che nessuno può venire a Lui “se non lo attira il Padre”. Queste parole, afferma Papa Francesco, dimostrano che “andare da Gesù, trovare Gesù, conoscere Gesù è un dono” che Dio elargisce. Un dono, spiega, che vede protagonista il funzionario della regina d’Etiopia descritto nella lettura degli Atti, al quale Cristo invia Filippo a chiarirgli l’Antico Testamento alla luce della Risurrezione. Quel funzionario – osserva Papa Francesco – non era “un uomo comune” ma un ministro reale dell’economia e per questo, aggiunge, “possiamo pensare che sia stato un po’ attaccato ai soldi”, “un carrierista”. Eppure, constata il Papa, quando questo individuo ascolta Filippo parlargli di Gesù “sente che è una buona notizia”, “sente gioia”, al punto da farsi battezzare nel primo luogo dove trova dell’acqua:

“Chi ha la fede ha la vita eterna, ha la vita. Ma la fede è un dono, è il Padre che ce la dà. Noi dobbiamo continuare questo cammino. Ma se andiamo su questa strada, sempre con le cose nostre – perché peccatori siamo tutti e noi abbiamo sempre alcune cose che non vanno, ma il Signore ci perdona se gli chiediamo perdono, e avanti sempre, senza scoraggiarci – ma su quella strada ci succederà lo stesso che a questo ministro dell’economia”.

Succederà, conclude Papa Francesco, ciò che gli Atti degli Apostoli riferiscono di quel funzionario dopo aver scoperto la fede: “E pieno di gioia proseguiva la sua strada”:

“E’ la gioia della fede, la gioia di aver incontrato Gesù, la gioia che soltanto ci dà Gesù, la gioia che dà pace: non quella che dà il mondo, quella che dà Gesù. Questa è la nostra fede. Chiediamo al Signore che ci faccia crescere in questa fede, questa fede che ci fa forti, ci fa gioiosi, questa fede che incomincia sempre con l’incontro con Gesù e prosegue sempre nella vita con i piccoli incontri quotidiani con Gesù”.

Al termine della Messa, Papa Francesco ha rivolto un ringraziamento particolare all’Ispettorato di Pubblica Sicurezza presso il Vaticano per il servizio svolto nella società, “un servizio per il bene comune, per la pace comune”, che “vuole rettitudine della mente, vigore del volere, onestà per gli affetti, serenità”.


[SM=g1740733]  si legga anche qui

Papa Francesco: fede è credere in un Dio che è Persona, non in un “dio spray”


[SM=g1740771]





[Modificato da Caterina63 24/08/2015 18:38]
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[SM=g1740758]  Papa Francesco: accogliere la Parola di Dio con cuore umile, la Chiesa sia liberata da moralismi e ideologie

2013-04-19 Radio Vaticana
La Parola di Dio va accolta con umiltà perché è parola d’amore, solo così entra nel cuore e cambia la vita: è quanto, in sintesi, ha detto il Papa stamani durante la Messa presieduta nella Cappellina di Casa Santa Marta. Erano presenti alcuni dipendenti della Tipografia Vaticana e dell’Osservatore Romano. Il servizio di Sergio Centofanti:

La conversione di San Paolo e il discorso di Gesù nella Sinagoga di Cafarnao sono le letture bibliche del giorno al centro dell’omelia del Papa, tutta incentrata su Gesù che parla: parla a Saulo che lo perseguita, parla ad Ananìa, chiamato ad accogliere Saulo, e parla anche ai dottori della legge, dicendo che chi non mangia la sua carne e non beve il suo sangue non sarà salvato. La voce di Gesù – ha affermato il Papa – “passa per la nostra mente e va al cuore. Perché Gesù cerca la nostra conversione”. Paolo e Ananìa rispondono con perplessità, ma col cuore aperto.
I dottori della legge rispondono in altra maniera, discutendo tra loro e contestando duramente le parole di Gesù:

“Paolo e Ananìa rispondono come i grandi della storia della salvezza, come Geremia, Isaia. Anche Mosé ha avuto le sue difficoltà: ‘Ma, Signore, io non so parlare, come andrò dagli egiziani a dire questo?’. E Maria: ‘Ma, Signore, io non sono sposata!’. E’ la risposta dell’umiltà, di colui che accoglie la Parola di Dio con il cuore. Invece, i dottori rispondono soltanto con la testa. Non sanno che la Parola di Dio va al cuore, non sanno di conversione”.

Il Papa spiega chi sono quelli che rispondono solo con la testa:

“Sono i grandi ideologi. La Parola di Gesù va al cuore perché è Parola d’amore, è parola bella e porta l’amore, ci fa amare. Questi tagliano la strada dell’amore: gli ideologi. E anche quella della bellezza. E si misero a discutere aspramente tra loro: ‘Come può costui darci la sua carne da mangiare?’. Tutto un problema di intelletto! E quando entra l’ideologia, nella Chiesa, quando entra l’ideologia nell’intelligenza del Vangelo, non si capisce nulla”.

Sono quelli che camminano solo “sulla strada del dovere”: è il moralismo di quanti pretendono realizzare del Vangelo solo quello che capiscono con la testa. Non sono “sulla strada della conversione, quella conversione a cui ci invita Gesù”:
“E questi, sulla strada del dovere, caricano tutto sulle spalle dei fedeli. Gli ideologi falsificano il Vangelo. Ogni interpretazione ideologica, da qualsiasi parte venga – da una parte e dall’altra – è una falsificazione del Vangelo. E questi ideologi – l’abbiamo visto nella storia della Chiesa – finiscono per essere, diventano, intellettuali senza talento, eticisti senza bontà. E di bellezza non parliamo, perché non capiscono nulla”.

“Invece, la strada dell’amore, la strada del Vangelo – ricorda il Papa - è semplice: è quella strada che hanno capito i Santi”:
“I Santi sono quelli che portano la Chiesa avanti! La strada della conversione, la strada dell’umiltà, dell’amore, del cuore, la strada della bellezza … Preghiamo oggi il Signore per la Chiesa: che il Signore la liberi da qualsiasi interpretazione ideologica e apra il cuore della Chiesa, della nostra Madre Chiesa, al Vangelo semplice, a quel Vangelo puro che ci parla di amore, che porta l’amore ed è tanto bello! E anche ci fa belli, a noi, con la bellezza della santità. Preghiamo oggi per la Chiesa!”.


[SM=g1740771]

Papa Francesco: i cristiani tiepidi costruiscono piccole Chiese, ma non è la Chiesa di Gesù...

I cristiani tiepidi sono quelli che vogliono costruire una Chiesa a propria misura, ma non è la Chiesa di Gesù: è quanto ha detto, oggi 20 aprile, il Papa durante la Messa nella Cappellina della Domus Sanctae Marthae. Erano presenti i volontari del Dispensario pediatrico “Santa Marta” in Vaticano, affidato alle Figlie della Carità di San Vincenzo de’ Paoli, che da 90 anni sostiene i bambini e le famiglie bisognose di Roma senza distinzione di religione o nazionalità. Accanto al Papa come chierichetti, due bambini. Il servizio di Sergio Centofanti:

La prima comunità cristiana, dopo la persecuzione, vive un momento di pace, si consolida, cammina e cresce “nel timore del Signore e con il conforto dello Spirito Santo”: il Papa commenta la lettura degli Atti degli Apostoli.
E’ questa l’aria stessa in cui vive e respira la Chiesa, chiamata a camminare alla presenza di Dio e in modo irreprensibile:

“E’ uno stile della Chiesa. Camminare nel timore del Signore è un po’ il senso dell’adorazione, la presenza di Dio, no? La Chiesa cammina così e quando siamo in presenza di Dio non facciamo cose brutte né prendiamo decisioni brutte. Siamo davanti a Dio. Anche con la gioia e la felicità: questo è il conforto dello Spirito Santo, cioè il dono che il Signore ci ha dato - questo conforto - che ci fa andare avanti”.

Nel Vangelo proposto dalla liturgia del giorno molti discepoli ritengono duro il linguaggio di Gesù, mormorano, si scandalizzano e alla fine lasciano il Maestro:
“Questi si sono allontanati, se ne sono andati, perché dicevano ‘quest’uomo è un po’ speciale, dice delle cose che sono dure e noi non possiamo… E’ un rischio troppo grande andare su questa strada. Abbiamo buon senso, eh? Andiamo un po’ indietro e non tanto vicino a Lui’. Questi, forse, avevano una certa ammirazione per Gesù, ma un po’ da lontano: non immischiarsi troppo con questo uomo, perché dice delle cose un po’ strane…”.

Questi cristiani – afferma il Papa – “non si consolidano nella Chiesa, non camminano alla presenza di Dio, non hanno il conforto dello Spirito Santo, non fanno crescere la Chiesa”:
“Sono cristiani di buon senso, soltanto: prendono le distanze. Cristiani - per così dire – ‘satelliti’, che hanno una piccola Chiesa, a propria misura: per dirlo proprio con le parole di Gesù nell’Apocalisse, ‘cristiani tiepidi’. La tiepidezza che viene nella Chiesa… Camminano soltanto alla presenza del proprio buon senso, del senso comune … quella prudenza mondana: questa è una tentazione proprio di prudenza mondana”.

Papa Francesco pensa ai tanti cristiani “che in questo momento danno testimonianza del nome di Gesù, anche fino al martirio”. Questi – afferma - non sono ‘cristiani satelliti’, perché “vanno con Gesù, sulla strada di Gesù”:
“Questi sanno perfettamente quello che Pietro dice al Signore, quando il Signore gli fa la domanda: ‘Anche voi volete andare, essere ‘cristiani satelliti’?’. Gli rispose Simon Pietro: ‘Signore da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna’. Così da un gruppo grande diventa un gruppo un po’ più piccolo, ma di quelli che sanno perfettamente che non possono andare da un’altra parte, perché soltanto Lui, il Signore, ha parole di vita eterna”.

Il Papa, infine, eleva questa preghiera:
“Preghiamo per la Chiesa, perché continui a crescere, a consolidarsi, a camminare nel timore di Dio e con il conforto dello Spirito Santo. Che il Signore ci liberi dalla tentazione di quel ‘buon senso’, tra virgolette, dalla tentazione di mormorare contro Gesù, perché è troppo esigente, e dalla tentazione dello scandalo. E così sia”.




[SM=g1740771]

Papa Francesco: i cristiani sono umili, poveri e miti, gli arrampicatori non hanno fede



2013-04-22 Radio Vaticana
Il Vangelo del Buon Pastore con Gesù che si definisce “la porta delle pecore” è stato al centro dell’omelia del Papa, stamani, nella Messa celebrata nella Cappellina della Domus Sanctae Marthae. Erano presenti alcuni dipendenti della Sala Stampa Vaticana, con il direttore padre Federico Lombardi e il vicedirettore padre Ciro Benedettini, e alcuni tecnici della Radio Vaticana operativi nel Centro trasmittente di Santa Maria di Galeria. Il servizio di Sergio Centofanti:

Nel Vangelo proposto dalla liturgia del giorno, Gesù dice che chi non entra nel recinto delle pecore dalla porta, non è il pastore. L’unica porta per entrare nel Regno di Dio, per entrare nella Chiesa – afferma il Papa - è Gesù stesso. “Chi non entra nel recinto delle pecore dalla porta, ma vi sale da un’altra parte, è un ladro o un brigante”.
E’ “uno che vuole fare profitto per se stesso” – dice il Pontefice – è uno che “vuole salire”:

“Anche nelle comunità cristiane ci sono questi arrampicatori, no?, che cercano il loro … e coscientemente o incoscientemente fanno finta di entrare ma sono ladri e briganti. Perché? Perché rubano la gloria a Gesù, vogliono la propria gloria e questo è quello che diceva ai farisei: ‘Voi girate la gloria uno all’altro …’. Una religione un po’ da negozio, no? Io do la gloria a te e tu dai la gloria a me. Ma questi non sono entrati dalla porta vera. La porta è Gesù e chi non entra da questa porta si sbaglia. E come so che la porta vera è Gesù? Come so che questa porta è quella di Gesù? Ma, prendi le Beatitudini e fa quello che dicono le Beatitudini. Sei umile, sei povero, sei mite, sei giusto …”.

Ma “Gesù – prosegue il Papa - non solo è la porta: è il cammino, è la strada. Ci sono tanti sentieri, forse più vantaggiosi per arrivare”: ma sono “ingannevoli, non sono veri: sono falsi.
La strada è soltanto Gesù”:

“Ma qualcuno di voi dirà: ‘Padre, lei è fondamentalista!’. No, semplicemente questo l’ha detto Gesù: ‘Io sono la porta’, ‘Io sono il cammino’ per darci la vita. Semplicemente. E’ una porta bella, una porta d’amore, è una porta che non ci inganna, non è falsa. Sempre dice la verità. Ma con tenerezza, con amore. Ma sempre noi abbiamo quello che è stato all’origine del peccato originale, no? Abbiamo la voglia di avere la chiave di interpretazione di tutto, la chiave e il potere di fare la nostra strada, qualsiasi essa sia, di trovare la nostra porta, qualsiasi essa sia”.

“A volte – afferma il Papa - abbiamo la tentazione di essere troppo padroni di noi stessi e non umili figli e servi del Signore”:
“E questa è la tentazione di cercare altre porte o altre finestre per entrare nel Regno di Dio. Soltanto si entra da quella porta che si chiama Gesù. Soltanto si entra da quella porta che ci porta su una strada che è una strada che si chiama Gesù e ci porta alla vita che si chiama Gesù. Tutti coloro che fanno un’altra cosa – dice il Signore – che salgono per entrare dalla finestra, sono ‘ladri e briganti’. E’ semplice, il Signore. Non parla difficile: Lui è semplice”.

Il Papa invita a chiedere “la grazia di bussare sempre a quella porta”:
“A volte è chiusa: noi siamo tristi, abbiamo desolazione, abbiamo problemi a bussare, a bussare a quella porta. Non andare a cercare altre porte che sembrano più facili, più confortevoli, più alla mano. Sempre quella: Gesù. E Gesù non delude mai, Gesù non inganna, Gesù non è un ladro, non è un brigante. Ha dato la sua vita per me: ciascuno di noi deve dire questo: ‘E tu che hai dato la vita per me, per favore, apri, perché io possa entrare’”.

[SM=g1740771]


[Modificato da Caterina63 22/04/2013 14:14]
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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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22/04/2013 21:10
 
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[SM=g1740771] Omelie mattutine di Papa Francesco Messa a Santa Marta (1)

Cari Amici, con questo video intendiamo portare fino a voi e comodamente, il cuore delle omelie che Papa Francesco dedica alla Messa del mattino in Santa Marta. Non è solo un fatto del suo stile personale, ma è soprattutto un ottimo nutrimento quotidiano della Parola di Dio donata a noi a piccole dosi. Un pò come fa la chioccia con i propri pulcini. Sembra proprio che il Signore ce la sta mettendo tutta per renderci facile questo passo alla conversione, non sprechiamo l'occasione.
www.gloria.tv/?media=433111

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[SM=g1740766]


Omelie mattutine di Papa Francesco Messa a Santa Marta (2)

[SM=g1740733] Cari Amici, dopo avervi offerto le prime Omelie del santo Padre e che troverete in questo link
www.gloria.tv/?media=433111
vogliamo offrirvi la seconda serie, breve ma sostanziale, se preferite un buon magistero a "piccole dosi". Utili per seguire dagli spunti del Vangelo un insegnamento che arriva direttamente a far riflettere sui nostri comportamenti quotidiani.

Non sprechiamo queste occasioni.
www.gloria.tv/?media=464154


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[SM=g1740758]


[SM=g1740771]


[Modificato da Caterina63 25/06/2013 09:56]
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[SM=g1740758]  Papa Francesco: la Chiesa è una storia d'amore, non un'organizzazione burocratica

2013-04-24 Radio Vaticana

La Chiesa non è un’organizzazione burocratica, è una storia di amore: è quanto ha detto il Papa durante la Messa presieduta stamani nella Cappellina della Casa Santa Marta. Presenti alcuni dipendenti dello Ior. Ha concelebrato il cardinale Javier Lozano Barragán, presidente emerito del Pontificio Consiglio per gli Operatori Sanitari. Il servizio di Sergio Centofanti:

Le letture del giorno raccontano le vicende della prima comunità cristiana che cresce e moltiplica i suoi discepoli.

Una cosa buona – osserva il Papa – ma che può spingere a fare “patti” per avere ancora “più soci in questa impresa”:

“Invece, la strada che Gesù ha voluto per la sua Chiesa è un’altra: la strada delle difficoltà, la strada della Croce, la strada delle persecuzioni … E questo ci fa pensare: ma cosa è questa Chiesa? Questa nostra Chiesa, perché sembra che non sia un’impresa umana”.

La Chiesa – sottolinea – è “un’altra cosa”: non sono i discepoli a fare la Chiesa, loro sono degli inviati, inviati da Gesù. E Cristo è inviato dal Padre:
“E allora, si vede che la Chiesa incomincia là, nel cuore del Padre, che ha avuto questa idea … Non so se ha avuto un’idea, il Padre: il Padre ha avuto amore. E ha incominciato questa storia di amore, questa storia di amore tanto lunga nei tempi e che ancora non è finita. Noi, donne e uomini di Chiesa, siamo in mezzo ad una storia d’amore: ognuno di noi è un anello in questa catena d’amore. E se non capiamo questo, non capiamo nulla di cosa sia la Chiesa”.

La tentazione è quella di far crescere la Chiesa senza percorrere la strada dell’amore:
“Ma la Chiesa non cresce con la forza umana; poi, alcuni cristiani hanno sbagliato per ragioni storiche, hanno sbagliato la strada, hanno fatto eserciti, hanno fatto guerre di religione: quella è un’altra storia, che non è questa storia d’amore. Anche noi impariamo con i nostri sbagli come va la storia d’amore. Ma come cresce? Ma Gesù l’ha detto semplicemente: come il seme della senape, cresce come il lievito nella farina, senza rumore”.

La Chiesa – ricorda il Papa - cresce “dal basso, lentamente”:
“E quando la Chiesa vuol vantarsi della sua quantità e fa delle organizzazioni, e fa uffici e diventa un po’ burocratica, la Chiesa perde la sua principale sostanza e corre il pericolo di trasformarsi in una ong. E la Chiesa non è una ong. E’ una storia d’amore ... Ma ci sono quelli dello Ior … scusatemi, eh! .. tutto è necessario, gli uffici sono necessari … eh, va bè! Ma sono necessari fino ad un certo punto: come aiuto a questa storia d’amore. Ma quando l’organizzazione prende il primo posto, l’amore viene giù e la Chiesa, poveretta, diventa una ong. E questa non è la strada”.

Un capo di Stato – ha rivelato – ha chiesto quanto sia grande l’esercito del Papa. La Chiesa – ha proseguito – non cresce “con i militari”, ma con la forza dello Spirito Santo. Perché la Chiesa – ha ripetuto – non è un’organizzazione:
“No: è Madre. E’ Madre. Qui ci sono tante mamme, in questa Messa. Che sentite voi, se qualcuno dice: ‘Ma … lei è un’organizzatrice della sua casa’? ‘No: io sono la mamma!’. E la Chiesa è Madre. E noi siamo in mezzo ad una storia d’amore che va avanti con la forza dello Spirito Santo e noi, tutti insieme, siamo una famiglia nella Chiesa che è la nostra Madre”.

Il Papa, infine, eleva la sua preghiera alla Madonna perché “ci dia la grazia della gioia, della gioia spirituale di camminare in questa storia d’amore”.

[SM=g1740771]



2013-04-25 Radio Vaticana

Il Papa ha presieduto questa mattina, nella Domus Sanctae Marthae, la Messa nella Festa di San Marco Evangelista: lo stile dell’annuncio cristiano – ha detto nell’omelia – è umile ma nello stesso tempo non ha paura di operare cose grandi.
Presenti alcuni membri della Segreteria del Sinodo dei Vescovi, accompagnati dal segretario generale mons. Nikola Eterović, e un gruppo di agenti della Gendarmeria Vaticana. Il servizio di Sergio Centofanti:



Al centro dell’omelia del Papa il brano del Vangelo di San Marco in cui si racconta l’Ascensione di Gesù.

Il Signore, prima di salire al Cielo, invia gli apostoli ad annunciare il Vangelo: “fino alla fine del mondo” – dice – non soltanto a Gerusalemme o in Galilea:

“No: in tutto il mondo. L’orizzonte … l’orizzonte grande … E come si può vedere, questa è la missionarietà della Chiesa. La Chiesa va avanti con questa predicazione a tutti, a tutto il mondo. Ma non va avanti da sola: va con Gesù. ‘Allora essi partirono e predicarono dappertutto, mentre il Signore agiva insieme con loro’. Il Signore lavora con tutti coloro che predicano il Vangelo. Questa è la magnanimità che i cristiani devono avere. Un cristiano pusillanime non lo si capisce: è proprio della vocazione cristiana, questa magnanimità: sempre di più, sempre di più, sempre di più, sempre avanti”.

La prima Lettera di San Pietro – sottolinea il Papa – definisce lo stile cristiano della predicazione, che è quello dell’umiltà:
“Lo stile della predicazione evangelica va su questo atteggiamento: l’umiltà, il servizio, la carità, l’amore fraterno. ‘Ma … Signore, noi dobbiamo conquistare il mondo!’. Quella parola, conquistare, non va. Dobbiamo predicare nel mondo. Il cristiano non deve essere come i soldati che quando vincono la battaglia fanno piazza pulita di tutto”.

Il cristiano – prosegue il Papa – “annuncia il Vangelo con la sua testimonianza, più che con le parole”. E con una duplice disposizione, come dice San Tommaso d’Aquino: un animo grande che non si spaventa delle cose grandi, di andare avanti verso orizzonti che non finiscono, e l’umiltà di tenere conto delle cose piccole. “Questo è divino – ha osservato - è come una tensione tra il grande e il piccolo” e la “missionarietà cristiana” procede “per questa strada”.

Il Vangelo di San Marco – conclude il Papa – finisce con “una frase bellissima” laddove si dice che Gesù agiva con i discepoli, confermando “la Parola con i segni che l’accompagnavano”.
“Quando noi andiamo con questa magnanimità e anche con questa umiltà, quando noi non ci spaventiamo delle cose grandi, di quell’orizzonte, ma prendiamo anche le cose piccole – l’umiltà, la carità quotidiana – il Signore conferma la Parola. E andiamo avanti. Il trionfo della Chiesa è la Risurrezione di Gesù.
Ma c’è la Croce, prima. Chiediamo oggi al Signore di diventare missionari nella Chiesa, apostoli nella Chiesa ma con questo spirito: una grande magnanimità e anche una grande umiltà. Così sia”.




[SM=g1740771]

2013-04-26 Radio Vaticana

Il cammino di fede non è alienazione, ma preparare il cuore a vedere il volto meraviglioso di Dio: è quanto ha affermato oggi il Papa durante l’omelia della Messa presieduta nella Domus Sanctae Marthae. Hanno partecipato alla celebrazione alcuni dipendenti della Tipografia Vaticana, della Gendarmeria e dell’Ulsa, l’Ufficio del Lavoro della Sede Apostolica. Il servizio di Sergio Centofanti:




Il Vangelo del giorno ci riporta le parole di Gesù ai discepoli: “Non sia turbato il vostro cuore”:
“Queste parole di Gesù sono proprio parole bellissime. In un momento di congedo, Gesù parla ai suoi discepoli, ma proprio dal cuore. Lui sa che i suoi discepoli sono tristi, perché se ne accorgono che la cosa non va bene. Lui dice: ‘Ma non sia turbato il vostro cuore’. E comincia a parlare così, come un amico, anche con l’atteggiamento di un pastore. Io dico: la musica di queste parole di Gesù è l’atteggiamento del pastore, come il pastore fa con le sue pecorelle, no?… ‘Ma non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio, anche in me’. E comincia a parlare di che? Del cielo, della patria definitiva. ‘Abbiate fede anche in me’: io rimango fedele, è come se dicesse quello, no?… Con la figura dell’ingegnere, dell’architetto dice loro quello che andrà a fare: ‘Vado a prepararvi un posto, nella casa del Padre mio vi sono molte dimore’. E Gesù va a prepararci un posto”.

Il Papa si chiede: “Com’è quel posto? Cosa significa ‘preparare il posto’? Affittare una stanza lassù? Preparare il posto’ è preparare la nostra possibilità di godere, la possibilità - la nostra possibilità - di vedere, di sentire, di capire la bellezza di quello che ci aspetta, di quella patria verso la quale noi camminiamo”:
“E tutta la vita cristiana è un lavoro di Gesù, dello Spirito Santo per prepararci un posto, prepararci gli occhi per poter vedere… ‘Ma, Padre, io vedo bene! Non ho bisogno degli occhiali!’: ma quella è un’altra visione…. Pensiamo a quelli che sono malati di cataratta e devono farsi operare la cataratta: loro vedono, ma dopo l’intervento cosa dicono? ‘Mai ho pensato che si potesse vedere così, senza occhiali, tanto bene!’. Gli occhi nostri, gli occhi della nostra anima hanno bisogno, hanno necessità di essere preparati per guardare quel volto meraviglioso di Gesù. Preparare l’udito per poter sentire le cose belle, le parole belle. E principalmente preparare il cuore: preparare il cuore per amare, amare di più”.

Nel cammino della vita – ha sottolineato il Papa - il Signore prepara il nostro cuore “con le prove, con le consolazioni, con le tribolazioni, con le cose buone”:
“Tutto il cammino della vita è un cammino di preparazione. Alcune volte il Signore deve farlo in fretta, come ha fatto con il buon ladrone: aveva soltanto pochi minuti per prepararlo e l’ha fatto. Ma la normalità della vita è andare così, no?: lasciarsi preparare il cuore, gli occhi, l’udito per arrivare a questa patria. Perché quella è la nostra patria. ‘Ma, Padre, io sono andato da un filosofo e mi ha detto che tutti questi pensieri sono una alienazione, che noi siamo alienati, che la vita è questa, il concreto, e di là non si sa cosa sia…’. Alcuni la pensano così… ma Gesù ci dice che non è così e ci dice: ‘Abbiate fede anche in me’. Questo che io ti dico è la verità: io non ti truffo, io non ti inganno”.

“Prepararsi al cielo – ha detto ancora il Papa - è incominciare a salutarlo da lontano. Questa non è alienazione: questa è la verità, questo è lasciare che Gesù prepari il nostro cuore, i nostri occhi per quella bellezza tanto grande. E’ il cammino della bellezza” e “il cammino del ritorno alla patria”. Infine il Papa prega perché il Signore ci dia “questa speranza forte”, il coraggio e anche l’umiltà di lasciare che il Signore prepari la dimora, “la dimora definitiva, nel nostro cuore, nei nostri occhi e nel nostro udito. Così sia”.


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[SM=g1740758]  ATTENZIONE COMUNICATO STAMANI DI PADRE LOMBARDI:

Padre Lombardi ha detto stamani che il Papa Francesco NON desidera che le sue omelie, delle 7 del mattino...... siano pubblicate.
sempre Padre Lombardi ha detto che il Papa: vuole poter conservare la sua spontaneità di parola e di riflessione senza dover pensare che quanto dice debba essere stampato..... In tal senso forse Papa Francesco NON vuole che possano essere strumentalizzate dai giornali e che parlando a braccio forse qualcosa di inesatto potrebbe scappargli.....

[SM=g1740733] Confessiamo che questa scelta del Papa ci appare alquanto anomala e poco edificante per chi non può essere presente alle sue Messe....
staremo a vedere....

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di GIUSEPPE RUSCONI

www.rossoporpora.org – 25 aprile 2013

Il portavoce della Santa Sede ne ha evidenziato alcuni degli aspetti ‘stilisticamente’ nuovi, di maggiore o minore importanza. Per il momento papa Francesco continuerà a risiedere a Santa Marta, anche se con il passare del tempo può darsi che i problemi organizzativi - relativi ad esempio alla fluidità di interscambio con la Segreteria di Stato – portino a considerare più opportune altre soluzioni.

Certo il Papa si sente bene a Santa Marta, dove vive una vita di contatto con ospiti e invitati, tale da permettergli di avere direttamente tutta una serie di informazioni sulla vita della Chiesa. Papa Francesco frequenta il Palazzo Apostolico solo per le udienze mattutine e l’ Angelus domenicale. Il pomeriggio, per quanto ne sa padre Lombardi, lo passa a Santa Marta così come la sera. Nella sua sobria suite al centro del secondo piano di Santa Marta (affaccio verso San Pietro) ha a sua disposizione il secondo segretario di papa Benedetto XVI, il maltese Alfred Xuereb. Per la corrispondenza con l’Argentina si avvale dell’aiuto di un sacerdote argentino dell’arcidiocesi di Buenos Aires, don Fabian Pedacchio; per i rapporti con gli argentini di Roma del cerimoniere pontificio don Giuillermo Karcher.

Papa Francesco legge qualche giornale la mattina, “L’Osservatore Romano” quando esce il pomeriggio, forse la sera. Riceve sempre la Rassegna stampa curata dalla Segreteria di Stato. Padre Lombardi presume che papa Francesco non sia “un grande navigatore, un supertecnologico, ma più calligrafico”.


Una novità che balza all’occhio è la celebrazione della messa mattutina nella cappella dentro santa Marta. A tale proposito padre Lombardi ha detto che il Papa non desidera che le sue omelie siano pubblicate. Vuole poter conservare la sua spontaneità di parola e di riflessione senza dover pensare che quanto dice debba essere stampato. Padre Lombardi ha incontrato diverse volte papa Francesco. Canonici i brevi incontri dopo le visite di capi di Stato per mettere a punto il contenuto del comunicato ufficiale: la novità sta nel fatto che poi il Papa risponde volentieri anche a domande d’altro genere poste dal direttore della Sala Stampa vaticana.

Ancora padre Lombardi pensa che il Papa non abbia tra i suoi interessi più importanti la musica sacra. Dal che possono derivare conseguenze varie in ambito liturgico. Ritiene poi “difficile” che papa Francesco possa assistere all’annunciato triangolare allo Stadio Olimpico (proposto per il 10 agosto) tra il ‘suo’ amato san Lorenzo de Almagro, Lazio e Roma.

Sempre il direttore della Sala Stampa vaticana “non si stupirebbe” se papa Francesco non trascorresse come tradizione il periodo estivo a Castel Gandolfo. In tal caso è probabile che la residenza ospiterebbe Benedetto XVI.

[SM=g1740771]



[Modificato da Caterina63 26/04/2013 17:20]
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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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27/04/2013 12:04
 
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[SM=g1740758] Papa Francesco: annunciare Cristo con gioia. Il vero bene non è calunnia e ingiuria



2013-04-27 Radio Vaticana

“Guardare Gesù che ci invia a evangelizzare, ad annunciare il suo nome con gioia”. E’ l’esortazione di Papa Francesco che, questa mattina durante l’omelia nella Domus Sanctae Marthae, in Vaticano, ha anche ribadito che non dobbiamo aver “paura della gioia dello Spirito”, via per vincere la chiusura in “noi stessi”. Hanno partecipato alla Messa con il Papa, i dipendenti del servizio Poste Vaticane e del Dispensario pediatrico Santa Marta. Il servizio di Massimiliano Menichetti:

“Sembrava che questa felicità non sarebbe mai stata vinta”. Così il Papa commentando l’affidamento in Cristo della comunità dei discepoli, riuniti ad Antiochia per ascoltare la parola del Signore, ricordato oggi negli Atti degli Apostoli.

Poi, la domanda di Papa Francesco sul perché la comunità dei “giudei chiusi”, “un gruppetto”, “persone buone”, furono ricolmi di gelosia nel vedere la moltitudine dei cristiani e incominciarono a perseguitare:

"Semplicemente, perché avevano il cuore chiuso, non erano aperti alla novità dello Spirito Santo. Loro credevano che tutto fosse stato detto, che tutto fosse come loro pensavano che dovesse essere e perciò si sentivano come difensori della fede e incominciarono a parlare contro gli Apostoli, a calunniare… La calunnia… E sono andati dalle pie donne della nobiltà, che avevano potere, gli hanno riempito la testa di idee, di cose, di cose, e le spingevano a parlare ai loro mariti perché andassero contro gli Apostoli.
Questo è un atteggiamento di questo gruppo e anche di tutti i gruppi nella storia, i gruppi chiusi: patteggiare col potere, risolvere le difficoltà ma 'fra noi'… Come hanno fatto quelli, la mattina della Resurrezione, quando i soldati sono andati a dir loro: 'Abbiamo visto questo'… 'State zitti! Prendete…”. E con i soldi hanno coperto tutto".


“Questo è proprio l’atteggiamento di questa religiosità chiusa”, ha spiegato il Papa, “che non ha la libertà di aprirsi al Signore”:
"La loro vita comunitaria per difendere sempre la verità, perché loro credono di difendere la verità, è sempre la calunnia, il chiacchierare… Davvero, sono comunità chiacchierone, che parlano contro, distruggono l’altro e guardano dentro, sempre dentro, coperte col muro. Invece la comunità libera, con la libertà di Dio e dello Spirito Santo, andava avanti, anche nelle persecuzioni.
E la parola del Signore si diffondeva per tutta la regione. E’ proprio della comunità del Signore andare avanti, diffondersi, perché il bene è così: si diffonde sempre! Il bene non si corica dentro. Questo è un criterio, un criterio di Chiesa, anche per il nostro esame di coscienza: come sono le nostre comunità, le comunità religiose, le comunità parrocchiali? Sono comunità aperte allo Spirito Santo, che ci porta sempre avanti per diffondere la Parola di Dio, o sono comunità chiuse, con tutti i comandamenti precisi, che caricano sulle spalle dei fedeli tanti comandamenti, come il Signore aveva detto ai Farisei?".

“La persecuzione incomincia proprio per motivi religiosi e per la gelosia”, ha detto Papa Francesco, ma non solo “i discepoli erano pieni di gioia di Spirito Santo”, “parlano con la bellezza, aprono strade”:
"Invece la comunità chiusa, sicura di se stessa, quella che cerca la sicurezza proprio nel patteggiare col potere, nei soldi, parla con parole ingiuriose: insultano, condannano… E’ proprio il suo atteggiamento.
Forse si dimenticano delle carezze della mamma, quando erano piccoli. Queste comunità non sanno di carezze, sanno di dovere, di fare, di chiudersi in una osservanza apparente. Come Gesù gli avete detto: 'Voi siete come una tomba, come un sepolcro, bianco, bellissimo, ma niente di più'.
Pensiamo oggi alla Chiesa, tanto bella: questa Chiesa che va avanti. Pensiamo ai tanti fratelli che soffrono per questa libertà dello Spirito e soffrono persecuzioni, adesso, in tante parti. Ma questi fratelli, nella sofferenza, sono pieni di gioia e di Spirito Santo".

“Guardiamo Gesù che ci invia a evangelizzare, ad annunciare il suo nome con gioia, pieni di gioia”, ha concluso il Papa, sottolineando che non bisogna aver “paura della gioia dello Spirito”, così da non “chiuderci in noi stessi”.

[SM=g1740771]

BENEDETTA VERGOGNA!!!
RITORNIAMO AL CONFESSIONALE


2013-04-29 L’Osservatore Romano

Il confessionale non è né una «tintoria» che smacchia i peccati, né una «seduta di tortura» dove si infliggono bastonate. La confessione infatti è l’incontro con Gesù e si tocca con mano la sua tenerezza. Ma bisogna accostarsi al sacramento senza trucchi o mezze verità, con mitezza e con allegria, fiduciosi e armati di quella «benedetta vergogna», la «virtù dell’umile» che ci fa riconoscere peccatori. È alla riconciliazione che Papa Francesco ha dedicato l’omelia della messa celebrata lunedì mattina, 29 aprile, nella cappella della Domus Sanctae Marthae.

Tra i concelebranti, il cardinale Domenico Calcagno, presidente dell’Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica (Apsa), con il segretario monsignor Luigi Mistò, l’arcivescovo Francesco Gioia, presidente della Peregrinatio ad Petri Sedem, l’arcivescovo nigeriano di Owerri, monsignor Anthony Obinna, e il procuratore generale dei verbiti, Gianfranco Girardi. Ha concelebrato anche monsignor Eduardo Horacio García, vescovo ausiliare e pro-vicario generale di Buenos Aires. Tra i presenti, le suore Pie Discepole del Divin Maestro che prestano servizio in Vaticano e un gruppo di dipendenti dell’Apsa.

Il Papa ha aperto l’omelia con una riflessione sulla prima Lettera di san Giovanni (1,5-2,2), nella quale l’apostolo «parla ai primi cristiani e lo fa con semplicità: “Dio è luce e in Lui non c’è tenebra alcuna”. Ma “se diciamo di essere in comunione con Lui”, amici del Signore, “e camminiamo nelle tenebre, siamo bugiardi e non mettiamo in pratica la verità”. E a Dio bisogna adorarlo in spirito e in verità».

«Cosa significa — si è chiesto il Papa — camminare nelle tenebre? Perché tutti noi abbiamo delle oscurità nella nostra vita, anche momenti dove tutto, anche nella propria coscienza, è buio, no? Andare nelle tenebre significa essere soddisfatto di se stesso. Essere convinto di non aver necessità di salvezza. Quelle sono le tenebre!». E, ha proseguito, «quando uno va avanti su questa strada delle tenebre, non è facile tornare indietro. Perciò Giovanni continua, forse questo modo di pensare lo ha fatto riflette: “Se diciamo di essere senza peccato, inganniamo noi stessi e la verità non è in noi”. Guardate ai vostri peccati, ai nostri peccati: tutti siamo peccatori, tutti. Questo è il punto di partenza».

«Ma se confessiamo i nostri peccati — ha spiegato il Pontefice — Egli è fedele, è giusto tanto da perdonarci i peccati e purificarci da ogni iniquità. E ci presenta, vero?, quel Signore tanto buono, tanto fedele, tanto giusto che ci perdona. Quando il Signore ci perdona fa giustizia. Sì, fa giustizia prima a se stesso, perché Lui è venuto per salvare e  quando ci perdona  fa giustizia a se stesso. “Sono salvatore di te” e ci accoglie». Lo fa nello spirito del salmo 102: «“Come è tenero un padre verso i figli, così il Signore è tenero verso quelli che lo temono”, verso quelli che vanno da Lui. La tenerezza del Signore. Ci capisce sempre, ma anche non ci lascia parlare: Lui sa tutto. “Stai tranquillo, vai in pace”, quella pace che soltanto Lui dà».

È quanto «succede nel sacramento della riconciliazione. Tante volte — ha detto il Santo Padre — pensiamo che andare a confessarci è come andare in tintoria. Ma Gesù nel confessionale non è una tintoria». La confessione è «un incontro con Gesù che ci aspetta come siamo. “Ma, Signore, senti, sono così”. Ci fa vergogna dire la verità: ho fatto questo, ho pensato questo. Ma la vergogna è una vera virtù cristiana e anche umana. La capacità di vergognarsi: non so se in italiano si dice così, ma nella nostra terra a quelli che non possono vergognarsi gli dicono sinvergüenza. Questo è “uno senza vergogna”, perché non ha la capacità di vergognarsi. E vergognarsi è una virtù dell’umile».

Papa Francesco ha quindi ripreso il passo della lettera di san Giovanni. Sono parole, ha detto, che invitano ad aver fiducia: «Il Paràclito è al nostro fianco e ci sostiene davanti al Padre. Lui sostiene la nostra debole vita, il nostro peccato. Ci perdona. Lui è proprio il nostro difensore, perché ci sostiene. Adesso, come dobbiamo andare dal Signore, così, con la nostra verità di peccatori? Con fiducia, anche con allegria, senza truccarci. Non dobbiamo mai truccarci davanti a Dio! Con la verità. In vergogna? Benedetta vergogna, questa è una virtù».

Gesù aspetta ciascuno di noi, ha ribadito citando il vangelo di Matteo (11, 25-30): «“Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi”, anche del peccato, “e io vi darò ristoro. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile nel cuore”. Questa è la virtù che Gesù chiede a noi: l’umiltà e la mitezza».

«Umiltà e mitezza — ha proseguito il — sono come la cornice di una vita cristiana. Un cristiano va sempre così, nell’umiltà e nella mitezza. E Gesù ci aspetta per perdonarci. Possiamo fargli una domanda: allora andare a confessarsi non è andare a una seduta di tortura? No! È andare a lodare Dio, perché io peccatore sono stato salvato da Lui. E Lui mi aspetta per bastonarmi? No, con tenerezza per perdonarmi. E se domani faccio lo stesso? Vai un’altra volta, e vai e vai e vai. Lui sempre ci aspetta. Questa tenerezza del Signore, questa umiltà, questa mitezza».

Il Papa ha infine invitato ad aver fiducia nelle parole dell’apostolo Giovanni: «Se qualcuno ha peccato, abbiamo un Paràclito verso il Padre». E ha concluso: «questo ci dà respiro. È bello, eh? E se abbiamo vergogna? Benedetta vergogna, perché quella è una virtù. Il Signore ci dia questa grazia, questo coraggio di andare sempre da Lui con la verità, perché la verità è luce. E non con la tenebra delle mezze verità o delle bugie davanti a Dio».

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[SM=g1740758] Papa Francesco: tutti devono pregare per la Chiesa. Una Chiesa "mondana" non porta il Vangelo



2013-04-30 Radio Vaticana
“Quando la Chiesa diventa mondana” diventa una “Chiesa debole”. Così si è espresso in sintesi oggi Papa Francesco, durante la Messa presieduta nella Cappellina di Casa Santa Marta, alla presenza di alcuni dipendenti dell’Apsa, l’Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica. Il Papa ha indicato nella preghiera la via di custodia e affidamento al Signore per “gli anziani, gli ammalati, i bambini, i ragazzi”, per tutta la Chiesa. “Che il Signore ci faccia forti – ha rimarcato – per non perdere la fede, non perdere la speranza”. Il servizio di Massimiliano Menichetti:


E’ l’affidamento della Chiesa al Signore che il Papa oggi ha sottolineato con forza, esortando tutti alla preghiera nello stretto legame con l’azione salvifica di Cristo:
"Si può custodire la Chiesa, si può curare la Chiesa e noi dobbiamo farlo con il nostro lavoro, ma il più importante è quello che fa il Signore: è l’Unico che può guardare in faccia il maligno e vincerlo. Viene il principe del mondo', contro di me non può nulla: se vogliamo che il principe di questo mondo non prenda la Chiesa nelle sue mani, dobbiamo affidarla all’Unico che può vincere il principe di questo mondo.
E qui la domanda: noi preghiamo per la Chiesa, ma per tutta la Chiesa? Per i nostri fratelli che non conosciamo, dappertutto nel mondo? E’ la Chiesa del Signore e noi nella nostra preghiera diciamo al Signore: Signore, guarda la tua Chiesa… E’ tua. La tua Chiesa sono i nostri fratelli. Questa è una preghiera che noi dobbiamo fare dal cuore, sempre di più".

Poi, Papa Francesco ha rimarcato che “è facile pregare per chiedere una grazia al Signore”, “per ringraziare” o quando “abbiamo bisogno di qualcosa”. Ma fondamentale, ha spiegato, è pregare il Signore per tutti, per coloro che hanno “ricevuto lo stesso Battesimo” dicendo "Sono i tuoi, sono i nostri, custodiscili”:
"Affidare la Chiesa al Signore è una preghiera che fa crescere la Chiesa. E’ anche un atto di fede. Noi non possiamo nulla, noi siamo poveri servitori – tutti – della Chiesa: ma è Lui che può portarla avanti e custodirla e farla crescere, farla santa, difenderla, difenderla dal principe di questo mondo e da quello che vuole che la Chiesa diventi, ovvero più e più mondana. Questo è il pericolo più grande!
Quando la Chiesa diventa mondana, quando ha dentro di sé lo spirito del mondo, quando ha quella pace che non è quella del Signore – quella pace di quando Gesù dice 'Vi lascio la pace, vi do la mia pace', non come la dà il mondo – quando ha quella pace mondana, la Chiesa è una Chiesa debole, una Chiesa che sarà vinta e incapace di portare proprio il Vangelo, il messaggio della Croce, lo scandalo della Croce… Non può portarlo avanti se è mondana".

Papa Francesco è tornato più volte sull’importanza della preghiera per affidare “la Chiesa al Signore”, via per la “pace che solo lui può dare”:
"Affidare la Chiesa al Signore, affidare gli anziani, gli ammalati, i bambini, i ragazzi… 'Custodisci Signore la tua Chiesa': è tua! Con questo atteggiamento Lui ci darà, in mezzo alle tribolazioni, quella pace che soltanto Lui può dare. Questa pace che il mondo non può dare, quella pace che non si compra, quella pace che è un vero dono della presenza di Gesù in mezzo alla sua Chiesa. Affidare la Chiesa che è in tribolazione: ci sono grandi tribolazioni, la persecuzione… ci sono. Ma ci sono anche le piccole tribolazioni: le piccole tribolazioni della malattia o dei problemi di famiglia… Affidare tutto questo al Signore: custodisci la tua Chiesa nella tribolazione, perché non perda la fede, perché non perda la speranza".

“Che il Signore ci faccia forti per non perdere la fede, non perdere la speranza”, ha detto il Papa, rimarcando che questa deve sempre essere la richiesta del cuore al “Signore”. “Fare questa preghiera di affidamento per la Chiesa – ha concluso ci farà bene e farà bene alla Chiesa. Darà grande pace a noi e grande pace alla Chiesa, non ci toglierà delle tribolazioni, ma ci farà forti nelle tribolazioni”.

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[Modificato da Caterina63 30/04/2013 13:55]
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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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01/05/2013 11:57
 
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[SM=g1740758] Messa del primo maggio. Il Papa: società ingiusta quella che non dà lavoro o sfrutta i lavoratori


2013-05-01 Radio Vaticana

La società non è giusta se non offre a tutti un lavoro o sfrutta i lavoratori: lo ha affermato il Papa nella Messa presieduta nella Cappellina di Casa Santa Marta in occasione della Memoria di San Giuseppe Lavoratore. Erano presenti alcuni minori e ragazze madri, ospiti del Centro di solidarietà “Il Ponte”, nato a Civitavecchia nel 1979, accompagnati dal presidente dell’associazione, don Egidio Smacchia. Il servizio di Sergio Centofanti:

Nel Vangelo proposto dalla liturgia Gesù viene chiamato il “figlio del falegname”. Giuseppe era un lavoratore e Gesù ha imparato a lavorare con lui. Nella prima lettura si legge che Dio lavora per creare il mondo.

Questa “icona di Dio lavoratore – afferma il Papa - ci dice che il lavoro è qualcosa di più che guadagnarsi il pane”:

“Il lavoro ci dà la dignità! Chi lavora è degno, ha una dignità speciale, una dignità di persona: l’uomo e la donna che lavorano sono degni. Invece quelli che non lavorano non hanno questa dignità. Ma tanti sono quelli che vogliono lavorare e non possono. Questo è un peso per la nostra coscienza, perché quando la società è organizzata in tal modo, che non tutti hanno la possibilità di lavorare, di essere unti della dignità del lavoro, quella società non va bene: non è giusta! Va contro lo stesso Dio, che ha voluto che la nostra dignità incominci di qua”.

“La dignità – ha proseguito il Papa - non ce la dà il potere, il denaro, la cultura, no! …. La dignità ce la dà il lavoro!” e un lavoro degno, perché oggi tanti “sistemi sociali, politici ed economici hanno fatto una scelta che significa sfruttare la persona”:
“Non pagare il giusto, non dare lavoro, perché soltanto si guarda ai bilanci, ai bilanci dell’impresa; soltanto si guarda a quanto io posso approfittare. Quello va contro Dio! Quante volte – tante volte – abbiamo letto su ‘L’Osservatore Romano’…. Un titolo che mi ha colpito tanto il giorno della tragedia del Bangladesh, ‘Vivere con 38 euro al mese’: questo era il pagamento di queste persone che sono morte… E questo si chiama ‘lavoro schiavo!’. E oggi nel mondo c’è questa schiavitù che si fa col più bello che Dio ha dato all’uomo: la capacità di creare, di lavorare, di farne la propria dignità. Quanti fratelli e sorelle nel mondo sono in questa situazione per colpa di questi atteggiamenti economici, sociali, politici e così via…”.

Il Papa cita un rabbino del Medio Evo che raccontava alla sua comunità ebraica la vicenda della Torre di Babele: allora i mattoni erano molto preziosi:
“Quando un mattone, per sbaglio, cadeva, c’era un problema tremendo, uno scandalo: ‘Ma guarda cosa hai fatto!’. Ma se uno di quelli che facevano la torre cadeva: ‘Riposi in pace!’ e lo lasciavano tranquillo… Era più importante il mattone che la persona. Questo raccontava quel rabbino medievale e questo succede adesso! Le persone sono meno importanti delle cose che danno profitto a quelli che hanno il potere politico, sociale, economico.
A che punto siamo arrivati? Al punto che non siamo consci di questa dignità della persona; questa dignità del lavoro. Ma oggi la figura di San Giuseppe, di Gesù, di Dio che lavorano - questo è il nostro modello - ci insegnano la strada per andare verso la dignità”.


Oggi – ha osservato il Papa – non possiamo dire più quello che diceva San Paolo: “Chi non vuol lavorare, non mangi”, ma dobbiamo dire: “Chi non lavora, ha perso la dignità!”, perché “non trova la possibilità di lavorare”. Anzi: “La società ha spogliato questa persona di dignità!”. Oggi – ha aggiunto il Pontefice – ci fa bene riascoltare “la voce di Dio, quando si rivolgeva a Caino” dicendogli: “Caino, dov’è tuo fratello?”. Oggi, invece, sentiamo questa voce: “Dov’è tuo fratello che non ha lavoro? Dov’è tuo fratello che è sotto il lavoro schiavo?”. Il Papa conclude: “Preghiamo, preghiamo per tutti questi fratelli e sorelle che sono in questa situazione. Così sia”.


[SM=g1740771]

Il Papa: la Chiesa è una comunità del “sì”, perché nasce dall'amore di Cristo



2013-05-02 Radio Vaticana
La Chiesa è una comunità del “sì” perché nasce dall’amore di Cristo. E’ quanto affermato, stamani, da Papa Francesco nella Messa celebrata nella Cappella della Casa Santa Marta. Il Papa ha sottolineato che quando i cristiani non fanno lavorare lo Spirito Santo allora cominciano le divisioni nella Chiesa. Alla Messa, concelebrata con il cardinale Albert Malcolm Ranjith Patabendige, ha preso parte un gruppo di dipendenti dei Musei Vaticani. Il servizio di Alessandro Gisotti:

Papa Francesco si è soffermato sui primi passi della Chiesa che, dopo Pentecoste, è uscita per andare nelle “periferie della fede” ad annunciare il Vangelo. Il Papa ha osservato che lo Spirito Santo fa due cose: “prima spinge” e crea anche dei “problemi” e poi “fa l’armonia della Chiesa”.

A Gerusalemme dunque, tra i primi discepoli, “c’erano tante opinioni” sull’accoglienza dei pagani nella Chiesa. C’è chi diceva “no” ad un accordo, e chi invece era aperto:

“C’era una Chiesa del 'No, non si può; no, no, si deve, si deve, si deve’, e una Chiesa del 'Sì: ma … pensiamo alla cosa, apriamoci, c’è lo Spirito che ci apre la porta’. Lo Spirito Santo doveva fare il suo secondo lavoro: fare l’armonia di queste posizioni, l’armonia della Chiesa, fra loro a Gerusalemme e fra loro e i pagani. E’ un bel lavoro che fa sempre, lo Spirito Santo, nella storia. E quando noi non lo lasciamo lavorare, incominciano le divisioni nella Chiesa, le sètte, tutte queste cose … perché siamo chiusi alla verità dello Spirito”.

Ma qual è dunque la parola chiave in questa disputa alle origini della Chiesa? Papa Francesco ha ricordato le parole ispirate di Giacomo, del vescovo di Gerusalemme, che sottolinea come non si debba imporre sul collo dei discepoli un giogo che gli stessi padri non sono stati in grado di portare:
“Quando il servizio del Signore diventa un giogo così pesante, le porte delle comunità cristiane sono chiuse: nessuno vuole venire dal Signore. Noi invece crediamo che per la grazia del Signore Gesù siamo salvati. Prima questa gioia del carisma di annunciare la grazia, poi vediamo cosa facciamo. Questa parola, giogo, mi viene al cuore, mi viene in mente”.

Il Papa si è soffermato su cosa significhi oggi nella Chiesa portare un giogo. Gesù, ricorda, chiede a tutti noi di rimanere nel suo amore. Ecco allora che proprio da questo amore nasce l’osservanza dei suoi comandamenti. Questa, ha ribadito, è “la comunità cristiana del sì” che rimane nell’amore di Cristo e dice dei ‘no’ “perché c’è quel sì”.

E’ questo amore, ha affermato ancora il Papa, che “ci porta alla fedeltà al Signore”… “perché io amo il Signore non faccio questo” o quest’altro:

“E’ una comunità del ‘sì’ e i ‘no’ sono conseguenza di questo ‘sì’. Chiediamo al Signore che lo Spirito Santo ci assista sempre per diventare comunità di amore, di amore a Gesù che ci ha amato tanto. Comunità di questo ‘sì’. E da questo ‘sì’ compiere i comandamenti. Comunità di porte aperte. E ci difenda dalla tentazione di diventare forse puritani, nel senso etimologico della parola, di cercare una purezza para-evangelica, una comunità del ‘no’. Perché Gesù ci chiede prima l’amore, l’amore per Lui, e di rimanere nel Suo amore”.

Ed ecco allora, conclude il Papa, che “quando una comunità cristiana vive nell’amore confessa i suoi peccati, adora il Signore, perdona le offese”. E, ancora, "ha carità con gli altri" e "la manifestazione dell’amore” e così “sente l’obbligo di fedeltà al Signore di fare come i comandamenti”.


[SM=g1740771]

Il Papa: la Chiesa deve essere coraggiosa, no ai cristiani tiepidi


2013-05-03 Radio Vaticana
Un tocco di colore, familiare tra l'altro, ha caratterizzato l'assemblea dei fedeli che hanno partecipato alla messa celebrata da Papa Francesco questa mattina, venerdì 3 maggio, nella cappella della Domus Sanctae Marthae. Spiccavano infatti i colori delle divise michelangiolesche indossate da una settantina di Guardie Svizzere, accompagnate alla messa dal comandante Daniel Rudolf Anrig e dal cappellano monsignor Alain de Raemy, il quale ha concelebrato con il Santo Padre insieme a diversi altri sacerdoti: tra questi, l'arcivescovo Claudio Maria Celli, presidente del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali.

Papa Francesco, alla fine della messa, ha colto l'occasione per ringraziare le Guardie Svizzere "per l'amore e la vicinanza alla Chiesa, anche per la vicinanza al Papa e per l'amore per il Papa. È una bella testimonianza di fedeltà alla Chiesa. Il Signore vi benedica tanto per questo servizio. La Chiesa vi vuole tanto bene. Anche io".

Durante l'omelia invece il Pontefice ha invitato a riflettere sulla necessità di pregare con coraggio per ottenere la grazia della diffusione della fede nel mondo.
Come sempre il Pontefice ha usato un'espressione capace di entrare nel cuore e nella memoria di chi lo ascolta e lasciare un segno: ha parlato di una preghiera coraggiosa, quasi come una sfida per Gesù, il quale ha detto: "Qualunque cosa mi chiederete nel mio nome, la farò perché il Padre sia glorificato nel Figlio". Pregare dunque significa "avere il coraggio di andare da Gesù e chiedergli così: "Ma tu hai detto questo, fallo! Fa' che la fede vada avanti"".

Il Papa si è riferito alle letture del giorno, tratte dalla prima Lettera ai Corinti (15, 1-8) e dal vangelo di Giovanni (14, 6-14). "Quando gli apostoli hanno deciso di creare i diaconi - ha esordito - era perché avevano tanto lavoro nell'assistenza alle vedove, agli orfani" e si sentivano come distolti da quello che era il loro dovere "di annunziare la Parola e di pregare". Un compito, ha spiegato, che è proprio del "ministero vescovile", ma che riguarda anche "tutti noi cristiani che abbiamo ricevuto la fede: dobbiamo trasmetterla; dobbiamo darla; dobbiamo proclamarla con la nostra vita, con la nostra parola. È la trasmissione della fede che va di casa in casa, di famiglia in famiglia, di persona in persona".


Il vescovo di Roma ha poi fatto riferimento al "bel testo" alla lettera in cui san Paolo parla a Timoteo della fede ""che tu hai ricevuto dalla tua mamma e dalla tua nonna e devi trasmetterla ad altri". Così abbiamo ricevuto la fede noi, in famiglia; la fede in Gesù". Di quale fede si tratta? Di quella di cui parla Paolo, ha spiegato: ""A voi, infatti, ho trasmesso anzitutto quello che anche io ho ricevuto". Lui aveva ricevuto la fede e dà la fede" in Cristo, che "morì per i nostri peccati secondo le Scritture, che fu sepolto, che è risorto il terzo giorno secondo le Scritture, che apparve ai dodici". Il fondamento e la forza della fede sono "in Gesù Risorto, in Gesù che ci ha perdonato i peccati con la sua morte e ci ha riconciliato con il Padre. Trasmettere questo chiede a noi di essere coraggiosi: il coraggio del trasmettere la fede. Un coraggio, alcune volte, semplice".

Come spesso accade, Papa Francesco è andato a pescare tra i suoi ricordi per rendere ancor più chiaro il suo messaggio e ancorarlo alla realtà di una vita vissuta: "Io ricordo - scusatemi è una storia personale - da bambino mia nonna ogni Venerdì Santo ci portava alla processione delle candele e alla fine della processione arrivava il Cristo giacente e la nonna ci faceva inginocchiare e diceva a noi bambini: "Guardate è morto, ma domani sarà risorto!". La fede è entrata così: la fede in Cristo morto e risorto".
Il Pontefice ha anche ricordato che tanti hanno cercato di sfumare "questa certezza forte" e hanno parlato di una "risurrezione spirituale". Ma non è così: "Cristo è vivo!"; è morto ma è risorto; è apparso agli apostoli e a Tommaso ha fatto mettere le dita nelle sue piaghe; ha mangiato con loro. "Cristo - ha ribadito - è vivo e anche vivo fra noi"; e proprio a noi spetta il compito di annunciarlo, di annunciare la fede con coraggio.


C'è però un altro coraggio, ha avvertito il Santo Padre, spiegando: "Gesù - per dirlo un po' forzatamente - ci sfida alla preghiera e dice così: "Qualunque cosa chiederete nel mio nome, la farò perché il Padre sia glorificato nel Figlio". Se mi chiederete qualche cosa nel mio nome, io la farò". Ma è forte questo! Abbiamo il coraggio di andare da Gesù e chiedergli così: "Ma tu hai detto questo, fallo! Fa' che la fede vada avanti, fa' che la evangelizzazione vada avanti, fa' che questo problema che ho venga risolto….". Abbiamo questo coraggio nella preghiera? O preghiamo un po' così, come si può, spendendo un po' di tempo nella preghiera?".

Il vescovo di Roma ha quindi citato l'Antico Testamento, in particolare laddove si narra del coraggio di Abramo di parlare con Dio per chiedergli di salvare Sodoma: ""Ma se fossero 45 i giusti, tu la salverai? E se fossero 40, 35…". Negoziava con Dio" ha ricordato il Papa. Ma per fare ciò "bisogna avere coraggio". Coraggio è anche andare dal Signore per impetrare per gli altri, come ha fatto Mosè nel deserto. E quando la Chiesa perde questo coraggio, entra "in un'atmosfera di tepore".
I cristiani "tiepidi, senza coraggio - ha affermato il Pontefice - fanno tanto male alla Chiesa", perché il tepore fa rinchiudere in se stessi. E così si creano problemi tra le persone, si perdono di vista gli orizzonti. Ma soprattutto la tiepidezza fa smarrire proprio "il coraggio di pregare" e "il coraggio di annunciare il vangelo".

Eppure tutti noi "abbiamo il coraggio di immischiarci - ha notato ancora il Papa - nelle nostre piccole cose, nelle nostre gelosie, nelle nostre invidie, nel carrierismo, nell'andare avanti egoisticamente... in tutte queste cose. Ma questo non fa bene alla Chiesa... La Chiesa deve essere coraggiosa! Noi tutti dobbiamo essere coraggiosi nella preghiera, sfidando Gesù: "Tu hai detto questo, fammi il favore...". Ma con perseveranza".

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Il Papa ritorna a parlare del Demonio "principe" di questo mondo con il quale non si può e non si deve dialogare

2013-05-04 Radio Vaticana
Rimaniamo sempre miti e umili per sconfiggere le lusinghe e l'odio del mondo. E’ quanto affermato da Papa Francesco nella Messa di stamani nella Casa Santa Marta. Nell’omelia, il Papa ha ribadito che la strada dei cristiani è la strada di Gesù e per questo non dobbiamo avere paura di essere perseguitati. Alla Messa - concelebrata da mons. Lorenzo Baldisseri, segretario della Congregazione per i Vescovi – ha preso parte un gruppo di Guardie Svizzere Pontificie alle quali il Papa ha dedicato un saluto di affetto e gratitudine. “La Chiesa – ha detto – vi vuole tanto bene” e “anche io”. Il servizio di Alessandro Gisotti:

Sono l’umiltà e la mitezza le armi che abbiamo per difenderci dall'odio del mondo. E’ quanto sottolineato da Papa Francesco che ha incentrato la sua omelia sulla lotta tra l’amore di Cristo e l’odio del principe del mondo.

Il Signore, ha ricordato, ci dice di non spaventarci perché il mondo ci odierà come ha odiato Lui:

“La strada dei cristiani è la strada di Gesù. Se noi vogliamo essere seguaci di Gesù, non c’è un’altra strada: quella che Lui ha segnato. E una delle conseguenze di questo è l’odio, è l’odio del mondo, e anche del principe di questo mondo. Il mondo amerebbe ciò che è suo. ‘Vi ho scelti io, dal mondo’: è stato Lui proprio che ci ha riscattato dal mondo, ci ha scelti: pura grazia! Con la sua morte, con la sua resurrezione, ci ha riscattati dal potere del mondo, dal potere del diavolo, dal potere del principe di questo mondo. E l’origine dell’odio è questa: siamo salvati. E quel principe che non vuole, che non vuole che noi siamo stati salvati, odia”.

Ecco allora che l’odio e la persecuzione dai primi tempi della Chiesa arrivano fino ad oggi. Ci sono “tante comunità cristiane perseguitate nel mondo – ha constatato con amarezza il Papa – in questo tempo più che nei primi tempi: oggi, adesso, in questo giorno e in questa ora”. Perché questo, si chiede ancora il Papa? Perché “lo spirito del mondo odia”.
E da questo deriva un ammonimento sempre attuale:

“Con il principe di questo mondo non si può dialogare: e questo sia chiaro! Oggi il dialogo è necessario fra noi, è necessario per la pace. Il dialogo è un’abitudine, è proprio un atteggiamento che noi dobbiamo avere tra noi per sentirci, capirci … ma quello deve mantenere sempre. Il dialogo nasce dalla carità, dall’amore.
Ma con
quel principe non si può dialogare: soltanto rispondere con la Parola di Dio che ci difende, perché il mondo ci odia. E come ha fatto con Gesù, farà con noi. ‘Ma, guarda, fai questo, una piccola truffa … non c’è niente, è piccola …’, e incomincia a portarci su una strada un po’ non giusta. Questa è una pia bugia: ‘Fallo, fallo, fallo: non c’è problema’, e incomincia da poco, sempre, no? E: ‘Ma … tu sei bravo, tu sei bravo: puoi farlo’. E’ lusinghiero, e con le lusinghe ci ammorbidisce. Fa così. E poi, noi cadiamo nella trappola”.


Il Signore, ha proseguito Papa Francesco, ci chiede di rimanere pecorelle, perché se uno lascia di essere pecorella, allora non si ha “un pastore che ti difenda e cadi nelle mani di questi lupi”:
“Voi potete fare la domanda: ‘Padre, qual è l’arma per difendersi da queste seduzioni, da questi fuochi d’artificio che fa il principe di questo mondo?, da queste lusinghe?’. L’arma è la stessa arma di Gesù: la Parola di Dio - non dialogare - ma sempre la Parola di Dio e poi l’umiltà e la mitezza.
Pensiamo a Gesù, quando gli danno quello schiaffo: che umiltà, che mitezza! Poteva insultarlo, no? Soltanto una domanda, mite e umile. Pensiamo a Gesù nella sua Passione. Il suo Profeta dice: ‘Come una pecora che va al mattatoio’. Non grida, niente: l’umiltà. Umiltà e mitezza. Queste sono le armi che il principe del mondo e lo spirito del mondo non tollera, perché le sue proposte sono proposte di potere mondano, proposte di vanità, proposte di ricchezze male acquisite, sono proposte così”.


Oggi, ha proseguito, “Gesù ci fa pensare a quest’odio che ha il mondo contro di noi, contro i seguaci di Gesù”. Ci odia, ha riaffermato, “perché Lui ci ha salvati, ci ha riscattati”. E pensiamo alle “armi per difenderci”, ha aggiunto: rimanere sempre pecorelle, “perché così abbiamo un pastore, ed essendo pecorelle siamo miti e umili”. Infine, l’invocazione alla Madonna affinché “ci aiuti a diventare umili e miti nella strada di Gesù”.



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Come le Sacre Scritture parlano del demonio

Il risorto e le lusinghe del serpente

di mons. Inos Biffi

Il serpente incarna, proprio all'inizio del mondo e della sua storia, la presenza di un essere invidioso: "Per invidia del diavolo la morte è entrata nel mondo" (Sapienza, 2, 24).
Nel Nuovo Testamento si torna spesso su quel serpente.

Nei testi che si riferiscono al demonio l'accordo è perfetto: si tratta di un essere ostile a Dio, del quale mira a sconvolgere la Parola, e insieme ostile all'uomo che si propone di sedurre e di indurre a ribellarsi al disegno divino.
È il maligno.

In particolare, l'accordo esegetico riguarda Colui al quale il diavolo riserva la sua avversione, cioè Gesù Cristo. Sono poste così in antitesi due regalità: quella di Gesù e quella del Principe di questo mondo. Il demonio non può tollerare Gesù Cristo e in tutti i modi cerca di intralciare l'eterno piano divino concepito su di lui. Così nel deserto. Ma Gesù si proclama vincitore di questo principe: "Viene - dichiara - il principe del mondo; egli contro di me non può nulla" (Giovanni, 14, 30); precisamente, è al sopraggiungere dell'ora di Gesù, quella del suo innalzamento sulla croce e alla destra del Padre, che quel principe viene abbattuto: "Adesso è il giudizio di questo mondo; adesso il principe di questo mondo sarà gettato giù". Con l'effusione dello Spirito dal Signore glorificato quel principe trova la sua condanna (Giovanni, 16, 11). Specialmente Paolo rimarca la signoria del Risorto: in lui il Padre "ci ha liberati dal potere delle tenebre" (Colossesi, 1, 13) e "ha privato della loro forza i Principati e le Potenze", e "ne ha fatto pubblico spettacolo, trionfando su di loro in Cristo" (2, 15).

Stupisce oggi l'assenza nella predicazione e nella catechesi della verità relativa al demonio. Per non dire di quei teologi, che, per un verso, applaudono che finalmente il Vaticano II abbia dichiarato la Scrittura "anima della sacra teologia" (Dei verbum, 24) e, per l'altro, non esitano - se non a deciderne l'inesistenza (come fanno per gli angeli) - comunque a trascurare come marginale un dato, lo abbiamo visto, chiarissimo e largamente attestato nella stessa Scrittura, com'è quello relativo al demonio, ritenendolo la personificazione di un'oscura e primordiale idea di male, ormai demitizzabile e inaccettabile.
Una simile concezione è un capolavoro di ideologia e soprattutto equivale a banalizzare la stessa opera di Cristo e la sua redenzione. Ecco perché ci sembrano tutt'altro che secondari i richiami al demonio, che riscontriamo nei discorsi di Papa Francesco.



(L'Osservatore Romano 4 maggio 2013)

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[Modificato da Caterina63 04/05/2013 14:50]
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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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06/05/2013 12:03
 
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Il Papa: lo Spirito Santo, nostro compagno di strada e amico, senza di Lui non possiamo conoscere Gesù [SM=g1740752]



2013-05-06 Radio Vaticana
Lo Spirito Santo è nostro amico e compagno di strada e ci dice dove è Gesù: così, in sintesi, Papa Francesco nell’omelia della Messa presieduta stamani nella Domus Sanctae Marthae, in Vaticano. Ribadita l’importanza dell’esame di coscienza per la vita di ogni cristiano.
Erano presenti alcuni dipendenti della Fabbrica di San Pietro, accompagnati dal cardinale presidente Angelo Comastri e da mons. Pablo Colino, prefetto della Cappella musicale, che hanno concelebrato con il Santo Padre. Il servizio di Massimiliano Menichetti:


Un’omelia tutta centrata sullo Spirito Santo che è “proprio Dio, la Persona Dio, che dà testimonianza di Gesù Cristo in noi”.
Il Papa ha indicato la protezione dello Spirito Santo che “Gesù chiama Paraclito”, “cioè quello che ci difende”, che “sempre è affianco a noi per sostenerci”:

“La vita cristiana non si può capire senza la presenza dello Spirito Santo: non sarebbe cristiana. Sarebbe una vita religiosa, pagana, pietosa, che crede in Dio, ma senza la vitalità che Gesù vuole per i suoi discepoli. E quello che dà la vitalità è lo Spirito Santo, presente”.

Lo Spirito “dà testimonianza” di Gesù - sottolinea il Papa - “affinché noi possiamo darla agli altri”:
“Nella prima lettura c’è una cosa bella: quella donna che ascoltava Paolo, che si chiamava Lidia. Si dice di lei che il Signore le aprì il cuore per aderire alle parole di Paolo. Questo fa lo Spirito Santo: ci apre il cuore per conoscere Gesù. Senza di Lui non possiamo conoscere Gesù. Ci prepara all’incontro con Gesù. Ci fa andare per la strada di Gesù. Lo Spirito Santo agisce in noi durante tutta la giornata, durante tutta la nostra vita, come testimone che ci dice dove è Gesù”.

Il Papa ha esortato più volte alla preghiera, quale via per avere, in “ogni momento”, la grazia della “fecondità della Pasqua”. Una ricchezza possibile – ha detto – grazie allo Spirito Santo. Quindi ha guardato “all’esame di coscienza”, “che i cristiani fanno sulla giornata che hanno vissuto”, un “esercizio” che “ci fa bene - ha affermato - perché è prendere proprio coscienza di quello che nel nostro cuore ha fatto il Signore”:
“Chiediamo la grazia di abituarci alla presenza di questo compagno di strada, lo Spirito Santo, di questo testimone di Gesù che ci dice dove è Gesù, come trovare Gesù, cosa ci dice Gesù. Avere una certa familiarità: è un amico. Gesù l’ha detto: ‘No, non ti lascio solo, ti lascio Questo’. Gesù ce lo lascia come amico.
Abbiamo l’abitudine di domandarci, prima che finisca la giornata: ‘Cosa ha fatto oggi lo Spirito Santo in me? Quale testimonianza mi ha dato? Come mi ha parlato? Cosa mi ha suggerito?’. Perché è una presenza divina che ci aiuta ad andare avanti nella nostra vita di cristiani. Chiediamo questa grazia, oggi. E questo farà che, come lo abbiamo chiesto nella preghiera, che in ogni momento abbiamo presente la fecondità della Pasqua. Così sia”.



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Papa Francesco: un buon cristiano non si lamenta, ma affronta il dolore con gioia



2013-05-07 Radio Vaticana
Anche in mezzo alle tribolazioni, il cristiano non è mai triste ma testimonia sempre la gioia di Cristo. E’ quanto affermato stamani da Papa Francesco, durante la Messa alla Casa Santa Marta. Il Papa ha sottolineato che il “sopportare gioioso” ci fa diventare giovani. Alla Messa, concelebrata con il cardinale Angelo Comastri e il cardinale Jorge María Mejía, ha preso parte un gruppo di dipendenti della Fabbrica di San Pietro. Il servizio di Alessandro Gisotti:

Anche nelle tribolazioni, i cristiani sono gioiosi e mai tristi. E’ quanto sottolineato da Papa Francesco che ha messo l’accento sulla gioia di Paolo e Sila, chiamati ad affrontare prigionia e persecuzioni per testimoniare il Vangelo.
Erano gioiosi, ha detto, perché seguivano Gesù nella strada della sua Passione. Una strada che il Signore percorre con pazienza:

“Entrare in pazienza: quella è la strada che Gesù anche ci insegna a noi cristiani. Entrare in pazienza… Questo non vuol dire essere tristi. No, no, è un’altra cosa! Questo vuol dire sopportare, portare sulle spalle il peso delle difficoltà, il peso delle contraddizioni, il peso delle tribolazioni. Questo atteggiamento cristiano di sopportare: entrare in pazienza. Quello che nella Bibbia si dice con una parola greca, ma tanto piena, la Hypomoné, sopportare nella vita il lavoro di tutti i giorni: le contraddizioni, le tribolazioni, tutto questo. Questi - Paolo e Sila - sopportano le tribolazioni, sopportano le umiliazioni: Gesù le ha sopportate, è entrato in pazienza. Questo è un processo - mi permetto la parola 'un processo' - un processo di maturità cristiana, attraverso la strada della pazienza. Un processo da tempo, che non si fa da un giorno all’altro: si fa durante tutta la vita per venire alla maturità cristiana. E’ come il buon vino”.

Il Papa ha così ricordato che tanti martiri erano gioiosi, come per esempio i martiri di Nagasaki che si aiutavano l’uno con l’altro, “aspettando il momento della morte”. Di alcuni martiri, ha poi rammentato, si diceva che “andavano al martirio” come a una “festa di nozze”. Questo atteggiamento del sopportare, ha aggiunto, è l’atteggiamento normale del cristiano, ma non è un atteggiamento masochista. E’ invece un atteggiamento che li porta “sulla strada di Gesù”:
“Quando vengono le difficoltà, anche arrivano tante tentazioni. Per esempio il lamento: ‘Ma guardi quel che mi viene'... un lamento. E un cristiano che continuamente si lamenta, tralascia di essere un buon cristiano: è il signore o la signora lamentela, no? Perché sempre si lamenta di tutto, no? Il silenzio nel sopportare, il silenzio nella pazienza. Quel silenzio di Gesù: Gesù nella sua Passione non ha parlato di più, soltanto due o tre parole necessarie… Ma anche non è un silenzio triste: il silenzio del sopportare la Croce non è un silenzio triste. E’ doloroso, tante volte molto doloroso, ma non è triste.
Il cuore è in pace. Paolo e Sila pregavano in pace. Avevano dolori, perché si dice che poi il Signore del carcere ha lavato le piaghe - avevano piaghe - ma sopportavano in pace. Questo cammino di sopportare ci fa approfondire la pace cristiana, ci fa forti in Gesù”.


Ecco che allora il cristiano è chiamato a sopportare come Gesù ha fatto, “senza lamentele, sopportare in pace”. E, ha detto ancora Papa Francesco, questo “andare in pazienza, rinnova la nostra giovinezza e ci fa più giovani”:
“Il paziente è quello che, alla lunga, è più giovane! Pensiamo a quegli anziani e anziane nella casa del riposo, a quelli che hanno sopportato tanto nella vita: Guardiamo gli occhi, occhi giovani, hanno uno spirito giovane e una rinnovata giovinezza. E a questo ci invita il Signore: a questa rinnovata giovinezza pasquale per il cammino dell’amore, della pazienza, del sopportare le tribolazioni e anche - mi permetto di dire - di sopportarci l’uno l’altro.
Perché questo dobbiamo farlo anche con carità e con amore, perché se io devo sopportare te, sono sicuro che tu mi sopporti a me e così andiamo avanti nel cammino della strada di Gesù. Chiediamo al Signore la grazia di questo sopportare cristiano che ci dà la pace, di questo sopportare col cuore, di questo sopportare gioioso per diventare sempre più giovani, come il buon vino: più giovani con questa rinnovata gioventù pasquale dello spirito. Così sia”.




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2013-05-08 Radio Vaticana
L’evangelizzazione non è fare proselitismo.

E’ quanto sottolineato da Papa Francesco nella Messa alla Casa Santa Marta. Il Papa ha ribadito che il cristiano che vuole annunciare il Vangelo deve dialogare con tutti, sapendo che nessuno possiede la verità, perché la verità si riceve dall’incontro con Gesù. Alla Messa, concelebrata dal cardinale Francesco Coccopalmerio e mons. Oscar Rizzato, hanno preso parte un gruppo di dipendenti dei Servizi generali del Governatorato, della Cancelleria del Tribunale dello Stato Vaticano e della Floreria. Il servizio di Alessandro Gisotti:


I cristiani di oggi siano come Paolo che, parlando ai greci nell’Areopago, costruì ponti per annunziare il Vangelo senza condannare nessuno. E’ quanto sottolineato da Papa Francesco che ha messo l’accento sull’atteggiamento “coraggioso” di Paolo che “si avvicina di più al cuore” di chi ascolta, “cerca il dialogo”. Per questo, ha osservato, l’Apostolo delle Genti fu davvero un “pontefice, costruttore di ponti” e non “costruttore di muri”.

Questo, ha aggiunto, ci fa pensare all’atteggiamento che sempre deve avere un cristiano:

“Un cristiano deve annunziare Gesù Cristo in una maniera che Gesù Cristo venga accettato, ricevuto, non rifiutato. E Paolo sa che lui deve seminare questo messaggio evangelico. Lui sa che l’annunzio di Gesù Cristo non è facile, ma che non dipende da lui: lui deve fare tutto il possibile, ma l’annunzio di Gesù Cristo, l’annunzio della verità, dipende dalla Spirito Santo. Gesù ci dice nel Vangelo di oggi: ‘Quando verrà Lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità’. Paolo non dice agli ateniesi: ‘Questa è la enciclopedia della verità. Studiate questo e avrete la verità, la verità!’. No! La verità non entra in una enciclopedia. La verità è un incontro; è un incontro con la Somma verità: Gesù, la grande verità. Nessuno è padrone della verità. La verità si riceve nell’incontro”.

Ma perché Paolo ha agito così? Innanzitutto, ha affermato il Papa, perché “questo è il modo” di Gesù che “ha parlato con tutti” con i peccatori, i pubblicani, i dottori della legge. Paolo, dunque, “segue l’atteggiamento di Gesù”:
“Il cristiano che vuol portare il Vangelo deve andare per questa strada: sentire tutti! Ma adesso è un buon tempo nella vita della Chiesa: questi ultimi 50 anni, 60 anni sono un bel tempo, perché io ricordo quando bambino si sentiva nelle famiglie cattoliche, nella mia: ‘No, a casa loro non possiamo andare, perché non sono sposati per la Chiesa, eh!’. Era come una esclusione. No, non potevi andare! O perché sono socialisti o atei, non possiamo andare. Adesso - grazie a Dio – no, non si dice quello, no? Non si dice quello no? Non si dice! C’era come una difesa della fede, ma con i muri: il Signore ha fatto dei ponti. Primo: Paolo ha questo atteggiamento, perché è stato l’atteggiamento di Gesù. Secondo: Paolo è consapevole che lui deve evangelizzare, non fare proseliti”.

La Chiesa, è stata la sua riflessione citando Benedetto XVI, “non cresce nel proselitismo”, ma “cresce per attrazione, per la testimonianza, per la predicazione”.
E Paolo aveva proprio questo atteggiamento: annuncia non fa proselitismo. E riesce ad agire così perché “non dubitava del suo Signore”. “I cristiani che hanno paura di fare ponti e preferiscono costruire muri – ha avvertito – sono cristiani non sicuri della propria fede, non sicuri di Gesù Cristo".

I cristiani invece, è stata la sua esortazione, facciano come Paolo e inizino "a costruire ponti e ad andare avanti":

“Paolo ci insegna questo cammino di evangelizzare, perché lo ha fatto Gesù, perché è ben consapevole che l’evangelizzazione non è fare proselitismo: è perché è sicuro di Gesù Cristo e non ha bisogno di giustificarsi e di cercare ragioni per giustificarsi. Quando la Chiesa perde questo coraggio apostolico diventa una Chiesa ferma, una Chiesa ordinata, bella, tutto bello, ma senza fecondità, perché ha perso il coraggio di andare alle periferie, qui dove sono tante persone vittime dell’idolatria, della mondanità, del pensiero debole… tante cose. Chiediamo oggi a San Paolo che ci dia questo coraggio apostolico, questo fervore spirituale, di essere sicuri. ‘Ma, Padre, noi possiamo sbagliarci’…. 'Avanti, se ti sbagli, ti alzi e avanti: quello è il cammino'. Quelli che non camminano per non sbagliarsi, fanno uno sbaglio più grave. Così sia”.

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La gioia e l'allegria non sono la stessa cosa: la gioia è dono del Signore


2013-05-10 Radio Vaticana

“Il cristiano è un uomo e una donna di gioia”: è quanto sottolineato da Papa Francesco stamani nella Messa alla Casa Santa Marta. Il Papa ha affermato che la gioia del cristiano non è l’allegria che viene da motivi congiunturali, ma è un dono del Signore che riempie dentro. Alla Messa, concelebrata dall’arcivescovo di Mérida, Baltazar EnriquePorras Cardozo, e dall'abateprimate dei benedettini Notker Wolf, ha preso parte un gruppo di dipendenti della Radio Vaticana accompagnati dal direttore generale, padre Federico Lombardi. Il servizio di Alessandro Gisotti:

Il cristiano sia un testimone della vera gioia, quella che dà Gesù. E’ quanto affermato da Papa Francesco che, nella sua omelia, ha messo l’accento sull’atteggiamento gioioso dei discepoli, tra l’Ascensione e la Pentecoste:
“Il cristiano è un uomo e una donna di gioia. Questo ci insegna Gesù, ci insegna la Chiesa, in questo tempo in maniera speciale. Che cosa è, questa gioia? E’ l’allegria? No: non è lo stesso. L’allegria è buona, eh?, rallegrarsi è buono. Ma la gioia è di più, è un’altra cosa. E’ una cosa che non viene dai motivi congiunturali, dai motivi del momento: è una cosa più profonda. E’ un dono. L’allegria, se noi vogliamo viverla tutti i momenti, alla fine si trasforma in leggerezza, superficialità, e anche ci porta a quello stato di mancanza di saggezza cristiana, ci fa un po’ scemi, ingenui, no?, tutto è allegria … no. La gioia è un’altra cosa. La gioia è un dono del Signore. Ci riempie da dentro. E’ come una unzione dello Spirito. E questa gioia è nella sicurezza che Gesù è con noi e con il Padre”.

L’uomo gioioso, ha proseguito, è un uomo sicuro. Sicuro che “Gesù è con noi, che Gesù è con il Padre”. Ma questa gioia, si chiede il Papa, possiamo “imbottigliarla un po’, per averla sempre con noi?”:
“No, perché se noi vogliamo avere questa gioia soltanto per noi alla fine si ammala e il nostro cuore diviene un po’ stropicciato, e la nostra faccia non trasmette quella gioia grande ma quella nostalgia, quella malinconia che non è sana. Alcune volte questi cristiani malinconici hanno più faccia da peperoncini all’aceto che proprio di gioiosi che hanno una vita bella. La gioia non può diventare ferma: deve andare. La gioia è una virtù pellegrina. E’ un dono che cammina, che cammina sulla strada della vita, cammina con Gesù: predicare, annunziare Gesù, la gioia, allunga la strada e allarga la strada. E’ proprio una virtù dei grandi, di quei grandi che sono al di sopra delle pochezze, che sono al di sopra di queste piccolezze umane, che non si lasciano coinvolgere in quelle piccole cose interne della comunità, della Chiesa: guardano sempre all’orizzonte”.

La gioia è “pellegrina”, ha ribadito. “Il cristiano canta con la gioia, e cammina, e porta questa gioia”. E’ una virtù del cammino, anzi più che una virtù è un dono:
“E’ il dono che ci porta alla virtù della magnanimità. Il cristiano è magnanimo, non può essere pusillanime: è magnanimo. E proprio la magnanimità è la virtù del respiro, è la virtù di andare sempre avanti, ma con quello spirito pieno dello Spirito Santo. E’ una grazia che dobbiamo chiedere al Signore, la gioia. In questi giorni in modo speciale, perché la Chiesa si invita, la Chiesa ci invita a chiedere la gioia e anche il desiderio: quello che porta avanti la vita del cristiano è il desiderio. Quanto più grande è il tuo desiderio, tanto più grande verrà la gioia. Il cristiano è un uomo, è una donna di desiderio: sempre desiderare di più nella strada della vita. Chiediamo al Signore questa grazia, questo dono dello Spirito: la gioia cristiana. Lontana dalla tristezza, lontana dall’allegria semplice … è un’altra cosa. E’ una grazia da chiedere”.

Oggi, ha poi concluso Papa Francesco, c’è un motivo bello di gioia per la presenza a Roma di Tawadros II, Patriarca di Alessandria. E’ un motivo di gioia, ha sottolineato, “perché è un fratello che viene a trovare la Chiesa di Roma per parlare”, per fare assieme “un pezzo di strada”.

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[Modificato da Caterina63 10/05/2013 11:41]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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11/05/2013 21:53
 
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2013-05-11 L’Osservatore Romano

[SM=g1740758] Le piaghe di Gesù sono ancora presenti sulla terra.
Per riconoscerle è necessario uscire da noi stessi e andare incontro ai fratelli bisognosi, ai malati, agli ignoranti, ai poveri, agli sfruttati. È l’«esodo» che Papa Francesco ha indicato ai cristiani nell’omelia della messa celebrata sabato mattina, 11 maggio, nella cappella della Domus Sanctae Marthae.

Si tratta — ha spiegato il Pontefice — di «un uscire da noi stessi» reso possibile dalla preghiera «verso il Padre in nome di Gesù». La preghiera che «ci annoia», invece, è «sempre dentro noi stessi, come un pensiero che va e viene. Ma la vera preghiera è uscire da noi stessi verso il Padre in nome di Gesù, è un esodo da noi stessi» che si compie «con l’intercessione proprio di Gesù, che davanti al Padre gli fa vedere le sue piaghe».

Ma come riconoscere queste piaghe di Gesù? Come è possibile avere fiducia in queste piaghe se non le si conosce? E qual è «la scuola dove si impara a conoscere le piaghe di Gesù, queste piaghe sacerdotali, di intercessione?». La risposta del Papa è stata esplicita: «Se noi non riusciamo a fare questa uscita da noi stessi verso quelle piaghe, non impareremo mai la libertà che ci porta nell’altra uscita da noi stessi, verso le piaghe di Gesù».

Da qui l’immagine delle due «uscite da noi stessi» indicate dal Santo Padre: la prima è «verso le piaghe di Gesù, l’altra verso le piaghe dei nostri fratelli e sorelle. E questa è la strada che Gesù vuole nella nostra preghiera». Parole che trovano conferma nel Vangelo di Giovanni (16, 23-28) della liturgia del giorno. Un brano nel quale Gesù è di una chiarezza disarmante: «In verità, in verità io vi dico: se chiederete qualcosa al Padre nel mio nome, Egli ve la darà». In queste parole — ha notato il Pontefice — c’è una novità nella preghiera: «Nel mio nome».  Il Padre dunque «ci darà tutto, ma sempre nel nome di Gesù».

Cosa significa questo chiedere nel nome di Gesù? È una novità che Gesù rivela proprio «nel momento in cui lascia la terra e torna al Padre». Nella solennità dell’Ascensione celebrata giovedì scorso — ha ricordato il Papa — è stato letto  un brano della Lettera agli Ebrei, dove si dice tra l’altro: «Poiché abbiamo la libertà di andare al Padre». Si tratta di «una nuova libertà. Le porte sono aperte: Gesù, andando dal Padre, ha lasciato la porta aperta». Non perché «si sia dimenticato di chiuderla», ma perché  «lui stesso è la porta». È  lui «il nostro intercessore, e per questo dice: “Nel mio nome”». Nella nostra preghiera, caratterizzata da «quel coraggio che ci dà Gesù stesso», chiediamo allora al Padre nel nome di Gesù: «Guarda tuo Figlio e fammi questo!».

Il Santo Padre ha poi richiamato l’immagine di Gesù che «entra nel santuario del Cielo, come un sacerdote. E Gesù, fino alla fine del mondo, è come sacerdote, fa l’intercessione per noi: lui intercede per noi». E quando noi «chiediamo al Padre dicendo “Gesù”, segnaliamo, diciamo, facciamo un riferimento all’intercessore. Lui prega per noi davanti al Padre».

Riferendosi quindi alle piaghe di Gesù, il Pontefice ha notato che Cristo «nella sua risurrezione, ha avuto un corpo bellissimo: le piaghe della flagellazione, delle spine, sono sparite, tutte. I lividi dei colpi, sono spariti». Ma egli, ha aggiunto, «ha voluto avere sempre le piaghe, e le piaghe sono precisamente la sua preghiera di intercessione al Padre».  Questa è «la novità che Gesù ci dice», invitandoci ad «avere fiducia nella sua passione, avere fiducia nella sua vittoria sulla morte, avere fiducia nelle sue piaghe».  È lui, infatti, il «sacerdote e questo è il sacrificio: le sue piaghe». Tutto ciò ci «dà fiducia, ci dà il coraggio di pregare», perché, come scriveva l’apostolo Pietro, «dalle sue piaghe siete stati guariti».

In conclusione il Santo Padre ha ricordato un altro passo del Vangelo di Giovanni: «Finora non avete chiesto nulla nel mio nome: chiedete ed otterrete, perché la vostra gioia sia piena». Il riferimento — ha spiegato — è alla «gioia di Gesù», alla «gioia che viene». Questo è «il nuovo modo di pregare: con la fiducia», con quel «coraggio che ci fa sapere che Gesù è davanti al Padre» e gli mostra le sue piaghe; ma anche con l’umiltà per riconoscere e trovare le piaghe di Gesù nei suoi fratelli bisognosi. È questa la nostra preghiera nella carità.

«Che il Signore — ha auspicato il Pontefice — ci dia questa libertà di entrare in quel santuario dove Lui è sacerdote e intercede per noi e qualsiasi cosa che chiederemo al Padre nel suo nome, ce la darà. Ma anche ci dia il coraggio di andare in quell’altro “santuario” che sono le piaghe dei nostri fratelli e sorelle bisognosi, che soffrono, che portano ancora la Croce e ancora non hanno vinto, come ha vinto Gesù».

************
“C’è qualcosa di nuovo, qui – spiega il Pontefice - qualcosa che cambia: è una novità nella preghiera. Il Padre ci darà tutto, ma sempre nel nome di Gesù”. Il Signore ascende al Padre, entra “nel Santuario del cielo”, apre le porte e le lascia aperte perché “Lui stesso è la porta” e “intercede per noi”, “fino alla fine del mondo”, come un sacerdote:
“Lui prega per noi davanti al Padre. A me è sempre piaciuto, questo. Gesù, nella sua resurrezione, ha avuto un corpo bellissimo: le piaghe della flagellazione, delle spine, sono sparite, tutte. I lividi dei colpi, sono spariti. Ma Lui ha voluto avere sempre le piaghe, e le piaghe sono precisamente la sua preghiera di intercessione al Padre: ‘Ma … guarda … questo Ti chiede nel nome mio, guarda!’. Questa è la novità che Gesù ci dice. Ci dice questa novità: avere fiducia nella sua passione, avere fiducia nella sua vittoria sulla morte, avere fiducia nelle sue piaghe. Lui è il sacerdote e questo è il sacrificio: le sue piaghe. E questo ci da fiducia, eh?, ci da il coraggio di pregare”.

Tante volte ci annoiamo nella preghiera – osserva il Papa, che aggiunge: la preghiera non è chiedere questo o quello, ma è “l’intercessione di Gesù, che davanti al Padre gli fa vedere le sue piaghe”:
“La preghiera verso il Padre in nome di Gesù ci fa uscire da noi stessi; la preghiera che ci annoia è sempre dentro noi stessi, come un pensiero che va e viene. Ma la vera preghiera è uscire da noi stessi verso il Padre in nome di Gesù, è un esodo da noi stessi”.

Ma come “possiamo riconoscere le piaghe di Gesù in cielo?” – si chiede il Papa – “Dov’è la scuola dove si impara a conoscere le piaghe di Gesù, queste piaghe sacerdotali, di intercessione? C’è un altro esodo da noi stessi verso le piaghe dei nostri fratelli: dei nostri fratelli e delle nostre sorelle bisognosi”:
“Se noi non riusciamo ad uscire da noi stessi verso il fratello bisognoso, verso il malato, l’ignorante, il povero, lo sfruttato, se noi non riusciamo a fare questa uscita da noi stessi verso quelle piaghe, non impareremo mai la libertà che ci porta nell’altra uscita da noi stessi, verso le piaghe di Gesù. Ci sono due uscite da noi stessi: una verso le piaghe di Gesù, l’altra verso le piaghe dei nostri fratelli e sorelle. E questa è la strada che Gesù vuole nella nostra preghiera”.

“Questo è il nuovo modo di pregare: – conclude il Papa - con la fiducia, il coraggio che ci dà sapere che Gesù è davanti al Padre facendogli vedere le sue piaghe, ma anche con l’umiltà di quelli che vanno a conoscere, a trovare le piaghe di Gesù nei suoi fratelli bisognosi” che “portano ancora la Croce e ancora non hanno vinto, come ha vinto Gesù”.



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2013-05-13 Radio Vaticana

È lo Spirito Santo che permette al cristiano di avere “memoria” della storia e dei doni ricevuti da Dio. Senza questa grazia, si rischia di scivolare nell’idolatria.

Papa Francesco lo ha affermato all’omelia della Messa presieduta questa mattina in Casa Santa Marta.

Alla celebrazione hanno partecipato dipendenti della Direzione tecnica, amministrativa e generale di Radio Vaticana e del Pontificio Consiglio per la Pastorale dei Migranti, guidati dai vertici del dicastero, il cardinale presidente Antonio Maria Vegliò, il segretario mons. Joseph Kalathiparambil e il sottosegretario padre Gabriele Bentoglio, che hanno concelebrato col Papa. Il servizio di Alessandro De Carolis:


La risposta che San Paolo riceve da un gruppo di discepoli di Efeso, riportata negli Atti degli Apostoli, è sorprendente: “Non abbiamo nemmeno sentito dire che esista uno Spirito Santo”.

Papa Francesco inizia l’omelia da quelle parole, dallo stupore suscitato da esse in Paolo, osservando però con realismo che l’inconsapevolezza manifestata dai cristiani di duemila anni fa non è solo “una cosa dei primi tempi”, "lo Spirito Santo - dice - è sempre un po' lo sconosciuto della nostra fede":

“Adesso, tanti cristiani non sanno chi sia lo Spirito Santo, come sia lo Spirito Santo. E alcune volte si sente: ‘Ma io mi arrangio bene con il Padre e con il Figlio, perché prego il Padre Nostro al Padre, faccio la comunione con il Figlio, ma con lo Spirito Santo non so cosa fare…’. O ti dicono: ‘Lo Spirito Santo è la colomba, quello che ci dà sette regali’. Ma così il povero Spirito Santo è sempre alla fine e non trova un buon posto nella nostra vita”.

Invece, prosegue Papa Francesco, lo Spirito Santo è un “Dio attivo in noi”, un “Dio che fa ricordare”, che “fa svegliare la memoria”. Gesù stesso lo spiega agli Apostoli prima della Pentecoste: lo Spirito che Dio vi invierà in mio nome, assicura, “vi ricorderà tutto quello che ho detto”. Viceversa, per un cristiano si profilerebbe una china pericolosa:
“Un cristiano senza memoria non è un vero cristiano: è un uomo o una donna che prigioniero della congiuntura, del momento; non ha storia. Ne ha, ma non sa come prendere la storia. E’ proprio lo Spirito che gli insegna come prendere la storia. La memoria della storia…
Quando nella Lettera agli Ebrei, l’autore dice: ‘Ricordate i vostri padri nella fede’ – memoria; ‘ricordate i primi giorni della vostra fede, come siete stati coraggiosi’ – memoria. Memoria della nostra vita, della nostra storia, memoria dal momento che abbiamo avuto la grazia di incontrare Gesù; memoria di tutto quello che Gesù ci ha detto”.

“Quella memoria che viene dal cuore, quella è una grazia dello Spirito Santo”, ripete con forza Papa Francesco. E avere memoria – precisa – significa anche ricordare le proprie miserie, che rendono schiavi, e insieme la grazia di Dio che da quelle miserie redime:
“E quando viene un po’ la vanità, e uno crede di essere un po’ il Premio Nobel della Santità, anche la memoria ci fa bene: ‘Ma … ricordati da dove ti ho preso: dalla fine del gregge. Tu eri dietro, nel gregge’. La memoria è una grazia grande, e quando un cristiano non ha memoria – è duro, questo, ma è la verità – non è cristiano: è idolatra. Perché è davanti ad un Dio che non ha strada, non sa fare strada, e il nostro Dio fa strada con noi, si mischia con noi, cammina con noi. Ci salva. Fa storia con noi. Memoria di tutto quello, e la vita diventa più fruttuosa, con questa grazia della memoria”.

Papa Francesco conclude quindi con un invito ai cristiani a chiedere la grazia della memoria per essere, afferma, persone che non dimenticano la strada compiuta, "non dimenticano le grazie della loro vita, non dimenticano il perdono dei peccati, non dimenticano che sono stati schiavi e il Signore li ha salvati”.

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2013-05-14 Radio Vaticana
Giuda aveva una fede idolatra... Satana ci truffa sempre.... [SM=g1740732]

Abbiamo bisogno di un "cuore largo" che sia capace di amare. E’ quanto affermato, stamani, da Papa Francesco nella Messa alla Casa Santa Marta. Il Papa ha messo in guardia dall’atteggiamento dell’egoismo che, come accade con Giuda, porta all’isolamento della propria coscienza e infine al tradimento di Gesù.
Alla Messa, concelebrata dall’arcivescovo di Medellín, Ricardo Antonio Tobón Restrepo, ha preso parte un gruppo di dipendenti dei Musei Vaticani e alcuni alunni del Pontificio Collegio portoghese. Il servizio di Alessandro Gisotti:


Papa Francesco

Se vogliamo davvero seguire Gesù, dobbiamo “vivere la vita come un dono” da dare agli altri, “non come un tesoro da conservare”. E’ quanto sottolineato da Papa Francesco che, nella sua omelia, si è soffermato sulla contrapposizione tra la strada dell'amore e quella dell'egoismo.

Gesù, ha affermato, ci dice oggi una parola forte: “Nessuno ha un amore più forte di questo: dare la sua vita”. Ma la liturgia odierna, ha osservato, ci mostra anche un’altra persona: Giuda, “che aveva proprio l’atteggiamento contrario”.
E questo, ha spiegato, perché Giuda "mai ha capito cosa sia un dono":

“Pensiamo a quel momento della Maddalena, quando lava i piedi di Gesù con il nardo, tanto costoso: è un momento religioso, un momento di gratitudine, un momento di amore. E lui, si distacca e fa la critica amara: ‘Ma questo potrebbe essere usato per i poveri!’. Questo è il primo riferimento che ho trovato io, nel Vangelo, della povertà come ideologia. L’ideologo non sa cosa sia l’amore, perché non sa darsi”.

Giuda, ha osservato Papa Francesco, era “staccato, nella sua solitudine” e questo atteggiamento dell’egoismo è cresciuto “fino al tradimento di Gesù”. Chi ama, ha aggiunto, “dà la vita come dono”; l’egoista invece “cura la sua vita, cresce in questo egoismo e diventa un traditore, ma sempre solo”. Chi, invece, “dà la vita per amore, mai è solo: sempre è in comunità, è in famiglia”. Del resto, ha avvertito il Papa, colui che “isola la sua coscienza nell’egoismo” alla fine “la perde”. E così è finito Giuda che, ha detto, “era un idolatra, attaccato ai soldi”:
“E questa idolatria lo ha portato a isolarsi dalla comunità degli altri. Questo è il dramma della coscienza isolata: quando un cristiano incomincia ad isolarsi, anche isola la sua coscienza dal senso comunitario, dal senso della Chiesa, da quell’amore che Gesù ci dà. Invece, quel cristiano che dona la sua vita, che la 'perde', come dice Gesù, la trova, la ritrova, in pienezza. E quello, come Giuda, che vuole conservarla per se stesso, la perde alla fine. Giovanni ci dice che ‘in quel momento Satana entrò nel cuore di Giuda’. E, dobbiamo dirlo: Satana è un cattivo pagatore. Sempre ci truffa: sempre!”.

Gesù invece ama sempre e sempre si dona. E questo suo dono dell’amore, ha detto Papa Francesco, ci spinge ad amare “per dare frutto. E il frutto rimane”. Quindi, ha concluso l’omelia con un’invocazione allo Spirito Santo:
“In questi giorni di attesa della festa dello Spirito Santo, chiediamo: Vieni, Spirito Santo, vieni e dammi questo cuore largo, questo cuore che sia capace di amare con umiltà, con mitezza ma sempre questo cuore largo che sia capace di amare. E chiediamogli questa grazia, allo Spirito Santo. E che ci liberi sempre dall’altra strada, quella dell’egoismo, che alla fine finisce male. Chiediamo questa grazia”.


[SM=g1740771]

2013-05-15 Radio Vaticana
Pregate per i preti e i vescovi perché non cedano alla tentazione dei soldi e della vanità ma siano al servizio del popolo di Dio:
è l’esortazione di Papa Francesco, stamani, nella Messa presieduta a Santa Marta. Era presente un gruppo di dipendenti della Radio Vaticana. Il servizio di Sergio Centofanti:


L’omelia del Papa parte dal brano degli Atti degli Apostoli in cui Paolo esorta gli “anziani” della Chiesa di Efeso a vegliare su se stessi e su tutto il gregge, ad essere pastori attenti ai “lupi rapaci”. E’ una delle “più belle pagine del Nuovo Testamento” – ha sottolineato il Papa – “piena di tenerezza, di amore pastorale” in cui emerge il “bel rapporto del vescovo col suo popolo”.

I vescovi e i preti – spiega – sono al servizio degli altri, per custodire, edificare e difendere il popolo. E’ “un rapporto di protezione, di amore fra Dio e il pastore e il pastore e il popolo”:

“Alla fine un vescovo non è vescovo per se stesso, è per il popolo; e un prete non è prete per se stesso, è per il popolo: al servizio di, per far crescere, per pascolare il popolo, il gregge proprio, no? Per difenderlo dai lupi. E’ bello pensare questo! Quando in questa strada il vescovo fa quello è un bel rapporto col popolo, come il vescovo Paolo lo ha fatto col suo popolo, no? E quando il prete fa quel bel rapporto col popolo, ci dà un amore: viene un amore fra di loro, un vero amore, e la Chiesa diventa unita”.

Il rapporto del vescovo e del prete col popolo – ha proseguito il Papa - è un rapporto “esistenziale, sacramentale”. “Noi – ha aggiunto - abbiamo bisogno delle vostre preghiere” perché “anche il vescovo e il prete possono essere tentati”. I vescovi e i preti devono pregare tanto, annunciare Gesù Cristo Risorto e “predicare con coraggio quel messaggio di salvezza”. “Ma anche noi siamo uomini e siamo peccatori” e "siamo tentati". E quali sono le tentazioni del vescovo e del prete?:
“Sant’Agostino, commentando il profeta Ezechiele, parla di due: la ricchezza, che può diventare avarizia, e la vanità. E dice: ‘Quando il vescovo, il prete si approfitta delle pecore per se stesso, il movimento cambia: non è il prete, il vescovo per il popolo, ma il prete e il vescovo che prende dal popolo’. Sant’Agostino dice: ‘Prende la carne per mangiarla alla pecorella, si approfitta; fa negozi ed è attaccato ai soldi; diventa avaro e anche tante volte simoniaco. O se ne approfitta della lana per la vanità, per vantarsi’”.

Così – osserva il Papa – “quando un prete, un vescovo va dietro ai soldi, il popolo non lo ama e quello è un segno. Ma lui stesso finisce male”. San Paolo ricorda di aver lavorato con le sue mani, “non aveva un conto in banca, lavorava. E quando un vescovo, un prete va sulla strada della vanità, entra nello spirito del carrierismo – e fa tanto male alla Chiesa – fa il ridicolo alla fine, si vanta, gli piace farsi vedere, tutto potente… E il popolo non ama quello!”.

Pregate per noi – ripete il Papa - “perché siamo poveri, perché siamo umili, miti, al servizio del popolo”. Infine, suggerisce di leggere il capitolo 20 versetti 28-30 degli Atti degli Apostoli dove Paolo dice: “Vegliate su voi stessi e su tutto il gregge, in mezzo al quale lo Spirito Santo vi ha posti come vescovi a pascere la Chiesa di Dio, che egli si è acquistata con il suo sangue. Io so che dopo la mia partenza entreranno fra voi lupi rapaci, che non risparmieranno il gregge; perfino di mezzo a voi sorgeranno alcuni a insegnare dottrine perverse per attirare discepoli dietro di sé”:

“Leggete questa bella pagina e leggendola pregate, pregate per noi vescovi e per i preti. Ne abbiamo tanto bisogno per rimanere fedeli, per essere uomini che vegliano sul gregge e anche su noi stessi, che fanno la veglia proprio, che il loro cuore sia sempre rivolto al suo gregge. Anche che il Signore ci difenda dalle tentazioni, perché se noi andiamo sulla strada delle ricchezze, se andiamo sulla strada della vanità, diventiamo lupi e non pastori, pastori. Pregate per questo, leggete questo e pregate. Così sia”.


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[Modificato da Caterina63 15/05/2013 12:56]
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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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16/05/2013 13:46
 
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[SM=g1740758]  NO! ai cristiani da salotto incapaci di generare figli alla fede......

2013-05-16 Radio Vaticana
La Chiesa ha tanto bisogno del fervore apostolico che ci spinge avanti nell’annuncio di Gesù. E’ quanto sottolineato, stamani, da Papa Francesco nella Messa alla Casa Santa Marta.

Il Papa ha inoltre messo in guardia dall’essere “cristiani da salotto” senza il coraggio anche di “dare fastidio alle cose troppo tranquille”.

Alla Messa, concelebrata con il cardinale Peter Turkson e mons. Mario Toso, presidente e segretario di “Giustizia e Pace”, ha preso parte un gruppo di dipendenti del dicastero e della Radio Vaticana. Il servizio di Alessandro Gisotti:


Tutta la vita di Paolo è stata “una battaglia campale”, una “vita con tante prove”. Papa Francesco ha incentrato la sua omelia sull’Apostolo delle Genti, che, ha detto, passa la sua vita di “persecuzione in persecuzione”, ma non si scoraggia.
Il destino di Paolo, ha sottolineato, “è un destino con tante croci, ma lui va avanti; lui guarda il Signore e va avanti”:

“Paolo dà fastidio: è un uomo che con la sua predica, con il suo lavoro, con il suo atteggiamento dà fastidio, perché proprio annunzia Gesù Cristo e l’annunzio di Gesù Cristo alle nostre comodità, tante volte alle nostre strutture comode - anche cristiane, no? - dà fastidio. Il Signore sempre vuole che noi andiamo più avanti, più avanti, più avanti… Che noi non ci rifugiamo in una vita tranquilla o nelle strutture caduche, queste cose, no? Il Signore… E Paolo, predicando il Signore, dava fastidio. Ma lui andava avanti, perché lui aveva in sé quell’atteggiamento tanto cristiano che è lo zelo apostolico. Aveva proprio il fervore apostolico. Non era un uomo di compromesso. No! La verità: avanti! L’annunzio di Gesù Cristo: avanti!”

Certo, ha osservato Papa Francesco, San Paolo era un “uomo focoso”. Ma qui non si tratta solo del suo temperamento. E’ il Signore che “si immischia in questo”, in questa battaglia campale. Anzi, ha continuato, è proprio il Signore che lo spinge “ad andare avanti”, a dare testimonianza anche a Roma:
“Fra parentesi, a me piace che il Signore si preoccupi di questa diocesi, fin da quel tempo… Siamo privilegiati! E Lo zelo apostolico non è un entusiasmo per avere il potere, per avere qualcosa. E’ qualcosa che viene da dentro, che lo stesso Signore lo vuole da noi: cristiano con zelo apostolico. E da dove viene questo zelo apostolico? Viene dalla conoscenza di Gesù Cristo. Paolo ha trovato Gesù Cristo, ha incontrato Gesù Cristo, ma non con una conoscenza intellettuale, scientifica - quello è importante, perché ci aiuta - ma con quella conoscenza prima, quella del cuore, dell’incontro personale”.

Ecco cosa spinge Paolo ad andare avanti, “ad annunziare Gesù sempre”. E ha aggiunto: “E’ sempre nei guai, ma nei guai non per i guai, ma per Gesù”, annunciando Gesù “le conseguenze sono queste”. Il fervore apostolico, ha sottolineato, si capisce solo “in un’atmosfera d’amore”. Lo zelo apostolico, ha detto ancora, “ha qualcosa di pazzia, ma di pazzia spirituale, di sana pazzia”. E Paolo “aveva questa sana pazzia”.

Il Papa ha dunque invitato tutti i fedeli a chiedere allo Spirito Santo che faccia crescere in noi lo zelo apostolico che non deve appartenere solo ai missionari. D'altro canto, ha avvertito, anche nella Chiesa ci sono “cristiani tiepidi”, che “non sentono di andare avanti”:

“Anche ci sono i cristiani da salotto, no? Quelli educati, tutto bene, ma non sanno fare figli alla Chiesa con l’annunzio e il fervore apostolico. Oggi possiamo chiedere allo Spirito Santo che ci dia questo fervore apostolico a tutti noi, anche ci dia la grazia di dare fastidio alle cose che sono troppo tranquille nella Chiesa; la grazia di andare avanti verso le periferie esistenziali. Tanto bisogno ha la Chiesa di questo!
Non soltanto in terra lontana, nelle chiese giovani, nei popoli che ancora non conoscono Gesù Cristo, ma qui in città, in città proprio, hanno bisogno di questo annuncio di Gesù Cristo. Dunque chiediamo allo Spirito Santo questa grazia dello zelo apostolico, cristiani con zelo apostolico. E se diamo fastidio, benedetto sia il Signore.
Avanti, come dice il Signore a Paolo: ‘Coraggio’”!




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2013-05-17 L’Osservatore Romano

L’essere peccatori non è un problema; lo è piuttosto non pentirsi di avere peccato, non provare vergogna per quello che si è fatto. 

Papa Francesco — nell’omelia della messa di stamane, venerdì 17 maggio,  a Santa Marta — ha ripercorso la storia degli incontri di Pietro con Gesù, proponendone una lettura particolare. Gesù, ha fatto notare,  «consegna il suo gregge a un peccatore», Pietro.  «Peccatore  ma non corrotto» ha subito precisato, quasi a voler dare maggior forza a quanto stava per dire rivolto ai partecipanti alla celebrazione mattutina: «Peccatori, sì, tutti! ma corrotti, no». Peggio essere corrotti che peccatori.

Il Pontefice ha maturato questa riflessione commentando le letture del giorno (Atti degli apostoli  25, 13-21 e Giovanni  21, 15-19), mettendo soprattutto in evidenza il dialogo d’amore che si sviluppa tra Pietro e Gesù attraverso i loro frequenti incontri dopo il primo “Seguimi!” «quando suo fratello Andrea — ha ricordato  il Papa — lo ha portato da Gesù», il quale dopo averlo guardato «dice: “Ma tu sei Simone”? “Da adesso ti chiamerai Cefa, Pietra”». Era l’inizio di una missione,  ha spiegato, anche se «Pietro non aveva capito niente, ma la missione c’era».

Poi ha riproposto i tanti altri incontri di cui si parla nel Vangelo come per esempio «quella volta, quando Gesù fa il miracolo della pesca; quando Pietro dice a Gesù: “Io sono peccatore”, in un incontro e gli dice anche  “allontanati da me, Signore, perché io sono un peccatore!”. Poi, un altro incontro con Gesù, quando Gesù parla dell’Eucaristia, no?,  mangiare il pane, il Suo Corpo e alcuni si allontanavano, perché non capivano» ed era un discorso «che non piaceva loro». E a quelli che erano rimasti  «Gesù domanda: “Anche voi, volete allontanarvi?”. E Pietro dice: “Ma… Signore, tu solo hai parole di vita eterna”».

Il Santo Padre ha proseguito poi nella descrizione dei diversi incontri tra il Signore e i discepoli, sino a  quando si incrociano di nuovo gli sguardi di Gesù e di Pietro dopo che quest’ultimo, come previsto dal maestro, lo ha rinnegato per tre volte. «Quello sguardo di Gesù, tanto bello — ha detto il Papa —  tanto bello! E Pietro piange».  Questa «è la storia degli incontri » durante i quali Gesù forgia nell’amore l’anima di Pietro.

Quell’amore per il quale Pietro piange quando Gesù, in un altro incontro, «gli chiede per tre volte “Simone, figlio di Giovanni, mi vuoi bene?”». Ogni volta che Gesù ripete questa domanda a Pietro torna in mente  che lo ha rinnegato, che ha detto di non conoscerlo «e si vergogna. La vergogna di Pietro, no?». 

Insomma «è un uomo grande, questo Pietro. Peccatore: peccatore. Ma il Signore gli fa sentire, a lui e anche a noi, che tutti siamo peccatori» e  che «il problema non è essere peccatori», ma «non pentirsi del peccato, non avere vergogna di quello che abbiamo fatto. Quello è il problema». Ma Pietro sente questa vergogna, questa umiltà, no? Il peccato...».

Solo che Pietro aveva un cuore grande e questo  «lo porta a un incontro nuovo con Gesù, alla gioia del perdono, quella sera, quando ha pianto». Il Signore non recede  da quello che aveva promesso, cioè «“Tu sei pietra”, e anche in questo momento gli dice: “Pasci il mio gregge”» e consegna a un peccatore il suo gregge. «Ma Pietro — ha precisato il vescovo di Roma — era peccatore, ma non corrotto, eh? Peccatori, sì, tutti: corrotti, no».

Poi Papa Francesco ha raccontato, come spesso accade durante queste celebrazioni mattutine, un episodio della propria vita: «Una volta ho saputo di un prete, un buon parroco che lavorava bene; è stato nominato vescovo, e lui aveva vergogna perché non si sentiva degno, aveva un tormento spirituale. È andato dal confessore. Il confessore lo ha ascoltato  e poi gli ha detto: “Ma non ti spaventare. Se con quella così grossa che ha fatto Pietro, lo hanno fatto Papa, tu vai avanti!”.  È che il Signore è così. Il Signore è così. Il Signore ci fa maturare attraverso tanti incontri con lui, anche con le nostre debolezze, quando le riconosciamo; con i nostri peccati. Lui è così, e la storia di quest’uomo che si è lasciato proprio modellare — credo che si dica così — con tanti incontri con Gesù,  serve a tutti noi, perché siamo sulla stessa strada, dietro a Gesù per praticare il Vangelo. Pietro è un grande ma non perché sia dottore in questo o perché sia uno bravo che ha fatto questo... No: è un grande, è un nobile, ha un cuore nobile, e questa nobiltà lo porta al pianto, lo porta al dolore, alla vergogna ma anche a prendere il suo lavoro di pascere il gregge».

Un esempio per tutti  quest’uomo che si incontra continuamente col Signore, ha detto Papa Francesco concludendo, il quale  «lo purifica, lo fa più maturo» proprio con questi incontri. «Chiediamo che  aiuti anche  noi ad andare avanti cercando il Signore e ad incontrarlo. Ma più di questo è importante lasciarci incontrare dal Signore: lui sempre ci cerca, lui è sempre vicino a noi. Ma tante volte, noi guardiamo dall’altra parte perché non abbiamo voglia di parlare con il Signore o di lasciarci incontrare dal Signore: questa è una grazia. Ecco la grazia che ci insegna Pietro. Chiediamo oggi questa grazia».

Alla celebrazione questa mattina hanno partecipato tra gli altri il terzo gruppo di dipendenti dei Musei Vaticani e gli addetti al Servizio di sicurezza dei luoghi di lavoro in Vaticano accompagnati dall’architetto Pierpaolo di Mattia.

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2013-05-18 Radio Vaticana
Il cristiano deve vincere la tentazione di “mischiarsi nella vita degli altri”: è l’esortazione di Papa Francesco nella Messa di stamani alla Casa Santa Marta. Il Papa ha inoltre sottolineato che chiacchiere e invidie fanno tanto male alla comunità cristiana e che non si può “dire soltanto la metà che ci conviene”.


“A te che importa?” Papa Francesco ha svolto la sua omelia partendo da questa domanda rivolta da Gesù a Pietro che si era immischiato nella vita di un altro, nella vita del discepolo Giovanni, “quello che Gesù amava”. Pietro, ha sottolineato, aveva “un dialogo d’amore” con il Signore, ma poi il dialogo “è deviato su un altro binario” e soffre anche lui una tentazione: “Mischiarsi nella vita degli altri”.

Come si dice “volgarmente”, ha osservato il Papa, Pietro fa il “ficcanaso”. E si è dunque soffermato su due modalità di questo mischiarsi nella vita altrui. Innanzitutto, “la comparazione”, il “compararsi con gli altri”. Quando c’è questa comparazione, ha detto, “finiamo nell’amarezza e anche nell’invidia, ma l’invidia arrugginisce la comunità cristiana”, le “fa tanto male”, il “diavolo vuole quello”. La seconda modalità di questa tentazione, ha soggiunto, sono le chiacchiere.

Si comincia con “modalità tanto educate”, ma poi finiamo “spellando il prossimo”:

“Quanto si chiacchiera nella Chiesa! Quanto chiacchieriamo noi cristiani! La chiacchiera è proprio spellarsi eh? Farsi male ll'uno l’altro. Come se volesse diminuire l’altro,no? Invece di crescere io, faccio che l’altro sia più basso e mi sento grande. Quello non va! Sembra bello chiacchierare… Non so perché, ma sembra bello. Come le caramelle di miele, no? Tu ne prendi una - Ah, che bello! -e poi un'altra, un'altra, un'altra e alla fine ti viene il mal di pancia. E perché? La chiacchiera è cosi: è dolce all’inizio e poi ti rovina, ti rovina l’anima! Le chiacchiere sono distruttive nella Chiesa, sono distruttive… E’ un po’ lo spirito di Caino: ammazzare il fratello, con la lingua; ammazzare il fratello!”.

Su questa strada, ha detto, “diventiamo cristiani di buone maniere e cattive abitudini!”. Ma come si presenta la chiacchiera? Normalmente, ha osservato Papa Francesco, “facciamo tre cose”:
“Facciamo la disinformazione: dire soltanto la metà che ci conviene e non l’altra metà; l’altra metà non la diciamo perché non è conveniente per noi. Alcuni sorridono… ma è vero quello o no? Hai visto che cosa? E passa. Secondo è la diffamazione: quando una persona davvero ha un difetto, ne ha fatta una grossa, raccontarla, 'fare il giornalista'… E la fama di questa persona è rovinata! E la terza è la calunnia: dire cose che non sono vere. Quello è proprio ammazzare il fratello! Tutti e tre - disinformazione, diffamazione e calunnia - sono peccato! Questo è peccato! Questo è dare uno schiaffo a Gesù nella persona dei suoi figli, dei suoi fratelli”.

Ecco perché Gesù fa con noi come aveva fatto con Pietro quando lo riprende: “A te che importa? Tu segui me!” Il Signore davvero ci “segnala la strada”:
“‘Le chiacchiere non ti faranno bene, perché ti porteranno proprio a questo spirito di distruzione nella Chiesa. Segui me!’. E’ bella questa parola di Gesù, è tanto chiara, è tanto amorosa per noi. Come se dicesse: ‘Non fate fantasie, credendo che la salvezza è nella comparazione con gli altri o nelle chiacchiere. La salvezza è andare dietro di me’. Seguire Gesù! Chiediamo oggi al Signore Gesù che ci dia questa grazia di non immischiarci mai nella vita degli altri, di non diventare cristiani di buone maniere e cattive abitudini, di seguire Gesù, di andare dietro Gesù, sulla sua strada. E questo basta!”.

Durante l’omelia, Papa Francesco ha anche rammentato un episodio della vita di Santa Teresina che si chiedeva perché Gesù dava tanto a uno e poco a un altro. La sorella più grande, allora, prese un ditale e un bicchiere e li riempì di acqua e poi chiese a Teresina quali dei due fosse più pieno. “Ma tutti e due sono pieni”, rispose la futura Santa. Gesù, ha detto il Papa, fa “così con noi”, “non gli interessa se tu sei grande, sei piccolo”. Gli interessa “se tu sei pieno dell’amore di Gesù”.

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2013-05-20 Radio Vaticana
Una preghiera coraggiosa, umile e forte, compie miracoli:

è quanto ha affermato il Papa stamani nella Messa presieduta a Santa Marta. Erano presenti alcuni dipendenti della Radio Vaticana accompagnati dal direttore della nostra emittente, padre Federico Lombardi. Il servizio di Sergio Centofanti:


La liturgia del giorno presenta il brano del Vangelo in cui i discepoli non riescono a guarire un fanciullo; deve intervenire Gesù stesso che si lamenta dell’incredulità dei presenti; e al padre di quel ragazzo che chiede aiuto risponde che “tutto è possibile per chi crede”. Papa Francesco osserva che spesso anche quanti vogliono bene a Gesù non rischiano troppo nella loro fede e non si affidano completamente a Lui:
“Ma perché, questa incredulità? Credo che è proprio il cuore che non si apre, il cuore chiuso, il cuore che vuole avere tutto sotto controllo”.

E’ un cuore, dunque, che “non si apre” e non “dà il controllo delle cose a Gesù” – spiega il Papa – e quando i discepoli gli domandano perché non hanno potuto guarire il giovane, il Signore risponde che quella “specie di demoni non si può scacciare in alcun modo se non con la preghiera”. “Tutti noi – sottolinea - abbiamo un pezzo di incredulità, dentro”. E’ necessaria “una preghiera forte, e questa preghiera umile e forte fa che Gesù possa fare il miracolo.

La preghiera per chiedere un miracolo, per chiedere un’azione straordinaria – prosegue - dev’essere una preghiera coinvolta, che ci coinvolga tutti”. E a questo proposito racconta un episodio accaduto in Argentina: una bimba di 7 anni si ammala e i medici le danno poche ore di vita. Il papà, un elettricista, “uomo di fede”, è “diventato come pazzo – racconta il Pontefice - e in quella pazzia” ha preso un autobus per andare al Santuario mariano di Lujan, lontano 70 km:

“E’ arrivato dopo le 9 di sera, quando era tutto chiuso. E lui ha incominciato a pregare la Madonna, con le mani sulla cancellata di ferro. E pregava, e pregava, e piangeva, e pregava … e così, così è rimasto tutta la notte.
Ma quest’uomo lottava: lottava con Dio, lottava proprio con Dio per fare la guarigione della sua fanciulla. Poi, dopo le 6 del mattino, è andato al terminal, ha preso il bus ed è arrivato a casa, all’ospedale alle 9, più o meno. E ha trovato la moglie piangente. E ha pensato al peggio. ‘Ma cosa succede? Non capisco, non capisco! Cosa è successo?’. ‘Mah, sono venuti i dottori e mi hanno detto che la febbre se n’è andata, che respira bene, che non c’è niente! La lasceranno due giorni in più, ma non capiscono che cosa è successo!’. Questo succede ancora, eh?, i miracoli ci sono!”.

Ma è necessario pregare col cuore, conclude il Papa:
“Una preghiera coraggiosa, che lotta per arrivare a quel miracolo; non quelle preghiere per cortesia, ‘Ah, io pregherò per te’: dico un Pater Noster, un’Ave Maria e mi dimentico. No: preghiera coraggiosa, come quella di Abramo che lottava con il Signore per salvare la città, come quella di Mosé che aveva le mani in alto e si stancava, pregando il Signore; come quella di tante persone, di tanta gente che ha fede e con la fede prega, prega. La preghiera fa miracoli, ma dobbiamo credere! Io penso che noi possiamo fare una bella preghiera … e dirgli oggi, tutta la giornata: ‘Credo, Signore, aiuta la mia incredulità’ ... e quando ci chiedono di pregare per tanta gente che soffre nelle guerre, tutti i rifugiati, tutti questi drammi che ci sono adesso, pregare, ma con il cuore il Signore: ‘Fallo!’, ma dirgli: ‘Credo, Signore. Aiuta la mia incredulità’ che anche viene nella mia preghiera. Facciamo questo, oggi”.




[SM=g1740733]



[Modificato da Caterina63 20/05/2013 20:29]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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21/05/2013 12:40
 
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[SM=g1740758] 2013-05-21 Radio Vaticana
Per un cristiano, progredire significa abbassarsi come ha fatto Gesù.
E’ quanto sottolineato da Papa Francesco nella Messa di stamani alla Casa Santa Marta.
Il Papa ha inoltre ribadito che il vero potere è il servizio e che non deve esistere la lotta per il potere nella Chiesa. Alla Messa - concelebrata dal direttore dei programmi della Radio Vaticana, padre Andrzej Koprowski - hanno preso parte un gruppo di dipendenti della nostra emittente e un gruppo di dipendenti dell’Ufficio pellegrini e turisti del Governatorato vaticano.
Erano inoltre presenti il direttore di Civiltà Cattolica, padre Antonio Spadaro, e Maria Voce e Giancarlo Faletti, presidente e vicepresidente del Movimento dei Focolari. Il servizio di Alessandro Gisotti:


Gesù parla della sua Passione e i discepoli, invece, sono presi a discutere su chi sia il più grande tra loro. E’ l’amaro episodio narrato dal Vangelo odierno, che offre a Papa Francesco lo spunto per una meditazione sul potere e il servizio. “La lotta per il potere nella Chiesa – ha osservato – non è cosa di questi giorni”, è “cominciata là proprio con Gesù”. E ha sottolineato che “nella chiave evangelica di Gesù, la lotta per il potere nella Chiesa non deve esistere”, perché il vero potere, quello che il Signore “con il suo esempio ci ha insegnato”, è “il potere del servizio”:
“Il vero potere è il servizio. Come lo ha fatto Lui, che è venuto non a farsi servire, ma a servire, e il suo servizio è stato proprio un servizio della Croce. Lui si è abbassato fino alla morte, alla morte di Croce, per noi, per servire noi, per salvare noi. E non c’è nella Chiesa nessun’altra strada per andare avanti. Per il cristiano, andare avanti, progredire significa abbassarsi. Se noi non impariamo questa regola cristiana, mai, mai potremo capire il vero messaggio di Gesù sul potere”.

Progredire, ha aggiunto, "significa abbassarsi", “essere al servizio sempre”. E nella Chiesa, ha soggiunto, “il più grande è quello che più serve, che più è al servizio degli altri”. Questa “è la regola”. E tuttavia, ha affermato Papa Francesco, dalle origini fino ad adesso ci sono state “lotte di potere nella Chiesa”, anche “nella nostra maniera di parlare”:
“Quando a una persona danno una carica che secondo gli occhi del mondo è una carica superiore, si dice: ‘Ah, questa donna è stata promossa a presidente di quell’associazione e questo uomo è stato promosso …’. Questo verbo, promuovere: sì, è un verbo bello, si deve usare nella Chiesa. Sì: questo è stato promosso alla Croce, questo è stato promosso alla umiliazione. Quella è la vera promozione, quella che ci ‘assomiglia meglio’ a Gesù!”

[SM=g1740733] Il Papa ha dunque ricordato che Sant’Ignazio di Loyola, negli Esercizi spirituali, chiedeva al Signore Crocifisso “la grazia delle umiliazioni”.

Questo, ha riaffermato, è “il vero potere del servizio della Chiesa”. Questa è la vera strada di Gesù, la vera promozione e non quelle mondane:

“La strada del Signore è il Suo servizio: come Lui ha fatto il Suo servizio, noi dobbiamo andare dietro a Lui, il cammino del servizio. Quello è il vero potere nella Chiesa. Io vorrei oggi pregare per tutti noi, perché il Signore ci dia la grazia di capire quello: che il vero potere nella Chiesa è il servizio. E anche per capire quella regola d’oro che Lui ci ha insegnato con il Suo esempio: per un cristiano, progredire, andare avanti significa abbassarsi, abbassarsi. Chiediamo questa grazia”.

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[SM=g1740733]  Papa Francesco ricorda la festa di Santa Rita da Cascia....
2013-05-22 Vatican Radio
“Fare il bene” è un principio che unisce tutta l’umanità, al di là della diversità di ideologie e religioni, e crea quella cultura dell’incontro che è alla base della pace: è quanto ha affermato il Papa nella Messa di stamani a Santa Marta, alla presenza di alcuni dipendenti del Governatorato. Ha concelebrato il cardinale Béchara Boutros Raï, patriarca di Antiochia dei Maroniti.
Il servizio di Sergio Centofanti:


Il Vangelo di questo mercoledì ci parla dei discepoli di Gesù che impediscono a una persona esterna al loro gruppo di fare il bene. “Si lamentano" – afferma il Papa nell’omelia - perché dicono: “Se non è dei nostri, non può fare il bene. Se non è del nostro partito, non può fare il bene”. E Gesù li corregge: “Non glielo impedite – dice - Lasciate che lui faccia il bene”. “I discepoli – spiega Papa Francesco – erano un po’ intolleranti”, chiusi nell’idea di possedere la verità, nella convinzione che “tutti quelli che non hanno la verità, non possono fare il bene”. E “questo era sbagliato” e Gesù “allarga l’orizzonte”.

“La radice di questa possibilità di fare il bene, che tutti abbiamo” – osserva il Papa - è “nella creazione”:

“Il Signore ci ha creati a sua immagine e somiglianza, e siamo immagine del Signore, e Lui fa il bene e tutti noi abbiamo nel cuore questo comandamento: fai il bene e non fare il male. Tutti. ‘Ma, padre, questo non è cattolico! Non può fare il bene!'. Sì, può farlo. Deve farlo. Non può: deve! Perché ha questo comandamento dentro. ‘Ma, padre, questo non è cristiano, non può farlo!’. Sì, può farlo. Deve farlo. Invece, questa chiusura di non pensare che si possa fare il bene fuori, tutti, è un muro che ci porta alla guerra e anche a quello che alcuni hanno pensato nella storia: uccidere in nome di Dio. Noi possiamo uccidere in nome di Dio. E quello, semplicemente, è una bestemmia. Dire che si possa uccidere in nome di Dio, è una bestemmia”.

“Invece, il Signore – prosegue il Papa - ci ha creati a sua immagine e somiglianza e ci ha dato questo comandamento all’interno del cuore: fai il bene e non fare il male”:
“Il Signore tutti, tutti ci ha redenti con il sangue di Cristo: tutti, non soltanto i cattolici. Tutti! ‘Padre, gli atei?’. Anche loro. Tutti! E questo sangue ci fa figli di Dio di prima categoria! Siamo creati figli con la somiglianza di Dio e il sangue di Cristo ci ha redenti tutti! E tutti noi abbiamo il dovere di fare il bene. E questo comandamento di fare il bene tutti credo che sia una bella strada verso la pace. Se noi, ciascuno per la sua parte, facciamo il bene agli altri, ci incontriamo là, facendo il bene, e facciamo lentamente, adagio, piano piano, facciamo quella cultura dell’incontro: ne abbiamo tanto bisogno. Incontrarsi facendo il bene. ‘Ma io non credo, padre, io sono ateo!’. Ma fai il bene: ci incontriamo là!”.

“Fare il bene” – spiega il Papa – non è una questione di fede, “è un dovere, è una carta d’identità che il nostro Padre ha dato a tutti, perché ci ha fatti a sua immagine e somiglianza. E lui fa il bene, sempre”. Questa la preghiera finale di Papa Francesco:
“Oggi è Santa Rita, Patrona delle cose impossibili, ma questo sembra impossibile: chiediamo a lei questa grazia, questa grazia che tutti, tutti, tutte le persone facciano il bene e ci incontriamo in questo lavoro, che è un lavoro di creazione, assomiglia alla creazione del Padre. Un lavoro di famiglia, perché tutti siamo figli di Dio: tutti, tutti! E Dio ci vuole bene, a tutti! Che Santa Rita ci conceda questa grazia, che sembra quasi impossibile. Così sia”.

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2013-05-23 Radio Vaticana
I cristiani diffondano il sale della fede, della speranza e della carità: è questa l'esortazione di Papa Francesco nella Messa di stamani alla Casa Santa Marta. Il Papa ha sottolineato che l’originalità cristiana “non è una uniformità” e ha messo in guardia dal rischio di diventare insipidi, “cristiani da museo”. Alla Messa - concelebrata con i cardinali Angelo Sodano e Leonardo Sandri e con l’arcivescovo di La Paz, Edmundo Abastoflor Montero - hanno preso parte un gruppo di sacerdoti e collaboratori laici della Congregazione per le Chiese Orientali.
Il servizio di Alessandro Gisotti:



Che cos’è il sale nella vita di un cristiano, quale sale ci ha donato Gesù?
Nella sua omelia, Papa Francesco si è soffermato sul sapore che i cristiani sono chiamati a dare alla propria vita e a quella degli altri. Il sale che ci dà il Signore, ha osservato, è il sale della fede, della speranza e della carità. Ma, ha avvertito, dobbiamo stare attenti che questo sale, che ci è dato dalla certezza che Gesù è morto e risorto per salvarci, “non divenga insipido, che non perda la sua forza”. Questo sale, ha proseguito, “non è per conservarlo, perché se il sale si conserva in una bottiglietta non fa niente, non serve”:

“Il sale ha senso quando si dà per insaporire le cose. Anche penso che il sale conservato nella bottiglietta, con l’umidità, perde forza e non serve. Il sale che noi abbiamo ricevuto è per darlo, è per insaporire, è per offrirlo. Al contrario diventa insipido e non serve. Dobbiamo chiedere al Signore di non diventare cristiani col sale insipido, col sale chiuso nella bottiglietta. Ma il sale ha anche un’altra particolarità: quando il sale si usa bene, non si sente il gusto del sale, il sapore del sale… Non si sente! Si sente il sapore di ogni pasto: il sale aiuta che il sapore di quel pasto sia più buono, sia più conservato ma più buono, più saporito. Questa è la originalità cristiana!”

E ha aggiunto che “quando noi annunziamo la fede, con questo sale”, quelli che “ricevono l’annunzio, lo ricevono secondo la propria peculiarità, come per i pasti”. E così “ciascuno con la propria peculiarità riceve il sale e diventa più buono”:
“La originalità cristiana non è una uniformità! Prende ciascuno come è, con la sua personalità, con le sue caratteristiche, con la sua cultura e lo lascia con quello, perché è una ricchezza. Ma gli dà qualcosa di più: gli dà il sapore! Questa originalità cristiana è tanto bella, perché quando noi vogliamo fare una uniformità - tutti siano salati allo stesso modo - le cose saranno come quando la donna butta troppo sale e si sente soltanto il gusto del sale e non il gusto di quel pasto saporito con il sale. L’originalità cristiana è proprio questo: ciascuno è come è, con i doni che il Signore gli ha dato”.

Questo, ha proseguito il Papa, “è il sale che dobbiamo dare”. Un sale che “non è per conservarlo, è per darlo”. E questo, ha detto, “significa un po’ di trascendenza”: “uscire col messaggio, uscire con questa ricchezza che noi abbiamo del sale e darlo agli altri”. D’altro canto, ha sottolineato, ci sono due “uscite” affinché questo sale non si rovini. Primo: dare il sale “al servizio dei pasti, al servizio degli altri, al servizio delle persone”.
Secondo: la “trascendenza verso l’autore del sale, il creatore”. Il sale, ha ribadito, “non si conserva soltanto dandolo nella predicazione” ma “ha bisogno anche dell’altra trascendenza, della preghiera, della adorazione”:

“E così il sale si conserva, non perde il suo sapore. Con l’adorazione del Signore io trascendo da me stesso al Signore e con l’annunzio evangelico io vado fuori da me stesso per dare il messaggio. Ma se noi non facciamo questo - queste due cose, queste due trascendenze per dare il sale - il sale rimarrà nella bottiglietta e noi diventeremo cristiani da museo. Possiamo far vedere il sale: questo è il mio sale. Ma che bello che è! Questo è il sale che ho ricevuto nel Battesimo, questo è quello che ho ricevuto nella Cresima, questo è quello che ho ricevuto nella catechesi… Ma guardate: cristiani da museo! Un sale senza sapore, un sale che non fa niente!”.


[SM=g1740733]


2013-05-25 Radio Vaticana
Quanti si avvicinano alla Chiesa trovino le porte aperte e non dei controllori della fede:

è quanto ha affermato il Papa stamani durante la Messa a Santa Marta. Ha concelebrato il cardinale Agostino Cacciavillan, presidente emerito dell'Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica.


Era presente un gruppo di sacerdoti. Il servizio di Sergio Centofanti:


Il Vangelo del giorno ci parla di Gesù che rimprovera i discepoli che vogliono allontanare i bambini che la gente porta al Signore perché li benedica. “Gesù li abbraccia, li baciava, li toccava, tutti. Ma si stancava tanto Gesù e i discepoli” volevano impedirlo. E Gesù s’indigna: “Gesù si arrabbiava, alcune volte”.
E dice: “Lasciate che vengano a me, non glielo impedite. A chi è come loro, infatti, appartiene il Regno di Dio”.
“La fede del Popolo di Dio – osserva il Papa - è una fede semplice, è una fede forse senza tanta teologia, ma con una teologia dentro che non sbaglia, perché c’è lo Spirito dietro”. Il Papa cita il Concilio Vaticano I e il Vaticano II, laddove si dice che “il popolo santo di Dio … non può sbagliarsi nel credere” (Lumen Gentium).

E per spiegare questa formulazione teologica aggiunge: “Se tu vuoi sapere chi è Maria vai dal teologo e ti spiegherà bene chi è Maria. Ma se tu vuoi sapere come si ama Maria vai dal Popolo di Dio che lo insegnerà meglio”. Il popolo di Dio – prosegue il Papa – “sempre si avvicina per chiedere qualcosa a Gesù: alcune volte è un po’ insistente in questo.
Ma è l’insistenza di chi che crede”:

“Ricordo una volta, uscendo nella città di Salta, la Festa patronale, c’era una signora umile che chiedeva a un prete la benedizione. Il sacerdote le diceva: ‘Bene, ma signora lei è stata alla Messa!’ e le ha spiegato tutta la teologia della benedizione nella Messa. Lo ha fatto bene ... ‘Ah, grazie padre; sì padre’, diceva la signora. Quando il prete se ne è andato, la signora si rivolge ad un altro prete: ‘Mi dia la benedizione!’. E tutte queste parole non sono entrate, perché lei aveva un’altra necessità: la necessità di essere toccata dal Signore. Quella è la fede che troviamo sempre e questa fede la suscita lo Spirito Santo. Noi dobbiamo facilitarla, farla crescere, aiutarla a crescere”.

Il Papa cita poi l’episodio del cieco di Gerico, rimproverato dai discepoli perché gridava verso il Signore: “Gesù, Figlio di Davide, abbi pietà di me!”:
“Il Vangelo dice che volevano che non gridasse, volevano che non gridasse e lui gridava di più, perché? Perché aveva fede in Gesù! Lo Spirito Santo aveva messo la fede nel suo cuore. E loro dicevano: ‘No, non si può! Al Signore non si grida. Il protocollo non lo permette. E’ la seconda Persona della Trinità! Guarda cosa fai…’ come se dicessero quello, no?”.
E pensa all’atteggiamento di tanti cristiani:
“Pensiamo ai cristiani buoni, con buona volontà; pensiamo al segretario della parrocchia, una segretaria della parrocchia… ‘Buonasera, buongiorno, noi due – fidanzato e fidanzata – vogliamo sposarci’. E invece di dire: ‘Ma che bello!’. Dicono: ‘Ah, benissimo, accomodatevi. Se voi volete la Messa, costa tanto…’. Questi, invece di ricevere una accoglienza buona – ‘E’ cosa buona sposarsi!’ – ricevono questo: ‘Avete il certificato di Battesimo, tutto a posto…’. E trovano una porta chiusa. Quando questo cristiano e questa cristiana ha la possibilità di aprire una porta, ringraziando Dio per questo fatto di un nuovo matrimonio… Siamo tante volte controllori della fede, invece di diventare facilitatori della fede della gente”.

E’ una tentazione che c’è da sempre – spiega il Papa – che è quella “di impadronirci, di appropriarci un po’ del Signore”.
E racconta un altro episodio:

“Pensate a una ragazza madre, che va in chiesa, in parrocchia e al segretario: ‘Voglio battezzare il bambino’. E poi questo cristiano, questa cristiana le dice: ‘No, tu non puoi perché non sei sposata!’. Ma guardi, che questa ragazza che ha avuto il coraggio di portare avanti la sua gravidanza e non rinviare suo figlio al mittente, cosa trova? Una porta chiusa! Questo non è un buon zelo! Allontana dal Signore! Non apre le porte! E così quando noi siamo su questa strada, in questo atteggiamento, noi non facciamo bene alle persone, alla gente, al Popolo di Dio. Ma Gesù ha istituito sette Sacramenti e noi con questo atteggiamento istituiamo l’ottavo: il sacramento della dogana pastorale!”.
“Gesù si indigna quando vede queste cose” – sottolinea il Papa - perché chi soffre è “il suo popolo fedele, la gente che Lui ama tanto”:
“Pensiamo oggi a Gesù, che sempre vuole che tutti ci avviciniamo a Lui; pensiamo al Santo Popolo di Dio, un popolo semplice, che vuole avvicinarsi a Gesù; e pensiamo a tanti cristiani di buona volontà che sbagliano e che invece di aprire una porta la chiudono … E chiediamo al Signore che tutti quelli che si avvicinano alla Chiesa trovino le porte aperte, trovino le porte aperte, aperte per incontrare questo amore di Gesù. Chiediamo questa grazia”.

[SM=g1740733]  una breve riflessione:

Concordo con Gemma che sul blogRaffaella commenta l'ultimo esempio sul Battesimo con queste riflessioni:
Ma non facciamo passare la chiesa per peggio di quello che e' per favore. Sono stata per un po' figlia di ragazza madre e nessuno mi ha negato nulla. Ed e' accaduto tanti anni fa ...

.... anch'io che sono nata nel 1963 e figlia di ragazza madre.... sono stata battezzata dopo una settimana dalla nascita, ancora con il rito antico, la riforma liturgica non era stata portata a termine e il Catechismo era quello di san Pio X.... e non ho mai avuto problemi per l'inserimento nella Chiesa

Non comprendo oggi queste "dogane pastorali".... faccio la catechista da 24 anni e non ho mai sentito che il Battesimo non si da a chi, chiedendolo, non appartiene ad una famiglia regolare....
Il Battesimo è un Sacramento che può essere perfino dato, in caso di urgenza e di necessità, sia da un laico che pure da un non cattolico, purchè sia dato con l'acqua e la formula Trinitaria completa con le intenzioni della Chiesa....
Diverso è parlare degli altri Sacramenti quali la Confessione, l'Eucaristia la Cresima e pure il matrimonio il quale infatti, per essere fatto occorre avere tutti gli altri Sacramenti.... e quindi una preparazione più accurata...
Diverso poi a chi chiede il Battesimo da adulti, è ovvio che occorre una preparazione, ma se dei genitori o uno dei due anche NON cattolici, chiedessero il battesimo al proprio figlio, la Chiesa LO HA SEMPRE DATO...
[SM=g1740733]

[SM=g1740771]



[Modificato da Caterina63 25/05/2013 19:39]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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27/05/2013 13:51
 
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[SM=g1740758] LA CULTURA DEL PROVVISORIO DISTRUGGE LA FEDE E LA STESSA VITA MATRIMONIALE

2013-05-27 Radio Vaticana
Per seguire Gesù dobbiamo spogliarci della cultura del benessere e del fascino del provvisorio.
E’ quanto sottolineato stamani da Papa Francesco, nella Messa alla Casa Santa Marta.
Il Papa ha quindi sottolineato che dobbiamo fare un esame di coscienza sulle ricchezze che ci impediscono di avvicinare Gesù. Alla Messa, concelebrata dal cardinale Philippe Barbarin, arcivescovo di Lione, hanno preso parte i membri del Pontificio Consiglio degli Operatori Sanitari, guidati dal presidente mons. Zygmunt Zimowski, e un gruppo di collaboratori dei Servizi Economici del Governatorato, guidati dal dott. Sabatino Napolitano. Il servizio di Alessandro Gisotti:


Gesù chiede a un giovane di dare tutte le sue ricchezze ai poveri e seguirlo, ma questi se ne va rattristato. Papa Francesco ha svolto l’omelia muovendo dal celebre episodio raccontato dal Vangelo odierno. E subito ha sottolineato che “le ricchezze sono un impedimento” che “non fa facile il cammino verso il Regno di Dio”. Del resto, ha avvertito, “Ognuno di noi ha le sue ricchezze, ognuno”. C’è sempre, ha detto, una ricchezza che ci “impedisce di andare vicino a Gesù”. E questa va cercata. Tutti, ha proseguito, “dobbiamo fare un esame di coscienza su quali sono le nostre ricchezze, perché ci impediscono di avvicinare Gesù nella strada della vita”.
Il Papa si è quindi riferito a due “ricchezze culturali”: innanzitutto la “cultura del benessere, che ci fa poco coraggiosi, ci fa pigri, ci fa anche egoisti”. Il benessere “ci anestetizza, è un’anestesia”:

"‘No, no, più di un figlio no, perché non possiamo fare le vacanze, non possiamo andare qua, non possiamo comprare la casa’. Sta bene seguire il Signore, ma fino a un certo punto. Questo è quello che fa il benessere: tutti sappiamo bene com’è il benessere, ma questo ci getta giù, ci spoglia di quel coraggio, di quel coraggio forte per andare vicino a Gesù. Questa è la prima ricchezza della nostra cultura d’oggi, la cultura del benessere’.

C’è poi, ha soggiunto, “un’altra ricchezza nella nostra cultura”, una ricchezza che ci “impedisce di andare vicino a Gesù: è il fascino del provvisorio”. Noi, ha osservato, siamo “innamorati del provvisorio”. Le “proposte definitive” che ci fa Gesù, ha detto, “non ci piacciono”. Il provvisorio invece ci piace, perché “abbiamo paura del tempo di Dio” che è definitivo:
“Lui è il Signore del tempo, noi siamo i signori del momento. Perché? Perché nel momento siamo padroni: fino qui io seguo il Signore, poi vedrò… Ho sentito di uno che voleva diventare prete, ma per dieci anni, non di più… Quante coppie, quante coppie si sposano, senza dirlo, ma nel cuore: ‘fin che dura l’amore e poi vediamo…’ Il fascino del provvisorio: questa è una ricchezza. Dobbiamo diventare padroni del tempo, facciamo piccolo il tempo al momento. Queste due ricchezze sono quelle che in questo momento ci impediscono di andare avanti. Io penso a tanti, tanti uomini e donne che hanno lasciato la propria terra per andare come missionari per tutta la vita: quello è il definitivo!”.

Ma anche, ha detto, penso a tanti uomini e donne che “hanno lasciato la propria casa per fare un matrimonio per tutta la vita”; quello è “seguire Gesù da vicino! E’ il definitivo!”. Il provvisorio, ha ribadito Papa Francesco, “non è seguire Gesù”, è “territorio nostro”:
“Davanti all’invito di Gesù, davanti a queste due ricchezze culturali pensiamo ai discepoli: erano sconcertati. Anche noi possiamo essere sconcertati per questo discorso di Gesù. Quando Gesù ha spiegato qualcosa erano ancora più stupiti. Chiediamo al Signore che ci dia il coraggio di andare avanti, spogliandoci di questa cultura del benessere, con la speranza - alla fine del cammino, dove Lui ci aspetta - nel tempo. Non con la piccola speranza del momento che non serve più. Così sia”.



[SM=g1740771]


2013-05-28 Radio Vaticana

LA VIA DI GESU' E' LA CROCE,
NON LA CARRIERA


L’annuncio di Gesù non è una patina, una vernice, ma va dentro al cuore e ci cambia. E’ quanto affermato da Papa Francesco nella Messa di stamani alla Casa Santa Marta.
Il Papa ha quindi ribadito che seguire Gesù non vuol dire avere più potere, perché la sua strada è quella della Croce.
Alla Messa, concelebrata da mons. Rino Fisichella e mons. José Octavio Ruiz Arenas, presidente e segretario del Pontificio Consiglio per la Nuova Evangelizzazione, hanno preso parte un gruppo di sacerdoti dello stesso dicastero e un gruppo di dipendenti della Centrale termoelettrica e del Laboratorio di falegnameria del Governatorato vaticano, accompagnati dall’ing. Pier Carlo Cuscianna, direttore dei Servizi Tecnici del Governatorato. Il servizio di Alessandro Gisotti:


Quale sarà il premio che riceveremo nel seguirti? Papa Francesco ha svolto la sua omelia partendo dalla domanda che Pietro rivolge a Gesù e che, in fondo, riguarda la vita di ogni cristiano. Gesù, ha osservato il Papa, risponde che quanti lo seguiranno avranno “tante cose belle” ma “con persecuzione”. La strada del Signore, ha proseguito, “è una strada di ‘abbassamento’, una strada che finisce nella Croce”. Ecco perché, ha soggiunto, “sempre ci saranno le difficoltà”, “le persecuzioni”.
Ci saranno sempre, “perché Lui ha fatto questa strada prima” di noi. E ha avvertito che “quando un cristiano non ha difficoltà nella vita – tutto va bene, tutto è bello – qualcosa non va”. Si può pensare che sia “molto amico dello spirito del mondo, della mondanità”. E questo, ha constatato, “è la tentazione propria di un cristiano”:

“Seguire Gesù sì, ma fino a un certo punto; seguire Gesù come una forma culturale: sono cristiano, ho questa cultura… Ma senza l’esigenza della vera sequela di Gesù, l’esigenza di andare sulla sua strada. Se si segue Gesù come una proposta culturale, si usa questa strada per andare più in alto, per avere più potere. E la storia della Chiesa è piena di questo, cominciando da alcuni imperatori e poi tanti governanti e tante persone, no? E anche alcuni - non voglio dire tanti ma alcuni - preti, alcuni vescovi, no? Alcuni dicono che sono tanti… ma alcuni che pensano che seguire Gesù è fare carriera”.

Il Papa ha rammentato che un tempo, “nella letteratura di due secoli fa”, a volte si usava dire che uno “da bambino aveva voglia di fare la carriera ecclesiastica”. E ha ribadito che “tanti cristiani, tentati dallo spirito del mondo, pensano che seguire Gesù è buono perché si può far carriera, si può andare avanti”. Ma questo “non è lo spirito” è, invece, l’atteggiamento di Pietro che parla di carriera e Gesù gli risponde: “Sì, ti darò tutto con persecuzione”. “Non si può togliere la Croce dalla strada di Gesù: sempre c’è”. E tuttavia, ha avvertito, questo non vuol dire che il cristiano deve farsi del male. Il cristiano “segue Gesù per amore e quando si segue Gesù per amore, l’invidia del diavolo fa tante cose”. Lo “spirito del mondo – ha osservato – non tollera questo, non tollera la testimonianza”:
“Pensate a Madre Teresa: cosa dice lo spirito del mondo di Madre Teresa? ‘Ah, la Beata Teresa è una bella donna, ha fatto tante belle cose per gli altri…’. Lo spirito del mondo mai dice che la Beata Teresa, tutti i giorni, tante ore, era in adorazione… Mai! Riduce al fare bene sociale l’attività cristiana. Come se l’esistenza cristiana fosse una vernice, una patina di cristianesimo. L’annunzio di Gesù non è una patina: l’annunzio di Gesù va alle ossa, al cuore, va dentro e ci cambia. E questo non lo tollera lo spirito del mondo, non lo tollera e per questo vengono le persecuzioni”.

Chi lascia la propria casa, la propria famiglia per seguire Gesù, ha detto ancora Papa Francesco, riceve cento volte tanto “già ora in questo tempo”. Cento volte insieme alle persecuzioni. E questo non va dimenticato:
“La sequela di Gesù è proprio questo: per amore andare con Lui, dietro di Lui: lo stesso cammino, la stessa strada. E lo spirito del mondo sarà quello che non tollererà e ci farà soffrire, ma una sofferenza come l’ha fatta Gesù. Chiediamo questa grazia: seguire Gesù nella strada che Lui ci ha fatto vedere e che Lui ci ha insegnato. Questo è bello, perché mai ci lascia soli. Mai! Sempre è con noi. Così sia”.




[SM=g1740771]


COMUNICATO UFFICIALE
mercoledì 29 maggio 2013


Omelie del Papa a Santa Marta: nota di padre Lombardi in risposta ad alcune domande

Il grandissimo interesse suscitato dalle brevi omelie del Papa nel corso delle Messe celebrate al mattino nella cappella della Casa Santa Marta fa sì che si sia posta e si continui a porre spesso, da diverse parti, la domanda sulla possibilità di accedere a tale celebrazione o a tale omelia in modo completo e non solo tramite le sintesi pubblicate ogni giorno da Radio Vaticana e Osservatore Romano.

La domanda è comprensibile ed è stata più volte presa in considerazione e fatta oggetto di una riflessione approfondita, e merita una risposta chiara. Anzitutto, è necessario tener conto del carattere che il Santo Padre stesso attribuisce alla celebrazione mattutina della Messa a Santa Marta.
Si tratta di una Messa con la presenza di un gruppo non piccolo di fedeli (in genere oltre cinquanta persone), ma a cui il Papa intende conservare un carattere di familiarità. Per questo, nonostante le richieste pervenute, egli ha esplicitamente desiderato che non venga trasmessa in diretta video o audio.

Quanto alle omelie, non sono pronunciate sulla base di un testo scritto, ma spontaneamente, in lingua italiana, lingua che il Papa possiede molto bene, ma non è la sua lingua materna. Una pubblicazione “integrale” comporterebbe quindi necessariamente una trascrizione e una ristesura del testo in vari punti, dato che la forma scritta è differente da quella orale, che in questo caso è la forma originaria scelta intenzionalmente dal Santo Padre. Insomma, occorrerebbe una revisione del Santo Padre stesso, ma il risultato sarebbe chiaramente “un’altra cosa”, che non è quella che il Santo Padre intende fare ogni mattina.

Dopo attenta riflessione si è quindi considerato che il modo migliore per rendere accessibile a un largo pubblico la ricchezza delle omelie del Papa senza alterarne la natura è quello di pubblicarne un’ampia sintesi, ricca anche di frasi originali virgolettate che riflettano il sapore genuino delle espressioni del Papa. E’ quanto s’impegna a fare l’Osservatore Romano ogni giorno, mentre la Radio Vaticana, in base alla sua natura caratteristica, offre una sintesi più breve, ma corredata anche da alcuni brani dell’audio originale registrato, e il Ctv offre una videoclip corrispondente a uno degli inserti audio pubblicati dalla Radio Vaticana.

Bisogna insistere sul fatto che, nell’insieme dell’attività del Papa, va conservata con cura la differenza fra le diverse situazioni e celebrazioni, come pure il diverso livello di impegno dei suoi pronunciamenti. Così, in occasione delle celebrazioni o attività pubbliche del Papa, trasmesse in diretta televisiva e radiofonica, le omelie o i discorsi vengono trascritti e pubblicati integralmente. In occasione di celebrazioni più familiari e private occorre rispettare il carattere specifico della situazione, della spontaneità e della familiarità delle espressioni del Santo Padre. La soluzione prescelta rispetta quindi anzitutto la volontà del Papa e la natura della celebrazione mattutina, e allo stesso tempo permette a un largo pubblico di accedere ai messaggi principali che il Santo Padre offre ai fedeli anche in tale circostanza.

 Radio Vaticana

[SM=g1740733]

2013-05-29 L’Osservatore Romano

Il trionfalismo che appartiene ai cristiani è quello che passa attraverso il fallimento umano, il fallimento della croce. Lasciarsi tentare da altri trionfalismi, da trionfalismi mondani, significa cedere alla tentazione di concepire un «cristianesimo senza croce», un «cristianesimo a metà». È stata l’umiltà il centro della riflessione di Papa Francesco durante la messa celebrata questa mattina, mercoledì 29 maggio, nella cappella della Domus Sanctae Marthae.

Nel vangelo di oggi (Marco 10, 32-45) è descritto il cammino verso Gerusalemme di Gesù, seguito dai discepoli. «Erano sulla strada che saliva a Gerusalemme — ha spiegato il Papa — e Gesù camminava davanti. Deciso. Possiamo anche pensare, in fretta». Soffermandosi sui sentimenti che si agitavano in quel momento nel cuore dei discepoli «sgomenti» e «impauriti», il Santo Padre ha voluto mettere in evidenza il comportamento del Signore che svela loro la verità: «Ecco noi saliamo a Gerusalemme, il Figlio dell’Uomo sarà consegnato» ai capi dei sacerdoti e agli scribi; lo condanneranno a morte e lo uccideranno, ma il terzo giorno risorgerà. Gesù «dice la verità» e mostra loro il cammino che finisce «al terzo giorno».

Nonostante le parole di Cristo, i discepoli pensano che sia meglio fermarsi. E nello stesso tempo, ha fatto notare il Pontefice, cominciano a discutere tra loro «come sistemare la Chiesa». Anzi Giacomo e Giovanni «sono andati da Gesù a chiedergli l’ufficio di capo del governo». Ma anche gli altri «discutevano e si domandavano chi tra loro fosse il più importante» in quella Chiesa che volevano sistemare. Cristo, ha osservato il Papa, era davanti al compiersi della sua missione, mentre i suoi discepoli si erano fermati a discutere su «un altro progetto, un altro punto di vista della Chiesa».

In questo modo essi subivano la stessa tentazione di Gesù nel deserto, «quando il diavolo era andato per proporgli un altro cammino» e lo aveva sfidato a compiere «un miracolo — ha ricordato ancora il Pontefice — qualcosa che tutti chiedevano». Come gettarsi dal tempio e salvarsi, in modo tale che tutti potessero vedere il miracolo e redimersi.

Gesù, ha aggiunto, subì la stessa tentazione da parte di Pietro. Quando parlò della croce, ha ricordato il vescovo di Roma, l’apostolo lo implorò, dopo avergli ripetuto «tu sei il Figlio di Dio», di rinunciare. «E Gesù gli disse: satana! E rinunciò alla tentazione».

Oggi, ha sottolineato il Pontefice, il pericolo è quello di soccombere alla «tentazione di un cristianesimo senza croce. Un cristianesimo a metà cammino. Questa è una tentazione». Ma ce n’è un’altra, ha aggiunto il Pontefice, «quella di un cristianesimo con la croce senza Gesù» della quale, ha detto, forse parlerà in un’altra occasione. E riprendendo il tema dell’omelia, il Papa ha spiegato che si tratta della «tentazione del trionfalismo». «Noi vogliamo il trionfo adesso — ha detto — senza andare sulla croce. Un trionfo mondano, un trionfo ragionevole». Per fare un esempio ha citato l’episodio evangelico nel quale si racconta che il diavolo, dopo la provocazione del tempio, propone a Gesù un patto: «tu mi adori e io ti do tutto». E «questo — ha fatto notare il Papa — purché non arrivasse a fare quello che il Padre voleva che Gesù facesse».

«Il trionfalismo nella Chiesa ferma la Chiesa — ha proseguito il Papa —. Il trionfalismo di noi cristiani ferma i cristiani. Una Chiesa trionfalista è una Chiesa a metà cammino». Una Chiesa che si accontentasse di essere «ben sistemata, con tutti gli uffici, tutto a posto, tutto bello, efficiente», ma che rinnegasse i martiri sarebbe «una Chiesa che soltanto pensa ai trionfi, ai successi; che non ha quella regola di Gesù: la regola del trionfo tramite il fallimento. Il fallimento umano, il fallimento della croce. E questa è una tentazione che tutti noi abbiamo».

E in proposito il Papa ha ricordato un episodio della sua vita: «Una volta, ero in un momento buio della mia vita spirituale, e chiedevo una grazia dal Signore. Sono andato a predicare gli esercizi dalle suore e l’ultimo giorno si sono confessate. È venuta a confessarsi una suora anziana, più di ottant’anni, ma con gli occhi chiari, proprio luminosi. Era una donna di Dio. Poi alla fine l’ho vista tanto donna di Dio che le ho detto: “suora, come penitenza preghi per me, perché ho bisogno di una grazia, eh? Se lei la chiede al Signore, me la darà sicuro”. Lei si è fermata un attimo, come se pregasse, e mi ha detto questo: “Sicuro che il Signore le darà la grazia ma, non si sbagli: con il suo modo divino”. Questo mi ha fatto tanto bene: sentire che il Signore ci dà sempre quello che chiediamo ma lo fa con il suo modo divino». Questo modo, ha spiegato il Papa, «coinvolge la croce. Non per masochismo, no no: per amore, per amore fino alla fine».

 Concludendo l’omelia il Santo Padre ha invitato tutti a chiedere al Signore «la grazia di non essere una Chiesa a metà cammino, una Chiesa trionfalista, dei grandi successi». «Se la Chiesa è umile — ha detto — cammina con decisione come Gesù, va avanti, avanti, avanti!».

 Con il Santo Padre hanno concelebrato i monsignori Valério Breda, vescovo di Penedo, in Brasile, e José Manuel Garcia Cordero, vescovo di Bragança-Miranda, in Portogallo. Alla messa hanno partecipato, tra gli altri, i dipendenti del servizio laboratori e impianti del Governatorato, don Dario Edoardo Viganò, direttore del Centro Televisivo Vaticano, e monsignor Francesco Ceriotti, per decenni impegnato nell’ambito della comunicazione della Conferenza episcopale italiana, che proprio oggi festeggia il settantesimo anniversario di ordinazione sacerdotale.

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2013-05-31 Radio Vaticana

L’eternità non sarà noiosa

Sono tanti i cristiani che non conoscono la gioia. E anche quando sono in chiesa a lodare Dio, sembrano a un funerale più che a una celebrazione gioiosa. Se invece imparassero a uscire da se stessi e a rendere grazie a Dio, «capirebbero realmente cos’è quella gioia che ci rende liberi».

E proprio la gioia cristiana è stata al centro dell’omelia di Papa Francesco, questa mattina, venerdì 31 maggio, festa della Visitazione, durante la messa concelebrata nella cappella della Domus Sanctae Marthae, fra gli altri, con il cardinale Jozef Tomko. Tra i presenti, un gruppo di dipendenti dei Servizi tecnici del Governatorato.

«Le due letture di oggi — ha infatti esordito il Pontefice riferendosi ai brani tratti dal libro del profeta Sofonia (3, 14-18) e dal vangelo di Luca (1, 39-56) — ci parlano di gioia, di allegria: “rallegrati, grida di gioia”, dice Sofonia. Gridare di gioia. Forte questo! “Il Signore in mezzo a te”; non temere; “non lasciarti cadere le braccia”! Il Signore è potente; gioirà per te. Anche lui gioirà per noi. Anche lui è gioioso. “Esulterà per te con grida di gioia”. Sentite quante cose belle si dicono della gioia!».

Nel racconto evangelico la gioia caratterizza la visita di Maria a Elisabetta. «La Madonna va a fare visita a Elisabetta» ha ricordato il Santo Padre. E presentando l’immagine di Maria come madre che va sempre in fretta — così come aveva fatto domenica scorsa nella parrocchia romana dei Santi Elisabetta e Zaccaria — Papa Francesco si è soffermato su quel «sussulto del bimbo nel grembo di Elisabetta» rivelato da lei stessa a Maria: «Ecco, appena il tuo saluto è giunto alle mie orecchie, il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo».

«Tutto è gioia. Ma noi cristiani — ha notato il vescovo di Roma — non siamo tanto abituati a parlare di gioia, di allegria. Credo che tante volte ci piacciano più le lamentele! Cosa è la gioia? La chiave per capire questa  gioia è quello che dice il vangelo: “Elisabetta fu colmata di Spirito Santo”. Quello che ci dà la gioia è lo Spirito Santo. Anche nella prima preghiera della messa abbiamo chiesto la grazia della docilità allo Spirito Santo, quello che ci dà la gioia».

Il Papa ha parlato poi di un altro aspetto della gioia che ci viene dallo Spirito. «Pensiamo — ha detto — a quel momento in cui la Madonna e san Giuseppe portano Gesù al tempio per compiere la Legge. Il vangelo dice che loro vanno a fare quello che stava scritto nella Legge». Lì sono anche due anziani; ma, ha notato, il Vangelo non dice che essi sono andati lì per compiere la Legge, quanto piuttosto perché spinti dalla «forza dello Spirito Santo. Lo Spirito li porta al tempio». Tanto che, davanti a Gesù, i due «fanno una preghiera di lode: ma questo è il messia, benedetto il Signore! E anche fanno una liturgia spontanea di gioia». È la fedeltà maturata in tanti anni in attesa dello Spirito Santo a far sì che «questo Spirito venga e dia loro la gioia».

«A me — ha poi confidato Papa Francesco — piace pensare: i giovani compiono la Legge; gli anziani hanno la libertà di lasciare che lo Spirito li guidi. E questo è bellissimo! È proprio lo Spirito che ci guida. Lui è l’autore della gioia, il creatore della gioia. E questa gioia nello Spirito ci dà la vera libertà cristiana. Senza gioia noi cristiani non possiamo diventare liberi. Diventiamo schiavi delle nostre tristezze».

Quindi il Pontefice ha citato «il grande Paolo VI», ricordando che diceva «non si può portare avanti il Vangelo con cristiani tristi, sfiduciati, scoraggiati; non si può. Questo atteggiamento è un po’ funerario».  Invece la gioia cristiana deriva proprio dalla lode a Dio.

 «Ma cosa è questo lodare Dio?» si è chiesto il Papa.  «Lodare lui gratuitamente, come è gratuita la grazia che lui ci dà» è stata la sua risposta. Poi, rivolgendosi a uno dei presenti alla celebrazione, ha detto: «Io posso fare la domanda a lei che è qui a messa: lei, loda Dio? O soltanto chiede a Dio e ringrazia Dio? Ma loda Dio?». Questo, ha ripetuto, significa «uscire da noi stessi per lodare Dio, perdere il tempo lodando».

A questo punto il Pontefice ha fatto riferimento a una delle critiche che spesso viene rivolta ai sacerdoti: «Questa messa che fate è lunga». Certo, ha spiegato rivolgendosi ancora ai presenti, «se tu non lodi Dio e non conosci la gratuità del perdere il tempo lodando a Dio, certo che è lunga la messa! Ma se tu vai a questo atteggiamento della gioia, della lode a Dio, questo è bello». Del resto, «l’eternità sarà questa: lodare Dio. Ma questo non sarà noioso, sarà bellissimo. Questa gioia ci fa liberi».

«E voglio aggiungere — ha detto in conclusione — un’ultima cosa: è proprio lei, la Madonna che porta le gioie. La Chiesa la chiama causa della nostra gioia, causa nostrae letitiae, Perché? Perché porta la gioia nostra più grande, porta Gesù. E portando Gesù fa sì che “questo bambino sussulti nel grembo della madre”. Lei porta Gesù. Lei con la sua preghiera fa sì che lo Spirito Santo irrompa. Irrompe quel giorno di Pentecoste; era là. Dobbiamo pregare la Madonna perché portando Gesù ci dia la grazia della gioia, della libertà; ci dia la grazia di lodare, di fare una preghiera di lode gratuita, perché lui è degno di lode, sempre».


[SM=g1740733]


[Modificato da Caterina63 31/05/2013 17:19]
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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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[SM=g1740758] Papa Francesco: non sono le opere sociali che fanno la Chiesa ma lo scandalo della Croce


2013-06-01 Radio Vaticana
“La Chiesa non è un’organizzazione di cultura”, ma è “la famiglia di Gesù”: è quanto sottolineato da Papa Francesco nella Messa di stamani alla Casa Santa Marta.
Il Papa ha ribadito che i cristiani non devono avere vergogna di vivere con lo scandalo della Croce e li ha esortati a non lasciarsi "intrappolare dallo spirito del mondo".
Alla Messa, concelebrata dal cardinale arcivescovo dell’Avana Jaime Lucas Ortega y Alamino, ha preso parte un gruppo di Gentiluomini di Sua Santità. Il servizio di Alessandro Gisotti:


Con quale autorità fai queste cose? Papa Francesco ha svolto la sua omelia partendo dalla domanda rivolta a Gesù dagli scribi e dai sommi sacerdoti. Ancora una volta, ha osservato, vogliono tendere “una trappola” al Signore, cercando di portarlo “all’angolo” di farlo sbagliare. Ma qual è, si chiede il Papa, il problema che questa gente aveva con Gesù? Sono forse i miracoli che faceva? No, non è questo. In realtà, ha affermato, “il problema che scandalizzava questa gente era quello che i demoni gridavano a Gesù: ‘Tu sei il Figlio di Dio, Tu sei il Santo!”.
Questo “è il centro”, questo scandalizza di Gesù: “Lui è Dio che si è incarnato”.

Anche a noi, ha proseguito, “ci tendono trappole nella vita”, ma ciò che “scandalizza della Chiesa è il mistero dell’Incarnazione del Verbo”. E "questo non si tollera, questo il demonio non lo tollera”:

“Quante volte si sente dire: ‘Ma, voi cristiani, siate un po’ più normali, come le altre persone, ragionevoli!’. Questo è un discorso da incantatori di serpenti, proprio: ‘Ma, siate così, no?, un po’ più normali, non siate tanto rigidi …’. Ma dietro a questo c’è: ‘Ma, non venite con storie, che Dio s’è fatto uomo’! L’Incarnazione del Verbo, quello è lo scandalo che c’è dietro! Noi possiamo fare tutte le opere sociali che vogliamo, e diranno: ‘Ma che brava, la Chiesa, che buona l’opera sociale che fa la Chiesa’. Ma se noi diciamo che noi facciamo questo perché quelle persone sono la carne di Cristo, viene lo scandalo. E quella è la verità, quella è la rivelazione di Gesù: quella presenza di Gesù incarnato”.

E “questo è il punto”, ha sottolineato Papa Francesco: “Sempre ci sarà la seduzione di fare cose buone senza lo scandalo del Verbo Incarnato, senza lo scandalo della Croce”. Dobbiamo invece “essere coerenti con questo scandalo, con questa realtà che fa scandalizzare”. E’ “meglio così: la coerenza della fede”. Il Papa ha, quindi, rammentato quanto afferma l’Apostolo Giovanni: “Quelli che negano che il Verbo è venuto nella carne sono dell’anticristo, sono l’anticristo”.

D’altronde, ha detto ancora, “soltanto quelli che dicono che il Verbo è venuto nella carne sono dello Spirito Santo”.
Papa Francesco ha dunque affermato che “ci farà bene a tutti noi pensare questo: la Chiesa non è un’organizzazione di cultura, anche di religione, anche sociale”:

“La Chiesa è la famiglia di Gesù. La Chiesa confessa che Gesù è il Figlio di Dio venuto nella carne: quello è lo scandalo, e per questo perseguitavano Gesù. E alla fine, quello che non aveva voluto dire Gesù, a questi – ‘Con che autorità fai questo?’ – lo dice al Sommo sacerdote. ‘Ma, alla fine di': Tu sei il Figlio di Dio?’ – ‘Sì!’. Condannato a morte, per quello. Questo è il centro della persecuzione. Se noi diventiamo cristiani ragionevoli, cristiani sociali, cristiani di beneficienza soltanto, quale sarà la conseguenza? Che non avremo mai martiri: quella sarà la conseguenza”.
Quando invece noi cristiani diciamo questa verità, che “Il Figlio di Dio è venuto e si è fatto carne”, quando noi – ha proseguito il Papa – “predichiamo lo scandalo della Croce, verranno le persecuzioni, verrà la Croce” e ciò “sarà buono”, “così è la nostra vita”:
“Chiediamo al Signore di non avere vergogna di vivere con questo scandalo della Croce. E anche la saggezza: chiediamo la saggezza di non lasciarci intrappolare dallo spirito del mondo, che sempre ci farà proposte educate, proposte civili, proposte buone ma dietro a quelle c’è proprio la negazione del fatto che il Verbo è venuto nella carne, dell’Incarnazione del Verbo. Che alla fine è quello che scandalizza quelli che perseguitano Gesù, è quello che distrugge l’opera del diavolo. Così sia”.


[SM=g1740771]

Quanto male fanno i corrotti nelle comunità cristiane!......

2013-06-03 L’Osservatore Romano

Il pensiero di Papa Francesco è andato questa mattina, lunedì 3 giugno, al predecessore Giovanni XXIII — «un modello di santità» l’ha definito — per ricordarne il cinquantesimo anniversario della morte, ma anche e soprattutto per rilanciarne la testimonianza in un tempo in cui, persino nella Chiesa, c’è chi sceglie la strada della corruzione piuttosto che quella dell’amore come risposta al dono di Dio per l’uomo.

Alla testimonianza della santità il Pontefice ha fatto cenno già nella preghiera iniziale della messa a Santa Marta — concelebrata, tra gli altri, dal cardinale Angelo Amato, prefetto della Congregazione delle cause dei santi — quando ha ricordato la ricorrenza dei santi Carlo Lwanga e compagni, i martiri d’Uganda. Alla liturgia erano presenti, tra gli altri, i dipendenti della Congregazione delle cause dei santi e un gruppo di gentiluomini di Sua Santità.

Papa Francesco durante l’omelia ha voluto condividere con i partecipanti alcune riflessioni sul vangelo di Marco (12,1-12).
«Mi viene da pensare — ha esordito — alle tre figure di cristiani nella Chiesa: i peccatori, i corrotti, i santi. Dei peccatori non è necessario parlare troppo, perché tutti noi lo siamo. Ci conosciamo da dentro e sappiamo cosa è un peccatore. E se qualcuno di noi non si sente così, vada a farsi una visita dal medico spirituale: qualcosa non va».
La figura sulla quale il Santo Padre si è soffermato di più è stata quella dei corrotti. Nella parabola evangelica, ha spiegato, Gesù parla dell’amore grande del proprietario di una vigna, simbolo del popolo di Dio: «Lui ci ha chiamati con amore, ci custodisce. Ma poi ci dà la libertà, ci dà tutto questo amore “in affitto”. È come se dicesse a noi: Guarda e custodisci tu il mio amore come io custodisco te. È il dialogo fra Dio e noi: custodire l’amore. Tutto comincia con questo amore».

 Poi però i contadini ai quali la vigna è affidata «si sono sentiti forti, si sono sentiti autonomi da Dio», ha spiegato il Santo Padre. E così «si sono impadroniti di quella vigna; e hanno perso il rapporto con il padrone della vigna: I padroni siamo noi! E quando va qualcuno a ritirare da loro la parte del raccolto della vigna che spetta al padrone, lo bastonano, lo insultano, lo ammazzano». Questo significa perdere il rapporto con Dio, non avvertire più il bisogno «di quel padrone». È ciò che fanno i «corrotti, quelli che erano peccatori come tutti noi, ma hanno fatto un passo avanti»: si sono «consolidati nel peccato e non sentono il bisogno di Dio». O almeno, si illudono di non sentirlo, perché — ha spiegato il Papa — «nel codice genetico c’è questo rapporto a Dio. E siccome non possono negarlo, si fanno un Dio speciale: loro stessi».

Ecco chi sono i corrotti. E «questo è un pericolo anche per noi: diventare corrotti. Ce ne sono nelle comunità cristiane e fanno tanto male. Gesù parla ai dottori della legge, ai farisei, che erano corrotti. E dice loro che sono sepolcri imbiancati. E nelle comunità cristiane i corrotti sono così. Si dice: Ah, è buon cristiano, appartiene a tal confraternita; buono, buono, è uno di noi. Ma niente: sono per se stessi. Giuda ha incominciato da peccatore avaro, è finito nella corruzione. È una strada pericolosa, la strada dell’autonomia. I corrotti sono grandi smemorati, hanno dimenticato questo amore con il quale il Signore ha fatto la vigna, ha fatto loro. Hanno tagliato il rapporto con questo amore. E loro diventano adoratori di se stessi. Quanto male fanno i corrotti nelle comunità cristiane! Il Signore ci liberi dallo scivolare sulla strada della corruzione!».

Ma nella Chiesa ci sono anche i santi. «E adesso — ha detto il Pontefice — mi piace parlare dei santi; e mi piace farlo nel cinquantesimo della morte di Papa Giovanni, modello di santità». Nella parabola del Vangelo i santi, ha spiegato Papa Francesco, «sono quelli che vanno a prendere l’affitto e loro sanno cosa li aspetta. Ma devono farlo e fanno il loro dovere. I santi: quelli che ubbidiscono al Signore, quelli che adorano il Signore, quelli che non hanno perso la memoria dell’amore con il quale il Signore ha fatto la vigna. I santi nella Chiesa. E così come i corrotti fanno tanto male alla Chiesa, i santi fanno tanto bene».

E ha concluso: «Dei corrotti l’apostolo Giovanni dice che sono l’anticristo, che sono in mezzo a noi, ma non sono di noi. Dei santi la parola di Dio ci parla come di luce: quelli che saranno davanti al trono di Dio, in adorazione. Chiediamo oggi al Signore la grazia di sentirci peccatori. Ma davvero peccatori. La grazia di non diventare corrotti: peccatori sì, corrotti no. E la grazia di andare sulla strada della santità».




[SM=g1740771]

- Avere il coraggio della "verità" giacché l'"ipocrisia è il linguaggio della corruzione". Respingere quella debolezza per cui ci piace che si parli bene di noi, quel "linguaggio persuasivo che porta invece all'errore, alla menzogna".
Il Papa durante la messa a S.Marta mette in guardia contro l'"idolatria narcisista". Quella "debolezza interiore", della "vanità", per cui "ci piace che dicano cose buone di noi".I "corrotti lo sanno" e "con questo linguaggio cercano di indebolirci".


2013-06-04 Radio Vaticana
Un cristiano non usa un “linguaggio socialmente educato”, incline all’ipocrisia, ma si fa portavoce della verità del Vangelo con la stessa trasparenza dei bambini.


Dai corrotti alla loro lingua preferita: l’ipocrisia.


La scena evangelica del tributo a Cesare, e della subdola richiesta dei farisei e degli erodiani a Cristo sulla legittimità di quel tributo, fornisce a Papa Francesco una riflessione in stretta continuità con l’omelia di ieri. L’intenzione con cui si avvicinano Gesù, afferma, è quella di farlo “cadere nella trappola”. La loro domanda se sia lecito o no pagare le tasse a Cesare viene posta – rileva il Papa – “con parole morbide, con parole belle, con parole troppo zuccherate”. “Cercano – soggiunge – di mostrarsi amici”. Ma è tutto falso. Perché, spiega Papa Francesco, “questi non amano la verità” ma soltanto se stessi, “e così cercano di ingannare, di coinvolgere l’altro nellaloromenzogna, nellalorobugia.

Loro hanno il cuore bugiardo, non possono dire la verità”:

“E’ proprio il linguaggio della corruzione, l’ipocrisia. E quando Gesù parla ai suoi discepoli, dice: ‘Ma il vostro parlare sia ‘Sì, sì! No, no!’. L’ipocrisia non è un linguaggio di verità, perché la verità mai va da sola. Mai! Va sempre con l’amore! Non c’è verità senza amore. L’amore è la prima verità. Se non c’è amore, non c’è verità. Questi vogliono una verità schiava dei propri interessi. C’è un amore, possiamo dire: ma è l’amore di se stessi, l’amore a se stessi. Quell’idolatria narcisista che li porta a tradire gli altri, li porta agli abusi di fiducia”.

Quello che sembra un “linguaggio persuasivo”, insiste Papa Francesco, porta invece “all’errore, alla menzogna”. E, sul filo dell’ironia, osserva che quelli che oggi avvicinano Gesù e “sembrano tanto amabili nel linguaggio, sono gli stessi che andranno giovedì, la sera, a prenderlo nell’Orto degli Ulivi, e venerdì lo porteranno da Pilato”. Invece, Gesù chiede esattamente il contrario a chi lo segue, una lingua “sì, sì, no, no”, una “parola di verità e con amore”:
“E la mitezza che Gesù vuole da noi non ha niente, non ha niente di questa adulazione, con questo modo zuccherato di andare avanti. Niente! La mitezza è semplice; è come quella di un bambino. E un bambino non è ipocrita, perché non è corrotto. Quando Gesù ci dice: ‘Il vostro parlare sia ‘Sì, sì! No, no!’ con anima di bambini, dice il contrario del parlare di questi”.

L’ultima considerazione riguarda quella “certa debolezza interiore”, stimolata dalla “vanità”, per cui, constata Papa Francesco, “ci piace che dicano cose buone di noi”. Questo i “corrotti lo sanno” e "con questo linguaggio cercano di indebolirci”:
“Pensiamo bene oggi: qual è la nostra lingua? Parliamo in verità, con amore, o parliamo un po’ con quel linguaggio sociale di essere educati, anche di dire cose belle, ma che non sentiamo? Che il nostro parlare sia evangelico, fratelli! Poi, questi ipocriti che cominciano con la lusinga, l’adulazione e tutto questo, finiscono, cercando falsi testimoni per accusare chi avevano lusingato. Chiediamo oggi al Signore che il nostro parlare sia il parlare dei semplici, parlare da bambino, parlare da figli di Dio, parlare in verità dall’amore”.


[SM=g1740771]


Messa a Santa Marta 5.6.2013

Nel sottosuolo dell'esistenza
l'importanza della PREGHIERA

Per le persone che vivono "nel sottosuolo dell'esistenza", in condizioni "al limite", e che hanno perso la speranza ha pregato Papa Francesco durante la messa di stamane, mercoledì 5 giugno, nella cappella della Domus Sanctae Marthae.

Tra gli altri, hanno concelebrato il cardinale Antonio Cañizares Llovera, prefetto della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, e padre Anthony Ward, sottosegretario, che accompagnavano officiali e dipendenti del dicastero. Tra i presenti, anche un gruppo della Biblioteca Apostolica Vaticana con il prefetto, monsignor Cesare Pasini.

L'invito a rivolgere il pensiero ai tanti che sperimentano situazioni di abbandono e "di sofferenza esistenziale" è stato suggerito dalle letture liturgiche. Nella prima, tratta dal libro di Tobia (3, 1-11.16-17), il Papa ha individuato nelle esperienze di Tobit e di Sara le storie di due persone sofferenti, al limite della disperazione, in bilico tra la vita e la morte. Entrambe sono in cerca di "una via d'uscita", che trovano lamentandosi. "Non bestemmiano, ma si lamentano" ha puntualizzato il Santo Padre.

"Lamentarsi davanti a Dio non è peccato" ha affermato. E subito dopo ha raccontato: "Un prete, che io conosco, una volta ha detto a una donna che si lamentava davanti a Dio per le sue calamità: Ma signora, quella è una forma di preghiera, vada avanti. Il Signore sente, ascolta i nostri lamenti".

Il Pontefice ha quindi ricordato l'esempio di Giobbe e di Geremia che, ha notato, "si lamentano anche con una maledizione: non al Signore, ma per quella situazione". Del resto, ha aggiunto, lamentarsi "è umano", anche perché "sono tante le persone in questo stato di sofferenza esistenziale". E facendo riferimento alla fotografia del bambino denutrito pubblicata ieri pomeriggio sulla prima pagina dell'Osservatore Romano, ha chiesto: "Quanti ce ne sono così? Pensiamo alla Siria, ai rifugiati, a tutti questi?". E "pensiamo agli ospedali: quanti, con malattie terminali, soffrono questo?".

La risposta è stata offerta da Papa Francesco riferendosi al terzo personaggio proposto nella liturgia odierna: la donna descritta nel brano evangelico (Marco, 12, 18-27). Rivolgendosi a Gesù i sadducei la presentavano, ha sottolineato il Santo Padre, come in "un laboratorio, tutto asettico, un caso di morale". Invece "quando noi parliamo di queste persone, che sono in situazioni al limite", dobbiamo farlo "con il cuore vicino a loro"; dobbiamo pensare "a questa gente, che soffre tanto, con il nostro cuore, con la nostra carne".

E ha detto di non apprezzare "quando si parla di queste situazioni in maniera accademica e non umana", ricorrendo magari solo a statistiche. "Nella Chiesa ci sono tante persone in questa situazione" e a chi chiede cosa si debba fare la risposta del Pontefice è "quello che dice Gesù: pregare, pregare per loro". Le persone che soffrono - ha spiegato - "devono entrare nel mio cuore, devono essere un'inquietudine per me. Il mio fratello soffre, la mia sorella soffre; ecco il mistero della comunione dei santi. Pregare: Signore guarda quello, piange, soffre. Pregare, permettetemi di dirlo, con la carne". Pregare con la nostra carne, dunque, "non con le idee; pregare con il cuore" ha ribadito.

Infine il Pontefice ha messo in luce come nella prima lettura ci sia una "parolina che apre la porta alla speranza" e che può aiutare nella preghiera. È l'espressione "nello stesso momento": quando Tobi pregava, "nello stesso momento" Sara pregava; e "nello stesso momento" la preghiera di entrambi fu accolta davanti alla gloria di Dio. "La preghiera - ha detto il Pontefice - arriva sempre alla gloria di Dio. Sempre, quando è preghiera del cuore". Invece, quando si guarda alle situazioni di sofferenza solo come a "un caso di morale", essa "non arriva mai, perché non esce mai da noi stessi, non ci interessa, è un gioco intellettuale".

Da qui l'invito a pensare ai sofferenti. È una condizione che Gesù conosce bene, fino al limite estremo dell'abbandono sulla croce. "Parliamo con Gesù oggi a messa - ha concluso Papa Francesco - di tutti questi fratelli e sorelle che soffrono tanto, che sono in questa situazione. Perché la nostra preghiera arrivi e sia un po' di speranza per tutti noi".



(L'Osservatore Romano 6 giugno 2013)


[Modificato da Caterina63 05/06/2013 21:37]
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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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06/06/2013 18:37
 
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[SM=g1740758] Messa del Pontefice a Santa Marta 6.6.2013

Per smascherare gli idoli nascosti

    È un invito a scoprire «gli idoli nascosti nelle tante pieghe che abbiamo nella nostra personalità», a «cacciare via l'idolo della mondanità, che ci porta a diventare nemici di Dio» quello rivolto da Papa Francesco durante la messa di stamattina, giovedì 6 giugno, nella cappella della Domus Sanctae Marthae. Fra i presenti, tra gli altri, dipendenti della Biblioteca Apostolica Vaticana e della Pontificia Università Lateranense.

    L'esortazione a intraprendere «la strada dell'amore a Dio», a mettersi in «cammino per arrivare» al suo regno è stata il coronamento di una riflessione incentrata sul brano del vangelo di Marco (12, 28-34), in cui Gesù risponde allo scriba che lo interroga su quale sia il più importante di tutti i comandamenti.

La prima annotazione del Pontefice è che Gesù non risponde con una spiegazione ma usando la parola di Dio: «Ascolta, Israele! Il Signore nostro Dio è l'unico Signore». Queste, ha detto, «non sono parole di Gesù». Infatti, egli si rivolge allo scriba come aveva fatto con Satana nelle tentazioni, «con la parola di Dio; non con le sue parole». E lo fa utilizzando «il credo d'Israele, quello che gli ebrei tutti i giorni, e parecchie volte al giorno, dicono: Shemà Israel! Ricordati Israele, di amare solo Dio».


    In proposito il Pontefice ha confidato di ritenere che lo scriba in questione forse «non era un santo, e andava un po' a mettere alla prova Gesù o anche a farlo cadere in una trappola». Insomma le sue intenzioni non erano delle migliori, perché «quando Gesù risponde con la parola di Dio» vuol dire che c'è di mezzo una tentazione.
«E questo si vede anche quando lo scriba gli dice: hai detto bene maestro», dando l'impressione di approvarne la risposta. Per questo Gesù gli risponde «non sei lontano dal Regno di Dio. Tu sai bene la teoria, tu sai bene che questo è così, ma non sei lontano. Ancora ti manca qualcosa per arrivare al Regno di Dio». Questo significa che c'è da intraprendere «un cammino per arrivare al Regno di Dio»; occorre «mettere in pratica di questo comandamento».


    Di conseguenza, «la confessione di Dio si fa nella vita, nel cammino della vita; non basta - ha avvertito il Papa - dire: io credo in Dio, l'unico»; ma bisogna chiedersi come si vive questo comandamento. In realtà, spesso si continua a «vivere come se lui non fosse l'unico Dio» e come se ci fossero «altre divinità a nostra disposizione».
È quello che Papa Francesco definisce «il pericolo dell'idolatria», la quale «è portata a noi con lo spirito del mondo». E Gesù su questo è sempre stato chiaro: «Lo spirito del mondo no». Tanto che nell'ultima cena «chiede al Padre che ci difenda dallo spirito del mondo, perché esso ci porta all'idolatria». Anche l'apostolo Giacomo, nel quarto capitolo della sua lettera, ha idee molto chiare: chi è amico del mondo è nemico di Dio. Non c'è un'altra opzione. Lo stesso Gesù aveva usato parole simili, ha ricordato il Santo Padre: «O Dio o il denaro; non si può servire i soldi e Dio».


    Per Papa Francesco è lo spirito del mondo che ci porta all'idolatria e lo fa con furbizia. «Io sono sicuro - ha detto - che nessuno di noi va davanti a un albero per adorarlo come un idolo»; che «nessuno di noi ha statue da adorare in casa propria».
Ma, ha messo in guardia, «l'idolatria è sottile; noi abbiamo i nostri idoli nascosti, e la strada della vita per arrivare, per non essere lontani dal regno di Dio, è una strada che comporta scoprire gli idoli nascosti». Ed è un compito impegnativo, visto che spesso li teniamo «ben nascosti». Come fece Rachele quando fuggì con il marito Giacobbe dalla casa di suo padre Labano, e avendogli sottratto gli idoli, li nascose sotto la cavalcatura su cui si era seduta. Così quando il padre la invitò ad alzarsi, rispose «con scuse, con argomentazioni» per occultare gli idoli. Lo stesso, secondo il Papa, facciamo anche noi, che teniamo i nostri idoli «nascosti nelle nostre cavalcature». Per questo «dobbiamo cercarli e dobbiamo distruggerli, come Mosè ha distrutto l'idolo d'oro nel deserto».


    Ma come smascherare questi idoli?
Il Santo Padre ha offerto un criterio di valutazione: sono quelli che fanno fare il contrario del comandamento: «Ascolta, Israele! Il Signore nostro Dio è l'unico Signore».
Perciò «la strada dell'amore a Dio - amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore e tutta la tua anima - è una strada d'amore; è una strada di fedeltà».
Al punto che «al Signore piace fare la comparazione di questa strada con l'amore nuziale. Il Signore chiama la sua Chiesa, sposa; la nostra anima, sposa». Parla cioè di «un amore che somiglia tanto all'amore nuziale, l'amore di fedeltà». E quest'ultima ci impone «di cacciare via gli idoli, di scoprirli», perché ci sono e sono ben «nascosti, nella nostra personalità, nel nostro modo di vivere»; e ci rendono infedeli nell'amore. Non è un caso infatti che l'apostolo Giacomo, quando ammonisce: «chi è amico del mondo è nemico di Dio» incomincia rimproverandoci e usando il termine "adulteri", perché «chi è amico del mondo è un idolatra e non è fedele all'amore di Dio».


    Gesù dunque propone «una strada di fedeltà», secondo un'espressione che Papa Francesco ritrova in una delle lettere dell'apostolo Paolo a Timoteo: «Se tu non sei fedele al Signore, lui rimane fedele, perché non può rinnegare se stesso. Lui è la fedeltà piena. Lui non può essere infedele. Tanto è amore che ha per noi». Mentre noi, «con le piccole o non tanto piccole idolatrie che abbiamo, con l'amore allo spirito del mondo», possiamo diventare infedeli. La fedeltà è l'essenza di Dio che ci ama. Da qui l'invito conclusivo a pregare così: «Signore, tu sei tanto buono, insegnami questa strada per essere ogni giorno meno lontano dal regno di Dio; questa strada per cacciare via tutti gli idoli. È difficile - ha ammesso il Pontefice - ma dobbiamo cominciare».



(L'Osservatore Romano 7 giugno 2013)



[SM=g1740771]



2013-06-07 Radio Vaticana
Lasciarci amare dal Signore con tenerezza è difficile ma è quanto dobbiamo chiedere a Dio: è l’invito di Papa Francesco nella Messa di stamani a “Santa Marta”, parlando dell’odierna solennità del Sacratissimo Cuore di Gesù.

Era presente il personale dell’Archivio Segreto Vaticano: a concelebrare l’archivista di Santa Romana Chiesa, mons. Jean-Louis Bruguès, e il prefetto, mons. Sergio Pagano. Il servizio di Benedetta Capelli:



Gesù ci ha amato tanto non con le parole ma con le opere e con la sua vita. Papa Francesco lo ripete più volte nell’omelia di oggi, nella solennità del Sacratissimo Cuore di Gesù che lui stesso definisce “la festa dell’amore”, di un “cuore che ha amato tanto”. Un amore che, come ripeteva Sant’Ignazio, “si manifesta più nelle opere che nelle parole” e che è soprattutto “più dare che ricevere”. “Questi due criteri – evidenzia il Papa – sono come i pilastri del vero amore” ed è il Buon Pastore a rappresentare in tutto l’amore di Dio.

Lui conosce una per una le sue pecorelle, “perché – aggiunge Papa Francesco – l’amore non è un amore astratto o generale: è l’amore verso ognuno”:

“Un Dio che si fa vicino per amore, cammina con il suo popolo e questo camminare arriva ad un punto che è inimmaginabile. Mai si può pensare che lo stesso Signore si fa uno di noi e cammina con noi, rimane con noi, rimane nella sua Chiesa, rimane nell’Eucarestia, rimane nella sua Parola, rimane nei poveri, rimane con noi camminando. E questa è vicinanza: il pastore vicino al suo gregge, vicino alle sue pecorelle, che conosce una ad una”.

Spiegando ancora un passaggio del Libro del profeta Ezechiele, il Papa mette in luce un altro aspetto dell’amore di Dio: la cura per la pecora smarrita e per quella ferita e malata:
“Tenerezza! Ma il Signore ci ama con tenerezza. Il Signore sa quella bella scienza delle carezze, quella tenerezza di Dio. Non ci ama con le parole. Lui si avvicina – vicinanza – e ci dà quell’amore con tenerezza. Vicinanza e tenerezza! Queste due maniere dell’amore del Signore che si fa vicino e dà tutto il suo amore con le cose anche più piccole: con la tenerezza. E questo è un amore forte, perché vicinanza e tenerezza ci fanno vedere la fortezza dell’amore di Dio”.

“Ma amate voi come io vi ho amato?” è questa la domanda che Papa Francesco pone, sottolineando come l’amore debba “farsi vicino al prossimo”, debba essere “come quello del buon samaritano” e in particolare nel segno della “vicinanza e tenerezza”. Ma come restituire tutto questo amore al Signore? È l’altro punto sul quale il Pontefice si sofferma: senz’altro “amandolo”, farsi “vicini a Lui”, “teneri con Lui”, ma questo non basta:
“Questa può sembrare un’eresia, ma è la verità più grande! Più difficile che amare Dio è lasciarci amare da Lui! La maniera di ridare tanto amore è aprire il cuore e lasciarci amare. Lasciare che Lui si faccia vicino a noi e sentirlo vicino. Lasciare che Lui si faccia tenero, ci carezzi. Quello è tanto difficile: lasciarci amare da Lui. E questo è forse quello che dobbiamo chiedere oggi nella Messa: ‘Signore io voglio amarti, ma insegnami la difficile scienza, la difficile abitudine di lasciarmi amare da Te, di sentirti vicino e di sentirti tenero!’. Che il Signore ci dia questa grazia!”.

*****

Dall'Osservatore Romano:

La "scienza della carezza" manifesta due pilastri dell'amore: la vicinanza e la tenerezza. E «Gesù conosce bene questa bella scienza». Lo ha detto Papa Francesco celebrando questa mattina, venerdì 7 giugno, la messa della solennità del Sacratissimo Cuore di Gesù, nella cappella della Domus Sanctae Marthae. Hanno concelebrato, tra gli altri, l'arcivescovo Jean-Louis Bruguès, archivista e bibliotecario di Santa Romana Chiesa, e il vescovo Sergio Pagano, prefetto dell'Archivio Segreto Vaticano, che accompagnavano un gruppo di dipendenti dell'istituzione.


Riferendosi alle letture del giorno - tratte dal libro del profeta Ezechiele (34, 11-16), dalla lettera di san Paolo ai Romani (5, 5-11) e dal vangelo da Luca (15, 3-7) - il Pontefice ha definito la solennità del Sacro Cuore di Gesù come la «festa dell'amore»: Gesù «ha voluto mostrarci il suo cuore, come il cuore che ha amato tanto. Perciò oggi facciamo questa commemorazione. Soprattutto dell'amore di Dio. Dio ci ha amato, ci ha amato tanto. Penso a quello che sant'Ignazio ci diceva, diceva a noi. Ci ha indicato due criteri sull'amore. Primo: l'amore si manifesta più nelle opere che nelle parole. Secondo: l'amore sta più nel dare che nel ricevere».

Sono i due criteri di cui «Paolo nella seconda lettura ci dice: Quando eravamo ancora deboli Gesù, nel tempo stabilito, morì per gli empi. Gesù ci ha amato non con le parole ma con le opere, con la sua vita. E ci ha dato, ci ha donato senza ricevere niente da noi. Questi due criteri sono come i pilastri del vero amore: le opere e il darsi». Spiegando il senso di questi due criteri, il Santo Padre ha notato che il darsi di Gesù è ben reso dalla figura del buon samaritano. «Oggi - ha detto - la liturgia ci fa vedere l'amore di Dio nella figura del pastore. Nel cantico responsoriale abbiamo detto quel bel salmo [22]: Il Signore è il mio pastore. Il Signore si manifesta al suo popolo anche come pastore».

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2013-06-09 L’Osservatore Romano

La Parola di Dio, quella che solo all’ascolto “provoca stupore”, va custodita gelosamente nel profondo del cuore.

Lo ha detto Papa Francesco questa mattina, sabato 8 giugno, durante la messa celebrata nella cappella della Domus Sanctae Marthae. Nell’omelia il Pontefice ha posto l’accento proprio sullo stupore. Quello che colse quanti ascoltavano il dodicenne Gesù nel Tempio davanti ai dottori che lo interrogavano, come racconta il vangelo di Luca (2, 41-51), così come stupiti rimasero Giuseppe e Maria nel trovare Gesù che cercavano da tre giorni: “I dottori erano pieni di stupore – ha puntualizzato il Pontefice – e Giuseppe e Maria al vedere Gesù restarono stupiti”.
Il primo effetto della Parola di Dio è dunque quello di stupire, poiché in essa ritroviamo il senso del divino, ha notato il Santo Padre: “E poi ci dà gioia. Ma lo stupore è più che la gioia. È un momento nel quale la Parola di Dio viene seminata nel nostro cuore”.

Tuttavia non si deve vivere lo stupore solo nel momento in cui viene suscitato dalla Parola: è qualcosa da portare con sé per tutta la vita, “in una custodia”. Bisogna “custodire la Parola di Dio, e questo – ha puntualizzato Papa Francesco – lo dice il Vangelo: sua madre custodiva tutte queste cose nel suo cuore”.
Custodire la Parola di Dio: un'espressione che, ha notato ancora il Pontefice, nei racconti evangelici si incontra spesso: anche nella notte della nascita di Gesù, “dopo la visita dei pastori”, Maria “è meravigliata”.

Papa Francesco ha poi riflettuto sul significato del “custodire” la Parola di Dio e si è domandato: “Io ricevo la Parola, poi prendo una bottiglia, metto la Parola nella bottiglia e la custodisco?”. Custodire la Parola di Dio – ha risposto – “vuol dire aprire il nostro cuore” a quella Parola, “come la terra si apre per ricevere il seme. La Parola di Dio è seme e viene seminata. E Gesù ci ha detto cosa succede con il seme. Alcuni cadono lungo il cammino e vengono gli uccelli e li mangiano”, e questo accade quando la Parola non è custodita. Significa che certi “cuori non sanno riceverla”. Accade anche che altri semi cadono “in una terra con tante pietre e il seme non riesce a far radici e muore”, cioè quando non siamo capaci di questa custodia perché non siamo costanti; e quando viene una tribolazione ce ne dimentichiamo.

“La Parola anche cade in una terra non preparata – ha aggiunto il Pontefice – dove ci sono le spine, e alla fine muore” perché “non è custodita”. Ma cosa sono le spine? Lo dice Gesù stesso: “L’attaccamento alle ricchezze, i vizi, tutte queste cose. Custodire la Parola di Dio è riceverla nel nostro cuore”, ha ripetuto Papa Francesco. Ma è necessario “preparare il nostro cuore per riceverla. Meditare sempre su cosa ci dice questa Parola oggi, guardando a quello che succede nella vita”. È quello ha fatto Maria durante la fuga in Egitto e alle nozze di Cana, quando s’interrogava sul significato di questi avvenimenti. Ecco l’impegno per i cristiani: accogliere la Parola di Dio e pensare a cosa significa oggi.

“Questo – ha notato il vescovo di Roma – è un lavoro spirituale grande. Giovanni Paolo ii diceva che Maria aveva, per questo lavoro, una particolare fatica nel suo cuore. Aveva il cuore affaticato. Ma questo non è un affanno, è un lavoro: cercare cosa significa questo in questo momento; cosa mi vuol dire il Signore in questo momento”. Insomma, leggere “la vita con la Parola di Dio: questo significa custodire”. Ma significa anche fare memoria. “La memoria – ha detto in proposito il Pontefice – è una custodia della Parola di Dio, ci aiuta a custodirla, a ricordare tutto quello che il Signore ha fatto nella mia vita, tutte le meraviglie della salvezza”.

Il Papa ha poi interrogato i presenti: “Come noi oggi custodiamo la Parola di Dio? Come conserviamo questo stupore” facendo in modo che gli uccelli non mangino i “semi” e i vizi “non li soffochino?”. E ha risposto che ci farà del bene chiedercelo, proprio alla luce delle cose che accadono nella vita, esortando poi a custodire la Parola “con la nostra memoria, e anche custodirla con la nostra speranza. Chiediamo al Signore ­– ha poi concluso Papa Francesco – la grazia di ricevere la Parola di Dio e custodirla, e anche la grazia di avere un cuore affaticato in questa custodia”.


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 Messa del Papa a Santa Marta 10.6.2013
Porte aperte alla consolazione

    Perché ci sono persone che hanno il cuore chiuso alla salvezza? È su questo interrogativo che Papa Francesco ha incentrato l'omelia della messa di oggi, lunedì 10 giugno, nella cappella della Domus Sanctae Marthae.
Una domanda che trova una risposta e una spiegazione nella paura, perché - ha spiegato il Pontefice - la salvezza ci fa paura. È un'attrazione che scatena i timori più nascosti nel nostro cuore. "Abbiamo bisogno" della salvezza, ma al tempo stesso ne "abbiamo paura", perché, ha detto il Santo Padre, "quando il Signore viene per salvarci, dobbiamo dare tutto" e a quel punto "comanda lui; e di questo abbiamo paura".
Gli uomini infatti vogliono "comandare", vogliono essere "i padroni" di loro stessi. E così "la salvezza non arriva, la consolazione dello Spirito non arriva".


    Nella liturgia del giorno il brano del vangelo di Matteo (5, 1-12) sulle Beatitudini ha offerto al Papa l'occasione per una riflessione sul rapporto tra salvezza e libertà. Solo la salvezza che arriva con la consolazione dello Spirito, ha affermato, ci rende liberi: è "la libertà che nasce dallo Spirito Santo che ci salva, che ci consola, che ci dà vita".
Ma per comprendere pienamente le beatitudini e cosa significhi "essere poveri, essere miti, essere misericordiosi" - tutte cose che "non sembra" ci "portino al successo" - occorre custodire "il cuore aperto" e aver "gustato bene quella consolazione dello Spirito Santo che è salvezza".
Le Beatitudini, del resto, sono "la legge di quelli che sono stati salvati" e hanno aperto il cuore alla salvezza.
"Questa - ha aggiunto - è la legge dei liberi, con quella libertà dello Spirito Santo". Possiamo "regolare la vita, sistemarla su un elenco di comandamenti o di procedimenti", ma è un'operazione meramente umana, ha avvertito Papa Francesco. "È una cosa limitata e alla fine non ci porta alla salvezza", poiché solo un "cuore aperto" può farlo.


    In proposito il Vangelo narra che, vedendo le folle, Gesù salì sul monte. "Tra le folle  c'erano tanti che avevano bisogno di salvezza. Era il popolo di Dio che seguiva Giovanni Battista prima, poi il Signore", proprio perché bisognoso di salvezza. Ma c'erano anche altri che "andavano là per esaminare questa dottrina nuova e poi litigare con Gesù. Non avevano il cuore aperto, avevano il cuore chiuso nelle loro cose".
Si chiedevano cosa Gesù volesse cambiare, ma "siccome avevano il cuore chiuso, il Signore non poteva cambiarlo"; e purtroppo "avevano il cuore chiuso" ha aggiunto Papa Francesco.


    Perciò il Pontefice ha invitato a chiedere al Signore "la grazia di seguirlo"; ma non con la libertà dei farisei e dei sadducei, che diventarono ipocriti perché volevano "seguirlo solo con la libertà umana". L'ipocrisia è proprio questo: "Non lasciare che lo Spirito cambi il cuore con la sua salvezza. La libertà che ci dà lo Spirito è anche una sorta di schiavitù, una schiavitù al Signore che ci fa liberi. È un'altra libertà". Invece, la nostra libertà è "una schiavitù: non al Signore, ma allo spirito del mondo". Da qui l'invocazione del Papa, che ha chiesto "la grazia di aprire il nostro cuore alla consolazione dello Spirito Santo, perché questa consolazione, che è la salvezza, ci faccia capire bene" i nuovi comandamenti contenuti nel Vangelo delle beatitudini.

    Non a caso l'inizio della seconda lettera di san Paolo ai Corinzi (1, 1-7) nella liturgia del giorno parla per ben "nove volte di consolazione". Sembra un po' esagerato, ha commentato il Papa. E sottolineando che Paolo "ha bisogno di sette versetti per dire questa parola: consolazione", si è chiesto: "Perché insiste in questo? Cosa è questa consolazione?".
La lettera dell'apostolo è rivolta a cristiani "giovani nella fede", a quanti "hanno incominciato da poco la strada di Gesù".
Paolo "insiste su ciò. Nella strada di Gesù il Padre ci offre la consolazione". Questi cristiani "non erano tutti perseguitati. Erano persone normali che avevano la loro famiglia, il loro lavoro, ma avevano trovato Gesù. E questo è un cambiamento di vita tale che era necessaria una forza speciale di Dio, dello Spirito Santo; e questa forza è la consolazione".

    Cosa significa consolazione? Per Papa Francesco essa "è la presenza di Dio nel nostro cuore. Ma perché il Signore sia nel nostro cuore è necessario aprire la porta".
La conversione di questi pagani a cui scrive Paolo è consistita proprio nell'"aprire la porta al Signore". E per questo hanno avuto "la consolazione dello Spirito Santo". La salvezza è infatti "vivere nella consolazione dello Spirito Santo, non vivere nella consolazione dello spirito del mondo. Quello non è salvezza, è peccato". Al contrario, la salvezza è "andare avanti e aprire il cuore perché venga questa consolazione dello Spirito Santo".

    L'uomo corre spesso il rischio di cercare di "negoziare", di prendere quello che ci fa comodo, "un po' di qua e un po' di là". È come "fare una macedonia: un po' di Spirito Santo e un po' dello spirito del mondo". Ma con Dio non vi sono mezze misure: o si sceglie "una cosa o l'altra". Infatti, ha rimarcato il Pontefice, il "Signore lo dice chiaro: non si possono servire due padroni. O si serve il Signore o si serve lo spirito del mondo. Non si può mischiare tutto".
    Questa nuova legge che "il Signore ci porta, queste nuove Beatitudini si capiscono soltanto se uno ha il cuore aperto. Si capiscono dalla consolazione dello Spirito Santo. Non si possono capire con l'intelligenza umana o con lo spirito del mondo". Dobbiamo essere aperti alla salvezza, altrimenti "non si possono capire. Sono i nuovi comandamenti, ma se noi non abbiamo il cuore aperto allo Spirito Santo sembreranno sciocchezze".

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Povertà e lode di Dio: sono le due coordinate principali della missione della Chiesa, i "segni" che rivelano al popolo di Dio se "un apostolo vive la gratuità".
Li ha indicati Papa Francesco durante la messa di stamane, martedì 11 giugno, nella Domus Sanctae Martahe, concelebrata tra gli altri dall'arcivescovo Gerhard Ludwig Müller, prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, presenti responsabili e dipendenti dell'ex Santo'Uffizio.


La riflessione del Pontefice, prendendo spunto come di consueto dalle letture del giorno - tratte dagli Atti degli apostoli (11, 21-26; 13, 1-3) e dal vangelo di Matteo (10, 7-13) - è stata tutta incentrata sul tema della gratutità. Perché, ha spiegato, "la predicazione evangelica nasce dalla gratuità, dallo stupore della salvezza che viene; e quello che io ho ricevuto gratuitamente, devo darlo gratuitamente".

Lo si vede quando Gesù invia i suoi apostoli e dà loro le istruzioni per la missione che li attende. "Sono consegne - ha evidenziato il Santo Padre - molto semplici: non procuratevi oro, né argento, né denaro"; visto che basteranno "le cinture, la sacca di viaggio, le due tuniche, i sandali, il bastone", per il compito loro affidato. Una missione di salvezza, aggiunge Gesù, che consiste nel guarire gli infermi, risuscitare i morti, purificare i lebbrosi, scacciare i demoni.

Si tratta di una missione, ha specificato Papa Francesco, per avvicinare gli uomini al regno di Dio, per dare loro la bella notizia che il regno di Dio è vicino, anzi è arrivato. Ma - ha subito avvertito - il Signore vuole per gli apostoli "semplicità" di cuore e disponibilità a lasciare spazio "al potere della Parola di Dio".
Del resto, ha fatto notare, se essi non avessero avuto una grande "fiducia nella Parola di Dio, forse avrebbero fatto un'altra cosa", ma non avrebbero annunciato il Vangelo.


La frase chiave delle consegne di Cristo ai suoi è appunto: "gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date": parole in cui c'è tutta "la gratuità della salvezza". Perché - ha chiarito il Pontefice - "noi non possiamo predicare, annunziare il regno di Dio, senza questa certezza interiore che tutto è gratuito, tutto è grazia".
È quanto affermava sant'Agostino: Quaere causam et non invenies nisi gratiam. E quando noi agiamo senza lasciare spazio alla grazia, ha affermato il Papa, allora "il Vangelo non ha efficacia".

Del resto, che la predicazione evangelica nasca dalla gratuità lo testimoniano diversi episodi della vita dei primi apostoli. "San Pietro - ha ricordato il Santo Padre - non aveva un conto in banca e quando ha dovuto pagare le tasse, il Signore lo ha mandato al mare a pescare per trovare dentro il pesce la moneta con cui pagare". E Filippo, quando ha incontrato il ministro della regina Candace, non ha pensato di creare "un'organizzazione per sostenere il Vangelo", non ha negoziato; al contrario, "ha annunziato, ha battezzato e se n'è andato". La buona novella, dunque, si diffonde "seminando" la Parola di Dio. È lo stesso Gesù che lo dice: "il regno è come il seme che Dio dà. È un dono gratuito".

Fin dalle origini nella comunità cristiana c'è stata la "tentazione di cercare forza in altra parte che non sia la gratuità". Ma la nostra unica "forza è la gratuità del Vangelo" ha ribadito il Santo Padre, mettendo in guardia soprattutto dal rischio che l'annuncio possa sembrare proselitismo: "per quella strada - ha assicurato - non si va" da nessuna parte. E ha citato in proposito il suo predecessore Benedetto xvi, secondo il quale "la Chiesa non cresce per proselitismo" ma "per attrazione". Perché, ha aggiunto Papa Francesco, "il Signore ci ha inviato ad annunziare non a fare proseliti". E la forza di attrazione deve venire dalla testimonianza di quanti annunziano la gratuità della salvezza. "Tutto è grazia" ha ripetuto. E tra i tanti segni di questa gratuità ha individuato in particolare la povertà e la lode a Dio.

Quanto al primo, ha spiegato che l'annunzio del vangelo deve passare per la strada della povertà, per la testimonianza di questa povertà. "Non ho ricchezze, la mia ricchezza è soltanto il dono che ho ricevuto da Dio. Questa gratuità è la nostra ricchezza". Ed è una povertà, questa, che "ci salva dal diventare organizzatori, imprenditori". Il Papa è consapevole che "si devono portare avanti opere della Chiesa" e che "alcune sono un po' complesse", ma bisogna farlo "con cuore di povertà, non con cuore di investimento o come un imprenditore. La Chiesa non è una ong: è un'altra cosa, più importante. Nasce da questa gratuità ricevuta e annunziata".

Quanto alla capacità di lodare, il Santo Padre ha messo in chiaro che quando un apostolo non vive la gratuità perde anche la capacità di lodare il Signore, "perché lodare il Signore è essenzialmente gratuito. È un'orazione gratuita. Non chiediamo soltanto, lodiamo". Invece - ha concluso - "quando troviamo apostoli che vogliono fare una Chiesa ricca, una Chiesa senza la gratuità della lode", essa "invecchia, diventa una ong, non ha vita".


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[Modificato da Caterina63 11/06/2013 23:01]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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13/06/2013 17:03
 
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[SM=g1740758]   (AGI) - CdV, 13 giu 2013. Nell'Omelia a Santa Marta, Papa Francesco medita: insulti e calunnie possono uccidere.....

(e qui noi vogliamo ricordare che il non dire falsa testimonianza è anche uno dei Dieci Comandamenti, un peccato grave che deve essere confessato e ci si deve pentire per poter ricevere la santa Eucaristia. Chi infrange questo Comandamento deve in qualche modo, quale penitenza, oltre che pentirsi riparare il danno fatto alla persona calunniata)

 Commento di Salvatore Izzo

Per la prima volta Papa Francesco ha celebrato in spagnolo la messa del mattino alla Domus Santa Marta, dove era presente oggi il personale delle ambasciate e dei consolati dell'Argentina in Italia e presso la Fao. Era "dal 26 febbraio che non celebravo la messa in spagnolo", ha confidato il Papa. "Mi ha fatto molto bene", ha aggiunto  ringraziando i partecipanti alla messa per avergliene offerto l'occasione.
 Francesco ha anche voluto esprimere gratiudine a diplomatici e finzionari per il loro servizio alla patria.

Chi "entra nella vita cristiana ha esigenze superiori a quelle degli altri" ma "non ha vantaggi superiori". Il Pontefice ha commentato le parole del Vangelo che vengono dopo le Beatitudini, quando Gesu' sottolinea che Lui non viene per dissolvere la Legge, ma per portarla a compimento. La sua, ha osservato, "e' una riforma senza rottura, una riforma nella continuita': dal seme fino ad arrivare al frutto".
 
 Nella sintesi dell'omelia, diffusa dalla Radio Vaticana, c'e' anche una considerazione di Francesco sulla "creativita' meravigliosa" delle lingue latine nell'inventare epiteti. Ma, ha ammonito, "quando questo epiteto e' amichevole va bene, il problema e' quando c'e' l'altro epiteto", quando scatta cioe' "il meccanismo dell'insulto", che e' "una forma di denigrazione dell'altro".
 - "Attenzione ai commenti che facciamo sugli altri" perche' parlare male di qualcuno "e' gia' qualcosa che si da' nella linea della morte", cioe'  che lo uccide". E' questo l'invito che Papa Francesco ha rivolto nella messa di stamani alla Domus Santa Marta. "Se uno non e' capace di dominare la lingua, si perde", ha ammonito paragonando insulti e calunnie ai colpi inferti da Caino ad Abele, "un'aggressivita' naturale", ha detto, che sempre "si ripete nell'arco della storia".

     "La vostra giustizia sia superiore a quella dei farisei", ha chiesto il Pontefice ai fedeli presenti ricordando l'esortazione  di Gesu' ai suoi discepoli. Un monito che vale in particolare per il tema del "rapporto negativo con i fratelli" perche' per il Vangelo, ha detto, "colui che maledice merita l'inferno". Se nel proprio cuore c'e' "qualcosa di negativo" verso il fratello, significa che "c'e' qualcosa che non funziona e ti devi convertire, devi cambiare". Per il Pontefice, poi, anche "l'arrabbiatura e' un insulto contro il fratello", con conseguenze spesso analoghe.

“Y no hace falta ir al psicologo...”

“E non c’è bisogno di andare dallo psicologo – ha detto il Papa - per sapere che quando uno denigra l’altro è perché lui stesso non può crescere e ha bisogno che l’altro sia abbassato, per sentirsi un qualcuno”. E’ questo è “un meccanismo brutto”. Gesù, ha evidenziato, “con tutta la semplicità dice”: “Non parlate male l’uno dell’altro. Non denigratevi. Non squalificatevi”.
E ciò, ha proseguito, “perché in fondo tutti stiamo camminando sulla stessa strada”, “tutti andiamo su quella strada che ci porterà alla fine”. Quindi, è stata la sua riflessione, “se la cosa non va per una strada fraterna, tutti finiremo male: quello che insulta e l’insultato”. Il Papa ha poi osservato che “se uno non è capace di dominare la lingua, si perde”, e del resto “l’aggressività naturale, quella che ha avuto Caino con Abele, si ripete nell’arco della storia”. Non è che siamo cattivi, ha affermato il Papa, “siamo deboli e peccatori”. Ecco perché è “molto più semplice”, “sistemare una situazione con un insulto, con una calunnia, con una diffamazione che sistemarla con le buone”.

“Yo quisiera pedir al Señor que...”

“Io - ha detto Papa Francesco - vorrei chiedere al Signore che ci dia a tutti la grazia di fare attenzione maggiormente alla lingua, riguardo a quello che diciamo degli altri”. E’ “una piccola penitenza – ha aggiunto - ma dà buoni frutti”. “Delle volte – ha constatato - uno rimane affamato” e pensa: “Che peccato che non ho gustato il frutto di un commento delizioso contro l’altro”.
Ma, ha detto, “alla lunga quella fame fruttifica e ci fa bene”. Ecco perché dobbiamo chiedere al Signore questa grazia: adeguare la nostra vita “a questa nuova Legge, che è la Legge della mitezza, la Legge dell’amore, la Legge della pace, e almeno ‘potare’ un po’ la nostra lingua, ‘potare’ un poco i commenti che facciamo verso gli altri o le esplosioni che ci portano all’insulto o alle arrabbiature facili. Che il Signore ci conceda a tutti questa grazia!”.

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  [SM=g1740758] L’umiltà concreta del cristiano

    Senza l'umiltà, senza la capacità di riconoscere pubblicamente i propri peccati e la propria fragilità umana, non si può raggiungere la salvezza e neanche pretendere di annunciare Cristo o essere suoi testimoni. Questo vale anche per i sacerdoti: i cristiani devono sempre ricordare che la ricchezza della grazia, dono di Dio, è un tesoro da custodire in "vasi di creta" affinchè sia chiara la straordinaria potenza di Dio, di cui nessuno si può appropriare "per il proprio personale curriculum".

    Ancora una volta Papa Francesco ha invitato a riflettere sul tema dell'umiltà cristiana. Lo ha fatto durante la messa di questa mattina, venerdì 14 giugno, nella cappella della Domus Sancate Marthae.
Con lui hanno concelebrato, tra gli altri, i cardinali Giuseppe Bertello, presidente del Governatorato, e Mauro Piacenza, prefetto della Congregazione per il Clero, accompagnato da officiali e dipendenti del dicastero. Con il cardinale Bertello erano i parenti del compianto arcivescovo Ubaldo Calabresi, per anni nunzio apostolico in Argentina. Al momento della preghiera dei fedeli il Santo Padre ha chiesto di pregare per il presule al quale, durante gli anni trascorsi come arcivescovo di Buenos Aires, era legato da profonda amicizia.
Le letture del giorno - la seconda lettera di san Paolo ai Corinzi ( 4, 7-15) e il vangelo di Matteo (5, 27-32) - sono state al centro della meditazione del Papa che ha collegato l'immagine della "bellezza di Gesù, della forza di Gesù, della salvezza che ci porta Gesù", di cui parla l'apostolo Paolo, con quella dei "vasi di creta" nei quali è contenuto il tesoro della fede.


    I cristiani sono come i vasi di creta, perchè sono deboli, in quanto peccatori. Ciononostante, ha sottolineato il Papa, tra "noi poveracci, vasi di creta" e "la potenza di Gesù Cristo salvatore" si instaura un dialogo: il "dialogo della salvezza". Ma, ha avvertito, quando questo dialogo assume il tono di un'autogiustificazione vuol dire che qualcosa non funziona e non c'è salvezza. Paolo ci insegna, ha proseguito Papa Francesco, la strada da seguire: infatti "tante volte ha parlato, quasi come un ritornello, dei suoi peccati "io vi dico questo: sono stato un persecutore della Chiesa.... ho perseguitato...". In lui torna sempre la memoria del peccato. Si sente peccatore". "In quel momento non dice "sono stato peccatore, ma adesso sono santo"".

    Ma negli uomini capita qualcosa di diverso. Il Papa lo ha spiegato indicando il comportamento dell'apostolo: "Ogni volta Paolo ci parla del suo curriculum di servizio - "ho fatto questo, ho fatto quell'altro, ho predicato" - ci parla anche del suo prontuario" cioè di tutto quello che riguarda le sue debolezze, i suoi peccati. Noi invece, ha aggiunto, "abbiamo sempre la tentazione del curriculum, e di nascondere un po' il prontuario perché non si veda tanto" quello che non va.
    L'umiltà del cristiano è quella che segue la strada indicata dall'apostolo. Questo modello di umiltà vale anche "per noi preti, per noi sacerdoti. Se noi ci vantiamo soltanto del nostro curriculum e niente più - ha detto il vescovo di Roma - finiremo per sbagliare. Non possiamo annunziare Gesù Cristo salvatore perché nel fondo non lo sentiamo". "Dobbiamo essere umili - ha esortato il Pontefice - ma con una umiltà reale, con nome e cognome: "io sono peccatore per questo, per questo e per questo". Come fa Paolo". Bisogna riconoscersi peccatori, concretamente, e non presentarsi con un'immagine falsa, "una faccia da immaginetta".

E per rendere più concreta l'idea Papa Francesco ha fatto ricorso ad un'espressione dialettale piemontese "farsi la "mugna quacia", ingenua. Quell'ingenuità che non è vera, è soltanto apparenza".

    Invece, ha precisato il Papa, l'umiltà dei sacerdoti, l'umiltà del cristiano, deve "essere concreta: "sono un vaso di creta per questo, per questo e per questo". E quando un cristiano non riesce a fare a se stesso, davanti alla Chiesa, questa confessione, qualcosa non va". Innanzitutto, ha aggiunto, "non può capire la bellezza della salvezza che ci porta Gesù Cristo: questo tesoro".
    "Fratelli - ha detto - noi abbiamo un tesoro: questo di Gesù Cristo salvatore, la croce di Gesù Cristo, questo tesoro del quale noi ci vantiamo", ma non dimentichiamo "di confessare anche i peccati" perchè solo così "il dialogo è cristiano e cattolico, concreto. Perché la salvezza di Gesù Cristo è concreta". "Gesù Cristo non ci ha salvato con un'idea, con un programma intellettuale. Ci ha salvato con la carne, con la concretezza della carne. Si è abbassato si è fatto uomo, si è fatto carne fino alla fine.". Un tesoro simile lo si può capire e ricevere solo se ci si trasforma in vasi di creta.

    Concludendo il Papa ha proposto l'immagine della samaritana. Quella donna che ha parlato con Gesù se ne va in fretta quando arrivano i discepoli: "E cosa dice a quelli della città? "Ho trovato un uomo che mi ha detto tutto quello che io ho fatto"", che le aveva fatto capire il senso del suo essere vaso di creta. Quella donna aveva trovato Gesù Cristo salvatore e quando si trattò di annunciarlo lo fece prima parlando del proprio peccato. Spiegò infatti di aver chiesto a Gesù: "Voi sapete chi sono io? e lui mi ha detto tutto". "Io credo -ha concluso il Pontefice - che questa donna sarà in Cielo". E per dar conto della sua certezza ha citato Manzoni: ""mai ho trovato che il Signore abbia cominciato un miracolo senza finirlo bene". E questo miracolo che lui ha cominciato sicuramente lo ha finito bene nel cielo".



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La fretta del cristiano

La vita cristiana deve essere sempre inquieta e mai tranquillizzante e certo non è «una terapia terminale per farci stare in pace fino al cielo». Allora bisogna fare come san Paolo e testimoniare «il messaggio della vera riconciliazione», senza preoccuparsi troppo delle statistiche o di fare proseliti: è «da pazzi ma è bello», perché «è lo scandalo della croce». Il Papa è tornato a parlare di riconciliazione e di ardore apostolico nell’omelia della messa celebrata questa mattina, sabato 15 giugno, nella cappella della Domus Sanctae Marthae.

Base della riflessione del Pontefice sono state, come di consueto, le letture del giorno, in particolare la seconda lettera di Paolo ai Corinzi (5, 14-21), «brano — ha detto — un po’ speciale perché sembra che Paolo parta in quarta. È accelerato, va proprio con una certa velocità. L’amore di Cristo ci possiede, ci spinge, ci preme. È proprio questa la velocità che ha Paolo: quando vede l’amore di Cristo non può rimanere fermo». Così san Paolo è davvero un uomo che ha fretta, con «l’affanno per dirci qualcosa d’importante: parla del sì di Gesù, dell’opera di riconciliazione che ha fatto Gesù e anche dell’opera di riconciliazione» di Cristo e dell’apostolo.

Papa Francesco ha fatto anche notare come nella pagina paolina «per cinque volte si ripeta la parola riconciliazione. Cinque volte: è come un ritornello». Per dire con chiarezza che «Dio ci ha riconciliati con lui in Cristo». San Paolo «parla anche con forza e con tenerezza quando dice: io sono un ambasciatore in nome di Cristo». Poi Paolo, nel proseguire il suo scritto, sembra quasi inginocchiarsi per implorare: «Vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio» ed è come se dicesse «abbassate la guardia» per lasciarvi riconciliare con lui.

«La fretta, la premura di Paolo — ha affermato ancora il Pontefice — mi fa pensare a Maria quando, dopo aver ricevuto l’annuncio dell’angelo, parte in fretta per aiutare sua cugina. È la fretta del messaggio cristiano. E qui il messaggio è proprio quello della riconciliazione». Il senso della riconciliazione non sta semplicemente nel mettere insieme parti diverse e lontane tra loro. «La vera riconciliazione è che Dio in Cristo ha preso i nostri peccati e si è fatto peccato per noi. E quando noi andiamo a confessarci, per esempio, non è che diciamo il peccato e Dio ci perdona. Noi troviamo Gesù Cristo e gli diciamo: questo è tuo e io ti faccio peccato un’altra volta. E a lui piace, perché è stata la sua missione: farsi peccato per noi, per liberarci».

È questo «il mistero che faceva andare avanti Paolo con zelo apostolico, perché è una cosa tanto meravigliosa: l’amore di Dio che ha consegnato suo figlio alla morte per me. Quando Paolo si trova davanti a questa verità dice: ma lui mi ha amato, è andato alla morte per me. È questo il mistero della riconciliazione». La vita cristiana — ha spiegato ancora il Pontefice — «cresce su questo pilastro e noi un po’ la svalutiamo» quando la riduciamo al fatto che «il cristiano deve fare questo e poi deve credere in quello». Si tratta invece di arrivare «a questa verità che ci muove, a questo amore che è dentro la vita cristiana: l’amore del Padre che in Cristo riconcilia il mondo. È Dio infatti che riconcilia a sé il mondo in Cristo, non imputando agli uomini le loro colpe e affidando a noi la parola di riconciliazione. Cristo ci ha riconciliato. E questo è l’atteggiamento del cristiano, questa è la pace del cristiano».

I filosofi «dicono che la pace è una certa tranquillità nell’ordine. Tutto ordinato, tranquillo. Quella non è la pace cristiana. La pace cristiana — ha insistito Papa Francesco — è una pace inquieta, non è una pace tranquilla. È una pace inquieta che va avanti per portare questo messaggio di riconciliazione. La pace cristiana ci spinge ad andare avanti e questo è l’inizio, la radice dello zelo apostolico».

E secondo Papa Francesco «lo zelo apostolico non è andare avanti per fare proseliti e fare statistiche: quest’anno sono cresciuti i cristiani in tal Paese, i movimenti. Le statistiche sono buone, aiutano, ma fare proseliti non è quello che Dio più vuole da noi. Quello che il Signore vuole da noi — ha precisato — è proprio l’annuncio della riconciliazione, che è il nucleo del suo messaggio: Cristo si è fatto peccato per me e i peccati sono là, nel suo corpo, nel suo animo. Questo è da pazzi, ma è bello: è la verità. Questo è lo scandalo della croce».

Il Papa ha concluso la sua omelia chiedendo la grazia che il «Signore ci dia questa premura per annunciare Gesù; ci dia la saggezza cristiana, che nacque proprio dal suo fianco trafitto per amore». E «ci convinca anche che la vita cristiana non è una terapia terminale per stare in pace fino al cielo. La vita cristiana è sulla strada, sulla vita, con questa premura di Paolo. L’amore di Cristo ci possiede, ci spinge, ci preme. Con questa emozione che si sente quando uno vede che Dio ci ama».


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2013-06-17 Radio Vaticana
Per il cristiano, Gesù è “il tutto” e da qui deriva la sua magnanimità.

E’ quanto sottolineato da Papa Francesco nella Messa di stamani alla Casa Santa Marta. Il Papa ha ribadito che la giustizia che porta Gesù è superiore a quella degli scribi, all’occhio per occhio, dente per dente. Alla Messa, concelebrata dal cardinale Attilio Nicora, erano presenti, tra gli altri, i collaboratori dell’Autorità di Informazione Finanziaria e un gruppo di collaboratori dei Musei Vaticani, accompagnati dal direttore amministrativo, don Paolo Nicolini. Alla Messa era presenta anche il cardinale arcivescovo di Manila, Luis Antonio Tagle. Il servizio di Alessandro Gisotti:



“Se uno ti percuote la guancia destra, tu porgigli anche l’altra”. Papa Francesco ha incentrato la sua omelia sulle sconvolgenti parole di Gesù rivolte ai suoi discepoli. Quello dello schiaffo, ha osservato il Papa, “è diventato un classico per ridere dei cristiani”.
Nella vita, ha detto, la “logica normale” ci insegna che “dobbiamo lottare, dobbiamo difendere il nostro posto” e se ci danno uno schiaffo “noi ne daremo due, così ci difendiamo”. Del resto, ha detto il Papa, quando consiglio ai genitori di riprendere i propri figli sempre dico: “Mai sulla guancia”, perché “la guancia è la dignità”. Gesù invece, ha proseguito, dopo lo schiaffo sulla guancia va a avanti e dice anche di dare il mantello, spogliarsi di tutto.


“La giustizia che Lui porta – ha dunque affermato – è un’altra giustizia totalmente diversa dall’occhio per occhio, dente per dente. E’ un’altra giustizia”. E questo, ha osservato, lo possiamo capire quando San Paolo parla dei cristiani come “gente che non ha nulla” e “invece possiede tutto”. Ecco allora che la sicurezza cristiana è proprio in questo “tutto” che è Gesù. “Il ‘tutto’ – ha soggiunto è Gesù Cristo. Le altre cose sono ‘nulla’ per il cristiano”.

Invece, ha avvertito il Papa, “per lo spirito del mondo il ‘tutto’ sono le cose: le ricchezze, le vanità”, “avere posti in su” e “il ‘nulla’ è Gesù”. Se dunque un cristiano può camminare 100 chilometri quando gli chiedono di andare avanti per 10, “è perché per lui questo è ‘nulla’” e, con tranquillità, “può dare il mantello quando gli chiedono la tunica”. Ecco qual è allora il “segreto della magnanimità cristiana, che sempre va con la mitezza”, è il “tutto”, è Gesù Cristo:

“Il cristiano è una persona che allarga il suo cuore, con questa magnanimità, perché ha il ‘tutto’, che è Gesù Cristo. Le altre cose sono il ‘nulla’. Sono buone, servono, ma nel momento del confronto sceglie sempre il ‘tutto’, con quella mitezza, quella mitezza cristiana che è il segno dei discepoli di Gesù: mitezza e magnanimità. E vivere così non è facile, perché davvero ti danno degli schiaffi, eh?, te li danno! E su tutte e due le guance. Ma, il cristiano è mite, il cristiano è magnanimo: allarga il suo cuore. Ma quando noi troviamo questi cristiani con il cuore ridotto, con il cuore rimpicciolito, che non vanno… questo non è cristianesimo: questo è egoismo, mascherato da cristianesimo”.

“Il vero cristiano”, ha detto ancora, “sa risolvere questa opposizione bipolare, questa tensione tra il ‘tutto’ e il ‘nulla’, come Gesù ci aveva consigliato: ‘Cercate prima il Regno di Dio e la sua giustizia, e l’altro viene, poi”:
“Il Regno di Dio è il ‘tutto’, l’altro è secondario, non è principale. E tutti gli sbagli cristiani, tutti gli sbagli della Chiesa, tutti i nostri sbagli nascono di qua, quando noi diciamo al ‘nulla’ che è il ‘tutto’ e al ‘tutto’ che, mah, sembra che non conti... Seguire Gesù non è facile, non è facile. Ma neppure è difficile, perché nella strada dell’amore il Signore fa le cose in un modo che noi possiamo andare avanti; lo stesso Signore ci allarga il cuore”.

E questa è la preghiera che noi dobbiamo fare, ha aggiunto, “davanti a queste proposte dello schiaffo, del mantello, dei 100 chilometri”. Dobbiamo pregare il Signore, affinché allarghi “il nostro cuore”, affinché “noi siamo magnanimi, siamo miti”, e non lottiamo “per le piccolezze, per i ‘nulla’ di ogni giorno”.
“Quando uno fa un’opzione per il ‘nulla’, da quella opzione nascono gli scontri in una famiglia, nelle amicizie, con gli amici, nella società, anche; gli scontri che finiscono con la guerra: per il ‘nulla’! Il ‘nulla’ è seme di guerre, sempre. Perché è seme d’egoismo. Il ‘tutto’ è quello grande, è Gesù. Chiediamo al Signore che allarghi il nostro cuore, che ci faccia umili, miti e magnanimi, perché noi abbiamo il ‘tutto’ in Lui; e che ci difenda dal fare problemi quotidiani attorno al ‘nulla’”.


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L'arte di amare i nemici

Amare i nostri nemici, quelli che ci perseguitano e ci fanno soffrire, è difficile e non è neppure un "buon affare" perché ci impoverisce. Eppure è questa la strada indicata e percorsa da Gesù per la nostra salvezza. Di questo ha parlato Papa Francesco nell'omelia della messa celebrata stamane, martedì 18 giugno, nella cappella della Domus Sanctae Marthae. Con lui ha concelebrato, tra gli altri, il cardinale Giuseppe Versaldi, presidente della Prefettura degli Affari economici della Santa Sede, che accompagnava alcuni collaboratori dell'ufficio. Tra i presenti, erano anche dipendenti dei Musei Vaticani.

Durante l'omelia il Pontefice ha ricordato che la liturgia in questi giorni propone di riflettere sui parallelismi fra "la legge antica e la legge nuova, la legge del monte Sinai e la legge del monte delle beatitudini". Entrando nello specifico delle letture - dalla seconda lettera di san Paolo ai Corinzi (8, 1-9) e dal vangelo di Matteo (5, 43-48) - il Santo Padre si è soffermato sulla difficoltà dell'amore ai nemici e chiedendosi come sia possibile perdonare: "Anche noi, tutti noi, abbiamo nemici, tutti. Alcuni nemici deboli, alcuni forti. Anche noi tante volte diventiamo nemici di altri; non gli vogliamo bene. Gesù ci dice dobbiamo amare i nemici".

Non si tratta di un impegno facile e, in genere, "pensiamo che Gesù ci chiede troppo. Pensiamo: "Lasciamo queste cose alle suore di clausura che sono sante, a qualche anima santa!"". Ma non è l'atteggiamento giusto. "Gesù - ha ricordato il Papa - dice che si deve fare questo perché altrimenti siete come i pubblicani, come i pagani, e non siete cristiani".

Di fronte ai tanti drammi che segnano l'umanità, ha ammesso, è difficile fare questa scelta: come si può amare, infatti, "quelli che prendono la decisione di fare un bombardamento e ammazzare tante persone? Come si possono amare quelli che per amore dei soldi non lasciano arrivare le medicine a chi ne ha bisogno, agli anziani, e li lasciano morire?". E ancora: "Come si possono amare le persone che cercano solo il loro interesse, il loro potere e fanno tanto male?".

Io non so - ha affermato il vescovo di Roma - "come si possa fare. Ma Gesù ci dice due cose: primo, guardare al Padre. Nostro Padre è Dio: fa sorgere il sole sui cattivi e sui buoni; fa piovere sui giusti e sugli ingiusti. Nostro Padre al mattino non dice al sole: "Oggi illumina questi e questi; questi no, lasciali nell'ombra!". Dice: "Illumina tutti". Il suo amore è per tutti, il suo amore è un dono per tutti, buoni e cattivi. E Gesù finisce con questo consiglio: "Voi dunque siate perfetti come è perfetto il vostro Padre celeste"". Dunque l'indicazione di Gesù è di imitare il Padre in "quella perfezione dell'amore. Lui perdona ai suoi nemici. Fa tutto per perdonarli. Pensiamo con quanta tenerezza Gesù riceve Giuda nell'orto degli ulivi", quando tra i discepoli c'è chi pensa alla vendetta.

"La vendetta - ha detto in proposito il Pontefice - è quel pasto tanto buono quando si mangia freddo" e per questo attendiamo il momento giusto per compierla. "Ma questo - ha ripetuto - non è cristiano. Gesù ci chiede di amare i nemici. Come si può fare? Gesù ci dice: pregate, pregate per i vostri nemici". La preghiera fa miracoli e ciò vale non solo quando siamo in presenza di nemici; vale anche quando nutriamo qualche antipatia, "qualche piccola inimicizia". E allora bisogna pregare, perché "è come se il Signore venisse con l'olio e preparasse i nostri cuori alla pace".

Ma - ha aggiunto il Papa rivolgendosi ai presenti - "ora vorrei lasciarvi una domanda, alla quale ciascuno può rispondere in cuor suo: io prego per i miei nemici? Io prego per quelli che non mi vogliono bene? Se noi diciamo di sì, io vi dico: vai avanti, prega di più, perché questa è una buona strada. Se la risposta è no, il Signore dice: Poveretto! Anche tu sei nemico degli altri! E allora bisogna pregare perché il Signore cambi i loro cuori".

Il Papa ha poi messo in guardia da atteggiamenti tesi a giustificare la vendetta a seconda del grado dell'offesa ricevuta, del male fatto da altri: la vendetta, cioè, fondata sul principio "occhio per occhio, dente per dente". Dobbiamo guardare ancora all'esempio di Gesù: "Conoscete infatti la grazia di cui parla oggi l'apostolo Paolo: da ricco che era, si è fatto povero per voi, perché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà. È vero: l'amore ai nemici ci impoverisce, ci fa poveri, come Gesù, il quale, quando è venuto, si è abbassato sino a farsi povero". Forse non è un "buon affare", ha aggiunto il Pontefice, o almeno non lo è secondo le logiche del mondo. Eppure, "è la strada che ha fatto Dio, la strada che ha fatto Gesù", sino a conquistarci la grazia che ci ha fatto ricchi.

Questo "è il mistero della salvezza: con il perdono, con l'amore per il nemico noi diventiamo più poveri. Ma quella povertà è seme fecondo per gli altri, come la povertà di Gesù è diventata grazia per tutti noi, salvezza. Pensiamo ai nostri nemici, a chi non ci vuole bene. Sarebbe bello se offrissimo la messa per loro, se offrissimo il sacrificio di Gesù per loro che non ci amano. E anche per noi, perché il Signore ci insegni questa saggezza: tanto difficile ma anche tanto bella e ci rende simili anche al suo Figlio, che nel suo abbassamento si è fatto povero per arricchire noi della sua povertà".


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[Modificato da Caterina63 20/06/2013 19:01]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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La grazia della gioia e della magnanimità

"Intellettuali senza talento, eticisti senza bontà, portatori di bellezze da museo": sono queste le categorie di "ipocriti che Gesù rimprovera tanto".
Le ha indicate Papa Francesco nella messa di mercoledì mattina, 19 giugno, nella cappella della Domus Sanctae Marthae, soffermandosi sull'ipocrisia che c'è anche nella Chiesa e sul male che essa produce. Con lui hanno concelebrato, tra gli altri, il cardinale Marc Ouellet, prefetto della Congregazione per i Vescovi, e l'arcivescovo Vincenzo Paglia, presidente del Pontificio Consiglio per la Famiglia, che accompagnavano due gruppi di officiali e collaboratori dei rispettivi dicasteri.


All'omelia il Pontefice ha ricordato che "il Signore parecchie volte nel vangelo parla dell'ipocrisia" e "contro gli ipocriti", elencandone i tre episodi più significativi. Il primo quando i farisei vogliono mettere Gesù alla prova, chiedendo se fosse lecito pagare le tasse a Cesare (Matteo 22, 15-22); il secondo, quando i sadducei gli sottopongono il caso della donna vedova sette volte (Matteo 22, 24-30). Da questi primi episodi emerge per il Papa una categoria specifica di ipocriti; quelli che "andavano sulla strada della casistica" e in questo modo "volevano fare cadere Gesù in una trappola".

La terza volta in cui si fa riferimento agli ipocriti - in modo "più forte ancora" ha fatto notare il Santo Padre - è nel capitolo 23 del vangelo di Matteo, quando Cristo si rivolge agli scribi e ai farisei con un richiamo che il Pontefice ha riassunto così: "Ipocriti, voi che non entrate nel regno dei cieli, non lasciate entrare gli altri; ipocriti voi che allargate i filattèri e allungate le frange". Questa tipologia di ipocriti rientra per Papa Francesco in una seconda casistica: quella di coloro che vanno per la strada dei precetti, attraverso "tanti precetti a causa dei quali la parola di Dio non sembra feconda"; e "anche per la strada della vanità", quella dei filattèri e delle frange. "Si fanno vanitosi e finiscono per rendersi ridicoli", ha commentato.

Insomma - ha riassunto i propri pensieri il Santo Padre - "i primi sono gli ipocriti della casistica, sono intellettuali della casistica", che "non hanno l'intelligenza di trovare, di spiegare Dio"; restano solo nella "casistica: fino qui si può, fino qui non si può". Sono, ha detto attualizzando il discorso, "cristiani intellettuali senza talento".
I secondi sono invece quelli dei precetti, che "portano il popolo di Dio su una strada senza uscita. Sono eticisti senza bontà. Non sanno cosa sia la bontà. Sono eticisti: si deve far questo, questo, questo... Riempiono di precetti" ma "senza bontà". Si adornano con "drappi, tante cose per fare finta di essere maestosi, perfetti"; e tuttavia "non hanno senso della bellezza. Arrivano soltanto a una bellezza da museo".

Ma - ha avvertito Papa Francesco - "la storia non finisce". E nel vangelo del giorno (Matteo 6, 1-6. 16-18) "il Signore parla di un'altra classe di ipocriti, quelli che vanno sul sacro". Questo caso, ha avvertito, è il più grave, perché sfiora il peccato contro lo Spirito Santo.
"Il Signore - ha detto - parla del digiuno, della preghiera e dell'elemosina: i tre pilastri della pietà cristiana, della conversione interiore che la Chiesa propone a noi tutti nella Quaresima. E in questa strada ci sono gli ipocriti, che si pavoneggiano nel fare digiuno, nel fare elemosine, nel pregare. Io penso che quando l'ipocrisia arriva a quel punto, nella relazione con Dio noi stiamo abbastanza vicini al peccato contro lo Spirito Santo. Questi non sanno di bellezza, questi non sanno d'amore, questi non sanno di verità; sono piccoli, vili".

Eppure non tutto è perduto. Un aiuto per intraprendere "la strada contraria" viene da quello che dice Paolo nella prima lettura (2 Corinzi 9, 6-11). L'apostolo infatti, ha proseguito il Santo Padre, "ci parla di larghezza, di gioia. Tutti noi abbiamo la tentazione dell'ipocrisia. Tutti. Tutti i cristiani. Ma tutti abbiamo pure la grazia, la grazia che viene da Gesù Cristo, la grazia della gioia, la grazia della magnanimità, della larghezza". Ebbene, se "l'ipocrita non sa cosa sia gioia, non sa cosa sia larghezza, non sa cosa sia magnanimità", Paolo ci indica una strada alternativa fatta proprio "di gioia, di larghezza, di magnanimità".

Da qui il richiamo di Papa Francesco "all'ipocrisia nella Chiesa". "Quanto male ci fa a tutti!" ha esclamato. Anche perché "tutti noi abbiamo la possibilità di diventare ipocriti". Perciò il Pontefice ha invitato a pensare a Gesù, "che ci parla di pregare nel nascondimento, di profumarci la testa nel giorno del digiuno e di non far suonare la tromba quando facciamo un'opera buona".

In questo, ha assicurato citando la parabola di Gesù riportata nel vangelo di Luca (18, 9-14), nella preghiera "ci farà bene quell'icona tanto bella del pubblicano: abbi pietà di me Signore, io sono un peccatore. E questa - ha esortato - è la preghiera che noi dobbiamo fare tutti i giorni, nella consapevolezza che noi siamo peccatori, ma con peccati concreti, non teorici".

Nella stessa parabola, del resto, c'è un altro atteggiamento da evitare, quello del fariseo, che il Papa ha stigmatizzato così: "Ma Signore, io faccio questo, sono in questa associazione... Non va". Al contrario - ha concluso - "chiediamo al Signore che ci salvi da ogni ipocrisia e ci dia la grazia dell'amore, della larghezza, della magnanimità e della gioia".





ATTENZIONE: a riguardo dell'omelia di Papa Francesco di ieri 19 giugno e qui sopra riportata.... vogliamo apporre un testo riflessivo onde evitare che le parole usate dal Papa possano essere strumentalizzate per andare a colpire i devoti della Messa antica la quale, non dimentichiamolo, fu dono di Cristo prima , della Tradizione poi e di Benedetto XVI che l'ha ridonata in modo gratuito e libero.....   ci rifiutiamo pertanto di associare i moniti del Papa Francesco contro lo stesso predecessore che ha usato "pizzi e merletti, troni e piviali, frange ed esteriorità" per arricchire e dare valore al Culto della Messa.....
a conferma di ciò riportiamo un articolo apparso sull'Osservatore Romano, il giornale del Papa.....

Perseveriamo nella devozione alla bellezza liturgica nel nome della Chiesa !

…Sant'Ireneo diceva, verso la fine della sua esistenza, di non aver fatto altro nella vita che lasciare crescere e maturare quanto era stato seminato nella sua anima da Policarpo, discepolo di san Giovanni.
In un punto memorabile della sua breve autobiografia, Joseph Ratzinger ci rivela come fin da bambino abbia imparato a vivere la liturgia, grazie al seme deposto in lui dai suoi genitori, che gli regalarono lo «Schott», cioè il messale tradotto in tedesco dal monaco benedettino Anselm Schott.

Il frammento ha una bellezza germinale paragonabile a quella racchiusa nell'episodio della «Maddalena» nell'opera più importante di Proust: «Naturalmente, essendo bambino non comprendevo ogni dettaglio, ma il mio cammino con la liturgia era un processo di continua crescita in una grande realtà che superava tutte le individualità e le generazioni, che diveniva motivo di meraviglia e di scoperta nuove».

Questa concezione della liturgia come patrimonio ereditato dalla Tradizione, arricchito da apporti successivi che lo fanno crescere in modo organico, contrasta con alcune visioni contemporanee che preconizzano un sapere atomizzato, orfano di fondamenta e di vincoli saldi, facilmente adattabile alla circostanza concreta; un sapere, in definitiva, rabbiosamente «originale» – come se la tradizione non fosse la forma suprema di originalità, in quanto ci permette di vincolarci alle «origini» – che ha contaminato certe tendenze liturgiche, svuotando di senso il rito.

Il seme che i genitori deposero in quel bambino avrebbe in seguito recato frutti in opere come Dio e il mondo, dove Ratzinger si preoccuperà di mostrare il senso della storicità della liturgia come dono consegnato da Cristo alla Chiesa, dono che cresce con essa e incita a «riscoprirla come una creatura vivente».
A questa creatura vivente avrebbe dedicato Introduzione allo spirito della liturgia, un libro in cui – in continuità con il titolo classico di Guardini – Ratzinger rivendica il concetto di Tradizione, che non è statico, «ma che non si può neanche sminuire in una mera creatività arbitraria», approfondendo una concezione della liturgia come partecipazione all'incontro di Cristo con il Padre, in comunione con la Chiesa universale.
Come il suo maestro Guardini, Ratzinger desidera che la liturgia si celebri «in modo più essenziale».
E qui «essenzialità» non significa povertà, almeno non nel senso in cui alcuni hanno voluto anteporre la dimensione sociale alla celebrazione liturgica (ai quali Gesù risponde chiaramente nel brano evangelico dell'unzione di Betania); «essenzialità» significa «esigenza intima», ricerca di una purezza interiore che in nessun modo deve essere interpretata come purismo statico.

Nell'attenzione per la liturgia dobbiamo inquadrare l'importanza — visibile per qualsiasi persona non completamente stordita dalla frivolezza — che Benedetto XVI attribuisce ai paramenti e, in modo particolare, agli ornamenti liturgici.
Il sacerdote non sceglie tali ornamenti per un vezzo estetico: lo fa per rivestirsi di Cristo, quella «bellezza tanto antica e tanto nuova» di cui ci parlava sant'Agostino.
Questo «rivestirsi di Cristo», concetto centrale dell'antropologia paolina, esige un processo di trasformazione interiore, un rinnovamento intimo dell'uomo che gli permetta di essere una sola cosa con Cristo, membro del suo corpo.

Gli ornamenti liturgici rappresentano questo «rivestirsi di Cristo»: il sacerdote trascende la sua identità per divenire qualcun altro; e i fedeli che partecipano alla celebrazione ricordano che il cammino inaugurato con il Battesimo e alimentato con l'Eucaristia ci conduce alla casa celeste, dove saremo rivestiti con abiti nuovi, resi candidi nel sangue dell'Agnello.

Così gli ornamenti liturgici sono «anticipazione della veste nuova, del corpo risuscitato di Gesù Cristo»; anticipazione e speranza della nostra stessa risurrezione, tappa definitiva e dimora permanente dell'esistenza umana. …

( Cfr. Le vesti liturgiche secondo Ratzinger Da "L'Osservatore Romano" del 26 giugno 2008 di Juan Manuel de Prada, da : http://chiesa.espresso.repubblica.it/articolo/205468
 
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 Pregare il Nostro Padre

    Non c'è bisogno di sprecare tante parole per pregare: il Signore sa quello che vogliamo dirgli. L'importante è che la prima parola della nostra preghiera sia "Padre". È il consiglio di Gesù agli apostoli quello rilanciato da Papa Francesco questa mattina, giovedì 20 giugno, durante la messa presieduta nella cappella della Domus Sanctae Marthae, concelebrata tra gli altri dal cardinale Zenon Grocholewski, Prefetto della Congregazione per l'Educazione Cattolica, il quale accompagnava un gruppo di collaboratori del dicastero.

    Dunque il Pontefice ha ripetuto le raccomandazioni di Gesù nel momento in cui ha insegnato agli apostoli il Padre Nostro, secondo il racconto dell'evangelista Matteo (6, 7-15). Per pregare, ha detto in sostanza il Pontefice, non c'è bisogno di far rumore né di credere che sia meglio spendere tante parole. Non ci si deve affidare al rumore, al rumore della mondanità individuato da Gesù nel "far suonare la tromba" o in "quel farsi vedere il giorno del digiuno". Per pregare, ha ripetuto, non c'è bisogno del rumore della vanità: Gesù ha detto che questo è un comportamento proprio dei pagani.
    Papa Francesco è andato anche oltre, affermando che la preghiera non va considerata come una formula magica: "La preghiera non è una cosa magica; non si fa magia con la preghiera". Raccontando, come fa spesso, la sua esperienza personale, ha detto di non essersi mai rivolto a stregoni che promettono magie ma di aver saputo cosa capita in incontri di questo tipo: si spendono tante parole per ottenere "ora la guarigione, ora qualcos'altro" con l'aiuto della magia. Ma, ha avvertito, "questo è pagano".
   
Come si deve pregare allora? È Gesù che ce lo ha insegnato: "Dice che il Padre che è in cielo "sa di quali cosa avete bisogno, prima ancora che glielo chiediate"". Dunque, la prima parola sia ""Padre". Questa è la chiave della preghiera. Senza dire, senza sentire questa parola, non si può pregare" ha spiegato il vescovo di Roma. E si è chiesto: "Chi prego? Il Dio Onnipotente? È troppo lontano. Questo io non lo sento, Gesù neppure lo sentiva. Chi prego? Il Dio cosmico? Un po' abituale in questi giorni, no? Pregare il Dio cosmico. Questa modalità politeista che arriva con una cultura superficiale".

    Bisogna invece "pregare il Padre", colui che ci ha generato. Ma non solo: bisogna pregare il Padre "nostro", cioè non il Padre di un generico e troppo anonimo "tutti", ma colui "che ti ha generato, che ti ha dato la vita, a te, a me", come persona singola, ha spiegato il Pontefice. È il Padre "che ti accompagna nel tuo cammino", quello che "conosce tutta la tua vita, tutta"; quello che sa ciò che "è buono e quello che non è tanto buono. Conosce tutto".

Ma non basta ancora: "Se non incominciamo la preghiera - ha precisato - con questa parola non detta dalle labbra, ma detta dal cuore, non possiamo pregare come cristiani".
    E per spiegare ancora meglio il senso della parola "Padre" il Pontefice ha riproposto l'atteggiamento fiducioso con il quale Isacco - "questo ragazzo di ventidue anni non era uno sciocco" ha sottolineato Papa Francesco - si rivolge al padre quando si accorge che non c'è l'agnello da sacrificare e nasce in lui il sospetto che sia egli stesso la vittima sacrificale: "Doveva fare la domanda e la Bibbia ci dice che ha detto: "Padre, manca la pecorella". Però si fidò di quello che era accanto a lui. Era suo padre. La sua preoccupazione, cioè " magari sono io la pecorella?", l'ha buttata nel cuore di suo padre".
    È quello che accade anche nella parabola del figlio che sperpera l'eredità "ma poi torna a casa è dice: "Padre, ho peccato". È la chiave di ogni preghiera: sentirsi amati da un padre"; e noi abbiamo "un Padre, vicinissimo, che ci abbraccia" e al quale possiamo lasciare tutti i nostri affanni perchè "lui sa ciò di cui abbiamo bisogno".

    Ma - si è chiesto ancora il Pontefice - è "un padre solo mio?". E ha risposto: "No è il Padre nostro, perché io non sono figlio unico. Nessuno di noi lo è. Se io non posso essere fratello, difficilmente potrei diventare figlio di questo Padre, perché è un Padre di sicuro mio, ma anche degli altri, dei miei fratelli". Da ciò, ha proseguito, discende che "se io non sono in pace con i miei fratelli, non posso dire Padre a lui. E così si spiega come Gesù, dopo averci insegnato il Padre Nostro, dice subito: "Se voi infatti perdonerete agli altri le loro colpe, il Padre vostro che è nei cieli perdonerà anche a voi; ma se voi non perdonerete agli altri, neppure il Padre vostro perdonerà le vostre colpe".

    Entra dunque in gioco il perdono. Ma "è tanto difficile perdonare gli altri" ha ripetuto il Santo Padre; è difficile davvero, perché noi portiamo sempre dentro il rammarico per quello che ci hanno fatto, per il torto subito. Non si può pregare conservando nel cuore astio per i nemici. "Questo - ha sottolineato il Pontefice - è difficile. Sì è difficile, non è facile". Ma, ha concluso, "Gesù ci ha promesso lo Spirito Santo. È lui che ci insegna da dentro, dal cuore, come dire "Padre" e come dire "nostro"", e come dirlo: "facendo la pace con tutti i nostri nemici".

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CdV, 21 giu.

"Non ho mai visto un camion da trasloco dietro un corteo funebre, mai".

Papa Francesco ha usato questa immagine nell'omelia tenuta alla Domus Santa Marta, per esprimere un concetto che aveva gia' spiegato qualche tempo fa con una frase di sua nonna: "Il sudario non ha tasche". Ma c'e' anche un tesoro, ha detto oggi, che "possiamo portare con noi", un tesoro che nessuno puo' rapinare, che non e' "quello che hai risparmiato per te", ma "quello che hai dato agli altri". Il problema, ha chiarito, sta nel non confondere le ricchezze.


Per Francesco, "la caccia all'unico tesoro che si puo' portare con se' nella vita dopo la vita e' la ragion d'essere di un cristiano; come Gesu' ha spiegato ai suoi discepoli dicendo loro: "Dov'e' il tuo tesoro, la' sara' anche il tuo cuore".
Quindi, ci sono "tesori rischiosi" che seducono "ma che dobbiamo lasciare", quelli accumulati durante la vita e che la morte vanifica.
Ma, ha scandito il Papa, "quel tesoro che noi abbiamo dato agli altri, quello lo portiamo. E quello sara' il 'nostro merito', fra virgolette perche' e' il merito di Gesu' Cristo in noi! E quello dobbiamo portarlo. E' quello che il Signore ci lascia portare. L'amore, la carita', il servizio, la pazienza, la bonta', la tenerezza sono tesori bellissimi: quelli portiamo. Gli altri no".

Per il Vangelo, ha ricordato Francesco, "il tesoro che vale agli occhi di Dio e' quello che gia' dalla terra si e' accumulato in cielo". "Ma Gesu' fa un passo oltre: lega il tesoro al 'cuore', crea un 'rapporto' fra i due termini" sottolinenando che il nostro cuore e' dove teniamo il nostro tesoro. "Questo- osserva Bergoglio - perche' il nostro 'e' un cuore inquieto', che il Signore ha fatto cosi' per cercare Lui".


"Il Signore ci ha fatto inquieti per cercarlo, per trovarlo, per crescere. Ma se il nostro tesoro e' un tesoro che non e' vicino al Signore, che non e' dal Signore, il nostro cuore diventa inquieto per cose che non vanno, per questi tesori", ha affermato Papa Francesco. Come "tanta gente", infatti, "anche noi siamo inquieti. Per avere questo, per arrivare a questo alla fine il nostro cuore si stanca, mai e' pieno: si stanca, diventa pigro, diventa un cuore senza amore". E' questa "la stanchezza del cuore". "Pensiamo a questo", ha suggerito il Pontefice ai cardinali, vescovi, sacerdoti e collaboratori laici presenti alla messa di oggi. "Io cosa ho: un cuore stanco, che soltanto vuol sistemarsi, tre-quattro cose, un bel conto in banca, questo, quell'altro? O un cuore inquieto, che sempre cerca di piu' le cose che non puo' avere, le cose del Signore? Questa inquietudine del cuore bisogna curarla sempre".

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 I pilastri della salvezza cristiana

    Ricchezze e preoccupazioni del mondo rendono dimentichi del passato, confusi nel presente, incerti sul futuro. Fanno cioè perdere di vista i tre pilastri su cui si fonda la storia della salvezza cristiana: un Padre che, nel passato, ci ha eletti; che ci ha fatto una promessa per il nostro futuro, e al quale abbiamo dato risposta stringendo con lui, nel presente, un'alleanza. È questo il senso della riflessione proposta da Papa Francesco durante la messa celebrata questa mattina, sabato 22 giugno, nella Domus Sanctae Marthae, alla quale ha assistito un gruppo di dipendenti dei Musei Vaticani.

    L'omelia del Papa si è sviluppata sul racconto proposto dal vangelo di Matteo (6, 24-34), là dove si parla delle raccomandazioni di Gesù ai discepoli: "quando dice: "Nessuno può servire due padroni perchè odierà l'uno e amerà l'altro. Non potete servire Dio e la ricchezza". E poi continua: "Perciò io vi dico non preoccupatevi per la vostra vita, per ciò che mangerete, per ciò che berrete"".

"A capire questo ci aiuta - ha detto il Pontefice - il capitolo 13 di san Matteo, che racconta quando Gesù spiega ai discepoli la parabola del seminatore. Dice che il seme che è caduto su una terra con le spine, viene soffocato. Ma chi lo soffoca? Gesù dice: "le ricchezze e le preoccupazioni del mondo". Si vede che Gesù aveva un'idea chiara su questo". Dunque "le ricchezze e le preoccupazioni del mondo - ha puntualizzato il Santo Padre - soffocano la Parola di Dio. E non la lasciano crescere. E la Parola muore perchè non è custodita, è soffocata. In quel caso si serve la ricchezza o la preoccupazione del mondo, ma non la Parola di Dio".


    Dopo aver fatto notare che Gesù, nelle sue spiegazioni ai discepoli, introduce l'elemento temporale, il Papa si è chiesto: "Cosa fanno in noi le ricchezze e cosa fanno le preoccupazioni?". "Semplicemente ci tolgono dal tempo", ha risposto spiegando poi: "Tutta la nostra vita è fissata su tre pilastri: uno nel passato, uno nel presente e l'altro nel futuro. E questo è chiaro nella Bibbia : il pilastro del passato è l'elezione. Il Signore ci ha eletti. Ognuno di noi può dire: "Il Signore mi ha eletto, mi ha amato, mi ha detto vieni e nel battesimo mi ha eletto per seguire una strada, la strada cristiana"".
Il futuro è la promessa che Gesù ha fatto agli uomini: "Mi ha eletto - ha spiegato ancora il vescovo di Roma - per camminare verso una promessa, ci ha fatto una promessa". Infine, il presente "è la nostra risposta a questo Dio tanto buono che mi ha eletto, che mi fa una promessa e che mi propone un'alleanza; e io faccio un'alleanza con lui".

    Elezione, promessa, alleanza sono dunque i tre pilastri di tutta la storia della salvezza.
Ma può succedere a volte che "quando il nostro cuore entra in questo che Gesù ci spiega - ha aggiunto il Santo Padre - taglia il tempo. Taglia il passato, taglia il futuro e si confonde nel presente". Ciò accade perché a colui "che è attaccato alle ricchezze non interessa il passato, né il futuro, ha tutto. La ricchezza è un idolo. Egli non ha bisogno di un passato, di una promessa, di una elezione, di futuro, di niente. Ciò di cui si preoccupa è quello che può succedere"; perciò "taglia il suo rapporto con il futuro", che per lui diventa "futuribile". Ma certo non lo orienta verso una promessa e perciò resta confuso, solo. "Per questo Gesù ci dice: "O Dio o la ricchezza, o il regno di Dio e la sua giustizia o le preoccupazioni". Semplicemente ci invita ad andare sulla strada di quel dono tanto grande che ci ha dato: essere i suoi eletti. Con il battesimo siamo eletti in amore", ha affermato il Pontefice.


    "Non tagliamo con il passato; abbiamo un Padre che ci ha messo in cammino. E anche il futuro è gioiosio perchè camminiamo verso una promessa e le preoccupazioni non vengono fuori. Il Signore è fedele, non delude. E perciò andiamo" è stata l'esortazione del Papa. Per quanto riguarda il presente, "facciamo quello che possiamo ma in concreto, senza illusioni e senza dimenticare che abbiamo un Padre nel passato il quale ci ha eletti".

    Dunque, ha aggiunto Papa Francesco, "ricordiamo bene: il seme che cade tra le spine è soffocato, è soffocato dalle ricchezze e dalle preoccupazioni del mondo": due elementi che fanno dimenticare il passato e il futuro. Così "abbiamo un Padre, ma viviamo come se non l'avessimo" e abbiamo un futuro incerto. In questo modo anche il presente "è qualcosa che non va". Ma è proprio per questo, ha poi rassicurato il Pontefice, che "dobbiamo confidare nel Signore il quale dice: "Tranquilli, cercate il Regno di Dio, la sua giustizia. Tutto l'altro verrà"". Concludendo l'omelia il Papa ha esortato a chiedere al Signore la grazia di non sbagliare dando peso alle preoccupazioni e all'idolatria delle ricchezze, ma ricordando sempre che "abbiamo un Padre che ci ha eletti e che ci promette qualcosa di buono"; dobbiamo dunque "camminare verso quella promessa prendendo il presente così come viene".


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messa  Messa del Papa con i nunzi apostolici: Gesù ci chiede chi sia per noi, rispondiamo col cuore


Stamani 23.6.2013, alle ore 9.30, Papa Francesco ha presieduto la Santa Messa nella Domus Sanctae Marthae. Erano presenti circa 40 nunzi apostolici, rimasti in Vaticano dopo l’incontro avuto con il Pontefice venerdì scorso. Commentando il Vangelo domenicale di Luca, che riporta la domanda di Cristo agli Apostoli, “ma voi chi dite che io sia?”, il Santo Padre ha sottolineato che bisogna rispondere a Gesù con il cuore, ispirati dalla venerazione per Lui e dalla roccia del Suo Amore. Il servizio di Giancarlo La Vella:

“Chi dite che io sia?”. Una domanda alla quale Pietro risponde: “Tu sei il Cristo di Dio, l’Unto del Signore”, che anche duemila anni dopo ci coinvolge, che ci mette in crisi, una prova del nove del nostro cammino di fede. Una domanda diretta al cuore – afferma Papa Francesco, parlando nell’omelia ai nunzi apostolici – alla quale rispondere con l’umiltà del peccatore, al di là delle frasi fatte o di convenienza, che quasi ne contiene un’altra, speculare e altrettanto decisiva: “Chi noi pensiamo di essere per Gesù?”:

"Noi, anche noi, che siamo apostoli e servi del Signore dobbiamo rispondere, perché il Signore ci domanda: 'Cosa pensi tu di me?'. Ma lo fa, eh? Lo fa tante volte! 'Cosa pensi tu di me?', dice il Signore. E noi non possiamo farci quelli che non capiscono bene. 'Ma, tu sei l’unto! Sì, ho letto'. Con Gesù non possiamo parlare come con un personaggio storico, un personaggio della storia, no? Gesù è vivo davanti a noi. Questa domanda la fa una persona viva. E noi dobbiamo rispondere, ma dal cuore".

Siamo chiamati ancora oggi da Gesù a compiere quella scelta radicale fatta dagli Apostoli, una scelta totale, nella logica del “tutto o niente”, un cammino per compiere il quale – ha detto il Papa – dobbiamo essere illuminati da una “grazia speciale”, vivere sempre sulla solida base della venerazione e dell’amore per Gesù:

"Venerazione e amore per il Suo Santo Nome. Certezza che Lui ci ha stabiliti su una roccia: la roccia del Suo amore. E da questo amore noi ti diamo la risposta, diamo la risposta. E quando Gesù fa queste domande – 'Chi sono io per te?' – bisogna pensare a questo: io sono stabilito sulla roccia dell’amore di Lui. Lui mi guida. Devo rispondere fermo su quella roccia e sotto la guida di Lui stesso".

“Chi sono io per voi?”, ci chiede Gesù. A volte si ha vergogna a rispondere a questa domanda – sottolinea Papa Francesco – perché sappiamo che qualcosa in noi non va, siamo peccatori. Ma è proprio questo il momento in cui confidare nel suo amore e rispondere con quel senso di verità, così come Pietro fece sul Lago di Tiberiade. “Signore, tu sai tutto”. E’ proprio nel momento in cui ci sentiamo peccatori, il Signore ci ama tanto – dice ancora Papa Francesco – e come mise il pescatore Pietro a capo della Sua Chiesa, così – conclude – anche con noi farà qualcosa di buono:

"Lui è più grande, Lui è più grande! E quando noi diciamo, dalla venerazione e dall’amore, sicuri, sicuri sulla roccia dell’amore e sulla guida di Lui: 'Tu sei l’unto', questo ci farà tanto bene e ci farà andare avanti con sicurezza e prendere la Croce di ogni giorno, che alle volte è pesante. Andiamo avanti così, con gioia, e chiedendo questa grazia: dona al Tuo popolo, Padre, di vivere sempre nella venerazione e nell’amore per il Tuo santo nome! E con la certezza che Tu non privi mai della Tua guida coloro che hai stabilito sulla roccia del Tuo amore!".


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[Modificato da Caterina63 23/06/2013 20:49]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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[SM=g1740758]  Nell'omelia del Pontefice a Santa Marta
L'esempio di Giovanni voce della Parola

    Una Chiesa ispirata alla figura di Giovanni il Battista: che "esiste per proclamare, per essere voce di una parola, del suo sposo che è la parola" e "per proclamare questa parola fino al martirio" per mano dei "dei più superbi della terra".

L'ha proposta Papa Francesco durante la messa celebrata nella cappella della Domus Sanctae Marthae, stamane, lunedì 24 giugno, festa liturgica della natività del santo, che la Chiesa venera come "l'uomo più grande nato da donna". 
Tutta la riflessione del Santo Padre è stata incentrata su questo parallelismo, perché "la Chiesa ha qualcosa di Giovanni", sebbene - ha messo subito in guardia - sia difficile delineare la sua figura. Del resto "Gesù dice che è l'uomo più grande che sia nato"; ma se poi "vediamo cosa fa" e "pensiamo alla sua vita", ha fatto notare Papa Francesco, ci si accorge che "è un profeta che è passato, un uomo che è stato grande", prima di finire tragicamente.

    Ecco allora l'invito a domandarsi chi sia veramente Giovanni, lasciando la parola al protagonista stesso. Egli, infatti quando "gli scribi, i farisei, vanno a chiedergli di spiegare meglio chi fosse", risponde chiaramente: "io non sono il Messia. Io sono una voce, una voce nel deserto". Di conseguenza la prima cosa che si capisce è che "il deserto" sono i suoi interlocutori; gente con "un cuore così, senza niente", li ha definiti il Pontefice.
Mentre lui è "la voce, una voce senza parola, perché la parola non è lui, è un altro. Lui è quello che parla, ma non dice; quello che predica su un altro che verrà dopo". In tutto questo - ha spiegato il Papa - c'è "il mistero di Giovanni" che "mai si impadronisce della parola; la parola è un altro. E Giovanni è quello che indica, quello che insegna", utilizzando i termini "dietro di me... io non sono quello che voi pensate; ecco viene dopo di me uno al quale io non sono degno di allacciare i sandali". Dunque "la parola non c'è", c'è invece "una voce che indica un altro". Tutto il senso della sua vita "è indicare un altro".


    Proseguendo nella sua omelia Papa Francesco ha poi evidenziato come la Chiesa scelga per la festa di san Giovanni "i giorni più lunghi dell'anno; i giorni che hanno più luce, perché nelle tenebre di quel tempo Giovanni era l'uomo della luce: non una luce propria, ma una luce riflessa. Come una luna. E quando Gesù cominciò a predicare", la luce di Giovanni iniziò ad affievolirsi, "a diminuire, ad andare giù". Egli stesso lo dice chiaramente parlando della propria missione: "è necessario che lui cresca e io venga meno".

Riassumendo, quindi: "voce, non parola; luce, ma non propria, Giovanni sembra essere niente". Ecco svelata "la vocazione" del Battista, ha affermato il Pontefice: "annientarsi. E quando noi contempliamo la vita di quest'uomo tanto grande, tanto potente - tutti credevano che fosse il Messia - quando contempliamo come questa vita si annienta fino al buio di un carcere, contempliamo un mistero" enorme. Infatti, ha proseguito, "noi non sappiamo come sono stati" i suoi ultimi giorni. È noto solo che è stato ucciso e che la sua testa è finita "su un vassoio come grande regalo da una ballerina a un'adultera. Credo che più di così non si possa andare giù, annientarsi".

   
Però sappiamo quello che è successo prima, durante il tempo trascorso nel carcere: conosciamo "quei dubbi, quell'angoscia che lui aveva"; al punto da chiamare i suoi discepoli e mandarli "a fare la domanda alla parola: sei tu o dobbiamo aspettare un altro?". Perché non gli fu risparmiato nemmeno "il buio, il dolore sulla sua vita": la mia vita ha un senso o ho sbagliato?

    Insomma, ha detto il Papa, il Battista poteva vantarsi, sentirsi importante, ma non lo ha fatto: egli "indicava soltanto, si sentiva voce e non parola". Questo è per Papa Francesco "il segreto di Giovanni". Egli "non ha voluto essere un ideologo". È stato un "uomo che si è negato a se stesso, perché la parola" crescesse. Ecco allora l'attualità del suo insegnamento: "noi come Chiesa possiamo chiedere oggi la grazia - ha auspicato il Santo Padre - di non diventare una Chiesa ideologizzata", per essere invece "soltanto la Dei Verbum religiose audiens et fidenter proclamans", ha detto citando l'incipit della costituzione conciliare sulla divina rivelazione.
Una "Chiesa che ascolta religiosamente la parola di Gesù e la proclama con coraggio"; una "Chiesa senza ideologie, senza vita propria"; una "Chiesa che è mysterium lunae, che ha luce dal suo sposo" e che deve affievolire la propria luce perché a risplendere sia la luce di Cristo. Non ha dubbi Papa Francesco: "il modello che ci offre oggi Giovanni" è quello di "una Chiesa sempre al servizio della Parola; una Chiesa che mai prenda niente per se stessa".
E poiché nella colletta e nella preghiera dei fedeli era stata invocata "la grazia della gioia", ed era stato "chiesto al Signore di allietare questa Chiesa nel suo servizio alla parola, di essere voce di questa parola, di predicare questa parola", il Pontefice ha esortato a invocare "la grazia di imitare Giovanni: senza idee proprie, senza un vangelo preso come proprietà"; per essere "soltanto una Chiesa voce che indica la parola, fino al martirio".



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 La chiamata di Abramo

    La strada per la pace in Medio Oriente è quella indicata dalla "saggezza" di Abramo, padre comune nella fede per ebrei, cristiani e musulmani. Lo ha detto Papa Francesco nella messa celebrata nella cappella della Domus Sanctae Marthae martedì 25 giugno, riferendosi alla "lotta per la terra" tra Abramo e Lot, raccontata al capitolo 13 della Genesi (2.5-18).
"Quando io leggo questo, penso al Medio Oriente e chiedo tanto al Signore che ci dia a tutti la saggezza, questa saggezza: non litighiamo - tu di qua e io di là - per la pace" ha detto all'inizio dell'omelia. E Abramo, ha aggiunto, ci ricorda anche che "nessuno è cristiano per caso" perché Dio ci chiama per nome e con "una promessa".

    Con il Papa hanno concelebrato, tra gli altri, i cardinali Camillo Ruini e Robert Sarah, presidente del Pontificio Consiglio Cor Unum, che accompagnava un gruppo di officiali e collaboratori del dicastero; il vescovo Ignacio Carrasco de Paula, presidente della Pontificia Accademia per la Vita, con i suoi collaboratori; e il gesuita Gabriel G. Funes, direttore della Specola Vaticana, con il personale dell'osservatorio astronomico.

    C'è una promessa, ha ricordato il Pontefice, alla radice della storia di Abramo che è pronto a lasciare la sua terra "per andare non sapeva dove, ma dove il Signore gli avrebbe detto". Il Santo Padre ha ripercorso le sue vicissitudini, il passaggio in Egitto e, appunto, la disputa e poi la pace con Lot per la questione della terra. Papa Francesco ha ripetuto le bellissime parole della Genesi: "Allora il Signore disse ad Abramo: "Alza gli occhi e, dal luogo dove tu stai, spingi lo sguardo verso il settentrione e il mezzogiorno", dappertutto, tutto è tuo, tutto sarà tuo, della tua discendenza". E, ha aggiunto, "quest'uomo, forse già novantenne, guarda tutto e crede alla parola di Dio che lo ha invitato a uscire dalla sua terra. Crede. E poi va a stabilirsi alle Querce di Mamre, il posto dove il Signore gli parlerà tante volte".
   
Abramo, ha sottolineato il Pontefice, "parte dalla sua terra con una promessa. Tutto il suo cammino è andare verso questa promessa. E il suo percorso è anche un modello del nostro percorso. Dio chiama Abramo, una persona, e di questa persona fa un popolo. Se noi andiamo al libro della Genesi, all'inizio, alla creazione, possiamo trovare che Dio crea le stelle, crea le piante, crea gli animali". Tutto al plurale. Ma "crea l'uomo: singolare. Uno. Dio parla a noi sempre al singolare, perché ci ha creati a sua immagine e somiglianza. E Dio ci parla al singolare e ha parlato ad Abramo, gli ha fatto una promessa e lo ha invitato a uscire dalla sua terra".


    Anche "noi cristiani - ha proseguito il Papa - siamo stati chiamati al singolare. Nessuno di noi è cristiano per puro caso: nessuno. C'è una chiamata a te, a te, a te". È una chiamata "con il nome, con una promessa: vai avanti, io sono con te, io cammino affianco a te".
    "Questo - ha spiegato - lo sapeva pure Gesù che nei momenti più difficili si rivolge al Padre", come accade "nell'orto degli ulivi. E alla fine, quando sente quel buio tanto profondo", dice: "Padre, perché mi hai abbandonato?".
Dunque, "sempre in rapporto al Padre che lo ha chiamato e lo ha inviato. E, anche quando ci lascia nel giorno dell'Ascensione, ci dice quella bella parola: io sarò tutti i giorni con voi, accanto a voi: accanto a te, accanto a te, accanto a te. Sempre".


    "Dio ci accompagna, Dio ci chiama per nome, Dio ci promette una discendenza" ha ricordato ancora il Pontefice. "E questa è la sicurezza del cristiano: non è una casualità, è una chiamata. Una chiamata che ci fa andare avanti. Essere cristiano è una chiamata d'amore, d'amicizia. Una chiamata a diventare figlio di Dio, fratello di Gesù, a diventare fecondo nella trasmissione di questa chiamata agli altri, a diventare strumento di questa chiamata".
    Certo, ha riconosciuto, "ci sono tanti problemi, momenti difficili. Anche Gesù ne ha passati tanti, ma sempre con quella sicurezza: il Signore mi ha chiamato, il Signore è con me, il Signore mi ha promesso. Ma forse il Signore si è sbagliato su di me? Il Signore è fedele, perché Lui mai può rinnegare se stesso. Lui è la fedeltà".

    Proprio "pensando ad Abramo, a questo brano della Scrittura, dove lui è unto padre per la prima volta, padre del popolo, pensiamo anche a noi - ha proseguito il Pontefice - che siamo stati unti nel battesimo e pensiamo alla nostra vita cristiana". E a chi dice "Padre, ma io sono peccatore!" il Papa ha ricordato che tutti noi lo siamo. L'importante è "andare avanti, con il Signore. Andare avanti con quella promessa che ci ha fatto, con quella promessa di fecondità; e dire agli altri, raccontare agli altri, che il Signore è con noi, che il Signore ci ha scelti e che lui non ci lascia soli mai. Quella certezza del cristiano ci farà bene".
Papa Francesco ha concluso con l'auspicio che "il Signore dia a tutti noi questa voglia di andare avanti che ha avuto Abramo" anche in mezzo alle difficoltà. Andare avanti, con la sicurezza di Abramo, la sicurezza che il Signore "mi ha chiamato, che mi ha promesso tante cose belle, che è con me".


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Il Papa: i preti abbiano la grazia della paternità spirituale. Gli auguri al card. De Giorgi



Dio vuole che i sacerdoti vivano con pienezza una speciale grazia di “paternità”: quella spirituale nei riguardi delle persone loro affidate. Lo ha affermato Papa Francesco nella Messa di mercoledì mattina 26 giugno, presieduta nella cappella di Casa S. Marta. Con il Pontefice erano presenti prelati e sacerdoti che accompagnavano il cardinale arcivescovo emerito di Palermo, Salvatore De Giorgi, che oggi celebra il 60.mo anniversario di ordinazione sacerdotale, circostanza alla quale il Papa ha fatto cenno con parole di grande stima all’omelia, per poi ritornarvi più tardi all'udienza generale. Il servizio di Alessandro De Carolis:RealAudioMP3

La “voglia di paternità” è iscritta nelle fibre più profonde di un uomo. E un sacerdote, ha affermato Papa Francesco, non fa eccezione, pur essendo il suo desiderio orientato e vissuto in modo particolare:

“Quando un uomo non ha questa voglia, qualcosa manca, in quest’uomo. Qualcosa non va. Tutti noi, per essere, per diventare pieni, per essere maturi, dobbiamo sentire la gioia della paternità: anche noi celibi. La paternità è dare vita agli altri, dare vita, dare vita… Per noi, sarà la paternità pastorale, la paternità spirituale: ma è dare vita, diventare padri”.

Lo spunto di riflessione è offerto a Papa Francesco dal brano della Genesi di oggi, nel quale Dio promette al vecchio Abramo la gioia di un figlio, assieme a una discendenza fitta come le stelle del cielo. Per suggellare questo patto, Abramo segue le indicazioni di Dio e allestisce un sacrificio di animali che poi difende dall’assalto di uccelli rapaci. “Mi commuove – commenta il Papa – guardare questo novantenne con il bastone in mano”, che difende il suo sacrificio. “Mi fa pensare a un padre, quando difende la famiglia, i figli”:

“Un padre che sa cosa significa difendere i figli. E questa è una grazia che noi preti dobbiamo chiedere: essere padri, essere padri. La grazia della paternità, della paternità pastorale, della paternità spirituale. Peccati ne avremo tanti, ma questo è di commune sanctorum: tutti abbiamo peccati. Ma non avere figli, non diventare padre, è come se la vita non arrivasse alla fine: si ferma a metà cammino. E perciò dobbiamo essere padri. Ma è una grazia che il Signore dà. La gente ci dice così: ‘Padre, padre, padre…’. Ci vuole così, padri, con la grazia della paternità pastorale”.

A questo punto, lo sguardo di Papa Francesco si posa con affetto sul cardinale De Giorgi, giunto al traguardo del 60.mo anniversario di sacerdozio. “Io non so cosa ha fatto il caro Salvatore”, ma “sono sicuro che è stato padre”. “E questo è un segno”, prosegue rivolto ai tanti sacerdoti che hanno accompagnato il porporato. Ora tocca a voi, è l’esortazione finale di Papa Francesco, che osserva: ogni albero “dà il frutto da sé e se lui è buono, i frutti devono essere buoni, no?”. Dunque, soggiunge con simpatia, “non fategli fare brutta figura…”:

“Ringraziamo il Signore per questa grazia della paternità nella Chiesa, che va di padre in figlio, e così… E io penso, per finire, a queste due icone e a una in più: l’icona di Abramo che chiede un figlio, l’icona di Abramo con il bastone in mano, difendendo la famiglia, e l’icona dell’anziano Simeone nel Tempio, quando riceve la vita nuova: fa una liturgia spontanea, la liturgia della gioia, a Lui. E a voi, il Signore oggi vi dia tanta gioia”.




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 Cristiani di azione e di verità

    C'è bisogno di "cristiani di azione e di verità", la cui vita sia "fondata sulla roccia di Gesù", e non di "cristiani di parole", superficiali come gli gnostici o rigidi come i pelagiani. Lo ha detto Papa Francesco, riprendendo un tema a lui caro, nella messa celebrata stamattina, giovedì 27 giugno, nella cappella della Domus Sanctae Marthae. Ha concelebrato, tra gli altri, il cardinale Raymundo Damasceno Assis, arcivescovo di Aparecida e presidente della Conferenza episcopale brasiliana. Tra i presenti, personale della Direzione di Sanità e Igiene del Governatorato dello Stato della Città del Vaticano, guidato dal direttore Patrizio Polisca.

    La riflessione del Papa, ispirata come di consueto dalle letture del giorno, ha preso avvio in particolare dal brano del vangelo di Matteo (7, 21-29), in cui - ha spiegato il Pontefice - "il Signore ci parla del nostro fondamento, il fondamento della nostra vita cristiana", e ci dice che questo "fondamento è la roccia". Questo significa che "dobbiamo costruire la casa", ovvero la nostra vita, sulla roccia che è Cristo. Quando san Paolo parla della roccia nel deserto si riferisce a Cristo, ha sottolineato il Papa. Egli è l'unica roccia "che può darci sicurezza", tanto che "noi siamo invitati a costruire la nostra vita su questa roccia di Cristo. Non su un'altra".

    Nel brano evangelico, ha ricordato il Santo Padre, Gesù accenna anche a quanti credono di poter costruire la loro vita soltanto sulle parole: "Non chiunque dice "Signore, Signore" entrerà nel Regno dei cieli".
Ma, ha avvertito il Papa, Gesù propone subito di edificare "la nostra casa sulla roccia". A partire da questo insegnamento, Papa Francesco ha individuato "nella storia della Chiesa due classi di cristiani": i primi, dai quali guardarsi, sono i "cristiani di parole", cioè quelli che si limitano a ripetere: "Signore, Signore, Signore!"; i secondi, quelli autentici, sono "cristiani di azione, di verità".

In proposito ha evidenziato che da sempre c'è "stata la tentazione di vivere il nostro cristianesimo fuori della roccia che è Cristo; l'unico che ci dà la libertà per dire "Padre" a Dio; l'unico che ci sostiene nei momenti difficili". Lo dice Gesù stesso con esempi concreti: "Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti", ma quando "c'è la roccia, c'è sicurezza". Al contrario, quando ci sono solo "parole, le parole volano, non servono". Si finisce in pratica nella "tentazione di questi "cristiani di parole": un cristianesimo senza Gesù, un cristianesimo senza Cristo". E purtroppo "questo è accaduto e accade oggi nella Chiesa".

    Si tratta di una tentazione che nella storia della Chiesa è presente in maniera molto diversificata e ha dato vita a varie categorie di "cristiani senza Cristo" tra le quali Papa Francesco ne ha approfondite in particolare due. Quella del "cristiano light", che "invece di amare la roccia, ama le parole belle, le cose belle" e si rivolge "verso un "dio spray", un "dio personale"", con atteggiamenti "di superficialità e di leggerezza". Questa tentazione c'è ancora oggi: "cristiani superficiali che credono sì in Dio", ma non in Gesù Cristo, "quello che ti dà fondamento". Il Papa li ha definiti "gli gnostici moderni", quelli che cedono alla tentazione di un cristianesimo fluido.

    Alla seconda categoria appartengono invece "quelli che credono che la vita cristiana" si debba "prendere tanto sul serio" da finire "per confondere solidità e fermezza con rigidità". Il Santo Padre li ha definiti "cristiani rigidi", "che pensano che per essere cristiani è necessario mettersi a lutto", prendendo "sempre tutto sul serio", attenti ai formalismi, come facevano scribi e farisei del tempo di Gesù. Sono per il Pontefice cristiani per i quali "tutto è serio. Sono i pelagiani di oggi, quelli che credono nella fermezza della fede". E sono convinti che "la salvezza è nel modo in cui io faccio le cose": "devo farle sul serio", senza gioia. Il Pontefice ha commentato: "Ce ne sono tanti. Non sono cristiani, si mascherano da cristiani".
    In definitiva queste due categorie di credenti - gnostici e pelagiani - "non conoscono Gesù, non sanno chi sia il Signore, non sanno cosa sia la roccia, non hanno la libertà dei cristiani". E, di conseguenza, "non hanno gioia". I primi "hanno una certa "allegria", superficiale"; i secondi "vivono in una continua veglia funebre, ma non sanno cosa sia la gioia cristiana, non sanno godere la vita che Gesù ci dà, perché non sanno parlare con lui". Perciò non trovano in Gesù "quella fermezza che dà la sua presenza". E oltre a non avere gioia, nemmeno "hanno libertà".

    I primi, ha proseguito, "sono schiavi della superficialità", i secondi "sono schiavi della rigidità" e "non sono liberi", perché "nella loro vita lo Spirito Santo non trova posto". Del resto, "è lo Spirito che ci dà la libertà".
    Ecco dunque l'insegnamento odierno del Signore secondo Papa Francesco: un invito "a costruire la nostra vita cristiana sulla roccia che ci dà la libertà" e che ci "fa andare avanti con la gioia nel suo cammino, nelle sue proposte". Da qui la duplice esortazione a chiedere "al Signore la grazia di non diventare "cristiani di parole", sia con la "superficialità gnostica", sia con la "rigidità pelagiana"", per poter invece "andare avanti nella vita come cristiani fermi sulla roccia che è Gesù Cristo e con la libertà che ci dà lo Spirito Santo". Una grazia da domandare "in modo speciale alla Madonna. Lei - ha concluso - sa cosa significhi essere fondati sulla roccia".


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Il Papa: il cristiano sia paziente e irreprensibile, camminando sempre alla presenza del Signore



Il Signore ci chiede di essere pazienti e irreprensibili, camminando sempre alla sua presenza. E’ quanto affermato, stamani, da Papa Francesco nella Messa alla Casa Santa Marta del 28 giugno, venerdì. Il Papa ha sottolineato che il Signore sceglie sempre il suo modo per entrare nella nostra vita e questo richiede pazienza da parte nostra, perché non sempre si fa vedere da noi. Alla Messa ha preso parte, tra gli altri, un gruppo di dipendenti della Direzione di Sanità e di Igiene, accompagnati dal direttore, dott. Patrizio Polisca. Il servizio di Alessandro Gisotti:RealAudioMP3

Il Signore entra lentamente nella vita di Abramo, ha 99 anni quando gli promette un figlio. Entra invece subito nella vita del lebbroso: Gesù ascolta la sua preghiera, lo tocca ed ecco il miracolo. Papa Francesco ha preso spunto dalla Prima Lettura e dal Vangelo odierno per soffermarsi su come il Signore scelga di coinvolgersi “nella nostra vita, nella vita del suo popolo”. Abramo e il lebbroso. “Quando il Signore viene – ha osservato il Papa – non sempre lo fa nella stessa maniera. Non esiste un protocollo d’azione di Dio nella nostra vita”, “non esiste”. Una volta, ha aggiunto, “lo fa in una maniera, un’altra volta lo fa in un’altra maniera” ma sempre lo fa. “Sempre – ha ribadito – c’è questo incontro tra noi e il Signore”:

“Il Signore sceglie sempre il suo modo di entrare nella nostra vita. Tante volte lo fa tanto lentamente, che noi siamo nel rischio di perdere un po’ la pazienza: ‘Ma Signore, quando?’ E preghiamo, preghiamo… E non viene il suo intervento nella nostra vita. Altre volte, quando pensiamo a quello che il Signore ci ha promesso, è tanto grande che siamo un po’ increduli, un po’ scettici e come Abramo - un po’ di nascosto - sorridiamo… Dice in questa Prima Lettura che Abramo nascose la sua faccia e sorrise… Un po’ di scetticismo: ‘Ma come io, a cento anni quasi, avrò un figlio e mia moglie a 90 anni avrà un figlio?’.

Lo stesso scetticismo, ha rammentato, lo avrà Sara, alle Querce di Mamre, quando i tre angeli diranno la stessa cosa ad Abramo. “Quante volte noi, quando il Signore non viene – è stata la sua riflessione - non fa il miracolo e non ci fa quello che noi vogliamo che Lui faccia, diventiamo o impazienti o scettici”:

“Ma non lo fa, agli scettici non può farlo. Il Signore prende il suo tempo. Ma anche Lui, in questo rapporto con noi, ha tanta pazienza. Non soltanto noi dobbiamo avere pazienza: Lui ne ha! Lui ci aspetta! E ci aspetta fino alla fine della vita! Pensiamo al buon ladrone, proprio alla fine, alla fine, ha riconosciuto Dio. Il Signore cammina con noi, ma tante volte non si fa vedere, come nel caso dei discepoli di Emmaus. Il Signore è coinvolto nella nostra vita - questo è sicuro! - ma tante volte non lo vediamo. Questo ci chiede pazienza. Ma il Signore che cammina con noi, anche Lui ha tanta pazienza con noi”.

Il Papa ha rivolto il pensiero proprio “al mistero della pazienza di Dio, che nel camminare, cammina al nostro passo”. Alcune volte nella vita, ha constatato, “le cose diventano tanto oscure, c’è tanto buio, che noi abbiamo voglia - se siamo in difficoltà - di scendere dalla Croce”. Questo, ha affermato, “è il momento preciso: la notte è più buia, quando è prossima l’aurora. E sempre quando noi scendiamo dalla Croce, lo facciamo cinque minuti prima che venga la liberazione, nel momento dell’impazienza più grande”:

“Gesù, sulla Croce, sentiva che lo sfidavano: ‘Scendi, scendi! Vieni!’. Pazienza sino alla fine, perché Lui ha pazienza con noi. Lui entra sempre, Lui è coinvolto con noi, ma lo fa a suo modo e quando Lui pensa che sia meglio. Soltanto ci dice quello che ha detto ad Abramo: ‘Cammina nella mia presenza e sii perfetto’, sii irreprensibile, è proprio la parola giusta. Cammina nella mia presenza e cerca di essere irreprensibile. Questo è il cammino col Signore e Lui interviene, ma dobbiamo aspettare, aspettare il momento, camminando sempre alla sua presenza e cercando di essere irreprensibili. Chiediamo questa grazia al Signore: camminare sempre nella sua presenza, cercando di essere irreprensibili’.





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Bisogna avere il coraggio di pregare il Signore

Se si vuole ottenere qualcosa da Dio bisogna avere il coraggio di "negoziare" con lui attraverso una preghiera insistente e convinta, fatta di poche parole. Papa Francesco è tornato così a parlare del coraggio che deve sostenere la preghiera rivolta al Padre, con "tutta la familiarità possibile". E ha portato come esempio la preghiera di Abramo, il suo modo di parlare con Dio proprio come se si trovasse a negoziare, appunto, con un altro uomo.
È su questo che il Pontefice ha invitato a riflettere quanti hanno partecipato questa mattina, lunedì 1 luglio, alla messa celebrata nella cappella della Domus Sanctae Marthae. Tra gli altri erano officiali e collaboratori del Pontificio Consiglio per la Promozione dell'Unità dei Cristiani, accompagnati dal cardinale presidente Kurt Koch, il quale ha concelebrato con il Papa.
L'episodio al quale il Papa si è riferito è narrato nel libro della Genesi (18, 16-33 ) dove è riportata la coraggiosa intercessione di Abramo per evitare la morte dei giusti nella distruzione di Sòdoma e Gomorra, esempio proprio di familiarità e di rispetto verso Dio. Abramo si rivolge a Dio come farebbe con qualunque uomo e pone il problema, insistendo: "E se ci fossero cinquanta giusti? Se ce ne fossero quaranta... trenta... venti... dieci?".

Abramo, ha ricordato il Pontefice, aveva oltrepassato cento anni. Da circa venticinque parlava con il Signore e di Lui aveva maturato una profonda conoscenza. E dunque al Signore si rivolge per chiedergli "cosa farà con quella città peccatrice. Abramo sente la forza di parlare faccia a faccia col Signore e cerca di difendere quella città. È insistente". Egli sente, ha spiegato ancora il Pontefice, che quella terra gli appartiene e dunque cerca di salvare ciò che è suo. Ma, avverte, sente anche di dover difendere quello che appartiene al Signore.

"Abramo - ha puntualizzato Papa Francesco - è un coraggioso e prega con coraggio". Del resto nella Bibbia, ha aggiunto, la prima cosa che si nota è proprio l'affermazione che "la preghiera deve essere coraggiosa". Quando parliamo di coraggio "noi pensiamo sempre al coraggio apostolico", a quello che ci porta "ad andare a predicare il Vangelo". Tuttavia esiste "anche il coraggio davanti al Signore, la parresia davanti al Signore: andare dal Signore coraggiosi per chiedere delle cose". E "Abramo parla con il Signore in una maniera speciale, con questo coraggio". Il Papa paragona la preghiera di Abramo a un "negozio fenicio" nel quale si contratta sul prezzo e chi chiede cerca di tirare il più possibile per abbassare il prezzo. Abramo insiste e "da 50 è riuscito ad abbassare il prezzo a 10" nonostante sapesse che non era possibile evitare il castigo per le città peccatrici. Ma lui doveva intercedere per salvare "un giusto, suo cugino". Con coraggio, con insistenza, però andava avanti.

Quante volte, ha ricordato il Papa, sarà capitato a ciascuno di noi di ritrovarsi a pregare per qualcuno dicendo: "Signore ti chiedo per quello, per quello...". Ma "se uno vuole che il Signore conceda una grazia - ha sottolineato il Vescovo di Roma - deve andare con coraggio e fare quello che ha fatto Abramo, con insistenza. Gesù stesso ci dice che dobbiamo pregare così". E per far meglio capire il concetto il Papa ha riproposto alcuni episodi evangelici mostrando come, insistendo, si possa ottenere dal Signore ciò che si chiede. Questo, ha ripetuto, è "un atteggiamento della preghiera. Santa Teresa parla della preghiera come di un negoziare con il Signore. E questo è possibile quando c'è la familiarità con il Signore. Abramo da 25 anni era con il Signore, aveva familiarità. E per questo ha osato andare su questa strada di preghiera. Insistere, coraggio. È stancante, è vero, ma questa è la preghiera. Questo è ricevere da Dio una grazia".

Il Pontefice si è poi soffermato anche su come Abramo si rivolge al Signore: "Non dice "ma poveretti saranno bruciati... ma perdonali. Tu vuoi far quello? Tu che sei tanto buono vuoi fare lo stesso all'empio che al giusto? Ma no, tu non puoi far quello". Prende gli argomenti le motivazioni del cuore stesso di Dio. Lo stesso farà Mosè quando il Signore vuole distruggere il popolo: "ma, no, Signore, non fare così, perché diranno: li ha fatti uscire dall'Egitto nel deserto per ucciderli! no tu non puoi fare così". Convincere il Signore con le virtù del Signore, e questo è bello".
Il suggerimento dunque è andare al cuore del Signore. "Gesù - ha detto il Papa - ci insegna: il Padre sa le cose. Non preoccupatevi, il padre manda la pioggia sui giusti e sui peccatori, il sole per giusti e i peccatori.

"Io vorrei - ha concluso - che da oggi tutti noi 5 minuti durante la giornata prendessimo la Bibbia e lentamente recitassimo il salmo 102 che è quello che abbiamo recitato fra le due letture. "Benedici il Signore anima mia, quanto è in me benedica il suo nome, non dimenticare tutti i suoi benefici. Egli perdona tutte le colpe, guarisce tutte le infermità, salva dalla fossa la tua vita, ti circonda di bontà e misericordia". Pregarlo tutto. E con questo impareremo le cose che dobbiamo dire al Signore, quando chiediamo una grazia".





[Modificato da Caterina63 02/07/2013 13:31]
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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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Il Papa: fuggiamo dal peccato senza averne nostalgia, dobbiamo essere forti nella debolezza



Il cristiano è chiamato ad essere coraggioso nella propria debolezza. E’ quanto sottolineato da Papa Francesco nella Messa di stamani 2 luglio alla Casa Santa Marta. Il Papa ha affermato che, a volte, dobbiamo riconoscere che siamo deboli e dunque dobbiamo fuggire senza nostalgia del peccato, senza guardare indietro. Alla Messa, concelebrata dal cardinale Manuel Monteiro de Castro e mons. Beniamino Stella, hanno preso parte un gruppo di sacerdoti e collaboratori del Tribunale della Penitenzieria Apostolica e un gruppo della Pontificia Accademia Ecclesiastica. Il servizio di Alessandro Gisotti:RealAudioMP3

Agire con lentezza, guardare indietro, avere paura e rivolgersi al Signore, alla grazia dello Spirito Santo. Nella sua omelia, Papa Francesco ha preso spunto dalle Letture di oggi per soffermarsi su quattro “atteggiamenti possibili nelle situazioni conflittuali, nelle situazioni difficili”. Il primo atteggiamento è quello della “lentezza” di Lot. Egli, ha osservato il Papa, era deciso a lasciare la città prima che fosse distrutta, ma lo fa piano piano. L’angelo gli dice di fuggire, ma c’è in lui l’“incapacità del distacco dal male, dal peccato”. Noi, ha aggiunto, vogliamo uscire, siamo decisi,” ma "c’è qualcosa che ci tira indietro” e così Lot si mette a negoziare perfino con l’angelo:

“E’ tanto difficile tagliare con una situazione peccaminosa. E’ difficile! Anche in una tentazione, è difficile! Ma la voce di Dio ci dice questa parola: ‘Fuggi! Tu non puoi lottare lì, perché il fuoco, lo zolfo ti uccideranno. Fuggi!’. Santa Teresina del Bambin Gesù ci insegnava che alcune volte, in alcune tentazioni, l’unica soluzione è fuggire e non avere vergogna di fuggire; riconoscere che siamo deboli e dobbiamo fuggire. E il nostro popolo nella sua semplice saggezza lo dice un po’ ironicamente: ‘Soldato che fugge, serve per un’altra guerra’. Fuggire per andare avanti nella strada di Gesù”.

L’angelo, ha aggiunto, dice poi di “non guardare indietro”, di fuggire e guardare avanti. Qui, ha detto, c’è un consiglio a vincere la nostalgia del peccato. Pensiamo al Popolo di Dio nel deserto, ha sottolineato: “Aveva tutto, le promesse, tutto”. Eppure, “c’era la nostalgia delle cipolle d’Egitto” e questa “nostalgia faceva dimenticare loro che quelle cipolle le mangiavano sulla tavola della schiavitù”. C’era la “nostalgia di ritornare, ritornare”. E il consiglio dell’angelo, ha osservato il Papa, “è saggio: Non guardare indietro! Va avanti”. Non dobbiamo fare come la moglie di Lot, dobbiamo “tagliare ogni nostalgia, perché c’è la tentazione anche della curiosità”:

“Davanti al peccato, fuggire senza nostalgia. La curiosità non serve, fa male! ‘Ma, in questo mondo tanto peccaminoso, come si può fare? Ma come sarà questo peccato? Io vorrei conoscere...’. No, lascia! La curiosità ti farà male! Fuggire e non guardare indietro! Siamo deboli, tutti, e dobbiamo difenderci. La terza situazione è sulla barca: è la paura. Quando viene nel mare un grande sconvolgimento, la barca era coperta dalle onde. ‘Salvaci, Signore, siamo perduti!’ Dicono loro. La paura! Anche quella è una tentazione del demonio: avere paura di andare avanti sulla strada del Signore”.

C’è la tentazione che dice che è “meglio rimanere qui”, dove sono sicuro. “Ma questo – ha avvertito - è l’Egitto della schiavitù!”. Ho “paura di andare avanti – ha ribadito il Papa - ho paura di dove mi porterà il Signore”. La paura, però, “non è un buon consigliere”. Gesù, ha soggiunto, “tante volte, l’ha detto: ‘Non abbiate paura!’. La paura non ci aiuta”. Il quarto atteggiamento, ha poi sottolineato, “è la grazia dello Spirito Santo”. Quando Gesù fa tornare la bonaccia sul mare agitato, i discepoli sulla barca sono pieni di stupore. “Sempre, davanti al peccato, davanti alla nostalgia, davanti alla paura”, ha affermato, dobbiamo rivolgerci al Signore:

“Guardare il Signore, contemplare il Signore. Questo ci dà questo stupore, tanto bello, di un nuovo incontro con il Signore. ‘Signore, io ho questa tentazione: voglio rimanere in questa situazione di peccato; Signore, io ho la curiosità di conoscere come sono queste cose; Signore io ho paura’. E loro hanno guardato il Signore: ‘Salvaci Signore, siamo perduti!’ Ed è venuto lo stupore del nuovo incontro con Gesù. Non siamo ingenui né cristiani tiepidi, siamo valorosi, coraggiosi. Siamo deboli noi, ma dobbiamo essere coraggiosi nella nostra debolezza. E il nostro coraggio tante volte deve esprimersi in una fuga e non guardare indietro, per non cadere nella cattiva nostalgia. Non avere paura e sempre guardare il Signore!”.


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Il Papa nella Festa di San Tommaso: Dio si incontra baciando le piaghe di Gesù nei fratelli più deboli



Per incontrare il Dio vivo è necessario baciare con tenerezza le piaghe di Gesù nei nostri fratelli affamati, poveri, malati, carcerati: è quanto ha detto stamani il Papa nella Messa a “Santa Marta” stamani 3 luglio, commentando il Vangelo proposto dalla liturgia nella Festa di San Tommaso Apostolo. Erano presenti sacerdoti e collaboratori del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso guidati dal cardinale Jean-Louis Tauran, presidente del dicastero. Il servizio di Sergio Centofanti:RealAudioMP3

Gesù, dopo la Resurrezione, appare agli apostoli, ma Tommaso non c’è: “Ha voluto che aspettasse una settimana – ha spiegato Papa Francesco - Il Signore sa perché fa le cose. E a ciascuno di noi dà il tempo che lui crede che sia meglio per noi. A Tommaso ha concesso una settimana”. Gesù si rivela con le sue piaghe: “Tutto il suo corpo era pulito, bellissimo, pieno di luce – sottolinea il Pontefice - ma le piaghe c’erano e ci sono ancora” e quando il Signore verrà, alla fine del mondo, “ci farà vedere le sue piaghe”. Tommaso per credere voleva mettere le sue dita in quelle piaghe:

“Era un testardo. Ma, il Signore ha voluto proprio un testardo per farci capire una cosa più grande. Tommaso ha visto il Signore, è stato invitato a mettere il suo dito nella piaga dei chiodi; mettere la mano sul fianco e non ha detto: ‘E’ vero: il Signore è risorto!’. No! E’ andato più oltre. Ha detto: ‘Dio!’. Il primo dei discepoli che fa la confessione della divinità di Cristo, dopo la Resurrezione. E ha adorato”.

“E così – prosegue il Papa - si capisce qual era l’intenzione del Signore nel farlo aspettare: prendere anche la sua incredulità per portarla non all’affermazione della Resurrezione, ma all’affermazione della sua divinità”. Il “cammino per l’incontro con Gesù-Dio – ha sottolineato - sono le sue piaghe. Non ce n’è un altro”:

“Nella storia della Chiesa ci sono stati alcuni sbagli nel cammino verso Dio. Alcuni hanno creduto che il Dio vivente, il Dio dei cristiani noi possiamo trovarlo per il cammino della meditazione, e andare più alto nella meditazione. Quello è pericoloso, eh? Quanti si perdono in quel cammino e non arrivano. Arrivano sì, forse, alla conoscenza di Dio, ma non di Gesù Cristo, Figlio di Dio, seconda Persona della Trinità. A quello non ci arrivano. E’ il cammino degli gnostici, no? Sono buoni, lavorano, quello, ma non è il cammino giusto. E’ molto complicato e non ti porta a buon porto”.

“Altri – ha spiegato il Papa - hanno pensato che per arrivare a Dio dobbiamo essere noi mortificati, austeri, e hanno scelto la strada della penitenza: soltanto la penitenza, il digiuno. E neppure questi sono arrivati al Dio vivo, a Gesù Cristo Dio vivo. Sono i pelagiani, che credono che con il loro sforzo possono arrivare”. Ma Gesù ci dice che il cammino per incontrarlo è quello di trovare le sue piaghe:

“E le piaghe di Gesù tu le trovi facendo le opere di misericordia, dando al corpo - al corpo - e anche all’anima, ma al corpo – sottolineo – del tuo fratello piagato, perché ha fame, perché ha sete, perché è nudo, perché è umiliato, perché è schiavo, perché è in carcere, perché è in ospedale. Quelle sono le piaghe di Gesù oggi. E Gesù ci chiede di fare un atto di fede, a Lui, ma tramite queste piaghe. ‘Ah, benissimo! Facciamo una fondazione per aiutare tutti quelli e facciamo tante cose buone per aiutarli’. Quello è importante, ma se noi rimaniamo su questo piano, saremo soltanto filantropici. Dobbiamo toccare le piaghe di Gesù, dobbiamo carezzare le piaghe di Gesù, dobbiamo curare le piaghe di Gesù con tenerezza, dobbiamo baciare le piaghe di Gesù, e questo letteralmente. Pensiamo, cosa è successo a San Francesco, quando ha abbracciato il lebbroso? Lo stesso che a Tommaso: la sua vita è cambiata!”.

Per toccare il Dio vivo – ha affermato il Papa – non serve “fare un corso di aggiornamento” ma entrare nelle piaghe di Gesù e per questo “è sufficiente uscire per la strada”. Chiediamo a San Tommaso – ha concluso - la grazia di avere il coraggio di entrare nelle piaghe di Gesù con la nostra tenerezza e sicuramente avremo la grazia di adorare il Dio vivo”.





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 La libertà dei figli di Dio

    Se esistesse una "carta d'identità" per i cristiani, certamente la libertà figurerebbe fra i tratti caratteristici. La libertà dei figli di Dio - ha spiegato in proposito Papa Francesco nell'omelia della messa celebrata questa mattina giovedì 4 luglio nella cappella della Domus Sanctae Marthae - è il frutto della riconciliazione con il Padre operata da Gesù, il quale ha assunto su di sè i peccati di tutti gli uomini e ha redento il mondo con la sua morte sulla croce. Nessuno, ha puntualizzato il Pontefice, ci può privare di questa identità.
   
    La riflessione del Santo Padre si è basata sul brano del vangelo di Matteo (9, 1-8) nel quale si narra il miracolo della guarigione del paralitico. Il Papa si è soffermato sui sentimenti che devono aver scosso l'anima dell'uomo invalido quando, portato su una lettiga, sente Gesù dirgli: "coraggio figlio, ti sono perdonati i peccati".
    Quelli che erano vicini a Gesù in quel momento e hanno udito le sue parole "hanno detto: "Questo bestemmia, soltanto Dio può perdonare i peccati". E Gesù per fargli capire bene ha chiesto loro: "Cosa è più facile perdonare i peccati o guarire? E ha guarito. Gesù, dice san Pietro, passò facendo il bene, sanando tutti, guarì, guarendo tutti".

    "Ma Gesù - ha proseguito il Papa - quando guariva un malato non era soltanto un guaritore. Quando insegnava alla gente, pensiamo nelle beatitudini, non era soltanto un catechista, un predicatore di morale. Quando bastonava l'ipocrisia dei farisei e dei sadducei non era un rivoluzionario che voleva cacciare via i romani. No, queste cose che Gesù faceva - la guarigione, l'insegnamento, le parole forti contro l'ipocrisia - erano soltanto un segno, un segno di qualcosa di più che Gesù stava facendo: perdonare i peccati".
   
Riconciliare il mondo in Cristo in nome del Padre: "questa è la missione di Gesù. Tutte le altre, le guarigioni, l'insegnamento, i rimproveri sono soltanto segni di quel miracolo più profondo che è la ri-creazione del mondo. Una bella preghiera della Chiesa dice: "O Signore tu che hai creato meravigliosamente il mondo, più meravigliosamente lo hai redento, lo hai ricreato"".
La riconciliazione è dunque la ri-creazione del mondo e la missione più profonda di Gesù è la redenzione di tutti noi peccatori. E "Gesù - ha aggiunto il Papa - questo lo fa non con parole, non con gesti, non camminando sulla strada, no! Lo fa con la sua carne. È proprio lui, Dio, che diventa uno di noi, uomo, per guarirci da dentro".

Ma, si è chiesto il Pontefice, "si può dire che Gesù si è fatto un peccatore? Non è proprio così, perché lui non poteva peccare. San Paolo dice la parola giusta: non si è fatto peccatore si è fatto peccato (cfr 2 Corinzi 5, 21). Lui ha preso su di sé tutto il peccato. E questo è bello, questa è la nuova creazione", è "Gesù che scende dalla gloria e si abbassa fino alla morte e morte di croce. Quella è la sua gloria e questa è la nostra salvezza. E la croce alla fine, si fa peccato (cfr 2 Corinzi 5, 21)".


    Riferendosi alla prima lettura della messa, tratta dal libro della Genesi (22,1-19) il Papa ha ricordato poi che mentre Abramo aveva risposto immediatamente al figlio Isacco che lo invocava davanti al fuoco del sacrificio "a Gesù che diceva "Padre mio" il Padre non risponderà. E lui soltanto dirà: "Padre perché mi hai abbandonato?"". Gesù "era diventato peccato per liberarci (cfr 2 Corinzi 5, 21)", questo "è il miracolo più grande" attraverso il quale Gesù ci ha resi figli di Dio e ci ha dato la libertà dei figli. E proprio per questo "noi possiamo dire: "Padre". Altrimenti non avremmo mai potuto dirlo".

"Questo - ha aggiunto il Papa - è il grande miracolo di Gesù. Noi schiavi del peccato, ci ha resi liberi" ci ha guarito. "Ci farà bene pensare a questo - ha aggiunto - e pensare che è tanto bello essere figli. È tanto bella questa libertà dei figli, perché il Figlio è a casa. Gesù ci ha aperto le porte di casa, noi adesso siamo a casa. Adesso si capisce questa parola di Gesù: "coraggio figlio ti sono perdonati i peccati". Quella è la radice del nostro coraggio: sono libero, sono figlio, mi ama il Padre e io amo il Padre. Chiediamo al Signore la grazia di capire bene questa opera sua".

    Dio "ha riconciliato a sé il mondo in Cristo - ha concluso - affidando a noi la parola della riconciliazione. E la grazia di portare avanti con forza, con la libertà dei figli, questa parola di riconciliazione. Noi siamo salvati in Gesù Cristo" e nessuno potrà mai privarci di questa grazia.

"Noi siamo salvati in Gesu' Cristo! E nessuno ci puo' rubare questa carta di identita'.
 Mi chiamo cosi': figlio di Dio! Che bella carta di identita'... Stato civile: libero! Cosi' sia". Con queste parole Papa Francesco ha concluso  l'omelia.



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La misericordia, il cuore del messaggio di Dio: così Papa Francesco a Santa Marta



Il cuore del messaggio di Dio è la misericordia: è quanto ha affermato Papa Francesco nella Messa a Santa Marta oggi 5 luglio,  commentando il Vangelo della chiamata di Matteo. Era presente un gruppo di dipendenti del Governatorato. Ha concelebrato col Papa il cardinale Jorge Liberato Urosa Savino, arcivescovo di Caracas, nel giorno in cui è festa nazionale in Venezuela. Il servizio di Sergio Centofanti:RealAudioMP3

“Misericordia io voglio e non sacrifici”: il Papa ripete le parole di Gesù ai farisei che criticano il Signore che mangia con i peccatori. E i pubblicani – spiega - “erano doppiamente peccatori, perché erano attaccati al denaro e anche traditori della patria” in quanto riscuotevano le tasse dal loro popolo per conto dei romani. Gesù, dunque, vede Matteo, il pubblicano, e lo guarda con misericordia:

“E quell’uomo, seduto al banco delle imposte, in un primo momento Gesù lo guarda e quest’uomo sente qualcosa di nuovo, qualcosa che non conosceva - quello sguardo di Gesù su di lui - sente uno stupore dentro, sente l’invito di Gesù: ‘Seguimi! Seguimi!’. In quel momento, quest’uomo è pieno di gioia, ma è anche un po’ dubbioso, perché è tanto attaccato ai soldi. E’ bastato un momento soltanto - che noi conosciamo come è riuscito ad esprimerlo il Caravaggio: quell’uomo che guardava, ma anche, con le mani, prendeva i soldi - soltanto un momento nel quale Matteo dice di sì, lascia tutto e va con il Signore. E’ il momento della misericordia ricevuta e accettata: ‘Sì, vengo con te!’. E’ il primo momento dell’incontro, un’esperienza spirituale profonda”.

“Poi viene un secondo momento: la festa”, “il Signore fa festa con i peccatori”: si festeggia la misericordia di Dio che “cambia la vita”. Dopo questi due momenti, lo stupore dell’incontro e la festa, viene “il lavoro quotidiano”, annunciare il Vangelo:

“Questo lavoro si deve alimentare con la memoria di quel primo incontro, di quella festa. E questo non è un momento, questo è un tempo: fino alla fine della vita. La memoria. Memoria di che? Di quei fatti! Di quell’incontro con Gesù che mi ha cambiato la vita! Che ha avuto misericordia! Che è stato tanto buono con me e mi ha detto anche: ‘Invita i tuoi amici peccatori, perché facciamo festa!’. Quella memoria dà forza a Matteo e a tutti questi per andare avanti. ‘Il Signore mi ha cambiato la vita! Ho incontrato il Signore!’. Ricordare sempre. E’ come soffiare sulle braci di quella memoria, no? Soffiare per mantenere il fuoco, sempre”.

Nelle parabole evangeliche si parla del rifiuto di tanti invitati alla festa del Signore. E Gesù è andato a “cercare i poveri, gli ammalati e ha fatto festa con loro”:

“E Gesù, continuando con questa abitudine, fa festa con i peccatori e offre ai peccatori la grazia. ‘Misericordia io voglio e non sacrifici. Io non sono venuto, infatti, a chiamare i giusti, ma i peccatori’. Chi si crede giusto, che si cucini nel suo brodo! Lui è venuto per noi peccatori e questo è bello. Lasciamoci guardare dalla misericordia di Gesù, facciamo festa e abbiamo memoria di questa salvezza!”.


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[Modificato da Caterina63 11/07/2013 10:04]
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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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06/07/2013 16:04
 
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[SM=g1740758]  Durante la Messa a Santa Marta, l’ultima (con i fedeli, aggiungo io perchè il sacerdote ha per dovere l'obbligo di dire la Messa OGNI GIORNO e se anche va in ferie la Messa la deve dire [SM=g1740733]  ) prima della pausa estiva di stamani 6 luglio, il Santo Padre è tornato a inistere sulla necessità di rinnovare la Chiesa. "Nella vita cristiana, anche nella vita della Chiesa, ci sono strutture antiche, strutture caduche: è necessario rinnovarle", ha affermato il Pontefice che, durante l'omelia, si appellato al "vino nuovo in otri nuovi".

Soffermandosi sul rinnovamento che porta Gesù, papa Francesco ha spiegato chiaramente che essere cristiano significa "lasciarsi rinnovare da Gesù in questa nuova vita". Non solo. il Santo Padre ha ricordato che non si può essere cristiani "a pezzi" perché "il cristiano part time" non funziona, non porta a nulla. "Essere cristiano alla fine non significa fare cose, ma lasciarsi rinnovare dallo Spirito Santo o, per usare le parole di Gesù, diventare vino nuovo", ha insistito Bergoglio spiegando che la novità portata nella vita dell'uomo dal Vangelo va oltre l'uomo rinnovandolo e, quindi, rinnovando anche le strutture della Chiesa stessa.


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“Vino nuovo in otri nuovi”. Papa Francesco ha svolto la sua omelia soffermandosi sul rinnovamento che porta Gesù. “La dottrina della legge – ha osservato – viene con Gesù arricchita, rinnovata” e “Gesù fa nuove tutte le cose”. Il suo, ha detto ancora, è “un vero rinnovamento della legge, la stessa legge ma più matura, rinnovata”. E ha sottolineato che “le esigenze di Gesù erano più forti”, più “grandi di quelle della legge”. La legge permette di odiare il nemico, Gesù invece dice di pregare per lui. Questo, dunque, è “il Regno di Dio che Gesù predica”. Un rinnovamento che “è prima di tutto nel nostro cuore”. Noi, ha avvertito, “pensiamo che essere cristiani significa" fare questo o quest’altro. Ma non è così:

“Essere cristiano significa lasciarsi rinnovare da Gesù in questa nuova vita. Io sono un buon cristiano, tutte le domeniche, dalle 11 a mezzogiorno vado a Messa e faccio questo, faccio questo… Come se fosse una collezione. Ma la vita cristiana non è un collage di cose. E’ una totalità armonica, armoniosa, e la fa lo Spirito Santo! Rinnova tutto: rinnova il nostro cuore, la nostra vita e ci fa vivere in uno stile diverso, ma in uno stile che prende la totalità della vita. Non si può essere cristiano a pezzi, part-time. Il cristiano part-time non va! Tutto, la totalità, a tempo pieno. Questo rinnovamento lo fa lo Spirito. Essere cristiano alla fine non significa fare cose, ma lasciarsi rinnovare dallo Spirito Santo o, per usare le parole di Gesù, diventare vino nuovo”.

La novità del Vangelo, ha poi aggiunto, è “una novità, ma nella stessa legge che viene nella storia della Salvezza”. E questa novità, ha detto, “va oltre noi” ci rinnova “e rinnova le strutture”. Per questo Gesù dice che per il vino nuovo sono necessari otri nuovi:

“Nella vita cristiana, anche nella vita della Chiesa, ci sono strutture antiche, strutture caduche: è necessario rinnovarle! E la Chiesa sempre è stata attenta a quello, col dialogo con le culture… Sempre si lascia rinnovare secondo i luoghi, i tempi e le persone. Questo lavoro sempre lo ha fatto la Chiesa! Dal primo momento, ricordiamo la prima lotta teologica: per diventare cristiano è necessario fare tutta la pratica giudaica o no? No! Hanno detto di no! I gentili possono entrare come sono: gentili… Entrare in Chiesa e ricevere il Battesimo. Un primo rinnovamento della struttura… E così la Chiesa sempre è andata avanti, lasciando allo Spirito Santo che rinnovi queste strutture, strutture di chiese. Non avere paura di quello! Non avere paura della novità del Vangelo! Non avere paura della novità che lo Spirito Santo fa in noi! Non avere paura del rinnovamento delle strutture!”.

“La Chiesa – ha detto ancora – è libera: la porta avanti lo Spirito Santo”. Il Vangelo ci insegna questo: “la libertà per trovare sempre la novità del Vangelo in noi, nella nostra vita e anche nelle strutture”. Il Papa ha quindi ribadito l’importanza della “libertà per scegliere otri nuovi per questa novità”. Ed ha soggiunto che il cristiano è un uomo libero “con quella libertà” che ci dà Gesù, “non è schiavo di abitudini, di strutture…lo porta avanti lo Spirito Santo”. Il Papa ha così rammentato che il giorno di Pentecoste assieme ai discepoli c’era la Madonna:

“E dov’è la madre, i bambini sono sicuri! Tutti! Chiediamo la grazia di non aver paura della novità del Vangelo, di non aver paura del rinnovamento che fa lo Spirito Santo, di non aver paura di lasciar cadere le strutture caduche, che ci imprigionano. Se abbiamo paura, sappiamo che è con noi la Madre e come i bambini con un po’ di paura, andiamo da Lei e Lei – come dice la più antica antifona – ‘ci custodisce col suo manto, con la sua protezione di madre’. Così sia”.




del sito Radio Vaticana



[SM=g1740771]  arrivederci alla ripresa della Messa con i fedeli e con le omelie....


Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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02/09/2013 11:47
 
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[SM=g1740758] come avevamo già annunciato,
riprendiamo le Omelie del Pontefice a santa Marta
in una nuova sezione.... cliccate qui......


[SM=g1740771]




[Modificato da Caterina63 02/09/2013 11:48]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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