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Lo stile di Papa Francesco e le omelie della Messa delle 7 del mattino

Ultimo Aggiornamento: 24/08/2015 18:38
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13/06/2013 17:03
 
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[SM=g1740758]   (AGI) - CdV, 13 giu 2013. Nell'Omelia a Santa Marta, Papa Francesco medita: insulti e calunnie possono uccidere.....

(e qui noi vogliamo ricordare che il non dire falsa testimonianza è anche uno dei Dieci Comandamenti, un peccato grave che deve essere confessato e ci si deve pentire per poter ricevere la santa Eucaristia. Chi infrange questo Comandamento deve in qualche modo, quale penitenza, oltre che pentirsi riparare il danno fatto alla persona calunniata)

 Commento di Salvatore Izzo

Per la prima volta Papa Francesco ha celebrato in spagnolo la messa del mattino alla Domus Santa Marta, dove era presente oggi il personale delle ambasciate e dei consolati dell'Argentina in Italia e presso la Fao. Era "dal 26 febbraio che non celebravo la messa in spagnolo", ha confidato il Papa. "Mi ha fatto molto bene", ha aggiunto  ringraziando i partecipanti alla messa per avergliene offerto l'occasione.
 Francesco ha anche voluto esprimere gratiudine a diplomatici e finzionari per il loro servizio alla patria.

Chi "entra nella vita cristiana ha esigenze superiori a quelle degli altri" ma "non ha vantaggi superiori". Il Pontefice ha commentato le parole del Vangelo che vengono dopo le Beatitudini, quando Gesu' sottolinea che Lui non viene per dissolvere la Legge, ma per portarla a compimento. La sua, ha osservato, "e' una riforma senza rottura, una riforma nella continuita': dal seme fino ad arrivare al frutto".
 
 Nella sintesi dell'omelia, diffusa dalla Radio Vaticana, c'e' anche una considerazione di Francesco sulla "creativita' meravigliosa" delle lingue latine nell'inventare epiteti. Ma, ha ammonito, "quando questo epiteto e' amichevole va bene, il problema e' quando c'e' l'altro epiteto", quando scatta cioe' "il meccanismo dell'insulto", che e' "una forma di denigrazione dell'altro".
 - "Attenzione ai commenti che facciamo sugli altri" perche' parlare male di qualcuno "e' gia' qualcosa che si da' nella linea della morte", cioe'  che lo uccide". E' questo l'invito che Papa Francesco ha rivolto nella messa di stamani alla Domus Santa Marta. "Se uno non e' capace di dominare la lingua, si perde", ha ammonito paragonando insulti e calunnie ai colpi inferti da Caino ad Abele, "un'aggressivita' naturale", ha detto, che sempre "si ripete nell'arco della storia".

     "La vostra giustizia sia superiore a quella dei farisei", ha chiesto il Pontefice ai fedeli presenti ricordando l'esortazione  di Gesu' ai suoi discepoli. Un monito che vale in particolare per il tema del "rapporto negativo con i fratelli" perche' per il Vangelo, ha detto, "colui che maledice merita l'inferno". Se nel proprio cuore c'e' "qualcosa di negativo" verso il fratello, significa che "c'e' qualcosa che non funziona e ti devi convertire, devi cambiare". Per il Pontefice, poi, anche "l'arrabbiatura e' un insulto contro il fratello", con conseguenze spesso analoghe.

“Y no hace falta ir al psicologo...”

“E non c’è bisogno di andare dallo psicologo – ha detto il Papa - per sapere che quando uno denigra l’altro è perché lui stesso non può crescere e ha bisogno che l’altro sia abbassato, per sentirsi un qualcuno”. E’ questo è “un meccanismo brutto”. Gesù, ha evidenziato, “con tutta la semplicità dice”: “Non parlate male l’uno dell’altro. Non denigratevi. Non squalificatevi”.
E ciò, ha proseguito, “perché in fondo tutti stiamo camminando sulla stessa strada”, “tutti andiamo su quella strada che ci porterà alla fine”. Quindi, è stata la sua riflessione, “se la cosa non va per una strada fraterna, tutti finiremo male: quello che insulta e l’insultato”. Il Papa ha poi osservato che “se uno non è capace di dominare la lingua, si perde”, e del resto “l’aggressività naturale, quella che ha avuto Caino con Abele, si ripete nell’arco della storia”. Non è che siamo cattivi, ha affermato il Papa, “siamo deboli e peccatori”. Ecco perché è “molto più semplice”, “sistemare una situazione con un insulto, con una calunnia, con una diffamazione che sistemarla con le buone”.

“Yo quisiera pedir al Señor que...”

“Io - ha detto Papa Francesco - vorrei chiedere al Signore che ci dia a tutti la grazia di fare attenzione maggiormente alla lingua, riguardo a quello che diciamo degli altri”. E’ “una piccola penitenza – ha aggiunto - ma dà buoni frutti”. “Delle volte – ha constatato - uno rimane affamato” e pensa: “Che peccato che non ho gustato il frutto di un commento delizioso contro l’altro”.
Ma, ha detto, “alla lunga quella fame fruttifica e ci fa bene”. Ecco perché dobbiamo chiedere al Signore questa grazia: adeguare la nostra vita “a questa nuova Legge, che è la Legge della mitezza, la Legge dell’amore, la Legge della pace, e almeno ‘potare’ un po’ la nostra lingua, ‘potare’ un poco i commenti che facciamo verso gli altri o le esplosioni che ci portano all’insulto o alle arrabbiature facili. Che il Signore ci conceda a tutti questa grazia!”.

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  [SM=g1740758] L’umiltà concreta del cristiano

    Senza l'umiltà, senza la capacità di riconoscere pubblicamente i propri peccati e la propria fragilità umana, non si può raggiungere la salvezza e neanche pretendere di annunciare Cristo o essere suoi testimoni. Questo vale anche per i sacerdoti: i cristiani devono sempre ricordare che la ricchezza della grazia, dono di Dio, è un tesoro da custodire in "vasi di creta" affinchè sia chiara la straordinaria potenza di Dio, di cui nessuno si può appropriare "per il proprio personale curriculum".

    Ancora una volta Papa Francesco ha invitato a riflettere sul tema dell'umiltà cristiana. Lo ha fatto durante la messa di questa mattina, venerdì 14 giugno, nella cappella della Domus Sancate Marthae.
Con lui hanno concelebrato, tra gli altri, i cardinali Giuseppe Bertello, presidente del Governatorato, e Mauro Piacenza, prefetto della Congregazione per il Clero, accompagnato da officiali e dipendenti del dicastero. Con il cardinale Bertello erano i parenti del compianto arcivescovo Ubaldo Calabresi, per anni nunzio apostolico in Argentina. Al momento della preghiera dei fedeli il Santo Padre ha chiesto di pregare per il presule al quale, durante gli anni trascorsi come arcivescovo di Buenos Aires, era legato da profonda amicizia.
Le letture del giorno - la seconda lettera di san Paolo ai Corinzi ( 4, 7-15) e il vangelo di Matteo (5, 27-32) - sono state al centro della meditazione del Papa che ha collegato l'immagine della "bellezza di Gesù, della forza di Gesù, della salvezza che ci porta Gesù", di cui parla l'apostolo Paolo, con quella dei "vasi di creta" nei quali è contenuto il tesoro della fede.


    I cristiani sono come i vasi di creta, perchè sono deboli, in quanto peccatori. Ciononostante, ha sottolineato il Papa, tra "noi poveracci, vasi di creta" e "la potenza di Gesù Cristo salvatore" si instaura un dialogo: il "dialogo della salvezza". Ma, ha avvertito, quando questo dialogo assume il tono di un'autogiustificazione vuol dire che qualcosa non funziona e non c'è salvezza. Paolo ci insegna, ha proseguito Papa Francesco, la strada da seguire: infatti "tante volte ha parlato, quasi come un ritornello, dei suoi peccati "io vi dico questo: sono stato un persecutore della Chiesa.... ho perseguitato...". In lui torna sempre la memoria del peccato. Si sente peccatore". "In quel momento non dice "sono stato peccatore, ma adesso sono santo"".

    Ma negli uomini capita qualcosa di diverso. Il Papa lo ha spiegato indicando il comportamento dell'apostolo: "Ogni volta Paolo ci parla del suo curriculum di servizio - "ho fatto questo, ho fatto quell'altro, ho predicato" - ci parla anche del suo prontuario" cioè di tutto quello che riguarda le sue debolezze, i suoi peccati. Noi invece, ha aggiunto, "abbiamo sempre la tentazione del curriculum, e di nascondere un po' il prontuario perché non si veda tanto" quello che non va.
    L'umiltà del cristiano è quella che segue la strada indicata dall'apostolo. Questo modello di umiltà vale anche "per noi preti, per noi sacerdoti. Se noi ci vantiamo soltanto del nostro curriculum e niente più - ha detto il vescovo di Roma - finiremo per sbagliare. Non possiamo annunziare Gesù Cristo salvatore perché nel fondo non lo sentiamo". "Dobbiamo essere umili - ha esortato il Pontefice - ma con una umiltà reale, con nome e cognome: "io sono peccatore per questo, per questo e per questo". Come fa Paolo". Bisogna riconoscersi peccatori, concretamente, e non presentarsi con un'immagine falsa, "una faccia da immaginetta".

E per rendere più concreta l'idea Papa Francesco ha fatto ricorso ad un'espressione dialettale piemontese "farsi la "mugna quacia", ingenua. Quell'ingenuità che non è vera, è soltanto apparenza".

    Invece, ha precisato il Papa, l'umiltà dei sacerdoti, l'umiltà del cristiano, deve "essere concreta: "sono un vaso di creta per questo, per questo e per questo". E quando un cristiano non riesce a fare a se stesso, davanti alla Chiesa, questa confessione, qualcosa non va". Innanzitutto, ha aggiunto, "non può capire la bellezza della salvezza che ci porta Gesù Cristo: questo tesoro".
    "Fratelli - ha detto - noi abbiamo un tesoro: questo di Gesù Cristo salvatore, la croce di Gesù Cristo, questo tesoro del quale noi ci vantiamo", ma non dimentichiamo "di confessare anche i peccati" perchè solo così "il dialogo è cristiano e cattolico, concreto. Perché la salvezza di Gesù Cristo è concreta". "Gesù Cristo non ci ha salvato con un'idea, con un programma intellettuale. Ci ha salvato con la carne, con la concretezza della carne. Si è abbassato si è fatto uomo, si è fatto carne fino alla fine.". Un tesoro simile lo si può capire e ricevere solo se ci si trasforma in vasi di creta.

    Concludendo il Papa ha proposto l'immagine della samaritana. Quella donna che ha parlato con Gesù se ne va in fretta quando arrivano i discepoli: "E cosa dice a quelli della città? "Ho trovato un uomo che mi ha detto tutto quello che io ho fatto"", che le aveva fatto capire il senso del suo essere vaso di creta. Quella donna aveva trovato Gesù Cristo salvatore e quando si trattò di annunciarlo lo fece prima parlando del proprio peccato. Spiegò infatti di aver chiesto a Gesù: "Voi sapete chi sono io? e lui mi ha detto tutto". "Io credo -ha concluso il Pontefice - che questa donna sarà in Cielo". E per dar conto della sua certezza ha citato Manzoni: ""mai ho trovato che il Signore abbia cominciato un miracolo senza finirlo bene". E questo miracolo che lui ha cominciato sicuramente lo ha finito bene nel cielo".



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La fretta del cristiano

La vita cristiana deve essere sempre inquieta e mai tranquillizzante e certo non è «una terapia terminale per farci stare in pace fino al cielo». Allora bisogna fare come san Paolo e testimoniare «il messaggio della vera riconciliazione», senza preoccuparsi troppo delle statistiche o di fare proseliti: è «da pazzi ma è bello», perché «è lo scandalo della croce». Il Papa è tornato a parlare di riconciliazione e di ardore apostolico nell’omelia della messa celebrata questa mattina, sabato 15 giugno, nella cappella della Domus Sanctae Marthae.

Base della riflessione del Pontefice sono state, come di consueto, le letture del giorno, in particolare la seconda lettera di Paolo ai Corinzi (5, 14-21), «brano — ha detto — un po’ speciale perché sembra che Paolo parta in quarta. È accelerato, va proprio con una certa velocità. L’amore di Cristo ci possiede, ci spinge, ci preme. È proprio questa la velocità che ha Paolo: quando vede l’amore di Cristo non può rimanere fermo». Così san Paolo è davvero un uomo che ha fretta, con «l’affanno per dirci qualcosa d’importante: parla del sì di Gesù, dell’opera di riconciliazione che ha fatto Gesù e anche dell’opera di riconciliazione» di Cristo e dell’apostolo.

Papa Francesco ha fatto anche notare come nella pagina paolina «per cinque volte si ripeta la parola riconciliazione. Cinque volte: è come un ritornello». Per dire con chiarezza che «Dio ci ha riconciliati con lui in Cristo». San Paolo «parla anche con forza e con tenerezza quando dice: io sono un ambasciatore in nome di Cristo». Poi Paolo, nel proseguire il suo scritto, sembra quasi inginocchiarsi per implorare: «Vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio» ed è come se dicesse «abbassate la guardia» per lasciarvi riconciliare con lui.

«La fretta, la premura di Paolo — ha affermato ancora il Pontefice — mi fa pensare a Maria quando, dopo aver ricevuto l’annuncio dell’angelo, parte in fretta per aiutare sua cugina. È la fretta del messaggio cristiano. E qui il messaggio è proprio quello della riconciliazione». Il senso della riconciliazione non sta semplicemente nel mettere insieme parti diverse e lontane tra loro. «La vera riconciliazione è che Dio in Cristo ha preso i nostri peccati e si è fatto peccato per noi. E quando noi andiamo a confessarci, per esempio, non è che diciamo il peccato e Dio ci perdona. Noi troviamo Gesù Cristo e gli diciamo: questo è tuo e io ti faccio peccato un’altra volta. E a lui piace, perché è stata la sua missione: farsi peccato per noi, per liberarci».

È questo «il mistero che faceva andare avanti Paolo con zelo apostolico, perché è una cosa tanto meravigliosa: l’amore di Dio che ha consegnato suo figlio alla morte per me. Quando Paolo si trova davanti a questa verità dice: ma lui mi ha amato, è andato alla morte per me. È questo il mistero della riconciliazione». La vita cristiana — ha spiegato ancora il Pontefice — «cresce su questo pilastro e noi un po’ la svalutiamo» quando la riduciamo al fatto che «il cristiano deve fare questo e poi deve credere in quello». Si tratta invece di arrivare «a questa verità che ci muove, a questo amore che è dentro la vita cristiana: l’amore del Padre che in Cristo riconcilia il mondo. È Dio infatti che riconcilia a sé il mondo in Cristo, non imputando agli uomini le loro colpe e affidando a noi la parola di riconciliazione. Cristo ci ha riconciliato. E questo è l’atteggiamento del cristiano, questa è la pace del cristiano».

I filosofi «dicono che la pace è una certa tranquillità nell’ordine. Tutto ordinato, tranquillo. Quella non è la pace cristiana. La pace cristiana — ha insistito Papa Francesco — è una pace inquieta, non è una pace tranquilla. È una pace inquieta che va avanti per portare questo messaggio di riconciliazione. La pace cristiana ci spinge ad andare avanti e questo è l’inizio, la radice dello zelo apostolico».

E secondo Papa Francesco «lo zelo apostolico non è andare avanti per fare proseliti e fare statistiche: quest’anno sono cresciuti i cristiani in tal Paese, i movimenti. Le statistiche sono buone, aiutano, ma fare proseliti non è quello che Dio più vuole da noi. Quello che il Signore vuole da noi — ha precisato — è proprio l’annuncio della riconciliazione, che è il nucleo del suo messaggio: Cristo si è fatto peccato per me e i peccati sono là, nel suo corpo, nel suo animo. Questo è da pazzi, ma è bello: è la verità. Questo è lo scandalo della croce».

Il Papa ha concluso la sua omelia chiedendo la grazia che il «Signore ci dia questa premura per annunciare Gesù; ci dia la saggezza cristiana, che nacque proprio dal suo fianco trafitto per amore». E «ci convinca anche che la vita cristiana non è una terapia terminale per stare in pace fino al cielo. La vita cristiana è sulla strada, sulla vita, con questa premura di Paolo. L’amore di Cristo ci possiede, ci spinge, ci preme. Con questa emozione che si sente quando uno vede che Dio ci ama».


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2013-06-17 Radio Vaticana
Per il cristiano, Gesù è “il tutto” e da qui deriva la sua magnanimità.

E’ quanto sottolineato da Papa Francesco nella Messa di stamani alla Casa Santa Marta. Il Papa ha ribadito che la giustizia che porta Gesù è superiore a quella degli scribi, all’occhio per occhio, dente per dente. Alla Messa, concelebrata dal cardinale Attilio Nicora, erano presenti, tra gli altri, i collaboratori dell’Autorità di Informazione Finanziaria e un gruppo di collaboratori dei Musei Vaticani, accompagnati dal direttore amministrativo, don Paolo Nicolini. Alla Messa era presenta anche il cardinale arcivescovo di Manila, Luis Antonio Tagle. Il servizio di Alessandro Gisotti:



“Se uno ti percuote la guancia destra, tu porgigli anche l’altra”. Papa Francesco ha incentrato la sua omelia sulle sconvolgenti parole di Gesù rivolte ai suoi discepoli. Quello dello schiaffo, ha osservato il Papa, “è diventato un classico per ridere dei cristiani”.
Nella vita, ha detto, la “logica normale” ci insegna che “dobbiamo lottare, dobbiamo difendere il nostro posto” e se ci danno uno schiaffo “noi ne daremo due, così ci difendiamo”. Del resto, ha detto il Papa, quando consiglio ai genitori di riprendere i propri figli sempre dico: “Mai sulla guancia”, perché “la guancia è la dignità”. Gesù invece, ha proseguito, dopo lo schiaffo sulla guancia va a avanti e dice anche di dare il mantello, spogliarsi di tutto.


“La giustizia che Lui porta – ha dunque affermato – è un’altra giustizia totalmente diversa dall’occhio per occhio, dente per dente. E’ un’altra giustizia”. E questo, ha osservato, lo possiamo capire quando San Paolo parla dei cristiani come “gente che non ha nulla” e “invece possiede tutto”. Ecco allora che la sicurezza cristiana è proprio in questo “tutto” che è Gesù. “Il ‘tutto’ – ha soggiunto è Gesù Cristo. Le altre cose sono ‘nulla’ per il cristiano”.

Invece, ha avvertito il Papa, “per lo spirito del mondo il ‘tutto’ sono le cose: le ricchezze, le vanità”, “avere posti in su” e “il ‘nulla’ è Gesù”. Se dunque un cristiano può camminare 100 chilometri quando gli chiedono di andare avanti per 10, “è perché per lui questo è ‘nulla’” e, con tranquillità, “può dare il mantello quando gli chiedono la tunica”. Ecco qual è allora il “segreto della magnanimità cristiana, che sempre va con la mitezza”, è il “tutto”, è Gesù Cristo:

“Il cristiano è una persona che allarga il suo cuore, con questa magnanimità, perché ha il ‘tutto’, che è Gesù Cristo. Le altre cose sono il ‘nulla’. Sono buone, servono, ma nel momento del confronto sceglie sempre il ‘tutto’, con quella mitezza, quella mitezza cristiana che è il segno dei discepoli di Gesù: mitezza e magnanimità. E vivere così non è facile, perché davvero ti danno degli schiaffi, eh?, te li danno! E su tutte e due le guance. Ma, il cristiano è mite, il cristiano è magnanimo: allarga il suo cuore. Ma quando noi troviamo questi cristiani con il cuore ridotto, con il cuore rimpicciolito, che non vanno… questo non è cristianesimo: questo è egoismo, mascherato da cristianesimo”.

“Il vero cristiano”, ha detto ancora, “sa risolvere questa opposizione bipolare, questa tensione tra il ‘tutto’ e il ‘nulla’, come Gesù ci aveva consigliato: ‘Cercate prima il Regno di Dio e la sua giustizia, e l’altro viene, poi”:
“Il Regno di Dio è il ‘tutto’, l’altro è secondario, non è principale. E tutti gli sbagli cristiani, tutti gli sbagli della Chiesa, tutti i nostri sbagli nascono di qua, quando noi diciamo al ‘nulla’ che è il ‘tutto’ e al ‘tutto’ che, mah, sembra che non conti... Seguire Gesù non è facile, non è facile. Ma neppure è difficile, perché nella strada dell’amore il Signore fa le cose in un modo che noi possiamo andare avanti; lo stesso Signore ci allarga il cuore”.

E questa è la preghiera che noi dobbiamo fare, ha aggiunto, “davanti a queste proposte dello schiaffo, del mantello, dei 100 chilometri”. Dobbiamo pregare il Signore, affinché allarghi “il nostro cuore”, affinché “noi siamo magnanimi, siamo miti”, e non lottiamo “per le piccolezze, per i ‘nulla’ di ogni giorno”.
“Quando uno fa un’opzione per il ‘nulla’, da quella opzione nascono gli scontri in una famiglia, nelle amicizie, con gli amici, nella società, anche; gli scontri che finiscono con la guerra: per il ‘nulla’! Il ‘nulla’ è seme di guerre, sempre. Perché è seme d’egoismo. Il ‘tutto’ è quello grande, è Gesù. Chiediamo al Signore che allarghi il nostro cuore, che ci faccia umili, miti e magnanimi, perché noi abbiamo il ‘tutto’ in Lui; e che ci difenda dal fare problemi quotidiani attorno al ‘nulla’”.


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L'arte di amare i nemici

Amare i nostri nemici, quelli che ci perseguitano e ci fanno soffrire, è difficile e non è neppure un "buon affare" perché ci impoverisce. Eppure è questa la strada indicata e percorsa da Gesù per la nostra salvezza. Di questo ha parlato Papa Francesco nell'omelia della messa celebrata stamane, martedì 18 giugno, nella cappella della Domus Sanctae Marthae. Con lui ha concelebrato, tra gli altri, il cardinale Giuseppe Versaldi, presidente della Prefettura degli Affari economici della Santa Sede, che accompagnava alcuni collaboratori dell'ufficio. Tra i presenti, erano anche dipendenti dei Musei Vaticani.

Durante l'omelia il Pontefice ha ricordato che la liturgia in questi giorni propone di riflettere sui parallelismi fra "la legge antica e la legge nuova, la legge del monte Sinai e la legge del monte delle beatitudini". Entrando nello specifico delle letture - dalla seconda lettera di san Paolo ai Corinzi (8, 1-9) e dal vangelo di Matteo (5, 43-48) - il Santo Padre si è soffermato sulla difficoltà dell'amore ai nemici e chiedendosi come sia possibile perdonare: "Anche noi, tutti noi, abbiamo nemici, tutti. Alcuni nemici deboli, alcuni forti. Anche noi tante volte diventiamo nemici di altri; non gli vogliamo bene. Gesù ci dice dobbiamo amare i nemici".

Non si tratta di un impegno facile e, in genere, "pensiamo che Gesù ci chiede troppo. Pensiamo: "Lasciamo queste cose alle suore di clausura che sono sante, a qualche anima santa!"". Ma non è l'atteggiamento giusto. "Gesù - ha ricordato il Papa - dice che si deve fare questo perché altrimenti siete come i pubblicani, come i pagani, e non siete cristiani".

Di fronte ai tanti drammi che segnano l'umanità, ha ammesso, è difficile fare questa scelta: come si può amare, infatti, "quelli che prendono la decisione di fare un bombardamento e ammazzare tante persone? Come si possono amare quelli che per amore dei soldi non lasciano arrivare le medicine a chi ne ha bisogno, agli anziani, e li lasciano morire?". E ancora: "Come si possono amare le persone che cercano solo il loro interesse, il loro potere e fanno tanto male?".

Io non so - ha affermato il vescovo di Roma - "come si possa fare. Ma Gesù ci dice due cose: primo, guardare al Padre. Nostro Padre è Dio: fa sorgere il sole sui cattivi e sui buoni; fa piovere sui giusti e sugli ingiusti. Nostro Padre al mattino non dice al sole: "Oggi illumina questi e questi; questi no, lasciali nell'ombra!". Dice: "Illumina tutti". Il suo amore è per tutti, il suo amore è un dono per tutti, buoni e cattivi. E Gesù finisce con questo consiglio: "Voi dunque siate perfetti come è perfetto il vostro Padre celeste"". Dunque l'indicazione di Gesù è di imitare il Padre in "quella perfezione dell'amore. Lui perdona ai suoi nemici. Fa tutto per perdonarli. Pensiamo con quanta tenerezza Gesù riceve Giuda nell'orto degli ulivi", quando tra i discepoli c'è chi pensa alla vendetta.

"La vendetta - ha detto in proposito il Pontefice - è quel pasto tanto buono quando si mangia freddo" e per questo attendiamo il momento giusto per compierla. "Ma questo - ha ripetuto - non è cristiano. Gesù ci chiede di amare i nemici. Come si può fare? Gesù ci dice: pregate, pregate per i vostri nemici". La preghiera fa miracoli e ciò vale non solo quando siamo in presenza di nemici; vale anche quando nutriamo qualche antipatia, "qualche piccola inimicizia". E allora bisogna pregare, perché "è come se il Signore venisse con l'olio e preparasse i nostri cuori alla pace".

Ma - ha aggiunto il Papa rivolgendosi ai presenti - "ora vorrei lasciarvi una domanda, alla quale ciascuno può rispondere in cuor suo: io prego per i miei nemici? Io prego per quelli che non mi vogliono bene? Se noi diciamo di sì, io vi dico: vai avanti, prega di più, perché questa è una buona strada. Se la risposta è no, il Signore dice: Poveretto! Anche tu sei nemico degli altri! E allora bisogna pregare perché il Signore cambi i loro cuori".

Il Papa ha poi messo in guardia da atteggiamenti tesi a giustificare la vendetta a seconda del grado dell'offesa ricevuta, del male fatto da altri: la vendetta, cioè, fondata sul principio "occhio per occhio, dente per dente". Dobbiamo guardare ancora all'esempio di Gesù: "Conoscete infatti la grazia di cui parla oggi l'apostolo Paolo: da ricco che era, si è fatto povero per voi, perché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà. È vero: l'amore ai nemici ci impoverisce, ci fa poveri, come Gesù, il quale, quando è venuto, si è abbassato sino a farsi povero". Forse non è un "buon affare", ha aggiunto il Pontefice, o almeno non lo è secondo le logiche del mondo. Eppure, "è la strada che ha fatto Dio, la strada che ha fatto Gesù", sino a conquistarci la grazia che ci ha fatto ricchi.

Questo "è il mistero della salvezza: con il perdono, con l'amore per il nemico noi diventiamo più poveri. Ma quella povertà è seme fecondo per gli altri, come la povertà di Gesù è diventata grazia per tutti noi, salvezza. Pensiamo ai nostri nemici, a chi non ci vuole bene. Sarebbe bello se offrissimo la messa per loro, se offrissimo il sacrificio di Gesù per loro che non ci amano. E anche per noi, perché il Signore ci insegni questa saggezza: tanto difficile ma anche tanto bella e ci rende simili anche al suo Figlio, che nel suo abbassamento si è fatto povero per arricchire noi della sua povertà".


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[Modificato da Caterina63 20/06/2013 19:01]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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