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Lo stile di Papa Francesco e le omelie della Messa delle 7 del mattino

Ultimo Aggiornamento: 24/08/2015 18:38
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25/06/2013 00:51
 
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[SM=g1740758]  Nell'omelia del Pontefice a Santa Marta
L'esempio di Giovanni voce della Parola

    Una Chiesa ispirata alla figura di Giovanni il Battista: che "esiste per proclamare, per essere voce di una parola, del suo sposo che è la parola" e "per proclamare questa parola fino al martirio" per mano dei "dei più superbi della terra".

L'ha proposta Papa Francesco durante la messa celebrata nella cappella della Domus Sanctae Marthae, stamane, lunedì 24 giugno, festa liturgica della natività del santo, che la Chiesa venera come "l'uomo più grande nato da donna". 
Tutta la riflessione del Santo Padre è stata incentrata su questo parallelismo, perché "la Chiesa ha qualcosa di Giovanni", sebbene - ha messo subito in guardia - sia difficile delineare la sua figura. Del resto "Gesù dice che è l'uomo più grande che sia nato"; ma se poi "vediamo cosa fa" e "pensiamo alla sua vita", ha fatto notare Papa Francesco, ci si accorge che "è un profeta che è passato, un uomo che è stato grande", prima di finire tragicamente.

    Ecco allora l'invito a domandarsi chi sia veramente Giovanni, lasciando la parola al protagonista stesso. Egli, infatti quando "gli scribi, i farisei, vanno a chiedergli di spiegare meglio chi fosse", risponde chiaramente: "io non sono il Messia. Io sono una voce, una voce nel deserto". Di conseguenza la prima cosa che si capisce è che "il deserto" sono i suoi interlocutori; gente con "un cuore così, senza niente", li ha definiti il Pontefice.
Mentre lui è "la voce, una voce senza parola, perché la parola non è lui, è un altro. Lui è quello che parla, ma non dice; quello che predica su un altro che verrà dopo". In tutto questo - ha spiegato il Papa - c'è "il mistero di Giovanni" che "mai si impadronisce della parola; la parola è un altro. E Giovanni è quello che indica, quello che insegna", utilizzando i termini "dietro di me... io non sono quello che voi pensate; ecco viene dopo di me uno al quale io non sono degno di allacciare i sandali". Dunque "la parola non c'è", c'è invece "una voce che indica un altro". Tutto il senso della sua vita "è indicare un altro".


    Proseguendo nella sua omelia Papa Francesco ha poi evidenziato come la Chiesa scelga per la festa di san Giovanni "i giorni più lunghi dell'anno; i giorni che hanno più luce, perché nelle tenebre di quel tempo Giovanni era l'uomo della luce: non una luce propria, ma una luce riflessa. Come una luna. E quando Gesù cominciò a predicare", la luce di Giovanni iniziò ad affievolirsi, "a diminuire, ad andare giù". Egli stesso lo dice chiaramente parlando della propria missione: "è necessario che lui cresca e io venga meno".

Riassumendo, quindi: "voce, non parola; luce, ma non propria, Giovanni sembra essere niente". Ecco svelata "la vocazione" del Battista, ha affermato il Pontefice: "annientarsi. E quando noi contempliamo la vita di quest'uomo tanto grande, tanto potente - tutti credevano che fosse il Messia - quando contempliamo come questa vita si annienta fino al buio di un carcere, contempliamo un mistero" enorme. Infatti, ha proseguito, "noi non sappiamo come sono stati" i suoi ultimi giorni. È noto solo che è stato ucciso e che la sua testa è finita "su un vassoio come grande regalo da una ballerina a un'adultera. Credo che più di così non si possa andare giù, annientarsi".

   
Però sappiamo quello che è successo prima, durante il tempo trascorso nel carcere: conosciamo "quei dubbi, quell'angoscia che lui aveva"; al punto da chiamare i suoi discepoli e mandarli "a fare la domanda alla parola: sei tu o dobbiamo aspettare un altro?". Perché non gli fu risparmiato nemmeno "il buio, il dolore sulla sua vita": la mia vita ha un senso o ho sbagliato?

    Insomma, ha detto il Papa, il Battista poteva vantarsi, sentirsi importante, ma non lo ha fatto: egli "indicava soltanto, si sentiva voce e non parola". Questo è per Papa Francesco "il segreto di Giovanni". Egli "non ha voluto essere un ideologo". È stato un "uomo che si è negato a se stesso, perché la parola" crescesse. Ecco allora l'attualità del suo insegnamento: "noi come Chiesa possiamo chiedere oggi la grazia - ha auspicato il Santo Padre - di non diventare una Chiesa ideologizzata", per essere invece "soltanto la Dei Verbum religiose audiens et fidenter proclamans", ha detto citando l'incipit della costituzione conciliare sulla divina rivelazione.
Una "Chiesa che ascolta religiosamente la parola di Gesù e la proclama con coraggio"; una "Chiesa senza ideologie, senza vita propria"; una "Chiesa che è mysterium lunae, che ha luce dal suo sposo" e che deve affievolire la propria luce perché a risplendere sia la luce di Cristo. Non ha dubbi Papa Francesco: "il modello che ci offre oggi Giovanni" è quello di "una Chiesa sempre al servizio della Parola; una Chiesa che mai prenda niente per se stessa".
E poiché nella colletta e nella preghiera dei fedeli era stata invocata "la grazia della gioia", ed era stato "chiesto al Signore di allietare questa Chiesa nel suo servizio alla parola, di essere voce di questa parola, di predicare questa parola", il Pontefice ha esortato a invocare "la grazia di imitare Giovanni: senza idee proprie, senza un vangelo preso come proprietà"; per essere "soltanto una Chiesa voce che indica la parola, fino al martirio".



[SM=g1740771]

 La chiamata di Abramo

    La strada per la pace in Medio Oriente è quella indicata dalla "saggezza" di Abramo, padre comune nella fede per ebrei, cristiani e musulmani. Lo ha detto Papa Francesco nella messa celebrata nella cappella della Domus Sanctae Marthae martedì 25 giugno, riferendosi alla "lotta per la terra" tra Abramo e Lot, raccontata al capitolo 13 della Genesi (2.5-18).
"Quando io leggo questo, penso al Medio Oriente e chiedo tanto al Signore che ci dia a tutti la saggezza, questa saggezza: non litighiamo - tu di qua e io di là - per la pace" ha detto all'inizio dell'omelia. E Abramo, ha aggiunto, ci ricorda anche che "nessuno è cristiano per caso" perché Dio ci chiama per nome e con "una promessa".

    Con il Papa hanno concelebrato, tra gli altri, i cardinali Camillo Ruini e Robert Sarah, presidente del Pontificio Consiglio Cor Unum, che accompagnava un gruppo di officiali e collaboratori del dicastero; il vescovo Ignacio Carrasco de Paula, presidente della Pontificia Accademia per la Vita, con i suoi collaboratori; e il gesuita Gabriel G. Funes, direttore della Specola Vaticana, con il personale dell'osservatorio astronomico.

    C'è una promessa, ha ricordato il Pontefice, alla radice della storia di Abramo che è pronto a lasciare la sua terra "per andare non sapeva dove, ma dove il Signore gli avrebbe detto". Il Santo Padre ha ripercorso le sue vicissitudini, il passaggio in Egitto e, appunto, la disputa e poi la pace con Lot per la questione della terra. Papa Francesco ha ripetuto le bellissime parole della Genesi: "Allora il Signore disse ad Abramo: "Alza gli occhi e, dal luogo dove tu stai, spingi lo sguardo verso il settentrione e il mezzogiorno", dappertutto, tutto è tuo, tutto sarà tuo, della tua discendenza". E, ha aggiunto, "quest'uomo, forse già novantenne, guarda tutto e crede alla parola di Dio che lo ha invitato a uscire dalla sua terra. Crede. E poi va a stabilirsi alle Querce di Mamre, il posto dove il Signore gli parlerà tante volte".
   
Abramo, ha sottolineato il Pontefice, "parte dalla sua terra con una promessa. Tutto il suo cammino è andare verso questa promessa. E il suo percorso è anche un modello del nostro percorso. Dio chiama Abramo, una persona, e di questa persona fa un popolo. Se noi andiamo al libro della Genesi, all'inizio, alla creazione, possiamo trovare che Dio crea le stelle, crea le piante, crea gli animali". Tutto al plurale. Ma "crea l'uomo: singolare. Uno. Dio parla a noi sempre al singolare, perché ci ha creati a sua immagine e somiglianza. E Dio ci parla al singolare e ha parlato ad Abramo, gli ha fatto una promessa e lo ha invitato a uscire dalla sua terra".


    Anche "noi cristiani - ha proseguito il Papa - siamo stati chiamati al singolare. Nessuno di noi è cristiano per puro caso: nessuno. C'è una chiamata a te, a te, a te". È una chiamata "con il nome, con una promessa: vai avanti, io sono con te, io cammino affianco a te".
    "Questo - ha spiegato - lo sapeva pure Gesù che nei momenti più difficili si rivolge al Padre", come accade "nell'orto degli ulivi. E alla fine, quando sente quel buio tanto profondo", dice: "Padre, perché mi hai abbandonato?".
Dunque, "sempre in rapporto al Padre che lo ha chiamato e lo ha inviato. E, anche quando ci lascia nel giorno dell'Ascensione, ci dice quella bella parola: io sarò tutti i giorni con voi, accanto a voi: accanto a te, accanto a te, accanto a te. Sempre".


    "Dio ci accompagna, Dio ci chiama per nome, Dio ci promette una discendenza" ha ricordato ancora il Pontefice. "E questa è la sicurezza del cristiano: non è una casualità, è una chiamata. Una chiamata che ci fa andare avanti. Essere cristiano è una chiamata d'amore, d'amicizia. Una chiamata a diventare figlio di Dio, fratello di Gesù, a diventare fecondo nella trasmissione di questa chiamata agli altri, a diventare strumento di questa chiamata".
    Certo, ha riconosciuto, "ci sono tanti problemi, momenti difficili. Anche Gesù ne ha passati tanti, ma sempre con quella sicurezza: il Signore mi ha chiamato, il Signore è con me, il Signore mi ha promesso. Ma forse il Signore si è sbagliato su di me? Il Signore è fedele, perché Lui mai può rinnegare se stesso. Lui è la fedeltà".

    Proprio "pensando ad Abramo, a questo brano della Scrittura, dove lui è unto padre per la prima volta, padre del popolo, pensiamo anche a noi - ha proseguito il Pontefice - che siamo stati unti nel battesimo e pensiamo alla nostra vita cristiana". E a chi dice "Padre, ma io sono peccatore!" il Papa ha ricordato che tutti noi lo siamo. L'importante è "andare avanti, con il Signore. Andare avanti con quella promessa che ci ha fatto, con quella promessa di fecondità; e dire agli altri, raccontare agli altri, che il Signore è con noi, che il Signore ci ha scelti e che lui non ci lascia soli mai. Quella certezza del cristiano ci farà bene".
Papa Francesco ha concluso con l'auspicio che "il Signore dia a tutti noi questa voglia di andare avanti che ha avuto Abramo" anche in mezzo alle difficoltà. Andare avanti, con la sicurezza di Abramo, la sicurezza che il Signore "mi ha chiamato, che mi ha promesso tante cose belle, che è con me".


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Il Papa: i preti abbiano la grazia della paternità spirituale. Gli auguri al card. De Giorgi



Dio vuole che i sacerdoti vivano con pienezza una speciale grazia di “paternità”: quella spirituale nei riguardi delle persone loro affidate. Lo ha affermato Papa Francesco nella Messa di mercoledì mattina 26 giugno, presieduta nella cappella di Casa S. Marta. Con il Pontefice erano presenti prelati e sacerdoti che accompagnavano il cardinale arcivescovo emerito di Palermo, Salvatore De Giorgi, che oggi celebra il 60.mo anniversario di ordinazione sacerdotale, circostanza alla quale il Papa ha fatto cenno con parole di grande stima all’omelia, per poi ritornarvi più tardi all'udienza generale. Il servizio di Alessandro De Carolis:RealAudioMP3

La “voglia di paternità” è iscritta nelle fibre più profonde di un uomo. E un sacerdote, ha affermato Papa Francesco, non fa eccezione, pur essendo il suo desiderio orientato e vissuto in modo particolare:

“Quando un uomo non ha questa voglia, qualcosa manca, in quest’uomo. Qualcosa non va. Tutti noi, per essere, per diventare pieni, per essere maturi, dobbiamo sentire la gioia della paternità: anche noi celibi. La paternità è dare vita agli altri, dare vita, dare vita… Per noi, sarà la paternità pastorale, la paternità spirituale: ma è dare vita, diventare padri”.

Lo spunto di riflessione è offerto a Papa Francesco dal brano della Genesi di oggi, nel quale Dio promette al vecchio Abramo la gioia di un figlio, assieme a una discendenza fitta come le stelle del cielo. Per suggellare questo patto, Abramo segue le indicazioni di Dio e allestisce un sacrificio di animali che poi difende dall’assalto di uccelli rapaci. “Mi commuove – commenta il Papa – guardare questo novantenne con il bastone in mano”, che difende il suo sacrificio. “Mi fa pensare a un padre, quando difende la famiglia, i figli”:

“Un padre che sa cosa significa difendere i figli. E questa è una grazia che noi preti dobbiamo chiedere: essere padri, essere padri. La grazia della paternità, della paternità pastorale, della paternità spirituale. Peccati ne avremo tanti, ma questo è di commune sanctorum: tutti abbiamo peccati. Ma non avere figli, non diventare padre, è come se la vita non arrivasse alla fine: si ferma a metà cammino. E perciò dobbiamo essere padri. Ma è una grazia che il Signore dà. La gente ci dice così: ‘Padre, padre, padre…’. Ci vuole così, padri, con la grazia della paternità pastorale”.

A questo punto, lo sguardo di Papa Francesco si posa con affetto sul cardinale De Giorgi, giunto al traguardo del 60.mo anniversario di sacerdozio. “Io non so cosa ha fatto il caro Salvatore”, ma “sono sicuro che è stato padre”. “E questo è un segno”, prosegue rivolto ai tanti sacerdoti che hanno accompagnato il porporato. Ora tocca a voi, è l’esortazione finale di Papa Francesco, che osserva: ogni albero “dà il frutto da sé e se lui è buono, i frutti devono essere buoni, no?”. Dunque, soggiunge con simpatia, “non fategli fare brutta figura…”:

“Ringraziamo il Signore per questa grazia della paternità nella Chiesa, che va di padre in figlio, e così… E io penso, per finire, a queste due icone e a una in più: l’icona di Abramo che chiede un figlio, l’icona di Abramo con il bastone in mano, difendendo la famiglia, e l’icona dell’anziano Simeone nel Tempio, quando riceve la vita nuova: fa una liturgia spontanea, la liturgia della gioia, a Lui. E a voi, il Signore oggi vi dia tanta gioia”.




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 Cristiani di azione e di verità

    C'è bisogno di "cristiani di azione e di verità", la cui vita sia "fondata sulla roccia di Gesù", e non di "cristiani di parole", superficiali come gli gnostici o rigidi come i pelagiani. Lo ha detto Papa Francesco, riprendendo un tema a lui caro, nella messa celebrata stamattina, giovedì 27 giugno, nella cappella della Domus Sanctae Marthae. Ha concelebrato, tra gli altri, il cardinale Raymundo Damasceno Assis, arcivescovo di Aparecida e presidente della Conferenza episcopale brasiliana. Tra i presenti, personale della Direzione di Sanità e Igiene del Governatorato dello Stato della Città del Vaticano, guidato dal direttore Patrizio Polisca.

    La riflessione del Papa, ispirata come di consueto dalle letture del giorno, ha preso avvio in particolare dal brano del vangelo di Matteo (7, 21-29), in cui - ha spiegato il Pontefice - "il Signore ci parla del nostro fondamento, il fondamento della nostra vita cristiana", e ci dice che questo "fondamento è la roccia". Questo significa che "dobbiamo costruire la casa", ovvero la nostra vita, sulla roccia che è Cristo. Quando san Paolo parla della roccia nel deserto si riferisce a Cristo, ha sottolineato il Papa. Egli è l'unica roccia "che può darci sicurezza", tanto che "noi siamo invitati a costruire la nostra vita su questa roccia di Cristo. Non su un'altra".

    Nel brano evangelico, ha ricordato il Santo Padre, Gesù accenna anche a quanti credono di poter costruire la loro vita soltanto sulle parole: "Non chiunque dice "Signore, Signore" entrerà nel Regno dei cieli".
Ma, ha avvertito il Papa, Gesù propone subito di edificare "la nostra casa sulla roccia". A partire da questo insegnamento, Papa Francesco ha individuato "nella storia della Chiesa due classi di cristiani": i primi, dai quali guardarsi, sono i "cristiani di parole", cioè quelli che si limitano a ripetere: "Signore, Signore, Signore!"; i secondi, quelli autentici, sono "cristiani di azione, di verità".

In proposito ha evidenziato che da sempre c'è "stata la tentazione di vivere il nostro cristianesimo fuori della roccia che è Cristo; l'unico che ci dà la libertà per dire "Padre" a Dio; l'unico che ci sostiene nei momenti difficili". Lo dice Gesù stesso con esempi concreti: "Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti", ma quando "c'è la roccia, c'è sicurezza". Al contrario, quando ci sono solo "parole, le parole volano, non servono". Si finisce in pratica nella "tentazione di questi "cristiani di parole": un cristianesimo senza Gesù, un cristianesimo senza Cristo". E purtroppo "questo è accaduto e accade oggi nella Chiesa".

    Si tratta di una tentazione che nella storia della Chiesa è presente in maniera molto diversificata e ha dato vita a varie categorie di "cristiani senza Cristo" tra le quali Papa Francesco ne ha approfondite in particolare due. Quella del "cristiano light", che "invece di amare la roccia, ama le parole belle, le cose belle" e si rivolge "verso un "dio spray", un "dio personale"", con atteggiamenti "di superficialità e di leggerezza". Questa tentazione c'è ancora oggi: "cristiani superficiali che credono sì in Dio", ma non in Gesù Cristo, "quello che ti dà fondamento". Il Papa li ha definiti "gli gnostici moderni", quelli che cedono alla tentazione di un cristianesimo fluido.

    Alla seconda categoria appartengono invece "quelli che credono che la vita cristiana" si debba "prendere tanto sul serio" da finire "per confondere solidità e fermezza con rigidità". Il Santo Padre li ha definiti "cristiani rigidi", "che pensano che per essere cristiani è necessario mettersi a lutto", prendendo "sempre tutto sul serio", attenti ai formalismi, come facevano scribi e farisei del tempo di Gesù. Sono per il Pontefice cristiani per i quali "tutto è serio. Sono i pelagiani di oggi, quelli che credono nella fermezza della fede". E sono convinti che "la salvezza è nel modo in cui io faccio le cose": "devo farle sul serio", senza gioia. Il Pontefice ha commentato: "Ce ne sono tanti. Non sono cristiani, si mascherano da cristiani".
    In definitiva queste due categorie di credenti - gnostici e pelagiani - "non conoscono Gesù, non sanno chi sia il Signore, non sanno cosa sia la roccia, non hanno la libertà dei cristiani". E, di conseguenza, "non hanno gioia". I primi "hanno una certa "allegria", superficiale"; i secondi "vivono in una continua veglia funebre, ma non sanno cosa sia la gioia cristiana, non sanno godere la vita che Gesù ci dà, perché non sanno parlare con lui". Perciò non trovano in Gesù "quella fermezza che dà la sua presenza". E oltre a non avere gioia, nemmeno "hanno libertà".

    I primi, ha proseguito, "sono schiavi della superficialità", i secondi "sono schiavi della rigidità" e "non sono liberi", perché "nella loro vita lo Spirito Santo non trova posto". Del resto, "è lo Spirito che ci dà la libertà".
    Ecco dunque l'insegnamento odierno del Signore secondo Papa Francesco: un invito "a costruire la nostra vita cristiana sulla roccia che ci dà la libertà" e che ci "fa andare avanti con la gioia nel suo cammino, nelle sue proposte". Da qui la duplice esortazione a chiedere "al Signore la grazia di non diventare "cristiani di parole", sia con la "superficialità gnostica", sia con la "rigidità pelagiana"", per poter invece "andare avanti nella vita come cristiani fermi sulla roccia che è Gesù Cristo e con la libertà che ci dà lo Spirito Santo". Una grazia da domandare "in modo speciale alla Madonna. Lei - ha concluso - sa cosa significhi essere fondati sulla roccia".


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Il Papa: il cristiano sia paziente e irreprensibile, camminando sempre alla presenza del Signore



Il Signore ci chiede di essere pazienti e irreprensibili, camminando sempre alla sua presenza. E’ quanto affermato, stamani, da Papa Francesco nella Messa alla Casa Santa Marta del 28 giugno, venerdì. Il Papa ha sottolineato che il Signore sceglie sempre il suo modo per entrare nella nostra vita e questo richiede pazienza da parte nostra, perché non sempre si fa vedere da noi. Alla Messa ha preso parte, tra gli altri, un gruppo di dipendenti della Direzione di Sanità e di Igiene, accompagnati dal direttore, dott. Patrizio Polisca. Il servizio di Alessandro Gisotti:RealAudioMP3

Il Signore entra lentamente nella vita di Abramo, ha 99 anni quando gli promette un figlio. Entra invece subito nella vita del lebbroso: Gesù ascolta la sua preghiera, lo tocca ed ecco il miracolo. Papa Francesco ha preso spunto dalla Prima Lettura e dal Vangelo odierno per soffermarsi su come il Signore scelga di coinvolgersi “nella nostra vita, nella vita del suo popolo”. Abramo e il lebbroso. “Quando il Signore viene – ha osservato il Papa – non sempre lo fa nella stessa maniera. Non esiste un protocollo d’azione di Dio nella nostra vita”, “non esiste”. Una volta, ha aggiunto, “lo fa in una maniera, un’altra volta lo fa in un’altra maniera” ma sempre lo fa. “Sempre – ha ribadito – c’è questo incontro tra noi e il Signore”:

“Il Signore sceglie sempre il suo modo di entrare nella nostra vita. Tante volte lo fa tanto lentamente, che noi siamo nel rischio di perdere un po’ la pazienza: ‘Ma Signore, quando?’ E preghiamo, preghiamo… E non viene il suo intervento nella nostra vita. Altre volte, quando pensiamo a quello che il Signore ci ha promesso, è tanto grande che siamo un po’ increduli, un po’ scettici e come Abramo - un po’ di nascosto - sorridiamo… Dice in questa Prima Lettura che Abramo nascose la sua faccia e sorrise… Un po’ di scetticismo: ‘Ma come io, a cento anni quasi, avrò un figlio e mia moglie a 90 anni avrà un figlio?’.

Lo stesso scetticismo, ha rammentato, lo avrà Sara, alle Querce di Mamre, quando i tre angeli diranno la stessa cosa ad Abramo. “Quante volte noi, quando il Signore non viene – è stata la sua riflessione - non fa il miracolo e non ci fa quello che noi vogliamo che Lui faccia, diventiamo o impazienti o scettici”:

“Ma non lo fa, agli scettici non può farlo. Il Signore prende il suo tempo. Ma anche Lui, in questo rapporto con noi, ha tanta pazienza. Non soltanto noi dobbiamo avere pazienza: Lui ne ha! Lui ci aspetta! E ci aspetta fino alla fine della vita! Pensiamo al buon ladrone, proprio alla fine, alla fine, ha riconosciuto Dio. Il Signore cammina con noi, ma tante volte non si fa vedere, come nel caso dei discepoli di Emmaus. Il Signore è coinvolto nella nostra vita - questo è sicuro! - ma tante volte non lo vediamo. Questo ci chiede pazienza. Ma il Signore che cammina con noi, anche Lui ha tanta pazienza con noi”.

Il Papa ha rivolto il pensiero proprio “al mistero della pazienza di Dio, che nel camminare, cammina al nostro passo”. Alcune volte nella vita, ha constatato, “le cose diventano tanto oscure, c’è tanto buio, che noi abbiamo voglia - se siamo in difficoltà - di scendere dalla Croce”. Questo, ha affermato, “è il momento preciso: la notte è più buia, quando è prossima l’aurora. E sempre quando noi scendiamo dalla Croce, lo facciamo cinque minuti prima che venga la liberazione, nel momento dell’impazienza più grande”:

“Gesù, sulla Croce, sentiva che lo sfidavano: ‘Scendi, scendi! Vieni!’. Pazienza sino alla fine, perché Lui ha pazienza con noi. Lui entra sempre, Lui è coinvolto con noi, ma lo fa a suo modo e quando Lui pensa che sia meglio. Soltanto ci dice quello che ha detto ad Abramo: ‘Cammina nella mia presenza e sii perfetto’, sii irreprensibile, è proprio la parola giusta. Cammina nella mia presenza e cerca di essere irreprensibile. Questo è il cammino col Signore e Lui interviene, ma dobbiamo aspettare, aspettare il momento, camminando sempre alla sua presenza e cercando di essere irreprensibili. Chiediamo questa grazia al Signore: camminare sempre nella sua presenza, cercando di essere irreprensibili’.





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Bisogna avere il coraggio di pregare il Signore

Se si vuole ottenere qualcosa da Dio bisogna avere il coraggio di "negoziare" con lui attraverso una preghiera insistente e convinta, fatta di poche parole. Papa Francesco è tornato così a parlare del coraggio che deve sostenere la preghiera rivolta al Padre, con "tutta la familiarità possibile". E ha portato come esempio la preghiera di Abramo, il suo modo di parlare con Dio proprio come se si trovasse a negoziare, appunto, con un altro uomo.
È su questo che il Pontefice ha invitato a riflettere quanti hanno partecipato questa mattina, lunedì 1 luglio, alla messa celebrata nella cappella della Domus Sanctae Marthae. Tra gli altri erano officiali e collaboratori del Pontificio Consiglio per la Promozione dell'Unità dei Cristiani, accompagnati dal cardinale presidente Kurt Koch, il quale ha concelebrato con il Papa.
L'episodio al quale il Papa si è riferito è narrato nel libro della Genesi (18, 16-33 ) dove è riportata la coraggiosa intercessione di Abramo per evitare la morte dei giusti nella distruzione di Sòdoma e Gomorra, esempio proprio di familiarità e di rispetto verso Dio. Abramo si rivolge a Dio come farebbe con qualunque uomo e pone il problema, insistendo: "E se ci fossero cinquanta giusti? Se ce ne fossero quaranta... trenta... venti... dieci?".

Abramo, ha ricordato il Pontefice, aveva oltrepassato cento anni. Da circa venticinque parlava con il Signore e di Lui aveva maturato una profonda conoscenza. E dunque al Signore si rivolge per chiedergli "cosa farà con quella città peccatrice. Abramo sente la forza di parlare faccia a faccia col Signore e cerca di difendere quella città. È insistente". Egli sente, ha spiegato ancora il Pontefice, che quella terra gli appartiene e dunque cerca di salvare ciò che è suo. Ma, avverte, sente anche di dover difendere quello che appartiene al Signore.

"Abramo - ha puntualizzato Papa Francesco - è un coraggioso e prega con coraggio". Del resto nella Bibbia, ha aggiunto, la prima cosa che si nota è proprio l'affermazione che "la preghiera deve essere coraggiosa". Quando parliamo di coraggio "noi pensiamo sempre al coraggio apostolico", a quello che ci porta "ad andare a predicare il Vangelo". Tuttavia esiste "anche il coraggio davanti al Signore, la parresia davanti al Signore: andare dal Signore coraggiosi per chiedere delle cose". E "Abramo parla con il Signore in una maniera speciale, con questo coraggio". Il Papa paragona la preghiera di Abramo a un "negozio fenicio" nel quale si contratta sul prezzo e chi chiede cerca di tirare il più possibile per abbassare il prezzo. Abramo insiste e "da 50 è riuscito ad abbassare il prezzo a 10" nonostante sapesse che non era possibile evitare il castigo per le città peccatrici. Ma lui doveva intercedere per salvare "un giusto, suo cugino". Con coraggio, con insistenza, però andava avanti.

Quante volte, ha ricordato il Papa, sarà capitato a ciascuno di noi di ritrovarsi a pregare per qualcuno dicendo: "Signore ti chiedo per quello, per quello...". Ma "se uno vuole che il Signore conceda una grazia - ha sottolineato il Vescovo di Roma - deve andare con coraggio e fare quello che ha fatto Abramo, con insistenza. Gesù stesso ci dice che dobbiamo pregare così". E per far meglio capire il concetto il Papa ha riproposto alcuni episodi evangelici mostrando come, insistendo, si possa ottenere dal Signore ciò che si chiede. Questo, ha ripetuto, è "un atteggiamento della preghiera. Santa Teresa parla della preghiera come di un negoziare con il Signore. E questo è possibile quando c'è la familiarità con il Signore. Abramo da 25 anni era con il Signore, aveva familiarità. E per questo ha osato andare su questa strada di preghiera. Insistere, coraggio. È stancante, è vero, ma questa è la preghiera. Questo è ricevere da Dio una grazia".

Il Pontefice si è poi soffermato anche su come Abramo si rivolge al Signore: "Non dice "ma poveretti saranno bruciati... ma perdonali. Tu vuoi far quello? Tu che sei tanto buono vuoi fare lo stesso all'empio che al giusto? Ma no, tu non puoi far quello". Prende gli argomenti le motivazioni del cuore stesso di Dio. Lo stesso farà Mosè quando il Signore vuole distruggere il popolo: "ma, no, Signore, non fare così, perché diranno: li ha fatti uscire dall'Egitto nel deserto per ucciderli! no tu non puoi fare così". Convincere il Signore con le virtù del Signore, e questo è bello".
Il suggerimento dunque è andare al cuore del Signore. "Gesù - ha detto il Papa - ci insegna: il Padre sa le cose. Non preoccupatevi, il padre manda la pioggia sui giusti e sui peccatori, il sole per giusti e i peccatori.

"Io vorrei - ha concluso - che da oggi tutti noi 5 minuti durante la giornata prendessimo la Bibbia e lentamente recitassimo il salmo 102 che è quello che abbiamo recitato fra le due letture. "Benedici il Signore anima mia, quanto è in me benedica il suo nome, non dimenticare tutti i suoi benefici. Egli perdona tutte le colpe, guarisce tutte le infermità, salva dalla fossa la tua vita, ti circonda di bontà e misericordia". Pregarlo tutto. E con questo impareremo le cose che dobbiamo dire al Signore, quando chiediamo una grazia".





[Modificato da Caterina63 02/07/2013 13:31]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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