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"Francesco! Và e ripara la mia Chiesa" Le croci di un Papa

Ultimo Aggiornamento: 12/05/2014 12:39
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07/09/2013 00:46
 
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[SM=g1740758] Papa Francesco scrive a Repubblica - 11.9.2013:
"Dialogo aperto con i non credenti"

Il Pontefice risponde alle domande che gli aveva posto Scalfari su fede e laicità. "E' venuto il tempo di fare un tratto di strada insieme". "Dio perdona chi segue la propria coscienza"
di FRANCESCO

Papa Francesco scrive a Repubblica:  "Dialogo aperto con i non credenti"

PREGIATISSIMO Dottor Scalfari, è con viva cordialità che, sia pure solo a grandi linee, vorrei cercare con questa mia di rispondere alla lettera che, dalle pagine di Repubblica, mi ha voluto indirizzare il 7 luglio con una serie di sue personali riflessioni, che poi ha arricchito sulle pagine dello stesso quotidiano il 7 agosto.

La ringrazio, innanzi tutto, per l'attenzione con cui ha voluto leggere l'Enciclica Lumen fidei. Essa, infatti, nell'intenzione del mio amato Predecessore, Benedetto XVI, che l'ha concepita e in larga misura redatta, e dal quale, con gratitudine, l'ho ereditata, è diretta non solo a confermare nella fede in Gesù Cristo coloro che in essa già si riconoscono, ma anche a suscitare un dialogo sincero e rigoroso con chi, come Lei, si definisce "un non credente da molti anni interessato e affascinato dalla predicazione di Gesù di Nazareth".

Mi pare dunque sia senz'altro positivo, non solo per noi singolarmente ma anche per la società in cui viviamo, soffermarci a dialogare su di una realtà così importante come la fede, che si richiama alla predicazione e alla figura di Gesù. Penso vi siano, in particolare, due circostanze che rendono oggi doveroso e prezioso questo dialogo.

Esso, del resto, costituisce, come è noto, uno degli obiettivi principali del Concilio Vaticano II, voluto da Giovanni XXIII, e del ministero dei Papi che, ciascuno con la sua sensibilità e il suo apporto, da allora sino ad oggi hanno camminato nel solco tracciato dal Concilio. La prima circostanza - come si richiama nelle pagine iniziali dell'Enciclica - deriva dal fatto che, lungo i secoli della modernità, si è assistito a un paradosso: la fede cristiana, la cui novità e incidenza sulla vita dell'uomo sin dall'inizio sono state espresse proprio attraverso il simbolo della luce, è stata spesso bollata come il buio della superstizione che si oppone alla luce della ragione. Così tra la Chiesa e la cultura d'ispirazione cristiana, da una parte, e la cultura moderna d'impronta illuminista, dall'altra, si è giunti all'incomunicabilità. È venuto ormai il tempo, e il Vaticano II ne ha inaugurato appunto la stagione, di un dialogo aperto e senza preconcetti che riapra le porte per un serio e fecondo incontro.

La seconda circostanza, per chi cerca di essere fedele al dono di seguire Gesù nella luce della fede, deriva dal fatto che questo dialogo non è un accessorio secondario dell'esistenza del credente: ne è invece un'espressione intima e indispensabile. Mi permetta di citarLe in proposito un'affermazione a mio avviso molto importante dell'Enciclica: poiché la verità testimoniata dalla fede è quella dell'amore - vi si sottolinea - "risulta chiaro che la fede non è intransigente, ma cresce nella convivenza che rispetta l'altro. Il credente non è arrogante; al contrario, la verità lo fa umile, sapendo che, più che possederla noi, è essa che ci abbraccia e ci possiede. Lungi dall'irrigidirci, la sicurezza della fede ci mette in cammino, e rende possibile la testimonianza e il dialogo con tutti" (n. 34). È questo lo spirito che anima le parole che le scrivo.

La fede, per me, è nata dall'incontro con Gesù. Un incontro personale, che ha toccato il mio cuore e ha dato un indirizzo e un senso nuovo alla mia esistenza. Ma al tempo stesso un incontro che è stato reso possibile dalla comunità di fede in cui ho vissuto e grazie a cui ho trovato l'accesso all'intelligenza della Sacra Scrittura, alla vita nuova che come acqua zampillante scaturisce da Gesù attraverso i Sacramenti, alla fraternità con tutti e al servizio dei poveri, immagine vera del Signore. Senza la Chiesa - mi creda - non avrei potuto incontrare Gesù, pur nella consapevolezza che quell'immenso dono che è la fede è custodito nei fragili vasi d'argilla della nostra umanità.

Ora, è appunto a partire di qui, da questa personale esperienza di fede vissuta nella Chiesa, che mi trovo a mio agio nell'ascoltare le sue domande e nel cercare, insieme con Lei, le strade lungo le quali possiamo, forse, cominciare a fare un tratto di cammino insieme.
Mi perdoni se non seguo passo passo le argomentazioni da Lei proposte nell'editoriale del 7 luglio. Mi sembra più fruttuoso - o se non altro mi è più congeniale - andare in certo modo al cuore delle sue considerazioni. Non entro neppure nella modalità espositiva seguita dall'Enciclica, in cui Lei ravvisa la mancanza di una sezione dedicata specificamente all'esperienza storica di Gesù di Nazareth.

Osservo soltanto, per cominciare, che un'analisi del genere non è secondaria. Si tratta infatti, seguendo del resto la logica che guida lo snodarsi dell'Enciclica, di fermare l'attenzione sul significato di ciò che Gesù ha detto e ha fatto e così, in definitiva, su ciò che Gesù è stato ed è per noi. Le Lettere di Paolo e il Vangelo di Giovanni, a cui si fa particolare riferimento nell'Enciclica, sono costruiti, infatti, sul solido fondamento del ministero messianico di Gesù di Nazareth giunto al suo culmine risolutivo nella pasqua di morte e risurrezione.

Dunque, occorre confrontarsi con Gesù, direi, nella concretezza e ruvidezza della sua vicenda, così come ci è narrata soprattutto dal più antico dei Vangeli, quello di Marco. Si costata allora che lo "scandalo" che la parola e la prassi di Gesù provocano attorno a lui derivano dalla sua straordinaria "autorità": una parola, questa, attestata fin dal Vangelo di Marco, ma che non è facile rendere bene in italiano. La parola greca è "exousia", che alla lettera rimanda a ciò che "proviene dall'essere" che si è. Non si tratta di qualcosa di esteriore o di forzato, dunque, ma di qualcosa che emana da dentro e che si impone da sé. Gesù in effetti colpisce, spiazza, innova a partire - egli stesso lo dice - dal suo rapporto con Dio, chiamato familiarmente Abbà, il quale gli consegna questa "autorità" perché egli la spenda a favore degli uomini.

Così Gesù predica "come uno che ha autorità", guarisce, chiama i discepoli a seguirlo, perdona... cose tutte che, nell'Antico Testamento, sono di Dio e soltanto di Dio. La domanda che più volte ritorna nel Vangelo di Marco: "Chi è costui che...?", e che riguarda l'identità di Gesù, nasce dalla constatazione di una autorità diversa da quella del mondo, un'autorità che non è finalizzata ad esercitare un potere sugli altri, ma a servirli, a dare loro libertà e pienezza di vita. E questo sino al punto di mettere in gioco la propria stessa vita, sino a sperimentare l'incomprensione, il tradimento, il rifiuto, sino a essere condannato a morte, sino a piombare nello stato di abbandono sulla croce. Ma Gesù resta fedele a Dio, sino alla fine.

Ed è proprio allora - come esclama il centurione romano ai piedi della croce, nel Vangelo di Marco - che Gesù si mostra, paradossalmente, come il Figlio di Dio! Figlio di un Dio che è amore e che vuole, con tutto se stesso, che l'uomo, ogni uomo, si scopra e viva anch'egli come suo vero figlio. Questo, per la fede cristiana, è certificato dal fatto che Gesù è risorto: non per riportare il trionfo su chi l'ha rifiutato, ma per attestare che l'amore di Dio è più forte della morte, il perdono di Dio è più forte di ogni peccato, e che vale la pena spendere la propria vita, sino in fondo, per testimoniare questo immenso dono.

La fede cristiana crede questo: che Gesù è il Figlio di Dio venuto a dare la sua vita per aprire a tutti la via dell'amore. Ha perciò ragione, egregio Dott. Scalfari, quando vede nell'incarnazione del Figlio di Dio il cardine della fede cristiana. Già Tertulliano scriveva "caro cardo salutis", la carne (di Cristo) è il cardine della salvezza. Perché l'incarnazione, cioè il fatto che il Figlio di Dio sia venuto nella nostra carne e abbia condiviso gioie e dolori, vittorie e sconfitte della nostra esistenza, sino al grido della croce, vivendo ogni cosa nell'amore e nella fedeltà all'Abbà, testimonia l'incredibile amore che Dio ha per ogni uomo, il valore inestimabile che gli riconosce. Ognuno di noi, per questo, è chiamato a far suo lo sguardo e la scelta di amore di Gesù, a entrare nel suo modo di essere, di pensare e di agire. Questa è la fede, con tutte le espressioni che sono descritte puntualmente nell'Enciclica.

Sempre nell'editoriale del 7 luglio, Lei mi chiede inoltre come capire l'originalità della fede cristiana in quanto essa fa perno appunto sull'incarnazione del Figlio di Dio, rispetto ad altre fedi che gravitano invece attorno alla trascendenza assoluta di Dio.
L'originalità, direi, sta proprio nel fatto che la fede ci fa partecipare, in Gesù, al rapporto che Egli ha con Dio che è Abbà e, in questa luce, al rapporto che Egli ha con tutti gli altri uomini, compresi i nemici, nel segno dell'amore. In altri termini, la figliolanza di Gesù, come ce la presenta la fede cristiana, non è rivelata per marcare una separazione insormontabile tra Gesù e tutti gli altri: ma per dirci che, in Lui, tutti siamo chiamati a essere figli dell'unico Padre e fratelli tra di noi. La singolarità di Gesù è per la comunicazione, non per l'esclusione.

Certo, da ciò consegue anche - e non è una piccola cosa - quella distinzione tra la sfera religiosa e la sfera politica che è sancita nel "dare a Dio quel che è di Dio e a Cesare quel che è di Cesare", affermata con nettezza da Gesù e su cui, faticosamente, si è costruita la storia dell'Occidente. La Chiesa, infatti, è chiamata a seminare il lievito e il sale del Vangelo, e cioè l'amore e la misericordia di Dio che raggiungono tutti gli uomini, additando la meta ultraterrena e definitiva del nostro destino, mentre alla società civile e politica tocca il compito arduo di articolare e incarnare nella giustizia e nella solidarietà, nel diritto e nella pace, una vita sempre più umana. Per chi vive la fede cristiana, ciò non significa fuga dal mondo o ricerca di qualsivoglia egemonia, ma servizio all'uomo, a tutto l'uomo e a tutti gli uomini, a partire dalle periferie della storia e tenendo desto il senso della speranza che spinge a operare il bene nonostante tutto e guardando sempre al di là.

Lei mi chiede anche, a conclusione del suo primo articolo, che cosa dire ai fratelli ebrei circa la promessa fatta loro da Dio: è essa del tutto andata a vuoto? È questo - mi creda - un interrogativo che ci interpella radicalmente, come cristiani, perché, con l'aiuto di Dio, soprattutto a partire dal Concilio Vaticano II, abbiamo riscoperto che il popolo ebreo è tuttora, per noi, la radice santa da cui è germinato Gesù. Anch'io, nell'amicizia che ho coltivato lungo tutti questi anni con i fratelli ebrei, in Argentina, molte volte nella preghiera ho interrogato Dio, in modo particolare quando la mente andava al ricordo della terribile esperienza della Shoah. Quel che Le posso dire, con l'apostolo Paolo, è che mai è venuta meno la fedeltà di Dio all'alleanza stretta con Israele e che, attraverso le terribili prove di questi secoli, gli ebrei hanno conservato la loro fede in Dio. E di questo, a loro, non saremo mai sufficientemente grati, come Chiesa, ma anche come umanità. Essi poi, proprio perseverando nella fede nel Dio dell'alleanza, richiamano tutti, anche noi cristiani, al fatto che siamo sempre in attesa, come dei pellegrini, del ritorno del Signore e che dunque sempre dobbiamo essere aperti verso di Lui e mai arroccarci in ciò che abbiamo già raggiunto.

Vengo così alle tre domande che mi pone nell'articolo del 7 agosto. Mi pare che, nelle prime due, ciò che Le sta a cuore è capire l'atteggiamento della Chiesa verso chi non condivide la fede in Gesù. Innanzi tutto, mi chiede se il Dio dei cristiani perdona chi non crede e non cerca la fede. Premesso che - ed è la cosa fondamentale - la misericordia di Dio non ha limiti se ci si rivolge a lui con cuore sincero e contrito, la questione per chi non crede in Dio sta nell'obbedire alla propria coscienza. Il peccato, anche per chi non ha la fede, c'è quando si va contro la coscienza. Ascoltare e obbedire ad essa significa, infatti, decidersi di fronte a ciò che viene percepito come bene o come male. E su questa decisione si gioca la bontà o la malvagità del nostro agire.

In secondo luogo, mi chiede se il pensiero secondo il quale non esiste alcun assoluto e quindi neppure una verità assoluta, ma solo una serie di verità relative e soggettive, sia un errore o un peccato. Per cominciare, io non parlerei, nemmeno per chi crede, di verità "assoluta", nel senso che assoluto è ciò che è slegato, ciò che è privo di ogni relazione. Ora, la verità, secondo la fede cristiana, è l'amore di Dio per noi in Gesù Cristo. Dunque, la verità è una relazione! Tant'è vero che anche ciascuno di noi la coglie, la verità, e la esprime a partire da sé: dalla sua storia e cultura, dalla situazione in cui vive, ecc. Ciò non significa che la verità sia variabile e soggettiva, tutt'altro. Ma significa che essa si dà a noi sempre e solo come un cammino e una vita. Non ha detto forse Gesù stesso: "Io sono la via, la verità, la vita"? In altri termini, la verità essendo in definitiva tutt'uno con l'amore, richiede l'umiltà e l'apertura per essere cercata, accolta ed espressa. Dunque, bisogna intendersi bene sui termini e, forse, per uscire dalle strettoie di una contrapposizione... assoluta, reimpostare in profondità la questione. Penso che questo sia oggi assolutamente necessario per intavolare quel dialogo sereno e costruttivo che auspicavo all'inizio di questo mio dire.

Nell'ultima domanda mi chiede se, con la scomparsa dell'uomo sulla terra, scomparirà anche il pensiero capace di pensare Dio. Certo, la grandezza dell'uomo sta nel poter pensare Dio. E cioè nel poter vivere un rapporto consapevole e responsabile con Lui. Ma il rapporto è tra due realtà.
Dio - questo è il mio pensiero e questa la mia esperienza, ma quanti, ieri e oggi, li condividono! - non è un'idea, sia pure altissima, frutto del pensiero dell'uomo. Dio è realtà con la "R" maiuscola. Gesù ce lo rivela - e vive il rapporto con Lui - come un Padre di bontà e misericordia infinita. Dio non dipende, dunque, dal nostro pensiero.
Del resto, anche quando venisse a finire la vita dell'uomo sulla terra - e per la fede cristiana, in ogni caso, questo mondo così come lo conosciamo è destinato a venir meno - , l'uomo non terminerà di esistere e, in un modo che non sappiamo, anche l'universo creato con lui. La Scrittura parla di "cieli nuovi e terra nuova" e afferma che, alla fine, nel dove e nel quando che è al di là di noi, ma verso il quale, nella fede, tendiamo con desiderio e attesa, Dio sarà "tutto in tutti".

Egregio Dott. Scalfari, concludo così queste mie riflessioni, suscitate da quanto ha voluto comunicarmi e chiedermi. Le accolga come la risposta tentativa e provvisoria, ma sincera e fiduciosa, all'invito che vi ho scorto di fare un tratto di strada insieme. La Chiesa, mi creda, nonostante tutte le lentezze, le infedeltà, gli errori e i peccati che può aver commesso e può ancora commettere in coloro che la compongono, non 
ha altro senso e fine se non quello di vivere e testimoniare Gesù: Lui che è stato mandato dall'Abbà "a portare ai poveri il lieto annuncio, a proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista, a rimettere in libertà gli oppressi, a proclamare l'anno di grazia del Signore" (Lc 4, 18-19).

Con fraterna vicinanza

Francesco



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Nella conferenza stampa sul volo di ritorno da Rio de Janeiro 

Le novità di Papa Francesco

di Lucetta Scaraffia

Della lunga, serena e aperta intervista che Papa Francesco ha rilasciato ai giornalisti - e la trascrizione completa fa cogliere perfettamente il clima disteso e quasi divertito che ha contrassegnato l'incontro - le grandi novità sono soprattutto due, e riguardano due questioni a cui il Santo Padre aveva finora dato poco spazio: le donne e gli omosessuali.
Le dichiarazioni del Papa sul ruolo delle donne sono chiare e rivelatrici di una forte volontà di apertura, non pronunciate in nome dell'improrogabile necessità di adeguare la Chiesa alla parità fra i sessi realizzata nelle società occidentali, e neppure rivestite del paternalismo, spesso affettuoso, che quasi sempre vena le parole degli alti prelati quando affrontano il tema.

L'apertura è sostanziale, ed è direttamente collegata al suo progetto di riforma della Chiesa: senza un riconoscimento aperto del ruolo delle donne non si può sperare in quella Chiesa vitale e accogliente che Papa Francesco desidera, quella Chiesa che può di nuovo attirare i fedeli e scaldare loro il cuore. La donna, ha detto, "aiuta a crescere la Chiesa" perché è dal rapporto paritario e collaborativo fra donne e uomini che ha origine la fecondità. E se questo rapporto langue, non è vivo ed è rinnegato, come avviene oggi, la Chiesa non cresce.

Il coraggio di dire una verità, come tutte le verità anche ovvia, ma che nessuno prima di lui aveva osato, cioè che "Maria è più importante degli apostoli", non gli impedisce di escludere il sacerdozio femminile, ma al tempo stesso di chiedere un supplemento di studi e riflessioni per capire come realizzare questa parità nella differenza. Supplemento di ricerca alla quale, ovviamente, le donne daranno contributi fondamentali. In poche parole, la novità viene espressa in modo chiaro, e senza minacciare la tradizione della Chiesa.
Si può cambiare tutto senza cambiare le regole di base, quelle su cui si è costruita la tradizione cattolica: questa è la sua posizione anche sugli omosessuali. La Chiesa non deve essere una rigida dispensatrice di giudizi, ma deve essere sempre pronta ad accogliere i peccatori, cioè tutti noi. L'esempio di Pietro, che tradisce Gesù e poi viene "fatto Papa", è di una chiarezza lampante che in un baleno toglie valore a tutte le lettere di denuncia, i sospetti, i veleni che stanno girando nel mondo ecclesiastico dopo l'accenno alla "lobby gay". E ricorda a tutti che il cristianesimo ha sempre distinto fra condanna del peccato e misericordia verso il peccatore, e che non è un rigido puritanesimo senza cuore.

Anche a questo proposito Papa Francesco non cambia nulla delle regole morali, ma cancella un moralismo rigido e pettegolo, e con poche parole allontana dalla Chiesa cattolica quell'accusa infamante di omofobia che l'ha perseguitata negli ultimi tempi. La misericordia è la caratteristica distintiva del cristiano, che significa accoglienza del peccatore e perdono. Altra cosa sarebbe cambiare le norme per cancellare il peccato.
Misericordia è quanto invoca anche per i divorziati risposati, senza per questo aprire al divorzio:
il Papa chiede anche in questo caso un supplemento di indagine teologica sulla pastorale matrimoniale, un cambiamento culturale per riuscire a spiegare questo sacramento alle donne e agli uomini di oggi. Egli individua infatti il problema: se i matrimoni religiosi diminuiscono tanto, e quelli che vengono fatti spesso sono senza valore, è perché troppe volte la Chiesa usa parole sbagliate, vecchie, rigide e sterili per spiegare l'istituzione da cui nasce la vita. Non bisogna cambiare le norme, ma gli esseri umani che le spiegano, la cultura che le giustifica. E anche a proposito del rinnovamento della pastorale matrimoniale siamo certi che Papa Francesco saprà valorizzare l'esperienza femminile, a questo riguardo decisiva.


Sono tutti problemi e situazioni che padre Bergoglio, prete e vescovo, incontrava nel suo cammino per le vie di Buenos Aires, nei suoi incontri con donne e uomini normali, che gli aprivano il cuore con speranza e sincerità. Un bagaglio di esperienze umane che oggi illuminano il suo pontificato, riscaldano ogni suo discorso e gli danno quel tono di verità che fa comprendere e amare le sue parole.



(L'Osservatore Romano 31 luglio 2013)


[SM=g1740771]

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 [SM=g1740733]  P.S. Mi è stato scritto in privato chiedendomi cosa ne penso di questa Lettera, questa è la mia risposta:
è bene per noi tenere a mente i DECRETI del Concilio di Trento sulla Giustificazione ricordando che Benedetto XVI ha detto chiaramente, nella Lettera ai Vescovi del febbraio 2009 quanto segue: "coloro che si segnalano come grandi difensori del Concilio deve essere pure richiamato alla memoria che il Vaticano II porta in sé l’intera storia dottrinale della Chiesa. Chi vuole essere obbediente al Concilio, deve accettare la fede professata nel corso dei secoli e non può tagliare le radici di cui l’albero vive...." 
ecco cosa dice Trento sulla Giustificazione

1. Se qualcuno afferma che l’uomo può essere giustificato davanti a Dio dalle sue opere, compiute con le sole forze umane, o con il solo insegnamento della legge, senza la grazia divina meritata da Gesú Cristo: sia anatema.

2. Se qualcuno afferma che la grazia divina meritata da Gesú Cristo viene data solo perché l’uomo possa piú facilmente vivere giustamente e meritare la vita eterna, come se col libero arbitrio, senza la grazia egli possa realizzare l’una e l’altra cosa, benché faticosamente e con difficoltà: sia anatema.

3. Se qualcuno afferma che l’uomo, senza previa ispirazione ed aiuto dello Spirito santo, può credere, sperare ed amare o pentirsi come si conviene, perché gli venga conferita la grazia della giustificazione: sia anatema.

4. Se qualcuno dice che il libero arbitrio dell’uomo, mosso ed eccitato da Dio, non coopera in nessun modo esprimendo il proprio assenso a Dio, che lo muove e lo prepara ad ottenere la grazia della giustificazione; e che egli non può dissentire, se lo vuole, ma come cosa senz’anima non opera in nessun modo e si comporta del tutto passivamente: sia anatema.

5. Se qualcuno afferma che il libero arbitrio dell’uomo dopo il peccato di Adamo è perduto ed estinto; o che esso è cosa di sola apparenza anzi nome senza contenuto e finalmente inganno introdotto nella Chiesa da Satana: sia anatema.

6. Se qualcuno afferma che non è in potere dell’uomo rendere cattive le sue vie, ma che è Dio che opera il male come il bene, non solo permettendoli, ma anche volendoli in sé e per sé, di modo che possano considerarsi opera sua propria il tradimento di Giuda non meno che la chiamata di Paolo: sia anatema.

7. Se qualcuno dice che tutte le opere fatte prima della giustificazione, in qualunque modo siano compiute, sono veramente peccati che meritano l’odio di Dio, e che quanto piú uno si sforza di disporsi alla grazia tanto piú gravemente pecca: sia anatema.

8. Se qualcuno afferma che il timore dell’inferno, per il quale, dolendoci dei peccati, ci rifugiamo nella misericordia di Dio o ci asteniamo dal male, è peccato e rende peggiori i peccatori: sia anatema.

9. Se qualcuno afferma che l’empio è giustificato dalla sola fede, cosí da intendere che non si richieda nient’altro con cui cooperare al conseguimento della grazia della giustificazione e che in nessun modo è necessario che egli si prepari e si disponga con un atto della sua volontà: sia anatema.

10. Se qualcuno dice che gli uomini sono giustificati senza la giustizia del Cristo mediante la quale egli ha meritato per noi, o che essi sono formalmente giusti proprio per essa: sia anatema.

11. Se qualcuno afferma che gli uomini sono giustificati o per la sola imputazione della giustizia del Cristo, o con la sola remissione dei peccati, senza la grazia e la carità che è diffusa nei loro cuori mediante lo Spirito santo (159) e inerisce ad essi; o anche che la grazia, con cui siamo giustificati, è solo favore di Dio: sia anatema.

12. Se qualcuno afferma che la fede giustificante non è altro che la fiducia nella divina misericordia, che rimette i peccati a motivo del Cristo, o che questa fiducia sola giustifica: sia anatema.

Concilio di Trento - SESSIONE VI (13 gennaio 1547)

Nessun Papa può modificare questi Decreti..... [SM=g1740733] 

Benedetto XVI lo sapeva talmente bene da fare quel richiamo nella Lettera ai Vescovi, certo che Papa Francesco non dice apertamente il contrario, sia ben chiaro..... ma, essendoci chi lo pensa o lo deduce,  questa è la nostra cartina tornasole perché la Lettera ai Vescovi di BXVI ha più valore di quella scritta al quotidiano di Scalfari, la prima è un atto magisteriale del Pontefice, la seconda è un gesto di cortesia, una "chiacchierata fra amici" che non reca alcuna Nota di riferimento al Magistero ecclesiale e dottrinale, ma è solo un dialogo abbastanza soggettivo..... qualsiasi cosa abbia scritto Papa Francesco deve essere interpretato alla luce della Dottrina della Chiesa che non è mutata con l'ultimo Concilio.....

[SM=g1740733] 



[Modificato da Caterina63 14/09/2013 20:06]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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