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Le Visite ad Limina Apostolorum ed eventuali discorsi del Pontefice ai Vescovi

Ultimo Aggiornamento: 22/11/2015 09:13
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11/04/2013 16:44
 
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[SM=g1740758] Riprendiamo da qui a seguire le Visite ad Limina che il Papa concede ai Vescovi.
Il ciclo si era interrotto con le dimissioni del venerabile Benedetto XVI ed erano in lista i Vescovi Italiani, l'ultimo incontro è stato infatti con i Vescovi della Diocesi di Milano.
Riprende oggi il giro delle visite:


Città del Vaticano, 11 aprile 2013 (VIS). Il Santo Padre ha ricevuto questa mattina in udienza dieci Presuli della Conferenza Episcopale della Toscana, in Visita “ad Limina Apostolorum”:

- Il Cardinale Giuseppe Betori, Arcivescovo di Firenze, con l'Ausiliare Vescovo Claudio Maniago.

- L'Arcivescovo Riccardo Fontana, Arcivescovo-Vescovo di Arezzo-Cortona-Sansepolcro.

- L'Arcivescovo Benvenuto Italo Castellani, di Lucca.

- Il Vescovo Mario Meini, di Fiesole.

- Il Vescovo Mansueto Bianchi, di Pistoia.

- Il Vescovo Franco Agostinelli, di Prato.

- Il Vescovo Fausto Tardelli, di San Miniato.

- Il Vescovo Giovanni Santucci, di Massa Carrara-Pontremoli.

- Dom Diego Gualtiero Rosa, O.S.B. Oliv., Abate di Monte Oliveto Maggiore.

Se dovessero rendere pubblico, come auspichiamo, il testo del Papa, lo renderemo noto....


[SM=g1740771]

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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18/04/2013 13:08
 
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[SM=g1740758]  Il Papa ai vescovi argentini: "La Chiesa sia missionaria, non autoreferenziale"

2013-04-18 Radio Vaticana
La pastorale sia intesa completamente in chiave missionaria. Così Papa Francesco in una lettera inviata ai vescovi argentini in occasione dell’Assemblea Plenaria in corso a Pilar fino al 20 aprile. Il Pontefice invia parole affettuose indicando ai presuli come riferimenti per i loro lavori il Documento di Aparecida e “Prendere il largo” della Conferenza Episcopale Argentina. Il servizio è di Paolo Ondarza:

La pastorale abbia una chiave missionaria. Papa Francesco invia questa indicazione ai suoi confratelli argentini nell’episcopato riuniti in Assemblea Plenaria. Un appuntamento a cui avrebbe dovuto partecipare anche il cardinale Bergoglio che, salito al soglio pontificio, si scusa per l’assenza poiché – scrive – “impegni assunti di recente" me lo hanno impedito.

Il Papa esorta ad uscire da se stessi per andare verso le periferie esistenziali e crescere nella parresia". "Una Chiesa che non esce fuori da se stessa, presto o tardi, si ammala nell'atmosfera viziata delle stanze in cui è rinchiusa”. E se è vero che, come capita a chiunque, uscendo fuori di casa si può incorrere in un incidente, – constata il Santo Padre – “preferisco mille volte di più una chiesa incidentata che ammalata”. La malattia tipica della Chiesa – continua è l'autoreferenzialità, guardare a sé stessi, ripiegati su sé stessi. Il Papa parla di “narcisismo che conduce alla mondanità spirituale e al clericalismo sofisticato” e non consente esperimentare la 'dolce e confortante allegria dell'evangelizzare”.

Il Pontefice conclude inviando uno speciale saluto al popolo argentino, abbracciando fraternamente i presuli e: chiedendo loro di pregare “affinchè non mi inorgoglisca – scrive – e sappia ascoltare ciò che Dio vuole e non ciò che voglio io".

E in una nota diffusa nel corso dell'Assemblea plenaria, i vescovi argentini scrivono che per mettere in atto la riforma della giustizia occorrono “un profondo discernimento”, “ampie consultazioni, dibattiti e consensi sui numerosi cambiamenti proposti”.

La nota, intitolata “Giustizia, democrazia e Costituzione nazionale”, fa riferimento alla proposta di riforma della giustizia presentata dal capo di Stato, Cristina Fernandez Kirchner: il testo, già inviato al Congresso, prevede la riforma del Consiglio della magistratura; una legge che garantisca un accesso democratico ai giudici e ai pubblici ministeri; il cambiamento della norma che stabilisce l’obbligo di trasparenza delle azioni esercitate dal potere giudiziario e la creazione di tre camere di Cassazione. Inoltre, i cittadini potranno visualizzare i beni dei funzionari e dei vertici di tutti e tre i poteri dello Stato, mentre ora la possibilità è limitata ai rappresentati dell’esecutivo. Per quanto riguarda il Consiglio della magistratura, i suoi membri saranno eletti dal popolo e si lavorerà per eliminare le cause contro le amministrazioni con blocco preventivo dei beni.

“Una trattativa affrettata su riforme tanto significative – scrivono i vescovi – corre il rischio di debilitare la democrazia repubblicana stabilita dalla Costituzione, soprattutto in una delle sue dimensioni essenziali, ovvero l’autonomia dei tre poteri legislativo, esecutivo e giudiziario”. Nell’agenda dei lavori della Plenaria episcopale sono presenti anche altri temi, tra cui l’elezione di Papa Francesco, primo Pontefice argentino, ed i preparativi per il IV Congresso Missionario nazionale che si aprirà a Catamarca il 17 agosto.

(A cura di Isabella Piro)



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(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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28/04/2013 18:47
 
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[SM=g1740758] Sintonia e attenzione per la Chiesa italiana nel primo incontro tra il Vescovo di Roma e il cardinale Bagnasco

2013-04-28 Radio Vaticana

“Ho respirato una profonda sintonia”, così il presidente della Cei, Angelo Bagnasco, commentando in una nota la sua prima udienza ieri con Papa Francesco, che ha mostrato “grande capacità di ascolto e di attenzione”. Il servizio di Roberta Gisotti:

Un incontro durato oltre un’ora, “atteso da entrambe le parti”. Il porporato riferisce l’apprezzamento espresso dal vescovo di Roma, che “presiede nella carità e comunione” la Conferenza episcopale italiana, riguardo “il metodo di lavoro della Cei”: la programmazione decennale, i Convegni ecclesiali nazionali a metà cammino e il tema in corso dell’educazione, “nell’impegno di ricondurla innanzitutto al suo principio originante, ossia l’annuncio di Gesù Cristo”, per riscoprire “una precisa idea di uomo e di umanità”, avvertiti della “mutazione antropologica in atto”, che interessa “non tanto e solo il contesto europeo, ma anche l’America Latina e, più in generale, il mondo intero”.

Tra gli altri argomenti del colloquio tra il Papa e il cardinale Bagnasco: l’impegno della Chiesa italiana “per la tutela e la promozione dei valori non negoziabili, il rapporto con l’opinione pubblica”, l’attenzione costante dei media “a testimonianza di una presenza qualificata sul territorio, che a volte arriva a essere mal tollerata”. Il Papa – riporta il presidente della Cei – ha condiviso anche “gli sforzi di sobrietà portati avanti dai vescovi italiani”, e “la necessità di avere strutture agili, evitando sprechi e dispendi di risorse”, raccomandando di “non moltiplicare organismi, che alla fine appesantiscono inutilmente”, e insistendo “sul fatto che la Chiesa è un organismo vivo, vivente, e non un’organizzazione burocratica, a cui a volte qualcuno vorrebbe ridurla”.

Papa Francesco ha infine confermato al cardinale Bagnasco il suo intervento alla prossima Assemblea generale della Cei, in programma dal 20 al 24 maggio.


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21/06/2013 16:01
 
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DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO
AI PARTECIPANTI ALLE GIORNATE DEDICATE AI RAPPRESENTANTI PONTIFICI
Sala Clementina
Venerdì, 21 giugno 2013




 

Cari Confratelli,

queste giornate, nell’Anno della fede, sono un’occasione che il Signore offre per pregare insieme, per riflettere insieme e per vivere un momento fraterno. Ringrazio il Cardinale Bertone per le parole che mi ha rivolto a nome di tutti, ma vorrei ringraziare ciascuno di voi per il vostro servizio che mi aiuta nella sollecitudine per tutte le Chiese, in quel ministero di unità che è centrale per il Successore di Pietro. Voi mi rappresentate nelle Chiese sparse in tutto il mondo e presso i Governi, ma vedervi oggi così numerosi mi dà anche il senso della cattolicità della Chiesa, del suo respiro universale. Grazie di vero cuore! Il vostro lavoro è un lavoro – la parola che mi viene è “importante”, ma è una parola formale – ; il vostro lavoro è più che importante, è un lavoro di fare la Chiesa, di costruire la Chiesa. Fra le Chiese particolari e la Chiesa universale, tra i Vescovi e il Vescovo di Roma. Non siete intermediari, piuttosto siete mediatori, che con la mediazione fate la comunione. Alcuni teologi studiando l’ecclesiologia, parlano di Chiesa locale e dicono che i Rappresentanti Pontifici e i Presidenti delle Conferenze Episcopali fanno una Chiesa locale che non è di istituzione divina, è organizzativa ma aiuta ad andare avanti la Chiesa. E il lavoro più importante è quello della mediazione, e per mediare è necessario conoscere. Non conoscere soltanto le carte – che è molto importante leggere carte e sono tante – ma conoscere le persone. Perciò io considero che il rapporto personale tra il Vescovo di Roma e voi sia una cosa essenziale. È vero c’è la Segreteria di Stato che ci aiuta, ma quest’ultimo punto, il rapporto personale, è importante. E dobbiamo farlo, da ambedue le parti.

Ho pensato a questa riunione e vi offro dei semplici pensieri su alcuni aspetti, direi esistenziali, del vostro essere Rappresentanti Pontifici. Sono cose sulle quali ho riflettuto nel mio cuore, soprattutto pensando di mettermi accanto a ciascuno di voi. In questo incontro, non vorrei dirvi parole meramente formali o parole di circostanza; farebbero male a tutti, a voi e a me. Quello che vi dico adesso viene dal di dentro, ve lo assicuro, e mi sta a cuore.

1. Anzitutto vorrei sottolineare che la vostra è una vita di nomadi. L’ho pensato tante volte: poveri uomini! Ogni tre, quattro anni per i Collaboratori, un po’ di più per i Nunzi, voi cambiate posto, passate da un Continente all’altro, da un Paese all’altro, da una realtà di Chiesa ad un’altra, spesso molto diversa; siete sempre con la valigia in mano. Mi pongo la domanda: che cosa dice a tutti noi questa vita? Che senso spirituale ha? Direi che dà il senso del cammino, che è centrale nella vita di fede, a iniziare da Abramo, uomo di fede in cammino: Dio gli chiede di lasciare la sua terra, le sue sicurezze, per andare, affidandosi a una promessa, che non vede, ma che conserva semplicemente nel cuore come speranza che Dio gli offre (cfr Gen 12,1-9). E questo comporta due elementi, a mio parere. Anzitutto la mortificazione, perché davvero, andare con la valigia in mano è una mortificazione, il sacrificio di spogliarsi di cose, di amici, di legami e iniziare sempre di nuovo. E questo non è facile; è vivere nel provvisorio, uscendo da se stessi, senza avere un luogo dove mettere radici, una comunità stabile, eppure amando la Chiesa e il Paese che siete chiamati a servire. Un secondo aspetto che comporta questo essere nomadi, sempre in cammino, è quello che ci viene descritto nel capitolo undicesimo della Lettera agli Ebrei. Elencando gli esempi di fede dei padri, l’autore afferma che essi videro i beni promessi e li salutarono da lontano - è bella questa icona -, dichiarando di essere pellegrini su questa terra (cfr 11,13). E’ un grande merito una vita così, una vita come la vostra, quando si vive con l’intensità dell’amore, con la memoria operante della prima chiamata.

2. Vorrei fermarmi un momento sull’aspetto di “guardare da lontano”, guardare le promesse da lontano, salutarle da lontano. Che cosa guardavano da lontano i padri dell’Antico Testamento? I beni promessi da Dio. Ciascuno di noi si può domandare: qual è la mia promessa? A che cosa guardo? Che cosa cerco nella vita? Quello che la memoria fondante ci spinge a cercare è il Signore, Lui è il bene promesso. Questo non deve sembrarci mai qualcosa di scontato. Il 25 aprile 1951, in un celebre discorso, l’allora Sostituto della Segreteria di Stato, Mons. Montini, ricordava che la figura del Rappresentante Pontificio «è quella di uno che ha veramente la coscienza di portare Cristo con sé», come il bene prezioso da comunicare, da annunciare, da rappresentare. I beni, le prospettive di questo mondo finiscono per deludere, spingono a non accontentarsi mai; il Signore è il bene che non delude, l'unico che non delude. E questo esige un distacco da se stessi che si può raggiungere solo con un costante rapporto con il Signore e l’unificazione della vita attorno a Cristo. E questo si chiama familiarità con Gesù. La familiarità con Gesù Cristo dev’essere l’alimento quotidiano del Rappresentante Pontificio, perché è l’alimento che nasce dalla memoria del primo incontro con Lui e perché costituisce anche l’espressione quotidiana di fedeltà alla sua chiamata. Familiarità con Gesù Cristo nella preghiera, nella Celebrazione eucaristica, da non tralasciare mai, nel servizio della carità.

3. C’è sempre il pericolo, anche per gli uomini di Chiesa, di cedere a quella che io chiamo, riprendendo un’espressione di De Lubac, la “mondanità spirituale”: cedere allo spirito del mondo, che conduce ad agire per la propria realizzazione e non per la gloria di Dio (cfr Meditazione sulla Chiesa, Milano 1979, p. 269), a quella sorta di “borghesia dello spirito e della vita” che spinge ad adagiarsi, a ricercare una vita comoda e tranquilla. Agli Alunni della Pontificia Accademia Ecclesiastica ho ricordato come per il beato Giovanni XXIII, il servizio quale Rappresentante Pontificio sia stato uno degli ambiti, e non secondario, in cui prese forma la sua santità, e citavo alcuni passaggi del Giornale dell’Anima che si riferivano proprio a questo lungo tratto del suo ministero. Egli affermava di avere compreso sempre di più che, per l’efficacia della sua azione, doveva potare continuamente la vigna della sua vita da ciò che è solo fogliame inutile e andare diritto all’essenziale, che è Cristo e il suo Vangelo, altrimenti si rischia di volgere al ridicolo una missione santa (Giornale dell’Anima, Cinisello Balsamo 2000, pp. 513-514). E’ una parola forte questa del ridicolo, ma è vera: cedere allo spirito mondano espone soprattutto noi Pastori al ridicolo; potremo forse ricevere qualche applauso, ma quelli stessi che sembreranno approvarci, poi ci criticheranno alle spalle. Questa è una regola comune.

Ma noi siamo Pastori! E questo non lo dobbiamo dimenticare mai! Voi, cari Rappresentanti Pontifici, siete presenza di Cristo, siete presenza sacerdotale, di Pastori. Certo, non insegnerete ad una porzione particolare del Popolo di Dio che vi è stata affidata, non sarete a guida di una Chiesa locale, ma siete Pastori che servono la Chiesa, con ruolo di incoraggiare, di essere ministri di comunione, e anche con il compito, non sempre facile, del richiamare. Fate sempre tutto con profondo amore! Anche nei rapporti con le Autorità civili e i Colleghi voi siete Pastori: ricercate sempre il bene, il bene di tutti, il bene della Chiesa e di ogni persona. Ma questo lavoro pastorale, come ho detto, si fa con la familiarità con Gesù Cristo nella preghiera, nella Celebrazione eucaristica, nelle opere di carità: lì è presente il Signore. Ma da parte vostra si deve fare anche con professionalità, e sarà come il vostro – mi viene da dire una parola – il vostro cilicio, la vostra penitenza: fare sempre con professionalità le cose, perché la Chiesa vi vuole così. E quando un Rappresentante Pontificio non fa le cose con professionalità, perde anche autorità.

Vorrei concludere dicendo anche una parola su uno dei punti importanti del vostro servizio come Rappresentanti Pontifici, almeno per la stragrande maggioranza: la collaborazione alle provviste episcopali. Voi conoscete la celebre espressione che indica un criterio fondamentale nella scelta di chi deve governare: si sanctus est oret pro nobis, si doctus est doceat nos, si prudens est regat nos - se è Santo preghi per noi, se è dotto ci insegni, se è prudenteci governi. Nel delicato compito di realizzare l’indagine per le nomine episcopali siate attenti che i candidati siano Pastori vicini alla gente: questo è il primo criterio. Pastori vicini alla gente. E’ un gran teologo, una grande testa: che vada all’Università, dove farà tanto bene!.
Pastori! Ne abbiamo bisogno! Che siano, padri e fratelli, siano miti, pazienti e misericordiosi; che amino la povertà, interiore come libertà per il Signore e anche esteriore come semplicità e austerità di vita, che non abbiano una psicologia da “Principi”. Siate attenti che non siano ambiziosi, che non ricerchino l’episcopato; si dice che il Beato Giovanni Paolo II in una prima udienza che aveva avuto con il Cardinale Prefetto della Congregazione dei Vescovi, questi gli ha fatto la domanda sul criterio di scelta dei candidati all’Episcopato e il Papa con la sua voce particolare: «Il primo criterio: volentes nolumus». Quelli che ricercano l’Episcopato… no, non va.

E che siano sposi di una Chiesa, senza essere in costante ricerca di un’altra.
Siano capaci di “sorvegliare” il gregge che sarà loro affidato, di avere cioè cura per tutto ciò che lo mantiene unito; di “vigilare” su di esso, di avere attenzione per i pericoli che lo minacciano; ma soprattutto siano capaci di “vegliare” per il gregge, di fare la veglia, di curare la speranza, che ci sia sole e luce nei cuori, di sostenere con amore e con pazienza i disegni che Dio attua nel suo popolo. Pensiamo alla figura di san Giuseppe che veglia su Maria e Gesù, alla sua cura per la famiglia che Dio gli ha affidato, e allo sguardo attento con cui la guida nell’evitare i pericoli. Per questo i Pastori sappiano essere davanti al gregge per indicare la strada, in mezzo al gregge per mantenerlo unito, dietro al gregge per evitare che qualcuno rimanga indietro e perché lo stesso gregge ha, per così dire, il fiuto nel trovare la strada. Il pastore deve muoversi così!


Cari Rappresentanti Pontifici, sono solo alcuni pensieri, che mi vengono dal cuore, ho pensato tanto prima di scrivere questo: questo l’ho scritto io! Ho pensato tanto e ho pregato. Questi pensieri mi vengono dal cuore, con i quali non pretendo di dire cose nuove - no, nessuna delle cose che ho detto è nuova - ma sui quali vi invito a riflettere per il servizio importante e prezioso che prestate a tutta la Chiesa. La vostra è una vita spesso difficile, a volte in luoghi di conflitto – lo so bene: ho parlato con uno di voi in questo tempo, due volte. Quanto dolore, quanta sofferenza! Un continuo pellegrinaggio senza la possibilità di mettere radici in un posto, in una cultura, in una specifica realtà ecclesiale. Ma è una vita che cammina verso le promesse e le saluta da lontano. Una vita in cammino, ma sempre con Gesù Cristo che vi tiene per mano. Questo è sicuro: Lui vi tiene per mano. Grazie ancora per questo! Noi sappiamo che la nostra stabilità non sta nelle cose, nei propri progetti o nelle ambizioni, ma nell’essere veri Pastori che tengono fisso lo sguardo su Cristo. Ancora una volta grazie! Per favore, vi chiedo di pregare per me, perché ne ho bisogno. Che il Signore vi benedica e la Madonna vi custodisca. Grazie.


[SM=g1740733]

ha ragione Papa Francesco a dire: non ho detto nulla di nuovo..... rinfreschiamo la memoria a certo clero....


Card. Ratzinger: nella Chiesa non dovrebbe esistere alcun senso di carrierismo. Essere vescovo non deve essere considerato una carriera con diversi gradini, da una sede all’altra, ma un servizio molto umile

Il mistero e l’operazione della grazia

«È importante questa operazione della grazia. Noi siamo tutti contagiati un po’ dal deismo. Mentre Dio, facendosi uomo, entrando nella carne, unendosi alla carne, continua a operare nel mondo trasformandolo». Intervista con il cardinale Joseph Ratzinger, prefetto della Congregazione per la dottrina della fede


Intervista con il cardinale Joseph Ratzinger di Gianni Cardinale


È un primo e importante passo nel dialogo tra cattolici e luterani per un pieno accordo sulla dottrina della giustificazione. Permangono tuttavia questioni che non sono ancora risolte. Rimane poi il grave compito di rendere questa dottrina comprensibile per l’uomo di oggi. Il cardinale Joseph Ratzinger, prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, non perde il suo consueto realismo anche nel commentare il penultimo passo dell’iter che il prossimo autunno porterà la Chiesa cattolica e la comunità luterana a firmare una Dichiarazione congiunta sulla dottrina della giustificazione.

Lo scorso 11 giugno infatti, a Ginevra, sono stati presentati una Dichiarazione ufficiale comune e un Allegato che faranno parte integrante della Dichiarazione congiunta. Successivamente, il 22 giugno, il Pontificio consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani ha emesso un ulteriore comunicato sulla questione. All’indomani della diffusione di questo documento il cardinale bavarese ha accettato di concedere sull’argomento un’intervista a 30Giorni (e non si è tirato indietro di fronte ad alcune domande fuori tema…). Ratzinger, 72 anni, nominato arcivescovo di Monaco e Frisinga e creato cardinale nel 1977 da Paolo VI, è attualmente l’unico porporato europeo creato da papa Montini che siederebbe in un eventuale conclave. Convocato a Roma da papa Wojtyla nel 1981, presiede da allora l’ex Sant’Uffizio. Dal novembre dello scorso anno è anche vicedecano del Collegio cardinalizio.

Eminenza, a che livello si situa questo accordo tra Chiesa cattolica e luterani? Si sottolinea più volte che si tratta di un accordo “su” verità e non “sulle” verità della dottrina della giustificazione…


JOSEPH RATZINGER: Questo è un punto importante. Entrambe le parti hanno sottolineato il fatto che non si ha semplicemente un consenso sulla dottrina della giustificazione come tale ma su verità fondamentali della dottrina della giustificazione. Quindi ci sono settori dove c’è realmente un’intesa, ma rimangono altri problemi che non sono ancora risolti.


Quali, ad esempio?


RATZINGER: Non si tratta delle formule prese in se stesse, ma considerate nel loro contesto, come nel caso di quella simul iustus et peccator.

Per Lutero, perseguitato dal timore della condanna eterna, era importante sapere che, anche se era un peccatore, era tuttavia amato da Dio e giustificato. Per lui c’è questa contemporaneità: di essere vero peccatore e di essere totalmente giustificato.
È una espressione della sua esperienza personale, che poi è stata approfondita anche con riflessioni teologiche.
Mentre per la Chiesa cattolica è importante sottolineare che non c’è un dualismo. Se uno non è giusto non è neanche giustificato.
La giustificazione, cioè la grazia che ci viene data nel sacramento, rende il peccatore nuova creatura, come dice san Paolo. Ma rimane, come afferma il Concilio di Trento, la concupiscenza, cioè una tendenza al peccato, uno stimolo che porta al peccato, ma che, come tale, non è peccato. Queste sono controversie classiche.
Il problema diventa più reale se prendiamo in considerazione la presenza della Chiesa nel processo della giustificazione, la necessità del sacramento della penitenza. Qui si rivelano le vere divergenze.

Nella Risposta della Chiesa cattolica alla Dichiarazione congiunta, resa pubblica lo scorso anno, si chiedeva appunto di approfondire questo argomento…


RATZINGER: Sì, ma in questo momento non è possibile. Da entrambe le parti ci siamo accontentati di chiarire alcune formule classiche. Abbiamo lasciato da parte gli aspetti che nella vita cristiana seguono, diciamo così, la giustificazione.


Torniamo alla formula simul iustus et peccator. C’è una interpretazione di questa formula secondo cui la grazia non opera un cambiamento reale, rimane una mera copertura del peccato dell’uomo…


RATZINGER: Sì. In questo senso è importante notare che Dio agisce realmente nell’uomo. Lo trasforma, crea qualcosa di nuovo nell’uomo, non dà soltanto un giudizio quasi giuridico, esterno all’uomo. Ciò ha una portata molto più generale. C’è una trasformazione del cosmo e del mondo. Penso ad esempio all’Eucarestia.

Noi cattolici diciamo che c’è una transustanziazione, che la materia diventa Cristo. Lutero parla invece di coesistenza: la materia rimane tale e coesiste con Cristo.
Noi cattolici crediamo che la grazia è una vera trasformazione dell’uomo e una trasformazione iniziale del mondo e non è, come lei dice bene, soltanto una copertura aggiunta che non entra realmente nel vivo della realtà umana.

Il poeta francese Charles Péguy circa un secolo fa coglieva la radice della scristianizzazione nel fatto di non riconoscere l’operazione della grazia…


RATZINGER: È importante questa operazione della grazia. Noi siamo tutti contagiati un po’ dal deismo. Dio rimane un po’ fuori. Mentre la fede cattolica – questa grande fiducia, questa grande gioia che Dio, facendosi uomo, entrando nella carne, unendosi alla carne, continua a operare nel mondo trasformandolo – ha la potenza, la volontà, la radicalità dell’amore, per entrare nel nostro essere e trasformarlo.


Avvenire ha accolto la Dichiarazione ufficiale comune dell’11 giugno col titolo Cattolici-luterani, scomuniche addio. Il 22 giugno un comunicato del Pontificio consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani ha ricordato che le scomuniche mantengono «“il significato di salutari avvertimenti” di cui dobbiamo tener conto nella dottrina e nella prassi». Insomma, che fine hanno fatto le scomuniche di Trento?


RATZINGER: Il documento dice che le scomuniche di Trento in questo settore non toccano la dottrina così come è esposta oggi. Nello stesso tempo il valore veritativo delle scomuniche, comunque, rimane quello. Chi si oppone alla dottrina esposta a Trento si oppone alla dottrina, alla fede della Chiesa.


Eppure nella Risposta della Chiesa cattolica dello scorso anno si affermava: «…rimane quindi difficile vedere come si possa affermare che questa dottrina sul simul iustus et peccator, allo stato attuale della presentazione che se ne fa nella Dichiarazione congiunta, non sia toccata dagli anatemi dei decreti tridentini sul peccato originale e sulla giustificazione».


RATZINGER: All’epoca, il testo della Dichiarazione congiunta non era ancora sufficientemente preciso da permettere un pieno accordo. Adesso con questo nuovo Allegato reso noto lo scorso 11 giugno abbiamo ottenuto delle chiarificazioni che vanno realmente oltre.

Adesso si dice esplicitamente che il peccato è una realtà personale, e che quindi l’uomo non è peccatore in senso reale se non commette un peccato personale. Con questo Allegato, che è un elemento molto importante, abbiamo ottenuto le chiarificazioni che mancavano ancora nella Dichiarazione congiunta.

Che impressione fa che il primo accordo con i luterani riguardi proprio il tema della giustificazione che fu l’elemento scatenante della Riforma?


RATZINGER: Si capisce che per i luterani fosse il punto di partenza di un dialogo, perché era il tema che, come lei ha detto, ha scatenato tutta l’onda della Riforma. Quindi cominciare da qui per poi allargare il consenso era naturale e anche necessario.

Anche se oggi, nella vita di ogni giorno, i cristiani sono poco consapevoli di questo punto (anche tra i luterani, se si chiede cosa si intende per giustificazione, le riposte saranno molto manchevoli; e questo ci ha permesso un clima di serenità, un clima pacifico di discussione, perché non è più una ferita attiva), rimane il punto da cui scaturiscono tutti gli altri problemi. Quindi, per avere un cammino anche logico di priorità ecumenica, era ovvio cominciare da quello che per Lutero era il punto della scoperta riformatrice.

Non è preoccupante che non solo nel mondo protestante, ma anche nel mondo cattolico, questo tema della giustificazione sia considerato lontano o non considerato affatto?


RATZINGER: Questo è il vero problema. Nella Risposta della Chiesa cattolica dello scorso anno stava scritto: «Dovrebbe essere preoccupazione comune di luterani e cattolici trovare un linguaggio capace di rendere la dottrina della giustificazione più comprensibile anche agli uomini del nostro tempo».

Penso che la quasi assenza di questa dottrina è causata da un indebolimento del senso di Dio. Se Dio è preso sul serio, il peccato è una cosa seria. E così era per Lutero. Adesso Dio è abbastanza lontano, il senso di Dio è molto attenuato e perciò anche il senso della grazia è attenuato. Adesso dobbiamo trovare insieme in questo contesto attuale il modo di annunciare Dio, Cristo, di annunciare così la bellezza della grazia.
Perché se non c’è senso di Dio, se non c’è senso del peccato, la grazia non dice niente.
E mi sembra questo il nuovo compito ecumenico: che insieme possiamo capire e interpretare in un modo accessibile, che tocca il cuore dell’uomo di oggi, cosa vuol dire che il Signore ci ha redenti, ci ha dato la grazia.

Eminenza, permette alcune “domande extra”, al di fuori del tema trattato finora?


RATZINGER: Prego.


Nel numero di aprile 30Giorni ha pubblicato un’intervista al cardinale Bernardin Gantin, nella quale il decano del Sacro Collegio auspicava un ritorno alla prassi antica che proibiva il trasferimento di un vescovo da una diocesi all’altra. Cosa pensa a riguardo?


RATZINGER: Sono totalmente d’accordo con il cardinale Gantin.

Soprattutto nella Chiesa non dovrebbe esistere alcun senso di carrierismo. Essere vescovo non deve essere considerato una carriera con diversi gradini, da una sede all’altra, ma un servizio molto umile.
Penso che anche la discussione sull’accesso al ministero sarebbe molto più serena se si vedesse nell’episcopato non una carriera ma un servizio. Anche una sede umile, con pochi fedeli, è un servizio importante nella Chiesa di Dio. Certo, ci possono essere casi eccezionali: una grandissima sede in cui è necessario avere esperienza del ministero episcopale, in questo caso può darsi… Ma non dovrebbe essere una prassi normale; solo in casi eccezionalissimi.
Rimane valida questa visione del rapporto vescovo-diocesi come un matrimonio che implica una fedeltà. Anche il popolo cristiano pensa così: se un vescovo viene nominato in una diocesi, giustamente si vede questo come una promessa di fedeltà. Purtroppo anche io non sono rimasto fedele essendo stato convocato qui…

Il cardinale Gantin auspicava anche un cambiamento del Codice di diritto canonico che proibisse il passaggio di diocesi…


RATZINGER: È pensabile, benché difficile. Difficilmente si cambia il Codice a solo sedici anni dalla pubblicazione. In futuro vedrei anch’io bene che fosse aggiunta una frase su questa unicità e fedeltà di un impegno diocesano.


Cambiamo argomento. Non molto tempo fa hanno fatto un certo scalpore alcune frasi scritte da lei nell’introduzione di un libretto della Congregazione per la dottrina della fede Sulla pastorale dei divorziati risposati pubblicato dalla Libreria Editrice Vaticana. In particolare ha colpito l’affermazione che il dicastero che lei presiede sta studiando la questione se «veramente ogni matrimonio tra due battezzati è ipso facto un matrimonio sacramentale» vista la scristianizzazione dilagante di oggi…


RATZINGER: Forse era imprudente dirlo. Ma il problema è molto reale, perché abbiamo una situazione sconosciuta fino a cento anni fa. Ci sono tanti battezzati non credenti. Questa è una realtà nuova, da studiare. Non oso adesso fare una previsione su cosa uscirà da questo studio.

Volevo solo dire che noi abbiamo percepito questa nuova situazione, ne siamo consapevoli, e vogliamo approfondire il tema per vedere, per verificare se ci sono delle conseguenze giuridiche, sacramentali, teologiche, oppure no.

Un ultimo quesito. È di questi giorni la notizia della citazione presso la Rota romana del presunto autore del volume Via col vento in Vaticano. Alcuni organi di informazione hanno paventato un intervento anche della Congregazione da lei presieduta. Le risulta qualcosa?


RATZINGER: Niente. Non mi occupo di pettegolezzi. È un mondo che mi è totalmente estraneo. Ho sentito solo da lontano. A me comunque non risulta niente.


http://www.30giorni.it/articoli_id_17141_l1.htm




[Modificato da Caterina63 23/06/2013 10:49]
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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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                                                     DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO
AI PARTECIPANTI AL CONVEGNO PER I NUOVI VESCOVI
PROMOSSO DALLA CONGREGAZIONE PER I VESCOVI 
E DALLA CONGREGAZIONE PER LE CHIESE ORIENTALI

Sala Clementina
Giovedì
, 19 settembre 2013

 

Il Salmo ci dice: «Ecco quanto è buono e quanto è soave che i fratelli vivano insieme» (Sal 132,1).

Penso abbiate sperimentato la verità di queste parole nei giorni trascorsi qui a Roma vivendo un’esperienza di fraternità; fraternità che è favorita dall’amicizia, dal conoscersi, dallo stare insieme, ma che è data soprattutto dai vincoli sacramentali della comunione nel Collegio episcopale e con il Vescovo di Roma. Questo formare un “unico corpo” vi orienti nel vostro lavoro quotidiano e vi spinga a chiedervi: come vivere lo spirito di collegialità e collaborazione nell’Episcopato? Come essere costruttori di comunione e di unità nella Chiesa che il Signore mi ha affidato? Il Vescovo è uomo di comunione, è uomo di unità, «visibile principio e fondamento di unità»! (Vat. II, Lumen gentium, 23).

Cari Fratelli nell’Episcopato, vi saluto uno ad uno, Vescovi latini e orientali: voi mostrate la grande ricchezza e varietà della Chiesa! Ringrazio il Cardinale Marc Ouellet, Prefetto della Congregazione per i Vescovi, per il saluto che mi ha rivolto anche a nome vostro e per aver organizzato queste giornate, in cui siete pellegrini presso la Tomba di Pietro per rafforzare la comunione e per pregare e riflettere sul vostro ministero. Con lui saluto il Cardinale Leonardo Sandri, Prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali, ed il Cardinale Luis Antonio Tagle, Arcivescovo di Manila, e Monsignor Lorenzo Baldisseri, infaticabile lavoratore per queste cose.

«Pascete il gregge di Dio che vi è affidato, sorvegliandolo non per forza ma volentieri, secondo Dio, non per vile interesse, ma di buon animo; non spadroneggiando sulle persone a voi affidate, ma facendovi modelli del gregge» (1 Pt 5,2). Queste parole di san Pietro siano scolpite nel cuore! Siamo chiamati e costituiti Pastori, non Pastori da noi stessi, ma dal Signore e non per servire noi stessi, ma il gregge che ci è stato affidato, servirlo fino a dare la vita come Cristo, il Buon Pastore (cfr Gv 10,11).

Che cosa significa pascere, avere “abituale e quotidiana cura del gregge” (Conc. Ecum Vat. II, Lumen gentium, 27)? Tre brevi pensieri. Pascere significa: accogliere con magnanimità, camminare con il gregge, rimanere con il gregge. Accogliere, camminare, rimanere.

1. Accogliere con magnanimità. Il vostro cuore sia così grande da saper accogliere tutti gli uomini e le donne che incontrerete lungo le vostre giornate e che andrete a cercare quando vi metterete in cammino nelle vostre parrocchie ed in ogni comunità. Fin d’ora chiedetevi: coloro che busseranno alla porta della mia casa, come la troveranno? Se la troveranno aperta, attraverso la vostra bontà, la vostra disponibilità, sperimenteranno la paternità di Dio e capiranno come la Chiesa sia una buona madre che sempre accoglie e ama.

2. Camminare con il gregge. Accogliere con magnanimità, camminare. Accogliere tutti per camminare con tutti. Il Vescovo è in cammino con e nel suo gregge. Questo vuol dire mettersi in cammino con i propri fedeli e con tutti coloro che si rivolgeranno a voi, condividendone gioie e speranze, difficoltà e sofferenze, come fratelli e amici, ma ancora di più come padri, che sono capaci di ascoltare, comprendere, aiutare, orientare. Il camminare insieme richiede amore, e il nostro è un servizio di amore, amoris officium diceva sant’Agostino (In Io. Ev. tract. 123, 5: PL 35, 1967).

a. E nel camminare vorrei richiamare l’affetto verso i vostri sacerdoti. I vostri sacerdoti sono il primo prossimo; il sacerdote è il primo prossimo del Vescovo – amate il prossimo, ma il primo prossimo è quello –, indispensabili collaboratori di cui ricercare il consiglio e l'aiuto, di cui prendersi cura come padri, fratelli e amici. Tra i primi compiti che avete c’è la cura spirituale del presbiterio, ma non dimenticate le necessità umane di ciascun sacerdote, soprattutto nei momenti più delicati ed importanti del loro ministero e della loro vita. Non è mai tempo perso quello passato con i sacerdoti! Riceverli quando lo chiedono; non lasciare senza risposta una chiamata telefonica.
Io ho sentito - non so se è vero, ma l’ho sentito tante volte nella mia vita - da preti, quando davo esercizi a preti: “Mah! Ho chiamato il Vescovo e il segretario mi dice che non ha tempo per ricevermi”. E così per mesi e mesi e mesi. Non so se è vero. Ma se un prete chiama il Vescovo, lo stesso giorno, o almeno il giorno seguente, la telefonata: “Ho sentito, cosa vuoi? Adesso non posso riceverti, ma vediamo di cercare insieme la data”. Che senta che il padre risponde, per favore. Al contrario, il prete può pensare: “Ma a questo non importa; questo non è padre, è capo di un ufficio!”. Pensate bene a questo. Sarebbe un bel proposito questo: davanti ad una chiamata di un prete, se non posso questo giorno, almeno il giorno seguente rispondere. E poi vedere quando è possibile incontrarlo. Essere in continua vicinanza, in contatto continuo con loro.

b. Poi la presenza nella diocesi. Nell'omelia della Messa Crismale di quest’anno dicevo che i Pastori devono avere “l'odore delle pecore”. Siate Pastori con l’odore delle pecore, presenti in mezzo al vostro popolo come Gesù Buon Pastore. La vostra presenza non è secondaria, è indispensabile. La presenza! La chiede il popolo stesso, che vuole vedere il proprio Vescovo camminare con lui, essere vicino a lui. Ne ha bisogno per vivere e per respirare!
Non chiudetevi! Scendete in mezzo ai vostri fedeli
, anche nelle periferie delle vostre diocesi e in tutte quelle “periferie esistenziali” dove c'è sofferenza, solitudine, degrado umano. Presenza pastorale significa camminare con il Popolo di Dio: camminare davanti, indicando il cammino, indicando la via; camminare in mezzo, per rafforzarlo nell’unità; camminare dietro, sia perché nessuno rimanga indietro, ma, soprattutto, per seguire il fiuto che ha il Popolo di Dio per trovare nuove strade. Un Vescovo che vive in mezzo ai suoi fedeli ha le orecchie aperte per ascoltare «ciò che lo Spirito dice alle Chiese» (Ap 2,7) e la “voce delle pecore”, anche attraverso quegli organismi diocesani che hanno il compito di consigliare il Vescovo, promuovendo un dialogo leale e costruttivo. Non si può pensare a un Vescovo che non abbia questi organismi diocesani: consiglio presbiterale, i consultori, consiglio pastorale, consiglio degli affari economici. Questo significa essere proprio col popolo. Questa presenza pastorale vi consentirà di conoscere a fondo anche la cultura, le usanze, i costumi del territorio, la ricchezza di santità che vi è presente. Immergersi nel proprio gregge!

c. E qui vorrei aggiungere: lo stile di servizio al gregge sia quello dell’umiltà, direi anche dell'austerità e dell’essenzialità. Per favore, noi Pastori non siamo uomini con la “psicologia da principi” - per favore - uomini ambiziosi, che sono sposi di questa Chiesa, nell’attesa di un'altra più bella o più ricca. Ma questo è uno scandalo!
Se viene un penitente e ti dice: “Io sono sposato, vivo con mia moglie, ma guardo continuamente a quella donna che è più bella della mia: è peccato, Padre?” Il Vangelo dice: è peccato di adulterio. C'è un “adulterio spirituale”? Non so, pensate voi. Non essere nell'attesa di un'altra più bella, più importante, più ricca. State bene attenti di non cadere nello spirito del carrierismo! E' un cancro, quello! Non è solo con la parola, ma anche e soprattutto con la testimonianza concreta di vita che siamo maestri ed educatori del nostro popolo. L'annuncio della fede chiede di conformare la vita a ciò che si insegna. Missione e vita sono inseparabili (cfr Giovanni Paolo II, Pastores gregis, 31). E’ una domanda da farci ogni giorno: ciò che vivo corrisponde a ciò che insegno?

3. Accogliere, camminare. E il terzo e ultimo elemento: rimanere con il gregge. Mi riferisco alla stabilità, che ha due aspetti precisi: “rimanere” nella diocesi, e rimanere in “questa” diocesi, come ho detto, senza cercare cambi o promozioni. Non si può conoscere veramente come pastori il proprio gregge, camminare davanti, in mezzo e dietro ad esso, curarlo con l'insegnamento, l'amministrazione dei Sacramenti e la testimonianza di vita, se non si rimane in diocesi. In questo, Trento è attualissimo: residenza.
Il nostro è un tempo in cui si può viaggiare, muoversi da un punto all'altro con facilità, un tempo in cui i rapporti sono veloci, l’epoca di internet. Ma l’antica legge della residenza non è passata di moda! E’ necessaria per il buon governo pastorale (Direttorio Apostolorum Successores, 161). Certo c’è una sollecitudine per le altre Chiese e per quella universale che possono chiedere di assentarsi dalla diocesi, ma sia per lo stretto tempo necessario e non abitualmente. Vedete, la residenza non è richiesta solo per una buona organizzazione, non è un elemento funzionale; ha una radice teologica! Siete sposi della vostra comunità, legati profondamente ad essa! Vi chiedo, per favore, di rimanere in mezzo al vostro popolo. Rimanere, rimanere… Evitate lo scandalo di essere “Vescovi di aeroporto”! Siate Pastori accoglienti, in cammino con il vostro popolo, con affetto, con misericordia, con dolcezza del tratto e fermezza paterna, con umiltà e discrezione, capaci di guardare anche ai vostri limiti e di avere una dose di buon umorismo. Questa è una grazia che dobbiamo chiedere, noi Vescovi. Tutti noi dobbiamo chiedere questa grazia: Signore, dammi il senso dell'umorismo. Trovare la strada di ridere di se stessi, prima, e un po' delle cose. E rimanete con il vostro gregge!

Cari Confratelli, ritornando nelle vostre diocesi portate il mio saluto a tutti, in particolare ai sacerdoti, ai consacrati e alle consacrate, ai seminaristi, a tutti i fedeli, e a coloro che hanno più bisogno della vicinanza del Signore. La presenza – come ha detto il Cardinale Ouellet – di due Vescovi siriani ci spinge ancora una volta a chiedere insieme a Dio il dono della pace. Pace per la Siria, pace per il Medio Oriente, pace per il mondo! Per favore, ricordatevi di pregare per me; io lo faccio per voi. A ciascuno e alle vostre Comunità di cuore do la mia benedizione. Grazie.




Fraternamente CaterinaLD

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SANTA MESSA E ORDINAZIONE EPISCOPALE DI
MONS. JEAN-MARIE SPEICH E DI MONS. GIAMPIERO GLODER

OMELIA DEL SANTO PADRE FRANCESCO

Basilica Vaticana
Giovedì, 24 ottobre 2013

Video

 





 

L’omelia pronunciata dal Santo Padre è nella sostanza la “Omelia rituale” prevista nell’edizione italiana del Pontificale Romano per l’Ordinazione dei vescovi e che il Papa ha integrato con alcune aggiunte personali.

 * * *

Fratelli e figli carissimi,

riflettiamo attentamente a quale alta responsabilità ecclesiale vengono chiamati questi nostri fratelli. Il Signore nostro Gesù Cristo inviato dal Padre a redimere gli uomini mandò a sua volta nel mondo i dodici apostoli, perché pieni della potenza dello Spirito Santo annunziassero il Vangelo a tutti i popoli e riunendoli sotto un unico pastore, li santificassero e li guidassero alla salvezza.

Al fine di perpetuare di generazione in generazione questo ministero apostolico, i Dodici si aggregarono dei collaboratori trasmettendo loro con l’imposizione delle mani il dono dello Spirito ricevuto da Cristo, che conferiva la pienezza del sacramento dell’Ordine. Così, attraverso l’ininterrotta successione dei vescovi nella tradizione vivente della Chiesa si è conservato questo ministero primario e l’opera del Salvatore continua e si sviluppa fino ai nostri tempi. Nel vescovo circondato dai suoi presbiteri è presente in mezzo a voilo stesso Signore nostro Gesù Cristo, sommo sacerdote in eterno.

E’ Cristo, infatti, che nel ministero del vescovo continua a predicare il Vangelo di salvezza e a santificare i credenti, mediante i sacramenti della fede. E’ Cristo che nella paternità del vescovo accresce di nuove membra il suo corpo, che è la Chiesa. E’ Cristo che nella sapienza e prudenza del vescovo guida il popolo di Dio nel pellegrinaggio terreno fino alla felicità eterna.

Accogliete, dunque, con gioia e gratitudine questi nostri fratelli, che noi vescovi con l’imposizione delle mani oggi associamo al collegio episcopale. Rendete loro l’onore che si deve ai ministridi Cristo e ai dispensatoridei misteri di Dio, ai quali è affidata la testimonianza del Vangelo e il ministero dello Spirito per la santificazione. Ricordatevi delle parole di Gesù agli Apostoli: “Chi ascolta voi, ascolta me; chi disprezza voi, disprezza Me e chi disprezza Me, disprezza Colui che mi ha mandato”.

Quanto a voi, Jean-Marie e Giampiero, eletti dal Signore, riflettete che siete stati scelti fra gli uomini e per gli uomini, siete stati costituiti nelle cose che riguardano Dio. “Episcopato” infatti è il nome di un servizio, non di un onore. Al vescovo compete più il servire che il dominare, secondo il comandamento del Maestro: “Chi è il più grande tra voi, diventi come il più piccolo. E chi governa, come colui che serve”. Sempre in servizio, sempre.

Annunciate la Parola in ogni occasione: opportuna e non opportuna. Ammonite, rimproverate, esortate con ogni magnanimità e dottrina. E mediante l’orazione e l’offerta del sacrificio per il vostro popolo, attingete dalla pienezza della santità di Cristo la multiforme ricchezza della divina grazia. Mediante l’orazione. Ricordate quel primo conflitto nella Chiesa di Gerusalemme, quando i vescovi avevano tanto lavoro per custodire le vedove, gli orfani e hanno deciso di nominare i diaconi. Perché? Per pregare e predicare la Parola. Un vescovo che non prega è un vescovo a metà cammino. E se non prega il Signore, finisce nella mondanità.

Nella Chiesa a voi affidata siate fedeli custodi e dispensatori dei misteri di Cristo, posti dal Padre a capo della sua famiglia seguite sempre l’esempio del Buon Pastore, che conosce le sue pecore, da esse è conosciuto e per esse non ha esitato a dare la vita.

L’amore del vescovo: amate, amate con amore di padre e di fratello tutti coloro che Dio vi affida. Anzitutto, amate i presbiteri e i diaconi. Sono vostri collaboratori, sono i più prossimi dei prossimi, per voi. Mai far aspettare un presbitero; chiede un’udienza? Rispondere subito! Siate vicini a loro. Ma anche amate i poveri, gli indifesi e quanti hanno bisogno di accoglienza e di aiuto. Esortate i fedeli a cooperare all’impegno apostolico e ascoltateli volentieri.

Abbiate viva attenzione a quanti non appartengono all’unico ovile di Cristo, perché essi pure vi sono stati affidati nel Signore. Pregate tanto per loro. Ricordatevi che nella Chiesa cattolica, radunata nel vincolo della carità siete uniti al Collegio dei vescovi e dovete portare in voi la sollecitudine di tutte le Chiese, soccorrendo generosamente quelle che sono più bisognose di aiuto.

E vegliate con amore su tutto il gregge nel quale lo Spirito Santo vi pone a reggere la Chiesa di Dio. Vegliate nel nome del Padre, del quale rendete presente l’immagine; nel nome di Gesù Cristo, suo Figlio, dal quale siete costituiti maestri, sacerdoti e pastori. Nel nome dello Spirito Santo che dà vita alla Chiesa e con la sua potenza sostiene la nostra debolezza. Così sia!





Fraternamente CaterinaLD

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INCONTRO CON I PATRIARCHI DELLE
CHIESE ORIENTALI CATTOLICHE E GLI ARCIVESCOVI MAGGIORI

PAROLE DEL SANTO PADRE FRANCESCO

Sala del Concistoro
Giovedì, 21 novembre 2013

 

Beatitudini,

vi accolgo con gioia e spirito di fraternità in questo incontro, in cui per la prima volta ho l’opportunità di intrattenermi con i Padri e Capi delle Chiese Orientali cattoliche. Attraverso i vostri volti vedo le vostre Chiese, e vorrei anzitutto assicurare la mia vicinanza e la mia preghiera per il gregge che il Signore Gesù ha affidato a ciascuno di voi, e invoco lo Spirito Santo, affinché ci suggerisca quanto insieme dobbiamo imparare e mettere in pratica per servire con fedeltà il Signore, la sua Chiesa e l’umanità intera.

Il nostro radunarci mi offre l’occasione di rinnovare la grande stima per il patrimonio spirituale dell’Oriente cristiano, e richiamo quanto l’amato Benedetto XVI afferma circa la figura del Capo di una Chiesa nell’Esortazione post-sinodale Ecclesia in Medio Oriente: voi siete – cito – «i custodi vigilanti della comunione e i servitori dell’unità ecclesiale» (n. 40). Tale unità, che siete chiamati a realizzare nelle vostre Chiese, rispondendo al dono dello Spirito, trova naturale e piena espressione nell’ «unione indefettibile con il Vescovo di Roma» (ibid.), radicata nella ecclesiastica communio, che avete ricevuto all’indomani della vostra elezione. Essere inseriti nella comunione dell’intero Corpo di Cristo ci rende consapevoli del dovere di rafforzare l’unione e la solidarietà in seno ai vari Sinodi patriarcali, «privilegiando sempre la concertazione su questioni di grande importanza per la Chiesa in vista di un’azione collegiale e unitaria» (ibid.).

Perché la nostra testimonianza sia credibile, siamo chiamati a ricercare sempre «la giustizia, la pietà, la fede, la carità, la pazienza e la mitezza» (ibid.; cfr 1 Tm 6,11); ad uno stile di vita sobrio a immagine di Cristo, che si è spogliato per arricchirci con la sua povertà (cfr 2 Cor 8,9); allo zelo instancabile e a quella carità, fraterna e paterna insieme, che i Vescovi, i presbiteri e i fedeli, specie se vivono soli ed emarginati, attendono da noi. Penso, soprattutto, ai nostri sacerdoti bisognosi di comprensione e sostegno, anche a livello personale. Essi hanno diritto di ricevere il nostro buon esempio nelle cose che riguardano Dio, come in ogni altra attività ecclesiale. Ci chiedono trasparenza nella gestione dei beni e sollecitudine verso ogni debolezza e necessità. Il tutto, nella più convinta applicazione di quella autentica prassi sinodale, che è distintiva delle Chiese d’Oriente.

Con l’aiuto di Dio e della sua Santissima Madre, sappiamo di poter rispondere a questa chiamata. Vi chiedo di pregare per me. Ed ora ben volentieri mi metto in ascolto di quanto vorrete comunicarmi e vi esprimo fin d’ora la mia riconoscenza.

 








DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO
AI PARTECIPANTI ALLA PLENARIA DELLA
CONGREGAZIONE PER LE CHIESE ORIENTALI

Sala Clementina
Giovedì, 21 novembre 2013

 

Cari fratelli e sorelle,

 «Cristo è la luce delle genti»: così esordisce la Costituzione dogmatica sulla Chiesa del Concilio Ecumenico Vaticano II. Da oriente ad occidente tutta la Chiesa rende questa testimonianza al Figlio di Dio; quella Chiesa che, come evidenzia in seguito il medesimo testo conciliare, «è presente in ogni nazione della terra […], infatti, tutti i fedeli sparsi per il mondo sono in comunione nello Spirito Santo» (n. 13). «Così – aggiunge poi, citando san Giovanni Crisostomo – chi sta a Roma sa che gli Indi sono sue membra» (Omelia su Giovanni 65,1: PG 59,361).

La memorabile assise del Vaticano II ebbe anche il merito di ricordare esplicitamente come nelle antiche liturgie delle Chiese Orientali, nella loro teologia, spiritualità e disciplina canonica «risplende la tradizione che deriva dagli apostoli attraverso i padri e che costituisce parte del patrimonio divinamente rivelato e indiviso della Chiesa universale» (Decr. Orientalium Ecclesiarum, 1).

Oggi sono veramente lieto di accogliere i Patriarchi e gli Arcivescovi Maggiori, insieme con i Cardinali, i Metropoliti e i Vescovi membri della Congregazione per le Chiese Orientali. Ringrazio il Cardinale Leonardo Sandri per il saluto che mi ha rivolto e gli sono riconoscente per la collaborazione che ricevo dal Dicastero e da ciascuno di voi.

Questa Sessione Plenaria intende riappropriarsi della grazia del Concilio Vaticano II e del successivo magistero sull’Oriente cristiano. Dalla verifica del cammino compiuto, emergeranno orientamenti atti a sostenere la missione affidata dal Concilio ai fratelli e alle sorelle d’Oriente, quella cioè di «promuovere l’unità di tutti i cristiani, specialmente orientali» (ibid., 24). Lo Spirito Santo le ha guidate in questo compito sui sentieri non facili della storia, alimentandone la fedeltà a Cristo, alla Chiesa universale e al Successore di Pietro, anche a caro prezzo, non raramente fino al martirio. La Chiesa tutta vi è davvero grata per questo!

Ponendomi nel solco tracciato dai miei Predecessori, voglio qui riaffermare che «esistono legittimamente in seno alla comunione della Chiesa, le Chiese particolari, con proprie tradizioni, rimanendo però integro il primato della cattedra di Pietro, la quale presiede alla comunione universale di carità, tutela le varietà legittime e veglia affinché ciò che è particolare, non solo non pregiudichi l’unità, ma piuttosto la serva» (Lumen gentium, 13).

Sì, la varietà autentica, la varietà legittima, quella ispirata dallo Spirito, non danneggia l’unità, ma la serve; il Concilio ci dice che questa varietà è necessaria all’unità!

Stamane ho potuto apprendere dalla viva voce dei Patriarchi e degli Arcivescovi Maggiori la situazione delle diverse Chiese Orientali: la rifiorita vitalità di quelle a lungo oppresse sotto i regimi comunisti; il dinamismo missionario di quelle che si rifanno alla predicazione dell’apostolo Tommaso; la perseveranza di quelle che vivono in Medio Oriente, non di rado nella condizione di “piccolo gregge”, in ambienti segnati da ostilità, conflitti e anche persecuzioni nascoste.

Nella vostra riunione state affrontando varie problematiche riguardanti la vita interna delle Chiese Orientali e la dimensione della diaspora, notevolmente cresciuta in ogni continente. Occorre fare tutto il possibile perché gli auspici conciliari trovino realizzazione, facilitando la cura pastorale sia nei territori propri sia là dove le comunità orientali si sono da tempo stabilite, promuovendo al tempo stesso la comunione e la fraternità con le comunità di rito latino. A ciò potrà giovare una rinnovata vitalità da imprimere agli organismi di consultazione già esistenti tra le singole Chiese e con la Santa Sede.

Il mio pensiero si rivolge in modo speciale alla terra benedetta in cui Cristo è vissuto, morto e risorto. In essa – l’ho avvertito anche oggi dalla voce dei Patriarchi presenti – la luce della fede non si è spenta, anzi risplende vivace. E’ «la luce dell’Oriente» che «ha illuminato la Chiesa universale, sin da quando è apparso su di noi un sole che sorge (Lc 1,78), Gesù Cristo, nostro Signore» (Lett. ap. Orientale Lumen, 1). Ogni cattolico ha perciò un debito di riconoscenza verso le Chiese che vivono in quella regione. Da esse possiamo, fra l’altro, imparare la fatica dell’esercizio quotidiano di spirito ecumenico e dialogo interreligioso. Il contesto geografico, storico e culturale in cui esse vivono da secoli, infatti, le ha rese interlocutori naturali di numerose altre confessioni cristiane e di altre religioni.

Grande preoccupazione destano le condizioni di vita dei cristiani, che in molte parti del Medio Oriente subiscono in maniera particolarmente pesante le conseguenze delle tensioni e dei conflitti in atto. La Siria, l’Iraq, l’Egitto, e altre aree della Terra Santa, talora grondano lacrime. Il Vescovo di Roma non si darà pace finché vi saranno uomini e donne, di qualsiasi religione, colpiti nella loro dignità, privati del necessario alla sopravvivenza, derubati del futuro, costretti alla condizione di profughi e rifugiati. Oggi, insieme ai Pastori delle Chiese d’Oriente, facciamo appello a che sia rispettato il diritto di tutti ad una vita dignitosa e a professare liberamente la propria fede. Non ci rassegniamo a pensare il Medio Oriente senza i cristiani, che da duemila anni vi confessano il nome di Gesù, inseriti quali cittadini a pieno titolo nella vita sociale, culturale e religiosa delle nazioni a cui appartengono.

Il dolore dei più piccoli e dei più deboli, col silenzio delle vittime, pongono una domanda insistente: «Quanto resta della notte?» (Is 21,11). Continuiamo a vigilare, come la sentinella biblica, sicuri che il Signore non ci farà mancare il suo aiuto. Mi rivolgo, perciò, a tutta la Chiesa per esortare alla preghiera, che sa ottenere dal cuore misericordioso di Dio la riconciliazione e la pace. La preghiera disarma l’insipienza e genera dialogo là dove il conflitto è aperto. Se sarà sincera e perseverante, renderà la nostra voce mite e ferma, capace di farsi ascoltare anche dai Responsabili delle Nazioni.

Il mio pensiero va infine a Gerusalemme, là dove tutti siamo spiritualmente nati (cfr Sal 87,4). Le auguro ogni consolazione perché possa essere veramente profezia di quella convocazione definitiva, da oriente a occidente, disposta da Dio (cfr Is 43,5). I beati Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II, instancabili operatori di pace sulla terra, siano nostri intercessori in cielo, con la Tuttasanta Madre di Dio, che ci ha dato il Principe della Pace. Su ciascuno di voi e sulle amate Chiese Orientali invoco la Benedizione del Signore.







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Il Papa ai vescovi olandesi: su famiglia, matrimonio, fine vita, siate presenti nel dibattito pubblico



La Chiesa e i fedeli in Olanda siano "presenti nel dibattito pubblico", in tutti gli ambiti "nei quali è in causa l’uomo": in una società fortemente secolarizzata, potranno così portare il loro contributo nelle "grandi questioni sociali riguardanti per esempio la famiglia, il matrimonio, la fine della vita". Così Papa Francesco nel discorso che ha consegnato ai vescovi olandesi, in visita ad Limina, in cui ha pure espresso la propria compassione e la propria preghiera per le vittime di abusi sessuali. Il servizio di Giada AquilinoRealAudioMP3 

In una società fortemente segnata dalla secolarizzazione e in “circostanze spesso ardue”, non è facile conservare la speranza. Ma il compito della Chiesa è quello del “bene umano” e dello “sviluppo sociale”. Lo ha ricordato il Papa nel discorso ai vescovi dei Paesi Bassi. Per i cristiani, ha proseguito, l’educazione delle coscienze diventa allora “prioritaria”, “specialmente mediante la formazione del giudizio critico, pur avendo un approccio positivo sulle realtà sociali: si eviterà così la superficialità dei giudizi e la rassegnazione all’indifferenza”. 

L’invito del Pontefice è dunque quello ad “essere presenti nel dibattito pubblico”, in tutti gli ambiti “nei quali è in causa l’uomo, per rendere visibile la misericordia di Dio, la sua tenerezza per ogni creatura”. D’altra parte, ha aggiunto, “la Chiesa si espande non per proselitismo, ma per attrazione”. Essa è quindi “inviata dappertutto per svegliare, risvegliare, mantenere la speranza”. I fedeli d’Olanda vanno perciò incoraggiati “a cogliere le occasioni di dialogo, rendendosi presenti nei luoghi in cui si decide il futuro”: in tal modo potranno “portare il loro contributo nei dibattiti sulle grandi questioni sociali riguardanti per esempio la famiglia, il matrimonio, la fine della vita”.

Affinché la Chiesa “con pazienza materna” prosegua gli sforzi “per rispondere alle inquietudini di tanti uomini e donne che sperimentano l’angoscia e lo scoraggiamento davanti al futuro”, è necessario - ha proseguito il Santo Padre - che “cattolici, sacerdoti, persone consacrate, laici acquisiscano una formazione solida e di qualità”, proponendo la fede in “maniera autentica, comprensibile e pastorale”. “L’antropologia cristiana e la dottrina sociale della Chiesa - ha aggiunto il Papa - fanno parte del patrimonio di esperienza e di umanità su cui si fonda la civiltà europea ed esse possono aiutare a riaffermare concretamente il primato dell’uomo sulla tecnica e sulle strutture”: e questo primato “presuppone l’apertura alla trascendenza”. Se questa dimensione viene a mancare, “una cultura si impoverisce, mentre essa dovrebbe mostrare la possibilità di collegare in costante armonia fede e ragione, verità e libertà”.

In un Paese ricco “sotto tanti aspetti”, ha notato il Pontefice, la povertà tocca un numero crescente di persone: “valorizzate la generosità dei fedeli – ha esortato Papa Francesco - per portare la luce e la compassione di Cristo nei luoghi dove l’aspettano e in particolare alle persone più emarginate”. Un pensiero speciale è andato poi al futuro della Chiesa: “è urgente suscitare una pastorale vocazionale vigorosa e attraente”, come pure la “riscoperta della preghiera”. Un ruolo particolare spetta ai laici, che “vanno fortemente sostenuti”. Come pure alla scuola cattolica, che “continuerà a favorire la formazione umana e spirituale, col dialogo e la fraternità. Di qui pure la “necessità di avanzare sulla via dell’ecumenismo” e un invito all’accoglienza, andando incontro anche “a quelli che non si avvicinano”. 

Infine il Papa ha espresso la propria “compassione” e ha assicurato la propria preghiera per ciascuna delle “persone vittime di abusi sessuali” e per le loro famiglie. “Vi chiedo - ha concluso - di continuare a sostenerle nel loro doloroso cammino di guarigione, intrapreso con coraggio”, nella prospettiva “di difendere e far crescere l’unità in tutto e tra tutti”.






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LUCI DI SPERANZA nella Chiesa austriaca in visita dal Papa, finalmente si sentono discorsi seri....


2014-01-30 Radio Vaticana

Una Chiesa dal volto anziano e che tende a “spopolarsi”. Ma anche una Chiesa che trae nuova linfa vitale dai Movimenti ecclesiali, richiamando un buon numero di giovani. Sono i volti della Chiesa in Austria, i cui vescovi sono stati ricevuti oggi insieme da Papa Francesco, al termine della loro visita ad LiminaMons. Klaus Küng, vescovo di St. Pölten, spiega nell’intervista di Stefano Leszczynski, come soprattutto la pastorale familiare sia, anche in vista del Sinodo di ottobre, un punto di partenza per rilanciare la vita ecclesiale austriaca:

R. – La pastorale familiare è diventata molto più difficile, anche per la diminuzione della pratica della fede. Un 95% di quelli che partecipano alla preparazione matrimoniale, già convivono e a volte hanno anche figli. Quindi, sono battezzati, ma non evangelizzati, si può dire… Allo stesso tempo, bisogna però rendersi conto che esiste un buon numero di famiglie giovani che si sforzano veramente di realizzare una vita cristiana seria. E queste danno speranza.

D. – E’ una situazione difficile: le sfide pastorali sono tante, però potrebbe anche essere una buona occasione per rilanciare e interrogarsi in maniera nuova su come è cambiata la società…

R. – E’ vero. E’ interessante vedere come adesso la grande maggioranza della popolazione, soprattutto i giovani, abbiano il desiderio di avere una famiglia – si potrebbe dire, anche se non mi piace questa espressione – “tradizionale”. Vogliono una famiglia, composta da un uomo o una donna, per tutta la vita. E’ un’occasione per la Chiesa – e penso sia anche un’urgenza grande – di annunciare il Vangelo sulla vita e sulla famiglia. Per avere una vita felice è necessario l’amore e questo senza famiglia, a lungo andare, non è possibile!

D. – Come si stanno preparando le comunità locali a vivere il prossimo Sinodo per la famiglia?

R. – Lo scopo del questionario preparatorio non è quello di cambiare la dottrina della Chiesa, ma vedere se questa dottrina della Chiesa sia conosciuta e come sia accettata.
Si vede che molta gente non conosce bene quello che dice la Chiesa. Per incarico della Conferenza episcopale, ho inviato i questionari anche ai Movimenti. Si vede che è possibile vivere quello che insegna la Chiesa: c’è un numero molto attivo di famiglie che vedono come una missione importante mostrare anche agli altri il cammino che insegna nostro Signore.

D. – A questo punto, in che modo la Chiesa austriaca e il Pontificio Consiglio per la Famiglia potrebbero trovare un modo di collaborare per promuovere la famiglia?

R. – Io penso che uno dei compiti importanti del Consiglio e anche della Conferenza episcopale sia proprio quello di fare un buon networking, facendo conoscere le esperienze positive che ci sono in molti Paesi, da noi come anche in Italia, negli Stati Uniti, in Francia… C’è la necessità di essere creativi: nelle diocesi, la famiglia deve essere il soggetto dell’annuncio del Vangelo.




Essere Chiesa non è gestire, ma uscire per portare il Vangelo al mondo: così il Papa ai vescovi austriaci



Essere Chiesa non significa gestire, ma uscire per portare agli uomini la gioia del Vangelo: è quanto afferma Papa Francesco nel discorso ai vescovi della Conferenza episcopale dell’Austria in visita “ad Limina”, incontrati ieri in Vaticano, 30 gennaio. Il testo, non pronunciato ma fatto avere ai presuli, è stato pubblicato oggi. Il servizio di Sergio Centofanti:

Un “incontro intenso” ha definito Papa Francesco il suo colloquio con i vescovi austriaci. Il Pontefice ricorda gli anni “segnati da una simpatia da parte degli austriaci per la Chiesa e il Successore di Pietro”, come si è visto nella “cordiale accoglienza” di Benedetto XVI in occasione della sua visita in Austria nel 2007. “E’ seguita poi – osserva il Papa - una fase difficile per la Chiesa, di cui è sintomo, tra l’altro, la tendenza al calo della quota dei cattolici rispetto alla popolazione totale in Austria, che ha varie cause e che continua ormai da più decenni. Tale evoluzione – è l’esortazione di Papa Francesco - non deve trovarci inerti, anzi, deve incentivare i nostri sforzi per la nuova evangelizzazione che è sempre necessaria”. 

D’altra parte – sottolinea nel suo discorso il Papa – “si nota un aumento della disponibilità alla solidarietà, la Caritas e altre opere di aiuto ricevono generose donazioni”. Motivo di ringraziamento a Dio “per quanto la Chiesa in Austria opera per la salvezza dei fedeli e per il bene di tante persone”. “Ma non dobbiamo soltanto amministrare ciò che abbiamo ottenuto e che è a disposizione – prosegue il testo - il campo di Dio deve essere lavorato e coltivato continuamente affinché porti frutto anche in futuro. Essere Chiesa non significa gestire, ma uscire, essere missionari, portare agli uomini la luce della fede e la gioia del Vangelo. Non dimentichiamo che l’impulso del nostro impegno di cristiani nel mondo non è l’idea di una filantropia, di un vago umanesimo, ma un dono di Dio, cioè il regalo della figliolanza divina che abbiamo ricevuto nel Battesimo. E questo dono è allo stesso tempo un compito. I figli di Dio non si nascondono, portano piuttosto la gioia della loro figliolanza divina al mondo”.   

“Ciò significa – rileva il Papa - anche impegnarsi a condurre una vita santa”, non rassegnandosi mai al peccato, nella consapevolezza che “la santa Chiesa ha sempre bisogno di purificazione”. Di qui, l’invito a riscoprire il “meraviglioso Sacramento” della Riconciliazione, “luogo in cui sperimentiamo l’amore misericordioso di Dio e dove incontriamo Cristo, il quale ci dà la forza per la conversione e per la nuova vita”. 

Il Papa indica poi nella famiglia il “cuore della Chiesa evangelizzatrice”. “Purtroppo, nel nostro tempo – è la sua considerazione - vediamo che la famiglia e il matrimonio, nei paesi del mondo occidentale, subiscono una crisi interiore profonda”. “La globalizzazione e l’individualismo postmoderno favoriscono uno stile di vita che rende molto più difficile lo sviluppo e la stabilità dei legami tra le persone e non è favorevole per promuovere una cultura della famiglia. Qui si apre un nuovo campo missionario per la Chiesa, ad esempio nei gruppi di famiglie dove si crea spazio per le relazioni interpersonali e con Dio, dove può crescere una comunione autentica che accoglie ciascuno allo stesso modo e non si rinchiude in gruppi di élite, che sana le ferite, costruisce ponti, va in cerca dei lontani e aiuta «a portare i pesi gli uni degli altri» (Gal 6,2)”. “La sollecitudine della Chiesa per la famiglia – osserva ancora - incomincia da una buona preparazione e un adeguato accompagnamento degli sposi, nonché dall’esposizione fedele e chiara della dottrina della Chiesa sul matrimonio e sulla famiglia”.   

Parlando poi della parrocchia, ribadisce che “è sempre il parroco a guidare la comunità parrocchiale, contando allo stesso tempo sull’aiuto e sul contributo valido dei vari collaboratori e di tutti i fedeli laici. Non dobbiamo correre il rischio di offuscare il ministero sacramentale del sacerdote. Nelle nostre città e nei nostri villaggi vi sono uomini coraggiosi e altri timidi, vi sono cristiani missionari e altri addormentati. E vi sono i molti che sono in ricerca, anche se non lo ammettono”. In questo contesto, il Papa ricorda che “portare agli uomini il messaggio dell’amore di Dio e della salvezza in Gesù Cristo agli uomini è compito di ogni battezzato”. E conclude: “Proprio nel nostro tempo, in cui sembriamo diventare il «piccolo gregge» (Lc 12,32), siamo chiamati, da discepoli del Signore, a vivere come una comunità che è sale della terra e luce del mondo (cfr Mt 5,13-16)”.




Testo proveniente dalla pagina http://it.radiovaticana.va/news/2014/01/31/essere_chiesa_non_%C3%A8_gestire,_ma_uscire_per_portare_il_vangelo_al/it1-769000 
del sito Radio Vaticana 




DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO
AI PRESULI DELLA CONFERENZA EPISCOPALE AUSTRIACA 
IN VISITA "AD LIMINA APOSTOLORUM"

Giovedì, 30 gennaio 2014

 

Cari Confratelli,

sono lieto perché questo incontro intenso con voi, nel contesto della vostra Visita ad Limina, mi fa dono di alcuni frutti della Chiesa in Austria e permette anche a me di donare qualcosa a questa Chiesa. Ringrazio il vostro Presidente Cardinale Schönborn per le cortesi parole, le quali mi assicurano che stiamo continuando insieme il cammino dell’annuncio della salvezza di Cristo. Ciascuno di noi rappresenta Cristo, l’unico mediatore della salvezza, e rende accessibile e percepibile alla comunità la sua azione sacerdotale, aiutando in questo modo a rendere sempre presente l’amore di Dio nel mondo.

Otto anni or sono, la Conferenza Episcopale Austriaca, in occasione della Visita ad Limina, è venuta in pellegrinaggio alle tombe degli Apostoli Pietro e Paolo e si è incontrata con la Curia Romana per consultarsi. In tale circostanza la maggior parte di voi ha anche incontrato il mio venerato Predecessore Benedetto XVI, che a quel tempo era in carica solo da pochi mesi. Gli anni immediatamente successivi sono stati segnati da una simpatia da parte degli austriaci per la Chiesa e il Successore di Pietro. Ciò si è visto, ad esempio, nella cordiale accoglienza, nonostante l’inclemenza del tempo, da parte della popolazione durante la Visita Papale in occasione dell’850° anniversario del Santuario di Mariazell, nel 2007. E’ seguita poi una fase difficile per la Chiesa, di cui è sintomo, tra l’altro, la tendenza al calo della quota dei cattolici rispetto alla popolazione totale in Austria, che ha varie cause e che continua ormai da più decenni. Tale evoluzione non deve trovarci inerti, anzi, deve incentivare i nostri sforzi per la nuova evangelizzazione che è sempre necessaria. D’altra parte si nota un aumento della disponibilità alla solidarietà, la Caritas e altre opere di aiuto ricevono generose donazioni. Anche il contributo delle istituzioni ecclesiastiche nei campi dell’educazione e della sanità è molto apprezzato da tutti e costituisce una parte imprescindibile della società austriaca.

Possiamo ringraziare Dio per quanto la Chiesa in Austria opera per la salvezza dei fedeli e per il bene di tante persone, e io stesso vorrei esprimere la mia gratitudine a ciascuno di voi e attraverso voi ai sacerdoti, ai diaconi, ai religiosi, alle religiose e ai laici impegnati che lavorano con disponibilità e generosità nella vigna del Signore. Ma non dobbiamo soltanto amministrare ciò che abbiamo ottenuto e che è a disposizione, il campo di Dio deve essere lavorato e coltivato continuamente affinché porti frutto anche in futuro. Essere Chiesa non significa gestire, ma uscire, essere missionari, portare agli uomini la luce della fede e la gioia del Vangelo. Non dimentichiamo che l’impulso del nostro impegno di cristiani nel mondo non è l’idea di una filantropia, di un vago umanesimo, ma un dono di Dio, cioè il regalo della figliolanza divina che abbiamo ricevuto nel Battesimo. E questo dono è allo stesso tempo un compito. I figli di Dio non si nascondono, portano piuttosto la gioia della loro figliolanza divina al mondo. E ciò significa anche impegnarsi a condurre una vita santa.

Questo, inoltre, è doveroso per noi nei riguardi della Chiesa, che è santa, come la professiamo nelCredo. Certamente, «la Chiesa comprende nel suo seno i peccatori», come ha affermato il Concilio Vaticano II (Lumen gentium, 8). Ma il Concilio dice, in questo stesso passo, che non dobbiamo rassegnarci al peccato, cioè che «Ecclesia sancta simul et semper purificanda» - la santa Chiesa ha sempre bisogno di purificazione. E ciò significa che noi dobbiamo essere sempre impegnati per la nostra purificazione, nel Sacramento della Riconciliazione. La Confessione è il luogo in cui sperimentiamo l’amore misericordioso di Dio e dove incontriamo Cristo, il quale ci dà la forza per la conversione e per la nuova vita. E come pastori della Chiesa vogliamo assistere i fedeli, con tenerezza e comprensione, nel riscoprire questo meraviglioso Sacramento e far sperimentare loro proprio in questo dono l’amore del Buon Pastore. Vi prego, quindi, di non stancarvi di invitare gli uomini all’incontro con Cristo nel Sacramento della Penitenza e della Riconciliazione.

Un campo importante del nostro operare da pastori è la famiglia. Essa si colloca al cuore della Chiesa evangelizzatrice. «La famiglia cristiana, infatti, è la prima comunità chiamata ad annunciare il Vangelo alla persona umana in crescita e a portarla, attraverso una progressiva educazione e catechesi, alla piena maturità umana e cristiana» (Familiaris consortio, 2). Il fondamento su cui si può sviluppare una vita familiare armoniosa, è soprattutto la fedeltà matrimoniale. Purtroppo, nel nostro tempo vediamo che la famiglia e il matrimonio, nei paesi del mondo occidentale, subiscono una crisi interiore profonda. «Nel caso della famiglia, la fragilità dei legami diventa particolarmente grave perché si tratta della cellula fondamentale della società, del luogo dove si impara a convivere nella differenza e ad appartenere ad altri e dove i genitori trasmettono la fede ai figli» (Evangelii gaudium, 66). La globalizzazione e l’individualismo postmoderno favoriscono uno stile di vita che rende molto più difficile lo sviluppo e la stabilità dei legami tra le persone e non è favorevole per promuovere una cultura della famiglia. Qui si apre un nuovo campo missionario per la Chiesa, ad esempio nei gruppi di famiglie dove si crea spazio per le relazioni interpersonali e con Dio, dove può crescere una comunione autentica che accoglie ciascuno allo stesso modo e non si rinchiude in gruppi di élite, che sana le ferite, costruisce ponti, va in cerca dei lontani e aiuta «a portare i pesi gli uni degli altri» (Gal 6,2).

La famiglia è, quindi, un luogo privilegiato per l’evangelizzazione e per la trasmissione vitale della fede. Facciamo tutto il possibile affinché nelle nostre famiglie si preghi e venga sperimentata e trasmessa la fede come parte integrante della vita quotidiana. La sollecitudine della Chiesa per la famiglia incomincia da una buona preparazione e un adeguato accompagnamento degli sposi, nonché dall’esposizione fedele e chiara della dottrina della Chiesa sul matrimonio e sulla famiglia. Il matrimonio come sacramento è dono di Dio e al tempo stesso impegno. L’amore di due sposi è santificato da Cristo, e i coniugi sono chiamati a testimoniare e coltivare questa santità attraverso la loro fedeltà l’uno verso l’altro.

Dalla famiglia, chiesa domestica, passiamo brevemente alla parrocchia, al grande campo che il Signore ci ha affidato per renderlo fecondo con il lavoro pastorale. I sacerdoti, i parroci dovrebbero rendersi sempre consapevoli che il loro compito di governare è un servizio profondamente spirituale. È sempre il parroco a guidare la comunità parrocchiale, contando allo stesso tempo sull’aiuto e sul contributo valido dei vari collaboratori e di tutti i fedeli laici. Non dobbiamo correre il rischio di offuscare il ministero sacramentale del sacerdote. Nelle nostre città e nei nostri villaggi vi sono uomini coraggiosi e altri timidi, vi sono cristiani missionari e altri addormentati. E vi sono i molti che sono in ricerca, anche se non lo ammettono. Ognuno è chiamato, ognuno è inviato. Non è detto però che il luogo della chiamata sia solo il centro parrocchiale; non è detto che il momento sia necessariamente un piacevole evento parrocchiale, ma la chiamata di Dio ci può raggiungere nella catena di montaggio e in ufficio, nel supermercato, nella tromba delle scale, cioè nei luoghi della vita quotidiana.

Parlare di Dio, portare agli uomini il messaggio dell’amore di Dio e della salvezza in Gesù Cristo agli uomini è compito di ogni battezzato. E tale compito comprende non solo il parlare con parole, ma tutto l’agire e il fare. Tutto il nostro essere deve parlare di Dio, perfino nelle cose ordinarie. Così la nostra testimonianza è autentica, così sarà anche sempre nuova e fresca nella forza dello Spirito Santo. Affinché questo riesca, il parlare di Dio deve prima di tutto essere un parlare con Dio, un incontro con il Dio vivente nella preghiera e nei Sacramenti. Dio non soltanto si lascia trovare, ma anche si mette in moto nel suo amore per andare incontro a chi lo cerca. Colui che si affida all’amore di Dio, sa aprire i cuori degli altri all’amore divino per mostrare loro che la vita in pienezza si realizza solo in comunione con Dio. Proprio nel nostro tempo, in cui sembriamo diventare il «piccolo gregge» (Lc 12,32), siamo chiamati, da discepoli del Signore, a vivere come una comunità che è sale della terra e luce del mondo (cfr Mt 5,13-16).

La Santa Vergine Maria, che è nostra madre e che voi venerate in modo particolare come Magna Mater Austriae, ci aiuti ad aprirci, come lei, totalmente al Signore e così ad essere capaci di mostrare agli altri la via verso il Dio vivente che dona la vita.






[Modificato da Caterina63 31/01/2014 12:33]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO
AI PRESULI DELLA CONFERENZA EPISCOPALE DI BULGARIA 
IN VISITA "AD LIMINA APOSTOLORUM"

Giovedì, 13 febbraio 2014


 

Cari Fratelli nell’Episcopato!

Vi accolgo con gioia in occasione della Visita ad limina Apostolorum, e nelle vostre persone vedo e onoro la fede e la carità del popolo fedele che vive in Bulgaria.

Grazie a Dio e all’impegno corale delle varie componenti ecclesiali, Vescovi e sacerdoti, religiosi, catechisti e fedeli laici, si assiste ad un risveglio di attività e di iniziative che dimostrano la vitalità della fede cattolica nel vostro Paese. Mi riferisco in particolare ad alcuni eventi che la Chiesa in Bulgaria ha promosso nel corso degli ultimi anni: il Giubileo indetto nel 2010 dall’Esarcato Apostolico per i cattolici di rito bizantino-slavo per celebrare il 150° Anniversario dell’Unione con la Sede Apostolica di Roma; il Convegno scientifico-commemorativo sull’operato dell’Arcivescovo Angelo Giuseppe Roncalli, Visitatore e Delegato Apostolico in Bulgaria negli anni 1925-34; le celebrazioni del 60° anniversario del martirio del beato Vescovo passionista Evgenij Bossilkov. Inoltre, durante il recente Anno della Fede, hanno avuto luogo altri momenti significativi, quali l’Incontro nazionale dei cattolici di Bulgaria, la Giornata nazionale dei giovani e un Convegno di studio sul Concilio Vaticano II.

Queste iniziative confermano che le comunità cattoliche, appartenenti sia alla Chiesa latina che a quella greco-cattolica, pur essendo sotto il profilo numerico una minoranza nel Paese, portano avanti con impegno la loro missione di testimonianza sia dei valori morali naturali, sia del Vangelo di Cristo, in una società segnata dai tanti vuoti spirituali lasciati dietro di sé dal passato regime ateo o dalla ricezione acritica di modelli culturali in cui prevalgono le suggestioni di un certo materialismo pratico. Vi esorto a camminare con coraggio su questa strada, cercando di attuare anche nel vostro Paese quella trasformazione missionaria che la Chiesa è chiamata a realizzare nel mondo intero. Questo richiede una conversione spirituale e pastorale, che comincia dalla presa di coscienza che, in forza del Battesimo, siamo tutti discepoli missionari, inviati dal Signore ad evangelizzare con gioia e con spirito, valorizzando anche il prezioso tesoro della pietà popolare. Tale rinnovato impegno missionario possiede anche una dimensione sociale, che ha come punto di riferimento la dottrina sociale della Chiesa e le cui priorità sono l’inclusione sociale dei poveri e l’impegno per il bene comune e la pace sociale.

È molto significativo, al riguardo, che le Istituzioni civili riconoscano il ruolo della Santa Sede quale autorità spirituale e morale in seno alla comunità internazionale e valutino in modo positivo la presenza della Chiesa Cattolica nella compagine della nazione bulgara e il contributo che essa offre al servizio del bene comune e del progresso del Paese.

Le tante coraggiose testimonianze di fedeltà a Cristo e alla Chiesa rese in periodi drammatici e il cammino intrapreso in questi due decenni di recuperata libertà, vi colmino di gratitudine verso il Signore e vi infondano fiducia nella sua provvidente azione nella storia. Al tempo stesso, vi esorto ad un rinnovato e concorde impegno nella formazione dei fedeli, promuovendo tanto un’adeguata catechesi, quanto una particolare cura nei confronti della pastorale giovanile e vocazionale, come pure della fraternità sacerdotale, in modo che siano favorite le condizioni per la maturazione della fede e per l’apertura generosa verso un orizzonte missionario.

Le vostre comunità, cari Fratelli, vivono ed operano a fianco di quelle della Chiesa Ortodossa bulgara. Vi chiedo, pertanto, di portare il mio cordiale saluto al Patriarca Neofit, del quale ricorre tra pochi giorni il 1° anniversario dell’elezione canonica, e vi invito caldamente a proseguire negli sforzi per promuovere un dialogo sempre più intenso e fraterno con la Chiesa Ortodossa. Nel comune e orante ascolto della Parola di Dio, auspico che si aprano i cuori e le menti di tutti affinché diventi sempre più concreta la speranza di giungere a celebrare uniti il Sacrificio eucaristico, memori della Parola di Nostro Signore, che alla vigilia della sua morte pregò il Padre perché tutti i suoi discepoli «siano perfetti nell’unità e il mondo conosca che tu mi hai mandato» (Gv 17,23).

Il prossimo 27 aprile si terrà a Roma la canonizzazione dei beati Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II. Mi rallegro che tanto la Diocesi di Sofia e Plovdiv, quanto quella di Nicopoli e l’Esarcato Apostolico per i cattolici di rito bizantino-slavo saranno presenti alla solenne celebrazione con qualificate delegazioni. È questo un segno eloquente di quanto abbia inciso nell’anima e nella vita della Comunità cattolica bulgara la testimonianza del primo Papa slavo, in particolare la sua visita che egli compì nella vostra Patria nel maggio del 2002; ed è segno ugualmente di quanto sia vivo il ricordo lasciato dall’Arcivescovo Angelo Giuseppe Roncalli nei nove anni durante i quali operò in Bulgaria come Delegato Apostolico. Egli, al momento di congedarsi dal Paese, ebbe ad esprimersi in questi termini: «In qualunque luogo del mondo mi accada di vivere, se alcuno di Bulgaria avrà a passare presso casa mia, durante la notte, fra le difficoltà della vita, troverà sempre la lampada accesa. Batta, batta, non gli sarà chiesto se è cattolico o ortodosso: fratello di Bulgaria!, basta, entri, due braccia fraterne, un cuore caldo di amico lo accoglieranno a festa» (Omelia di Natale, 25 dicembre 1934). Sono parole che rivelano l’affetto del Delegato Apostolico Mons. Roncalli per il popolo bulgaro, che nel mezzo delle vicissitudini della storia ha mantenuto viva la fiamma della fede in Cristo.

Cari Fratelli, affido alla Santissima Vergine Maria, Madre della Chiesa, ai santi Cirillo e Metodio, evangelizzatori dei popoli slavi, e al beato Vescovo e Martire Evgenij Bossilkov, le vostre speranze e le vostre preoccupazioni, il cammino delle vostre Chiese e lo sviluppo della vostra Patria terrena, ed invoco la benedizione del Signore su di voi, sui sacerdoti, i religiosi, le religiose e i fedeli della cara nazione bulgara.










Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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27/02/2014 16:09
 
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DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO
ALLA RIUNIONE DELLA CONGREGAZIONE PER I VESCOVI

Sala Bologna
Giovedì, 27 febbraio 2014


 

1. L’essenziale nella missione della Congregazione

Nella celebrazione dell’Ordinazione di un Vescovo, la Chiesa riunita, dopo l’invocazione dello Spirito Santo, chiede che sia ordinato il candidato presentato. Chi presiede allora domanda: «Avete il mandato?». Risuona in tale domanda quanto fece il Signore: «Chiamò a sé i Dodici e prese a mandarli a due a due…» (Mc 6,7). In fondo, la domanda si potrebbe esprimere anche così: “Siete certi che il suo nome è stato pronunciato dal Signore? Siete certi che sia stato il Signore ad annoverarlo tra i chiamati per stare con Lui in maniera singolare e per affidargli la missione che non è sua, ma è stata al Signore affidata dal Padre?”.

Questa Congregazione esiste per aiutare a scrivere tale mandato, che poi risuonerà in tante Chiese e porterà gioia e speranza al Popolo Santo di Dio. Questa Congregazione esiste per assicurarsi che il nome di chi è scelto sia stato prima di tutto pronunciato dal Signore. Ecco la grande missione affidata alla Congregazione per i Vescovi, il suo compito più impegnativo: identificare coloro che lo stesso Spirito Santo pone alla guida della sua Chiesa.

Dalle labbra della Chiesa si raccoglierà in ogni tempo e in ogni luogo la domanda: dacci un Vescovo! Il Popolo santo di Dio continua a parlare: abbiamo bisogno di uno che ci sorvegli dall’alto; abbiamo bisogno di uno che ci guardi con l’ampiezza del cuore di Dio; non ci serve un manager, un amministratore delegato di un’azienda, e nemmeno uno che stia al livello delle nostre pochezze o piccole pretese. Ci serve uno che sappia alzarsi all’altezza dello sguardo di Dio su di noi per guidarci verso di Lui. Solo nello sguardo di Dio c’è il futuro per noi. Abbiamo bisogno di chi, conoscendo l’ampiezza del campo di Dio più del proprio stretto giardino, ci garantisca che ciò a cui aspirano i nostri cuori non è una promessa vana.

La gente percorre faticosamente la pianura del quotidiano, e ha bisogno di essere guidata da chi è capace di vedere le cose dall’alto. Perciò non dobbiamo perdere mai di vista le necessità delle Chiese particolari a cui dobbiamo provvedere. Non esiste un Pastore standard per tutte le Chiese. Cristo conosce la singolarità del Pastore che ogni Chiesa richiede perché risponda ai suoi bisogni e la aiuti a realizzare le sue potenzialità. La nostra sfida è entrare nella prospettiva di Cristo, tenendo conto di questa singolarità delle Chiese particolari.

2. L’orizzonte di Dio determina la missione della Congregazione

Per scegliere tali ministri abbiamo bisogno tutti noi di elevarci, di salire anche noi al “piano superiore”. Non possiamo fare a meno di salire, non possiamo accontentarci delle misure basse. Dobbiamo alzarci oltre e sopra le nostre eventuali preferenze, simpatie, appartenenze o tendenze per entrare nell’ampiezza dell’orizzonte di Dio e per trovare questi portatori del suo sguardo dall’alto. Non uomini condizionati dalla paura dal basso, ma Pastori dotati di parresia, capaci di assicurare che nel mondo c’è un sacramento di unità (Cost. Lumen gentium, 1) e perciò l’umanità non è destinata allo sbando e allo smarrimento.

È questo grande obiettivo, delineato dallo Spirito, che determina il modo con cui si svolge questo compito generoso e impegnativo, per il quale io sono immensamente grato a ognuno di voi, cominciando dal Cardinale Prefetto Marc Ouellet e abbracciando tutti voi, Cardinali, Arcivescovi e Vescovi Membri. Una speciale parola di riconoscimento, per la generosità del loro lavoro, vorrei rivolgere agli Officiali del Dicastero, che silenziosamente e pazientemente contribuiscono al buon esito del servizio di provvedere alla Chiesa con i Pastori di cui ha bisogno.

Nel firmare la nomina di ogni Vescovo vorrei poter toccare l’autorevolezza del vostro discernimento e la grandezza di orizzonti con la quale matura il vostro consiglio. Perciò, lo spirito che presiede i vostri lavori, dal compito arduo degli Officiali fino al discernimento dei Superiori e Membri della Congregazione, non potrà essere altro che quell’umile, silenzioso e laborioso processo svolto sotto la luce che viene dall’alto. Professionalità, servizio e santità di vita: se ci discostiamo da questo trinomio decadiamo dalla grandezza cui siamo chiamati.

3. La Chiesa Apostolica come fonte

Dove trovare allora questa luce? L’altezza della Chiesa si trova sempre negli abissi profondi delle sue fondamenta. Nella Chiesa Apostolica c’è quello che è alto e profondo. Il domani della Chiesa abita sempre nelle sue origini.

Pertanto, vi invito a fare memoria e “visitare” la Chiesa Apostolica per cercare lì alcuni criteri. Sappiamo che il Collegio Episcopale, nel quale mediante il Sacramento saranno inseriti i Vescovi, succede al Collegio Apostolico. Il mondo ha bisogno di sapere che c’è questa Successione ininterrotta. Almeno nella Chiesa, tale legame con l’arché divina non si è spezzato. Le persone già conoscono con sofferenza l’esperienza di tante rotture: hanno bisogno di trovare nella Chiesa quel permanere indelebile della grazia del principio.

4. Il Vescovo come testimone del Risorto

Esaminiamo pertanto il momento in cui la Chiesa Apostolica deve ricomporre il Collegio dei Dodici dopo il tradimento di Giuda. Senza i Dodici non può scendere la pienezza dello Spirito. Il successore va cercato tra chi ha seguito fin dagli inizi il percorso di Gesù e ora può diventare «insieme ai dodici» un «testimone della risurrezione» (cfr At 1,21-22). C’è bisogno di selezionare tra i seguaci di Gesù i testimoni del Risorto. 

Da qui deriva il criterio essenziale per tratteggiare il volto dei Vescovi che vogliamo avere. Chi è un testimone del Risorto? È chi ha seguito Gesù fin dagli inizi e viene costituito con gli Apostoli testimone della sua Risurrezione. Anche per noi questo è il criterio unificante: il Vescovo è colui che sa rendere attuale tutto quanto è accaduto a Gesù e soprattutto sa, insieme con la Chiesa, farsi testimone della sua Risurrezione. Il Vescovo è anzitutto un martire del Risorto. Non un testimone isolato ma insieme con la Chiesa.
La sua vita e il suo ministero devono rendere credibile la Risurrezione. Unendosi a Cristo nella croce della vera consegna di sé, fa sgorgare per la propria Chiesa la vita che non muore. Il coraggio di morire, la generosità di offrire la propria vita e di consumarsi per il gregge sono inscritti nel “DNA” dell’episcopato. La rinuncia e il sacrificio sono connaturali alla missione episcopale. E questo voglio sottolinearlo: la rinuncia e il sacrificio sono connaturali alla missione episcopale. L’episcopato non è per sé ma per la Chiesa, per il gregge, per gli altri, soprattutto per quelli che secondo il mondo sono da scartare.

Pertanto, per individuare un Vescovo, non serve la contabilità delle doti umane, intellettuali, culturali e nemmeno pastorali. Il profilo di un Vescovo non è la somma algebrica delle sue virtù.
È certo che ci serve uno che eccelle (CIC, can. 378 § 1): la sua integrità umana assicura la capacità di relazioni sane, equilibrate, per non proiettare sugli altri le proprie mancanze e diventare un fattore d’instabilità; la sua solidità cristiana è essenziale per promuovere la fraternità e la comunione; il suo comportamento retto attesta la misura alta dei discepoli del Signore; la sua preparazione culturale gli permette di dialogare con gli uomini e le loro culture; la sua ortodossia e fedeltà alla Verità intera custodita dalla Chiesa lo rende una colonna e un punto di riferimento; la sua disciplina interiore ed esteriore consente il possesso di sé e apre spazio per l’accoglienza e la guida degli altri; la sua capacità di governare con paterna fermezza garantisce la sicurezza dell’autorità che aiuta a crescere; la sua trasparenza e il suo distacco nell’amministrare i beni della comunità conferiscono autorevolezza e raccolgono la stima di tutti.

Tutte queste imprescindibili doti devono essere tuttavia una declinazione della centrale testimonianza del Risorto, subordinati a questo prioritario impegno. È lo Spirito del Risorto che fa i suoi testimoni, che integra ed eleva le qualità e i valori edificando il Vescovo.

5. La sovranità di Dio, autore della scelta

Ma torniamo al testo apostolico. Dopo il faticoso discernimento viene la preghiera degli Apostoli: «Tu, Signore, che conosci il cuore di tutti, mostra quale di questi … tu hai scelto» (At 1,24) e «tirarono a sorte» (At 1,26). Impariamo il clima del nostro lavoro e il vero Autore delle nostre scelte. Non possiamo allontanarci da questo «mostraci tu, Signore». È sempre imprescindibile assicurare la sovranità di Dio. Le scelte non possono essere dettate dalle nostre pretese, condizionate da eventuali “scuderie”, consorterie o egemonie. Per garantire tale sovranità ci sono due atteggiamenti fondamentali: il tribunale della propria coscienza davanti a Dio e la collegialità. E questo garantisce.

Fin dai primi passi del nostro complesso lavoro (dalle Nunziature al lavoro degli Officiali, Membri e Superiori), questi due atteggiamenti sono imprescindibili: la coscienza davanti a Dio e l’impegno collegiale. Non l’arbitrio ma il discernimento insieme. Nessuno può avere in mano tutto, ognuno pone con umiltà e onestà la propria tessera di un mosaico che appartiene a Dio.

Tale visione fondamentale ci spinge ad abbandonare il piccolo cabotaggio delle nostre barche per seguire la rotta della grande nave della Chiesa di Dio, il suo orizzonte universale di salvezza, la sua bussola salda nella Parola e nel Ministero, la certezza del soffio dello Spirito che la spinge e la sicurezza del porto che la attende.

6. Vescovi “kerigmatici”.

Un altro criterio lo insegna At 6,1-7: gli Apostoli impongono le mani su coloro che devono servire le mense perché non possono «lasciare da parte la Parola di Dio». Poiché la fede viene dall’annuncio, abbiamo bisogno di Vescovi kerigmatici. Uomini che rendono accessibile quel “per voi” di cui parla san Paolo.

Uomini custodi della dottrina non per misurare quanto il mondo viva distante dalla verità che essa contiene, ma per affascinare il mondo, per incantarlo con la bellezza dell’amore, per sedurlo con l’offerta della libertà donata dal Vangelo. La Chiesa non ha bisogno di apologeti delle proprie cause né di crociati delle proprie battaglie, ma di seminatori umili e fiduciosi della verità, che sanno che essa è sempre loro di nuovo consegnata e si fidano della sua potenza.  

Vescovi consapevoli che anche quando sarà notte e la fatica del giorno li troverà stanchi, nel campo le sementi staranno germinando. Uomini pazienti perché sanno che la zizzania non sarà mai così tanta da riempire il campo. Il cuore umano è fatto per il grano, è stato il nemico che di nascosto ha gettato il cattivo seme. Il tempo della zizzania tuttavia è già irrevocabilmente fissato.  

Vorrei sottolineare bene questo: uomini pazienti! Dicono che il Cardinale Siri soleva ripetere: «Cinque sono le virtù di un Vescovo: prima la pazienza, seconda la pazienza, terza la pazienza, quarta la pazienza e ultima la pazienza con coloro che ci invitano ad avere pazienza».

Bisogna quindi impegnarsi piuttosto sulla preparazione del terreno, sulla larghezza della semina. Agire come fiduciosi seminatori, evitando la paura di chi si illude che il raccolto dipenda solo da sé, o l’atteggiamento disperato degli scolari che, avendo tralasciato di fare i compiti, gridano che ormai non c’è più nulla da fare.

7. Vescovi oranti

Il medesimo testo di At 6,1-7 si riferisce alla preghiera come ad uno dei due compiti essenziali del Vescovo: «Dunque, fratelli, cercate tra voi sette uomini di buona reputazione, pieni di Spirito e di sapienza, ai quali affideremo questo incarico. Noi, invece, ci dedicheremo alla preghiera e al servizio della Parola» (vv. 3-4). Ho parlato di Vescovi kerigmatici, adesso segnalo l’altro tratto dell’identità del Vescovo: uomo di preghiera. La stessa parresia che deve avere nell’annuncio della Parola, deve averla nella preghiera, trattando con Dio nostro Signore il bene del suo popolo, la salvezza del suo popolo. Coraggioso nella preghiera di intercessione come Abramo, che negoziava con Dio la salvezza di quella gente (cfr Gen 18,22-33); come Mosè quando si sente impotente per guidare il popolo (Nm 11,10-15), quando il Signore è stufo del suo popolo (cfr Nm 14,10-19), o quando gli dice che sta per distruggere il popolo e promette a lui di farlo capo di un altro popolo. Quel coraggio di dire no, non negozio il mio popolo, davanti a Lui! (cfr Es32,11-14.30-32). Un uomo che non ha il coraggio di discutere con Dio in favore del suo popolo non può essere Vescovo - questo lo dico dal cuore, sono convinto -, e neppure colui che non è capace di assumere la missione di portare il popolo di Dio fino al luogo che Lui, il Signore, gli indica (cfr Es 32,33-34).

E questo vale anche per la pazienza apostolica: la medesima hypomone che deve esercitare nella predicazione della Parola (cfr 2 Cor 6,4) la deve avere nella sua preghiera. Il Vescovo dev’essere capace di “entrare in pazienza” davanti a Dio, guardando e lasciandosi guardare, cercando e lasciandosi cercare, trovando e lasciandosi trovare, pazientemente davanti al Signore. Tante volte addormentandosi davanti al Signore, ma questo è buono, fa bene!

Parresia e hypomone nella preghiera forgiano il cuore del Vescovo e lo accompagnano nella parresia e nella hypomoneche deve avere nell’annuncio della Parola nel kerigma. Questo capisco quando leggo il versetto 4 del capitolo 6 degli Atti degli Apostoli.

8. Vescovi Pastori

Nelle parole che ho rivolto ai Rappresentanti Pontifici, ho così tracciato il profilo dei candidati all’episcopato: siano Pastori vicini alla gente, «padri e fratelli, siano miti, pazienti e misericordiosi; amino la povertà, interiore come libertà per il Signore e anche esteriore come semplicità e austerità di vita, che non abbiano una psicologia da “Principi”; … che non siano ambiziosi e che non ricerchino l’episcopato … siano sposi di una Chiesa, senza essere in costante ricerca di un’altra - questo si chiama adulterio. Siano capaci di “sorvegliare” il gregge che sarà loro affidato, di avere cioè cura per tutto che lo mantiene unito; … capaci di “vegliare” per il gregge» (21 giugno 2013).

Ribadisco che la Chiesa ha bisogno di Pastori autentici; e vorrei approfondire questo profilo del Pastore. Guardiamo il testamento dell’apostolo Paolo (cfr At 20,17-38). Si tratta dell’unico discorso pronunciato dall’Apostolo nel libro degli Atti che è diretto ai cristiani. Non parla ai suoi avversari farisei, né ai sapienti greci, ma ai suoi. Parla a noi. Egli affida i Pastori della Chiesa «alla Parola della grazia che ha il potere di edificare e di concedere l’eredità».
Dunque, non padroni della Parola, ma consegnati a essa, servi della Parola. Solo così è possibile edificare e ottenere l’eredità dei santi. A quanti si tormentano con la domanda sulla propria eredità – “qual è il lascito di un Vescovo? L’oro o l’argento?” - Paolo risponde: la santità. La Chiesa rimane quando si dilata la santità di Dio nei suoi membri. Quando dal suo cuore intimo, che è la Trinità Santissima, tale santità sgorga e raggiunge l’intero Corpo. C’è bisogno che l’unzione dall’alto scorra fino all’orlo del mantello. Un Vescovo non potrebbe mai rinunciare all’ansia che l’olio dello Spirito di santità arrivi fino all’ultimo lembo della veste della sua Chiesa.

Il Concilio Vaticano II afferma che ai Vescovi «è pienamente affidato l’ufficio pastorale, ossia l’assidua e quotidiana cura del gregge» (Lumen gentium, 27). Bisogna soffermarsi di più su questi due qualificativi della cura del gregge: assidua equotidiana. Nel nostro tempo l’assiduità e la quotidianità sono spesso associate alla routine e alla noia. Perciò non di rado si cerca di scappare verso un permanente “altrove”. Questa è una tentazione dei Pastori, di tutti i Pastori.
I padri spirituali devono spiegarcelo bene, affinché noi lo capiamo e non cadiamo. Anche nella Chiesa purtroppo non siamo esenti da questo rischio. Perciò è importante ribadire che la missione del Vescovo esige assiduità e quotidianità.

Io penso che in questo tempo di incontri e di convegni è tanto attuale il decreto di residenza del Concilio di Trento: è tanto attuale e sarebbe bello che la Congregazione dei Vescovi scrivesse qualcosa su questo.  

Al gregge serve trovare spazio nel cuore del Pastore. Se questo non è saldamente ancorato in sé stesso, in Cristo e nella sua Chiesa, sarà continuamente sballottato dalle onde alla ricerca di effimere compensazioni e non offrirà al gregge alcun riparo.

Conclusione

Alla fine di queste mie parole mi domando: dove possiamo trovare tali uomini? Non è facile. Ci sono? Come selezionarli? Penso al profeta Samuele alla ricerca del successore di Saul (cfr 1 Sam 16,11-13) che domanda al vecchio Iesse: «Sono qui tutti i suoi figli?», e sentendo che il piccolo Davide era a pascolare il gregge ordina: «Manda a prenderlo». Anche noi non possiamo fare a meno di scrutare i campi della Chiesa cercando chi presentare al Signore perche Egli ti dica: «Ungilo: è lui!». Sono certo che essi ci sono, perché il Signore non abbandona la sua Chiesa. Forse siamo noi che non giriamo abbastanza per i campi a cercarli. Forse ci serve l’avvertenza di Samuele: «Non ci metteremo a tavola prima che egli sia venuto qui». È di questa santa inquietudine che vorrei vivesse questa Congregazione.

 




Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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Il Papa alla Commissione per l'America Latina: ridare speranza ai giovani disincantati



Educare non è soltanto trasmettere conoscenze. La trasmissione della fede, solo attraverso l’insegnamento di contenuti, sarà superficiale o ideologica. E’ quanto ha detto Papa Francesco rivolgendo stamani un lungo discorso a braccio ai membri della Pontificia Commissione per l’America Latina. La trasmissione della fede – ha detto il Santo Padre - non avrà radici se non sarà accompagnata da comportamenti e da valori. Il servizio di Amedeo Lomonaco:RealAudioMP3 

Per poter trasmettere la fede, oltre alla divulgazione di contenuti di base, è necessario creare l’abitudine di una condotta, favorire la ricezione dei valori che la preparino e la facciano crescere. La trasmissione della fede – ha detto il Papa - si basa su tre pilastri: utopia, memoria e discernimento. Il primo, importante per i bambini e soprattutto per i giovani, "è la buona gestione dell’utopia". In America Latina – ha ricordato il Pontefice – "una gestione non del tutto equilibrata dell’utopia", come nel caso dell’Argentina, ha portato ragazzi dell’Azione Cattolica ad unirsi, negli anni Settanta, alla guerriglia. Ma saper far crescere l’utopia di un giovane "è una ricchezza". "Un giovane senza utopia è un vecchio precoce". Poi gli altri due pilastri: in un giovane – ha osservato Papa Francesco – un’utopia "cresce bene se accompagnata da memoria e discernimento. L’utopia guarda al futuro, la memoria guarda al passato e il presente si discerne. Il giovane deve ricevere la memoria e piantare le radici della sua utopia in questa memoria; discernere nel presente la sua utopia, il segno dei tempi. Sì l’utopia va avanti, ma è molto radicata nella memoria e nella storia che ha ricevuto. Discernere nel presente – abbiamo bisogno di maestri di discernimento per i giovani! – e già progettato nel futuro”.

La chiave per affrontare "l’emergenza educativa" - ha proseguito - è l’incontro tra generazioni, l’incontro tra giovani e anziani. Questo incontro permette infatti di conoscere il passato e di saper leggere il presente. La fede di un giovane – sottolinea quindi il Papa – matura se non mancano la memoria del passato, il discernimento del presente e l’utopia del futuro. Ma il vero problema nella società odierna è "la cultura dello scarto": "oggi, per l’economia che si è radicata nel mondo, al centro – ha affermato il Santo Padre - c’è il dio denaro e non la persona umana". E quindi "tutto quello che non entra in questo ordine, si scarta. Si scartano i bambini che soffrono, che danno fastidio e che non conviene che vengano", "si scartano gli anziani" e "in alcuni Paesi dell'America Latina c'è l'eutanasia nascosta": sono considerati a volte “materiali di scarto". 

E poi ci sono i giovani. Oggigiorno – ha affermato – “dà fastidio a questo sistema mondiale la quantità di giovani ai quali è necessario dare lavoro” e dunque c’è “questa percentuale così alta di disoccupazione giovanile. Stiamo tenendo una generazione di giovani che non hanno l’esperienza della dignità!”. Così, “oggi anche i giovani fanno parte di questo materiale di scarto”. E il giovane che è senza lavoro “anestetizza l’utopia!”. La droga, che "sta distruggendo questa generazione di giovani" e "non è soltanto un problema di vizio", e "la proliferazione di dipendenze", quali la ludopatia, sono alcuni degli ostacoli lungo il cammino delle nuove generazioni. "L’utopia di un giovane entusiasta – ha detto il Papa – oggi si sta trasformando in disincanto". Ai giovani disincantati – ha affermato il Pontefice rivolgendosi ai membri della Pontificia Commissione per l’America Latina – "è necessario dare fede e speranza".

Nel discorso consegnato ma non letto, il Papa ha inoltre sottolineato che la "Chiesa vuole imitare Gesù nell’accostarsi ai giovani". Desidera ripetere che vale la pena seguire l’esempio che ci ha dato. Un esempio di dedizione, di servizio, di amore disinteressato e di lotta per la giustizia e la verità. E’ bello vivere come ha vissuto Gesù, scacciando l’egoismo e lasciandosi attrarre dalla bellezza e dalla bontà. "Chi conosce in profondità Gesù - si legge nel testo - non rimane in poltrona. Si unisce al suo stile di vita ed arriva ad essere un discepolo missionario del suo Vangelo, dando gioiosa testimonianza della sua fede, non risparmiando sacrifici". I giovani ascoltino la Parola di Gesù, ascoltino che Cristo non è un personaggio di una novella, ma una persona viva. I giovani – si legge infine del documento – sperano in noi. Non deludiamoli! "Che le comunità cristiane dell’America Latina e dei Caraibi - ha esortato il Pontefice - sappiano essere vicine, maestre e madri di tutti e di ciascuno dei suoi giovani".



  




DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO
AI MEMBRI DELLA PONTIFICIA COMMISSIONE PER L'AMERICA LATINA

Sala Clementina
Venerdì, 28 febbraio 2014

 

Buongiorno! Ringrazio il Cardinale Ouellet per le sue parole e tutti voi per il lavoro che avete fatto in questi giorni.

Trasmissione della fedeemergenza educativa. La trasmissione della fede la sentiamo diverse volte, non ci sorprende tanto la parola. Sappiamo che è un dovere al giorno d’oggi, come si trasmette la fede, che è già stato il tema proposto dal precedente Sinodo, che terminò nell’evangelizzazione. Emergenza educativa è un’espressione adottata recentemente da voi con coloro che hanno preparato questo lavoro. E mi piace, perché questo crea uno spazio antropologico, una visione antropologica dell’evangelizzazione, una base antropologica. Se c’è un’emergenza educativa per la trasmissione della fede, è come trattare il tema della catechesi alla gioventù da una prospettiva – diciamo – di teologia fondamentale. Vale a dire, quali sono i presupposti antropologici che ci sono oggi nella trasmissione della fede, che fanno sì che per la gioventù di America Latina questo sia emergenza educativa. E per questo credo che bisogna essere ripetitivi e tornare ai grandi criteri dell’educazione.

E il primo criterio dell’educazione è che educare – lo abbiamo detto nella stessa Commissione, una volta lo abbiamo detto – non è soltanto trasmettere conoscenze, trasmettere contenuti, ma implica altre dimensioni: trasmetterecontenutiabitudini e senso dei valori, le tre cose insieme.

Per trasmettere la fede bisogna creare l’abitudine di una condotta; bisogna creare la recezione dei valori, che la preparino e la facciano crescere; e bisogna dare anche dei contenuti di base. Se vogliamo trasmettere la fede soltanto con i contenuti, allora sarà solo una cosa superficiale o ideologica, che non avrà radici. La trasmissione dev’essere di contenuti con valori, senso dei valori e abitudini, abitudini di condotta. I vecchi propositi dei nostri confessori quando eravamo ragazzi: “Allora, questa settimana fate questo, questo e questo…”; e ci stavano creando un’abitudine di condotta; e non solo i contenuti, ma i valori. In questo quadro deve muoversi la trasmissione della fede. Tre pilastri.

Un’altra cosa che è importante per la gioventù, da trasmettere alla gioventù, anche ai bambini ma soprattutto ai giovani, è la buona gestione dell’utopia. Noi, in America Latina, abbiamo avuto esperienza di una gestione non del tutto equilibrata dell’utopia e che in qualche luogo, in alcuni luoghi, non in tutti, e in qualche momento ci ha travolto. Almeno nel caso dell’Argentina possiamo dire quanti ragazzi dell’Azione Cattolica, per una cattiva educazione dell’utopia, sono finiti nella guerriglia degli anni Settanta… Saper gestire l’utopia, ossia saper guidare – “gestire” è una brutta parola -  saper guidare e aiutare a far crescere l’utopia di un giovane, è una ricchezza. Un giovane senza utopia è un vecchio precoce, che è invecchiato prima del tempo. Come posso far sì che questo desiderio che ha il ragazzo, che questa utopia lo porti all’incontro con Gesù Cristo? E’ tutto un percorso che bisogna fare.

Mi permetto di suggerire quanto segue. Un’utopia, in un giovane, cresce bene se è accompagnata da memoria ediscernimento. L’utopia guarda al futuro, la memoria guarda al passato, e il presente si discerne. Il giovane deve ricevere la memoria e piantare, radicare la sua utopia in quella memoria; discernere nel presente la sua utopia - i segni dei tempi - e allora sì l’utopia va avanti, ma molto radicata nella memoria e nella storia che ha ricevuto; discernevano il presente maestri di discernimento – ne avevano bisogno per i giovani –, e già proiettata verso il futuro.

Allora l’emergenza educativa ha già lì un alveo per muoversi a partire da ciò che è più  proprio del giovane, che è l’utopia.

Da qui l’insistenza – che mi sentono dire qua e là – sull’incontro degli anziani e dei giovani. L’icona della presentazione di Gesù al Tempio. L’incontro dei giovani con i nonni è decisivo. Mi dicevano alcuni Vescovi di alcuni Paesi in crisi, dove c’è una grande disoccupazione dei giovani, mi dicevano che parte della soluzione per i giovani sta nel fatto che li mantengono i nonni. Tornano ad incontrarsi con i nonni, i nonni hanno la pensione, allora escono dalla casa di riposo, tornano in famiglia e in più portano la loro memoria, quell’incontro.

Io ricordo un film che ho visto circa 25 anni fa, di Kurosawa, quel famoso regista giapponese; molto semplice: una famiglia, due bambini, papà e mamma. E il papà e la mamma vanno a fare un viaggio negli Stati Uniti, lasciando i bambini alla nonna. Bambini giapponesi, Coca Cola, hot dog… una cultura di questo tipo. E tutto il film racconta come questi bambini cominciano, piano piano, ad ascoltare quanto racconta loro la nonna sulla memoria del suo popolo. Quando i genitori ritornano, i disorientati sono i genitori: fuori dalla memoria, che i bambini avevano ricevuto dalla nonna.

Questo fenomeno dell’incontro dei ragazzi e dei giovani con i nonni ha conservato la fede nei Paesi dell’Est, durante tutta l’epoca comunista, perché i genitori non potevano andare in chiesa. Mi dicevano… - forse mi sto confondendo… in questi giorni non so se erano stati i Vescovi bulgari o quelli di Albania - mi dicevano che le Chiese da loro sono piene di anziani e di giovani: i genitori non vanno, perché non si sono mai incontrati con Gesù. Questo tra parentesi… L’incontro dei ragazzi e dei giovani con i nonni è decisivo per ricevere la memoria di un popolo e il discernimento sul presente: essere maestri del discernimento, consiglieri spirituali. E qui è importante, riguardo alla trasmissione della fede dei giovani, lapostolato “corpo a corpo”. Il discernimento sul presente non si può fare se non con un buon confessore, un buon direttore spirituale che abbia la pazienza di stare ore e ore ad ascoltare i giovani. Memoria del passato, discernimento sul presente, utopia del futuro: in questo schema cresce la fede di un giovane.

Terzo. Direi come emergenza educativa, in questa trasmissione della fede e anche della cultura, è il problema dellacultura dello scarto. Al giorno d’oggi, per l’economia che si è impiantata nel mondo, dove al centro c’è il dio denaro e non la persona umana, tutto il resto si ordina, e quello che non entra in questo ordine si scarta. Si scartano i bambini che sono di troppo, che danno fastidio o che non conviene che vengano… I Vescovi spagnoli mi parlavano recentemente della quantità di aborti, il numero, sono rimasto senza parole. Loro là tengono il conto di questo… Si scartano gli anziani, si tende a scartarli, e in alcuni Paesi dell’America Latina c’è l’eutanasia nascosta, c’è l’eutanasia nascosta! Perché le opere sociali pagano fino a un certo punto, non di più, e i poveri vecchietti, si arrangino. Ricordo di aver visitato una casa di riposo di anziani in Buenos Aires, dello Stato, dove i letti era tutti occupati, e siccome non c’erano letti mettevano dei materassi per terra, e lì stavano i vecchietti. Un Paese non può comprare un letto? Questo indica un’altra cosa, no? Sono materiali di scarto. Lenzuola sporche, con ogni tipo di sporcizia; senza tovagliolo e i poveretti mangiavano lì, si pulivano la bocca con le lenzuola… Questo l’ho visto io, non me lo ha raccontato nessuno. Sono materiali di scarto; però questo ci rimane dentro… e qui ritorno al tema dei giovani.

Oggi, come dà fastidio a questo sistema mondiale la quantità di giovani ai quali è necessario dare lavoro, la percentuale così alta di disoccupazione giovanile. Stiamo avendo una generazione di giovani che non hanno l’esperienza della dignità. Non che non mangino, perché danno loro da mangiare i nonni, o la parrocchia, o l’assistenza sociale dello Stato, o l’Esercito della Salvezza, o il club del quartiere… Il pane lo mangiano, ma senza la dignità di guadagnarsi il pane e portarlo a casa! Oggi i giovani entrano in questa gamma del materiale di scarto.

E allora, dentro la cultura dello scarto, vediamo i giovani che più che mai hanno bisogno di noi; non solo per quella utopia che hanno - perché il giovane che è senza lavoro ha l’utopia anestetizzata, o è sul punto di perderla -, non soltanto per questo, ma anche per l’urgenza di trasmettere la fede ad una gioventù che oggi è materiale di scarto anch’essa. E in questa voce del materiale di scarto, c’è l’avanzare della droga su questi giovani. Non è solo un problema di vizio, le dipendenze sono molte. Come in tutti i cambiamenti epocali, ci sono fenomeni strani tra cui la proliferazione delle dipendenze: la ludopatia è arrivata a livelli estremamente alti… ma la droga è lo strumento di morte dei giovani. C’è tutto un armamento mondiale di droga che sta distruggendo questa generazione di giovani che è destinata allo scarto!

Questo è ciò che volevo dire e condividere. Primo, come struttura educativa, trasmettere contenuti, comportamenti e senso dei valori. Secondo, l’utopia del giovane, relazionarla e armonizzarla con la memoria e il discernimento. Terzo, la cultura dello scarto come uno dei fenomeni più gravi di cui sta soffrendo la nostra gioventù, soprattutto per l’uso che di questa gioventù può fare e sta facendo la droga per distruggere. Stiamo scartando i nostri giovani! Il futuro qual è? Un compito: la traditio fidei è anche traditio spei, e dobbiamo darla!

La domanda finale che vorrei lasciarvi è: quando l’utopia cade nel disincanto, quale è il nostro apporto? L’utopia di un giovane entusiasta oggi sta scivolando fino al disincanto. Giovani disincantati, ai quali bisogna dare fede e speranza.

Vi ringrazio con tutto il cuore per il vostro lavoro di questi giorni, per far fronte a questa emergenza educativa, e andate avanti! Dobbiamo aiutarci in questo. Le vostre conclusioni e tutto quello che possiamo fare. Molte grazie.






[Modificato da Caterina63 01/03/2014 17:02]
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  AI VESCOVI DELLA TANZANIA: IL VOSTRO ESEMPIO ISPIRI COLORO CHE ANELANO ALLA PACE

Città del Vaticano, 7 aprile 2014 (VIS). Questa mattina il Santo Padre ha ricevuto in udienza i Vescovi della Conferenza Episcopale della Tanzania al termine della quinquennale Visita "ad Limina Apostolorum". Nel discorso consegnato ai Presuli, il Papa ha avuto parole di apprezzamento per "l'importante storia dell'opera missionaria in tutta la regione", ed ha esortato i Vescovi a "mantenere e promuovere questo imperativo missionario, così che il Vangelo informi sempre più ogni opera di apostolato e getti la sua luce in tutti i settori della società della Tanzania".

"L'opera di evangelizzazione in Tanzania non è semplicemente un importante avvenimento del passato; essa accade ogni giorno nel lavoro pastorale nelle parrocchie, nella liturgia, nel ricevere i sacramenti, nell'apostolato educativo, nelle iniziative sanitarie, nella catechesi e nella vita dei comuni cristiani". Nel menzionare in particolare la testimonianza di discepolato missionario degli operatori sanitari che "curano i malati di Hiv/Aids e di tutti coloro che si adoperano con zelo nell'educazione delle persone alla responsabilità sessuale ed alla castità", il Papa cita anche quanti "si dedicano allo sviluppo integrale dei poveri, in particolare le donne e i bambini indigenti" ed esclama: "Che lo Spirito Santo che ha donato fortezza, saggezza e santità ai primi missionari in Tanzania continui ad ispirare tutta la Chiesa locale in tale vitale testimonianza".

Nel contempo il Papa ribadisce l'importanza di avere "sacerdoti santi, istruiti e zelanti" e sottolinea la responsabilità dei Vescovi di assicurarsi che i sacerdoti "ricevano una idonea formazione umana, spirituale, intellettuale e pastorale". Nel riferirsi all'indispensabile ruolo dei laici, il Papa esorta i Presuli "a concentrare i loro sforzi affinché i catechisti acquisiscano una esauriente comprensione della dottrina della Chiesa che darà loro gli strumenti per contrastare le sfide della superstizione, delle sette aggressive e del secolarismo, ma ancora più importante, consentirà loro di condividere, in particolare con i giovani, la bellezza e la ricchezza della fede cattolica".

Riguardo alla famiglia Papa Francesco afferma: "Il dono che le famiglie solide rappresentano è sentito particolarmente in Africa. Inoltre, l'amore della Chiesa e la sollecitudine pastorale verso la famiglia sono il cuore della nuova evangelizzazione. (...) Promuovendo la preghiera, la fedeltà coniugale, la monogamia, la purezza e il servizio umile l'uno verso l'altro nella famiglia, la Chiesa continua ad offrire un preziosissimo contributo al benessere sociale della Tanzania, che con gli apostolati educativi e sanitari, promuove maggiore stabilità e progresso nel Paese. Non vi è servizio più bello di quello che la Chiesa offre nel testimoniare la nostra convinzione della santità del dono della vita dataci da Dio e il ruolo essenziale delle famiglie spirituali e stabili nel preparare le giovani generazioni a vivere una vita virtuosa e ad affrontare le sfide del futuro con saggezza, coraggio e generosità".

"Mi incoraggia in modo particolare sapere che la Tanzania è impegnata ad assicurare la libertà dei seguaci di diverse religioni di praticare la loro fede. La continua protezione e promozione di questo diritto umano fondamentale rafforza la società consentendo ai credenti, in fedeltà ai dettami della loro coscienza e nel rispetto della dignità e dei diritti di tutti, a progredire nell'unità sociale, nella pace e nel bene comune. Vi ringrazio del vostro continuo impegno nel promuovere il perdono, la pace e il dialogo come pastori del vostro popolo in situazioni difficili di intolleranza e, a volte, di violenza e persecuzione. (...) Vi esorto ad operare con il governo e le istituzioni civili per garantire che lo stato di diritto prevalga quale mezzo indispensabile per garantire rapporti sociali giusti e pacifici. Prego che il vostro esempio, e quello di tutta la Chiesa nel vostro Paese, continui ad ispirare tutte le persone di buona volontà che aspirano alla pace".








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   VESCOVI DELL'AFRICA MERIDIONALE: RENDERE TESTIMONIANZA COERENTE DELL'INSEGNAMENTO MORALE DEL VANGELO

Città del Vaticano, 25 aprile 2014 (VIS). Questa mattina il Papa ha ricevuto in Udienza i Vescovi della Conferenza Episcopale del Sud Africa, Botswana e Swaziland, al termine della Visita "ad Limina Apostolorum". Papa Francesco ha consegnato ai Presuli un discorso nel quale ricorda l'arduo lavoro dei missionari e degli uomini e donne di questi Paesi nel diffondere la fede e nell'andare incontro alle popolazioni nei villaggi, paesi e città e specialmente nei comuni urbani, in costante espansione. Nel ricordare anche il fiorire delle parrocchie che prosperano nonostante gli ostacoli, come le grandi distanze che separano le comunità e la scarsità delle risorse materiali, il Papa esprime apprezzamento per l'impegno profuso nella formazione dei diaconi permanenti e dei catechisti laici che collaborano con il clero laddove è esiguo il numero dei sacerdoti.

"I sacerdoti, i religiosi e le religiose - scrive il Papa - sono un cuore e un'anima sola nel loro servizio ai figli e alle figlie di Dio più vulnerabili: vedove, ragazze madri, divorziati, bambini a rischio e soprattutto i diversi milioni di orfani dell'Aids, molti dei quali sono capofamiglia nelle aree rurali". Nonostante le difficoltà delle comunità cattoliche, minoritarie in paesi dove si professano diverse religioni, i cattolici condividono "la ricchezza e la gioia del Vangelo con quanti li circondano. Chiedo a Dio - scrive il Papa - che essi continuino ad edificare il Regno di Dio con perseveranza, testimoniando la verità con la loro vita e con il lavoro delle proprie mani che allevia le sofferenze di tante persone".

Successivamente il Papa enumera le sfide pastorali, riferite dai Vescovi, che le comunità devono affrontare, come il calo della natalità nelle famiglie cattoliche, con ripercussioni sul numero di vocazioni al sacerdozio e alla vita religiosa; l'allontanamento di alcuni cattolici dalla Chiesa per far parte di altri gruppi che sembrano promettere cose migliori; l'aborto "che rende ancora più pesante il dolore di molte donne che subiscono profonde ferite fisiche e spirituali nel soccombere alle pressioni di una cultura secolarizzata che svaluta il dono divino della sessualità, e il diritto alla vita del bambino non nato.
Ed ancora l'alto numero delle separazioni e dei divorzi, anche in molte famiglie cristiane, e dei bambini che "frequentemente non crescono in un ambiente familiare stabile".
"Osserviamo inoltre con grande preoccupazione e non possiamo che deplorare - aggiunge il Papa - l'aumento della violenza contro le donne e i bambini. Tutte queste realtà minacciano la santità del matrimonio, la stabilità della vita familiare e conseguentemente la vita della società nel suo complesso. In questo mare di difficoltà, noi vescovi e sacerdoti dobbiamo rendere una coerente testimonianza dell'insegnamento morale del Vangelo".

Il Papa apprezza l'unione dei Vescovi del Botswana, Sud Africa e Swaziland alle loro popolazioni e la solidarietà con il gran numero di disoccupati. "La maggior parte delle vostre popolazioni - scrive il Papa - può identificarsi con Gesù che era povero ed emarginato, che non aveva un posto dove posare il capo. Nell'affrontare queste necessità pastorali, vi chiedo di offrire, oltre al sostengo materiale, il più importante sostegno dell'assistenza spirituale e della solida guida morale, ricordando che l'assenza di Cristo è la povertà più grande". Un'altra significativa sfida è rappresentata dal ridotto numero di sacerdoti e dalla diminuzione del numero di seminaristi, per cui "È necessaria una rinnovata ed autentica promozione delle vocazioni in ogni territorio, una prudente selezione dei candidati ai seminari di studi, un paterno incoraggiamento dei giovani in formazione, e l'attento accompagnamento negli anni dopo l'ordinazione".

"Occorre riscoprire - esorta il Papa - il sacramento della riconciliazione quale dimensione fondamentale della vita di grazia. (...) La santità del matrimonio cristiano - sottolinea - è un'alleanza di amore fra un uomo e una donna che dura tutta la vita e che comporta reale sacrificio nel distogliersi da illusorie nozioni di libertà sessuale e nel promuovere la fedeltà coniugale". Il Papa esprime apprezzamento per i programmi di preparazione al matrimonio che in questi Paesi "ispirano ai giovani nuove speranze per il loro futuro di sposi e spose, padri e madri".

Infine Papa Francesco si sofferma sulla preoccupazione dei Presuli "per la rottura dei principi della morale cristiana, accompagnata dalla crescente tentazione di colludere con la disonestà" e ricorda che i Vescovi hanno trattato in modo profetico la questione nella dichiarazione pastorale sulla corruzione in cui affermano: "La corruzione è un furto commesso contro i poveri ... nuoce ai più vulnerabili ... danneggia tutta la comunità ... distrugge la nostra fiducia'. La comunità cristiana è chiamata ad essere coerente nella sua testimonianza delle virtù dell'onestà e dell'integrità, così da poter stare davanti al Signore e al nostro prossimo, con mani pulite e cuore puro, quale fermento del Vangelo nella vita della società. Con questo imperativo morale in mente, so che continuerete ad affrontare questo ed altri gravi problemi sociali, come la difficile situazione dei rifugiati e dei migranti. Che questi uomini e queste donne siano sempre accolti dalle nostre comunità cattoliche, trovando in esse cuori e case aperte all'inizio di una nuova vita".







Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO
AI PRESULI DELLA CONFERENZA EPISCOPALE DELLO SRI LANKA
IN VISITA "AD LIMINA APOSTOLORUM"

Sabato, 3 maggio 2014

 

Cari Fratelli Vescovi,

È per me una grande gioia accogliervi qui, in occasione della vostra visitaad Limina Apostolorum, che serve a rinnovare la vostra comunione con il Successore di Pietro e offre un’opportunità per riflettere sulla vita della Chiesa nello Sri Lanka. Ringrazio il Cardinale Ranjith per le sue cordiali parole di saluto da parte vostra e di tutti i fedeli delle vostre Chiese locali. Vi chiedo di trasmettere loro i miei saluti e il mio amore, e di esprimere loro la mia solidarietà e attenzione. Ricordo con affetto il mio recente incontro nella Basilica di San Pietro con alcuni membri della comunità dello Sri Lanka, durante il loro pellegrinaggio a Roma per celebrare il settantacinquesimo anniversario della consacrazione del vostro paese alla Beata Madre. È mia speranza per voi, cari Fratelli, che questi giorni di riflessione e di preghiera vi confermino nella fede e nella conoscenza dei numerosi doni che voi, i sacerdoti, gli uomini e le donne consacrati e i fedeli laici avete ricevuto in Cristo.

Desidero ora condividere con voi alcune riflessioni su questo tesoro, che è al centro della nostra vita nella Chiesa e della nostra missione verso la società, la cui bellezza e ricchezza abbiamo visto così chiaramente nell’Anno della Fede. La nostra fede e i doni che abbiamo ricevuto non possono essere messi da parte, ma sono intesi per essere condivisi liberamente e trovare espressione nella nostra vita quotidiana. Di fatto, la nostra vocazione è di «essere il fermento di Dio in mezzo all’umanità [...] annunciare e portare la salvezza di Dio in questo nostro mondo, che spesso si perde, che ha bisogno di avere risposte che incoraggino, che diano speranza, che diano nuovo vigore nel cammino» (Evangelii gaudium, n. 114). Lo Sri Lanka ha particolarmente bisogno di questo fermento. Dopo tanti anni di combattimenti e di spargimento di sangue, finalmente la guerra nel vostro paese è terminata. Di fatto, è sorta una nuova alba di speranza, poiché la gente ora pensa a ricostruire la propria vita e le proprie comunità. In risposta a ciò, attraverso la vostra recente Lettera pastorale Towards Reconciliation and Rebuilding of our Nation (Verso la riconciliazione e la ricostruzione della nostra nazione), avete cercato di andare incontro a tutti i cittadini dello Sri Lanka con un messaggio profetico ispirato dal Vangelo, che vuole accompagnarli nelle loro prove. Sebbene la guerra sia terminata, giustamente osservate che c’è molto da fare per promuovere la riconciliazione, rispettare i diritti umani di tutte le persone e superare le tensioni etniche che permangono. Desidero unirmi a voi nell’offrire una particolare parola di consolazione a tutti coloro che hanno perso i propri cari durante la guerra e restano nell’incertezza per la loro sorte. Ricordando l’appello di san Paolo a portare i fardelli gli uni degli altri (cfr.Gal 6, 2), possano le vostre comunità, salde nella fede, rimanere vicine a quanti ancora piangono e subiscono gli effetti duraturi della guerra.

Come avete osservato, i cattolici nello Sri Lanka desiderano contribuire, insieme ai diversi elementi della società, all’opera di riconciliazione e di ricostruzione. Uno di tali contributi è la promozione dell’unità. Di fatto, mentre il paese cerca di riunirsi e guarire, la Chiesa si trova in una posizione unica per offrire un’immagine vivente di unità nella fede, poiché ha la benedizione di poter contare tra le sue file sia cingalesi sia tamil. Nelle parrocchie e nelle scuole, cingalesi e tamil trovano opportunità per vivere, studiare, lavorare e rendere culto insieme. Attraverso quelle stesse entità, specialmente le parrocchie e le missioni, voi conoscete anche intimamente le preoccupazioni e le paure delle persone, in particolare il modo in cui possono essere emarginate e diffidare le une delle altre. I fedeli, consapevoli delle questioni che suscitano tensioni tra cingalesi e tamil, possono fornire un clima di dialogo che cerchi di costruire una società più giusta e più equa.

Un altro contributo importante della Chiesa al nuovo sviluppo è il suo lavoro caritativo, che mostra il volto misericordioso di Cristo.Caritas Sri Lanka va elogiata per il suo impegno dopo lo tsunami del 2004 e i suoi sforzi a favore della riconciliazione e della ricostruzione post-belliche, specialmente nelle regioni più colpite. La Chiesa nello Sri Lanka svolge anche un generoso servizio negli ambiti dell’educazione, dell’assistenza sanitaria e dell’aiuto ai poveri. Mentre il paese gode di un crescente sviluppo economico, questa testimonianza profetica di servizio e di compassione diventa ancor più importante: mostra che i poveri non vanno dimenticati, né si può permettere alla disuguaglianza di crescere. Piuttosto, il vostro ministero e il vostro impegno devono andare a favore dell’inclusione di tutti nella società, poiché «fino a quando non si eliminano l’esclusione e l’inequità nella società e tra i diversi popoli sarà impossibile sradicare la violenza» (Evangelii gaudium, n. 59).

Lo Sri Lanka è un paese non solo dalla ricca diversità etnica, ma anche dalle molteplici tradizioni religiose; ciò evidenzia l’importanza del dialogo interreligioso ed ecumenico per promuovere la conoscenza e l’arricchimento reciproci. I vostri sforzi a tale riguardo sono lodevoli e stanno dando frutto. Permettono alla Chiesa di collaborare più facilmente con gli altri per garantire una pace duratura e le assicurano la libertà nel perseguire i propri fini, specialmente educando i giovani nella fede e testimoniando liberamente la vita cristiana. Lo Sri Lanka, ha però anche assistito alla crescita degli estremisti religiosi che, promovendo un falso senso di unità nazionale basata su una singola identità religiosa, hanno creato tensioni attraverso vari atti d’intimidazione e violenza. Sebbene queste tensioni possano minacciare le relazioni interreligiose ed ecumeniche, la Chiesa nello Sri Lanka deve continuare a essere ferma nel cercare partner nella pace e interlocutori nel dialogo. Gli atti intimidatori colpiscono anche la comunità cattolica, e quindi è ancor più necessario confermare la gente nella fede. Le iniziative della Chiesa per sviluppare piccole comunità incentrate sulla Parola di Dio e promuovere la pietà popolare sono modi esemplari per assicurare i fedeli della vicinanza di Cristo e della sua Chiesa.

Nell’importante compito di trasmettere la fede e promuovere la riconciliazione e il dialogo siete aiutati in primo luogo dai vostri sacerdoti. Mi unisco a voi nel rendere grazie a Dio per le tante vocazioni sacerdotali che ha suscitato tra i fedeli nello Sri Lanka. Di fatto, i numerosi sacerdoti locali che servono il Popolo di Dio sono una grande benedizione e frutto diretto dei semi missionari piantati tanto tempo fa. Affinché i vostri sacerdoti possano offrire un degno servizio ed essere pastori autentici, vi esorto a prestare attenzione alla loro formazione umana, intellettuale, spirituale e pastorale, non soltanto negli anni della formazione in seminario, ma per tutta la loro vita di generoso servizio. Siate per loro veri padri, attenti ai loro bisogni e presenti nella loro vita, riconoscendo che spesso operano in situazioni difficili e con risorse limitate. Insieme a voi, li ringrazio per la loro fedeltà e la loro testimonianza, e li invito a una sempre maggiore santità attraverso la preghiera e la conversione quotidiana.

Mi unisco a voi anche nel rendere grazie a Dio Onnipotente per il ministero e la testimonianza degli uomini e delle donne consacrati e di tutti i laici che sostengono e servono gli apostolati della Chiesa e che vivono fedelmente la propria vita cristiana. Insieme al clero, e in comunione con voi quali Pastori delle Chiese locali, mostrano la potenza santificatrice dello Spirito Santo, che trasforma la Chiesa e rende tutti noi fermento per il mondo. La loro vocazione è fondamentale per la diffusione del Vangelo ed è sempre più importante, specialmente nelle vaste comunità rurali e nel campo dell’educazione, dove spesso mancano catechisti preparati. Poiché il ministero del Vescovo non viene mai svolto nell’isolamento, ma sempre in concerto con tutti i battezzati, vi incoraggio a continuare ad aiutare i fedeli a riconoscere i loro doni e a metterli al servizio della Chiesa.

Infine, apprezzo i vostri sforzi per servire la famiglia, quella «cellula fondamentale della società, [...] dove si impara a convivere nella differenza e ad appartenere ad altri e dove i genitori trasmettono la fede ai figli» (Evangelii gaudium, n. 66). La prossima Assemblea Ordinaria del Sinodo dei Vescovi parlerà della famiglia e cercherà modi sempre nuovi e creativi in cui la Chiesa può sostenere quelle chiese domestiche. Nello Sri Lanka la guerra ha lasciato tante famiglie dislocate e in lutto per la morte di persone care. Molti hanno perso l’impiego, e quindi le famiglie sono state separate poiché i coniugi lasciano la casa per trovare lavoro. C’è anche la grande sfida e la crescente realtà dei matrimoni misti, che richiedono una maggiore attenzione alla preparazione e all’assistenza delle coppie nell’offrire una formazione religiosa ai figli. Quando ci mostriamo attenti verso le nostre famiglie e i loro bisogni, quando comprendiamo le loro difficoltà e le loro speranze, rafforziamo la testimonianza della Chiesa e la sua proclamazione del Vangelo. Specialmente sostenendo l’amore e la fedeltà coniugale, aiutiamo i fedeli a vivere la loro vocazione liberamente e con gioia, e apriamo le nuove generazioni alla vita di Cristo e della sua Chiesa. Il vostro impegno a sostegno delle famiglie non aiuta soltanto la Chiesa, ma la società dello Sri Lanka nel suo insieme, in particolare nei suoi sforzi di riconciliazione e di unità. Vi esorto pertanto, a essere sempre vigili e a lavorare con le autorità governative e gli altri leader religiosi per assicurare che la dignità e il primato della famiglia vengano sostenuti.

Con questi sentimenti, cari Fratelli, vi affido all’intercessione di Nostra Signora di Lanka, ed estendo volentieri la mia Benedizione Apostolica a voi e a tutti gli amati sacerdoti, gli uomini e le donne consacrati e il popolo laico dello Sri Lanka.








[Modificato da Caterina63 06/05/2014 10:33]
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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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23/09/2014 20:44
 
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DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO
AI PRESULI DELLA CONFERENZA EPISCOPALE DEL GHANA
IN VISITA "AD LIMINA APOSTOLORUM"

Martedì, 23 settembre 2014


 

Cari Fratelli Vescovi,

Vi porgo un fraterno benvenuto in occasione della vostra visita ad limina Apostolorum. Possa il vostro pellegrinaggio alle tombe dei Santi Pietro e Paolo confermarvi nella fede e nella dedizione al vostro ministero, e rafforzare i vincoli di comunione tra la Chiesa in Ghana e la Sede di Pietro. Ringrazio il Vescovo Osei-Bonsu per aver espresso l’amore e la devozione dei vostri sacerdoti, religiosi e laici e, di fatto, di tutto il popolo ghanese. Vi chiedo di volerli gentilmente assicurare del costante ricordo nelle mie preghiere.

Il Ghana è benedetto da una popolazione che esprime con naturalezza e facilità la propria fede in Dio e che cerca di onorarlo nella varietà di tradizioni religiose presenti nel vostro Paese. Come pastori della Chiesa istituita dal Signore perché sia faro delle nazioni, offrite al vostro Paese Gesù Cristo, «la via, la verità e la vita» (Gv 14, 6). Lo fate dando testimonianza alla forza trasformatrice della sua grazia predicando la Buona Novella, celebrando i sacramenti e guidando il popolo di Dio con umiltà e dedizione. In questo mondo, la comunità cattolica in Ghana, fedele al comandamento del Signore e sotto la vostra guida, arricchisce la società proclamando la dignità di ogni persona umana e promovendone il pieno sviluppo umano. Infatti, solo in Gesù Cristo, crocifisso e risorto, la pienezza della nostra dignità e del nostro destino può essere vista e quindi fatta propria.

Il Sinodo per l’Africa del 2009 tra le principali preoccupazioni ha rilevato la necessità che i pastori della Chiesa cerchino di «mettere nel cuore degli Africani discepoli di Cristo la volontà di impegnarsi effettivamente a vivere il Vangelo nelle loro esistenze […]. Cristo chiama costantemente alla metanoia, alla conversione» (Africae munus, n. 32). Ciò, fratelli, esige in primo luogo la nostra conversione quotidiana, affinché tutti i nostri pensieri, le parole e le azioni siano ispirate e guidate dalla parola di Dio. Dobbiamo essere uomini profondamente trasformati dalla grazia di essere sempre più veri figli del Padre, fratelli del Figlio e padri della comunità guidata dallo Spirito Santo. Solo allora potremo dare una testimonianza credibile della «straordinaria grandezza della sua potenza verso di noi credenti» (Ef 1, 19), vivendo in santità, in unità e in pace. Dalla grazia di Cristo sperimentata nei nostri cuori convertiti nasce la forza spirituale che ci aiuta a promuovere la virtù e la santità nei nostri sacerdoti, nei religiosi e nelle religiose e nei laici.

L’opera di conversione e di evangelizzazione non è facile, ma dà frutti preziosi per la Chiesa e per il mondo. Dalla vitalità spirituale di tutti i fedeli scaturiscono le numerose attività caritative, mediche ed educative della Chiesa, nonché le sue opere di giustizia e di uguaglianza. I diversi servizi, svolti nel nome di Dio, specialmente a favore dei poveri e dei deboli, sono una responsabilità dell’intera Chiesa locale, sotto la orante supervisione dei vescovi. Penso in modo particolare all’importanza dell’apostolato della salute della Chiesa, non solo in Ghana, ma in tutta l’Africa Occidentale, che attualmente sta soffrendo per l’epidemia di Ebola. Prego per il riposo dell’anima di tutti coloro che sono morti per questa epidemia, tra i quali anche sacerdoti, religiosi e religiose, nonché operatori sanitari che hanno contratto questa terribile malattia mentre si prendevano cura dei sofferenti. Che Dio rafforzi tutti gli operatori sanitari e ponga fine a questa tragedia!

Vi chiedo in modo particolare di essere vicini ai vostri sacerdoti, sostenendoli come padri, alleviando i loro fardelli e guidandoli con tenerezza. Vi prego di trasmettere la mia sentita gratitudine a loro e a tutti i religiosi e le religiose in Ghana, dai quali dipende molto del necessario lavoro di evangelizzazione, per i loro sacrifici quotidiani. Chiedo al Signore di benedirli costantemente con dedizione, zelo e fedeltà.

Cari fratelli, la Chiesa in Ghana è giustamente rispettata per il contributo che dà allo sviluppo integrale delle persone e dell’intera nazione. Allo stesso tempo, spesso si trova priva delle risorse materiali necessarie per adempiere alla sua missione nel mondo. A tale riguardo, desidero fare due riflessioni. Anzitutto, è imperativo che qualunque mezzo temporale la Chiesa abbia a sua disposizione continui ad essere amministrato con onestà e responsabilità al fine di dare una buona testimonianza, specialmente laddove la corruzione ha ostacolato il giusto progresso della società. Il Signore certamente non mancherà di benedire e di moltiplicare le opere di coloro che gli sono fedeli. In secondo luogo, la povertà materiale può essere un’occasione per attirare maggiore attenzione sui bisogni spirituali della persona umana (cfr. Mt 5, 3), portando quindi a un più profondo affidamento al Signore, dal quale provengono tutte le cose buone. Mentre le vostre comunità giustamente compiono molti sforzi per alleviare gli estremi di povertà, anche la Chiesa è chiamata, a imitazione di Cristo, a lavorare con umiltà e onestà, usando i beni a sua disposizione per aprire le menti e i cuori alla ricchezza della misericordia e della grazia che scaturiscono dal cuore di Cristo.

Prego anche per i vostri catechisti laici, senza i quali l’opera di evangelizzazione sarebbe molto ridotta in Ghana. Vi incoraggio a migliorare e ad ampliare l’educazione e la preparazione offerta loro, affinché le loro fatiche possano portare a risultati concreti e duraturi. Quasi tre anni sono trascorsi da quando Papa Benedetto ha esortato i vescovi e i sacerdoti di tutto il continente africano «a prendersi cura della formazione umana, intellettuale, dottrinale, morale, spirituale e pastorale dei catechisti» (Africae munus, n. 126). È quindi opportuno domandare se, e in qual misura, abbiamo risposto a questo invito a incoraggiare e a formare la prossima generazione di uomini e donne che trasmetteranno la fede ed edificheranno sull’eredità dei nostri antenati. La sollecitudine per i catechisti esige anche, per una questione di giustizia naturale, attenzione per l’aiuto materiale e la ricompensa necessaria perché possano svolgere il loro compito.

Infine, cari fratelli, come San Paolo, desidero che andiate nelle città e nelle campagne, nei mercati e nelle vie, dando testimonianza di Cristo e mostrando a tutti il suo amore e la sua misericordia. Siate vicini agli altri leader cristiani e ai capi di altre comunità religiose. La cooperazione ecumenica e interreligiosa, quando viene svolta con rispetto e cuore aperto, contribuisce all’armonia sociale del vostro Paese e consente la crescita nella comprensione della dignità di ogni persona e una maggiore esperienza della vostra comune umanità. Per fortuna al Ghana sono state risparmiate tante delle divisioni tribali, etniche e religiose che hanno colpito troppe altre parti dell’Africa, un continente la cui promessa, in parte a causa di queste divisioni, deve ancora compiersi. Prego perché siate promotori sempre più grandi di unità e leader al servizio del dialogo! Possiate essere saldi nel sostenere l’insegnamento e la disciplina della Chiesa, e inflessibili nella vostra carità. E possa la vostra generosità nell’offrire Cristo essere pari solo alla vostra umile e paziente apertura agli altri.

Con queste riflessioni, cari fratelli Vescovi, affido tutti voi all’intercessione di Maria, Madre del Verbo di Dio e Nostra Signora d’Africa, e con grande affetto vi imparto la mia Benedizione Apostolica, che estendo volentieri a tutti gli amati sacerdoti, religiosi e fedeli laici del vostro Paese.


da: L'Osservatore Romano, ed. quotidiana, Anno CLIV, n.217, Merc. 24/09/2014



[Modificato da Caterina63 23/09/2014 23:11]
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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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  Francesco ai vescovi svizzeri: Chiesa non è semplice Ong




- OSS_ROM





01/12/2014 02:01



Che la Chiesa in Svizzera sia segno visibile del Corpo di Cristo e del suo popolo, non solo una bella organizzazione, un'altra Ong: così si è espresso Papa Francesco nel discorso consegnato ai vescovi svizzeri ricevuti in Vaticano in visita "ad Limina". Il servizio di Roberta Gisotti:


Parole chiare e dirette quelle di Francesco ai presuli della Svizzera, un Paese di pacifica “coesistenza culturale e religiosa” – ha ricordato il Papa – “sede di istituzioni internazionali importanti per la pace, il lavoro, la scienza e l’ecumenismo”, dove nonostante “molti abitanti si tengano distanti dalla fede, la maggioranza riconosce ai cattolici e ai protestanti un ruolo positivo nell’ambito sociale”. Ma “senza una fede viva in Cristo risorto” – qui il richiamo di Francesco ai presuli – “le belle chiese e i monasteri” come l’Abbazia di San Maurizio, che si appresta a celebrare 1500 anni di vita religiosa continuativa, “fatto eccezionale in tutta la Chiesa”, diventeranno poco a poco dei musei; tutte le encomiabili opere e istituzioni perderanno la loro anima lasciando solamente ambienti vuoti e gente abbandonata”.


“La vostra missione – ha detto Francesco ai vescovi svizzeri – è di pascere il gregge, camminando secondo le circostanze davanti, al centro o dietro”, perché “il popolo di Dio non può sussistere senza i suoi pastori, vescovi e preti”.


Da qui l’incoraggiamento di Francesco “ai presuli a dare una risposta chiara comune ai problemi della società, in un momento, dove molti, anche nella Chiesa, sono tentati di allontanarsi dalla reale dimensione sociale del Vangelo”, che - ribadisce Francesco – “ha una propria forza originaria per elaborare proposte”. Tocca quindi a noi di presentare questo messaggio completo e renderlo accessibile a tutti, senza oscurare la bellezza del Vangelo, anche a quanti incontrano difficoltà nella vita quotidiana o cercano un senso alla propria esistenza o si sono allontanati dalla Chiesa. I quali, “confusi o concentrati su se stessi, si lasciano sedurre da modi di pensare che negano deliberatamente la dimensione trascendente dell'uomo, della vita e dei rapporti umani, in particolare di fronte alla sofferenza e alla morte“. “La testimonianza dei cristiani e delle parrocchie – ha detto Papa Francesco – può davvero illuminare la loro strada e sostenere la loro ricerca della felicità. In questo modo la Chiesa in Svizzera può essere se stessa e non solo una bella organizzazione, un’altra ong”.


E, dunque, conclude il Papa bisogna “annunciare la buona Novella, non piegarsi ai capricci degli uomini”. “Molte volte – osserva il Papa - noi fatichiamo a rispondere senza renderci conto che i nostri interlocutori non cercano risposte”. Occorre piuttosto porre “interrogativi con la visione apostolica mai superata: ‘Questo è Gesù, Dio l’ha resuscitato, noi ne siamo testimoni’”.





Papa a vescovi lituani:
difendete famiglia da ideologie che la destabilizzano

Papa Francesco benedice una famiglia - L'Osservatore Romano

02/02/2015 

 

Impegnatevi a promuovere la famiglia, contrastando l’influsso di ideologie che vogliono destabilizzarla. E’ l’esortazione di Papa Francesco nel discorso consegnato ai vescovi della Lituania, ricevuti in occasione della visita "ad Limina". Il Pontefice ha rammentato l’eroicità dei presuli lituani durante gli anni bui del regime comunista ed ha messo in guardia da nuove insidie come secolarismo e relativismo. Ancora, Francesco ha esortato l’episcopato del Paese baltico a formare dei laici convinti che diano un valido apporto nella società civile. Il servizio di Alessandro Gisotti:

Dalla persecuzione comunista alle insidie del secolarismo
Grazie per l’“eroicità” con la quale avete “attraversato il triste periodo della persecuzione”. Il discorso di Papa Francesco esordisce evidenziando il grande ruolo che i vescovi della Lituania hanno avuto in difesa della libertà negli anni di regime comunista. Quindi, osserva che, se per lungo tempo, la Chiesa lituana “è stata oppressa da regimi fondati su ideologie contrarie alla dignità e alla libertà umana”, oggi deve confrontarsi con altre “insidie” quali il “secolarismo e il relativismo”. Correnti che, avverte, vanno affrontate in due modi: con un “annuncio instancabile del Vangelo e dei valori cristiani” e con “un dialogo costruttivo con tutti, anche con coloro che non appartengono alla Chiesa o sono lontani dall’esperienza religiosa”. Per questo, esorta, “le comunità cristiane siano sempre luoghi di accoglienza, di confronto aperto e costruttivo”.

Ideologie che vogliono destabilizzare famiglia
Il Papa rivolge, dunque, il pensiero al grande tema della famiglia e alle “sfide che è chiamata ad affrontare nel nostro tempo”. Francesco incoraggia i vescovi a “curare la pastorale familiare così che i coniugi sentano la vicinanza della comunità cristiana”. E annota che anche la Lituania, ora a pieno titolo nell’Unione Europea, è esposta “all’influsso di ideologie che vorrebbero introdurre elementi di destabilizzazione delle famiglie, frutto di un mal compreso senso di libertà personale”. Le secolari tradizioni lituane, soggiunge, “vi aiuteranno a rispondere” a tali sfide “secondo la ragione e secondo la fede”.

Formazione di laici convinti
Altro passaggio significativo del discorso è dedicato alla formazione di “laici convinti” che, evidenzia il Papa, “sappiano prendersi responsabilità all’interno della comunità ecclesiale e dare un valido apporto cristiano nella società civile”. I laici, ribadisce, vanno incoraggiati ad “essere presenti, con la forza di una fede adulta, in ambito civile, culturale, politico e sociale”. Il Pontefice non manca poi di chiedere ai vescovi una particolare attenzione per i seminaristi, i sacerdoti, le persone consacrate e richiama l’importanza dell’ “educazione alla povertà evangelica e alla gestione dei beni materiali secondo i principi della dottrina sociale della Chiesa”. Infine un pensiero ai poveri giacché - nonostante lo sviluppo economico - in Lituania ci sono “tanti bisognosi, disoccupati, malati, abbandonati”. Siate loro vicini, è l’esortazione di Francesco, non dimenticando quanti, “soprattutto tra i giovani” lasciano il Paese “e cercano di trovare una nuova strada all’estero”.

Dopo l'incontro con il Papa, Jan Walenty Malinowski ha sentito mons. Lionginas Virbalas, vescovo di Panevėžys:

R. – Siamo stati in visita "ad Limina": eravamo 11-10 vescovi e il cardinale. Abbiamo portato l’esperienza della nostra vita e della vita della Chiesa lituana, che è composta da sette diocesi. Abbiamo anche raccontato l’esperienza della tanta sofferenza ai tempi della persecuzione ateistica, ai tempi sovietici, ma adesso anche l’esperienza della vita in libertà, della vita delle parrocchie e dell’inserimento nelle scuole. Abbiamo chiesto anche l’aiuto e il parere del Papa su come andare avanti. Lui ci ha incoraggiato e ha incoraggiato specialmente i vescovi, perché siano veramente padri di tutti, ma soprattutto per i sacerdoti. Ha anche condiviso la sua esperienza argentina: quando i sacerdoti non sono abbastanza, prendono parte attivamente nella pastorale i laici, le suore, le religiose. Anche in Lituania molti sacerdoti si occupano di 2-3 parrocchie e questa necessità è sempre più urgente anche per noi: che i laici sempre di più assumano responsabilità in modo attivo e partecipino alla vita della Chiesa.

DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO 
AGLI ECC.MI PRESULI DELLA CONFERENZA EPISCOPALE DI LITUANIA, 
IN VISITA "AD LIMINA APOSTOLORUM"

Festa della Presentazione del Signore
Lunedì, 2 febbraio 2015

[Multimedia]


 

Cari Fratelli nell’Episcopato,

vi accolgo con gioia in occasione della vostra visita ad limina Apostolorum; saluto cordialmente ciascuno di voi e le Chiese particolari che il Signore ha affidato alla vostra paterna guida.

Siete venuti a Roma con la vostra giovinezza, ma anche con la vostra eroicità. Infatti, tra di voi ci sono alcuni giovani confratelli, ma soprattutto Presuli che hanno attraversato il triste periodo della persecuzione. Grazie per la vostra testimonianza a Gesù Cristo e per il vostro servizio al santo popolo di Dio!

La Lituania da sempre ha avuto Pastori vicini al proprio gregge e solidali con esso. Lungo la storia della Nazione, essi hanno accompagnato con premura la propria gente non soltanto nel cammino della fede e nell’affrontare le difficoltà materiali, ma anche nella costruzione civile e culturale della società, la quale trova il proprio sostrato storico e identitario nella forza del Vangelo e nell’amore alla Santissima Madre di Dio. Voi siete eredi di questa storia, di questo patrimonio di carità pastorale, e lo dimostrate con l’energia della vostra azione, la comunione che vi anima e la perseveranza nel perseguire le mete che lo Spirito vi indica.

Cari Fratelli, conosco le vostre fatiche apostoliche. Se per un lungo periodo la Chiesa nel vostro Paese è stata oppressa da regimi fondati su ideologie contrarie alla dignità e alla libertà umana, oggi dovete confrontarvi con altre insidie, quali ad esempio il secolarismo e il relativismo. Per questo, accanto ad un annuncio instancabile del Vangelo e dei valori cristiani, non va dimenticato un dialogo costruttivo con tutti, anche con coloro che non appartengono alla Chiesa o sono lontani dall’esperienza religiosa. Abbiate cura che le comunità cristiane siano sempre luoghi di accoglienza, di confronto aperto e costruttivo, stimolo per l’intera società nel perseguimento del bene comune.

So anche del vostro incessante impegno e della sollecitudine nei confronti del clero che Dio vi ha donato. Non dimenticate che occorre soprattutto pregare per avere da Dio preti generosi e capaci di sacrificio e dedizione. E anche laici convinti, che sappiano prendersi responsabilità all’interno della comunità ecclesiale e dare un valido apporto cristiano nella società civile, il Signore ve li darà, se pregherete per questo e se saprete incoraggiarli ad essere presenti, con la forza di una fede adulta, in ambito civile, culturale, politico e sociale.

Come sapete, in questo periodo tutta la Chiesa è impegnata in un cammino di riflessione sulla famiglia, sulla sua bellezza, sul suo valore, e sulle sfide che è chiamata ad affrontare nel nostro tempo. Incoraggio anche voi, come Pastori, a dare il vostro contributo in questa grande opera di discernimento, e soprattutto a curare la pastorale familiare, così che i coniugi sentano la vicinanza della comunità cristiana e siano aiutati a “non conformarsi alla mentalità di questo mondo ma a rinnovarsi continuamente nello spirito del Vangelo” (cfr Rm 12,2).

Infatti, anche il vostro Paese, che ormai è entrato a pieno titolo nell’Unione Europea, è esposto all’influsso di ideologie che vorrebbero introdurre elementi di destabilizzazione delle famiglie, frutto di un mal compreso senso della libertà personale. Le secolari tradizioni lituane al riguardo vi aiuteranno a rispondere, secondo la ragione e secondo la fede, a tali sfide.

Vorrei poi raccomandarvi una speciale attenzione per le vocazioni al sacerdozio e alla vita consacrata. Non si stanchi mai la Chiesa in Lituania di continuare a pregare per le vocazioni! Vi esorto, inoltre, a curare un’adeguata formazione, iniziale e permanente, dei sacerdoti, delle persone consacrate, dei seminaristi, prestando particolare attenzione alla loro vita spirituale e morale, nonché all’educazione alla povertà evangelica e alla gestione dei beni materiali secondo i principi della dottrina sociale della Chiesa. Amate i vostri presbiteri, cercate di essere molto disponibili quando vi cercano, e non aspettate sempre che siano loro a cercarvi, non lasciateli soli nelle difficoltà. Anche per i catechisti abbiate una cura particolare, trasmettendo loro con la vostra testimonianza la gioia di evangelizzare.

Infine, vi esorto alla sollecitudine per i poveri. Anche in Lituania, nonostante l’attuale sviluppo economico, ci sono tanti bisognosi, disoccupati, malati, abbandonati. Siate loro vicini. E non dimenticate quanti, soprattutto tra i giovani, per vari motivi lasciano il Paese e cercano di trovare una nuova strada all’estero. Il loro crescente numero e le loro esigenze richiedono attenzione e cura pastorale da parte della Conferenza Episcopale, affinché possano conservare la fede e le tradizioni religiose lituane.

Cari Fratelli, vi ringrazio per la vostra visita. Portate il mio saluto cordiale alle vostre Chiese particolari e a tutti i vostri connazionali. La Vergine Maria, particolarmente venerata nella vostra Nazione quale “Porta dell’Aurora” a Vilnius, come pure a Šiluva e in molte altre parti, interceda per la Chiesa in Lituania: protegga con il suo manto i sacerdoti, i religiosi, le religiose e tutti i fedeli e ottenga per ogni comunità la pienezza delle grazie del Signore. Vi assicuro il mio ricordo nella preghiera e confido nel vostro, mentre di cuore vi imparto la Benedizione Apostolica.

 


 
[Modificato da Caterina63 02/02/2015 18:29]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO 
AGLI ECC.MI PRESULI DELLA CONFERENZA EPISCOPALE DI GRECIA, 
IN VISITA "AD LIMINA APOSTOLORUM"

Giovedì, 5 febbraio 2015

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Cari Fratelli Vescovi,

vi saluto tutti con affetto in occasione della vostra visita ad limina. Questo vostro pellegrinaggio alle tombe degli Apostoli è sempre occasione privilegiata per rafforzare i vincoli di comunione con il Successore di Pietro e con l’intero Collegio episcopale, sparso in tutto il mondo. Questa unità favorisce fra di voi la comunione fraterna: essa è indispensabile anche per la crescita della Chiesa in Grecia, così come per il progresso dell’intera società. Ciò è ancora più vero nel vostro Paese, che in questo momento ha più che mai bisogno di dialogo tra le sue diverse componenti politiche e culturali, per la salvaguardia e la promozione del bene comune. Non mancate pertanto di spronare le persone affidate alla vostra cura episcopale a rendere ovunque una coraggiosa testimonianza di fraternità.

Tale diaconia della fraternità da una parte postula la custodia e il rafforzamento delle tradizioni culturali e delle radici cristiane della società ellenica, dall’altra richiede apertura verso i valori culturali e spirituali di cui sono portatori i numerosi migranti, in spirito di sincera accoglienza verso questi fratelli e sorelle, senza distinzione di razza, di lingua o di credo religioso. Le vostre comunità cristiane, mostrandosi veramente unite fra di loro e al tempo stesso aperte all’incontro e all’accoglienza, specialmente verso i più disagiati, possono contribuire realmente a trasformare la società, al fine di renderla più conforme all’ideale evangelico. Mi rallegra sapere che siete già impegnati in questa azione pastorale e caritativa, soprattutto in favore degli immigrati, anche irregolari, molti dei quali sono cattolici. Vi incoraggio di tutto cuore a proseguire con un rinnovato slancio evangelizzatore, coinvolgendo in questa opera specialmente i giovani: essi sono il futuro della Nazione.

Di fronte al perdurare della crisi economico-finanziaria, che ha colpito in modo particolarmente duro anche il vostro Paese, non stancatevi di esortare tutti alla fiducia nel futuro, contrastando la cosiddetta cultura del pessimismo. Lo spirito di solidarietà, che ogni cristiano è chiamato a testimoniare nella concretezza della vita quotidiana, costituisce un lievito di speranza. È importante che manteniate relazioni costruttive con le Autorità del vostro Paese, come pure con le diverse componenti della società, in modo da diffondere questa prospettiva di solidarietà, in un atteggiamento di dialogo e di collaborazione anche con gli altri Paesi europei.

In questo medesimo spirito, vi incoraggio a proseguire il dialogo interpersonale con i fratelli ortodossi, al fine di alimentare il necessario cammino ecumenico, imprescindibile prospettiva per un futuro di serenità e di fecondità spirituale per l’intera vostra Nazione.

Per portare avanti la missione di evangelizzazione e di promozione umana a cui è chiamata la Chiesa in Grecia, è irrinunciabile la presenza di un clero generoso e motivato. Pertanto, vi esorto ad incrementare, con adeguati strumenti, la pastorale vocazionale, per far fronte all’insufficienza numerica del clero. Al riguardo, vi chiedo di trasmettere ai sacerdoti delle vostre diocesi, molti dei quali sono anziani, tutto il mio affetto e il mio apprezzamento per il loro zelo apostolico, nonostante la ristrettezza dei mezzi.

Un apporto necessario e prezioso all’annuncio del Vangelo lo offrono gli Istituti di vita consacrata, ai quali vi invito a prestare la giusta attenzione, perché proseguano, nonostante le tante difficoltà, la propria missione nel Paese. Penso soprattutto all’ambito dell’istruzione scolastica, nel quale essi svolgono un considerevole lavoro. Allo scopo di rivitalizzare le comunità cristiane, siete chiamati a valorizzare il ruolo dei fedeli laici. La loro cooperazione al ministero dei Vescovi e dei presbiteri è indispensabile per affrontare le odierne sfide e quelle del futuro. Si tratta di curare adeguatamente la loro formazione, anche incrementando la presenza dei movimenti e delle associazioni ecclesiali. Questi, là dove sono ben guidati dai Pastori, suscitano dovunque apprezzamento per il loro impegno missionario e per la gioia cristiana che diffondono, lavorando sempre in sintonia con le linee pastorali delle Chiese particolari e ben inseriti nelle diocesi e nelle parrocchie.

L’indebolimento della famiglia, causato anche dal processo di secolarizzazione, richiede l’impegno della Chiesa a perseverare nei programmi di formazione al matrimonio, senza dimenticare il lavoro indispensabile con le nuove generazioni, per la loro formazione cristiana. Anche le persone anziane non siano assenti dalle vostre preoccupazioni; molte di loro si trovano oggi sole o abbandonate, perché la cultura dello scarto si sta purtroppo diffondendo un po’ dovunque. Non stancatevi di sottolineare con la parola e con le azioni che la presenza e la partecipazione degli anziani alla vita sociale è indispensabile per il buon cammino di un popolo.

Cari Fratelli Vescovi, desidero esprimervi il mio apprezzamento per il lavoro di evangelizzazione che, nonostante molteplici difficoltà, portate avanti in Grecia. Il riconoscimento giuridico della Chiesa Cattolica da parte delle competenti Autorità è un evento di grande rilievo, che vi aiuta a guardare con maggiore serenità al futuro, impegnandovi nell’oggi con un fiducioso dinamismo e con l’entusiasmo di coloro che sono testimoni del Signore morto e risorto. Vi incoraggio a perseverare con letizia evangelica nella vostra missione. Affido voi, i sacerdoti, le persone consacrate e tutti i fedeli laici delle vostre diocesi all’intercessione della Vergine Santa e, mentre vi chiedo di pregare per me e per il mio ministero, di cuore vi imparto la Benedizione Apostolica.





DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO
AGLI ECC.MI PRESULI UCRAINI IN VISITA "AD LIMINA APOSTOLORUM" 
 (VESCOVI DELLA CHIESA GRECO-CATTOLICA UCRAINA, VESCOVI DI RITO BIZANTINO E 
VESCOVI DELLA CONFERENZA EPISCOPALE UCRAINA)

Sala Clementina
Venerdì, 20 febbraio 2015

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Beatitudine, Signor Arcivescovo, 
cari Fratelli Vescovi,

vi do il benvenuto in questa casa che è anche la vostra casa. E voi lo sapete bene, perché il Successore di Pietro ha sempre accolto con fraterna amicizia i fratelli dell’Ucraina, Paese che, a ragione, si considera terra di confine fra gli eredi di Vladimiro e di Olga e quelli di Adalberto e delle grandi missioni carolinge, come pure di quelle che si richiamano ai santi Apostoli degli Slavi, Cirillo e Metodio. E prima ancora vi sono tradizioni, in parte documentate, che menzionano l’Apostolo Andrea e i due Papi martiri san Clemente e san Martino I. Siate i benvenuti, carissimi!

Con attenzione ho appreso dei vostri problemi, che non sono pochi, come pure dei vostri programmi pastorali. Li affidiamo con fiducia alla Madre di Dio e nostra, che su tutti veglia con tenero amore.

1. Vi trovate, come Paese, in una situazione di grave conflitto, che si sta protraendo da vari mesi e continua a mietere numerose vittime innocenti e causare grandi sofferenze all’intera popolazione. In questo periodo, come vi ho assicurato in più occasioni direttamente e tramite i Cardinali Inviati, sono particolarmente vicino a voi con la mia preghiera per i defunti e per tutti coloro che sono colpiti dalla violenza, con la supplica al Signore perché conceda presto la pace, e con l’appello a tutte le parti interessate perché siano applicate le intese raggiunte di comune accordo e sia rispettato il principio della legalità internazionale; in particolare, sia osservata la tregua recentemente sottoscritta e siano applicati tutti gli altri impegni che sono condizioni per evitare la ripresa delle ostilità.

Conosco le vicende storiche che hanno segnato la vostra terra e sono tuttora presenti nella memoria collettiva. Si tratta di questioni che in parte hanno una base politica, e alle quali non siete chiamati a dare risposta diretta; ma vi sono anche realtà socio-culturali e drammi umani che attendono il vostro diretto e positivo apporto.

In tali circostanze, ciò che è importante è ascoltare attentamente le voci che vengono dal territorio, dove vive la gente affidata alle vostre cure pastorali. Ascoltando il vostro popolo, voi vi fate solleciti verso i valori che lo caratterizzano: l’incontro, la collaborazione, la capacità di comporre le controversie. In poche parole: la ricerca della pace possibile. Questo patrimonio etico voi lo fecondate con la carità, l’amore divino che scaturisce dal cuore di  Cristo. So bene che, a livello locale, avete delle intese specifiche e pratiche fra di voi, eredi di due legittime tradizioni spirituali – quella orientale e quella latina –, come pure con gli altri cristiani presenti tra voi. Questo, oltre che un dovere, è anche un onore che vi deve essere riconosciuto.

2. A livello nazionale, voi siete cittadini a pieno titolo del vostro Paese, e perciò avete il diritto di esporre, anche in forma comune, il vostro pensiero circa i suoi destini. Non nel senso di promuovere una concreta azione politica, ma nell’indicazione e riaffermazione dei valori che costituiscono l’elemento coagulante della società ucraina, perseverando nell’instancabile ricerca della concordia e del bene comune, pur di fronte alle gravi e complesse difficoltà.

La Santa Sede è al vostro fianco, anche presso le istanze internazionali, per far comprendere i vostri diritti, le vostre preoccupazioni e i giusti valori evangelici che vi animano. Essa sta cercando, inoltre, in quali modi venire incontro alle necessità pastorali di quelle strutture ecclesiastiche che si sono trovate a dover affrontare anche nuove questioni giuridiche.

3. La crisi innescatasi nel vostro Paese ha avuto, come è comprensibile, gravi ripercussioni nella vita delle famiglie. A ciò si uniscono le conseguenze di quel malinteso senso di libertà economica che ha permesso il formarsi di un ristretto gruppo di persone che si sono enormemente arricchite a discapito della grande maggioranza dei cittadini. La presenza di tale fenomeno ha inquinato in varia misura, purtroppo, anche le istituzioni pubbliche. Ciò ha generato una iniqua povertà in una terra generosa e ricca.

Non stancatevi mai di fare presenti ai vostri concittadini le considerazioni che la fede e la responsabilità pastorale vi suggeriscono. Il senso di giustizia e di verità, prima che politico, è morale, e tale incombenza è affidata anche alla vostra responsabilità di Pastori. Quanto più sarete liberi ministri della Chiesa di Cristo, tanto più, pur nella vostra povertà, vi farete difensori delle famiglie, dei poveri, dei disoccupati, dei deboli, dei malati, degli anziani pensionati, degli invalidi, degli sfollati.

Vi incoraggio a rinnovare, con la grazia di Dio, il vostro zelo per l’annuncio del Vangelo nella società ucraina, e a sostenervi in questo gli uni gli altri con fattiva collaborazione. Possiate sempre avere lo sguardo del Cristo, che vedeva l’abbondanza della messe e chiedeva di pregare il Signore perché vi mandasse gli operai (cfr Mt 9,37-38). Ciò significa pregare e lavorare per le vocazioni al sacerdozio e alla vita consacrata, e significa al tempo stesso curare attentamente la formazione del clero, dei religiosi e delle religiose, al servizio di una conoscenza più profonda e organica della fede all’interno del popolo di Dio.

4. Vorrei, inoltre, consegnarvi un’ulteriore riflessione circa le relazioni tra voi fratelli nell’episcopato. Conosco le complesse vicende storiche che pesano sui rapporti reciproci, come pure alcuni aspetti di carattere personale.

Rimane indiscutibile il fatto che entrambi gli episcopati sono cattolici e sono ucraini, pur nella diversità di riti e tradizioni. A me personalmente fa male sentire che vi siano incomprensioni e ferite. C’è bisogno di un medico, e questo è Gesù Cristo, che ambedue servite con generosità e di tutto cuore. Siete un corpo unico e, come vi è stato detto in passato da san Giovanni Paolo IIe da Benedetto XVI, vi esorto a mia volta a trovare fra voi la maniera di accogliervi l’un l’altro e sostenervi generosamente nelle vostre fatiche apostoliche.

L’unità dell’Episcopato, oltre a dare buona testimonianza al Popolo di Dio, rende un’inestimabile servizio alla Nazione, sia sul piano culturale e sociale, sia, soprattutto, su quello spirituale. Siete uniti nei valori fondamentali e avete in comune i tesori più preziosi: la fede e il popolo di Dio. Vedo, perciò, di somma importanza le riunioni comuni dei Vescovi di tutte le Chiese sui iuris presenti in Ucraina. Siate sempre generosi nel parlarvi tra fratelli!

Sia come greco-cattolici che come latini siete figli della Chiesa Cattolica, che anche nelle vostre terre per un lungo periodo è stata soggetta al martirio. Il sangue dei vostri testimoni, che per voi intercedono dal Cielo, sia ulteriore motivo che vi sospinge verso la vera comunione dei cuori. Unite le vostre forze e sostenetevi a vicenda, facendo delle vicende storiche un motivo di condivisione e di unità. Ben radicati nella comunione cattolica, potrete portare avanti con fede e pazienza anche l’impegno ecumenico, perché crescano l’unità e la cooperazione tra tutti i cristiani.

5. Sono certo che le vostre decisioni, in accordo con il Successore di Pietro, sapranno farsi carico delle aspettative di tutto il vostro Popolo. Vi invito tutti a governare le Comunità a voi affidate assicurando il più possibile la vostra presenza e la vostra vicinanza ai sacerdoti e ai fedeli.

Auspico che possiate avere rapporti rispettosi e proficui con le pubbliche Autorità.

Vi esorto ad essere attenti e premurosi verso i poveri: essi sono la vostra ricchezza. Voi siete Pastori di un gregge affidatovi da Cristo; siatene sempre ben consapevoli, anche nei vostri organi interni di autogoverno. Questi vanno sempre intesi come strumenti di comunione e di profezia. In tal senso, auspico che le vostre intenzioni e le vostre azioni siano sempre orientate al bene generale delle Chiese affidatevi. In questo vi guidi, come è sempre stato, l’amore delle vostre Comunità, nel medesimo spirito che ha sostenuto gli Apostoli, dei quali siete legittimi successori.

Vi sostenga nella vostra opera il ricordo e l’intercessione dei tanti martiri e dei santi che la grazia del Signore Gesù ha suscitato tra voi. La materna protezione della Beata Vergine vi rassicuri nel vostro cammino incontro al Cristo che viene, rafforzando i vostri propositi di comunione e di collaborazione. E, mentre vi chiedo di pregare per me, con affetto imparto una speciale Benedizione Apostolica a voi, alle vostre Comunità e alla cara popolazione dell’Ucraina.

   

 

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Inediti. Il discorso dell’arcivescovo maggiore ucraino al papa

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ucr

Parlando stamane ai giornalisti nella sede della Radio Vaticana, l’arcivescovo maggiore della Chiesa greco-cattolica ucraina Svjatoslav Shevchuk ha ribadito che l’espressione “guerra fratricida” applicata al conflitto “ferisce la sensibilità degli ucraini”, anche perché dà ragione in pieno a come la Russia distorce la realtà.

Il fatto è che questa espressione l’aveva usata proprio il papa, il 4 febbraio, davanti a migliaia di persone.

Incontrando le autorità vaticane e poi il 20 febbraio lo stesso Francesco, i vescovi ucraini in visita “ad limina” hanno fatto di tutto per spiegare che essa contraddice la realtà delle cose, non trattandosi affatto di una guerra civile, ma “dell’aggressione diretta di un paese vicino”, la Russia.

In effetti, nel fiacco discorso ufficiale consegnato dal papa ai vescovi durante l’udienza del 20 febbraio, l’espressione “guerra fratricida” non c’è più.

Ma nemmeno c’è, nel discorso di Francesco, qualsiasi accenno a un’aggressione esterna, né qualche traccia consistente dell’appassionata perorazione a lui rivolta, all’inizio dell’incontro, dall’arcivescovo maggiore Shevchuk, a nome di tutti.

Di solito, dopo ogni visita “ad limina”, “L’Osservatore Romano” riporta l’indirizzo rivolto dai vescovi al papa, o almeno lo riassume.

Con i vescovi greco-cattolici ucraini, invece niente. Non una riga. Ha dovuto consegnare il suo discorso ai giornalisti, tre giorni dopo, lo stesso Shevchuk.

È riprodotto integralmente più sotto e ciascuno può confrontarlo con il concomitante discorso del papa:

> Beatitudine, Signor Arcivescovo, cari Fratelli Vescovi…

Shevchuk ha riferito ai giornalisti che Francesco, conversando con i vescovi ucraini, ha detto loro di essere “spalla a spalla con voi nella vostra sofferenza attuale e al vostro servizio”. E ha giustificato la neutralità del discorso papale col proposito di lasciare lo spazio aperto a una futura, eventuale mediazione vaticana.

Intanto, però, i russi e i filorussi continuano a vedere il papa schierato dalla loro parte, anche dopo il suo discorso del 20 febbraio.

Questo, almeno, è ciò che si ricava da una nota su Interfax a firma di Vasiliy Anisimov, capo ufficio stampa della Chiesa ortodossa ucraina del patriarcato di Mosca.

A giudizio di costui, papa Francesco ha fatto benissimo a definire “guerra fratricida” il conflitto in Ucraina, in perfetto accordo con Mosca e all’opposto della “falsa propaganda” delle autorità di Kiev.

*

DISCORSO DI SUA BEATITUDINE SVJATOSLAV SHEVCHUK,
ARCIVESCOVO MAGGIORE DELLA CHIESA UCRAINA GRECO-CATTOLICA,
AL SANTO PADRE

Roma, 20 febbraio 2015

“Mi faceva urlare il gemito del mio cuore. Ogni mio desiderio sta davanti a te!” (Salmo 37, 9-10).

Santo Padre!

Queste parole del salmista esprimono i più profondi sentimenti dei pastori della nostra Chiesa, i quali, con filiale devozione e gratitudine, hanno accolto l’invito di Vostra Santità di venire a Roma in un pellegrinaggio alle sante tombe degli Apostoli e per vivere più da vicino la salutare comunione della nostra Chiesa con il Successore di Pietro.

Commentando le parole del Salmo sul desiderio del cuore, Sant’Agostino afferma: “Se il tuo desiderio è davanti a lui, il Padre, che vede nel segreto, lo esaudirà” (Agostino sul Salmo 37, 13-14). Il nostro desiderio di questo pellegrinaggio è di presentare a Lei, Santo Padre, i gemiti, i dolori e le speranze che lo Spirito Santo trasforma nel cuore del nostro popolo in preghiera continua per la pace e la cessazione della violenza nella nostra amata Patria.

L’Ucraina è vittima dell’aggressione diretta di un paese vicino. Vive gli orrori della guerra che gli sono stati imposti dall’esterno e non a causa di un conflitto civile interno. I milioni di vittime innocenti di questa guerra ingiusta urlano nel loro cuore a Dio chiedendo giustizia e solidarietà. Questo gemito del loro cuore, giorno e notte, sta davanti al Signore!

Secondo le statistiche dell’ONU, in Ucraina, oggi, abbiamo più di un milione di sfollati e profughi, ma la cifra reale è doppia. Quasi 600 mila profughi si trovano sul territorio di altri paesi. Fra coloro che sono stati costretti a lasciare le loro case, ci sono circa 140 mila bambini. Le cifre confermate attestano che i civili uccisi sono quasi 6 mila persone e fra di loro 60 bambini. I feriti sono 12.500 persone di cui 160 i bambini. Nelle condizioni climatiche dell’inverno ucraino tale situazione è diventata una catastrofe umanitaria mai vista in Europa dopo la seconda guerra mondiale.

Ma tutta la società ucraina è ferita, in quanto gli scontri militari non incidono solo sul corpo delle persone, ma feriscono gravemente lo spirito umano, provocando un fenomeno che gli psicologi chiamano sindrome da disordine post-traumatico, una piaga che è divenuta ormai una realtà pastorale quotidiana nelle nostre comunità che, se non viene assistita, provoca più morti che i missili di fabbricazione russa.

In questa situazione di grave emergenza, sempre più difficile, la nostra Chiesa, letteralmente, è divenuta un “ospedale da campo”. Ogni giorno oltre 40 mila persone ricevono l’assistenza necessaria presso i nostri centri della “Caritas Ucraina”, hanno la possibilità di essere serviti dalla Chiesa e sentirsi amati e ricordati da Dio. Le nostre parrocchie, i monasteri e le comunità eparchiali sono diventati centri di preghiera continua, centri di accoglienza e di servizio al prossimo, centro di volontariato nei quali, secondo le statistiche dello Stato, ha già partecipato quasi l’80 per cento della popolazione ucraina. Tutte le nostre strutture, che con il Vostro appoggio, Santttà, si sviluppano in Ucraina, danno la possibilità ai nostri vescovi, con nuovo slancio, coraggio e spesso sofferenza, di annunciare il Vangelo, curare le anime di tutti i bisognosi, nella loro azione pastorale e anche ecumenica.

La società ucraina “ha aperto le porte alla Chiesa”, è desiderosa di ascoltare la sua voce, in quanto percepisce che solo la Chiesa, in questa situazione di confusione e di disorientamento, emana la luce della speranza ed è un punto di riferimento stabile e sicuro in un mondo che sembra “cadere a pezzi”. Ogni parola dei capi delle Chiese cristiane è ascoltata con grande attenzione e serietà, è meditata con profonda riflessione e trasformata in azione sociale. Sentiamo che il Signore ci sta aprendo, in queste situazioni drammatiche, vie misteriose di evangelizzazione, sta rivelando all’uomo moderno che proprio la Chiesa di Cristo è sua Madre e Maestra autentica.

Santità!

È nel nome della Chiesa Greco-Cattolica Ucraina, rappresentata qui dai suoi pastori, e di tutto il popolo del nostro paese, che con una grande attenzione segue la nostra visita, che vogliamo esprimere i sentimenti della più sincera gratitudine alla Santità Vostra per la premura paterna nei confronti della nostra Chiesa e di tutto il paese. La ringraziamo di cuore per essere voce di coloro che soffrono in Ucraina, voce che risveglia le coscienze dei cristiani, in tutto il mondo. Grazie per la vostra preghiera continua che ci accompagna e dimostra che il Signore sta sempre dalla parte non dei potenti ma degli umili e sofferenti.

Ssntità! Abbiamo portato a Lei un desiderio profondo del nostro cuore che si è trasformato in una preghiera. Le presentiamo un invito da parte di cristiani cattolici e ortodossi e di uomini di buona volontà di visitare l’Ucraina in un tempo opportuno! “Come sono belli i piedi del messaggero che annuncia la pace!” (Isaia 52, 7-10), dice il profeta. Siamo sicuri che la Sua visita porterà la pace in quella parte dell’Europa orientale impregnata dal sangue di tanti martiri per l’unità della Chiesa: sarebbe un gesto profetico per manifestare la forza della preghiera e della solidarietà cristiana, ci darebbe coraggio e speranza, per costruire un futuro migliore per tutti.

Santo Padre! Ci benedica!

*

Sui precedenti dell’incontro del 20 febbraio tra il papa e i vescovi greco-cattolici ucraini:

> Aggrediti da Mosca e abbandonati da Roma









[Modificato da Caterina63 25/02/2015 23:52]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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16/03/2015 15:04
 
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DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO 
AGLI ECC.MI PRESULI DELLA CONFERENZA EPISCOPALE 
DI BOSNIA ED ERZEGOVINA IN VISITA “AD LIMINA APOSTOLORUM”

Lunedì, 16 marzo 2015

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Signor Cardinale, 
cari Fratelli Vescovi,

l’esperienza spirituale della visita alle Tombe degli Apostoli e dell’incontro con il Vescovo di Roma è sempre un momento intenso di fede e di comunione. Vi porgo il mio cordiale benvenuto e vi ringrazio per avermi portato l’affetto delle vostre Chiese e dei popoli della Bosnia ed Erzegovina. Per parte mia, sono ansioso di recarmi nella vostra Patria il prossimo sei giugno e gustare con la vostra gente quanto è bello e soave che i fratelli si trovino insieme (cfr Sal 133,1).

Ho potuto leggere con attenzione e partecipazione i vostri rapporti, con le vostre speranze, i vostri progetti; e, insieme a voi, ho pregato per tutti gli abitanti del Paese e per quanti sono stati costretti dai non lontani eventi bellici, dalla disoccupazione e dalla mancanza di prospettive a rifugiarsi all’estero.

1. Quella dell’emigrazione è giustamente una delle realtà sociali che vi stanno molto a cuore. Essa evoca la difficoltà del ritorno di tanti vostri concittadini, la scarsità di fonti di lavoro, l’instabilità delle famiglie, la lacerazione affettiva e sociale di intere comunità, la precarietà operativa di diverse parrocchie, le memorie ancora vive del conflitto, sia a livello personale che comunitario, con le ferite degli animi ancora doloranti. So bene che ciò suscita, nel vostro animo di Pastori, amarezza e preoccupazione. Il Papa e la Chiesa sono con voi con la preghiera e il fattivo sostegno dei vostri programmi a favore di quanti abitano i vostri territori, senza alcuna distinzione. Vi incoraggio, perciò, a non risparmiare le vostre energie per sostenere i deboli, aiutare – nei modi che vi sono possibili – quanti hanno legittimi e onesti desideri di rimanere nella propria terra natale, sovvenire alla fame spirituale di chi crede nei valori indelebili, nati dal Vangelo, che lungo i secoli hanno alimentato la vita delle vostre comunità. Animati dal balsamo della fede, dal vostro esempio e dalla vostra predicazione, essi potranno rafforzare la propria determinazione al bene. In tale opera vi sono di indispensabile aiuto i vostri presbiteri, che mi dite essere generosi, operosi e convinti pastori del gregge loro affidato.

2. La società in cui vivete ha una dimensione multiculturale e multietnica. E a voi è consegnato il compito di essere padri di tutti, pur nelle ristrettezze materiali e nella crisi in cui vi trovate ad agire. Il vostro cuore sia sempre largo ad accogliere ognuno, come il cuore di Cristo sa ospitare in sé – con amore divino – ogni essere umano.

Ogni comunità cristiana sa di essere chiamata ad aprirsi, a riflettere nel mondo la luce del Vangelo; non può rimanere chiusa soltanto nell’ambito delle proprie pur nobili tradizioni. Essa esce dal proprio “recinto”, salda nella fede, sostenuta dalla preghiera e incoraggiata dai propri pastori, per vivere e annunciare la vita nuova di cui è depositaria, quella di Cristo, Salvatore di ogni uomo. In tale prospettiva, incoraggio le iniziative che possono allargare la presenza della Chiesa al di là del perimetro liturgico, assumendo con fantasia ogni altra azione che possa incidere nella società apportandovi il fresco spirito del Vangelo. Ogni persona ha bisogno, anche senza saperlo, di incontrare il Signore Gesù.

Nei vostri orientamenti, cercate di promuovere una solida pastorale sociale nei confronti dei fedeli, specie i giovani, per far sì che si formino coscienze disposte a rimanere nei propri territori da protagonisti e responsabili della ricostruzione e della crescita del vostro Paese, dal quale non possono aspettarsi solo di ricevere. In questo lavoro educativo-pastorale, la dottrina sociale della Chiesa è di valido aiuto. E’ anche questo un modo per superare vecchie incrostazioni materialistiche che tuttora persistono nella mentalità e nel comportamento di alcuni settori della società in cui vivete.

3. Il vostro ministero, cari Fratelli, assume diverse dimensioni: pastorale, ecumenica, interreligiosa. Grazie alle vostre relazioni, ho potuto rendermi meglio conto dell’intenso lavoro che portate avanti in questi ambiti, lavoro che sempre esprime la vostra paternità nei confronti del popolo a voi affidato. Vi incoraggio ricordandovi che, pur nel rispetto di tutti, ciò non vi esime dal dare aperta e franca testimonianza dell’appartenenza a Cristo.

I sacerdoti, i religiosi e le religiose e i fedeli laici, che vivono a stretto contatto con cittadini di differenti tradizioni religiose, vi possono offrire validi consigli circa il vostro comportamento e le vostre parole, a partire dalla loro saggezza e dalla loro esperienza in comunità miste. Ritengo che un simile approccio sapienziale possa recare semi e frutti di pacificazione, di comprensione e anche di collaborazione.

4. Un ulteriore aspetto da voi presentato e che intendo evocare, elogiando la vostra sensibilità pastorale, è quello della relazione  tra il vostro clero e quello religioso. Conosco per esperienza diretta la complessità di questi rapporti, come pure le difficoltà di armonizzazione dei rispettivi carismi. Ma il fatto più importante  è che in entrambe le dimensioni dell’unico sacerdozio si è sempre perseguita l’unica missione: servire il Regno di Cristo. E ciò va a lode e onore di queste forze apostoliche, le quali dedicano ogni propria energia a tale servizio. Ricordo ciò che san Giovanni Paolo II, con ispirate parole, disse a Sarajevo nel corso della sua visita dell’aprile 1997; mi sembra che siano profetiche anche oggi: il Vescovo è padre: sa che ogni dono perfetto viene da Dio (cfrDiscorso ai Vescovi, 13 aprile 1997, 4).

In questo Anno dedicato alla Vita Consacrata dobbiamo evidenziare come tutti i carismi e i ministeri sono destinati alla gloria di Dio e alla salvezza di tutti gli uomini, vigilando a che essi siano effettivamente orientati all’edificazione del Regno di Dio e non inquinati da finalità parziali, che si esercitino in un regime di umana e fraterna comunione, sopportando i pesi gli uni degli altri (cfr Gal 6,2) con spirito di servizio.

5. Infine, permettetemi una parola personale fra Vescovi, come si conviene in piena carità. Mi sono note le vicende storiche che rendono diversa la Bosnia dall’Erzegovina in molti ambiti. E tuttavia voi siete un corpo unico: voi siete i Vescovi cattolici in comunione col Successore di Pietro, in un luogo di frontiera. Sgorga spontanea dal mio cuore una parola sola: voi siete in comunione. Pur se talvolta imperfetta, tale comunione va perseguita con vigore a tutti i livelli, al di là delle peculiari individualità.

Occorre agire in base all’appartenenza al medesimo Collegio Apostolico; altre considerazioni passano in secondo piano e vanno analizzate alla luce della cattolicità della vostra fede e del vostro ministero.

Cari Fratelli, in attesa di incontrare a Sarajevo la vostra gente, desidero dirvi la carità, l’attenzione e la vicinanza della Chiesa di Roma nei vostri confronti, eredi di tanti martiri e confessori, che lungo la travagliata e secolare storia del vostro Paese hanno conservato viva la fede.

Questi sono i sentimenti che con tanta cordialità vi esprimo e che vi prego di trasmettere alle vostre comunità, chiedendo ad esse una preghiera per il mio ministero e partecipando loro la Benedizione Apostolica che imparto a voi con affetto fraterno.

    








Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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22/11/2015 09:11
 
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DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO 
AGLI ECC.MI PRESULI DELLA CONFERENZA EPISCOPALE DELLA REPUBBLICA FEDERALE DI GERMANIA
IN VISITA "AD LIMINA APOSTOLORUM"

Venerdì, 20 novembre 2015

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Cari confratelli,

sono lieto di potervi salutare qui in Vaticano, in occasione della vostra Visita ad limina. Il pellegrinaggio alle tombe degli Apostoli è un momento importante nella vita di ogni Vescovo. Significa un rinnovamento del vincolo con la Chiesa universale, la quale procede attraverso lo spazio e il tempo come popolo di Dio in cammino, portando fedelmente il patrimonio della fede nel corso dei secoli e a tutti i popoli. Ringrazio di cuore il Presidente della Conferenza Episcopale Tedesca, il Cardinale Reinhard Marx, per le sue cortesi parole di saluto. A tutti voi esprimo la mia riconoscenza perché mi aiutate a portare avanti il Ministero di Pietro tramite la vostra preghiera e il vostro operato nelle Chiese particolari. Vi ringrazio in modo speciale per il grande sostegno che la Chiesa in Germania, attraverso molti opere caritative, offre agli uomini in tutto il mondo.

Attualmente stiamo vivendo un tempo eccezionale. Centinaia di migliaia di profughi sono venuti in Europa o si sono messi in marcia in cerca di rifugio dalla guerra e dalla persecuzione. Le Chiese cristiane e molti singoli cittadini del vostro Paese prestano un enorme aiuto per accogliere queste persone dando loro assistenza e vicinanza umana. Nello spirito di Cristo vogliamo continuare ad affrontare la sfida del grande numero di bisognosi. Nello stesso tempo sosteniamo tutte le iniziative umanitarie per far sì che le condizioni di vita nei Paesi di origine diventino più sopportabili.

Le comunità cattoliche in Germania sono molto differenti tra est e ovest, ma anche tra nord e sud. Dappertutto la Chiesa si impegna con professionalità in ambito sociale e caritativo ed è molto attiva anche nel campo scolastico. Bisogna assicurare che in queste istituzioni sia curato il profilo cattolico; in tal modo esse sono un fattore positivo, e da non sottovalutare, per la costruzione di una società vivibile. D’altra parte, si nota particolarmente nelle regioni di tradizione cattolica un calo molto forte della partecipazione alla Messa domenicale, nonché della vita sacramentale. Dove negli anni sessanta ovunque ancora quasi ogni fedele partecipava tutte le domeniche alla Santa Messa, oggi sono spesso meno del 10 per cento. Ai Sacramenti ci si accosta sempre di meno. Il sacramento della Penitenza è spesso scomparso. Sempre meno cattolici ricevono la Cresima o contraggono un Matrimonio cattolico. Il numero delle vocazioni al ministero sacerdotale e alla vita consacrata è nettamente diminuito. Considerati questi fatti si può parlare veramente di una erosione della fede cattolica in Germania.

Che cosa possiamo fare? Prima di tutto bisogna superare la rassegnazione che paralizza. Certamente non è possibile ricostruire dai relitti dei “bei tempi andati” quello che fu ieri. Possiamo, però, lasciarci ispirare dalla vita dei primi cristiani. Basta pensare a Priscilla ed Aquila, quei collaboratori fedeli di san Paolo. Come coppia di sposi testimoniarono, con parole convincenti (cfr At 18,26), ma soprattutto con la loro vita, che la verità, fondata sull’amore di Cristo per la sua Chiesa, è veramente degna di fede. Aprirono la loro casa per l’annuncio del Vangelo e trassero forza dalla Parola di Dio per la propria missione. L’esempio di questi “volontari” ci può far riflettere, considerata la tendenza ad una crescente istituzionalizzazione. Vengono inaugurate strutture sempre nuove, per le quali alla fine mancano i fedeli. Si tratta di una sorta di nuovo pelagianesimo, che ci porta a riporre la fiducia nelle strutture amministrative, nelle organizzazioni perfette. Un’eccessiva centralizzazione, anziché aiutare, complica la vita della Chiesa e la sua dinamica missionaria (cfr Evangelii gaudium, 32). La Chiesa non è un sistema chiuso che gira sempre intorno alle stesse domande e interrogativi. La Chiesa è viva, si presenta agli uomini nella loro realtà, sa inquietare, sa animare. Ha un volto non rigido, ha un corpo che si muove, cresce e prova sentimenti: è il corpo di Gesù Cristo.

L’imperativo attuale è la conversione pastorale, cioè fare in modo che «le strutture della Chiesa diventino tutte più missionarie, che la pastorale ordinaria in tutte le sue istanze sia più espansiva e aperta, che ponga gli agenti pastorali in costante atteggiamento di ‘uscita’ e favorisca così la risposta positiva di tutti coloro ai quali Gesù offre la sua amicizia» (Evangelii gaudium, 27).Certamente, le condizioni nella società di oggi non sono del tutto favorevoli. Prevale una certa mondanità. Questa mondanità deforma le anime, soffoca la coscienza della realtà: una persona mondana vive in un mondo artificiale, che lei stessa si costruisce. Si circonda come di vetri oscurati per non vedere fuori. È difficile raggiungerla. Dall’altra parte, ci dice la fede che è Dio ad agire per primo. Questa certezza ci conduce, per prima cosa, alla preghiera. Preghiamo per gli uomini e le donne delle nostre città, delle nostre diocesi, e preghiamo anche per noi stessi, affinché Dio ci mandi un raggio della carità divina attraverso i nostri vetri oscurati toccando i cuori, perché intendono il suo messaggio. Dobbiamo stare tra la gente con l’ardore di quelli che hanno accolto il Vangelo per primi. E «ogni volta che cerchiamo di tornare alla fonte e recuperare la freschezza originale del Vangelo spuntano nuove strade, metodi creativi, altre forme di espressione, segni più eloquenti, parole cariche di rinnovato significato per il mondo attuale. In realtà, ogni autentica azione evangelizzatrice è sempre ‘nuova’» (Evangelii gaudium, 11). In questo modo si possono aprire nuove vie e forme di catechesi per aiutare i giovani e le famiglie ad una riscoperta autentica e gioiosa della fede comune della Chiesa.

In tale contesto della nuova evangelizzazione è indispensabile che il Vescovo svolge diligentemente il suo incarico quale maestro della fede – della fede trasmessa e vissuta nella comunione viva della Chiesa universale – nei molteplici campi del suo ministero pastorale. Come padre premuroso, il Presule accompagnerà le Facoltà teologiche aiutando i docenti a riscoprire la grande portata ecclesiale della loro missione. La fedeltà alla Chiesa e al magistero non contraddice la libertà accademica, ma esige un umile atteggiamento di servizio ai doni di Dio. Il sentire cum Ecclesia deve contraddistinguere in modo particolare coloro che educano e formano le nuove generazioni. Inoltre, la presenza delle Facoltà teologiche presso gli Istituti di educazione statali è una grande opportunità per far avanzare il dialogo con la società. Utilizzate bene anche l’Università Cattolica di Eichstätt con la sua Facoltà teologica e i suoi vari dipartimenti scientifici. Essendo l’unica Università Cattolica del vostro Paese, tale Istituto è di grande valore per tutta la Germania, e sarebbe quindi auspicabile un adeguato impegno di tutta la Conferenza Episcopale per rafforzare la sua importanza sovraregionale e per promuovere lo scambio interdisciplinare sulle questioni attuali e future secondo lo spirito del Vangelo.

Rivolgendo poi lo sguardo alle comunità parrocchiali, nelle quali si sperimenta e si vive maggiormente la fede, la vita sacramentale deve stare a cuore al Vescovo in modo particolare. Vorrei sottolineare solo due punti: la Confessione e l’Eucaristia. L’imminente Giubileo Straordinario della Misericordia offre l’opportunità di far riscoprire il sacramento della Penitenza e Riconciliazione. La Confessione è il luogo dove si riceve in dono il perdono e la misericordia di Dio. Nella Confessione ha inizio la trasformazione di ogni singolo fedele e la riforma della Chiesa. Confido che si darà maggiore attenzione a questo sacramento, così importante per un rinnovamento spirituale, nei piani pastorali diocesani e parrocchiali durante l’Anno Santo e anche dopo. È altrettanto necessario evidenziare sempre l’intimo nesso tra Eucaristia e Sacerdozio. Piani pastorali che non attribuiscono adeguata importanza ai sacerdoti nel loro ministero di governare, insegnare e santificare riguardo alla struttura e alla vita sacramentale della Chiesa, sulla base dell’esperienza sono destinati al fallimento.

La preziosa collaborazione di fedeli laici, soprattutto là dove mancano le vocazioni, non può diventare un surrogato del ministero sacerdotale o farlo addirittura sembrare un semplice “optional”. Senza sacerdote non c’è l’Eucaristia.


E la pastorale vocazionale comincia con l’ardente desiderio nei cuori dei fedeli di avere sacerdoti. Infine, un compito del Vescovo che è mai abbastanza apprezzato è l’impegno per la vita. La Chiesa non deve stancarsi mai di essere l’avvocata della vita e non deve fare passi indietro nell’annuncio che la vita umana sia è proteggere incondizionatamente dal momento del concepimento fino alla morte naturale. Qui non possiamo mai fare compromessi, senza diventare anche noi stessi colpevoli della cultura dello scarto, purtroppo largamente diffusa. Quanto grandi sono le ferite che la nostra società deve subire per lo scarto dei più deboli e più indifesi – la vita nascitura come pure gli anziani e i malati! Tutti noi alla fine ne porteremo le conseguenze dolorose.

Cari confratelli, auspico che gli incontri con la Curia Romana in questi giorni possano illuminare il cammino delle vostre Chiese particolari nei prossimi anni, aiutandovi a riscoprire sempre meglio il vostro grande patrimonio spirituale e pastorale. Così potrete portare avanti con fiducia il vostro apprezzato lavoro nella missione della Chiesa universale. Vi chiedo di continuare a pregare per me, affinché con l’aiuto di Dio possa svolgere il mio ministero petrino. Altrettanto affido voi all’intercessione della Beata Vergine Maria, degli Apostoli Pietro e Paolo, nonché di tutti i Beati e Santi della vostra terra. Di cuore imparto la Benedizione Apostolica a voi e ai fedeli delle vostre Diocesi.





Papa Francesco scuota i vescovi tedeschi e denuncia l’ «erosione della fede cattolica in Germania», visto «il calo molto forte della partecipazione alla Messa domenicale», mentre il «sacramento della penitenza è spesso scomparso». Ne ha parlato durante la recente visita ad limina della Conferenza episcopale tedesca. 

Papa FrancescoUn articolo pubblicato sul Frankfurter Allgemeine Zeitunge che risale all’inizio del 2015 dava conto di un’indagine commissionata dalla Chiesa cattolica tedesca all'Istituto Allensbach sulla vita di fede in Germania. I risultati furono talmente deludenti che si pensò bene di non renderli pubblici, tuttavia quell’articolo dava alcuni dati che parlavano chiaro.  Il 60% dei fedeli, tanto per citarne uno, diceva di non credere in una vita dopo la morte, e solo un terzo credeva nella Resurrezione di Cristo.

Il numero dei praticanti poi è in costante e progressivo calo, dimolto inferiore al numero dei battezzati, si parla di circa 3milioni di fedeli, un risicato 10% sul totale. Un dato che ha ricordato anche Papa Francesco nel discorso che venerdì ha tenuto proprio ai vescovi tedeschi in “visita ad limina”. «Si nota particolarmente nelle regioni di tradizione cattolica [tedesca, NdA] un calo molto forte della partecipazione alla Messa domenicale, nonché della vita sacramentale», ha ricordato il Papa ai vescovi. «Dove negli anni Sessanta ovunque ancora quasi ogni fedele partecipava tutte le domeniche alla Santa Messa, oggi sono spesso meno del 10 per cento. Ai Sacramenti ci si accosta sempre di meno. Il sacramento della Penitenza è spesso scomparso. Sempre meno cattolici ricevono la Cresima o contraggono un Matrimonio cattolico. Il numero delle vocazioni al ministero sacerdotale e alla vita consacrata è nettamente diminuito. Considerati questi fatti si può parlare veramente di una erosione della fede cattolica in Germania».

Le parole di Papa Francesco fotografano con realismo disarmante una situazione davvero difficile. Senon bastasse possiamo ricordare en passant un’altra indagine pubblicata in questo 2015 e che ha fatto un certo scalpore. Anche questa è stata commissionata dalla Conferenza episcopale e ha riguardato oltre 8.000 “operatori pastorali” in tutta la Germania. Il dato che ha fatto più riflettere è stato certamente il 54% dei preti che ha dichiarato di confessarsi solo una volta all’anno (o anche meno frequentemente). «Che cosa possiamo fare?», ha domandato il Papa ai vescovi. Innanzitutto fare in modo che «le strutture della Chiesa diventino tutte più missionarie» e «stare tra la gente con l’ardore di quelli che hanno accolto il Vangelo per primi». 

Sul piano dei sacramenti il Papa ha ricordato l’occasione del Giubileo della Misericordia per farriavvicinare i fedeli alla Confessione, perché, ha detto Francesco, «nella Confessione ha inizio la trasformazione di ogni singolo fedele e la riforma della Chiesa. Confido che si darà maggiore attenzione a questo sacramento, così importante per un rinnovamento spirituale, nei piani pastorali diocesani e parrocchiali durante l’Anno Santo e anche dopo». Un richiamo a una vita spirituale più intensa, mettendo in guardia i presuli dalla piaga della  “mondanità” che attanaglia in particolare il nostro mondo occidentale e «deforma le anime, soffoca la coscienza della realtà: una persona mondana vive in un mondo artificiale», ha detto il Papa. Questo richiamo viene offerto ad una Chiesa particolarmente ricca, basti pensare che la diocesi di Monaco-Frisinga, retta dal cardinale Marx, uno dei più stretti collaboratori del Papa nel famoso C9, ha speso qualcosa come 8 milioni di euro per ristrutturare il bellissimo palazzo barocco arcivescovile e 130 milioni di euro per un centro servizi multifunzionale diocesano. 

D’altra parte la Chiesa tedesca è una delle più ricche al mondo, anche grazie al perdurare dellaKirchensteuer, la tassa moralmente obbligatoria per i fedeli che rende alle casse qualcosa come 4-5 miliardi di euro all’anno, e la Chiesa è anche il secondo datore di lavoro dopo lo Stato Federale. Una chiesa quindi molto ricca di struttura, ma che ha a che fare con quella che il Papa ha definito una vera e propria «erosione della fede». Anche Benedetto XVI, che la Germania la consoce bene, nel suo viaggio del 2011 aveva detto: «In Germania la Chiesa è organizzata in modo ottimo. Ma, dietro le strutture, vi si trova anche la relativa forza spirituale, la forza della fede nel Dio vivente?».

La risposta in un certo senso la dà oggi papa Bergoglio quando, senza mezzi termini, dice ai vescovitedeschi che «vengono inaugurate strutture sempre nuove, per le quali alla fine mancano i fedeli. Si tratta di una sorta di nuovo pelagianesimo, che ci porta a riporre la fiducia nelle strutture amministrative, nelle organizzazioni perfette». Pare proprio che la mondanità non riguardi solo certi ambienti che vengono dipinti come resistenti alle novità pastorali, ma anche quelle Chiese più aperte, addirittura ritenute “progressiste”.





[Modificato da Caterina63 22/11/2015 09:13]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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