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Le Visite ad Limina Apostolorum ed eventuali discorsi del Pontefice ai Vescovi

Ultimo Aggiornamento: 22/11/2015 09:13
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21/06/2013 16:01
 
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DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO
AI PARTECIPANTI ALLE GIORNATE DEDICATE AI RAPPRESENTANTI PONTIFICI
Sala Clementina
Venerdì, 21 giugno 2013




 

Cari Confratelli,

queste giornate, nell’Anno della fede, sono un’occasione che il Signore offre per pregare insieme, per riflettere insieme e per vivere un momento fraterno. Ringrazio il Cardinale Bertone per le parole che mi ha rivolto a nome di tutti, ma vorrei ringraziare ciascuno di voi per il vostro servizio che mi aiuta nella sollecitudine per tutte le Chiese, in quel ministero di unità che è centrale per il Successore di Pietro. Voi mi rappresentate nelle Chiese sparse in tutto il mondo e presso i Governi, ma vedervi oggi così numerosi mi dà anche il senso della cattolicità della Chiesa, del suo respiro universale. Grazie di vero cuore! Il vostro lavoro è un lavoro – la parola che mi viene è “importante”, ma è una parola formale – ; il vostro lavoro è più che importante, è un lavoro di fare la Chiesa, di costruire la Chiesa. Fra le Chiese particolari e la Chiesa universale, tra i Vescovi e il Vescovo di Roma. Non siete intermediari, piuttosto siete mediatori, che con la mediazione fate la comunione. Alcuni teologi studiando l’ecclesiologia, parlano di Chiesa locale e dicono che i Rappresentanti Pontifici e i Presidenti delle Conferenze Episcopali fanno una Chiesa locale che non è di istituzione divina, è organizzativa ma aiuta ad andare avanti la Chiesa. E il lavoro più importante è quello della mediazione, e per mediare è necessario conoscere. Non conoscere soltanto le carte – che è molto importante leggere carte e sono tante – ma conoscere le persone. Perciò io considero che il rapporto personale tra il Vescovo di Roma e voi sia una cosa essenziale. È vero c’è la Segreteria di Stato che ci aiuta, ma quest’ultimo punto, il rapporto personale, è importante. E dobbiamo farlo, da ambedue le parti.

Ho pensato a questa riunione e vi offro dei semplici pensieri su alcuni aspetti, direi esistenziali, del vostro essere Rappresentanti Pontifici. Sono cose sulle quali ho riflettuto nel mio cuore, soprattutto pensando di mettermi accanto a ciascuno di voi. In questo incontro, non vorrei dirvi parole meramente formali o parole di circostanza; farebbero male a tutti, a voi e a me. Quello che vi dico adesso viene dal di dentro, ve lo assicuro, e mi sta a cuore.

1. Anzitutto vorrei sottolineare che la vostra è una vita di nomadi. L’ho pensato tante volte: poveri uomini! Ogni tre, quattro anni per i Collaboratori, un po’ di più per i Nunzi, voi cambiate posto, passate da un Continente all’altro, da un Paese all’altro, da una realtà di Chiesa ad un’altra, spesso molto diversa; siete sempre con la valigia in mano. Mi pongo la domanda: che cosa dice a tutti noi questa vita? Che senso spirituale ha? Direi che dà il senso del cammino, che è centrale nella vita di fede, a iniziare da Abramo, uomo di fede in cammino: Dio gli chiede di lasciare la sua terra, le sue sicurezze, per andare, affidandosi a una promessa, che non vede, ma che conserva semplicemente nel cuore come speranza che Dio gli offre (cfr Gen 12,1-9). E questo comporta due elementi, a mio parere. Anzitutto la mortificazione, perché davvero, andare con la valigia in mano è una mortificazione, il sacrificio di spogliarsi di cose, di amici, di legami e iniziare sempre di nuovo. E questo non è facile; è vivere nel provvisorio, uscendo da se stessi, senza avere un luogo dove mettere radici, una comunità stabile, eppure amando la Chiesa e il Paese che siete chiamati a servire. Un secondo aspetto che comporta questo essere nomadi, sempre in cammino, è quello che ci viene descritto nel capitolo undicesimo della Lettera agli Ebrei. Elencando gli esempi di fede dei padri, l’autore afferma che essi videro i beni promessi e li salutarono da lontano - è bella questa icona -, dichiarando di essere pellegrini su questa terra (cfr 11,13). E’ un grande merito una vita così, una vita come la vostra, quando si vive con l’intensità dell’amore, con la memoria operante della prima chiamata.

2. Vorrei fermarmi un momento sull’aspetto di “guardare da lontano”, guardare le promesse da lontano, salutarle da lontano. Che cosa guardavano da lontano i padri dell’Antico Testamento? I beni promessi da Dio. Ciascuno di noi si può domandare: qual è la mia promessa? A che cosa guardo? Che cosa cerco nella vita? Quello che la memoria fondante ci spinge a cercare è il Signore, Lui è il bene promesso. Questo non deve sembrarci mai qualcosa di scontato. Il 25 aprile 1951, in un celebre discorso, l’allora Sostituto della Segreteria di Stato, Mons. Montini, ricordava che la figura del Rappresentante Pontificio «è quella di uno che ha veramente la coscienza di portare Cristo con sé», come il bene prezioso da comunicare, da annunciare, da rappresentare. I beni, le prospettive di questo mondo finiscono per deludere, spingono a non accontentarsi mai; il Signore è il bene che non delude, l'unico che non delude. E questo esige un distacco da se stessi che si può raggiungere solo con un costante rapporto con il Signore e l’unificazione della vita attorno a Cristo. E questo si chiama familiarità con Gesù. La familiarità con Gesù Cristo dev’essere l’alimento quotidiano del Rappresentante Pontificio, perché è l’alimento che nasce dalla memoria del primo incontro con Lui e perché costituisce anche l’espressione quotidiana di fedeltà alla sua chiamata. Familiarità con Gesù Cristo nella preghiera, nella Celebrazione eucaristica, da non tralasciare mai, nel servizio della carità.

3. C’è sempre il pericolo, anche per gli uomini di Chiesa, di cedere a quella che io chiamo, riprendendo un’espressione di De Lubac, la “mondanità spirituale”: cedere allo spirito del mondo, che conduce ad agire per la propria realizzazione e non per la gloria di Dio (cfr Meditazione sulla Chiesa, Milano 1979, p. 269), a quella sorta di “borghesia dello spirito e della vita” che spinge ad adagiarsi, a ricercare una vita comoda e tranquilla. Agli Alunni della Pontificia Accademia Ecclesiastica ho ricordato come per il beato Giovanni XXIII, il servizio quale Rappresentante Pontificio sia stato uno degli ambiti, e non secondario, in cui prese forma la sua santità, e citavo alcuni passaggi del Giornale dell’Anima che si riferivano proprio a questo lungo tratto del suo ministero. Egli affermava di avere compreso sempre di più che, per l’efficacia della sua azione, doveva potare continuamente la vigna della sua vita da ciò che è solo fogliame inutile e andare diritto all’essenziale, che è Cristo e il suo Vangelo, altrimenti si rischia di volgere al ridicolo una missione santa (Giornale dell’Anima, Cinisello Balsamo 2000, pp. 513-514). E’ una parola forte questa del ridicolo, ma è vera: cedere allo spirito mondano espone soprattutto noi Pastori al ridicolo; potremo forse ricevere qualche applauso, ma quelli stessi che sembreranno approvarci, poi ci criticheranno alle spalle. Questa è una regola comune.

Ma noi siamo Pastori! E questo non lo dobbiamo dimenticare mai! Voi, cari Rappresentanti Pontifici, siete presenza di Cristo, siete presenza sacerdotale, di Pastori. Certo, non insegnerete ad una porzione particolare del Popolo di Dio che vi è stata affidata, non sarete a guida di una Chiesa locale, ma siete Pastori che servono la Chiesa, con ruolo di incoraggiare, di essere ministri di comunione, e anche con il compito, non sempre facile, del richiamare. Fate sempre tutto con profondo amore! Anche nei rapporti con le Autorità civili e i Colleghi voi siete Pastori: ricercate sempre il bene, il bene di tutti, il bene della Chiesa e di ogni persona. Ma questo lavoro pastorale, come ho detto, si fa con la familiarità con Gesù Cristo nella preghiera, nella Celebrazione eucaristica, nelle opere di carità: lì è presente il Signore. Ma da parte vostra si deve fare anche con professionalità, e sarà come il vostro – mi viene da dire una parola – il vostro cilicio, la vostra penitenza: fare sempre con professionalità le cose, perché la Chiesa vi vuole così. E quando un Rappresentante Pontificio non fa le cose con professionalità, perde anche autorità.

Vorrei concludere dicendo anche una parola su uno dei punti importanti del vostro servizio come Rappresentanti Pontifici, almeno per la stragrande maggioranza: la collaborazione alle provviste episcopali. Voi conoscete la celebre espressione che indica un criterio fondamentale nella scelta di chi deve governare: si sanctus est oret pro nobis, si doctus est doceat nos, si prudens est regat nos - se è Santo preghi per noi, se è dotto ci insegni, se è prudenteci governi. Nel delicato compito di realizzare l’indagine per le nomine episcopali siate attenti che i candidati siano Pastori vicini alla gente: questo è il primo criterio. Pastori vicini alla gente. E’ un gran teologo, una grande testa: che vada all’Università, dove farà tanto bene!.
Pastori! Ne abbiamo bisogno! Che siano, padri e fratelli, siano miti, pazienti e misericordiosi; che amino la povertà, interiore come libertà per il Signore e anche esteriore come semplicità e austerità di vita, che non abbiano una psicologia da “Principi”. Siate attenti che non siano ambiziosi, che non ricerchino l’episcopato; si dice che il Beato Giovanni Paolo II in una prima udienza che aveva avuto con il Cardinale Prefetto della Congregazione dei Vescovi, questi gli ha fatto la domanda sul criterio di scelta dei candidati all’Episcopato e il Papa con la sua voce particolare: «Il primo criterio: volentes nolumus». Quelli che ricercano l’Episcopato… no, non va.

E che siano sposi di una Chiesa, senza essere in costante ricerca di un’altra.
Siano capaci di “sorvegliare” il gregge che sarà loro affidato, di avere cioè cura per tutto ciò che lo mantiene unito; di “vigilare” su di esso, di avere attenzione per i pericoli che lo minacciano; ma soprattutto siano capaci di “vegliare” per il gregge, di fare la veglia, di curare la speranza, che ci sia sole e luce nei cuori, di sostenere con amore e con pazienza i disegni che Dio attua nel suo popolo. Pensiamo alla figura di san Giuseppe che veglia su Maria e Gesù, alla sua cura per la famiglia che Dio gli ha affidato, e allo sguardo attento con cui la guida nell’evitare i pericoli. Per questo i Pastori sappiano essere davanti al gregge per indicare la strada, in mezzo al gregge per mantenerlo unito, dietro al gregge per evitare che qualcuno rimanga indietro e perché lo stesso gregge ha, per così dire, il fiuto nel trovare la strada. Il pastore deve muoversi così!


Cari Rappresentanti Pontifici, sono solo alcuni pensieri, che mi vengono dal cuore, ho pensato tanto prima di scrivere questo: questo l’ho scritto io! Ho pensato tanto e ho pregato. Questi pensieri mi vengono dal cuore, con i quali non pretendo di dire cose nuove - no, nessuna delle cose che ho detto è nuova - ma sui quali vi invito a riflettere per il servizio importante e prezioso che prestate a tutta la Chiesa. La vostra è una vita spesso difficile, a volte in luoghi di conflitto – lo so bene: ho parlato con uno di voi in questo tempo, due volte. Quanto dolore, quanta sofferenza! Un continuo pellegrinaggio senza la possibilità di mettere radici in un posto, in una cultura, in una specifica realtà ecclesiale. Ma è una vita che cammina verso le promesse e le saluta da lontano. Una vita in cammino, ma sempre con Gesù Cristo che vi tiene per mano. Questo è sicuro: Lui vi tiene per mano. Grazie ancora per questo! Noi sappiamo che la nostra stabilità non sta nelle cose, nei propri progetti o nelle ambizioni, ma nell’essere veri Pastori che tengono fisso lo sguardo su Cristo. Ancora una volta grazie! Per favore, vi chiedo di pregare per me, perché ne ho bisogno. Che il Signore vi benedica e la Madonna vi custodisca. Grazie.


[SM=g1740733]

ha ragione Papa Francesco a dire: non ho detto nulla di nuovo..... rinfreschiamo la memoria a certo clero....


Card. Ratzinger: nella Chiesa non dovrebbe esistere alcun senso di carrierismo. Essere vescovo non deve essere considerato una carriera con diversi gradini, da una sede all’altra, ma un servizio molto umile

Il mistero e l’operazione della grazia

«È importante questa operazione della grazia. Noi siamo tutti contagiati un po’ dal deismo. Mentre Dio, facendosi uomo, entrando nella carne, unendosi alla carne, continua a operare nel mondo trasformandolo». Intervista con il cardinale Joseph Ratzinger, prefetto della Congregazione per la dottrina della fede


Intervista con il cardinale Joseph Ratzinger di Gianni Cardinale


È un primo e importante passo nel dialogo tra cattolici e luterani per un pieno accordo sulla dottrina della giustificazione. Permangono tuttavia questioni che non sono ancora risolte. Rimane poi il grave compito di rendere questa dottrina comprensibile per l’uomo di oggi. Il cardinale Joseph Ratzinger, prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, non perde il suo consueto realismo anche nel commentare il penultimo passo dell’iter che il prossimo autunno porterà la Chiesa cattolica e la comunità luterana a firmare una Dichiarazione congiunta sulla dottrina della giustificazione.

Lo scorso 11 giugno infatti, a Ginevra, sono stati presentati una Dichiarazione ufficiale comune e un Allegato che faranno parte integrante della Dichiarazione congiunta. Successivamente, il 22 giugno, il Pontificio consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani ha emesso un ulteriore comunicato sulla questione. All’indomani della diffusione di questo documento il cardinale bavarese ha accettato di concedere sull’argomento un’intervista a 30Giorni (e non si è tirato indietro di fronte ad alcune domande fuori tema…). Ratzinger, 72 anni, nominato arcivescovo di Monaco e Frisinga e creato cardinale nel 1977 da Paolo VI, è attualmente l’unico porporato europeo creato da papa Montini che siederebbe in un eventuale conclave. Convocato a Roma da papa Wojtyla nel 1981, presiede da allora l’ex Sant’Uffizio. Dal novembre dello scorso anno è anche vicedecano del Collegio cardinalizio.

Eminenza, a che livello si situa questo accordo tra Chiesa cattolica e luterani? Si sottolinea più volte che si tratta di un accordo “su” verità e non “sulle” verità della dottrina della giustificazione…


JOSEPH RATZINGER: Questo è un punto importante. Entrambe le parti hanno sottolineato il fatto che non si ha semplicemente un consenso sulla dottrina della giustificazione come tale ma su verità fondamentali della dottrina della giustificazione. Quindi ci sono settori dove c’è realmente un’intesa, ma rimangono altri problemi che non sono ancora risolti.


Quali, ad esempio?


RATZINGER: Non si tratta delle formule prese in se stesse, ma considerate nel loro contesto, come nel caso di quella simul iustus et peccator.

Per Lutero, perseguitato dal timore della condanna eterna, era importante sapere che, anche se era un peccatore, era tuttavia amato da Dio e giustificato. Per lui c’è questa contemporaneità: di essere vero peccatore e di essere totalmente giustificato.
È una espressione della sua esperienza personale, che poi è stata approfondita anche con riflessioni teologiche.
Mentre per la Chiesa cattolica è importante sottolineare che non c’è un dualismo. Se uno non è giusto non è neanche giustificato.
La giustificazione, cioè la grazia che ci viene data nel sacramento, rende il peccatore nuova creatura, come dice san Paolo. Ma rimane, come afferma il Concilio di Trento, la concupiscenza, cioè una tendenza al peccato, uno stimolo che porta al peccato, ma che, come tale, non è peccato. Queste sono controversie classiche.
Il problema diventa più reale se prendiamo in considerazione la presenza della Chiesa nel processo della giustificazione, la necessità del sacramento della penitenza. Qui si rivelano le vere divergenze.

Nella Risposta della Chiesa cattolica alla Dichiarazione congiunta, resa pubblica lo scorso anno, si chiedeva appunto di approfondire questo argomento…


RATZINGER: Sì, ma in questo momento non è possibile. Da entrambe le parti ci siamo accontentati di chiarire alcune formule classiche. Abbiamo lasciato da parte gli aspetti che nella vita cristiana seguono, diciamo così, la giustificazione.


Torniamo alla formula simul iustus et peccator. C’è una interpretazione di questa formula secondo cui la grazia non opera un cambiamento reale, rimane una mera copertura del peccato dell’uomo…


RATZINGER: Sì. In questo senso è importante notare che Dio agisce realmente nell’uomo. Lo trasforma, crea qualcosa di nuovo nell’uomo, non dà soltanto un giudizio quasi giuridico, esterno all’uomo. Ciò ha una portata molto più generale. C’è una trasformazione del cosmo e del mondo. Penso ad esempio all’Eucarestia.

Noi cattolici diciamo che c’è una transustanziazione, che la materia diventa Cristo. Lutero parla invece di coesistenza: la materia rimane tale e coesiste con Cristo.
Noi cattolici crediamo che la grazia è una vera trasformazione dell’uomo e una trasformazione iniziale del mondo e non è, come lei dice bene, soltanto una copertura aggiunta che non entra realmente nel vivo della realtà umana.

Il poeta francese Charles Péguy circa un secolo fa coglieva la radice della scristianizzazione nel fatto di non riconoscere l’operazione della grazia…


RATZINGER: È importante questa operazione della grazia. Noi siamo tutti contagiati un po’ dal deismo. Dio rimane un po’ fuori. Mentre la fede cattolica – questa grande fiducia, questa grande gioia che Dio, facendosi uomo, entrando nella carne, unendosi alla carne, continua a operare nel mondo trasformandolo – ha la potenza, la volontà, la radicalità dell’amore, per entrare nel nostro essere e trasformarlo.


Avvenire ha accolto la Dichiarazione ufficiale comune dell’11 giugno col titolo Cattolici-luterani, scomuniche addio. Il 22 giugno un comunicato del Pontificio consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani ha ricordato che le scomuniche mantengono «“il significato di salutari avvertimenti” di cui dobbiamo tener conto nella dottrina e nella prassi». Insomma, che fine hanno fatto le scomuniche di Trento?


RATZINGER: Il documento dice che le scomuniche di Trento in questo settore non toccano la dottrina così come è esposta oggi. Nello stesso tempo il valore veritativo delle scomuniche, comunque, rimane quello. Chi si oppone alla dottrina esposta a Trento si oppone alla dottrina, alla fede della Chiesa.


Eppure nella Risposta della Chiesa cattolica dello scorso anno si affermava: «…rimane quindi difficile vedere come si possa affermare che questa dottrina sul simul iustus et peccator, allo stato attuale della presentazione che se ne fa nella Dichiarazione congiunta, non sia toccata dagli anatemi dei decreti tridentini sul peccato originale e sulla giustificazione».


RATZINGER: All’epoca, il testo della Dichiarazione congiunta non era ancora sufficientemente preciso da permettere un pieno accordo. Adesso con questo nuovo Allegato reso noto lo scorso 11 giugno abbiamo ottenuto delle chiarificazioni che vanno realmente oltre.

Adesso si dice esplicitamente che il peccato è una realtà personale, e che quindi l’uomo non è peccatore in senso reale se non commette un peccato personale. Con questo Allegato, che è un elemento molto importante, abbiamo ottenuto le chiarificazioni che mancavano ancora nella Dichiarazione congiunta.

Che impressione fa che il primo accordo con i luterani riguardi proprio il tema della giustificazione che fu l’elemento scatenante della Riforma?


RATZINGER: Si capisce che per i luterani fosse il punto di partenza di un dialogo, perché era il tema che, come lei ha detto, ha scatenato tutta l’onda della Riforma. Quindi cominciare da qui per poi allargare il consenso era naturale e anche necessario.

Anche se oggi, nella vita di ogni giorno, i cristiani sono poco consapevoli di questo punto (anche tra i luterani, se si chiede cosa si intende per giustificazione, le riposte saranno molto manchevoli; e questo ci ha permesso un clima di serenità, un clima pacifico di discussione, perché non è più una ferita attiva), rimane il punto da cui scaturiscono tutti gli altri problemi. Quindi, per avere un cammino anche logico di priorità ecumenica, era ovvio cominciare da quello che per Lutero era il punto della scoperta riformatrice.

Non è preoccupante che non solo nel mondo protestante, ma anche nel mondo cattolico, questo tema della giustificazione sia considerato lontano o non considerato affatto?


RATZINGER: Questo è il vero problema. Nella Risposta della Chiesa cattolica dello scorso anno stava scritto: «Dovrebbe essere preoccupazione comune di luterani e cattolici trovare un linguaggio capace di rendere la dottrina della giustificazione più comprensibile anche agli uomini del nostro tempo».

Penso che la quasi assenza di questa dottrina è causata da un indebolimento del senso di Dio. Se Dio è preso sul serio, il peccato è una cosa seria. E così era per Lutero. Adesso Dio è abbastanza lontano, il senso di Dio è molto attenuato e perciò anche il senso della grazia è attenuato. Adesso dobbiamo trovare insieme in questo contesto attuale il modo di annunciare Dio, Cristo, di annunciare così la bellezza della grazia.
Perché se non c’è senso di Dio, se non c’è senso del peccato, la grazia non dice niente.
E mi sembra questo il nuovo compito ecumenico: che insieme possiamo capire e interpretare in un modo accessibile, che tocca il cuore dell’uomo di oggi, cosa vuol dire che il Signore ci ha redenti, ci ha dato la grazia.

Eminenza, permette alcune “domande extra”, al di fuori del tema trattato finora?


RATZINGER: Prego.


Nel numero di aprile 30Giorni ha pubblicato un’intervista al cardinale Bernardin Gantin, nella quale il decano del Sacro Collegio auspicava un ritorno alla prassi antica che proibiva il trasferimento di un vescovo da una diocesi all’altra. Cosa pensa a riguardo?


RATZINGER: Sono totalmente d’accordo con il cardinale Gantin.

Soprattutto nella Chiesa non dovrebbe esistere alcun senso di carrierismo. Essere vescovo non deve essere considerato una carriera con diversi gradini, da una sede all’altra, ma un servizio molto umile.
Penso che anche la discussione sull’accesso al ministero sarebbe molto più serena se si vedesse nell’episcopato non una carriera ma un servizio. Anche una sede umile, con pochi fedeli, è un servizio importante nella Chiesa di Dio. Certo, ci possono essere casi eccezionali: una grandissima sede in cui è necessario avere esperienza del ministero episcopale, in questo caso può darsi… Ma non dovrebbe essere una prassi normale; solo in casi eccezionalissimi.
Rimane valida questa visione del rapporto vescovo-diocesi come un matrimonio che implica una fedeltà. Anche il popolo cristiano pensa così: se un vescovo viene nominato in una diocesi, giustamente si vede questo come una promessa di fedeltà. Purtroppo anche io non sono rimasto fedele essendo stato convocato qui…

Il cardinale Gantin auspicava anche un cambiamento del Codice di diritto canonico che proibisse il passaggio di diocesi…


RATZINGER: È pensabile, benché difficile. Difficilmente si cambia il Codice a solo sedici anni dalla pubblicazione. In futuro vedrei anch’io bene che fosse aggiunta una frase su questa unicità e fedeltà di un impegno diocesano.


Cambiamo argomento. Non molto tempo fa hanno fatto un certo scalpore alcune frasi scritte da lei nell’introduzione di un libretto della Congregazione per la dottrina della fede Sulla pastorale dei divorziati risposati pubblicato dalla Libreria Editrice Vaticana. In particolare ha colpito l’affermazione che il dicastero che lei presiede sta studiando la questione se «veramente ogni matrimonio tra due battezzati è ipso facto un matrimonio sacramentale» vista la scristianizzazione dilagante di oggi…


RATZINGER: Forse era imprudente dirlo. Ma il problema è molto reale, perché abbiamo una situazione sconosciuta fino a cento anni fa. Ci sono tanti battezzati non credenti. Questa è una realtà nuova, da studiare. Non oso adesso fare una previsione su cosa uscirà da questo studio.

Volevo solo dire che noi abbiamo percepito questa nuova situazione, ne siamo consapevoli, e vogliamo approfondire il tema per vedere, per verificare se ci sono delle conseguenze giuridiche, sacramentali, teologiche, oppure no.

Un ultimo quesito. È di questi giorni la notizia della citazione presso la Rota romana del presunto autore del volume Via col vento in Vaticano. Alcuni organi di informazione hanno paventato un intervento anche della Congregazione da lei presieduta. Le risulta qualcosa?


RATZINGER: Niente. Non mi occupo di pettegolezzi. È un mondo che mi è totalmente estraneo. Ho sentito solo da lontano. A me comunque non risulta niente.


http://www.30giorni.it/articoli_id_17141_l1.htm




[Modificato da Caterina63 23/06/2013 10:49]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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