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2017 festeggeremo Lutero o le Apparizioni della Vergine Santa a Fatima?

Ultimo Aggiornamento: 17/10/2016 16:24
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21/03/2014 14:14
 
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Ci stiamo avvicinando al 2017 anno in cui noi, volendo festeggiare degnamente il primo Centenario delle Apparizioni di Fatima, le cui profezie sono ancora in atto, come ebbe a dire Benedetto XVI in visita a Fatima, altri vorrebbero la canonizzazione di Lutero e festeggiare così la "riforma luterana", Protestante, della quale (ma tu guarda la coincidenza) cade l'anniversario nel 2017. Se a Maria santissima tutti ci affidiamo e a Lei ricorriamo affidando tutti, ragione vuole che cerchiamo di comprendere anche chi era Lutero e l'origine della sua "riforma". Se l'argomento vi interessa, leggete in basso, altrimenti restate pure comodi nella vostra ignoranza  ma non dite "io non lo sapevo".

Partiamo da un aspetto fondamentale riprendendo in prestito dal libro “Ripensando Lutero” di Padre Roberto Coggi O.P. (del quale raccomandiamo a tutti la lettura) quanto esaustivamente spiega a riguardo proprio dei primi momenti di Lutero e della sua dottrina. [1]

«È molto importante sottolineare che il lusso e lo sfarzo, come pure anche la corruzione di buona parte della Curia Romana, non scandalizzarono più di tanto Lutero (come oggi si vuol far credere, n.d.a.), il quale, a quanto ci risulta, non trasse da ciò alcun turbamento nella sua fede cattolica e nella sua fedeltà nel Romano Pontefice. È quindi falso attribuire la ribellione di Lutero all’autorità ecclesiastica, quale si verificò pochi anni più tardi, a una sua indignazione contro i costumi corrotti del clero»

Senza dubbio questa è una interpretazione del tutto rispettabile e pertinente, tuttavia è utile ricordare che altri sostengono l’esatto contrario, ossia che Lutero cominciò a dare in escandescenze proprio dinanzi a questi malcostumi. Noi preferiamo abbracciare la tesi di questa corrente perché in certe cose si può scegliere l’interpretazione che meglio si preferisce e costruire su di essa il discorso soprattutto oggettivo dei fatti. Non vogliamo infatti trattare qui la questione “luterana” ma approfondire la figura di Lutero alle origini dei suoi disagi personali per poi lasciare a voi lettori l'arduo compito di proseguire gli approfondimenti.

 

I veri motivi, spiega poi nel libro Padre Coggi, furono di natura strettamente teologica e soprattutto legati al dramma interiore che egli viveva.

La “nascita della nuova dottrina” Lutero inizia a svilupparla, o meglio a metterla in embrione, dal momento in cui inizia ad abbandonare, a distanziarsi dall'usuale metodo allegorico-mistico dell'interpretazione, volgendosi di proposito al metodo “letterale-storico” della Scrittura.

La prima testimonianza che troviamo di questo processo in Lutero, e che lo porterà lentamente e drammaticamente a staccarsi dalla Chiesa, la troviamo nel suo “Commento alla Lettera ai Romani” (15,15-16), il dramma di Lutero è l'intestardirsi, producendo un lungo travaglio interiore, circa il problema della “grazia, della giustificazione, e della predestinazione”. Ci troviamo così di fronte ad una pretestuosa esperienza personale elevata ad interpretazione comunitaria, ossia, troviamo qui l'impronta personale di Lutero e della sua ansia, della sua disperata ricerca di salvarsi ben lontane dalla Tradizione della Chiesa, dai Padri, lontana o assente anche dalla tradizione dell’Ordine a cui apparteneva, e assente anche in altri Autori della Scolastica.

 

In sostanza Lutero impone una nuova visione interpretativa al passo scritturale di Romani 1,17 sulla “Giustizia di Dio”: non una giustizia di Dio che premia il bene e punisce il male, ma un’assolutoria completa da parte di Dio, senza alcun merito in corrispondenza alle azioni dell’uomo.

 

Siamo alle fondamenta del “Sola Scriptura” del “Sola Fidei” del “Solo Christo”.

 

Per Lutero l’uomo, corrotto dal Peccato Originale, non ha in verità alcun modo di riscattarsi, nessuna azione che potrà compiere, per quanto egli si sforzi di fare il bene, potrà meritargli la redenzione, siamo di fronte alla filosofia del pessimismo che da questo momento impernierà gran parte della stessa teologia protestante.

 

Ogni opera che l’uomo compie è, in sostanza, ammalata, è peccato! La concupiscenza è per Lutero il vero tarlo insuperabile, insanabile (motivo per cui non crederà più nella grazia del celibato), invincibile che perdura per sempre allo stato di vero peccato personale anche dopo il Battesimo. Quindi ogni azione dell'uomo è per lui inutile in rapporto alla salvezza.

 

Di conseguenza la “sola fede” nei meriti della morte in croce di Cristo, è quella che ci salva e ci rende beati, indipendentemente dalle nostre azioni. In sostanza la giustizia di Cristo viene applicata “esteriormente” al peccatore in modo da coprire e nascondere i suoi peccati, mentre in realtà egli rimane tale e quale, ossia peccatore “giusto e peccatore al tempo stesso”, indipendentemente dal suo convertirsi (l’uomo è per lui incapace di convertirsi e la conversione si intende solo in una accettazione del “sola fidei” passiva).

 

La giustificazione, perciò, non consiste più come insegna la dottrina cattolica nella purificazione, rigenerazione-conversione e santificazione interiore dell'anima, ma in una “non imputazione” del peccato; l'anima quindi resta passiva perché la grazia non agisce sull'anima, ma solo il “favore di Dio” che non condanna (se proclami la fede in Lui), che “fa grazia”.

 

Con queste basi Lutero inizia la sua personale, all’inizio, battaglia contro l’insegnamento della Chiesa fino ad allora conosciuto.

 

Nei vari racconti biografici e storici, si evincono due periodi di Lutero durante la sua permanenza da monaco: la prima parte molto regolare e serena, ma sopraggiunta una certa rilassatezza e a causa di un temperamento eccitabile e nervoso, cominciò a non sopportare più le privazioni soprattutto quelle legate al celibato e dunque alla continenza e piuttosto che ammettere di non essere magari portato alla vita monastica, tentò di trovare nella Scrittura una sorta di “nuova giustificazione” ai suoi tormenti e tentazioni legate sempre alla concupiscenza, alla carne. Lutero era tormentato dal sentimento di trovarsi sempre in uno stato di peccato e fatte le dovute confessioni, penitenze, digiuni ripetuti con ansia sempre più inquieta, cede davanti al dubbio atroce di non poter resistere davanti all'inesorabile maestà di Dio; di qui inizia l'atroce dubbio di ritrovarsi nel numero dei dannati. Questa tensione crebbe a livelli davvero esasperati da farlo diventare davvero morbosamente angoscioso ed inquieto.


Da qui inizia – ma solo qualche anno più avanti dando il via alla seconda parte della complessa figura di Lutero – la sua critica aspra e amara contro gli abusi veri o presunti degli uomini di Chiesa, da qui la sua autoaffermazione di “riformatore”.

 

Naturalmente qui, come abbiamo spiegato all’inizio, non ci soffermeremo a quella che era la situazione veramente e straordinariamente grave dei malcostumi ecclesiastici dell’epoca e delle corruttele legate alle cariche ecclesiastiche, ci basti citare il caso del Savonarola che abbiamo approfondito in questa sede [2] per comprendere che la situazione, nella Chiesa, era scandalosa sotto tutti gli aspetti.

 

Con queste basi dunque, Lutero inizia le sue prediche contro la dottrina cattolica sulla santificazione mediante atti di volontà, contro l'efficacia delle opere buone mettendo da parte, diceva, in secondo piano la fede e la grazia.


Lutero voleva ritornare alla purezza originale di Sant’Agostino, ma di fatto finì con l’esasperare la dottrina antipelagiana di Agostino circa il peccato, la grazia e la predestinazione. Di fatto la teologia di Lutero fu uno specchio fedele alla sua personale battaglia interiore per la salvezza della sua anima: la sua nuova concezione teologica fu per lui, di fatto, un atto di vera liberazione dai tormenti che viveva dando origine, così, ad una nuova forma di fede.

 

Seguendo ciò, tre sono i punti fondamentali della nuova dottrina luterana:

  1. la giustificazione mediante la sola fede;
  2. la negazione del libero arbitrio;
  3. la certezza di essere salvati solo per chi crede con fiducia, indipendentemente dalle opere e dalle azioni che si compiono.

Oggi molti onesti studiosi di Lutero concordano nel dire che probabilmente egli non si rese conto, nell'immediato, della portata delle sue affermazioni, come pure non ebbe probabilmente chiaro le conseguenze che questo pensiero avrebbe avuto sul piano soggettivo, così come su altri aspetti.

 

Le sue tesi comportavano già alla radice il ripudio ai Sacramenti, al Sacerdozio Ordinato, alle indulgenze contenute persino nella Messa, in sostanza a tutto il sistema di un Chiesa, l’unica Chiesa di Cristo della quale egli stesso faceva parte, fondata sul diritto divino, affidata a Pietro e al collegio degli Apostoli.

 

L'iniziativa, poi, delle famose 95 Tesi di Lutero spostarono la discussione per le strade e nella politica, il successo che egli raccolse non è che avveniva perché chi le accoglieva volesse abbandonare la Chiesa, ma perché attraverso queste Tesi la Chiesa si attivasse per una autentica e sospirata Riforma.

 

Lutero divenne l’eroe del giorno contro gli abusi e l'immoralità interna alla Chiesa.

 

E se l’iniziativa conquistava consensi, favorita dagli antiromani della nazione germanica e dunque si spostava ad un uso politico, si prestava di fatto poca attenzione alle gravissime conseguenze dottrinali che scaturivano dall'accettare queste Tesi.

 

Nel testo firmato oggi in ambito ecumenico nel giugno 2013 [3] si riporta una rilettura storica atta ad addolcire in un certo senso i rapporti fra luterani e cattolici, cercando di riscrivere la storia, per questo il testo è più addetto agli addetti ai lavori che non come testo di evangelizzazione vera e propria.

 

Leggiamone un passo:

«Le indulgenze furono soltanto un pretesto, una sorta di capro espiatorio dell'inquietudine vissuta da Lutero anche se, è giusto dirlo, in molte parti della Chiesa, si era giunti a veri abusi delle indulgenze. Secondo l’opinione di Lutero, la pratica delle indulgenze nuoceva alla spiritualità cristiana. Egli si chiedeva se le indulgenze potessero liberare i penitenti dalle pene inflitte da Dio; se le pene inflitte dai sacerdoti fossero trasferite in purgatorio; se il fine delle pene, cioè di risanare e purificare l’anima, non comportasse che un penitente sincero preferisse subirle piuttosto che esserne liberato; e se il denaro dato per le indulgenze non dovesse invece essere dato ai poveri. Lutero inoltre si interrogava sulla natura del tesoro della Chiesa, a motivo del quale il papa offriva le indulgenze. In sostanza si trattava di chiarire meglio la questione, combattere gli abusi, insomma fare un riforma dei costumi e non il mettere in dubbio la materia, l'indulgenza in se stessa.

 

Infatti, in un primo momento, Lutero rimase stupito dalla reazione che le sue tesi suscitarono, dal momento che non aveva previsto un evento pubblico ma piuttosto una discussione accademica. Egli temeva che le sue tesi potessero essere facilmente fraintese qualora lette da un pubblico più ampio. Così verso la fine di marzo 1518 pubblicò un sermone in lingua volgare, “Sull’indulgenza e la grazia” (Sermo von Ablass und Gnade). Questo pamphlet ebbe uno straordinario successo e procurò rapidamente a Lutero larga fama in tutta la Germania. Egli insisté più e più volte sul fatto che, fatta eccezione per le prime quattro proposizioni, le tesi non erano sue affermazioni definitive, ma piuttosto proposizioni scritte allo scopo di essere discusse».

 

Tuttavia, riporta Padre Coggi, che la reazione della Curia Romana del tempo si prodigò per ricondurre Lutero sulla retta dottrina intervenendo prima sui superiori del monaco agostiniano, ma il tentativo fallì perché Lutero non volle sentire ragioni. Nel testo sopra ricordato: “Sull’indulgenza e la grazia” Lutero vi accompagnò una lettera indirizzata a Papa Leone X la quale, seppur conteneva toni rispettosi, fu intransigente nella sostanza, in essa Lutero non lasciava intravvedere alcuna possibilità di una ritrattazione del suo pensiero.

 

Le "discussioni" che Lutero voleva erano quelle che avrebbero dovuto spingere la Chiesa a modificare alcune dottrine, e questo era inaccettabile per la Chiesa.

 

Riporta il testo ecumenico di giugno 2013:

«Roma era preoccupata che le idee espresse da Lutero potessero minare la dottrina della Chiesa e l’autorità del papa. Per questo Lutero venne convocato a Roma per rispondere davanti al tribunale ecclesiastico della sua visione teologica. Tuttavia su richiesta del principe elettore di Sassonia, Federico il Saggio, il processo fu trasferito in Germania, alla Dieta imperiale di Augusta, dove il mandato di interrogare Lutero venne affidato al card. Caietano. Nel mandato papale era scritto che Lutero doveva ritrattare o, nel caso si fosse rifiutato, al cardinale veniva conferita la facoltà di metterlo immediatamente al bando o di arrestarlo e condurlo a Roma. Dopo l’incontro il legato pontificio stilò la bozza di una dichiarazione per il magistero, e il papa la promulgò immediatamente dopo l’interrogatorio ad Augusta senza dare alcuna risposta agli argomenti di Lutero.

Roma promise a Lutero un processo equo, e ciò avvenne, ma il 13 ottobre 1518, in una solenne protestatio, Lutero dichiarò di essere in accordo con la santa Chiesa di Roma, ma di non potere ritrattare se non fosse stato convinto di essere in errore. Il 22 ottobre di nuovo insistette sul fatto che ciò che pensava e insegnava non era in contrasto con il magistero della Chiesa Cattolica».

 

Ma, riporta Padre Coggi:

«Lutero, dopo essersi rifiutato di ritrattare i suoi errori, riuscì a fuggire da Augusta e, con un atto notarile, richiese che il Papa venisse informato meglio sulle sue Tesi e il 9 novembre del 1518 la Santa Sede pubblicò una Bolla sulle indulgenze per togliere a Lutero il pretesto che la Chiesa non si era ancora pronunciata ufficialmente su questo punto, come sosteneva invece Lutero. E non solo sulle indulgenze, ma anche sul Primato Petrino che Lutero aveva incluso nelle Tesi da discutere e da modificare dottrinalmente. Sarà Lutero stesso ad appellarsi niente meno che ad un Concilio Ecumenico affinché si pronunciasse sulle sue Tesi».

 

La dottrina cattolica, altro esempio, afferma che i Sacramenti sono sette e lo insegna già dal primo secolo, ma Lutero non ci crede e sostiene che la Cresima, l'Unzione degli infermi (che troviamo letteralmente nella Lettera di Giacomo 5, 14-15). l'Ordine e Matrimonio, non sono “scritturali” nella Scrittura e perciò non sono fondati in essa. Per sostenere la negazione dell'Unzione degli infermi, arriva a mettere in dubbio, in un primo momento, la Lettera stessa di Giacomo, ma non gli riesce.

 

In particolare Lutero finisce per accanirsi sul Sacramento dell’Ordine insistendo sull'unica lettura scritturale accettabile, per lui, della Scrittura nella quale si parla del “sacerdozio universale” dei fedeli, ossia, di ogni battezzato. Di conseguenza veniva a minare irrimediabilmente la realtà del sacerdozio stesso, la figura del pastore nella Chiesa, fino ad intaccare la Liturgia e il Culto a Dio, la Messa.

 

Per Lutero la Messa è una “ripetizione” in cui Cristo è presenza spirituale, mentre la Chiesa insegnava già da 1500 anni che la Messa è una attuazione (incruenta) del sacrificio di Cristo.

 

Per la Chiesa dunque solo un uomo consacrato (Sacramento dell’Ordine) può compiere il miracolo rituale della transustanziazione, Lutero invece afferma che la messa non è un sacrificio offerto sull’altare, ma la ripetizione di un ricordo che “solo la fede” rende utile e mantiene il comando del Cristo: “Fate questo in memoria di me”.

 

Se dunque il Sacramento è ricevuto solo dalla fede, a questo punto non è più necessario ne il Sacramento e neppure un sacerdote che lo amministri. In realtà per Lutero tutti i fedeli, i credenti sono “sacerdoti” perciò è la loro “sola fede” che attua i sacramenti.

 

Anche a riguardo della Confessione, in quel rimettere i peccati (Gv 20,23) Lutero dice “Cristo non parla mai di dominio, ma di fede”; certo dice Lutero, la confessione è comandata da Dio – è letterale e scritturale, non poteva negarla – e tuttavia egli nega che soltanto i Sacerdoti siano i detentori della confessione e parla di dominio in riferimento all’assoluzione.

 

In definitiva è di Lutero l’iniziativa, oggi assai in voga, della confessione pubblica dei peccati in sostituzione di quella privata anche, purtroppo, in campo cattolico.

 

Lutero capovolge di fatto la dottrina e la prassi della Chiesa. Per lui i Sacramenti sono il fondamento del potere sacro.

 

Attenzione: qui non possiamo dilungarci troppo, ma è importante per una corretta valutazione storica-dottrinale che Lutero non mise mai in dubbio il senso del ministero sacerdotale e della Presenza reale di Cristo nelle specie eucaristiche, usò “solo” un altro termine, quello di consustanziazione – della cui conseguenza dottrinale bene spiegò Paolo VI nella “Mysterium Fidei” – [4] anziché il termine di impianto metafisico-tomista di “transubstantiatione”.

 

A questo scempio dottrinale non giunse Lutero, ma Huldrych Zwingli travisando il suo pensiero. Così, come a riguardo della Confessione, sembra accertato che Lutero, benché sposato con la ex monaca cistercense Katharina von Bora, ebbe vicino a se per tutta la vita un confessore.

 

E a buona ragione il testo ecumenico del giugno 2013 riporta:

«Così il papa pubblicò la bolla Exsurge Domine (15 giugno 1520), che condannava 41 proposizioni tratte da varie pubblicazioni di Lutero. Anche se si possono trovare tutte negli scritti di Lutero e sono citate correttamente, sono estrapolate dai loro rispettivi contesti. Exsurge Domine definisce questi articoli come “eretici, scandalosi, falsi, offensivi per le orecchie pie, o (…) capaci di sedurre le menti degli uomini semplici o in contraddizione con la fede cattolica” senza specificare quale di queste qualificazioni si applichi all’uno o all’altro articolo. Alla fine della bolla, il papa si rammaricò che Lutero avesse evitato di rispondere a tutte le sue offerte di discussione, e dichiarò di conservare la speranza che Lutero facesse esperienza di una conversione del cuore e si ravvedesse dei suoi errori. Papa Leone concesse a Lutero 60 giorni per ritrattare i suoi “errori”, o sarebbe incorso nella scomunica.

 

Quando Lutero non vide un fondamento biblico nelle dichiarazioni di Roma o ritenne che tali dichiarazioni addirittura contraddicessero il messaggio biblico, egli cominciò a pensare al papa come all’Anticristo. Con questa accusa, certamente scioccante, Lutero intendeva che il papa non permetteva a Cristo di dire quanto Cristo voleva dire e che il papa si era posto al di sopra della Bibbia anziché sottomettersi alla sua autorità. Il papa sosteneva che il suo ministero era istituito iure divino (“per diritto divino”), mentre Lutero non riusciva a trovare la dimostrazione biblica di questa affermazione».

 

Su questa evoluzione dei fatti, Padre Coggi riporta:

«Nell’ottobre del 1520, cedendo ad alcune istanze, Lutero accettò di indirizzare un’altra Lettera al Papa Leone X, nella quale affermava di non aver voluto offendere la sua persona, anzi, di stimarlo; contemporaneamente però, si abbandonava a violenti oltraggi contro la Chiesa romana, e continuava a rifiutare ogni altra ritrattazione.

 

Poco dopo, novembre dello stesso anno, sfogò il suo odio antipapale con lo scritto “Contro la Bolla dell'Anticristo”, in cui rinnovava l'appello a un Concilio ecumenico.

 

Il 10 dicembre 1520 suggellò la sua ribellione all'autorità ecclesiastica con il rogo inscenato nella piazza pubblica di Wittenberg, in cui bruciò come “nemici di Dio” i libri del Diritto Canonico e la Bolla papale con la quale si firmava la sua scomunica, scomunica che divenne formale nel gennaio 1521 dopo aver atteso invano, un ulteriore ritrattazione che non venne mai.

 

In tutta la sua attività letteraria, da un certo punto in poi, Lutero non ebbe riguardo di trattare in modo brutale e violento il Papa e i “papisti”. Al termine dell’adunata di Smalkalda egli gridava ai predicatori: “Dio vi riempia di odio contro il Papa”. Con l’avanzare degli anni e l’evolversi della situazione quell’odio lungi dal cessare, non farà altro che crescere e dilagare».

 

Il testo stesso, quello ecumenico del giugno 2013, riporta ancora:

«L’interpretazione del Vangelo che Lutero proponeva convinse un numero crescente di preti, monaci e predicatori, che cercavano di introdurla nei loro sermoni. Segni visibili dei cambiamenti che stavano avvenendo furono il fatto che i laici ricevevano la comunione sotto le due specie, che alcuni preti e monaci si sposarono, che certe regole di digiuno non vennero più osservate e che talvolta si manifestò irriverenza nei confronti di immagini sacre e reliquie. Lutero non aveva alcuna intenzione di fondare una nuova Chiesa, ma era espressione di un ampio e sfaccettato desiderio di riforma. Egli ebbe un ruolo sempre più attivo nel tentativo di contribuire a una riforma di pratiche e dottrine che sembravano essere basate sulla sola autorità umana ed essere in tensione o addirittura in contraddizione con le Scritture. [5]


Il Concilio (di Trento), nel desiderio di preservare, “una volta tolti di mezzo gli errori, la stessa purezza del Vangelo”, l’8 aprile 1546 approvò il suo decreto sulle fonti della rivelazione. Pur senza nominarlo in maniera esplicita, il Concilio rifiutò il principio della “sola Scriptura”, dichiarando che era inammissibile scindere la Scrittura dalla tradizione. Decretò che il Vangelo, “quale fonte di ogni verità salvifica e di ogni norma morale”, era conservato “nei libri scritti e nelle tradizioni non scritte”, senza tuttavia risolvere il rapporto tra Scrittura e tradizione. Inoltre dichiarò che le tradizioni apostoliche riguardanti la fede e la morale erano “conservate nella Chiesa cattolica in forza di una successione mai interrotta”. La Scrittura e la tradizione dovevano essere accolte “con uguale pietà e venerazione”».


Conclusione
Siamo partiti dall'identificare il problema luterano da un problema personale di Lutero e finiremo per ribadire lo stesso concetto: Lutero pur partendo da un suo problema esistenziale rivela, senza alcun dubbio alcuno, un punto fondamentale che è l'essenza del Cristianesimo stesso: “Come posso salvarmi? Come posso trovare un Dio propizio? Come posso ottenere il perdono dei peccati? Come posso essere certo di averlo ottenuto?”.


Queste erano le grandi domande che angustiavano Lutero, e lui ha creduto di trovarle nella sua dottrina; la Chiesa invece dal canto suo, in questi secoli, ha dimostrato che ciò che insegna non solo è ancora valido, ma è a tutt'oggi fondamentale.


Per Lutero ciò che conta non è tanto conoscere “chi è” Dio o “che cosa” Egli ha fatto per noi, quanto sapere semplicemente “in che modo io posso raggiungere la salvezza”.

 

La prospettiva luterana è apparentemente la via più pratica, forse anche più facile. Ma anche la più pericolosa perché in sostanza Lutero dice: “Che Gesù sia o non sia il Figlio di Dio non è importante; importa solo che Egli sia il Salvatore”.

 

È una affermazione gravida di conseguenze nocive per l’identità stessa del Cristo, per l'identità stessa del Cristianesimo, per l'affermazione stessa della Santissima Trinità e che segna, al di la delle intenzioni stesse di Lutero, un decisivo distacco dalla Tradizione cristiana dei secoli precedenti: si pensi solo ai cristiani del tempo del Concilio di Nicea, disposti a dare la propria vita pur di difendere la divinità ed insieme l’umanità acquisita di Gesù Cristo, Figlio di Dio, ma anche Dio; si pensi ai Padri della Chiesa quanto hanno lottato contro l'eresia ariana e di altre eresie che mettevano a rischio l’identità del Cristo.

 

Per Lutero non è importante il dogma, non conta la conoscenza della realtà obiettiva, della realtà in se stessa, e neppure di Dio – o di Gesù Cristo – in se stesso, ma conta solo ciò che Dio – o Gesù Cristo – è “per me”.

 

Non a caso la Chiesa Cattolica ha messo nel Catechismo le tre virtù teologali di cui una è il famoso Atto di fede: “Mio Dio, poiché sei Verità infallibile, credo fermamente tutto quello che Tu hai rivelato, e la Santa Chiesa ci propone a credere. Ed espressamente credo in Te, unico vero Dio in tre Persone uguali e distinte”. Per Lutero invece la fede non è tanto l’adesione a delle “verità rivelate”, ma semplice abbandono fiducioso in Dio.

 

Intendiamoci: il concetto di fede in se di Lutero non è del tutto sbagliato, il problema suscitato da lui è quello di una fede affettiva contro quella conoscitiva mentre la Chiesa ha sempre insegnato l’equilibrio di entrambe le sfere: affettiva (ti amo mio Dio, ti dono me stesso) e conoscitiva (ti cerco mio Dio; Dio mio perché mi hai abbandonato?).

 

Gesù non ha consegnato a Pietro una esclusiva sull'affettività, sul sentimento, sull’emotività, ma ha consegnato “le chiavi”, ha consegnato agli Apostoli “un mandato”, ha dato loro una autorità da custodire, tramandare ed usare: andare ed ammaestrare presuppone anche la conoscenza delle verità rivelate (catechismo-dogma-dottrine), aspetti questi che, alla fine, però lo stesso Luterò userà dal momento che sviluppa ben due catechismi uno maggiore ed uno minore ad uso del popolo, ecco perché avvenne poi la divisione e lo sviluppo di nuove comunità separate. Lutero che non voleva di fatto fondare una “nuova chiesa”, ma pretendeva che la Chiesa si riformasse con le sue dottrine, di fatto, pur senza pensarlo e volerlo, fece sì che i suoi seguaci, in particolare Huldrych Zwingli (Ulderico Zuinglio) e Jean Cauvin (Giovanni Calvino) dessero origine ad una “chiesa parallela senza Sacramenti, senza la Presenza reale di Cristo nell’Eucaristia, senza Sacerdozio, senza dogmi e – pensava – senza dottrine, ma di fatto ha dato origine a dottrine nuove; senza Tradizione, ma di fatto dando origine alla sua tradizione che è il mondo variegato del protestantesimo oggi conosciuto come “mondo evangelico”. Insomma, più che una “chiesa riformata”, Lutero si trovò a dare inconsapevolmente vita a nuova forma e visione di cristianesimo fondato sul suo specifico soggettivismo.

 

Nel saggio “Lutero e la salvezza dell’anima”, riporta sempre Padre Coggi nel suo “Ripensando Lutero” – dopo aver ribadito che “il vero motivo dell’abbandono della Chiesa cattolica da parte di Lutero non sta […] nella grave crisi morale e anche, se vogliamo, dottrinale, che travagliava il cattolicesimo dell’epoca del Rinascimento, e neppure nella scarsa conoscenza che Lutero avrebbe avuto della genuina dottrina cattolica” – l’autore sottolinea come molto spesso non sia stato tenuto nella dovuta considerazione l’aspetto del temperamento e della costituzione psichica dell’eretico di Eisleben.

Così, molto opportunamente, riporta questo giudizio del teologo luterano Gerhard Ebeling: “Lutero appare una personalità prevalentemente ciclotimica, di costituzione picnica e di una scala alternante nell’umore fra gli stadi iper e ipotimici, combinata in pari tempo con una costituzione stenica degli impulsi”.

 

Commenta padre Coggi: “Questo referto medico, per chi sa leggerlo, è notevolmente preoccupante” (p. 66).

 

E ancora a pag. 73: «Lutero è irremovibile nella sua idea. Egli scrive nel 1522: “Io non ammetto che la mia dottrina possa venire giudicata da alcuno, neanche dagli angeli. Chi non riceve la mia dottrina non può giungere alla salvezza”».

 

Non crediamo sia necessario ulteriore commento alla frase.

 

Infine la realtà odierna è assai diversificata poiché con il concetto del “Sola Scriptura” il mondo Protestante non ha un unica guida, un unico “magistero”, piuttosto esistono attualmente circa 36 mila denominazioni evangeliche ognuna indipendente dall'altra, nelle quali la propria interpretazione delle Scritture garantisce la comunione a seconda di come la si pensa.

 

Grazie al processo dell’Ecumenismo si è riusciti oggi ad avere almeno dei grandi gruppi più o meno riconosciuti e fra i quali si sono costruiti ottimi rapporti, ma non basta.

 

Tanto per fare un esempio: nel 1999 è stato firmato un importante Documento sulla Dichiarazione congiunta sulla Dottrina della giustificazione fra la Chiesa Cattolica e la Federazione Luterana Mondiale. Tuttavia non tutte le comunità luterane lo ritengono vincolante per loro. La sintesi che segue si basa su questa Dichiarazione, che offre un consenso differenziante costituito da enunciazioni comuni accanto ad accentuazioni differenti di ciascuna parte, con la specificazione che queste differenze non invalidano i punti di vista comuni. Si tratta, pertanto, di un consenso che non elimina le differenze, ma piuttosto le include in maniera esplicita.

 

Sull’Eucaristia e sugli altri Sacramenti non ci sono stati passi ulteriori, la grave divisione resta, al di la di ogni, seppur legittimo, tentativo di dialogo, tenendo bene a mente che il sincretismo religioso non giova a nessuno e non risolve alcun problema.

 

NOTE
1] "Ripensando Lutero", di Padre Roberto Coggi O.P.
2] Il caso del Savonarola e di Papa Alessandro VI (Borgia).
3] Testo firmato oggi in ambito Ecumenico giugno 2013.
4] «Ma perché nessuno fraintenda questo modo di presenza, che supera le leggi della natura e costituisce nel suo genere il più grande dei miracoli, è necessario ascoltare docilmente la voce della Chiesa docente e orante. Ora questa voce, che riecheggia continuamente la voce di Cristo, ci assicura che Cristo non si fa presente in questo Sacramento se non per la conversione di tutta la sostanza del pane nel corpo di Cristo e di tutta la sostanza del vino nel suo sangue; conversione singolare e mirabile che la Chiesa Cattolica chiama giustamente e propriamente transustanziazione» (Lettera Enciclica "Mysterium Fidei" di Paolo VI del 3 settembre 1965)

5] Decreto congiunto sulla Dottrina della Giustificazione del 31 ottobre 1999.






Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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