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LETTURE PER L'ANIMA

Ultimo Aggiornamento: 26/08/2015 21:12
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27/05/2014 18:14
 
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  Siamo i pazzi della croce, scandalo per i Giudei, stoltezza per i pagani

Posted on 27/05/2014 

Dal “pane sciocco” ad una “regale rosetta”: il racconto di un itinerario dal deserto quaresimale alla fioritura della Resurrezione

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Eppure Marta dubita, ha lì davanti a Gesù e dubita. Anche io avevo davanti a me Gesù. Ho iniziato a pensare che in fondo anche io, come Marta, sono amico di Gesù, anche io lo amo ma credo nella gloria di Dio? o il mio è solo un gioco? …mi sono sentito sollevare di qualche centimetro da terra, perché ho iniziato a capire che il vero cuore della nostra fede non è la liturgia, quella è solo un mezzo, indispensabile ma solo un mezzo. E’ la pazzia della croce il cuore della nostra fede: «…noi predichiamo Cristo crocifisso, scandalo per i Giudei, stoltezza per i pagani», siamo i “pazzi” della croce. E come può un pazzo arrivare a qualcosa attraverso una liturgia? È solo credendo nell’impossibile che si arriva a Dio, anzi che Dio trova posto in te, perché nella pazzia cessa il legame con il mondo…

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di Nicola Peirce


Come ho già scritto altre volte, 
gran bella città Siena e più in generale bella tutta la terra senese. Storia, cultura, natura, cibo e vino, strepitosi. Quella dove risiedo credo sia la provincia italiana con il maggior numero di vini DOCG. Alcuni famosissimi, come il Brunello o il Chianti. Ci sono anche prodotti prelibati della salumeria. La produzione casearia con il pecorino di Pienza. Il tartufo di San Giovanni d’Asso. Dolci unici: ricciarelli, panforte, cavallucci. Una cucina ottima con piatti adatti a tutti i palati. Insomma un vero paradiso per i gourmet o per chi, come me, più modestamente, apprezza il mangiar bene.

Però, come sempre, non è tutto oro ciò che luccica, infatti, in questa appetitosa terra senese c’è un gravissimo neo “mangereccio” che per un romano, qual’io sono, offusca tutte le altre meraviglie gastronomiche ed è… il pane. Non si offendano i miei concittadini acquisiti ma il loro pane non sa di niente. Sfornano un pane in pagnotte dalla forma insignificante, senza fronzoli e pieno di mollica, che chiamano pane “sciocco” perché è senza sale e ne vanno molto fieri e quando si cimentano nel produrre altro genere di pane il risultato è disastroso.

Chiaramente, per me abituato alla croccante e leggera rosetta romana, con la sua forma da corona regale e diadema alla sommità, il pane di qui è veramente una sofferenza. Per non parlare poi del loro “ciaccino”, pieno d’olio e molliccio ai bordi, paragonato alla pizza bianca romana fatta con la pasta del pane e sapientemente cotta, con sopra il sale grosso e il contorno leggermente “bruciacchiato” e croccante. Insomma, per me è una frustrazione quotidiana che cerco di attutire tostando e salando, a dovere, le fette del pane sciocco per ottenere un effetto che ricordi, vagamente, la mia adorata rosetta croccante.

Da sciocco a regale ma, soprattutto, da pieno a vuoto

Forma di pane “sciocco”.

Spero abbiate capito che mi sono divertito a prendere in giro i miei amici senesi, anche se nell’ironia, in qualsiasi forma di ironia, c’è sempre un fondo di verità. In effetti, questa divagazione da panettiere mi è venuta in mente pensando a me stesso e alla quaresima che ho passato. Sì, perché sono entrato nella quaresima come una pagnotta informe di pane “sciocco” e stantio, pieno di mollica e ne sono uscito come una “regale” rosetta romana, appena sfornata, croccante e leggera, perché vuota. Una sorta di “piccolo calvario” che ho passato in quei quaranta giorni che vorrei raccontarvi, non tanto quale esternazione autoreferenziale ma nella speranza di una condivisione utile con voi.

Le rosette.

Da quando sono ritornato nel senodi madre chiesa, dopo anni di vagabondaggio, lontano da Dio, al seguito del mio io, sono sempre entrato in quaresima con fare trepidante, vivendo pienamente coinvolto i quaranta giorni di attesa. Dalle ceneri del mercoledì fino alla tempo forte della Passione di Cristo, il venerdì santo. Ho sempre partecipato, con fervore, a tutto quello che la liturgia della chiesa cattolica offre per conservare un clima di introspezione nell’avvicinamento al grande giorno: quello della resurrezione di Cristo e dunque anche di quella nostra, se vissuta con Lui. Messa quotidiana, preghiera assidua, ogni venerdì via crucis. Frequenti puntate al confessionale ogni qualvolta senti sorgere il sentore di qualcosa, dimenticato, nel fondo del cuore. Il luogo che deve essere ripulito, perché sede di tutto ciò che ci fa male: «…ciò che esce dalla bocca proviene dal cuore. Questo rende immondo l’uomo» (Mt. 15, 18) ma destinato, anche, ad essere luogo privilegiato d’incontro con Nostro Signore.

Quest’anno no, non è andata così. Venivo da un periodo soffocante di problemi pratici legati a vari impegni che hanno evidentemente appesantito non solo la mia mente ma anche il mio cuore. Sono pertanto arrivato già arido al mercoledì delle ceneri e sono entrato in un vero e proprio deserto interiore, freddo e scuro, pieno di dubbi e incertezze, non sull’esistenza di Dio ma su me stesso, sulla mia fede, sul perché credo.

Sospeso tra terra e cielo ballando il “lago dei cigni”

Lo Spirito di Dio ci accarezza come brezza leggera.

Una per tutte, mi sono trovato anche davanti alla domanda: «…credi perché ti fa comodo o peggio, solo quando ti fa comodo o credi perché metti Dio davanti ad ogni cosa?». Dilemma non facile da risolvere soprattutto se ti sembra di essere solo con te stesso e se sei così “sciocco” e stantio, cioè duro, da non permettere a quel: «…mormorio di un vento leggero» (1Re 19,12), lo Spirito di Dio, di attraversarti e ristorarti. Diciamo che negli anni passati sono partito bene e arrivato alla Pasqua abbastanza soddisfatto ma mai estasiato, quest’anno sono partito male ma sono arrivato a toccare il cielo con un dito, anzi, il cielo ha toccato me con un dito.

Ovviamente, come sempre, le danze non siamo noi a condurle, noi siamo le damigelle e Dio è il principe azzurro. Evidentemente il mio è stato un passato di quaresime da ballo delle debuttanti, probabilmente, ora, è giunto il tempo, per me, di un ballo più impegnativo, diciamo: “Il lago dei cigni”.

Una delle cose di cui sono certo, dopo questa quaresima, è che se non passi attraverso questo stato di deserto, non puoi fare spazio dentro di te, perché lo occupi, “ti occupi”, con te stesso e questo ti impedisce di riempirti di Dio. Anzi, impedisci a Dio di riempirti. Perché è bene ricordarsi sempre che Dio non forza mai la nostra volontà, non costringe mai il nostro libero arbitrio. Lui, l’onnipotente, il creatore di tutte le cose, è in realtà un mendicante dell’amore che tende la mano e spera che i suoi figli, che siamo noi, lo guardino con compassione e gli aprano mansueti il “tempio” del proprio cuore. Mastino, per favore non ti arrabbiare, lo sai sono zuccheroso e “romanticone”.

Santa Caterina da Siena. Nella preghiera mantenersi fermi.

Le prime quattro settimane di quaresima sono passate in questo vero e proprio, strazio, in una sorta di lamento continuo, implorante di quella “carezza” che potesse lenire il tormento. Partecipavo alla Messa con attenzione ma mai trasporto, seguivo la via crucis meditata del venerdì in maniera piatta senza nessun sobbalzo. Per carità, lo so, è difficile essere sempre e comunque centrati, molto spesso il pensiero corre via quando si prega ma in quel momento era un vero e proprio disinteresse. Attenzione: in nessun caso noia, però mi sentivo inutile a me stesso e inascoltato da Dio.

Credo mi abbia aiutato il pensiero di una lettera di Santa Caterina, che richiamavo spesso alla mente, nella quale la santa e mistica, senese, spronava una sua cugina suora, evidentemente in crisi vocazionale, a perseverare sempre nella preghiera perché è il luogo della battaglia con il demonio e, quindi, della prova: «…perchè nell’orazione abbondassero le molte battaglie in diversi modi, e tenebre di mente con molta confusione, facendole il dimonio vedere che la sua orazione non fusse piacevole a Dio; per le molte battaglie e tenebre che ha, non debbe lassare però; ma stare ferma con fortezza e lunga perseveranzia, ragguardando che ‘l dimonio il fa per tirarci dalla madre dell’orazione, e Dio il permette per provare in quella anima la fortezza e constanzia sua»(Lettera XXVI – A Suora Eugenia nel Monasterio diSanta Agnesa di Montepulciano).



  IL RESTO QUI......... NON PERDETELO!

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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