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LE PIAGHE DELLA CHIESA POCO PRIMA DEL CONCILIO,DURANTE E SUBITO DOPO

Ultimo Aggiornamento: 18/04/2015 10:35
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07/02/2015 13:33
 
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   CHE COSA DIRE DEI “TRADIZIONALISTI” (E DI CHI LI CONDANNA IN BLOCCO)


 


Il mio dissenso nei confronti del padre Ariel riguarda solo aspetti esteriori, mentre naturalmente condivido la denuncia di fanatismi ideologici e commistioni politiche riscontrabili nell’area tradizionalista. Nella quale area ci sono, però, anche opinioni legittime e legittime prese di posizione, e io non posso smentire la mia strategia teologica, che consiste nel giudicare solo la dottrina


 


 


Autore Antonio Livi
Autore
Antonio Livi

 

 

 

uccisione guardia
il brutale assassinio della guardia privata già inerme a terra durante l’attentato dei terroristi alla redazione della rivista Charlie Hebdo

In un mio precedente articolo ho già manifestato il mio dissenso dal modo, a mio avviso imprudente, con cui il mio confratello Ariel S. Levi di Gualdo ha trattato l’argomento delle vignette blasfeme di Charlie Hebdo. [vedere qui]. Ora, abusando forse della sua pazienza, torno a dissociarmi da alcuni aspetti della sua maniera di polemizzare con gli esponenti italiani del tradizionalismo militante; egli, infatti, non si limita alla legittima e anzi doverosa critica di certe idee ma passa a pesanti riferimenti personali, facendo i nomi di alcuni pubblicisti (autori di libri e direttori di testate giornalistiche) e anche di alcuni studiosi seri. Tutto ciò nell’articolo intitolato “Siamo al cambio di un’epoca, sul Santo Padre Francesco è necessario sospendere il giudizio e procedere sulle ali della fede” [vedere qui].

Già prima di queste vicende recenti io avevo pubblicato qui, sull’Isola di Patmos, un editoriale nel logo isolaquale – a nome di tutti e tre i redattori della testata – precisavo quella che pensavo dovesse essere il nostro criterio dottrinale e di conseguenza la nostra linea editoriale: “Perché non possiamo dirci tradizionalisti ma nemmeno progressisti” [vedere qui]. L’essenza del discorso che facevo è questa: se parliamo di cose riguardanti la fede della Chiesa e la sua retta interpretazione, non possiamo dogmatizzare quello che è opinabile, ossia assolutizzare ciò che è relativo, perché alla fine viene a essere relativizzato proprio ciò che è assoluto, ossia la verità del dogma. Di conseguenza, L’Isola di Patmos avrebbe dovuto, a mio avviso, riaffermare in ogni occasione la verità del dogma e discernere, tra le tante opinioni teologiche che vengono proposte, quelle che costituiscono una legittima interpretazione/applicazione del dogma da quelle che sono invece incompatibili con il dogma stesso. Così facendo si poteva evitare di assumere posizioni teologicamente confuse, tali da compromettere la funzione di orientamento alla verità del dogma che L’Isola di Patmos deve avere. Per “posizioni teologicamente confuse” intendo quelle che enfatizzano oltre misura una qualsiasi legittima opinione sulla dottrina cattolica, finendo per assumere la qualità epistemica (negativa) dell’ideologia.

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Intervista ad Antonio Livi a cura di Corrispondenza Romana. Cliccare sopra l’immagine per aprire il video

Io, denominando la mia fondazione “Unione apostolica per la difesa scientifica della verità cattolica”, intendevo appunto promuovere un che fosse propriamente scientifico, cioè fondato su principi sicuri e guidato da un metodo appropriato. L’ideologia è proprio il contrario di questo modo di interpretare il dogma, perché confonde acriticamente il dogma con l’opinabile, la limitata e relativa scienza umana con l’assolutezza e definitività della rivelazione divina, così come si trova formalizzata nel dogma, che san Tommaso considerava una partecipazione della «scientia Dei et sanctorum». A quali forme di ideologia mi riferisco? A quelle posizioni ideologiche che oggi nel dibattito teologico si contrappongono polemicamente e che citavo nel titolo dell’articolo: il tradizionalismo e il progressismo.

Noi dell’Isola avremmo dovuto guardarci dall’apparire sostenitori di una di queste contrapposteideologie, e spiegare a tutti le ragioni teologiche di questa nostra presa di distanza. Non però passando dalla critica di certe idee “estremiste” alla denigrazione di singole persone. Perché le singole persone non si indentificano mai con un’idea, e tanto meno con le idee di un gruppo politico, di una corrente di pensiero. E ogni persona ha una sua dignità che non deve essere convolta ingiustamente nella critica delle idee, sue o dell’area culturale di appartenenza. Né devono essere oggetto di critica, in questo contesto dottrinale, le sue ipotetiche intenzioni, e tanto meno i fatti personali e privati.

 

metro goldwyn mayer
Ariel signigica Leone di Dio. Il padre Ariel ha una caratteristica a lui riconosciuta: si diverte a prendersi in giro da solo …

Il mio dissenso nei confronti di Ariel riguarda dunque solo aspetti esteriori, mentre naturalmente condivido la denuncia di fanatismi ideologici e commistioni politiche riscontrabili nell’area tradizionalista. Nella quale area ci sono, però, anche opinioni legittime e legittime prese di posizione, e io non posso smentire la mia strategia teologica, che consiste nel giudicare solo la dottrina (che è qualcosa di conoscibile con sufficiente sicurezza da parte di un credente dotato di criterio teologico), e non la condotta, specie se privata, delle persone (dato che le loro intenzioni e le complesse vicende della loro vita non sono mai conoscibili adeguatamente e quindi non consentono a nessuno di formulare dei giudizi certi ma solo sospetti più o meno legittimi e illazioni più o meno fondate).

Bianchi, molte fedi


Enzo Bianchi durante una conferenza

Io sono stato fedele a questa strategia teologica anche quando ho ritenuto doveroso, per la salvaguardia della fede nel popolo di Dio, disapprovare recisamente dottrine che mi sembravano del tutto incompatibili con il dogma (l’ho fatto, come tutti sanno, denunciando l’incompatibilità con le fede riscontrabile nei discorsi di certi personaggi pubblici, tra i quali laici come Enzo Bianchi e Vito Mancuso, cardinali come Gianfranco Ravasi e Walter Kasper, vescovi come monsignor Bruno Forte, eccetera). In questa linea, mi sono adoperato anche per promuovere nella Chiesa il reciproco rispetto tra tutte le opinioni compatibili con il dogma, quali che siano le divergenze nella sua interpretazione dottrinale o applicazione storica. Proprio per questo motivo mi astengo dal giudicare ciò che non è dottrina ma prassi (prassi pastorale, istituzionale, apostolica eccetera), perché la prassi delle singole persone è fatta di tante scelte prudenziali che il singolo deve operare di fronte alle diverse circostanze concrete e che devono essere guidate, appunto, dalla virtù della prudenza: virtù che io voglio praticare nel mio proprio operato, ma riguardo alla quale non ho elementi per giudicare l’operato altrui.

tradizionalisti 2
Liturgia secondo il vetus ordo missae

Nell’area tradizionalista ci sono e vanno riconosciute anche opinioni legittime. Mi spiego: se di “area” o di “corrente” si può parlare, è perché i vari protagonisti hanno tutti in comune una determinata impostazione ideologica, che consiste nel considerare illegittimo (totalmente o in parte) il magistero del Concilio Vaticano II, in quanto esso avrebbe accolto (totalmente o in parte) le istanze dell’ideologia opposta, quella del progressismo o modernismo. Da qui un’ermeneutica del Vaticano II come radicale “rottura” con la Tradizione, in particolare con i decreti del Concilio di Trento e del Vaticano I, con la condanna del modernismo teologico da parte di san Pio X e con la condanna della “nouvelle théologie” da parte di Pio XII. Da qui anche il rifiuto in blocco di tutta la teologia post-conciliare e il riferimento costante alla sola teologia pre-conciliare. Da qui poi il fatto di considerare dottrinalmente e pastoralmente inaccettabili alcune riforme introdotte dal Vaticano II nella vita della Chiesa, a cominciare dalla riforma liturgica, con il conseguente attaccamento al Vetus Ordo, considerato l’unico modo valido di celebrare l’Eucaristia. Da qui infine la critica sistematica delle scelte pastorali dei papi del post-concilio (il beato Paolo VI, san Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e soprattutto il papa attuale, Francesco), considerate come effetti deleteri delle riforme conciliari.

L’Arcivescovo Marcel Lefebvre

Le posizioni più estreme, in questo senso, sono quelle rappresentate dai seguaci di mons. Marcel- François Lefebvre, alcuni dei quali arrivano a parlare di “sede vacante” e di “Chiesa apostatica”. Evidentemente, tali posizioni estreme non sono fatte proprie, tutte insieme, da tutti i rappresentanti del tradizionalismo cattolico, dato che tra essi ci sono anche studiosi seri ed equilibrati, le cui idee – prese una per una – possono e debbono essere apprezzate, anche se non necessariamente condivise, come fondate e legittime interpretazioni del dogma cattolico e della storia della Chiesa. Si tratta cioè di opinioni teologiche oggettivamente rispettabili, e io, quando si presenta l’occasione, trovo del tutto giusto rispettarle, e talvolta anche esprimere il mio apprezzamento. E a chi lavora con me suggerisco di fare altrettanto, ossia di rispettare queste opinioni teologiche oggettivamente rispettabili. Rispettarle – chiarisco – non per il contesto impersonale (socio-culturale) dell’ideologia che costituisce il loro humus, ma nel contesto personale dei retti ragionamenti di chi le propone.

Faccio un primo esempio, tanto per chiarire ulteriormente questo mio criterio. Le ricerche storiografiche di Roberto de Mattei sul Vaticano II costituiscono di per sé — indipendentemente dall’uso ideologico che se ne possa fare — una documentazione che ha un suo indubbio valore scientifico. Io non condivido il suo interesse nell’esaminare il Concilio come “evento”, perché a me interessa il Concilio come Magistero, indipendentemente da come i documenti conciliari siano stati elaborati nelle commissioni e votati in aula; ma ciò non mi impedisce di leggere senza pregiudizi i suoi lavori e di trarne utili indicazioni per l’ermeneutica del Concilio, che per papa Ratzinger porta a riconoscere nel Vaticano II una «riforma nella continuità dell’unico soggetto Chiesa». Nemmeno condivido del tutto la sua strategia di intervento dei cattolici nella vita sociale a difesa dei «principi non negoziabili»: ma io so bene che qualche iniziativa nella società civile va pur presa, e la mia diffidenza nei riguardi dell’uso di certi mezzi (l’inevitabile commistione con questioni politiche) non toglie la mia condivisone piena dei fini. Questo è il motivo per cui non ritengo giusto che lo si critichi nell’Isola di Patmos senza distinguere tra le sue valutazioni storiografiche (che rientrano nei limiti della legittima libertà di opinione dei cattolici) e le sue iniziative culturali e socio-politiche (la cui opportunità non tocca noi dell’Isola di Patmos giudicare).

Faccio un altro esempio. Piero Vassallo è un colto intellettuale genovese, buon conoscitore della storia della filosofia moderna, e io e lui ci troviamo d’accordo sulla validità della “filosofia del senso comune” e sulla critica dell’idealismo in teologia; perché mai dovrei rifiutare la sua amicizia in quanto manifesta, quando si occupa di argomenti estranei alla teologia, simpatie per la destra politica? Oltre a non parlare (né bene né male) delle sue convinzioni politiche, dovrei anche additarlo al pubblico disprezzo? E quale argomento teologico dovrei inventarmi per attaccarlo? Dovrei forse dire che la morale cattolica proibisce di avere simpatie per la destra? Ma l’opinione che bisogna essere necessariamente di sinistra per essere buoni cattolici non ha alcun fondamento teologico: è la classica opinione dei “fondamentalisti” (che possono essere cattolici di destra, m anche cattolici di sinistra: basti pensare ai teorici della “teologia politica” o “teologia della liberazione”).

 

fuori strada …

I “fondamentalisti” sono teologicamente fuori strada, perché ignorano la complessità delle questioni politiche e lo spazio di libertà che la Chiesa concede ai fedeli nella scelta dei mezzi per operare la necessaria “mediazione” tra i principi dell’etica sociale e le concrete possibilità di promozione del bene comune nella contingenza storica. Io quindi debbo limitarmi a considerazioni di carattere teologico, ricordando a tutti che in politica non ci sono dogmi, e il vero dogma, quello che è alla base della morale cattolica, non obbliga i fedeli ad alcuna opzione politica contingente. I principi della teologia morale (e la dottrina sociale della Chiesa costituisce un capitolo della teologia morale, diceva san Giovani Paolo II) segnalano dei criteri che la coscienza dei fedeli deve seguire, applicandoli con libertà e responsabilità personale alle concrete circostanze storiche in cui ci si trova a operare.

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l’eminente teologo della scuola romana Brunero Gherardini

Un terzo esempio è quello di Brunero Gherardini, teologo della Lateranense ed esponente di quella che fu la celebre “scuola romana”, alla quale i progressisti vollero infliggere la damnatio memoriae. I tradizionalisti invece esaltano Gherardini perché ha messo al centro della discussione teologica del post-concilio proprio la nozione di “Tradizione”, senza peraltro comprenderla appieno nella sua complessità epistemica. Io credo di averla compresa appieno e non mi convince del tutto (lui lo sa perché ci frequentiamo amichevolmente da tanti anni e ci scambiamo opinioni su tanti argomenti), ma ciò nonostante consiglio a tutti lo studio dei suoi testi, ricchi di buona dottrina e di profonda pietà. In uno di questi suoi testi egli conclude la sua analisi dei documenti dottrinali del Vaticano II rilevandone in alcuni casi l’ambiguità: un’ambiguità tale da consentire ai progressisti interpretazioni false e tendenziose, atte a giustificare la loro «ermeneutica della discontinuità», ossia la tesi secondo la quale il Vaticano II segnerebbe una radicale rottura con la Tradizione. Ma qual è la conseguenza che Gherardini trae da questa sua analisi? Non il rifiuto indiscriminato degli insegnamenti conciliari bensì un rispettoso e accorato appello alla suprema autorità del Magistero, il Papa, perché provveda nel modo che crederà opportuno chiarire in quale senso quelle proposizioni ambigue possono e debbono interpretarsi in continuità con il magistero precedente. Io ho ritenuto giusto e doveroso aderire a questa pubblica supplica al Papa, anche se personalmente ho sempre pensato che il problema delle ambiguità contenute in alcuni testi conciliari va risolto con il criterio ermeneutico della “analogia fidei”, ossia presupponendo che la Chiesa di Cristo – unico soggetto permanente nelle mutevoli contingenze storiche – non intende mai contraddirsi, sicché nelle intenzioni della Chiesa docente ogni evoluzione del dogma è sempre in armonia sostanziale con la Tradizione (si tratta di una «evoluzione omogenea», come diceva Marin Sola).

E potrei fare tanti altri esempi, ma questi bastano. Se noi dell’Isola di Patmos condanniamo indiscriminatamente le singole persone di una determinata area ideologica, senza salvare gli aspetti oggettivamente positivi delle loro proposte teoretiche, facciamo anche noi un’operazione ideologica, e così la nostra opera di orientamento teologico dell’opinione pubblica viene a esserne fortemente limitata.






Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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