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Se avete desiderio di capire che cosa insegna la Bibbia che il Magistero della Santa Chiesa, con il Sommo Pontefice ci insegna, questo Gruppo fa per voi. Non siamo "esperti" del settore, ma siamo Laici impegnati nella Chiesa che qui si sono incontrati da diverse parti d'Italia per essere testimoni anche nella rete della Verità che tentiamo di vivere nel quotidiano, come lo stesso amato Giovanni Paolo II suggeriva.
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San Pio X insegna come si deve amare davvero il Pontefice

Ultimo Aggiornamento: 21/06/2016 13:55
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DISCORSO DEL SANTO PADRE PIO X
AI SACERDOTI DELL'UNIONE APOSTOLICA
IN OCCASIONE DEL CINQUANTESIMO ANNIVERSARIO
DELLA FONDAZIONE

Lunedì, 18 novembre 1912


https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/2/21/Pius_X.jpg

 

Vi ringrazio, diletti confratelli, del delicato pensiero che vi ha condotti al Vaticano per celebrare qui con l'antico confratello il cinquantesimo anniversario della fondazione dell' Unione Apostolica. Vi ringrazio di tutto cuore, e prego il Signore che voglia ricompensarvi per questo atto di squisita carità.

Mi congratulo poi con voi di esservi ascritti a questa Unione, perchè con tale atto avete preso impegno di adempiere fedelmente tutti gli obblighi sacerdotali: obblighi che io ho procurato di riassumere nell'Exhortatio ad clerum, pubblicata in occasione del mio Giubileo sacerdotale, e coll'adempimento dei quali potremo mantenerci fedeli alla vocazione alla quale ci ha chiamato il Signore: vocavit vocatione sua sancta: potremo cioè conseguire la santità necessaria per il sacerdozio a cui fummo chiamati. Se parlando dei semplici cristiani san Pietro li chiamava gens sancta, genus electum, regale sacerdotium, quanto più si dovrà questo dire di noi rappresentanti di Dio sulla terra e suoi ministri, quos elegit Deus in Christo ante mundi constitutionem, ut essemus sancti et imrnaculati in caritate, quos non dixit servos sed amicos, pro Christo legatione fungentes, ministros Christi et dispensatores mysteriorum Dei?

Per raggiungere pertanto questa santità vi raccomando di mantenervi sempre fedeli alla osservanza delle regole della vostra Unione, guardandovi bene dal dispensarvi in nessun giorno e per nessun motivo dagli obblighi che da esse vi sono imposti, cioè dalla meditazione, dalla lettura spirituale, dall'esame, dalla visita al SS. Sacramento, perchè osservando quest'ordine, vi conserverete buoni e diverrete santi. [SM=g1740722]

Distratti da tante altre occupazioni, è facile dimenticare le cose che conducono alla perfezione della vita sacerdotale; è facile illudersi e il credere che occupandosi della salute delle anime altrui, si lavori di proposito anche alla propria santificazione. Ma non v'induca in errore questa lusinga, perchè nemo dat quod non habet; e per santificare gli altri bisogna non trascurare alcuno dei mezzi proposti a santificare noi stessi.

Avete poi detto assai bene che caratteristica dei sacerdoti del-1' Unione Apostolica e loro particolare divisa dev'essere, ed è di fatto, l'amore pel Papa, e anche questo contribuirà mirabilmente alla vostra santificazione. Per amarlo poi basta riflettere chi è il Papa:

Il Papa è il guardiano del dogma e della morale; è il depositario dei principi che formano onesta la famiglia, grandi le nazioni, sante le anime; è il consigliere dei principi e dei popoli; è il capo sotto del quale nessuno sentesi tiranneggiato, perchè rappresenta Dio stesso; è il padre per eccellenza che in sé riunisce tutto che vi può essere di amorevole, di tenero, di divino. [SM=g1740721]

Sembra incredibile, ed è pur doloroso, che vi siano dei sacerdoti ai quali debbasi fare questa raccomandazione, ma siamo purtroppo ai nostri giorni in questa dura, infelice condizione di dover dire a dei sacerdoti: amate il Papa!

E come si deve amarlo il Papa? Non verbo neque lingua, sed opere et veritate. Quando si ama una persona si cerca di uniformarsi in tutto ai suoi pensieri, di eseguirne i voleri, di interpretarne i desideri. E se nostro Signor Gesù Cristo diceva di sè: si quis diligit me, sermonem meum servabit, così per dimostrare il nostro amore al Papa è necessario ubbidirgli.

Perciò quando si ama il Papa, non si fanno discussioni intorno a quello che Egli dispone od esige, o fin dove debba giungere l'obbedienza, ed in quali cose si debba obbedire; quando si ama il Papa, non si dice che non ha parlato abbastanza chiaro, quasi che Egli fosse obbligato di ripetere all'orecchio d'ognuno quella volontà chiaramente espressa tante volte non solo a voce, ma con lettere ed altri pubblici documenti; non si mettono in dubbio i suoi ordini, adducendo il facile pretesto di chi non vuole ubbidire, che non è il Papa che comanda, ma quelli che lo circondano; non si limita il campo in cui Egli possa e debba esercitare la sua autorità; non si antepone alla autorità del Papa quella di altre persone per quanto dotte che dissentano dal Papa, le quali se sono dotte non sono sante, perchè chi è santo non può dissentire dal Papa.

È questo lo sfogo di un cuore addolorato, che con profonda amarezza faccio non per voi, diletti confratelli, ma con voi per deplorare la condotta di tanti preti, che non solo si permettono discutere e sindacare i voleri del Papa, ma non si vergognano di arrivare alle impudenti e sfacciate disubbidienze con tanto scandalo dei buoni e con tanta rovina delle anime.

Questo lamento non è provocato (lo ripeto) da voi, diletti confratelli, che, osservanti delle regole dell'Unione, professate solennemente il vostro ossequio, il vostro affetto, la vostra pietà verso il Papa. - Iddio vi mantenga in questi santi propositi e vi conforti della sua benedizione; quella benedizione che invoco sopra di voi, sui vostri confratelli, sulle vostre famiglie, sulle persone tutte a voi care e che avete in mente, perchè a tutti sia. apportatrice di ogni consolazione.


AVVERTENZA

A togliere l' equivoco che certi giornali vanno creando in mezzo al clero ed ai fedeli, si dichiara che la santa Sede non riconosce per conformi alle direttive pontificie ed alle norme della Lettera di Sua Santità all' Episcopato Lombardo, in data del 1° Luglio 1911, i giornali seguenti: L'Avvenire d'Italia, Il Momento, Il Corriere d'Italia, Il Corriere di Sicilia, L'Italia, ed altri dello stesso genere, checchè ne sia delle intenzioni di alcune egregie persone che li dirigono ed aiutano. [SM=g1740721]


[SM=g1740733]

 

e per una maggior comprensione:


POSSIBILE E NECESSARIA LA CRITICA A PRONUNCIAMENTI PAPALI SENZA COPERTURA NELLA SCRITTURA E NEL CREDO

di Joseph Ratzinger-Benedetto XVI

 

«Si dovrebbe evitare soprattutto l’impressione che il papa (o l’ufficio in genere) possa solo raccogliere ed esprimere di volta in volta la media statistica della fede viva, per cui non sia possibile una decisione contraria a questi valori statistici medi (i quali sono poi anche problematici nella loro constatabilità).

La fede si norma sui dati oggettivi della Scrittura e del dogma, che in tempi oscuri possono anche spaventosamente scomparire dalla coscienza della (statisticamente) maggior parte della cristianità, senza perdere peraltro in nulla il loro carattere impegnante e vincolante.

In questo caso la parola del papa può e deve senz’altro porsi contro la statistica e contro la potenza di un’opinione, che pretende fortemente di essere la sola valida; e ciò dovrà avvenire con tanta più decisione quanto più chiara sarà (come nel caso ipotizzato) la testimonianza della tradizione.

Al contrario, sarà possibile e necessaria una critica a pronunciamenti papali, nella misura in cui manca a essi la copertura nella Scrittura e nel Credo, nella fede della Chiesa universale.

Dove non esiste né l'unanimità della Chiesa universale né una chiara testimonianza delle fonti, là non è possibile una decisione impegnante e vincolante; se essa avvenisse formalmente, le mancherebbero le condizioni indispensabili e si dovrebbe perciò sollevare il problema circa la sua legittimità».

Fede, ragione, verità e amore, p. 400 (Lindau 2009)

_________________


Non dimentichiamo che san Pio X aveva chiaramente in mente l'insegnamento del concilio Vaticano I laddove dice chiaramente:

«ai successori di Pietro non fu promesso lo Spirito Santo perché, per sua rivelazione, manifestassero una nuova dottrina, ma perché, per la sua assistenza, custodissero inviolabilmente ed esponessero con fedeltà la rivelazione trasmessa dagli apostoli, ossia il deposito della Fede» [Concilio Vaticano I, De Eccl. Christi. Cap. 4].





[Modificato da Caterina63 21/06/2016 13:55]
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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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O il dogma, o i cicisbei di corte

 
Il nostro appuntamento mensile con l'Editoriale di "Radicati nella fede", agosto 2013. Chiaro, limpido, incisivo, edificante, come al solito. Che Dio li benedica!


Non se ne può veramente più.

Ad ogni cambio di Papa, ad ogni cambio di Vescovo, si scatena tutta una corsa per prevedere le mosse del nuovo pontefice o del nuovo prelato. Si scatena tutta una corsa per classificarli tra i conservatori o i progressisti, cogliendo tra le loro parole quella sfumatura che farebbe intuire la loro linea.
E tra coloro che così fanno, che sono i più, c'è poi una corsa ad adeguarsi meschinamente, per poter essere annoverati tra coloro che piacciono al nuovo Papa o al nuovo Vescovo.
È la corsa della corte, dei “cicisbei” di corte, che devono adeguarsi ai gusti del principe. Perdonateci questo linguaggio un po' duro, non vi sembri irriverente verso l'autorità, non vuole esserlo.
È solo per parlare chiaro di fronte a questo adeguarsi umano, troppo umano, verso chi comanda; un adeguarsi che non fa alcun onore  all'Autorità nella Chiesa.
 
 Siamo in un clima asfissiante, fomentato dai giornalisti, che il più delle volte non capiscono nulla della Chiesa e del suo mistero.
 
 Ma i giornalisti soffiano su un fuoco non acceso da loro: è la crisi del Dogma che ha innescato l'incendio. In una Chiesa non più preoccupata di custodire le verità di fede, che non mutano, non più preoccupata a perpetuare l'insegnamento di sempre, per consegnarlo alla generazione successiva, ci si mette nella condizione di dover rivoluzionare tutto ad ogni cambio di Papa e di Vescovo... per piacere loro.
 
 Ve la immaginate nei diciannove secoli passati di storia della Chiesa questa frenesia di adattamento? Forse che ad ogni cambio di Papa o di Vescovo i cattolici, preti e fedeli, si domandavano se era ancora valido che Cristo sia l'unico redentore? O che il Battesimo è necessario alla salvezza? O che fuori della Chiesa non ci sia salvezza? Ve lo immaginate nel passato un riformare continuamente i riti della Messa secondo i gusti dell'autorità? Certo che no! I Papi passavano, più o meno bravi, più o meno capaci, più o meno coraggiosi, più o meno santi, ma tutti custodivano semplicemente il deposito della fede, che Cristo ha loro affidato con tutta la Chiesa; e i fedeli non attendevano nulla di nuovo su questo: attendevano anzi che il Papa li difendesse di fronte ad ogni pericoloso cambiamento ereticale.
 
 Così i Vescovi di tutti i secoli, affrontavano il tratto di mare della storia preoccupati di custodire e favorire la fede e la vita cristiana del loro gregge. Tutto qui.
 
 Oggi no, il clima è cambiato: il Modernismo terribile ha intaccato le verità di fede, le ha svuotate, le ha sottoposte a continui nuovi significati, per cui non c'è più nulla di certo... se non adattarsi ai gusti di chi comanda: che tristezza! Questa non è la Chiesa.
 
 Una grande artista francese, convertitasi e diventata monaca benedettina all'inizio del '900, madre Geneviève Gallois, così si esprimeva sulla crisi modernista, parlando della sua vocazione religiosa:
 
 “Cercavo avidamente di conoscere il dogma, questa Roccia, questo Acciaio infrangibile, questo Assoluto, sul quale mi sedevo con uno stupore meravigliato, perché non si piegava e  non portava con esso, la necessità di cercare altre cose. La verità era là, inflessibile e totale: due cose che non avevo mai incontrato nelle opinioni fluttuanti nelle quali fluttuavo.
 
 Erano i tempi del Modernismo, del Sillonismo, del Femminismo, dell'Altruismo, del miglioramento del Proletariato, ecc... Sotto il pretesto della fraternità si faceva (e si fa ancora) una insalata di tutte le religioni, torturando il dogma per adattarlo a tutte le opinioni.
 
 In ognuna di queste divagazioni vi è una particella di verità, ma una particella staccata dal suo contesto e snaturata; la Verità così cucinata è più perniciosa dell'errore evidente. Il Padre Besse (il benedettino che la guidò nella conversione, ndr) mi diceva: “Il Modernismo ha adottato la terminologia del cattolicesimo svuotandola della sua sostanza”.
 
 La Religione non diventava che una sociologia, una morale umana, tendente a stabilire in questo mondo il migliore Modus vivendi possibile. Dio non sarebbe così che il distributore delle nostre comodità e l'esecutore delle nostre concezioni. È mettere la religione con i piedi in alto e la faccia a terra. Rimettiamola nella sua posizione normale: il viso alzato verso Dio che è il nostro unico scopo.” (Realité unique et éternelle, ed. Du cloitre 1980, pp.37-38)
 
 Definizione più sintetica e precisa della crisi Modernista, che spaventosamente perdura nella Chiesa, non si può avere.
 
 “Cercavo avidamente di conoscere il dogma, questa Roccia...”: è questo che l'autorità deve servire nella Chiesa, e per far questo non deve “fluttuare in mezzo alle opinioni”.
 
 Se non c'è questo sguardo mistico sulla verità rivelata, questo sguardo che è il solo cattolico, si finisce schiavi dei flutti menzonieri delle opinioni, condannati a scrutare quali novità porterà l'autorità di turno. Se non c'è il dogma, se non c'è la stabilità della fede nelle verità rivelate, la vita cristiana assomiglia alla vita di una corte che si adatta al principe per piacergli: ed è la tragedia, ed è il ridicolo. Carissimi, viviamo una vita stabilmente poggiata sulla roccia, sull'acciaio infrangile della rivelazione, domandando all'Autorità della Chiesa che semplicemente ce la custodisca.



[SM=g1740733]



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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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Brasile: nel 50° del Vaticano II, corso dei vescovi su impegno missionario, vita consacrata, ministero episcopale



Nel luglio 1990, con la presenza dell'allora card. Joseph Ratzinger, ebbe luogo il primo corso per i vescovi brasiliani presso il Centro Studi e Formazione di Sumaré, a Rio de Janeiro, sul tema "il ministero Petrino nel nostro tempo".

Da quel momento in poi, con due eccezioni sole, ogni anno i vescovi si sono ritrovati per un periodo di comunione e di dibattito su questioni di interesse comune, con docenti che li hanno aiutati a esplorare le tematiche scelte. Il tema di questi ultimi anni è stato il Concilio Vaticano II, con una rivisitazione dei documenti conciliari in occasione del 50° anniversario dell’evento.

La nota inviata all’agenzia Fides dalla Conferenza episcopale del Brasile, riferisce: “quest’anno avremo l'opportunità di discutere i temi delle missioni, della vita consacrata e della missione dei vescovi, e di conseguenza anche del ruolo del sacerdote”.

I documenti che serviranno da base sono i decreti "Ad gentes", "Perfectae Caritatis" e "Christus Dominus".

Il corso si tiene da oggi al 7 febbraio 2014. Per aiutare la riflessione, sono stati invitati alcuni relatori. Il Prefetto della Congregazione per l'Evangelizzazione dei Popoli, il card. Fernando Filoni, si soffermerà sul decreto "ad gentes", trattando del profilo missionario oggi.

Il suo intervento, è spiegato nel comunicato della Conferenza episcopale, “mira a rafforzare la nostra consapevolezza e l’impegno missionario ad inviare missionari nelle regioni che in passato hanno inviato missionari in Brasile. E' importante notare che molte nuove comunità inviano missionari in Europa, che sta vivendo una profonda crisi di vocazioni. Anche i sacerdoti diocesani devono aprirsi allo spirito missionario, non solo per andare negli altri Paesi, ma anche nelle principali regioni dell'Amazzonia, che hanno bisogno di chi amministri i sacramenti e dell'incontro personale con Cristo”.

Il prefetto della Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica, il cardinale brasiliano John Braz Aviz, presenterà il documento "Perfectae Caritatis", illustrando la dimensione vocazionale e le questioni specifiche inerenti alla vita religiosa.

L’arcivescovo di Taranto, mons. Filippo Santoro, si soffermerà sulla centralità del ministero episcopale, mentre mons. Fernando Guimarães, vescovo di Garanhuns, tratterà dei rapporti tra papato ed episcopato.




Testo proveniente dalla pagina http://it.radiovaticana.va/news/2014/02/03/brasile:_nel_50%C2%B0_del_vaticano_ii,_corso_dei_vescovi_su_impegno/it1-769745 
del sito Radio Vaticana 





 

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17/10/2014 13:32
 
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  il testo di San Pio X qui in apertura è oggi usato da cattolici progressisti per dimostrare come si debba obbedire, indiscutibilmente oggi, al Papa ed anzi, che ogni tentativo di discutere - per esempio - su certe espressioni ambigue usate dal Pontefice regnante, sia un andare contro il monito stesso di san Pio X.
E' davvero così? NO!
Possiamo citare molti Santi come la Ildegarda, o Caterina da Siena (Dottori della Chiesa, eh!) quando ammonivano, riprendevano e rimproveravano pubblicamente i Pontefici del proprio tempo e ciò che è assurdo oggi è che dopo un Concilio che avrebbe dovuto spazzare via i difetti della Chiesa del passato, in sostanza li ha peggiorati attraverso una dittatura del pensiero di coloro che con fatica cercano di vivere la Chiesa integralmente e davvero in continuità, ma senza spezzare nulla della Tradizione...

        


Le parole di San Pio X in difesa dell'obbedienza al Papa vanno circoscritte al suo tempo quando, appunto, il Papa veniva attaccato PER LA DOTTRINA per l'integrità dell'ortodossia della fede Cattolica e non possono essere usate oggi contro chi cerca di approfondire  le ambiguità dottrinali scaturite da un certo linguaggio spesso incomprensibile del Papa attualmente regnante....

Certo MAI GIUDICARE IL PAPA.... su questo non si discute, mentre si può discutere sul suo insegnamento.
San Pio X difendeva con le sue parole l'obbedienza all'integrità dell'ortodossia impartita dal Pontefice contro, per altro, una serie di interventi dell'epoca come anche  il caso dla nomina el Vescovo di Genova rigettato dal governo laico....

Perciò per maggior comprensione aggiungiamo quest'altro testo   


IL PAPA È SOLO IL VICARIO Strategie di sopravvivenza in tempi di “eclissi del Papato” secondo il pensiero di padre Calmel


Padre-Roger-Thomas-Calmel(di Cristiana de Magistris) 

Quando, negli anni del Concilio Vaticano II e dell’immediato post-Concilio, venti rivoluzionari soffiavano sulla Chiesa di Cristo, un teologo domenicano, padre Roger-Thomas Calmel, levò il suo vessillo contro-rivoluzionario e, con la sua penna e con la sua parola, fece sentire la sua voce che invitava i fedeli alla resistenza nella fedeltà inflessibile alla Tradizione di sempre con un atteggiamento spirituale di pace e finanche di gioia nella prova.

Il messaggio di padre Calmel non ha mai cessato di essere attuale. Ma torna di particolare interesse quando – ed è il nostro caso – su verità “sempre, ovunque e da tutti” affermate inizia ad aleggiare il soffio funesto del dubbio, a partire dai vertici della gerarchia cattolica.

Padre Calmel, spirito profetico come pochi negli ultimi 50 anni, aveva previsto questa tragica possibilità ed aveva messo in guardia i fedeli fornendo loro le armi per rimanere fedeli alla Chiesa di sempre ed evitare in tal modo la tentazione del sedevacantismo o quella ancor più funesta della disperazione.

Poiché si tratta di una crisi dell’autorità, dal momento che gli errori vengono propugnati da chi avrebbe il compito di condannarli, il punto di partenza, fondamentale ed imprescindibile, è comprendere a fondo fin dove arrivi il potere dell’Autorità, a partire dal suo vertice, il Papa.

Padre Calmel precisa anzitutto che il Capo della Chiesa è uno solo, Nostro Signore Gesù Cristo, che “è sempre infallibile, sempre senza peccato, sempre santo […]. È lui il solo Capo, perché tutti gli altri, compreso il più alto, non hanno autorità se non da Lui e per Lui”. Salendo al cielo, questo Capo invisibile ha lasciato alla sua Chiesa un Capo visibile come suo Vicario, il Papa, “che solo gode della giurisdizione suprema”. “Se però il Papa è il Vicario di Gesù, […], egli è soltanto il Vicario: vicens regens, tiene il posto di Gesù Cristo, ma resta altro da Lui”. Evidentemente il Papa ha prerogative del tutto eccezionali, custodendo i mezzi della grazia, i sacramenti, e la Verità rivelata. Gode, in certi casi ben circoscritti e determinati, dell’infallibilità. Per il resto, “può mancare in molti casi”.

La storia della Chiesa – a parte un manipolo di Papi santi e un numero ridotto di papi indegni – è piena di Papi mediocri e manchevoli. Ciò non deve né spaventare né sorprendere. Al contrario, è proprio nella debolezza, e talvolta anche nell’indegnità, dei papi che risalta la signoria del nostro Salvatore, il Quale rimane il solo Capo della Chiesa, sulla quale esercita il suo governo “tenendo in mano anche i Papi insufficienti e contenendo la loro insufficienza in limiti invalicabili”.

            Ora, avverte padre Calmel, perché questa fiducia nel Capo invisibile della Chiesa sia così profonda da superare tutte le possibili deficienze del suo Vicario in terra, occorre che la nostra vita spirituale “sia riferita a Gesù Cristo e non al Papa; che la nostra vita interiore, la quale abbraccia – non serve dirlo – anche il Papa e la gerarchia, sia fondata non sulla gerarchia e sul Papa, ma sul divino Pontefice […] dal Quale il Vicario visibile supremo dipende ancor più degli altri sacerdoti.

            E ciò per una ragione a tutti evidente e quanto mai elementare: La Chiesa – scrive quest’illustre figlio di san Domenico – non è il corpo mistico del Papa. La Chiesa, col Papa, è il corpo mistico di Cristo. Quando la vita interiore dei cristiani è sempre più orientata a Gesù Cristo, essi non cadono nella disperazione, anche quando soffrono fino all’agonia delle manchevolezze d’un papa, sia egli un Onorio I o i papi antagonisti della fine del Medio Evo; sia egli, nel caso limite, un papa che manca secondo le nuove possibilità offerte dal modernismo”. Quand’anche un papa giungesse al limite estremo di cambiare la Fede “o per accecamento o per spirito di chimera o per un’illusione mortale” (tra le tante offerte dal modernismo), ebbene “il papa che arrivasse a questo punto non toglierebbe al Signore Gesù il suo governo infallibile, che tiene in mano anche lui, papa sviato, e gli impedisce di impegnare fino alla perversione della fede l’autorità ricevuta dall’alto”.

            Ma anche in questi sventurati casi, la vita interiore dei cristiani non può escludere il Papa, senza con ciò cessare di essere cristiana. Un’autentica vita interore, centrata necessariamente su Gesù Cristo, include sempre il suo Vicario e l’obbedienza a lui dovuta, ma “questa obbedienza, lungi dall’essere incondizionata, è sempre praticata alla luce della fede teologale e della legge naturale”. 

E qui entra in gioco lo spinoso problema dell’obbedienza al Vicario di Cristo. Spinoso, nota ancora una volta padre Calmel, solo per chi ignori o voglia ignorare gli articoli della Fede cattolica riguardanti il Sommo Pontefice. Occorre anzitutto ricordare che ogni cristiano vive “per mezzo di Gesù Cristo e per Gesù Cristo, grazie alla sua Chiesa, che è governata dal Papa, al quale obbediamo in tutto ciò che è di sua competenza. Non viviamo affatto per mezzo e per il Papa, quasi ci avesse lui acquistato la redenzione eterna; ecco perché l’obbedienza cristiana non può né sempre né in tutto identificare il papa con Gesù Cristo.

Un cristiano che voglia incondizionatamente esser gradito al Papa, in tutto e sempre “è necessariamente abbandonato al rispetto umano” e si “espone a molte superficialità e complicità”. 

È pur vero, riconosce il teologo domenicano, che si è spesso predicato un’obbedienza al Vicario di Cristo che ha più il lezzo del servilismo che il profumo della virtù, talvolta per far carriera, o per preparare la propria testa al cappello cardinalizio, o per dare lustro al proprio Ordine o alla propria Congregazione. Ma, notiamo bene, “né Dio né il servizio del Papa hanno bisogno della nostra menzogna: Deus non eget nostro mendacio”. 
Occorre sempre ricordare la subordinazione dell’obbedienza alla Verità e dell’autorità alla Tradizione. Il Papa, come tutti gli uomini di Chiesa, non può usare legittimamente della sua autorità se non per definire o chiarire verità che sono sempre state insegnate. Se si allontanasse da questo sentiero, cesserebbe il dovere della nostra obbedienza e varrebbe il monito di san Pietro: “Bisogna obbedire a Dio invece che agli uomini (At 5,29)[1].

Il Papa – in quanto papa – non è sempre infallibile e – come uomo – non è mai impeccabile. Non bisogna scandalizzarsi se prove, talvolta molto crudeli, sopraggiungono alla Chiesa proprio da parte del suo capo visibile. Non bisogna scandalizzarsi se, benché soggetti al Papa, non possiamo tuttavia seguirlo ciecamente, incondizionatamente, in tutto e sempre”. Ma che fare allora se una situazione di tal genere divenisse la triste e sventurata realtà? In tal caso bisogna ancor più fortemente orientare la propria vita interiore all’unico Redentore e Signore del mondo, nutrendosi della Tradizione apostolica, con i suoi dogmi, del suo immortale Messale e del Catechismo, oltre che della preghiera e della penitenza.

D’altro canto, la Rivelazione non ha mai insegnato che il Vicario di Cristo è immune dall’infliggere alla Chiesa prove di tal genere. Ed il modernismo, imperante da cinquant’anni, certamente è un terreno fertile per farle germogliare. 
Ma, se ciò avvenisse – come pare stia avvenendo –, benché una sorta di smarrimento e di vertigine assalga l’anima dei fedeli, bisogna ricordare che la Chiesa è la Sposa di Cristo ed è Lui che – nonostante gli umani cedimenti – la guida nella sua ineffabile e spesso a noi incomprensibile provvidenza. 

Padre Calmel paragona lo stato della nostra vita interiore sopraffatta da una simile prova alla preghiera del Signore Gesù nel Getsemani, quando disse agli apostoli mentre avanzava la soldataglia: Sinite usque huc (Lc 22,51). È come se il Signore dicesse: Lo scandalo può arrivare fino a questo punto; ma lasciate e, secondo la mia raccomandazione, vegliate e pregate… Col mio consenso a bere il calice, vi ho meritato ogni grazia, mentre eravate addormentati e mi avete lasciato solo; vi ho ottenuto in particolare una grazia di forza soprannaturale, che sia a misura di tutte le prove, anche della prova che può venire alla Santa Chiesa da parte del Papa. Io vi ho reso capaci di sfuggire a questa vertigine”.

L’anima cristiana che fondi la propria vita interiore sulla Tradizione perenne non ha da temere, anche in quella che padre Calmel ritiene la peggiore delle prove per la Chiesa: il tradimento del suo Vicario.

Con l’ottimismo proprio delle anime sante, pur riconoscendo l’immane tragedia che attanaglia la Sposa di Cristo, egli ritiene tuttavia una grazia vivere in questi tempi di prova, nei quali la sofferenza più grande dei figli della Chiesa è esattamente quella di non poter seguire il Papa come desidererebbero. “Noi siamo figli docili del Papa, ma ci rifiutiamo di entrare in complicità con le direttive papali che inducono al peccato”. 

Il cardinal Caietano non esita ad affermare che “Bisogna resistere al Papa che pubblicamente distrugge la Chiesa”. Si tratta, in questi casi, di una sorta di “eclissi del Papato”. 

Questa prova però, nota padre Calmel, non potrà essere “né totale né troppo lunga” e – soprattutto – “noi abbiamo la grazia di santificarci” in questa eclissi nella quale la Chiesa resta la Sposa di Cristo, nonostante tutto. Com’era sua abitudine, elevava lo sguardo verso il Cielo e diceva: “Abbiamo la grazia di soffrire e di resistere senza farne una tragedia. La Vergine Santa ci difende”.

Dunque, che cosa fare? 

I veri figli della Chiesa, quanto più desiderano rivedere la loro Madre rivestita del suo glorioso splendore, a partire dal suo Capo visibile, tanto più devono mettere la loro vita, con la grazia di Dio e conservando la Tradizione, sul solco dei Santi. “Allora il Signore Gesù finirà con l’accordare al gregge il pastore di cui esso si sarà sforzato di rendersi degno. All’insufficienza o alla defezione del Capo non aggiungiamo la nostra negligenza personale. Che la Tradizione apostolica viva almeno nel cuore dei fedeli anche se, sul momento, languisce nel cuore e nelle decisioni di chi ne è il responsabile a livello di Chiesa. Allora certamente il Signore ci userà misericordia”. Quella vera.

 

[1] Il 15 aprile 2010, Benedetto XVI, commentando questo passo degli Atti, nell’omelia ha detto: “San Pietro sta davanti alla suprema istituzione religiosa, alla quale normalmente si dovrebbe obbedire, ma Dio sta al di sopra di questa istituzione e Dio gli ha dato un altro “ordinamento”: deve obbedire a Dio.  L’obbedienza a Dio è la libertà, l’obbedienza a Dio gli dà la libertà di opporsi all’istituzione”.






[Modificato da Caterina63 17/10/2014 13:34]
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21/10/2014 13:44
 
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[SM=g1740733] Paolo VI Discorso dimenticato AMATE IL PAPA


"Siamo nella Chiesa, apparteniamo alla Chiesa; siamo battezzati, siamo Figli di Cristo, abbiamo la stessa fede, bene: chi appartiene a questa società che si chiama, oggi, il popolo di Dio, che si chiama la comunità cristiana, ebbene deve sapere che questa Comunità è organizzata e non può vivere senza l'innervazione di una organizzazione precisa e potente che si chiama la Gerarchia.
Figlioli miei è la Gerarchia che vi sta parlando, e il Vicario di Cristo che oggi è davanti a voi vi dice questo: che non siamo fatti tanto per comandare quanto per servire.
Posso domandarvi, Figlioli carissimi, questa grazia che voi certamente non mi rifiutate: amate il Papa.
Amate il Papa perchè senza alcun suo merito e senza certamente alcuna sua ricerca gli è capitata questa strana, singolare vocazione di rappresentare Nostro Signore.
Non guardate a Noi, guardate al Signore di cui rappresentiamo..
Siamo al vostro servizio fratelli!"

SOSTA DI PAOLO VI
AD ANAGNI «CITTÀ PAPALE»

Giovedì, 1° settembre 1966

Il Santo Padre, sostando ad Anagni, insiste sul concetto fondamentale di questa visita e non dimenticabile giornata: la continuità della Chiesa, nella sua storia, nei suoi insegnamenti, della sua missione quaggiù.

Paolo VI si è soffermato sull’ininterrotto collegamento degli avvenimenti della Chiesa, che sembrano vincere le distanze del tempo, e sulla necessità che i cristiani si facciano sempre guidare dalla sapienza e dall’amore della Chiesa madre. Sono stato a venerare la memoria del grande e santo Pontefice Celestino - ha soggiunto il Santo Padre - ma non si può rievocare la memoria di questi senza ricordare anche quella del suo successore Papa Bonifacio che fu tanto diverso da lui, formidabile nella sua azione per la Chiesa e che ha dato con la sua presenza e la sua opera celebrità immortale a questa città.

Noi non stiamo qui - ha proseguito il Santo Padre - per avanzare rivendicazioni o tessere panegirici, né commemorazioni, ma unicamente per cogliere l’aspetto più caratteristico dell’opera di questo Pontefice. Nessuno ebbe, forse, più di lui tanti nemici, nessuno, come lui, fu tanto bersagliato, calunniato e perfino oltraggiato. Perché? - si è chiesto Paolo VI -.
Perché al di là di certi atteggiamenti della sua personalità, della sua politica, del suo carattere, egli è stato il Papa che più degli altri ha affermato l’Autorità del Romano Pontefice, la continuità che ad esso deriva dall’aver ereditato il potere che Cristo aveva dato a Pietro e in Pietro a tutti i successori. Egli svolse il suo mandato apostolico con forme di autentica luce. Bonifacio VIII - ha osservato il Sommo Pontefice - ha fatto quello che oggi si vorrebbe fare senza forse riuscirci: quello che oggi si chiama «la scala dei valori».
Perché Bonifacio VIII ha avuto l’intrepida forza di affermare la formula della più piena e solenne autorità pontificia, il concetto - che fu, poi, dagli altri Papi meglio definito - dell’esistenza dei due poteri, uno spirituale, l’altro temporale, entrambi sovrani nel loro ordine, salvo che nella loro applicazione nella vita umana: i valori dello spirito devono condizionare gli altri valori umani.

La lezione di questo Papa è il senso dell’appartenenza alla Chiesa, la comprensione degli obblighi di lealtà alla gerarchia per ogni cattolico, dal momento che appartiene a una società organizzata.
La gerarchia, ha detto ancora il Santo Padre, è la causa efficiente, il principio di vita della Chiesa. Dio - ha proseguito - non ci ha lasciato camminare come pecore senza guida, ma ha incaricato qualcuno di organizzare il suo Corpo Mistico. Perciò alla gerarchia dobbiamo obbedienza, una obbedienza, capita, professata, meditata, non come schiavi o vinti, ma come figli che la reclamano, l’amano, la servono. Posso domandarvi - ha esclamato, a questo punto, il Papa, suscitando come risposta un fervido e prolungatissimo applauso - la grazia che voi non vi rifiutate di amare il Papa? «Amate il Papa», al quale senza suo merito o ricerca è affidata la singolare missione di rappresentare il Signore davanti alla Chiesa universale e che non ha altra aspirazione se non quella di salvare, di farvi felici, perché la sua autorità è un servizio: il servizio del Servo dei servi di Dio.

Accennando agli avvenimenti storici vissuti dalla Cattedrale di Anagni da dove partirono le più gravi scomuniche contro re e imperatori e dove ebbe inizio lo scisma d’Occidente, l’Augusto Pontefice esprime l’augurio di pace, di fraternità, di amore; ed il voto che da questo stesso luogo parta il fraterno invito a quanti sono ancora divisi dalla Chiesa perché sia ritrovata e raggiunta l’unità e si faccia un solo ovile sotto un solo pastore. Perché questo avvenga - ha concluso il Papa - voi dovete essere come lampade luminose nel cielo della Chiesa, esempio di carità e di rinnovamento spirituale come vuole il Concilio.

*******************

AMARE IL PAPA dunque, ma anche il Papa deve amare il ruolo dal quale e nel quale è posto per DIFENDERE LA DOTTRINA DELLA CHIESA..... [SM=g1740733]
Si può e si deve amare il Papa anche aiutandolo a comprendere quando egli sbaglia..... l'infallibilità del Papa non è messa in discussione quando si chiede al Papa di difendere la dottrina della Chiesa....

www.cooperatoresveritatis.gomilio.com/it/paolo-vi-discorso-dimenticato-amate...





[SM=g1740717]


[SM=g1740738]
[Modificato da Caterina63 12/11/2014 12:54]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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12/11/2014 12:50
 
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  IL CASO DEL CARDINALE BURKE:

LA PENTOLA È PRONTA MANCA SOLO IL COPERCHIO

 

Con la sua mossa infelice contro questo suo Cardinale, il Papa forse non si rende conto che in Raymond Leonard Burke non ha colpito tanto lui e solo lui, ma piuttosto, in lui, quella parte migliore del Collegio cardinalizio, che è la più fedele alla sana dottrina, alla difesa della morale e al Successore di Pietro.

 

Autore Giovanni Cavalcoli OP
Autore
Giovanni Cavalcoli OP
pentola
La pentola del Diavolo

Dice un noto proverbio popolare: il diavolo fa le pentole, ma non i coperchi. I modernisti, i falsi ecumenisti, i filoprotestanti, i criptomassoni e i rahneriani, partiti baldanzosi, furbescamente e clandestinamente alla conquista del potere supremo della Chiesa cinquant’anni fa, servendosi di un’ottima organizzazione culturale — per esempio la rivista Concilium e numerose case editrici compiacenti —, nonché di un’astutissima e diabolica falsificazione delle dottrine del Concilio Vaticano II, con incredibile ostinazione ed audacia e l’impiego di mezzi potentissimi, economici e politici, penetrando progressivamente negli istituti accademici della Chiesa, gabbando progressivamente ambienti sempre più vasti del mondo cattolico, compresi certi vescovi ed oggi addirittura certi cardinali, sono ormai giunti nei pressi della casa di Pietro, convinti, nella cecità della loro superbia, di avere ormai la vittoria in mano, col persuadere il Vicario di Cristo ad abbracciare le loro eresie e le loro bestemmie.

melloni
… due esperti di pentole?

Segno tra i tanti di questo grandioso quanto stolto progetto è il prossimo convegno che si terrà in questo mese a Bose, nel corso del quale la cosiddetta “Scuola di Bologna” diretta da Alberto Melloni e ispirata dal suo profeta Enzo Bianchi, col concorso di centinaia di studiosi di fama internazionale, proporranno solennemente e perentoriamente al Papa una “riforma del papato”, che comporta da parte del Papa la rinuncia all’infallibilità dogmatica, sul modello delle Chiese degli scismatici orientali (1). Ai loro occhi il Papa, dopo la nomina di Bianchi a collaboratore della Santa Sede, e tanti altri segni che per loro sanno di simpatia per il modernismo, ormai è pronto, grazie all’azione dello Spirito Santo ad accogliere le loro idee. Credono che il Papa sia un ingenuo o un complice che essi possono giocarsi come meglio credono. La pentola è pronta. Ma il coperchio? Il coperchio non ci sarà mai ed anzi anche la pentola sarà distrutta.

BIanchi Papa
Beatissimo Padre, tenetevi alla larga da questa oscura ombra

Non c’è dubbio che il Santo Padre da tempo sta dando prova, accanto a sagge e coraggiose posizioni e scelte di carattere dottrinale — e  come diversamente potrebbe essere nel Successore di Pietro? —, di esprimere giudizi o valutazioni su teologi o di prendere decisioni riguardo l’assunzione o la rimozione di collaboratori, che appaiono in contrasto con la linea dottrinale e riformatrice sulla quale egli intende procedere; fatti, questi, che invece di frenare il modernismo finiscono per favorirlo, permettendo che si diffonda l’opinione ingannevole e calunniosa del Papa “modernista”.
Un esempio eclatante di quanto dico è ciò che è avvenuto e sta avvenendo in questi giorni. C’è stato un sinodo dei vescovi dedicato ai problemi del matrimonio e della famiglia. Il Papa, al termine, ha pronunciato un forte discorso, nel quale ha condannato tanto il lefevrismo quanto il modernismo, sotto il nome di “buonismo distruttivo” [vedere il mio precedente articolo qui e quello di Antonio Livi qui].

Cardinale Burke 2
Il Cardinale Raymond Leonard Burke

Dunque non era difficile rintracciare nella condanna di quest’ultimo non solo una certa tendenza lassista, che si era manifestata tra i vescovi, ma anche le famose proposte del Cardinale Walter Kasper, del quale pure il Papa in precedenza aveva parlato in tono elogiativo come di grande teologo, e che proclamava davanti a tutti che la sua proposta l’aveva elaborata col consenso del Papa. Da qui lo strombazzare fatto dai modernisti secondo i quali Kasper era col Papa, mentre il “conservatore” Burke, insieme con gli altri cardinali del suo gruppo sono “contro” il Papa.

Si conosce bene, sulla bocca dei modernisti, il significato infamante dell’appellativo “conservatore”. Il conservatore, per loro, è uno che resta attaccato a cose superate dal progresso ed inutili: è uno escluso dalla storia, e quindi dalla salvezza, giacchè, hegeliani, immanentisti e modernisti come sono, non ammettono verità sovrastoriche, eterne e ed immutabili, ma per loro la verità è filia temporis, è solo nell’oggi, nel moderno. I concetti mutano. La natura umana, la legge morale mutano. La natura umana in Cristo è confusa con quella divina. Dio stesso diviene.

Il passato è passato. Non c’è niente in esso che debba essere conservato, recuperato, rivalorizzato o restaurato, al massimo può esser ricordato come un fatto precedente della storia; ma in sè è solo spazzatura da gettar via e basta. Sarebbe stoltezza voler farlo rivivere oggi, così come lo il conservare la scatola del latte che abbiamo consumato o i mezzi per arare i campi che usavano i nostri bisnonni. Secondo me manca nei modernisti il concetto di conservare inteso come conservare, custodire o mantenere con fedeltà valori del passato, che essendo immutabili e sempre autentici, valgono anche oggi e varranno sempre.

Cardinale Burke 3
I

Per questo l’appellativo che essi danno di “conservatore” al Cardinale Raymond Leonard Burke è chiaramente calunnioso,teso a metterlo in cattiva luce per poter esser loro ad emergere come unici detentori della verità, che è storia come storia dell’oggi, perchè tutto si risolve nell’oggi: l'”Assoluto — come recita un libro di Kasper dedicato a Schelling — è “nella storia ” (2). Non esiste fuori, prima e al di sopra della storia, ma solo nella storia, per la storia e identico alla storia. Senza la storia l’Assoluto non è l’Assoluto.
In realtà Burke appartiene ai migliori cardinali, tra i più fedeli al Magistero pontificio e della Chiesa, esimio giurista, profondo conoscitore del diritto canonico, uomo pio, prudente e dottissimo così in campo morale come in campo giuridico, coraggioso difensore dei valori della giustizia, profondamente amante della Chiesa e delle anime.

Il suo equilibrato tradizionalismo, che nulla ha a che vedere col lefebvrismo, non è altro che la gelosa custodia dei valori perenni, in piena conformità con la riforma del Concilio Vaticano II e con la santa libertà che esso promuove, come per esempio la celebrazione della Messa Tridentina, in consonanza col ben noto Motu proprio di Papa Benedetto XVI Summorum Pontificum.
In occasione del recente sinodo il Cardinale Burke, come è noto, insieme con altri Porporati, compreso il Cardinale Ludwig Müller, Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, e tutti i cattolici ai quali stanno a cuore la dignità cristiana del matrimonio e della famiglia, ha fatto sentire alta e chiara la sua voce contro le note proposte di mutamento dell’attuale disciplina ecclesiastica nella delicata materia, proposte apparentemente più attente ai casi pietosi, ma in realtà inficiate da un retroterra morale lassista, privo del fattore ascetico e fondato sulla falsa convinzione di origine rahneriana che tutti hanno la fede (“esperienza atematica preconcettuale”), tutti sono benintenzionati (“opzione fondamentale”) e ben orientati a Dio (“autotrascendenza”), tutti sono in grazia (“esistenziale soprannaturale”) e tutti si salvano (“cristianesimo anonimo”). Ciò esclude nell’educatore e nel pastore il compito della correzione dell’errante o del peccatore (far passare dal peccato alla grazia), per cui la sua unica funzione si ridurrebbe a potenziare nel soggetto tutto e solo ciò che ha già di positivo (farlo passare o progredire dal bene al meglio).

Cardinale Burke 4Si comprendono allora le conseguenze sconcertanti e dirompenti di questo metodo nell’ambito della prassi e della legislazione canonistica e giudiziaria: se non esistono delitti, non esistono neanche le pene. Sorge una generale tendenza alla depenalizzazione e alla soppressione delle sanzioni canoniche, che, sotto pretesto della misericordia e del rispetto per la persona, finisce per favorire le ingiustizie, e per far crollare l’intero sistema dell’ordinamento giuridico e il senso stesso del diritto canonico, come già avvenne nei tempi entusiastici e spontaneistici, ampiamente utopistici, della riforma luterana e come rinacque nel clima della rivoluzione del ’68, col famoso slogan “vietato vietare”. Non si presuppone in questa impostazione formativo-pastorale una verità certa, unica, oggettiva e immutabile, ma solo un pluralismo di culture e tutto si risolve nel primato e nell’assolutezza della coscienza soggettiva, secondo i placet di Lutero, Cartesio ed Hegel. E’ ciò che il Papa ha condannato come “buonismo distruttivo” e falsa misericordia.
Ciò che preoccupa maggiormente in queste idee non sono tanto le suddette proposte, tutto sommato appartenenti a quel campo della disciplina canonica, dove la Chiesa può anche mutare, ma è il sottofondo storicistico, antimetafisico e relativista, che si intravede e che almeno nel Cardinale Kasper non è difficile rintracciare anche nella sua lunga attività a capo dell’ecumenismo e nelle sue opere di cristologia (3).

Cardinale Burke 7Sono certo che il Cardinale Burke accetterà serenamente ed umilmente la decisione papale, non preceduta, a quanto è dato sapere, da alcuna inchiesta, come parrebbe esser stato opportuno per un provvedimento così grave. Devo dire peraltro francamente che non riesco ad armonizzare questa decisione del Papa col suo magistero dottrinale e la sua conclamata volontà di riforma. Burke a mio avviso era da premiare e non da declassare in modo così vistoso ed umiliante, anche se ciò va detto con tutto il rispetto e l’ammirazione per il benemerito e venerabile Ordine di Malta.
Con ogni rispetto per le decisioni sovrane e inappellabili del Papa, mi sia però consentito di dire sommessamente che egli avrebbe potuto avere ben altri modi di allontanare un alto prelato a lui non gradito senza che occorra abbassarlo in tal modo. Pensiamo per esempio a Pio XII, il quale, non essendo soddisfatto di Monsignor Giovanni Battista Montini come sostituto alla Segreteria di Stato, lo nominò arcivescovo di Milano, la diocesi più grande del mondo. Ricordiamoci infatti del famoso, tradizionale e saggio principio promoveatur ut amoveatur,che, salvo casi gravissimi che hanno richiesto sanzioni canoniche, ha risolto tante situazioni scabrose nel governo della Chiesa nel rispetto della giustizia, ma senza offendere la carità e la dignità del suddito.

Cardinale Burke 6Ci sono tante maniere di fare un richiamo a un sottoposto senza bisogno di ricorrere a misure del genere. Indubbiamente l’incarico ricevuto dal Cardinale Burke può addirsi al suo livello, ma solo come aggiunta secondaria a impegni più importanti, ma non che il nuovo incarico debba sostituire sic et simpliciter il precedente. Cose del genere non capitano mai. L’umiliare il suddito può essere segno di forza nel superiore, ma lo rende antipatico agli occhi della giustizia e della comunità. Soddisfa solo gli invidiosi e gli avversari.

I modernisti, che adesso canteranno vittoria, dal canto loro hanno imbastito da tempo un’indegna campagna denigratoria nei confronti del Cardinale Burke, mentre hanno innalzato alle stelle la figura del Cardinale Kasper, neanche fosse il Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede e il più alto luminare dell’ortodossia cattolica. Sono certo che il Papa non si lascia abbindolare da queste mosse vergognose e disoneste; tuttavia, in questa penosa vicenda del Cardinale Burke si ha l’impressione che il Papa, o per ingenuità o sotto il peso di una fortissima e ben orchestrata pressione psicologica, ciò che in diritto si chiama “stato di necessità”, non abbia agito con piena libertà e consapevolezza della sua altissima responsabilità. Indubbiamente i kasperiani e in generale i modernisti devono aver digerito malissimo il discorso del Papa al sinodo, dove lì ha dato chiara, libera e fiera prova di essere Pietro, e probabilmente si sono subito furiosamente scagliati contro il povero Burke, certamente responsabile ai loro occhi dell’abbominevole rigurgito reazionario e conservatore, al quale il Papa avrebbe momentaneamente ceduto col suo disgraziato discorso.

leone magno e attila
il Santo Pontefice Leone Magno ferma Attila re degli Unni

Dobbiamo pertanto considerare che affinchè l’azione di un Pontefice sia efficace, come insegna la storia dei santi Pontefici, soprattutto riformatori, bisogna che le scelte relative ai suoi collaboratori siano sagge e coerenti col suo magistero dottrinale.  Se invece esse vi contrastano, non c’è da stupirsi se esse rimangono lettera morta e sorge il sospetto in molti che il Papa stesso non creda veramente a quello che dice. È inutile avere buone idee se poi non se ne affida l’esecuzione a collaboratori fedeli e capaci. E’ inutile proporre ottime dottrine, se poi non si puniscono coloro che spavaldamente le negano. Diversamente, certo il Papa conserverà il carisma della infallibilità dottrinale, ma intanto ciò non impedirà a soggetti disinvolti come Melloni e Bianchi di proporre sfacciatamente al Papa la rinuncia alla sua infallibilità.

cardinali-1Con la sua mossa infelice contro questo suo Cardinale, il Papa forse non si rende conto che in Burke non ha colpito tanto lui e solo lui, ma piuttosto in lui quella parte migliore del collegio cardinalizio, che è la più fedele alla sana dottrina, alla difesa della morale e al Successore di Pietro. Per questo sono certo che in questo gruppo di eletti Porporati non potrà non esserci del malcontento o forse dello sdegno per l’accaduto e non resteranno senza far nulla. “È questa — probabilmente si chiederanno gli Eminentissimi — la gratitudine del Papa per il nostro servizio?”. Ormai le ostilità sono aperte e bisogna lottare per il Vangelo e per il primato di Pietro. Bando ai criptoprotestanti e a tutti gli impostori.

Cardinal Ravasi of Italy attends a mass in St. Peter's Basilica at the Vatican
Il Cardinale Gianfranco Ravasi

Per molto tempo gli elementi migliori del collegio cardinalizio hanno lasciato parlare i loro confratelli smaniosi di protagonismo ed aspiranti al papato, s’intende un papato “moderno”. Ora sembrano dire: «Adesso griderò e sbufferò come una partoriente» ([Is 42,14]. Consapevoli della loro gravissima responsabilità di stretti collaboratori del Successore di Pietro, hanno cominciato a parlare e nessuno li fermerà. E sono convinto che il Papa capirà ed apprezzerà, se non vuole, come si suol dire, “darsi la zappa sui piedi”. I suoi veri amici non sono i kasperiani, ma il gruppo di Burke, capeggiato dal Cardinale Müller, Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede. Il Papa torna spesso a parlare della lotta apocalittica di Satana contro la Chiesa e della protezione efficacissima che viene dalla Madonna. Si vede che egli ha il chiaro sentore di ciò che sta accadendo. Se poi Pietro è la roccia sulla quale Cristo ha edificato La sua Chiesa, è evidente che tolta questa roccia, la Chiesa crollerebbe.

bianchi francesco
Enzo Bianchi non ha ricevuto mai alcuna sacra ordinazione, non ha emesso alcuna professione religiosa, non è stato mai neppure istituito lettore e accolito, pur malgrado si presenta così “mascherato” da abate in udienza dal Romano Pontefice. Evidentemente qualcuno lo fa entrare. 

Per questo, tutti gli eretici e i distruttori della Chiesa possono farsi paladini dei più alti valori, ma tutti sono d’accordo nel voler abbattere il papato. Ma ecco che quando sembra che siano giunti a realizzare il loro piano, Dio li abbatte rovinosamente. Perché il fair play di Dio assomiglia a quello di un gran signore, che lascia per un certo tempo che ladri e truffatori gli sottraggono brano a brano parte del suo patrimonio, senza intervenire o facendo finta di non vedere, quasi ad invitarli silenziosamente a ravvedersi e a restituire il mal tolto; ma se questi persistono nello loro disonestà, ecco che improvvisamente si presenta loro ad imporre di pagare tutto il conto fino all’ultimo spicciolo.

Quando il papato è in pericolo, la Chiesa è nel massimo pericolo. Ma ecco che quando tutto sembra perduto, questo è il momento della salvezza e del riscatto.

Fontanellato, 10 novembre 2014
S.Leone Magno Papa

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Ogni tanto il Padre Antonio Livi mi ricorda che io sono il cosiddetto direttore responsabile di questa rivista telematica suscitando a volte il mio imbarazzo a volte la mia ilarità. Come non potrei sorridere, considerata la caratura dei due illustri co-fondatori: un filosofo metafisico e teologo come Antonio Livi, un filosofo tomista e teologo dogmatico come il Padre Giovanni Cavalcoli, ed io nel mezzo, come un asino.

Nei rapporti tra di noi, da sempre affettuosi e confidenziali come si addice ad uomini legati tra di loro dal mistero del Sangue di Cristo, l’elemento che però prevale sopra ad ogni cosa è il carattere sacerdotale, il servizio alla Chiesa e al Popolo che Dio le ha affidato. Questo ci rende uguali. E dinanzi a questo scritto amorevole e sofferto del nostro amato confratello sacerdote dell’Ordine dei Frati Predicatori, Antonio Livi ed io ci sentiamo profondamente uniti al Padre Giovanni come sacerdoti e come uomini che per amore di Cristo e della Chiesa affidata a Pietro sono pronti a spargere in qualsiasi momento il loro sangue lungo le vie della Gerusalemme terrena per la gloria eterna della Gerusalemme celeste.

Ariel S. Levi di Gualdo

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NOTE

(1) In che consiste l’infallibilità pontificia? Il Papa, come maestro della fede e successore di Pietro, e come pastore universale della Chiesa, salvo il caso in cui egli esprima un’opinione teologica privata o non sia compos sui per alterazione o sofferenza psico-emotiva, quando, in qualunque occasione pubblica o privata e con qualunque mezzo di comunicazione, di sua iniziativa (motu proprio) o sollecitato o interpellato da altri, sia da sè (ex sese), sia come presidente del Concilio ecumenico o capo del collegio episcopale sparso nel mondo, solennemente o semplicemente, in magistero ordinario o straordinario, insegna o interpreta, definendo o non definendo, ciò che attiene direttamente o indirettamente al dogma o ai dati della divina rivelazione o ai misteri della fede, non può dire nè il falso nè il falsificabile, perchè è assistito da quello Spirito di verità che Cristo ha promesso alla sua Chiesa e al suo Vicario in terra al fine di comunicare con certezza il messaggio della salvezza integro ed autentico a tutto il mondo fino alla fine dei secoli. Resta solo eventualmente un problema di interpretazione di certe sue affermazioni, che la richiedono, relativamente al suo modo di esprimersi, che può essere insolito o meno appropriato, interpretazione che comunque dev’essere benevola e che può dare successivamente, se crede, lo stesso Pontefice. Avanzare qui sospetti circa l’ortodossia dei contenuti, sarebbe una grave ed inammissibile irriverenza nei confronti del Pontefice e metterebbe in serio pericolo l’anima di chi osa formare un tale sospetto e di chi lo prende per buono.

(2) Jaca Book, Milano 1986.

(3) Cf Gesù il Cristo, Queriniana, Brescia 1986; il mio libro Il mistero della Redenzione, ESD, Bologna 2004, pp.318-329.





Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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22/11/2014 23:41
 
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 Servizio vigili del fuoco. Il Santo Padre Francesco ed il nuovo incendio mediatico: le offerte ai preti





«SERVIZIO VIGILI DEL FUOCO»

IL SANTO PADRE FRANCESCO ED IL NUOVO INCENDIO MEDIATICO: LE OFFERTE AI PRETI


[…] a tutti i non pochi sacerdoti con funzione di parroci che vivono certe situazioni di disagio economico, vorrei lanciare sia un’idea sia un appello: quando vi arriva una bolletta della luce o del gas che non riuscite a pagare, mandatela alla Domus Sanctae Martae, indirizzata direttamente a Sua Santità il Sommo Pontefice Francesco, Città del Vaticano, accompagnata da questo biglietto: «Siamo i preti della Chiesa povera per i poveri e non abbiamo i soldi per pagare la bolletta della luce e del gas della chiesa parrocchiale, quindi rimettiamo il pagamento direttamente alla Sede Apostolica».

 

Autore Padre Ariel
Autore
 Padre Ariel S. Levi di Gualdo da l'Isola di Patmos - vedi qui -

 

Nella sua omelia mattutina il Santo Padre ha detto: «Quante volte vediamo che entrando in una chiesa ancora oggi c’è lì la lista dei prezzi: per il battesimo, la benedizione, le intenzioni per la messa. E il popolo si scandalizza».

Chi desidera leggere tutto il resoconto può collegarsi direttamente al sito de La Repubblica [vedere qui] divenuta ormai organo ufficioso della Santa Sede, non ultimo anche per avere un saggio di come certi discorsi finiscono poi riportati dalla grande stampa.

Pare che il Santo Padre tenda ad una certa parzialità che lo induce a vedere le cose da destra ma non da sinistra. A questo si aggiunga che appena l’audience tende a calare, il Santo Padre se ne esce fuori con qualche frase ad effetto che fa subito il giro del mondo; e per giorni e giorni sono garantite le prime pagine dei giornali, che delle sue parole espresse non di rado con scarsa chiarezza prendono di prassi ciò che vogliono e con tutto il possibile beneficio d’inventario, specie quando il Santo Padre dice cose sacrosante e giuste, ma espresse però in modo sbagliato, creando così non pochi problemi di comunicazione e di recezione dei suoi stessi messaggi, perché i media finiscono col fargli dire ciò che lui non ha neppure mai pensato.

Vigili del fuoco vaticano 3
I Vigili del Fuoco dello Stato della Città del Vaticano montano il comignolo sul tetto della Cappella Sistina prima del conclave dei cardinali

Siccome ciò non può essere casuale, c’è da chiedersi: chi è il regista di certe strategie pubblicitarie, visto che di tali si tratta?

E “spara” oggi che ti “sparo” domani, se le sparate non dovessero più sortire effetto nei media assuefatti a tutte le peggiori droghe, tanto da richiedere dosi sempre maggiori di stupefacenti sempre più potenti, a che cosa dobbiamo prepararci?

Ripeto: ancora una volta il Santo Padre ha detto una cosa giusta espressa però nel modo sbagliato; ancora una volta ha puntato lo sguardo a destra senza però cogliere minimamente tutti i risvolti che si trovano a sinistra. Proprio come quel famoso «Chi sono io per giudicare?» lasciato tronco a metà, grazie al quale abbiamo potuto assistere per la prima volta nel corso della storia all’esaltazione di un pontefice sulle copertine delle riviste gay di tutto il mondo, mentre sacerdoti e teologi presto costretti a calarsi nel ruolo di pompieri, spiegavano ciò che di giusto il Santo Padre intendesse dire con quella frase; e ciò spiegandolo non solo ai devoti fedeli, ma soprattutto ad un esercito di tracotanti ed aggressivi sodomiti impenitenti fieri ed orgogliosi d’essere tali, che su quella frase male compresa ci venivano a fare lezioni di ecclesiologia e di nuova morale cattolica [solo un esempio tra i tanti, qui] E lo abbiamo spiegato, il tutto, procacciandoci in risposta gli sberleffi dei laicisti e le aggressioni verbali di certi cattolici intransigenti o presunti tali che ci accusavano invece di «arrampicarci sugli specchi», di «difendere l’indifendibile» o di giocare ai «sofismi».

vigili del fuoco vaticano 5
Vigili del fuoco dello Stato della Città del Vaticano

Inoltre, questo nuovo sport pontificio di prendersela periodicamente con i preti, stride parecchio col fatto che poi, al tempo stesso, egli parta senza esitare da Roma per andare a Caserta ad abbracciare gli eretici pentecostali, meritevoli peraltro del progressivo svuotamento delle chiese cattoliche nei paesi del Latino America, dove in alcune regioni, Argentina inclusa, si sono registrati cali di fedeli che sfiorano anche la percentuale del 30% … 
… mi verrebbe voglia di affermare in tono grave che tutto questo grida quasi vendetta al cospetto di Dio, specie se consideriamo che per traghettare la barca di Pietro il Romano Pontefice Vescovo di Roma ha bisogno di noi preti brutti, sporchi e cattivi, non certo dei pastori pentecostali verso i quali è corso sorridente con l’abbraccio aperto ed il sorriso stampato in faccia, tra l’altro soprassedendo del tutto sul fatto che i membri di questa sètta sono degli straordinari procacciatori di quattrini e di ricchi creduloni da spennare come tacchini americani prima della grande Festa del Ringraziamento.

Non so né posso sapere con quale genere di angelici fedeli il Santo Padre abbia avuto pastoralmente a che fare prima come sacerdote poi come vescovo; potrei presumere che non abbia avuto a che fare con quelli della Gerusalemme Terrena ma piuttosto con quelli della Gerusalemme Celeste, dove non c’è bisogno di pane, visto che in essa si vive di solo spirito nella beatifica contemplazione della eterna gloria di Dio.

Io che invece ho sempre svolto i miei ministeri pastorali con gli uomini e le donne della Gerusalemme Terrena, mi sono ritrovano di fronte a tali forme di ingratitudine e di insensibilità verso la figura del sacerdote che benedico tutt’oggi Dio per avermi colmato dei necessari doni di grazia in virtù dei quali, se devo correre, mi prodigo a farlo soprattutto per ingrati, avari, egoisti … che dopo avere spremuto il prete come un limone ne gettano via la buccia, perché come ci insegna il Signore: «Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati; non sono venuto per chiamare i giusti, ma i peccatori» [Mc 2, 17]. E per un pastore in cura d’anime, tentare di curare certi malati comporta spesso dolori, amarezze e delusioni che lasciano talvolta dolorosi segni addosso come marchi a fuoco, perché non pochi sono i malati che rifiutano il medico e qualsiasi cura, o che sfruttano il medico solo quando hanno bisogno.

Ho trascorso ore ed ore ad ascoltare ed a raccattare i pezzi di mogli umiliate e abbandonate da mariti sulla via dei sessant’anni che fatti quattro soldi hanno preso il largo con la segretaria di venticinque; a raccogliere i pianti di genitori con figli ingestibili dediti ai peggiori vizi; a confortare famiglie colpite dalla una grave malattia di un loro congiunto ed a visitare e confortare il malato periodicamente in ospedale. Ho fatto alcune centinaia di chilometri per andare a visitare qualche ergastolano in un carcere di massima sicurezza, dopo avere impiegato tempo ed energie a chiedere il permesso di visita al magistrato di sorveglianza, non essendo cappellano di quel carcere e non avendo quindi per legge diritto di accesso. Ho dedicato giorni e giorni alla preparazione di certe omelie e catechesi per il conforto e la edificazione del Popolo di Dio. Sono sceso dal letto in piena notte per portare i Sacramenti ad un morente, ho fatto cinquanta chilometri all’andata e cinquanta al ritorno per andare a celebrare una Messa — senza che alcun buon fedele si domandasse se forse non era il caso di pagare le spese della benzina al prete — trascorrendo poi gran parte della giornata ad amministrare le confessioni ed infine, quasi di prassi, tornando a casa mi sono messo a lavorare fino alle due della notte, per poi alzarmi il mattino alle 7 e non certo a mezzogiorno. Non ho mai detto di no a nessuno che mi abbia cercato per un proprio problema impellente, ed a quanto mi è dato sapere non sono poche le persone che —  grazie a Dio e bontà loro — vanno dicendo in giro che sono un buon prete affermando in tal senso di averlo sperimentato per loro esperienza personale …

… c’è però un dato di fatto triste: quando nel bisogno mi ci trovo io, quando devo pagare delle bollette per dei costi di fornitura che non riesco a pagare, quando devo provvedere alle mie dignitose necessità e non certo ai miei vizi e lussi, due sole sono le porte alle quali posso andare a battere cassa: quella di mia madre e quella di mio fratello. Mi domando e vi domando: è giusto che una madre di 75 anni che riesce a vedere il figlio prete due o tre volte all’anno di sfuggita, debba arrotondare tutti i mesi le mie entrate consentendomi così di dedicarmi pastoralmente a persone che a fronte di qualsiasi bisogno umano e spirituale ritengono che per loro sia tutto quanto un diritto dovuto, ma che verso il cosiddetto “prete-limone” da spremitura ritengono però di non avere alcun genere di dovere? Penso che solo per questo mia madre — donna dura e dal carattere non facile — si guadagnerà il paradiso, avendomi dato tutto senza mai chiedermi niente; ma gli altri, quelli che dal prete pretendono e prendono tutto senza mai nulla dare in cambio, beneficeranno della stessa sorte felice, in quel loro sommo egoismo che genera una incorreggibile mancanza di generosità? O per dirla in altre parole: è giusto che io assista dei veri e propri eserciti di ingrati privi di riconoscenza verso il sacerdote, grazie ai soldi dell’onesto e duro lavoro dei miei familiari che me lo permettono? 
Questo il motivo per il quale mi piacerebbe tanto chiedere al predicatore di Santa Marta — sempre ammesso che non sia troppo impegnato a parlare con l’ateo Eugenio Scalfari o con gli eretici della sètta pentecostale — se per caso sono diventato prete per risultare una tassa a vita per mia madre e per mio fratello, anziché per servire con i necessari mezzi la Chiesa universale ed il Popolo che Dio le ha affidato; quel popolo che da sempre servo senza alcun risparmio di me stesso, fino a non facile prova contraria. O più semplicemente vorrei chiedergli: in che modo si può vivere nel 2014 con 750 euro al mese di stipendio percepiti dall’Ente Sostentamento Clero, con tutte le spese vive da pagare per il proprio mantenimento e con i cosiddetti fedeli sempre a mano tesa per i loro bisogni umani e spirituali, che però non hanno la minima bontà di remunarare il gravoso servizio pastorale del sacerdote, sempre sulla base del principio che a loro tutto è dovuto mentre invece al prete non è dovuto niente? 
Perchè casomai non fosse chiaro: il fatto che io non abbia mai tempo per visitare o per dedicarmi ad una madre ormai anziana che pure mi mantiene, pur avendo sempre tempo per dedicarmi invece ad un fitto esercito formato anche e soprattutto di devoti e fedeli ingrati, per me me è stato ed è un problema oggettivo che più volte si è mutato in gravoso e doloroso quesito per la mia coscienza soggettiva, io che una coscienza ce l’ho e che la mia vita di prete la vivo sulla mia pelle e sul mio sangue e non certo sulle frasi popolari ad effetto pronunciate da un Sommo Pontefice che ha scelto di vivere dentro un albergo per essere più a contatto con la realtà, ma che dal rapporto con la realtà — stando fedelmente a certi suoi discorsi — sembra essere più distaccato di quanto invece non lo sono mai stati i suoi recenti predecessori che vivevano nel tradizionale appartamento a loro riservato nel Palazzo Apostolico.

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Vigili del fuoco all’opera

E siccome esercito da sempre anche il delicato ministero di confessore e direttore spirituale di numerosi sacerdoti sparsi per l’Italia, lo so bene io, nel segreto inviolabile del foro interno e nella segretezza del foro esterno, i dolori a volte lancinanti che vivono molti miei confratelli che oggi si sentono sempre di più bastonati e trascurati da chi invece dovrebbe seguirli e sostenerli … lo so io, quel che mi hanno detto molti di loro, quanto appunto il Santo Padre correva ad abbracciare gli eretici pentecostali, dopo avere ripetutamente bacchettato il proprio clero e dato ai preti degli untuosi, cosa vera ma come sempre vera solo parzialmente, perché ormai la parzialità sembra divenuta un presupposto della pastorale di questo pontificato [vedere qui]. Anche in questo caso una domanda al Santo Padre sarebbe di rigore: posto che i peggiori untuosi sono da sempre a bivaccare dentro la curia romana e sino al più alto livello dentro il vicariato di Roma, in un anno e mezzo, lui che ha potere di legare e di scogliere, quanti ne ha sbattuti fuori da casa sua, di untuosi? Perchè prima di dire ai preti sparsi per il mondo che certi preti sono untuosi, buon gusto ed equilibrio pastorale vorrebbero che fossero eliminati anzitutto gli untuosi di lusso che lui stesso si ritrova in casa propria e che ad oggi non sono stati ancora toccati, anzi, sotto il suo pontificato, non pochi dei più untuosi in assoluto hanno fatto anche strepitose carriere, altri si sono affacciati direttamente con lui alla loggia centrale di San Pietro divenendo dei veri intoccabili.

E non tocchiamo il tasto dolente dei “poveri” tanto cari alla omiletica del Santo Padre,perché sono convinto che egli ignori totalmente di quanto spesso, alla fine delle Sante Messe, appena giunti in sacrestia, siamo presi d’assalto e molestati con pianti da attori professionisti da parte di “poveri” che vengono a chiederci danaro con in tasca i telefoni cellulari che noi non abbiamo, che nelle proprie case hanno mega maxi schermi al plasma che noi non abbiamo, che fumano le sigarette di marca che noi non possiamo permetterci, che ci vengono a chiedere di pagargli la bolletta della luce mentre nelle loro case trionfano tutti gli strumenti elettronici di ultima generazione che noi non possediamo, o che perlomeno sia io sia molti miei confratelli non abbiamo perché non possiamo assolutamente permetterci. E vuole sapere, il Santo Padre, questo genere di arroganti accattoni che rivendicano il diritto ad avere tutto il superfluo, che si acquistano il voluttuario e che poi vanno alla Caritas ad esigere rifornimenti di generi di prima necessità, in che modo ci bacchettano quando giustamente gli diciamo di no? Sbattendoci in faccia che … «Papa Francesco non è una bestia come voi preti, lui ama i poveri!». E da me, più di uno, si è sentito rispondere: «Bene, allora vai in Vaticano ed i soldi per comprarti le sigarette e per rifarti la carica del tuo nuovo telefono cellulare da 500 euro, chiedili al Santo Padre, perché io uso da due anni un telefono cellulare che a suo tempo ho comprato in un discount e che ho pagato 48 euro».

Tutt’altra cosa i veri poveri che vivono con tale disagio e vergogna la propria situazione che dobbiamo essere noi a capire che hanno bisogno, perché non sono neppure capaci a chiedere aiuto; e dinanzi a quelle persone, ripetutamente, mi onoro in sacerdotale coscienza di essere rimasto io senza i soldi per poter poi provvedere al mio necessario, nella ferma convinzione di non avere compiuto nulla di eroico ma fatto solo il mio dovere di prete.

In fede e verità posso e debbo dire che purtroppo, non una sola delle non poche persone che io ho aiutato nel corso degli anni, si è mai premurata di domandarmi se avevo bisogno di qualche cosa; perché come poc’anzi dicevo il prete è un limone dal quale spesso si prende tutto il succo e si getta poi via la buccia, perché il prete è colui che «deve» e basta, ed al quale nulla è invece dovuto.

Il Santo Padre, così premurosamente toccato dalla sensibilità di un popolo riguardo il quale andrebbe anzitutto stabilito se è veramente il Popolo di Dio oppure se è semplicemente popolo e basta, se non peggio popolo giacobino, è informato di quanto alto sia il numero di preti che hanno trascorso la propria vita a servire gli altri, spesso privando se stessi pure del necessario, che nella vecchiaia si sono ritrovati ammalati, soli e totalmente abbandonati? E quale popolo ha gridato allo scandalo, dinanzi a vecchi preti morti senza che fosse neppure tutelata la loro umana dignità?

Qualcuno ha spiegato al Santo Padre come mai la Conferenza Episcopale Italiana ha destinato una parte del cospicuo importo dell’Otto per Mille che percepisce dallo Stato attraverso il gettito fiscale dei contribuenti, per coprire tutti i preti con una polizza sanitaria stipulata con la Cattolica Assicurazione? La Conferenza Episcopale lo ha fatto per un motivo molto semplice: perché nel tempo sono stati non pochi i preti che navigando in situazioni economiche tutt’altro che floride, sono morti prima di riuscire ad avere una visita specialistica o prima di fare delle analisi cliniche. E coloro che non avevano fratelli o sorelle di buon cuore che li hanno assistiti, sono andati incontro ad una brutta morte dimenticati nella corsia di un reparto di geriatria dall’esercito di persone che per tutta la vita loro hanno assistito come dei veri padri premurosi.

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Vigili del Fuoco dello Stato della Città del Vaticano nel cortile di San Damaso

Ma veniamo ai “tariffari” per i quali si è levato solenne da Santa Marta l’ennesimo grido di disappunto che ha sortito l’effetto di far passare il Santo Padre per giusto castigatore dei cattivi costumi del clero, ed i suoi preti per degli irredimibili sporcaccioni. È vero: molte diocesi hanno stabilito non dei prezzari, ma delle offerte minime da lasciare alle parrocchie in occasione di certe celebrazioni, ad esempio per i matrimoni. E sulla parola “matrimoni” apriamo adesso il capitolo dolente …

… il Santo Padre lo sa che cosa è, specie da Roma in giù, un matrimonio? Il Santo Padre, così preoccupato di un non meglio precisato popolo che si scandalizza, è informato che nessuno si scandalizza invece che una sposa spenda di media non meno di 1.000 euro solo per l’acconciatura del parrucchiere, che il servizio del fotografo costa di media sui 1.500 euro, stampa delle foto ed album del matrimonio escluse, che la ripresa filmica del matrimonio ammonta a circa 3.000 euro? È informato, il Santo Padre, che certe spose entrano in chiesa con un vestito che costa 10.000 euro e che sarà indossato solo quella volta e poi mai più? È informato il Santo Padre che certi sposi spendono tra i 5.000 ed i 10.000 euro per le sole bomboniere da regalare a invitati ed amici e che organizzano pranzi di nozze per una media di 150/250 invitati al costo di 80/100 euro a persona, ammontanti all’incirca a 15.000/25.000 euro per il solo pranzo di nozze? È informato il Santo Padre che certi sposi spendono 5.000 euro solo per cinque minuti di fuochi artificiali?

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Un mezzo dei Vigili del Fuoco dello Stato della Città del Vaticano davanti al Papazzo del Governatorato

Ma soprattutto, il Santo Padre, è mai stato informato da qualche esponente di questo popolo scandalizzato dai preti, che le persone che fanno queste spese folli, che dentro le chiese facevano attaccare ai cineoperatori fari a giorno che succhiavano corrente a vortice, al povero parroco sottoposto tra l’altro a spese e consumi, non dicevano neppure «grazie!»? E lo sa, il Santo Padre, perché molti degli esponenti di questo popolo scandalizzato dai preti, che pure per un matrimonio hanno speso l’equivalente del costo d’acquisto di un appartamento, non dicevano neppure «grazie!»? Semplice il motivo: ma perché … «la Chiese deve!» e «i preti non devono chiedere niente», anzi «dovrebbero essere poveri».

Ecco perché giustamente molte diocesi hanno stabilito delle quote minime di offerta da lasciare alla parrocchia in occasione della celebrazione di certi Sacramenti, soprattutto per i battesimi ed i matrimoni. E non l’hanno fatto perché i preti sono assatanati di soldi ma per evitare che certi parroci, dinanzi a persone che per un matrimonio hanno bruciato 100.000 euro di spese, non riconoscessero al prete neppure la dignità riconosciuta anche all’ultimo parrucchiere gay che gioca a fare il grande stilista acconciatore, lasciando al primo anche la mancia per il ragazzo di bottega, ed al secondo, ossia al brutto e sporco prete, cattivo e affamato di soldi, la bolletta della luce della chiesa da pagare, ed ancora ripeto: senza neppure un «grazie», perché «la Chiesa deve» e perché «i preti dovrebbero essere poveri».

Domandi il Santo Padre a molti parroci, quante volte è accaduto che gli sposi hanno dato 1.000 euro in compenso a organista, violinista e soprano, mentre al parroco o al rettore della chiesa che ha osato dirgli: «Ma una piccola offerta per le spese di mantenimento della chiesa, la volete lasciare?», hanno risposto andando a dire in giro per mezzo mondo che «il prete ha osato chiedere persino i soldi». E chiudiamo qua il discorso, senza toccare neppure la voce spese dei fioristi per l’addobbo della chiesa.

Queste le persone, questo il popolo che si scandalizza e che ancora una volta ha trovato autorevole voce di protesta e di condanna verso i preti da parte del Santo Padre che pare davvero intenzionato a piacere a tutti, soprattutto ai non cattolici, meno che ai suoi devoti e fedeli servitori, ai quali dispensa periodiche frustate che non hanno né la profondità, né l’amore, né lo spessore pastorale di una enciclica scritta in toni decisi e duri, ma veramente e profondamente amorevoli, come la Ad catholici sacerdotiidel Sommo Pontefice Pio XI [vedere qui]. Certe “pastorali” del Santo Padre Francesco sembrano fatte più per piacere e compiacere tutti gli irriducibili anticlericali di questo mondo, anziché risultare preziose ed efficaci per la correzione del clero, che specie di questi tempi non è affatto esente da inadeguatezze, errori e vizi d’ogni mala sorta, avarizia e attaccamento al danaro inclusi.

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Cari Parroci, indirizzate le bollette della luce e del gas delle vostre chiese al Sommo Pontefice Francesco,Domus Sanctae Martae, Città del Vaticano

Alla fine dello scorso inverno un mio confratello, parroco di una chiesa del nord dell’Italia, dove il clima invernale è particolarmente duro, mi disse con grande preoccupazione: «… ad aprile ho chiesto un prestito alla banca per pagare il gas del riscaldamento». Questo santo uomo di Dio, con una temperatura spesso al di sotto dello zero, nella propria canonica teneva il riscaldamento spento ed aveva messo una brandina nella grande cucina dove c’era una vecchia stufa a legna; e lì in pratica viveva d’inverno, bruciando la legna da lui stesso raccolta in giro con le sue mani. Però teneva acceso il riscaldamento della chiesa per riscaldare i fedeli e quello delle due sale parrocchiali dove facevano il catechismo i bambini. Anche i genitori di quei bambini che andavano al catechismo facevano parte del popolo scandalizzato di cui parla il Santo Padre nella sua nuova omelia ad effetto; ed anche loro, per festeggiare la Prima Comunione dei loro bimbi, hanno speso tanto e quanto hanno voluto, ma nessuno si è però domandato se il parroco aveva o no i soldi per pagare la bolletta del gas, sempre sulla base del solito principio: «La Chiesa non deve chiedere ma solo dare» … «i preti devono essere poveri» … e poi, è lo stesso Santo Padre che animato da grande anelito ha detto subito: «Ah, come vorrei una Chiesa povera per i poveri» [vedere qui] …

… e lo stesso Santo Padre concedeva poco tempo dopo “in affitto” la Cappella Sistina in uso alla Porsche per un evento di beneficienza a favore dei poveri [vedere qui]. Anche in questo caso sorge però una domanda: i parroci delle parrocchie povere che non hanno a loro disposizione una Cappella Sistina da dare in affitto a ricchi privati per scopi benefici al fine di ricavarne danaro per le mense dei poveri, potrebbero ricavare qualche cosa affittando le loro chiese, per esempio a …

A questo mio confratello che domandò un prestito alla banca per pagare il gas usato in inverno per riscaldare i fedeli ed i loro figli ed a tutti i non pochi sacerdoti che vivono certe situazioni di disagio economico, vorrei lanciare sia un’idea pertinente sia un appello: quando vi arriva una bolletta della luce o del gas che non riuscite a pagare, mandatela alla Domus Sanctae Martae indirizzata a Sua Santità il Sommo Pontefice Francesco accompagnata da questo biglietto: «Siamo i preti della Chiesa povera per i poveri e non abbiamo i soldi per pagare la bolletta della luce e del gas della chiesa, quindi rimettiamo il pagamento direttamente alla Sede Apostolica».

Copertina - Ariel S. Levi di Gualdo - prete disoccupato
Prete disoccupato, omelie sul Vangelo [chi lo desidera può anche richiederlo scrivendo a isoladipatmos@gmail.com]

Chi legge certi miei scritti e certi miei libri, vi troverà indicato e spiegato, ed in modo anche molto severo, quanto sia per sua natura devastante un prete attaccato al danaro, un prete avido e avaro, un prete non generoso, un prete nato in una famiglia povera entrato in seminario con le pezze attaccate addosso e mantenuto agli studi dal buon cuore della diocesi e dei benefattori, che alla sua morte lascia eredità milionarie agli amati nipoti; e chi vuole approfondire questo discorso può procurarsi il mio libro «Prete disoccupato, omelie sul Vangelo» [vedere qui], ed andare a leggere l’omelia nella quale parlo dell’obolo della vedova e nella quale le mie critiche a certi malcostumi economici e finanziari del clero sono precise e severe, ma con una differenza: sono fatte con spirito pastorale e mirate a indurre certi miei confratelli alla riflessione ed alla salvezza delle proprie anime, non sono mirate a far sì che la anticlericale Repubblica o che la massonica Stampa esaltino certe sparate a zero fini purtroppo a se stesse. Detto questo devo però vedere, analizzare e parlare di tutti i risvolti della situazione, senza sorvolare sulla mancanza di generosità da parte di certi fedeli o presunti tali, che per organizzare le feste che seguono alla celebrazione di certi Sacramenti spendono somme di danaro davvero scandalose e che al tempo stesso, se non sono richiamati od obbligati a farlo, non lasciano neppure un centesimo alla chiese parrocchiale per le molte spese che questa deve sostenere, anzi, come già ho detto: con rara strafottenza non ti dicono neppure grazie … 
… ebbene mi domando e domando, a questi fedeli o pseudo tali, il Santo Padre non intende proprio tirare le orecchie, impegnato com’è a tagliarle invece direttamente a noi preti?

Esercitando la libertà riconosciuta ai figli di Dio e concessa anche ai sacerdoti, in questo mio articolo ho sollevato tutte le perplessità del caso sul Sommo Pontefice che si esprime a mezze frasi od attraverso frasi non sempre felici come dottore privato; e che come tale è criticabile con tutto il più profondo e devoto rispetto, senza che mai la sua apostolica autorità sia messa minimamente in discussione, ed in specie quando parla come supremo custode del deposito della fede, che è naturalmente tutt’altra cosa, rispetto ai predicozzi confezionati per la gioia ed il gaudio della stampa laicista, anticlericale e massonica, forse per la presumibile opera ed il devastante suggerimento di qualche “stratega” gesuita che lo consiglia a dir poco male?




Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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25/11/2014 18:53
 
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  I precisi confini della infallibilità: il Sommo Pontefice come dottore privato


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I PRECISI CONFINI DELLA

INFALLIBILITÀ:

IL SOMMO PONTEFICE COME

DOTTORE PRIVATO

 

Un problema delicato è dato dalle condizioni per le quali il Papa può entrare nel settore dottrinale senza essere infallibile. È allora il caso nel quale egli si esprime come dottore privato ovvero come semplice teologo. Qui egli non può valersi del carisma di Pietro, ma quello che dice dipende solo dalla sua sapienza umana, seppure fondata sulla fede. In questo campo egli può formulare opinioni o raggiungere certezze scientifiche, ma può anche errare, s’intende, teologicamente, ma non nella fede, perchè è protetto dal carisma di Pietro.

 

Autore Giovanni Cavalcoli OP
Autore
Giovanni Cavalcoli OP
statua di pietro
Papale Arcibasilica di San Pietro: la statua dedicata al Principe degli Apostoli

Sull’importanza e il senso da dare agli interventi, agli insegnamenti, alle affermazioni e dichiarazioni del Sommo Pontefice Francesco, si danno oggi notevoli dissensi in campo cattolico o fra gli stessi non-cattolici i quali, come è noto, sono frequentissimi e molto diversificati nella forma e nel contenuto, indirizzati al pubblico ed ai privati più diversi, cattolici e non-cattolici, facenti uso dei mezzi di comunicazione più diversi, frutti delle moderne tecnologie, insoliti rispetto agli usi dei Papi precedenti.

Molti entusiasti di Papa Francesco, prendono tutto quello che dice con fanatismo o finta adesione, senza vaglio critico, salvo poi fare come pare a loro o strumentalizzando quanto egli dice ad usum delphini, soprattutto se accontenta le loro voglie e le loro ambizioni.Altri, attaccati allo stile dei Papi precedenti, seguono o, si potrebbe dire, lo pedinano ogni giorno passo dietro passo con sguardo occhiuto e fucile puntato, sospettandolo di essere un Papa invalido, per coglierlo in fallo alla prima sua parola insolita, scorgendo in essa con acuta dietrologia oscure trame massoniche o segrete eresie luterane, comunque idee che risentono di quel Concilio criptoereticale tale fu a dire di costoro il Concilio Vaticano II. Essi ignorano che, come accennerò più avanti, il Papa non insegna la verità di fede, ossia, come si dice, non è “infallibile” solo quando proclama o definisce solennemente o da sè o attraverso un Concilio un nuovo dogma, ma, seppure a gradi inferiori e meno autorevoli, tutte le volte che egli ci istruisce come maestro della fede.

La condizione essenziale per il valore di questi livelli inferiori è che il Papa insegni la Parola di Dio, la dottrina e il mistero di Cristo e della Chiesa, il dato rivelato (Scrittura e Tradizione), i sacramenti, le virtù cristiane, la via del Vangelo e della salvezza, le verità o i dogmi della fede, gli articoli del Credo, ci si esprima come ci si vuol esprimere, non interessa. E non interessano neppure le circostanze, le modalità e i mezzi di queste comunicazioni, dalla l’enciclica, alla lettera pastorale, al motu proprio, all’udienza generale, all’omelia della Messa, al discorso, alla intervista giornalistica o alla telefonata. L’importante è che si tratti di queste materie, direttamente o indirettamente, esplicitamente o implicitamente.

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Il Sommo Pontefice Francesco, immagini di repertorio

Un problema delicato, ed è il tema di questo articolo, è dato dalle condizioni per le quali il Papa può entrare nel settore dottrinale senza essere infallibile. È allora il caso nel quale egli si esprime come dottore privato ovvero come semplice teologo. Qui egli non può valersi del carisma di Pietro, ma quello che dice dipende solo dalla sua sapienza umana, seppure fondata sulla fede. In questo campo egli può formulare opinioni o raggiungere certezze scientifiche, ma può anche errare, s’intende, teologicamente, ma non nella fede, perchè è protetto dal carisma di Pietro. 
Nel passato i Papi non ci hanno lasciato documenti che non fossero espressione del carisma di Pietro. Se prima di salire al soglio pontificio col nome di Pio II, Enea Silvio Piccolomini, come altri pontefici, avevano pubblicato loro scritti, una volta eletti Papi il loro insegnamento non fu generalmente che espressione del loro ufficio di Successori di Pietro e maestri della fede. Essi vollero cancellare l’aspetto umano del loro pensiero e non essere altro che tramiti dell’insegnamento del Vangelo.
Questo racchiudere tutta la propria attività di pensiero e di insegnamento nei limiti dell’ufficialità era probabilmente motivata nei Papi del passato dal timore che la manifestazione delle loro idee personali potesse essere scambiata per insegnamento pontificio, cosa che per la verità può effettivamente accadere nei credenti non sufficientemente preparati a distinguere pensiero teologico ed insegnamento di fede, ossia il Sommo Pontefice Francesco.

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Il Sommo Pontefice Francesco in uno dei suoi saluti spontanei informali

Diversamente invece, col secolo scorso, e precisamente con San Giovanni Paolo II, prende avvio l’uso del Papa che non si limita al suo ufficio pontificio, ma produce anche opere letterarie o teologiche sotto un profilo meramente umano. Da questo punto di vista è notevole è la trilogia cristologica di Benedetto XVI, circa la quale egli stesso invitò gli studiosi a discutere con lui. Segno evidente che egli con questi scritti non intendeva presentarsi come dottore universale ed infallibile della fede, ma semplicemente ed anche modestamente, come teologo tra i teologi, sebbene egli sia grandissimo teologo.
Credo che questo mutamento nell’attività intellettuale dei Papi sia stato motivato dal fatto che oggi la formazione culturale cattolica è maggiormente in grado di un tempo di chiarire al comune fedele la differenza tra il Papa come Papa e il Papa come dottore privato, benchè tuttavia il Papa attuale, con la varietà e l’aspetto insolito dei suoi numerosi e frequenti interventi, metta seriamente alla prova chi desidera distinguere in lui Simone – ossia Jorge Mario Bergoglio – che manifesta le proprie idee a volte discutibili, da Pietro maestro infallibile della fede.

Papa Francesco è arrivato in Brasile
Il Sommo Pontefice Francesco durante un colloquio informale con un giornalista brasiliano

Oggi appare più che mai urgente il problema di come possiamo distinguere in modo certo, adeguato e chiaro l’insegnamento di un Papa come Papa da un suo discorso o scritto teologico o letterario occasionale,improvvisato o estemporaneo. La distinzione è molto importante, poichè è evidente che mentre la parola di Pietro è vincolante e sempre vera, quanto invece pensa o dice Simone, ossia l’uomo Bergoglio, benché sempre degno di rispetto, non è detto che sia sempre indiscutibile, univoco e necessario alla salvezza. Al riguardo, possiamo rispondere innanzitutto che lo stesso Papa Francesco si premura solitamente di farcelo capire manifestando le sue intenzioni e a seconda delle circostanze. Siccome il suo ufficio ordinario è quello petrino, ordinariamente dobbiamo pensare che quanto egli esprime sia manifestazione di tale ufficio, soprattutto se si tratta di quelle materie di fede alle quali ho accennato sopra. Ma il livello di autorità del suo insegnamento lo possiamo dedurre anche dai suoi stessi contenuti e dal modo di esprimerli. Esistono infatti dottrine notoriamente teologiche e non magisteriali, dottrine che, se troviamo sulla bocca o negli scritti del Papa, sarà evidente che esprimono il suo pensiero semplicemente come dottore privato.

papa telefonini
Il Sommo Pontefice Francesco in un momento informale con dei giovani 

Mettiamo per esempio che il Papa desse a Maria il titolo di “corredentrice” o che sostenesse con Sant’ Agostino che i dannati sono più numerosi dei beati o che la Sindone è veramente l’impronta del corpo di Cristo o che la Madonna appare veramente a Medjugorje o che Giuda è all’inferno o che alla resurrezione esisteranno gli animali o che gli angeli siano stati sottoposti da Dio all’inizio del mondo ad una prova di fedeltà o che il passaggio degli Ebrei dal Mar Rosso sia stato semplicemente un fenomeno miracoloso di marea favorevole o che Adamo ed Eva cacciati dal paradiso terrestre avevano un aspetto scimmiesco o che anche gli embrioni sono battezzati da Cristo o che ci sono state delle cose che Cristo non sapeva o che l’Anticristo è una singola persona o che i due “testimoni” dei quali parla l’Apocalisse sono i Santi Pietro e Paolo e così via. Tutte queste ipotesi sono indubbiamente compatibili con i dati di fede. Si tratta certo di dottrine rispettabili e probabili, ma che tuttavia non corrispondono in se stesse a delle vere e proprie verità di fede, in quanto non è possibile trovarle direttamente nè nella Scrittura nè nella Tradizione. Le fonti della Rivelazione potrebbero avallarle ma anche non avallarle. Al momento non è possibile saperlo con certezza e per questo il Magistero pontificio come tale non si pronuncia.

passaporto papa
Nel mese di febbraio 2014 il Sommo Pontefice Francesco ha voluto formalmente rinnovare il passaporto della Repubblica Argentina con il nome di Jorge Mario Bergoglio

Queste dottrine, tuttavia, grazie ad un ulteriore approfondimento teologico, potrebbero acquistare un domani un tale grado di probabilità, da divenire certezza.Per questo, è del tutto lecito sostenerle con la dovuta modestia ed è altrettanto lecito dissentire da esse con la dovuta prudenza, in attesa di un eventuale chiarimento. In tal caso il dibattito e il confronto tra le opposte opinioni, condotto nel rispetto reciproco e con metodi scientifici, aiuta a scoprire la verità, che forse però non verrà mai scoperta sino alla parusia.
Può anzi accadere che una tesi teologica ben dimostrata sia così bene accolta dalla Chiesa, tanto da salire al grado di dogma di fede definito, come è avvenuto per la tesi tomistica dell’anima unica forma corporis nel Concilio di Viennes del 1312 o dell’immortalità dell’anima nel Concilio Lateranense V del 1513. 
Nulla e nessuno pertanto impedisce al Papa, come dottore privato, di inserirsi in questa ricerca e di partecipare alla discussione con gli altri teologi su di un piede di parità ed a suo rischio e pericolo, avanzando un suo modo proprio di vedere le cose e lasciandosi contestare nel caso i suoi argomenti si rivelino sbagliati o discutibili. 
Può accadere inoltre che la sua opinione diventi particolarmente autorevole e persuasiva tra i teologi, ma opinione resta; per cui, benchè espressa dal Papa, non può assolutamente assurgere al livello di insegnamento pontificio ufficiale ed infallibile, si tratti di dogma definito o non definito.

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Il Sommo Pontefice Francesco in un momento informale in Piazza San Pietro con una coppia di sposi

Da notare che nel corso della storia i fedeli sono sempre andati soggetti ad un duplice rischio nei confronti delle idee espresse dal Papa. O quello di sottovalutarle e di diminuirne o restringerne l’autorità, con vari pretesti, o al contrario il rischio di quel fanatismo e di quella sudditanza supina, indiscreta, poco illuminata e anche interessata, che prende come indiscutibili anche le posizioni del Papa come dottore privato.
Tra i primi da tempi recenti ci sono quelli che restringono le note dell’infallibilità del magistero pontificio alle specialissime e rarissime condizioni stabilite dal Concilio Vaticano I, onde sentirsi autorizzati a negare l’infallibilità e quindi quanto meno a sospettare di falso o di falsificabilità le dottrine del Concilio Vaticano II, che sarebbero secondo loro solo “pastorali”, nonchè tutti gli insegnamenti ed interventi dei Papi postconciliari a qualunque livello o in qualunque forma, chiaramente non segnati da quelle caratteristiche.
Costoro credono all’immutabilità del dogma; ma quanto all’infallibilità del Papa e del Concilio, respingono la già citata Istruzione della Congregazione della Dottrina della Fede, aggiunta alla Lettera apostolica Ad tuendam fidem di San Giovanni Paolo II del 1998, nella quale si insegna, precisando la dottrina del Vaticano I, che il Magistero della Chiesa (Papa o Concilio), al di sotto dell’infallibilità eccezionale e solennemente definita, si esprime secondo altri due gradi inferiori di autorità, circa i quali il cattolico è certo che la Chiesa dice il vero autenticamente, definitivamente, irreformabilmente ed immutabilmente. Ora, il livello di autorità delle dottrine conciliari e dell’insegnamento dei Papi successivi fino all’attuale, appartiene a uno di questi due livelli.

General audience in Saint Peter's Square
Il Sommo Pontefice Francesco durante un momento informale in Piazza San Pietro

Altri invece, è un caso del nostro tempo, infetti da gnoseologie relativiste, soggettiviste o evoluzioniste, non credono all’infallibilità del Papa, per cui, se a loro pare che il Papa si ponga in contrasto o in rottura con dottrine precedentemente definite o tradizionali, ed il nuovo, così come lo intendono, è di loro gradimento, non si fanno scrupolo ad esaltare un Papa Francesco, che finalmente si è aggiornato, un papa “rivoluzionario”, che finalmente ha abbracciato la “modernità”, un Papa che sa “dialogare” con tutti.
Da questi fatti comprendiamo come sia facile per il fedele ed è possibile anche per un teologo imprudente, si tratti di un tradizionalista o di un progressista, giudicare non in base a criteri obbiettivi, ma ai propri gusti, per cui si nega l’infallibilità o la verità alle dottrine pontificie che non piacciono, anche se assolutamente vere; e per converso si considerano indiscutibili o “avanzate” o addirittura “rivoluzionarie” idee del Papa, fraintese e mal digerite, che il Papa ha espresso magari en passant e senza l’intenzione di insegnare verità di fede o solo per esprimere un’opinione o un’impressione personale.

Costoro, il lettore avrà già capito che sono i modernisti, in realtà, imbevuti di storicismo, non credono all’infallibilità pontificia, perchè non credono all’immutabilità della verità. Ma ciò non impedisce loro di assolutizzare come fossero dogmi certe affermazioni del Papa puramente contingenti ed occasionali, interpretate peraltro come se il Papa desse spazio alle idee moderniste.
Infatti lo storicista, come per esempio l’hegeliano, crede a suo modo nell’assoluto, solo che per lui l’assoluto non trascende la storia in un’immutabilità metafisica, ma non è altro che l’assolutizzazione dell’evento storico presente che lo interessa. Così per esempio, per la Scuola di Bologna, le dottrine del Concilio non fanno riferimento a nulla di immutabile e di sovrastorico, ma rappresentano l’evento epocale, rivoluzionario, escatologico e profetico del tempo presente. In tal senso per lo storicista, l’Assoluto stesso diviene col divenire storico. Nulla resta, nulla permane, ma tutto evolve nella storia, come storia e come Assoluto nella storia. Niente storia senza Assoluto, ma anche niente Assoluto senza storia.

papa bacia la mano
Il Sommo Pontefice Francesco durante un gesto spontaneo verso un gruppo di anziani ebrei reduci dai campi di sterminio

I modernisti non hanno rispetto del Papa come maestro della fede, per cui tendono a risolvere tutti i suoi insegnamenti in semplici opinioni teologiche, che essi quindi si permettono ora di accogliere, ora di contestare, come loro garba, come se fossero quelle di qualunque altro teologo. E questo perchè, come già faceva notare acutamente San Pio X nella Pascendi dominici gregis, essi sono dei “fenomenisti”, che sostituiscono l’apparire all’essere, ciò che sembra a ciò che è. Per loro non si danno quindi certezze oggettive, universali ed immutabili, ma tutto è opinabile, mutevole dipendente dai tempi, dai luoghi e dai punti di vista.
I modernisti si fingono discepoli ed ammiratori del Papa per qualche sua frase o gesto che sembrerebbe andar loro incontro. E purtroppo il Papa non sembra attualmente far molto per sfatare questa interpretazione e prender le distanze da questi falsi amici. Ma l’equivoco non può durare all’infinito. Presto il Papa, stanco dei loro approcci sempre più indiscreti, parlerà con voce franca e chiara. C’è da temere che a questo punto la loro finta ammirazione si muterà in odio. Questo voltafaccia del resto sarà in linea con i loro stessi camaleontici princìpi morali. E sono dell’idea che il Papa potrebbe correre pericolo per la sua stessa vita. Così, a quanto sembra, riuscirono a far morire di dolore Papa Giovanni Paolo I.
Se si tratta invece di altri argomenti, di carattere pratico o morale, a cominciare dagli atti più importanti del governo papale, alle direttive liturgiche, alle disposizioni pastorali, giuridiche, amministrative o disciplinari, qui il Papa è fallibile e può anzi mancare di virtù, di coraggio, di carità e di prudenza. Ma è sempre doveroso, se lo si ritiene utile o necessario, svolgere una critica garbata, modesta e rispettosa, come di figli verso il padre.

papa maradona
Il Sommo Pontefice Francesco durante un saluto informale al pibe de oro Diego Armando Maradona

Osserviamo a questo punto che, come emerge anche dai dotti studi di Antonio Livi ai quali rimando, la teologia è una scienza che, come tale, si accompagna all’opinione. Per questo, il Papa come dottore privato, può giungere a conclusioni teologiche scientifiche, ossia accertate e dimostrate, così come può limitarsi al campo dell’opinabile, del probabile, dell’ipotetico, dell’incerto. 
La scienza ci dà l’evidenza mediata, riconducile a princìpi primi di ragione, di senso comune o di fede; ci mostra inconfutabilmente ciò che è vero. L’opinione, invece, senza potersi rifare a quei princìpi, ma basata solo sull’apparenza (δόξα,doxa), avanza argomenti probabili o, come dice Aristotele, “dialettici”, ossia che occorre verificare con ulteriori ricerche. Essi infatti hanno solo l’apparenza del vero e quindi l’opinione giunge conclusioni non certe, ma solo probabili.
La scienza è l’apparizione o la manifestazione (ϕαινόμενον fainòmenon) mediata del vero. L’opinione (δόξα) invece ci dà ciò che sembra vero (videtur). Ad un’ulteriore indagine si può scoprire o che è vero o che è falso. L’opinione si ferma all’apparenza. Solo la scienza ci fa distinguere con certezza il vero dal falso.

papa ranja
Il Sommo Pontefice Francesco saluta la Regina Ranja di Giordania durante un incontro ufficiale

La scienza è una, perchè una cosa o è o non è; non possono convivere due scienze contrapposte circa la medesima cosa. Le opinioni invece sono molte e possono legittimamente coesistere ed opporsi tra di loro, perchè di due opinioni opposte si suppone che non si sappia qual è quella vera, ma entrambe hanno l’apparenza della verità.
Da princìpi di fede è possibile ricavare in teologia l’opinione o la scienza: l’opinione, se il teologo non riesce a fare una deduzione rigorosa; la conclusione scientifica, invece, se riesce far tale deduzione. Un Papa può essere teologo nell’uno come nell’altro senso. L’infallibilità del suo carisma di maestro della fede non lo soccorre per nulla in queste indagini e in queste conclusioni, che sono rimesse invece totalmente alla sua sapienza umana, alla sua preparazione scientifica e al rigore logico del suo metodo.

Petrusgrab im Petersdom in Rom
Papale Arcibasilica di San Pietro: la Tomba del Principe degli Apostoli sotto l’Altare della Confessione

Papa Francesco non è un teologo accademico, come lo è stato Benedetto XVI, che ci ha lasciato come teologo privato preziosi libri di cristologia, ai quali ho già accennato. Papa Francesco invece è un teologo kerygmatico, un instancabile predicatore di quel Dio Incarnato, Gesù Cristo e del suo Spirito, che alimenta la sua vita intellettuale, il suo cuore, la sua passione di apostolo e di pastore, protesi alla salvezza di tutti gli uomini. Egli mi ricorda il Fondatore del mio Ordine, San Domenico di Guzmàn, del quale si diceva che “parlava o a Dio o di Dio”.
Anche per Papa Francesco, come per i Papi precedenti, occorre saper discernere il momento del suo approccio personale a Cristo, la sua sensibilità teologica, la sua devozione privata, il suo punto di vista umano particolare — che potremo anche accettare o non accettare, potremo discutere o approfondire liberamente di nostra scelta — dal maestro della fede, dal pastore e dottore universale della Chiesa, dal Vicario di Cristo, il Successore di Pietro, il Testimone della Parola di Dio, della Scrittura e della Tradizione, che infallibilmente assistito dallo Spirito Santo, predica ufficialmente e pubblicamente per mandato di Cristo richiamando tutti gli uomini alla salvezza.

Fontanellato, 23 novembre 2014





Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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11/03/2015 17:12
 
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  obbedire ad un Papa, non significa tacere i problemi che affliggono la Chiesa...... ecco un esempio concreto...


La filiale resistenza di san Bruno di Segni a Papa Pasquale II

 
 Tra i più illustri protagonisti della riforma della Chiesa dell’XI e del XII secolo, spicca la figura di san Bruno, vescovo di Segni e abate di Montecassino. Bruno nacque attorno al 1045 a Solero, presso Asti, in Piemonte. Dopo aver studiato a Bologna, fu ordinato prete nel clero romano e aderì entusiasticamente alla riforma gregoriana. Papa Gregorio VII (1073-1085) lo nominò vescovo di Segni e lo ebbe tra i suoi più fedeli collaboratori. Anche i suoi successori, Vittore III (1086-1087) e Urbano II (1088-1089), si valsero dell’aiuto del vescovo di Segni, che univa l’opera di studioso ad un intrepido apostolato in difesa del Primato romano.


Bruno partecipò ai concili di Piacenza e di Clermont, nei quali Urbano II bandì la prima crociata e negli anni successivi fu legato della Santa Sede in Francia e in Sicilia. Nel 1107, sotto il nuovo Pontefice Pasquale II (1099-1118), divenne abate di Montecassino, una carica che lo rendeva una delle personalità ecclesiastiche più autorevoli del suo tempo. Grande teologo, ed esegeta, risplendente per dottrina, come scrive nei suoi Annali il card. Baronio (tomo XI, anno 1079), è considerato come uno dei migliori commentatori della Sacra Scrittura del Medioevo (Réginald Grégoire, Bruno de Segni, exégète médiéval et théologien monastique, Centro italiano di Studi sull’Alto Medioevo, Spoleto 1965).
 
Siamo in un’epoca di scontri politici e di profonda crisi spirituale e morale. Nella sua opera De Simoniacis, Bruno ci offre un’immagine drammatica della Chiesa deturpata del suo tempo. Già dall’epoca di Papa san Leone IX (1049-1054) «Mundus totus in maligno positus erat: non v’era più santità; la giustizia era venuta meno e la verità sepolta. Regnava l’iniquità, dominava l’avarizia; Simon Mago possedeva la Chiesa, i Vescovi e i sacerdoti erano dediti alla voluttà e alla fornicazione. I sacerdoti non si vergognavano di prender moglie, di celebrare apertamente le nozze e di contrarre matrimoni nefandi. (…) Tale era la Chiesa, tali erano i vescovi e i sacerdoti, tali furono alcuni tra i Romani Pontefici» (S. Leonis papae Vita in Patrologia Latina (= PL), vol. 165, col. 110).
 
Al centro della crisi, oltre al problema della simonia e del concubinato dei preti, c’era la questione delle investiture dei vescovi. Il Dictatus Papae con cui, nel 1075, san Gregorio VII aveva riaffermato i diritti della Chiesa contro le pretese imperiali, costituì la magna charta a cui si richiamarono Vittore III e Urbano II, ma Pasquale II abbandonò la posizione intransigente dei suoi predecessori e cercò in tutti i modi un accordo con il futuro imperatore Enrico V. Agli inizi di febbraio del 1111, a Sutri, chiese al sovrano tedesco di rinunciare al diritto all’investitura, offrendogli in cambio la rinuncia della Chiesa ad ogni diritto e bene temporale.
 
Le trattative andarono in fumo e, cedendo alle intimidazioni del re, Pasquale II accettò un umiliante compromesso, firmato a Ponte Mammolo il 12 aprile del 1111. Il Papa concedeva ad Enrico V il privilegio dell’investitura dei vescovi, prima della consacrazione pontificia, con l’anello e con il pastorale che simboleggiavano sia il potere sia temporale che spirituale, promettendo al sovrano di non scomunicarlo mai. Pasquale incoronò quindi Enrico V imperatore in San Pietro.
 
Questa concessione suscitò una moltitudine di proteste nella cristianità perché ribaltava la posizione di Gregorio VII. L’abate di Montecassino, secondo il Chronicon Cassinense (PL, vol. 173, col. 868 C-D), protestò con forza contro quello che definì non un privilegium, ma unpravilegium, e promosse un movimento di resistenza al cedimento papale. In una lettera indirizzata a Pietro, vescovo di Porto, definisce il trattato di Ponte Mammolo un’ «eresia», richiamando le determinazioni di molti concili: «Chi difende l’eresia ‒ scrive ‒ è eretico. Nessuno può dire che questa non sia un’eresia» (Lettera Audivimus quod , in PL, vol. 165, col.1139 B).
 
Rivolgendosi poi direttamente al Papa, Bruno afferma: «I miei nemici ti dicono che io non ti amo e che sparlo di te, ma mentono. Io infatti ti amo, come devo amare un Padre e un signore. Te vivente, non voglio avere altro pontefice, come assieme a molti altri ti ho promesso. Ascolto però il Salvatore nostro che mi dice: “Chi ama il padre o la madre più di me non è degno di me”. “(…) Devo dunque amare te, ma più ancora devo amare Colui che ha fatto te e me» (Mt. 10-37). Con lo stesso tono di filiale franchezza, Bruno invitava il Papa a condannare l’eresia, perché «chiunque difende l’eresia è eretico» (Lettera Inimici mei, in PL, vol. 163, col. 463 A-D).
 
Pasquale II non tollerò questa voce di dissenso e lo destituì da abate di Montecassino. L’esempio di san Bruno spinse però molti altri prelati a chiedere con insistenza al Papa di revocare il pravilegium. Qualche anno dopo, in un Concilio che si riunì in Laterano nel marzo del 1116, Pasquale II ritrattò l’accordo di Ponte Mammolo. Lo stesso Sinodo lateranense condannò la concezione pauperistica della Chiesa dell’accordo di Sutri. Il concordato di Worms del 1122, stipulato tra Enrico V e papa Callisto II (1119-1124), concluse – almeno momentaneamente – la lotta per le investiture. Bruno morì il 18 luglio 1123. Il suo corpo fu sepolto nella cattedrale di Segni e, per sua intercessione, si ebbero subito molti miracoli. Nel 1181, o, più probabilmente, nel 1183, papa Lucio III lo accolse fra i santi.
 
Qualcuno obietterà che Pasquale II (come più tardi, Giovanni XXII sul tema della visione beatifica) non cadde mai in eresia formale. Non è questo però il cuore del problema. Nel Medioevo il termine eresia era usato in senso ampio, mentre soprattutto dopo il Concilio di Trento, il linguaggio teologico si è affinato, e si sono introdotte precise distinzioni teologiche tra proposizioni eretiche, prossime all’eresia, erronee, scandalose, etc. Non ci interessa definire la natura delle censure teologiche da applicare agli errori di Pasquale II e Giovanni XXII, ma di stabilire se a questi errori fosse lecito resistere.
 
Tali errori certamente non furono pronunciati ex cathedra, ma la teologia e la storia ci insegnano che se una dichiarazione del Sommo Pontefice contiene elementi censurabili sul piano dottrinale, è lecito e può essere doveroso criticarla, anche se non si tratta di un’eresia formale, solennemente espressa. È quanto fecero san Bruno di Segni contro Pasquale II e i domenicani del XIV secolo contro Giovanni XXII. Non furono essi a sbagliare, ma i Papi di quel tempo, che infatti ritrattarono le loro posizioni prima di morire.
 
Va inoltre sottolineato il fatto che coloro che con più fermezza resistettero al Papa che deviava dalla fede furono proprio i più ardenti difensori della supremazia del Papato. I prelati opportunisti e servili dell’epoca, si adeguarono al fluttuare degli uomini e degli eventi, anteponendo la persona del Papa al Magistero della Chiesa. Bruno di Segni, invece, come altri campioni dell’ortodossia cattolica, antepose la fede di Pietro alla persona di Pietro e redarguì Pasquale II con la stessa rispettosa fermezza con cui Paolo si era rivolto a Pietro (Galati 2, 11-14). Nel suo commento esegetico a Matteo 16, 18, Bruno spiega che il fondamento della Chiesa non è Pietro, ma la fede cristiana confessata da Pietro.
 
Cristo infatti afferma che edificherà la sua Chiesa non sulla persona di Pietro, ma sulla fede che Pietro ha manifestato dicendo: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente». A questa professione di fede Gesù risponde: «è sopra questa pietra e sopra questa fede che edificherò la mia Chiesa» (Comment. in Matth., Pars III, cap. XVI, in PL, vol. 165, col. 213). La Chiesa elevando Bruno di Segni agli onori degli altari suggellò la sua dottrina e il suo comportamento. 
(Roberto de Mattei fonte corrispondenza romana)



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27/04/2016 10:22
 
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Tutto sta nel vedere, sì! Ma in questo vedere, ciò che spesso si vede, abbaglia; e ciò che invece non si vede, illumina.[1]


La “protestantizzazione” nella Chiesa


Assistiamo a due fasi di questa “protestantizzazione”, la prima è quella del tempo di Lutero, la seconda è frutto di quello sviluppo luterano-calvinista e continua oggi, fuori ma anche dentro la Chiesa, in forme diverse ma costanti.

Così la spiegava l’allora cardinale Ratzinger, futuro Benedetto XVI: «Chi oggi parla di “protestantizzazione” della Chiesa cattolica, intende in genere con questa espressione un mutamento nella concezione di fondo della Chiesa,un’altra visione del rapporto fra Chiesa e Vangelo. Il pericolo di una tale trasformazione sussiste realmente; non è solo uno spauracchio agitato in qualche ambiente integrista».[2]

Il fatto che Nostro Signore Gesù Cristo ha reso la Sua Chiesa incrollabile – Sposa – una, santa, cattolica ed apostolica, barca inaffondabile in quella promessa «e le porte degli inferi non prevarranno» (Mt 16, 17-20), ci sottolinea proprio il pericolo delle intemperie, degli uragani e della devastazione, uno scenario reale e concreto che non ci può essere risparmiato perché, questo, dipende davvero da “noi”, dalle membra, dalla gerarchia, persino dal Papa. Gesù ha infatti assicurato che la Chiesa non perirà giammai, ma non che non avremmo avuto problemi. Ed è proprio questa assicurazione che ci consente di discutere sull’argomento.

La differenza sostanziale tra noi cattolici, la Chiesa, e il Protestantesimo sta nel fatto che quest'ultimo mette alla basa missionaria e teologica l’individualismo, il libero esame della Scrittura ed anche della coscienza, la comunità – privata della Presenza reale nell’Eucaristia – è un accessorio, resta in piedi solo il Battesimo quale “accessorio” indispensabile per affermare una appartenenza, è la garanzia all'identità del cristiano. Tutto il resto è affidato agli “adattamenti” sociali e culturali, sensibili in ogni generazione, in una parola – il protestantesimo – ha generato il liberalismo.[3]

Il cattolicesimo, invece, mette alla sua base missionaria la societas cristiana[4]la quale – in Cristo, con Cristo e per Cristo – comunica e amministra i doni divini: i Sacramenti (tutti e sette) i quali sono poi all’origine stessa di tutta quella raccolta che chiamiamo Sacra Doctrina, il Deposito della Fede (2Tim 1-14) che confluisce a sua volta in ciò che chiamiamo essere anche la Tradizione viva della Chiesa. Perciò, in ragione al suo principio, il protestantesimo ha come frutto il frazionamento nell’infinita diversità dottrinale che, adattabile ad ogni giro di boa, ne determina l’andamento culturale e sociale. Un esempio concreto è la diversità di comprensione dottrinale riguardo il concetto di famiglia fondata sul matrimonio tra l’uomo e la donna, che da loro è liberamente interpretata tanto da “sposare” persone dello stesso sesso, lasciando libera ogni comunità dal farlo o non farlo.

Al contrario, il cattolicesimo, è agente di unità, di fissità e i suoi frutti sono perennità dottrinale fedele alle stesse leggi divine, che sono perenni. In definitiva, che cosa è la Chiesa, ce lo dice il Credo che professiamo in quattro “note”, le quattro caratteristiche divine, che ci insegnano perché la Chiesa non è una istituzione umana. Queste quattro note sono: l’unità (tante comunità in una sola Chiesa); la santità (pratica dei Sacramenti e comunione dei Santi, comunione con la Chiesa trionfante e purgante, Anime sante del Purgatorio); la cattolicità (universalità nell’unità); e l’apostolicità (successione apostolica ininterrotta, garanzia del Deposito della Fede).

Disse il beato Federico Ozanam: «Credo al progresso dei tempi cristiani; non mi spavento per le cadute e le divisioni che lo interrompono. Le notti fredde che si sostituiscono al caldo dei giorni, non impediscono all’estate di seguire il suo corso e di portare a maturazione i suoi frutti».[5]

Questo ci fa riflettere su una condizione di ragionamento che deve essere limpido: il Vangelo non è la Chiesa, ma attenzione, ciò che nel Vangelo è detto e fatto la Chiesa lo perpetua fedelmente. Il vero “progresso” della Chiesa può andare avanti solo in questo senso. Chiunque giocasse a fare il “progressista o modernista” della Chiesa, si presterebbe solamente all’eresia, all’apostasia.


Il protestantesimo, per esempio, ha molte comunità che nascono da iniziative umane – più o meno ispirate divinamente, ma non è questo che vogliamo analizzare qui –, si originano da un istinto di aggregazione, magari non sempre negativo, o da fattori politici (Calvino docet), ciò accade anche dentro la Chiesa e lo vediamo con i tanti Movimenti laici sorti da cinquanta o sessant’anni a questa parte, che cosa dunque fa la differenza? La differenza sta nel fatto che il protestantesimo non si pone come fondamento l’atto di fede nel Credo che sopra abbiamo sottolineato, mentre nella Chiesa – tutti questi movimenti o nuove aggregazioni – hanno quale fondamento il valore legislativo dato da Cristo alla Chiesa e perciò vi si sottomettono in obbedienza.

In breve, nel protestantesimo non è la necessità dei Sacramenti ad aggregare, non è la “religione” ad aggregare, ma fondamento è la socializzazione, una carta di identità data all'interno di un contesto sociale e culturale instabile. E questo perché l’uomo deve essere “sociale” al quale però, la teologia protestante, ha alterato, se non tolto del tutto, il fondamento della Grazia. Infatti il protestantesimo (che è protesta alla dottrina cattolica) è all’opposto della cattolicità, è piuttosto uno stretto individualismo, purtroppo falso, perché ignora il flusso di vita emanato dal Cristo in Croce distribuita nei Sacramenti chesono la “Grazia sociale”, da cui procede poi tutta la vita religiosa, sia laicale quanto consacrata o ordinata, sia individualmente quanto in aggregazioni varie.[6]

Possiamo sintetizzare così: quando al Vangelo si oscurano o si deformano la Grazia e la Doctrina, con la Legge di Dio, si rimane solo con dei termini svuotati dell’essenziale, strumentalizzabili a seconda delle mode dei tempi: il sociale (senza dottrina); la comunione o comunità (senza la Grazia, senza Sacramenti); la vita sociale (senza le Leggi di Dio). Siamo al liberalismo, alla fede soggettiva, al vangelo “fai da te”, o se preferite ancora siamo alla Teologia della liberazione oggi tramutata in Teologia del popolo[7] nella quale, purtroppo, è coinvolta gran parte della pastorale della Chiesa di oggi.

La Chiesa, così, ha tutto ciò che le serve per un’opera universale (cattolica) che si estende pure nell’intero cosmo, come ci indica la liturgia della Solennità di Cristo Re dell'universo. Da Roma la Chiesa si sarebbe irradiata ovunque e, a ragione, diceva Pio XII: «Roma sarebbe stata centro, non del potere, ma della fede».[8]

Il protestantesimo è di fatto una “religione umana” fondata sulle prime proteste sul sociale, un sociale dissociato dalla regalità del Cristo e dalla dottrina cattolica; il cattolicesimo è rimasta la religione divina che forma al sociale perché, fedele alla dottrina dell’Incarnazione, non divide il “corpo di Cristo”, non divide la Sposa ed è, piuttosto, la realizzazione dell’Incarnazione che è la vera ed autentica socializzazione. Questa socializzazione parte da Dio che si fa Uomo, va incontro all’uomo, vive con lui, lo educa, lo ammaestra, lo redime, lo salva, lo arricchisce di doni sovrannaturali della grazia, lo resuscita e perciò insegna agli uomini come vivere bene insieme per “entrare nel regno di Dio”. Il tutto, se volete, si racchiude nel significativo motto di San Pio X: Restaurare omnia in Christo.

Per vivere bene “insieme” sono allora necessarie delle “regole” – le dottrine, legge divina – ed è necessario che queste vengano nutrite con qualcosa di veramente sovrannaturale: i Sacramenti, la Grazia. La Chiesa ha tutto questo e per questo si parla di Lei quale “Custode”, custode di tutto questo materiale che è divino e che a Lei è stato consegnato dal Cristo, il Fondatore che ha sigillato la validità, la garanzia a prezzo del Suo Corpo e del Suo Sangue, con la Presenza reale e con la Sua Parola che è eterna. Senza questo si vive nell’anarchia, nella Babele, nell’apostasia da Dio e dal Suo progetto sull’uomo e sulla creazione.



Il potere delle chiavi non è una specie di assegno in bianco: Cristo non può e non vuole svendere la sua Sposa


Tutta questa premessa – neppure esaustiva – è necessaria per comprendere davvero il famoso “potere delle chiavi” che Gesù ha consegnato a Pietro e ai suoi legittimi successori, insieme a quel “legare e sciogliere” che non è, come qualcuno ha detto forse come battuta: una sorta di assegno in bianco, non è un legare e sciogliere decidendo con libero arbitrio cosa è il peccato o, se ciò che era peccato ieri, oggi non lo sarebbe più, non è fare la chiesa che voglio, non è un potere che il Papa di turno può usare a suo personale consumo.


Il protestantesimo storico nasce e si sviluppa all’interno di una “protesta” contro l’autorità petrina nel governo della Chiesa e nella gestione dei Sacramenti. Quanto sta accadendo oggi nella Chiesa ha molta similitudine con quella originale “protesta”, lo possiamo intravvedere in molti appelli e discorsi accorati di Paolo VI, nella sua stessa enciclica Humanae vitae che oggi si vorrebbe definire non più infallibile, ma in base al grado di accettabilità interno alla Chiesa, fra le membra e il clero stesso, così come la Familiaris consortio di Giovanni Paolo II. Ma sta accadendo qualcosa di più e pure peggiore per certo verso, si sta adempiendo la tremenda profezia di Isaia nella quale si arriverà a scambiare il male con il bene (Is 5,20): la protesta scaturisce da vescovi e cardinali che pretenderebbero modificare non solo alcuni Sacramenti, ma persino il senso del peccato. Un esempio eclatante lo abbiamo nel sesto comandamento che è contro ogni forma di adulterio mentre, interi episcopati e non pochi cardinali, vorrebbero legittimare le seconde nozze (che sono civili) con in piedi ancora il vero e primo matrimonio sigillato nel sacramento, dando a queste coppie il “diritto” all’Eucaristia.

Ma nella Sacramentum Caritatis di Benedetto XVI si afferma che il non dare la Comunione ai divorziati-risposati non è una prassi “inventata” dalla Chiesa, ma viene dalla Scrittura: «… la prassi della Chiesa, fondata sulla Sacra Scrittura (cfr Mc 10, 2-12), di non ammettere ai Sacramenti i divorziati risposati, perché il loro stato e la loro condizione di vita oggettivamente contraddicono quell’unione di amore tra Cristo e la Chiesa che è significata ed attuata nell’Eucaristia».

Chi non fosse d’accordo con questa nuova forma di “protesta” è sovente accusato, proprio dalla gerarchia (e da certo clero che la sostiene), di essere come la Chiesa del passato: misogina, matrigna, crudele, farisaica, pelagiana e chi più ne ha, più ne metta. Ma questa, invece, è proprio davvero la nuova forma di protesta e “protestantizzazione” verso la quale certa “nuova pastorale” odierna sta buttando la Chiesa intera, così come lo stesso Ratzinger ci ammoniva in alcuni suoi famosi interventi.[9]

San Pio X ci aveva allarmati, ci aveva avvisati: «Ma basti sin qui per conoscere per quante vie la dottrina del modernismo conduca all’ateismo e alla distruzione di ogni religione. L’errore dei protestanti dié il primo passo in questo sentiero; il secondo è del modernismo: a breve distanza dovrà seguire l’ateismo...».[10]

Ora, quale è davvero questo “potere” delle chiavi, questo potere del Papa?


Senza alcun dubbio, il Vicario di Cristo in terra, ha un potere illimitato e totale ma, attenzione, non è un potere lasciato al libero arbitrio, ossia, alla realizzazione di una Chiesa soggettiva basata su: “… io penso che; io dico che; io credo che...”, è un potere totale quanto all'esecutivo, e cosa contiene questo “esecutivo”? Contiene tutto quel materiale oggettivo (ed oltre, sopra lo abbiamo solo sintetizzato) che è soggetto alla trasmissione di dati ricevuti di cui il Papa è il custode e l’esecutore. Riguardo, ad esempio ai Sacramenti, il Papa non ha affatto alcun potere di modificarne il contenuto o sull'azione stessa sacramentale, in questa azione egli è come tutti gli altri preti o vescovi e come tutti loro anche il Papa deve attenersi a quel “mandato” di trasmettere quanto ricevuto.


Le parole di san Paolo: «O Timòteo, custodisci il deposito; evita le chiacchiere profane e le obiezioni della cosiddetta scienza…» (1Tim 6-20) non sono un optional, ma costituiscono l’autentica e vera pastorale, intramontabile ed indiscutibile. In tal senso Paolo può fare quelle affermazioni perché, il garante di ciò che ha appreso, è Cristo stesso attraverso la sua Parola e gli stessi insegnamenti.

Il potere del Papa consiste, perciò, che mentre custodisce l’integrità del Sacramento e la trasmissione fedele del contenuto dottrinale che implica anche chi può ricevere un sacramento e chi non può riceverlo, egli può modificare la forma attraverso la quale il sacramento viene dato perché, in quanto Vicario di Cristo e in qualità di Servus Servorum Dei (Servo dei Servi di Dio), egli è primario di ogni liturgia e dispone sia l'insieme, sia il dettaglio del Culto divino, non certo per modificarne i contenuti dottrinali, ma per dare alla Chiesa stessa quei mezzi necessari a farsi comprendere meglio nel tempo presente che vive.


Non parliamo di “adattamento”, termine che si presta ad interpretazioni sballate, ma piuttosto del termine usato da Paolo VI, per esempio, quando nel consegnare alla Chiesa e al mondo la liturgia moderna, parlò non di adattamento ma di un “grande sacrificio”, ecco le sue parole per spiegare un provvedimento doloroso, ma secondo lui necessario: «Questa domenica segna una data memorabile nella storia spirituale della Chiesa, perché la lingua parlata entra ufficialmente nel culto liturgico, come avete già visto questa mattina. La Chiesa ha ritenuto doveroso questo provvedimento (...) Ha sacrificato tradizioni di secoli e soprattutto sacrifica l’unità di linguaggio nei vari popoli, in omaggio a questa maggiore universalità, per arrivare a tutti... E questo per voi, fedeli, perché sappiate meglio unirvi alla preghiera della Chiesa...».[11]

Non entriamo nel merito o nel demerito della scelta di Papa Montini, le discussioni sull’argomento scorrono a fiumi da cinquant’anni e soltanto il famoso Motu Proprio di Benedetto XVI del 2007,[12] ha potuto risanare questo “sacrificio”, riportando la Messa antica (che si dice in latino) alla sua legittima presenza nella Chiesa. Lo abbiamo portato solo come esempio dell’uso delle chiavi e, ripetiamo, non vogliamo qui discutere se a torto o a ragione, ma semplicemente al suo impiego.

Chiusa questa parentesi dimostrativa, ritorniamo sul fatto che il vero ed autentico magistero del Papa è quello stesso pronunciato da Cristo nei Vangeli. Il Suo Vicario in terra può e deve pretendere di insegnare solo ciò che è “secondo Cristo” e il potere delle chiavi lo porta ad essere capo anche tra coloro ai quali è stato detto: «Andate in tutto il mondo e predicate il vangelo ad ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvo, ma chi non crederà sarà condannato...» (Mc 15, 15-18), il cui contenuto non può essere modificato dai Discepoli, e neppure da Pietro e i suoi successori.


Il Papa è ServusServorum Dei, e questo potere gli è stato dato proprio come garanzia contro ogni intralcio sulla sua strada, nessuno può tagliargli la strada o lo può obbligare a tacere sul Vangelo di Cristo; egli ha così il potere di “legare e sciogliere” i penitenti dalle pene canoniche in cui sono caduti, ma non può usare questo potere per delegittimare o modificare il Vangelo di Cristo, non può assolvere chi non si pente!

Il Vicario di Cristo è, nella sostanza, un “capo ripetitore” del Vangelo, un ripetitore garante non di ciò che dice da se stesso, ma garante delle parole e dell’insegnamento di Cristo. Egli conferma così i suoi fratelli non nelle loro opinioni sulla Chiesa o sulle dottrine create dalle mode, o nel loro soggettivismo, relativismo, ma in quella fede espressa dal Vangelo, come nel Vangelo stesso troviamo espresse le dottrine che disciplinano i Sacramenti.

Un esempio è il famoso brano sull’indissolubilità del matrimonio (Mt 19) che in san Marco è altrettanto esplicito: Rientrati a casa, i discepoli lo interrogarono di nuovo su questo argomento. Ed egli disse: «Chi ripudia la propria moglie e ne sposa un'altra, commette adulterio contro di lei; se la donna ripudia il marito e ne sposa un altro, commette adulterio» (Mc 10,10-12). Gesù aveva appena finito di spiegare come andava interpretata la legge di Dio sul matrimonio, che la prima spiegazione non basta, leggiamo infatti che “rientrati a casa, i discepoli lo interrogarono di nuovo”, ma la risposta di Gesù non cambia, non si adatta all’incomprensione di quanti non avevano capito o fingevano di non capire. E questo deve fare il suo Vicario, il Papa.

Il Papa non deve confermare se stesso o i confratelli alle opinioni di ognuno o di chissà quale maggioranza, ma in base alle parole del Cristo egli deve dare testimonianza fino al sacrificio della propria vita. Il potere che gli è stato dato serve proprio a questo: difendere il Vangelo di Cristo fino alla morte. Ciò che era peccato ieri, o è peccato nei Dieci Comandamenti, lo è anche oggi. E non è che, per non modificare il sesto comandamento del “non commettere adulterio”, il Papa può arrivare a dire che chi ripudia il proprio coniuge e si risposa, non commette più adulterio!

È piuttosto un potere che serve a dirimere al grado supremo anche quelle questioni che si sollevano nel corso del tempo, legifera quale “ultima parola” al ricorso delle dispute che, umanamente, si sollevano fra le membra in ogni tempo. Un esempio per capire sono i dogmi mariani, quello sull’Immacolata deciso dal beato Pio IX e quello dell’Assunta al Cielo da parte del venerabile Pio XII. È qui la vera infallibilità di Pietro: quando, pronunciandosi con somma autorità, non fa altro che esprimere il contenuto delle Scritture e della Tradizione vera.

La stessa infallibilità non è “automatica”, sono necessarie delle condizioni, e il fatto che vi siano delle condizioni sottolinea, piuttosto, che il Papa per legiferare deve avere certe condizioni. Per questo possiamo parlare di dogmi e dottrine infallibili perché, nelle loro affermazioni, i papi non se le sono inventate, non hanno fatto per alzata di mano, non hanno atteso cosa ne pensassero i mass-media, hanno agito in base alla dottrina ed alla Scrittura, hanno agito in base alla patristica, in base al Deposito della fede, alla Tradizione viva della Chiesa.

Alcuni legittimi “cambiamenti” non sono adattamenti alle mode dei tempi! Si rimprovera alla Chiesa di tutto, tanto i suoi cambiamenti legittimi, quanto la sua immutabilità dottrinale, ma come ci rammenta Gesù siamo chiamati a fare una scelta e non a discutere o a comprendere, dice infatti a riguardo dell’Eucaristia stessa a coloro che non comprendevano: «Forse anche voi volete andarvene?». Gli rispose Simon Pietro: «Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna; noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio». (Gv 6, 68-69), forse pensiamo davvero che Pietro avesse capito di cosa stesse parlando Gesù? Ma il messaggio è chiaro e forte: o restiamo, o ce ne andiamo, chi rimane sa che solo Cristo ha parole di vita eterna e che, tutto il resto, verrà giù come un castello di sabbia.

Dato ciò che è la Chiesa, istituzione divina del sovrannaturale, è ovvio che porta in sé l’immutabilità dottrinale a cominciare dall’Incarnazione del Verbo che è la fissità dell’istante in cui l’Eterno è «entrato nel tempo» (Gal 4,4) o, se preferite dirla con altre espressioni di San Paolo: «... per realizzarlo nella pienezza dei tempi: il disegno cioè di ricapitolare in Cristo tutte le cose, quelle del cielo come quelle della terra. Tutto infatti ha sottomesso ai suoi piedi e lo ha costituito su tutte le cose a capo della Chiesa, la quale è il suo corpo, la pienezza di colui che si realizza interamente in tutte le cose» (Ef 1,10-22-23).

L’infallibilità del Papa, il potere di legare e sciogliere è legato inesorabilmente al progetto di Dio per gli uomini e che è già espresso nei Vangeli, e reso pastoralmente efficace nella pastorale paolina: c’è già un progetto, il Papa non deve inventare nullanulla aggiungervi e nulla togliervi. L’immutabilità dottrinale non significa staticità o immobilismo, sia ben chiaro. L’immutabilità dottrinale è infatti “mobilitarsi per agire” secondo la Parola, affinché questa dottrina progetto di Dio, e non altro, raggiunga tutti gli uomini in tutti i tempi: “Andate...”, fate, agite, operate (Mc 15,15-18), non ciò che “volete voi”, ma ciò che vuole il Padre mio (non la mia, ma la Tua volontà...). Mentre è proprio la “fissità” della Dottrina a dare valore e luogo all’infallibilità petrina.

Lo riaffermava del resto papa Benedetto XVI nel maggio 2005 quando[13], nell’insediamento a Vescovo di Roma sulla Cattedra romana, diceva:

«Il Papa non è un sovrano assoluto, il cui pensare e volere sono legge. Al contrario: il ministero del Papa è garanzia dell’obbedienza verso Cristo e verso la Sua Parola. Egli non deve proclamare le proprie idee, bensì vincolare costantemente se stesso e la Chiesa all’obbedienza verso la Parola di Dio, di fronte a tutti i tentativi di adattamento e di annacquamento, come di fronte ad ogni opportunismo».


Il linguaggio paolino è limpido e cristallino, ed afferma per ben due volte: «Orbene, se anche noi stessi o un angelo dal cielo vi predicasse un vangelo diverso da quello che vi abbiamo predicato, sia anàtema! L’abbiamo già detto e ora lo ripeto: se qualcuno vi predica un vangelo diverso da quello che avete ricevuto, sia anàtema! Infatti, è forse il favore degli uomini che intendo guadagnarmi, o non piuttosto quello di Dio? Oppure cerco di piacere agli uomini? Se ancora io piacessi agli uomini, non sarei più servitore di Cristo! Vi dichiaro dunque, fratelli, che il vangelo da me annunziato non è modellato sull’uomo» (Gal 1, 6-11), allo stesso modo la Chiesa, con Pietro, così si è sempre espressa. Se un Pontefice dovesse mai venire a predicare un vangelo diverso, non siamo tenuti ad ascoltarlo!

Chi può infatti non pensare all’assenza di garanzia nel protestantesimo, per parlare di infallibilità? Certo essi non la rivendicano, eppure la esercitano. Il protestantesimo ha rigettato il sacramento del matrimonio, eppure lo impongono nelle loro comunità come un fatto acquisito di cui gli sposi, però, possono poi rompere la promessa (il divorzio); ha rigettato il sacramento della Presenza reale, ma hanno mantenuto uno scimmiottamento usando del pane e del vino imponendo una certa infallibile dottrina su ciò che chiamano “santa cena”; ha rigettato il sacramento dell’Ordine sacro, ma si sono tenuti i pastori e nominano “vescovesse”; fanno il battesimo ma sono favorevoli all’aborto e ai “matrimoni” fra persone dello stesso sesso, il protestantesimo ha un vangelo diverso ed è per questo che “non” li ascoltiamo, ma oggi con una certa “ecumania”, purtroppo, li abbiamo persino fatti diventare “maestri” in molte diocesi.

La fissità dottrinale è, dunque, la garanzia di ciò che Cristo ha davvero detto, fatto, insegnato e fino a quando la Chiesa manterrà stabile questa fissità, anche il Papa sarà credibile e infallibile. Se per disgrazia la Chiesa dovesse perdere questa fissità, anche il Papa perderebbe credibilità, cessando di essere la garanzia.

Chiarito ciò e per giungere a delle conclusioni, possiamo chiederci in quale modo si deve “obbedienza” oggi al Sommo Pontefice.


Chiariamo subito che “obbedienza” nella Bibbia vuol dire “ascoltare, mettere nell’orecchio”, da qui già si comprende che dobbiamo fare attenzione ai tanti improvvisati teologi che, in giro per la rete, vanno seminando confusione su questi argomenti e solo per trarre a loro dei vantaggi. Gesù stesso ci rammenta di come le vere pecore sanno riconoscere la voce del Pastore, seguendolo. Dunque ascoltare è l’arte che dobbiamo raffinare. Ma attenzione ascoltare il Papa, non come viene letto o trasmesso dai Media e dai sacerdoti rahneriani e modernisti! Ma ascoltare il Papa per ascoltare Cristo. Come ha più volte spiegato mons. Antonio Livi[14].

Ascoltare direttamente il Papa è fondamentale per noi, perché il secondo passaggio è il discernimento e tale discernimento non può contraddire il Vangelo o il Catechismo. Qualunque voce che venisse a confondere sul contenuto del Vangelo e sul Catechismo, non è voce vera! Quindi lo sforzo che dobbiamo fare è leggere, ascoltare il Papa interpretandolo attraverso il Catechismo della Chiesa Cattolica.

Non avanzeremo con eventuali altre situazioni imbarazzanti e perniciose del tipo: “ma se un Papa è proprio inascoltabile?” riferito, come ben sappiamo, all’ultimo documento uscito; anche su questo rimandiamo alle spiegazioni e alle osservazioni di mons. Livi[15].

Per dirla ancora più chiaramente, con parole di chi ne sa davvero più di noi: «Un papa non fa altro che conservare il sacro deposito e trasmetterlo alla Chiesa, quindi ai suoi successori, in modo integerrimo. Un successore riceve quello che è stato già insegnato e ciò che può fare non è insegnare “meno”; un successore non può fare altro che insegnare o sul pari livello del suo predecessore, oppure in modo più preciso, in modo più definitivo. (…) Non è mai successo, nella Chiesa, che il successore di un pontefice insegnasse a ribasso, per così dire; insegnasse una dottrina, o approcciasse un problema con un insegnamento non determinato come quello precedente. Questo è un vulnus magisteriale di cui bisogna tenere conto».[16]

A chi pronto a stracciarsi le vesti perché ci sono ancora laici pronti a difendere non se stessi ma la Parola di Dio, ricordiamo che quanto abbiamo sintetizzato qui, è riportato a chiare lettere in un Documento del 1998 della Congregazione della Dottrina della Fede e firmato da Giovanni Paolo II[17], riguardo proprio al primato petrino e alla sua infallibilità, ecco cosa dice:

«Il Romano Pontefice è — come tutti i fedeli — sottomesso alla Parola di Dio, alla fede cattolica ed è garante dell'obbedienza della Chiesa e, in questo senso, servus servorumEgli non decide secondo il proprio arbitrio, ma dà voce alla volontà del Signore, che parla all'uomo nella Scrittura vissuta ed interpretata dalla Tradizione; in altri termini, la episkopè del Primato ha i limiti che procedono dalla legge divina e dall’inviolabile costituzione divina della Chiesa contenuta nella Rivelazione.  Il Successore di Pietro è la roccia che, contro l'arbitrarietà e il conformismo, garantisce una rigorosa fedeltà alla Parola di Dio: ne segue anche il carattere martirologico del suo Primato».


In Corde Jesu et Mariae.

Santa Caterina da Siena, prega per noi e per il Papa.





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[1] Noi non siamo “autoreferenziali”, quindi discutere su questi argomenti è fondamentale mettere da parte se stessi e lasciarsi aiutare da chi, nella Chiesa, dando testimonianza di santità e di fedeltà, ha scritto diversi testi importanti a comprendere il nostro rapporto con la Chiesa, nella Chiesa e per la Chiesa. Gran parte delle riflessioni qui riportate le abbiamo tratte da: Gli scritti di Don Dolindo Ruotolo sulla Sacra Scrittura; dal Catechismo per i non credenti, di Fr. Antonin G. Sertillanges O.P. - ESD -; dal Catechismo della Chiesa Cattolica. Suggeriamo anche di leggere: Strategie di sopravvivenza in tempi di “eclissi del Papato” secondo il pensiero di padre Roger-Thomas Calmel, OP. Suggeriamo anche l’articolo di mons. Antonio Livi: Obbedienza al Papa ma in relazione al Cristo.


[2] Rapporto sulla fede (J. Ratzinger – V. Messori, Ed. San Paolo, 1985).


[5] Federico Ozanam, cofondatore della Società Vincenzo de Paoli e beatificato da Giovanni Paolo II.


[8] Papa Pio XII, 13 maggio 1942, radiomessaggio in occasione del 25° anniversario della sua consacrazione episcopale e della prima apparizione mariana a Fatima.


[10] San Pio X, enciclica Pascendi Dominici gregis, contro il Modernismo, la sintesi di tutte le eresie, 1907.


[11] Papa Paolo VI, Angelus del 7 marzo 1965.


[15] L’Amoris Laetitia. Tante affermazioni che vanno chiarite, A. Livi, La Nuova Bussola Quotidiana, 13-04-2016.


[16] «Se vogliamo essere più precisi la dottrina di prima (Familiaris Consortio, ndr) non è stata ribadita (in Amoris Laetitia, ndr) così com’era stata insegnata. Non essendo ribadita in un documento che sta insegnando una materia già trattata da un pontefice precedente, questa rappresenta un vulnus a livello magisteriale, perché il magistero opera nel senso che si tratta di trasmettere quello che abbiamo ricevuto. Un papa non fa altro che conservare il sacro deposito e trasmetterlo alla Chiesa, quindi ai suoi successori, in modo integerrimo. Un successore riceve quello che è stato già insegnato e ciò che può fare non è insegnare “meno”; un successore non può fare altro che insegnare o sul pari livello del suo predecessore, oppure in modo più preciso, in modo più definitivo. Questa definitività della dottrina può portare addirittura ad un dichiarazione solenne ex cathedra, il dogma. Non è mai successo, nella Chiesa, che il successore di un pontefice insegnasse a ribasso, per così dire; insegnasse una dottrina, o approcciasse un problema con un insegnamento non determinato come quello precedente. Questo è un vulnus magisteriale di cui bisogna tenere conto» (Padre Serafino Maria Lanzetta, FI, Radio Buon Consiglio, Catechesi del 18 aprile 2016; minuti 55:22-57:00)





Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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  Francesco, papa. Più infallibile di lui non c'è nessuno

Si mostra disposto a ridiscutere il dogma dell'infallibilità. Ma in realtà accentra in sé la pienezza dei poteri molto più dei suoi ultimi predecessori. Ed agisce come un monarca assoluto 

di Sandro Magister




ROMA, 9 maggio 2016 – Ha fatto un gran rumore, nei giorni passati, l'annuncio dato dal teologo Hans Küng di un sostanziale via libera di papa Francesco a "una discussione senza restrizioni sul dogma dell'infallibilità":

> Fr. Hans Küng says Francis responded to request for free discussion on infallibility dogma

Ma curiosamente, al contrario di quanto ci si potesse aspettare, Küng non ha resa pubblica la lettera che il papa gli ha scritto in risposta a un suo precedente appello. L'ha solo descritta. Forse perché la lettera non era così assertiva come lui ha voluto far credere.

Francesco, infatti, non risulta affatto cedevole quando rivendica la propria autorità di papa come "suprema, piena, immediata e universale", sia nel governare come nell'insegnare.

Anzi, è sicuramente lui il pontefice che nell'ultimo mezzo secolo ha più di ogni altro esaltata questa sua autorità suprema, non solo sulla Chiesa cattolica ma sull'intera cristianità, citando a sostegno di ciò proprio la costituzione dogmatica "Pastor aeternus" del Concilio Vaticano I del 1870, quella che proclamò l'infallibilità "ex cathedra" del papa.

Ma andiamo con ordine.

L'appello di Küng a papa Francesco è uscito in contemporanea e in più lingue lo scorso 9 marzo su vari giornali del mondo, ad esempio in Italia su "la Repubblica", il più importante quotidiano laico e progressista, ultrabergogliano:

> Aboliamo l'infallibilità del papa

Nessuna sorpresa. È da una vita che Küng vuole demolire il dogma dell'infallibilità papale. Il processo che si concluse nel 1979 con la revoca della sua abilitazione a insegnare teologia cattolica prese le mosse proprio da due suoi libri di una decina d'anni prima intitolati: "La Chiesa" e "Infallibile? Una domanda".

E sono tutti i saggi da lui scritti sull'argomento, raccolti nel quinto volume delle sue opere complete, in corso di pubblicazione quest'anno in Germania, che gli hanno dato lo spunto per chiedere pubblicamente a papa Francesco l'avvio di "una discussione libera, non prevenuta e aperta su tutte le questioni irrisolte e rimosse legate al dogma dell’infallibilità".

Al papa, personalmente, Küng inviò l'appello per lettera e in lingua spagnola. E poco dopo Pasqua si vide recapitare nella sua casa di Tubinga, tramite la nunziatura di Berlino, la lettera di risposta, datata 20 marzo.

La lettera del papa iniziava con un amichevole "Lieber Mitbruder", caro fratello, scritto a mano. Ma queste restano le uniche parole citate da Küng tra virgolette, nel riferire il contenuto della missiva. Il resto non si sa quanto corrisponda alla narrazione fatta dal teologo.

Perché è vero che da papa Francesco si possono aspettare esortazioni a discutere su tutto, anche sulle materie più delicate. Ma è anche comprovato che è sua abitudine alternare queste sue "aperture" con riaffermazioni della dottrina tradizionale, con quel continuo e mai risolutivo "stop and go" che caratterizza il suo magistero.

Sul dogma dell'infallibilità, però, non c'è paragone tra il flebile e dubbio suo sostegno alla ri-trattazione del dogma da un lato e dall'altro la poderosa, tonante proclamazione della propria autorità suprema che egli ha fatto più di una volta, e sempre in occasioni di grande rilevanza.

Le occasioni chiave sono state in particolare due.

La prima è stata il discorso di chiusura della tormentata prima sessione del sinodo sulla famiglia, il 14 ottobre 2014:

> "Con un cuore…"

Visibilmente irritato per l'andamento del sinodo, molto al di sotto delle sue aspettative riformatrici, papa Francesco fece capire a vescovi e cardinali che in ogni caso l'ultima parola sarebbe spettata a lui, in quanto "pastore e dottore supremo di tutti i fedeli", dotato di "potestà suprema, piena, immediata e universale". Formulazioni, queste, ricavate entrambe dal codice di diritto canonico, cioè proprio da quella struttura giuridica della Chiesa che lui non ama ma a cui questa volta ritenne opportuno appoggiarsi.

A scanso d'equivoci, Francesco ribadì inoltre ai padri sinodali che "il sinodo si svolge 'cum Petro et sub Petro'": non solo "con" ma anche "sotto" il successore di Pietro.

La seconda occasione chiave è stata un anno dopo, a metà della seconda sessione del sinodo sulla famiglia, anch'essa per lui deludente:

> "Mentre è in pieno svolgimento…"


Era il 17 ottobre 2015, cinquantesimo anniversario dell'istituzione del sinodo dei vescovi, e la ricorrenza offrì al papa lo spunto per descrivere in questo modo la dinamica di un sinodo:

"Il cammino sinodale inizia ascoltando il popolo. […] Prosegue ascoltando i pastori. […] Infine, il cammino sinodale culmina nell'ascolto del vescovo di Roma, chiamato a pronunciarsi come 'pastore e dottore di tutti i cristiani'".

Attenzione. Qui Francesco non ha più citato, come un anno prima, il canone 749 del codice di diritto canonico, che proclama l'autorità del papa sui "christifideles", cioè i "fedeli" appartenenti alla Chiesa cattolica.

La citazione questa volta lui l'ha tratta dalla costituzione dogmatica "Pastor aeternus" del Concilio Vaticano I, in cui l'autorità del papa è estesa a "tutti i cristiani", cioè idealmente anche a protestanti, ortodossi, evangelici, all'universo orbe dei battezzati chiamati a far ritorno nell'unica Chiesa. 

Ed è, quella del papa, un'autorità di "pastore" e anche di "dottore" che, nel medesimo paragrafo della "Pastor aeternus", è proclamata come "infallibile", specificando in che senso e in che limiti. Con subito dopo l'"anathema sit" tipico di ogni definizione dogmatica:

"Se qualcuno quindi avrà la presunzione di opporsi, Dio non voglia, a questa nostra definizione: sia anatema".

Va notato che anche il Concilio Vaticano II, nella costituzione dogmatica "Lumen gentium", al n. 25, nel riaffermare la "potestà piena, suprema e universale" del papa e la sua "infallibilità quale supremo pastore e dottore di tutti i fedeli" cita anch'esso la "Pastor aeternus" del Concilio Vaticano I, la bestia nera di Küng e affini:

> Lumen gentium

Ma si arresta un gradino indietro a quanto invece ha fatto Francesco, senza cioè estendere il magistero infallibile del papa a "tutti i cristiani", non solo ai fedeli cattolici.

Nel suo discorso del 17 ottobre 2015 Francesco poi proseguì insistendo sul "sub Petro" con ancor più vigore che l'anno precedente:

"Il fatto che il sinodo agisca sempre 'cum Petro et sub Petro' – dunque non solo 'cum Petro', ma anche 'sub Petro' – non è una limitazione della libertà, ma una garanzia dell'unità".

E si può presumere che egli avesse già in mente ciò che avrebbe scritto nell'esortazione postsinodale "Amoris lætitia", avvalendosi della propria autorità suprema per procedere ben al di là di dove il sinodo si apprestava ad arrivare.

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Nel testo latino della "Pastor aeternus" come riportato nel "Denzinger", la citazione fatta da papa Francesco nel discorso del 17 ottobre 2015 è ripresa dal paragrafo 3074, quello in cui è definita l'infallibilità "ex cathedra" del papa, seguita dall'"anathema sit" contro chi vi si oppone:

> Constitutio dogmatica "Pastor aeternus" de Ecclesia Christi

La traduzione italiana del documento:

> "Il Pastore eterno…"


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La dichiarazione della congregazione per la dottrina della fede del 15 febbraio 1975 riguardante i libri di Hans Küng "La Chiesa" e "Infallibile? Una domanda":

> Dichiarazione…


La precedente dichiarazione del 24 giugno 1973 in difesa del dogma dell'infallibilità messo in dubbio da Küng, che però non vi è nominato:

> Mysterium Ecclesiae

E la dichiarazione del 15 dicembre 1979 nella quale si revoca a Küng la facoltà di insegnare come teologo cattolico:

> Dichiarazione…

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Nel presentare il 3 maggio scorso a Madrid, nell'Università Francisco de Victoria, il suo ultimo libro "Informe sobre la esperanza", il cardinale Gerhard L. Müller, prefetto della congregazione per la dottrina della fede, ha criticato con forza gli attacchi di Küng contro il dogma dell'infallibilità:

> El prefecto de doctrina de la fe niega la posibilidad de comulgar a los divorciados recasados

L'infallibilità, ha detto Müller, è "tesoro ed essenza dell'ecclesiologia cattolica". Quindi Küng "non può dire che si sente giustificato dal papa".

"Né la sua cristologia né la sua ecclesiologia sono cattoliche", ha aggiunto il cardinale. Küng "non crede nella divinità di Cristo e nella Santissima Trinità".

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Gli ultimi tre precedenti servizi di www.chiesa:

5.5.2016
> Istruzioni per non perdere la strada, nel labirinto di "Amoris lætitia"
Volutamente scritta in forma vaga, l'esortazione postsinodale consente due vie d'uscita opposte. Un teologo domenicano indica qui quella giusta. Come in un piccolo catechismo, ad uso dei parroci e dei fedeli

2.5.2016
> Ebrei. La discordia dei quattro fratelli
Hanno fatto Pasqua insieme, ma poi si sono di nuovo divisi. I quattro sottogruppi degli ebrei d'Israele analizzati per la prima volta a fondo dal Pew Research Center di Washington

28.4.2016
> L'opzione tedesca del papa argentino
Il cardinale Kasper e l'ala progressista della Chiesa di Germania hanno ottenuto ciò che volevano. Sulla comunione ai divorziati risposati Francesco è dalla loro parte. L'aveva deciso da tempo e così ha fatto

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Per altre notizie e commenti vedi il blog che Sandro Magister cura per i lettori di lingua italiana:

> SETTIMO CIELO

Ultimi tre titoli:

Non c'è più religione. A "L'Osservatore Romano" non piacciono i monoteismi

Leicester campione. E ora puntiamo su Bono prossimo papa

Poveri vescovi. I retroscena dell'udienza del papa a Morales

 



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9.5.2016 

 

 

Come sopravvivere ad un papa disastroso e rimanere cattolici

 
Ripresentiamo a distanza di un anno e mezzo questo articolo che ogni giorno e ogni ora dimostra sempre di più la sua drammatica attualità. Le ormai insanabili e gravissime perplessità di fronte a esternazioni improvvisate ma - soprattutto - a documenti che sono formalmente magisteriali di Papa Francesco spaccano la coscienza del buon cattolico che è costituzionalmente papista, ma è anche costituzionalmente ragionevole e razionale e non può né deve mai andare contro ragione e contro coscienza. Queste lacerazioni dolorose della coscienza e della ragione devono trovare una medicina e noi la troviamo, su di un piano razionale, in questo scritto chiaro ed equilibrato.

di Francisco José Soler Gil
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Può un cattolico pensare che un papa sia disastroso? Certo che sì. Può un buon cattolico credere che dietro la scelta del papa ci sia lo Spirito Santo? Evidentemente no.
 
Sarebbe sufficiente ricordare la risposta, al riguardo, che l’allora cardinale Ratzinger diede al suo intervistatore, il prof. August Everding, in una famosa intervista del 1997. Il prof. Everding chiese all’allora “custode della fede” se fosse veramente lo Spirito Santo il responsabile diretto dell’elezione del papa.
 
La risposta di Ratzinger fu, come sempre, semplice ed illuminante:
 
«Non direi così, nel senso che sia lo Spirito Santo a sceglierlo. Direi che lo Spirito Santo non prende esattamente il controllo della questione, ma piuttosto da quel buon educatore che è, ci lascia molto spazio, molta libertà, senza pienamente abbandonarci. Così che il ruolo dello Spirito Santo dovrebbe essere inteso in un senso molto più elastico, non che egli detti il candidato per il quale uno debba votare. Probabilmente l’unica sicurezza che egli offre è che la cosa non possa essere totalmente rovinata. Ci sono troppi esempi di papi che evidentemente lo Spirito Santo non avrebbe scelto».
 
Tuttavia, anche se un cattolico sa bene che nessuno papa può distruggere la Chiesa completamente, la storia dimostra che ci sono stati papi di tutti i tipi: quelli buoni, quelli normali, quelli scarsi, quelli veramente cattivi e quelli disastrosi. Quando si può affermare che un papa è disastroso? Ovviamente non è sufficiente il fatto che il pontefice abbia delle opinioni sbagliate su questo e quell’argomento. Anche un papa, come ogni altro uomo, non conosce molte questioni, e può avere convinzioni errate. Dunque, potrebbe essere un dilettante per quanto riguarda la filatelia e la numismatica ed errare sul valore e sulla datazione di alcuni francobolli e di alcune monete. Parlando di questioni che non sono di sua competenza, un papa ha più probabilità di sbagliare di un esperto in materia. Proprio come io e te, caro lettore.
 
Liberio, il papa che non combatté adeguatamente, per vari motivi, l’eresia ariana.
 
Pertanto, se un papa decidesse di rendere pubbliche le sue opinioni, per esempio, sull’arte dell’allevamento dei piccioni, sull’economia, sull’ecologia, sull’astronomia, l’esperto cattolico deve sopportare con pazienza le stravaganti esternazioni del romano pontefice su questioni che, naturalmente, sono estranee alla sua Cathedra. L’esperto in materia certamente sarà sconcertato da questi eventuali errori, più in generale sulla mancanza di prudenza nel rilasciare certe dichiarazioni. Ma l’imprudenza, né la loquacità, non rendono automaticamente un papa disastroso. Lo è quando, con le parole e con le opere, danneggia il depositum fidei della Chiesa, oscurando temporaneamente il messaggio di Dio all’uomo che la Chiesa ha il dovere di custodire, trasmettere e approfondire.
 
Può esserci un caso come questo? Beh, in realtà, più volte nella storia si sono già verificati casi simili.
 
Quando, per esempio, papa Libero (IV secolo) – il primo pontefice non canonizzato – cedette alle forti pressioni degli ariani, tenendo una posizione ambigua riguardo tale eresia, lasciando soli i difensori del dogma trinitario, come Sant’Atanasio. Quando papa Anastasio II (V secolo) ha “flirtato” con i fautori dello scisma acaciano. Quando papa Giovanni XXII (XIV secolo) ha affermato che la visione di Dio dei giusti ci sarà solo dopo il giudizio universale. Quando i papi – e gli antipapi – del periodo conosciuto come il “Grande Scisma d’Occidente” (XIV-XV secoli) si scomunicavano l’un l’altro. Quando papa Leone X (XVI secolo) – colui che osò vendere le indulgenze per continuare a vivere nel lusso – col suo malgoverno, fatto di opere e omissioni, ha creato momenti di grande tensione nella Chiesa, attaccando una parte del depositum fidei. I papi responsabili di questi danni devono essere correttamente definiti “disastrosi”.
 
La domanda è: che cosa possiamo fare durante il regno di un papa disastroso? qual è l’atteggiamento corretto che un cattolico deve avere?
 
Dato che, ultimamente, c'è la moda di dare consigli, per esempio, per raggiungere la felicità, per controllare il colesterolo, per smettere di fumare, per perdere peso, ho intenzione di proporre al lettore una decina di consigli per sopravvivere ad un papa disastroso e rimanere cattolico. Ovviamente non sono esaustivi, ma saranno utili comunque.
 
Leone X, il papa che, per avidità, vendette le indulgenze.
 
Cominciamo:
 
(1) Mantenere la calma
Nei momenti di angoscia, la tendenza a perdere la calma è fin troppo umana, ma non risolve nulla. Perché solo con la calma interiore si possono prendere le decisioni giuste per ogni circostanza ed evitare parole e azioni che spesso rimpiangiamo poi amaramente.
 
(2) Leggere buoni libri sulla storia della Chiesa e del papato
Per chi è abituato ad avere vissuto sotto una serie di grandi pontefici, l’esperienza di un papa disastroso sarà traumatica, se non riesce a metterlo in un determinato contesto. Leggere la storia della Chiesa, in particolare del papato, aiuta a valutare meglio la situazione presente. Nella storia della Chiesa ci sono moltissimi – troppi – casi (per disgrazia o semplicemente per debolezza umana) di papi disastrosi, eppure la barca di Pietro, pur soffrendo a causa di tali debolezze, non è affondata. Essendo successo questo in passato, possiamo aspettarci lo stesso per il presente e il futuro.
 
(3) Non arrendersi al profetismo apocalittico
Vedere le devastazioni di un papa disastroso, può far pensare che sia imminente la fine del mondo. È un’idea che, in tali circostanze, arriva puntualmente: pensare che i disastri di certi papi siano segni dell’apocalisse era comune anche a molti autori medievali. Questo fatto ci dovrebbe servire proprio come un avvertimento. Non ha senso cercare di interpretare ogni tempesta, come se si trattasse della Grande Tribolazione. Il mondo finirà quando dovrà finire: non sappiamo né il giorno, né l’ora. Noi possiamo solo combattere la battaglia del nostro tempo, ma la visione globale dei tempi non ci appartiene.
 
(4) Non tacere, né distogliere lo sguardo
Durante un pontificato disastroso, l’opposto del “profetismo apocalittico” è il menefreghismo, oppure minimizzare la portata del danno procurato, tacendo di fronte ad un abuso, guardando dall’altra parte. Alcuni giustificano questo atteggiamento ricordando che Set, da bravo figlio, coprì la nudità del padre Noè. Ma non si può correggere la rotta di una nave senza denunciarne il dirottamento. Inoltre, la Sacra Scrittura ci dà un esempio più appropriato di quello di Noè: il duro, ma giusto e leale, rimprovero da parte dell’apostolo Paolo al primo papa, Pietro, quando questi stava per cedere al rispetto umano. Questo c’insegna a distinguere l’obbedienza leale dal silenzio complice. La Chiesa non è un partito il cui presidente deve sempre ricevere un applauso incondizionato. Non è neppure una setta il cui leader viene acclamato continuamente. Il papa non è leader di una setta, ma il primo dei servitori del Vangelo e della Chiesa; un servitore libero e umano che, come tale, può prendere decisioni e atteggiamenti riprovevoli che non devono essere nascosti.
 
(5) Non generalizzare
Il cattivo esempio di alcuni vescovi vili e carrieristi, durante un pontificato disastroso, non deve farci squalificare tutto il collegio episcopale, né il clero nel suo insieme. Ciascuno è responsabile delle proprie parole, opere e omissioni. La struttura gerarchica della Chiesa è stata istituita dal suo Fondatore, per cui deve essere rispettata, nonostante le critiche. Non si deve neppure protestare contro ogni parola o azione del papa cosiddetto disastroso. La voce si deve alzare solamente quando egli si discosta nettamente daldepositum fidei della Chiesa, oppure quando potrebbe intraprendere un percorso che ne comprometterebbe alcuni aspetti. E il giudizio su questi punti non deve essere basato su opinioni personali o gusti particolari: la dottrina della Chiesa è riassunta nel suo Catechismo. Solamente quando un papa si allontana dal catechismo può e deve essere criticato. Mai in nessun’altra questione.
 
Papa Giovanni XXII sostenne l'opinione che le anime dei defunti dimoranti "sotto l'altare di Dio" ( Apocalisse 6,9 ) non ricevessero il Giudizio subito dopo la morte ma venissero ammesse alla piena beatitudine o fossero condannate all'Inferno unicamente dopo il Giudizio Universale: ritrattò in punto di morte.
 
(6) Non collaborare a iniziative che possono glorificare ancora di più il papa disastroso
Se un papa disastroso chiede aiuto per sostenere le buone opere, dev’essere ascoltato. Ma non si possono sostenere iniziative – per esempio certi raduni di massa – che servono a dimostrare la popolarità mediatica del pontefice. Nel caso di un papa disastroso, inoltre, gli applausi già abbondano. Tra l’altro, “accecato” dalle acclamazioni, il papa disastroso potrebbe deviare ancora di più la rotta della nave. Non si potrà neppure dire che gli applausi andranno non al papa in questione, ma allo stesso Pietro, perché la popolarità sarà usata dal papa disastroso non per Pietro, ma per i propri scopi.
 
(7) Non seguire le direttive del papa disastroso quando si discosta dall’immutabile dottrina della Chiesa
Se un papa insegnasse concetti o provasse ad imporre pratiche che non corrispondono (parzialmente o totalmente) al perenne insegnamento della Chiesa – riassunte nel Catechismo – non può essere sostenuto, né obbedito. Questo significa che i vescovi, i loro presbiteri e i consacrati devono insistere sulla dottrina e la pratica tradizionale – radicata nel depositum fidei – anche a costo di essere puniti. Anche i fedeli laici devono fare la propria parte, nella vita quotidiana e temporale, insistendo sul Catechismo. In nessun caso – per vile servilismo mascherato da obbedienza cieca oppure per paura di ingiuste rappresaglie – è permesso contribuire, direttamente o indirettamente, alla diffusione di eterodossia e di eteroprassi.
 
(8) Non si devono sostenere economicamente le diocesi collaborazioniste del papa disastroso
Se un papa introducesse dottrine e pratiche che minano la Tradizione della Chiesa – riassunte nel Catechismo – i vescovi diocesani dovrebbero divenire come un muro di contenimento. La storia, però, ancora una volta dimostra che non sempre i vescovi solo solerti a reagire energicamente ai pericoli di un papa disastroso. Addirittura, fin troppo spesso, per vari motivi, appoggiano le parole e le azioni del papa disastroso. I fedeli laici che vivono in una diocesi governata da un vescovo “collaborazionista” debbono rimuovere il proprio sostegno economico non solo diocesano, ma pure quello parrocchiale, finché la situazione collaborazionista non termina. Questo, ovviamente, vale per il superfluo, non certamente per i meno abbienti della parrocchia e della diocesi. Si deve rimuovere qualsiasi tipo di sostegno alle iniziative del vescovo collaborazionista, anche a quelle che sono (apparentemente) buone e giuste.
 
«Salva e santifica la tua Chiesa, o Signore. Salva e santifica tutti noi».
 
(9) Non appoggiare alcuno scisma
Di fronte ad un papa disastroso, può giungere la tentazione di rompere radicalmente: dobbiamo resistere a questa tentazione a tutti i costi. Il dovere di ogni cattolico, all’interno della Chiesa, è quello di ridurre al minino il danno e gli effetti negativi di un papato disastroso, senza però dividere la Chiesa o dividersi dalla Chiesa. Questo comporta, per esempio, sopportare con pazienza le eventuali ingiuste punizioni (interdizione o scomunica) che potrebbero arrivare, dal papa disastroso o dai suoi collaboratori, a colui che non ha altra colpa se non quella di difendere fedelmente il Vangelo. Il cattolico fedele resta nella Chiesa in ogni circostanza – anche quando viene scacciato –: non può sostenere spaccature, né tanto meno scismi, perché altrimenti non sarebbe più “fedele”.
 
(10) Pregare
La permanenza e la salvezza della Chiesa non dipendono, in ultima analisi, da noi, ma soltanto ed esclusivamente da Colui che l’ama e l’ha fondata per il nostro bene. Durante la tempesta, dobbiamo pregare, pregare, pregare e pregare affinché il Maestro si svegli e ordini al vento e alla pioggia di placarsi. Pur essendo questo l’ultimo consiglio, non è il meno importante di tutti. Anzi, è il primo in ordine d’importanza. Perché, alla fine, ciò che conta davvero è credere fermamente che la Chiesa è sostenuta da uno Sposo che la ama, Cristo, e che non ne permetterà la distruzione. Dobbiamo dunque pregare per la conversione del papa disastroso e perché gli succeda un papa santo. Molti rami secchi vengono recisi, durante la tempesta, ma quelli rimasti uniti a Cristo fioriranno di nuovo. Possa Dio concedere che ciò venga detto per ognuno di noi.

Ovviamente tutto quanto scritto qui sopra vale anche riguardo a un vescovo, a un parroco, a un prete, a una conferenza episcopale... Per attenermi al punto 8 io ormai da 5 anni non firmo più do più l'8 per mille alla Conferenza Episcopale Italiana, ma firmo per un'altra entità (non per lo Stato ladrone, ovviamente!). G.Z.




[Modificato da Caterina63 01/06/2016 23:57]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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