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Omelie del Papa nella Messa delle 7 del mattino a Santa Marta (2)

Ultimo Aggiornamento: 31/01/2015 14:14
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13/09/2013 11:13
 
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Il Papa: le chiacchiere sono criminali perché uccidono Dio e il prossimo



Chi parla male del prossimo è un ipocrita che non ha “il coraggio di guardare i propri difetti”. E’ il monito levato da Papa Francesco, nella Messa di stamani alla Casa Santa Marta, 13 settembre Memoria di San Giovanni Crisostomo detto "bocca d'oro". Il Papa ha sottolineato che le chiacchiere hanno una “dimensione di criminalità”, perché ogni volta che parliamo male dei nostri fratelli, imitiamo il gesto omicida di Caino. Il servizio di Alessandro Gisotti: RealAudioMP3

“Perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio del tuo fratello e non t’accorgi della trave che è nel tuo?” Papa Francesco ha sviluppato la sua omelia partendo dall’interrogativo posto da Gesù che scuote le coscienze di ogni uomo, in ogni tempo. Dopo averci parlato dell’umiltà, ha osservato, Gesù ci parla del suo contrario, “di quell’atteggiamento odioso verso il prossimo, di quel diventare giudice del fratello”. E qui, ha affermato, Gesù “dice una parola forte: ipocrita”:

“Quelli che vivono giudicando il prossimo, parlando male del prossimo, sono ipocriti, perché non hanno la forza, il coraggio di guardare i loro propri difetti. Il Signore non fa, su questo, tante parole. Poi dirà, più avanti, che quello che ha nel suo cuore un po’ d’odio contro il fratello è un omicida... Anche l’Apostolo Giovanni, nella sua prima Lettera, lo dice, chiaro: colui che odia suo fratello, cammina nelle tenebre; chi giudica il fratello, cammina nelle tenebre”.

Ogni volta che noi “giudichiamo i nostri fratelli nel nostro cuore – ha proseguito – e peggio, quando ne parliamo di questo con gli altri siamo cristiani omicidi”:

“Un cristiano omicida … Non lo dico io, eh?, lo dice il Signore. E su questo punto, non c’è posto per le sfumature. Se tu parli male del fratello, uccidi il fratello. E noi, ogni volta che lo facciamo, imitiamo quel gesto di Caino, il primo omicida della Storia”.

E aggiunge che in questo tempo in cui si parla di guerre e si chiede tanto la pace, “è necessario un gesto di conversione nostro”. “Le chiacchiere – ha avvertito – sempre vanno su questa dimensione della criminalità. Non ci sono chiacchiere innocenti”. La lingua, ha detto ancora riprendendo l’Apostolo Giacomo, è per lodare Dio, “ma quando la nostra lingua la usiamo per parlare male del fratello o della sorella, la usiamo per uccidere Dio”, “l’immagine di Dio nel fratello”. Qualcuno, ha affermato il Papa, potrebbe dire che una persona si meriti le chiacchiere. Ma non può essere così:

“‘Ma vai, prega per lui! Vai, fai penitenza per lei! E poi, se è necessario, parla a quella persona che può rimediare al problema. Ma non dirlo a tutti!’. Paolo è stato un peccatore forte, e dice di se stesso: ‘Prima ero un bestemmiatore, un persecutore e un violento. Ma mi è stata usata misericordia’. Forse nessuno di noi bestemmia – forse. Ma se qualcuno di noi chiacchiera, certamente è un persecutore e un violento. Chiediamo per noi, per la Chiesa tutta, la grazia della conversione dalla criminalità delle chiacchiere all’amore, all’umiltà, alla mitezza, alla mansuetudine, alla magnanimità dell’amore verso il prossimo”.

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L'albero della croce

Sabato, 14 settembre 2013

 

(da: L'Osservatore Romano, ed. quotidiana, Anno CLIII, n. 211, Dom. 15/09/2013)

 

Storia dell’uomo e storia di Dio si intrecciano nella croce. Una storia essenzialmente di amore. È un mistero immenso, che da soli non possiamo comprendere. Come «assaggiare quel miele di aloe, quella dolcezza amara del sacrificio di Gesù?». Papa Francesco ne ha indicato il modo, questa mattina, sabato 14 settembre, festa dell’esaltazione della santa croce, durante la messa celebrata nella cappella di Santa Marta.

Commentando le letture del giorno, tratte dalla lettera ai Filippesi (2, 6-11) e dal Vangelo di Giovanni (3, 13-17), il Pontefice ha detto che è possibile comprendere «un pochino» il mistero della croce «in ginocchio, nella preghiera», ma anche con «le lacrime». Anzi sono proprio le lacrime quelle che «ci avvicinano a questo mistero». Infatti, «senza piangere», soprattutto senza «piangere nel cuore, mai capiremo questo mistero».
È il «pianto del pentito, il pianto del fratello e della sorella che guarda tante miserie umane e le guarda anche in Gesù, in ginocchio e piangendo». E, soprattutto, ha evidenziato il Papa, «mai soli!». Per entrare in questo mistero che «non è un labirinto, ma gli assomiglia un po’» abbiamo sempre «bisogno della Madre, della mano della mamma». Maria, ha aggiunto, «ci faccia sentire quanto grande e quanto umile è questo mistero, quanto dolce come il miele e quanto amaro come l’aloe».

I padri della Chiesa, ha ricordato il Papa, «comparavano sempre l’albero del Paradiso a quello del peccato. L’albero che dà il frutto della scienza, del bene, del male, della conoscenza, con l’albero della croce». Il primo albero «aveva fatto tanto male», mentre l’albero della croce «ci porta alla salvezza, alla salute, perdona quel male».
Questo è «il percorso della storia dell’uomo». Un cammino che permette di «trovare Gesù Cristo Redentore, che dà la sua vita per amore». Un amore che si manifesta nell’economia della salvezza, come ha ricordato il Santo Padre, secondo le parole dell’evangelista Giovanni.

Dio infatti, ha detto il Pontefice, «non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di Lui». E come ci ha salvato? «con quest’albero della croce». Dall’altro albero, sono iniziati «l’autosufficienza, l’orgoglio e la superbia di volere conoscere tutto secondo la nostra mentalità, secondo i nostri criteri, anche secondo quella presunzione di essere e diventare gli unici giudici del mondo».
Questa, ha detto, «è la storia dell’uomo». Sull’albero della croce, invece, c’è la storia di Dio, che «ha voluto assumere la nostra storia e camminare con noi». È proprio nella prima lettura che l’apostolo Paolo «riassume in poche parole tutta la storia di Dio: Gesù Cristo, pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio di essere come Dio». Ma, ha spiegato, «svuotò se stesso, assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini». Cristo, infatti, «umiliò se stesso, facendosi obbediente fino alla morte e una morte di croce». È questo «il percorso della storia di Dio». E perché lo fa? Si è chiesto il Pontefice. La risposta si trova nelle parole di Gesù a Nicodemo: «Dio, infatti, ha amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna». Dio, ha concluso «fa questo percorso per amore, non c’è altra spiegazione».


 




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Amore per il popolo e umiltà, virtù necessarie per chi governa: così il Papa a Santa Marta



Umiltà e amore sono caratteristiche indispensabili per chi governa, mentre i cittadini, soprattutto se cattolici, non possono disinteressarsi della politica: è quanto ha detto Papa Francesco stamani 16 settembre durante la Messa a Santa Marta, invitando anche a pregare per le autorità. Ce ne parla Sergio Centofanti:

Il Vangelo del centurione che chiede con umiltà e fiducia la guarigione del servo e la lettera di San Paolo a Timoteo con l’invito a pregare per i governanti, hanno dato lo spunto al Papa per “riflettere sul servizio dell’autorità”. Chi governa – afferma Papa Francesco – “deve amare il suo popolo”, perché “un governante che non ama, non può governare: al massimo potrà disciplinare, mettere un po’ di ordine, ma non governare”. Il Papa pensa a Davide, “a come amava il suo popolo”, tanto che dopo il peccato del censimento dice al Signore di non punire il popolo ma lui. Così, “le due virtù di un governante” sono l’amore per il popolo e l’umiltà:

“Non si può governare senza amore al popolo e senza umiltà! E ogni uomo, ogni donna che deve prendere possesso di un servizio di governo, deve farsi queste due domande: ‘Io amo il mio popolo, per servirlo meglio? Sono umile e sento tutti gli altri, le diverse opinioni, per scegliere la migliore strada?’. Se non si fa queste domande il suo governo non sarà buono. Il governante, uomo o donna, che ama il suo popolo è un uomo o una donna umile”.

D’altra parte, San Paolo esorta i governati ad elevare preghiere “per tutti quelli che stanno al potere, perché possiamo condurre una vita calma e tranquilla”. I cittadini non possono disinteressarsi della politica:

“Nessuno di noi può dire: ‘Ma io non c’entro in questo, loro governano…'. No, no, io sono responsabile del loro governo e devo fare il meglio perché loro governino bene e devo fare il meglio partecipando nella politica come io posso’. La politica - dice la Dottrina Sociale della Chiesa - è una delle forme più alte della carità, perché è servire il bene comune. Io non posso lavarmi le mani, eh? Tutti dobbiamo dare qualcosa!”.

C’è l’abitudine – osserva il Papa – di dire solo male dei governanti e fare chiacchiere sulle “cose che non vanno bene”: “e tu senti il servizio della Tv e bastonano, bastonano; tu leggi il giornale e bastonano …. sempre il male, sempre contro!”. Forse – ha proseguito – “il governante, sì, è un peccatore, come Davide lo era, ma io devo collaborare con la mia opinione, con la mia parola, anche con la mia correzione” perché tutti “dobbiamo partecipare al bene comune!”. E se “tante volte abbiamo sentito: ‘un buon cattolico non si immischia in politica’ – ha sottolineato - questo non è vero, quella non è una buona strada”:

“Un buon cattolico si immischia in politica, offrendo il meglio di sé, perché il governante possa governare. Ma qual è la cosa migliore che noi possiamo offrire ai governanti? La preghiera! E’ quello che Paolo dice: ‘Preghiera per tutti gli uomini e per il re e per tutti quelli che stanno al potere’. ‘Ma, Padre, quella è una cattiva persona, deve andare all’inferno…’. ‘Prega per lui, prega per lei, perché possa governare bene, perché ami il suo popolo, perché serva il suo popolo, perché sia umile!’. Un cristiano che non prega per i governanti, non è un buon cristiano! ‘Ma, Padre, come pregherò per questo? Questa è una persona che non va...’. ‘Prega perché si converta!’. Ma pregare. E questo non lo dico io, lo dice San Paolo, la Parola di Dio”.

Dunque – conclude il Papa – “diamo il meglio di noi, idee, suggerimenti, il meglio, ma soprattutto il meglio è la preghiera. Preghiamo per i governanti, perché ci governino bene, perché portino la nostra patria, la nostra nazione avanti e anche il mondo, che ci sia la pace e il bene comune”.



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Il Papa: la Chiesa è una mamma coraggiosa che porta i suoi figli all’incontro con Gesù;
non c'è riconciliazione fuori della Chiesa



La Chiesa ha il coraggio di una donna che difende i suoi figli per portarli all’incontro col suo Sposo. E’ quanto sottolineato da Papa Francesco nella Messa di stamani alla Casa Santa Marta. Il Papa ha preso spunto dall’incontro tra Gesù e la vedova di Naim per parlare della dimensione della “vedovanza” della Chiesa che, ha detto, cammina nella storia cercando l’incontro con il Signore. Il servizio di Alessandro Gisotti:RealAudioMP3

Gesù ha la “capacità di patire con noi, di essere vicino alle nostre sofferenze e farle sue”. Papa Francesco ha svolto la sua omelia partendo dall’incontro tra Gesù e la vedova di Naim, di cui parla il Vangelo odierno. Gesù, ha sottolineato, “fu preso da grande compassione” per questa donna vedova che ora aveva perso anche il figlio. Gesù, ha proseguito, “sapeva cosa significasse una donna vedova in quel tempo” e osserva che “il Signore ha uno speciale amore per le vedove, le cura”. Leggendo questo passo del Vangelo, ha poi affermato, penso anche che "questa vedova" sia "un’icona della Chiesa, perché anche la Chiesa è in un certo senso vedova”:

“Il suo Sposo se ne è andato e Lei cammina nella storia, sperando di trovarlo, di incontrarsi con Lui. E Lei sarà la sposa definitiva. Ma in questo frattempo Lei - la Chiesa - è sola! Non è il Signore visibile. Ha una certa dimensione di vedovanza… E mi fa pensare alla vedovanza della Chiesa. Questa Chiesa coraggiosa, che difende i figli, come quella vedova che andava dal giudice corrotto per difendere, difendere e alla fine ha vinto. La nostra madre Chiesa è coraggiosa! Ha quel coraggio di una donna che sa che i suoi figli sono suoi e deve difenderli e portarli all’incontro col suo Sposo”.

Il Papa si è soffermato su alcune figure di vedove nella Bibbia, in particolare sulla coraggiosa vedova maccabea con sette figli che vengono martirizzati per non rinnegare Dio. La Bibbia, ha sottolineato, dice di questa donna che parlava ai figli “in dialetto, nella prima lingua”. E, ha osservato, anche la nostra Chiesa madre ci parla in dialetto, in “quella lingua della vera ortodossia che tutti noi capiamo, quella lingua del catechismo” che “ci dà proprio la forza di andare avanti nella lotta contro il male”:

“Questa dimensione di vedovanza della Chiesa, che cammina nella storia, sperando di incontrare, di trovare il suo Sposo… La nostra madre Chiesa è così! E’ una Chiesa che, quando è fedele, sa piangere. Quando la Chiesa non piange, qualcosa non va bene. Piange per i suoi figli e prega! Una Chiesa che va avanti e fa crescere i suoi figli, dà loro forza e li accompagna fino all’ultimo congedo per lasciarli nelle mani del suo Sposo e che alla fine anche Lei incontrerà. Questa è la nostra madre Chiesa! Io la vedo in questa vedova, che piange. E cosa dice il Signore alla Chiesa? ‘Non piangere. Io sono con te, io ti accompagno, io ti aspetto là, nelle nozze, le ultime nozze, quelle dell’agnello. Fermati, questo tuo figlio che era morto, adesso vive!’”.

E questo, ha proseguito, “è il dialogo del Signore con la Chiesa”. Lei “difende i figli, ma quando vede che i figli sono morti, piange e il Signore Le dice: ‘Io sono con te e tuo figlio è con me’”. Come ha detto al ragazzo a Naim di alzarsi dal suo letto di morte, ha aggiunto il Papa, tante volte Gesù dice anche a noi di alzarci “quando siamo morti per il peccato e andiamo a chiedere perdono”. E cosa fa dunque Gesù “quando ci perdona, quando ci ridà la vita?”: ci restituisce a nostra madre:

“La nostra riconciliazione col Signore non finisce nel dialogo 'Io, tu e il prete che mi dà il perdono'; finisce quando Lui ci restituisce alla nostra madre. Lì finisce la riconciliazione, perché non c’è cammino di vita, non c’è perdono, non c’è riconciliazione fuori della madre Chiesa. E così, vedendo questa vedova, mi vengono tutte queste cose, un po’ senza ordine… Ma vedo in questa vedova l’icona della vedovanza della Chiesa che è in cammino per trovare il suo Sposo. Mi viene la voglia di chiedere al Signore la grazia di essere sempre fiduciosi di questa ‘mamma’ che ci difende, ci insegna, ci fa crescere e ci parla il dialetto”.



Testo proveniente dalla pagina http://it.radiovaticana.va/news/2013/09/17/il_papa:_la_chiesa_è_una_mamma_coraggiosa_che_porta_i_suoi_figli/it1-729156
del sito Radio Vaticana 





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[Modificato da Caterina63 18/09/2013 00:30]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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