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Omelie del Papa nella Messa delle 7 del mattino a Santa Marta (2)

Ultimo Aggiornamento: 31/01/2015 14:14
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08/11/2013 12:55
 
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MEDITAZIONE MATTUTINA NELLA CAPPELLA DELLA

DOMUS SANCTAE MARTHAE

L’invito alla festa non ha prezzo

Martedì, 5 novembre 2013





(da: L'Osservatore Romano, ed. quotidiana, Anno CLIII, n. 254, Merc. 06/10/2013)



«L’esistenza cristiana è un invito» gratuito alla festa; un invito che non si può comprare, perché viene da Dio, e al quale bisogna rispondere con la partecipazione e con la condivisione. È la riflessione suggerita a Papa Francesco dalle letture liturgiche (Romani 12, 5-16a; Luca 14, 15-24) della messa celebrata stamane, martedì 5 novembre, a Santa Marta. Letture — ha spiegato — che «ci mostrano com’è la carta d’identità del cristiano; com’è un cristiano». E dalle quali si apprende «prima di tutto» che «l’esistenza cristiana è un invito: diventiamo cristiani soltanto se siamo invitati».

Il vescovo di Roma ha individuato le modalità di questo invito — si tratta, ha detto, di «un invito gratuito — e il mittente: Dio. Ma la gratuità, ha avvertito, implica anche delle conseguenze, la prima delle quali è che se non si è stati invitati, non si può reagire semplicisticamente rispondendo: «Comprerò l’entrata per andare!». Infatti «non si può! Per entrare  non si può pagare: o sei invitato o non puoi entrare. E se nella nostra coscienza non abbiamo questa certezza di essere invitati, non abbiamo capito cosa è un cristiano. Siamo invitati gratuitamente, per la pura grazia di Dio, puro amore del Padre. È stato Gesù, con il suo sangue, che ci ha aperto questa possibilità».

Papa Francesco ha poi chiarito cosa significhi in concreto l’invito del Signore per ogni cristiano: non un invito «a fare una passeggiata», ma «a una festa; alla gioia: alla gioia di essere salvato, alla gioia di essere redento», la gioia di condividere la vita con Gesù. E ha anche suggerito cosa debba intendersi con il termine “festa”: «un raduno di persone che parlano, ridono, festeggiano, sono felici» ha detto. Ma l’elemento principale è appunto la “riunione” di più individui. «Io fra le persone mentalmente normali non ho mai visto uno che faccia festa da solo: sarebbe un po’ noioso!» ha spiegato con una battuta, evocando la triste immagine di chi è intento ad «aprire la bottiglia del vino» per brindare in solitudine.

La festa dunque esige lo stare in compagnia, «con gli altri, in famiglia, con gli amici». La festa, insomma, «si condivide». Per questo essere cristiano implica «appartenenza. Si appartiene a questo corpo», fatto di «gente che è stata invitata a festa»; una festa che «ci unisce tutti», una «festa di unità».

Il brano del Vangelo di Luca offre tra l’altro «la lista di quelli che sono stati invitati»: i poveri, gli storpi, i ciechi e gli zoppi. «Quelli che hanno problemi — ha sottolineato il Pontefice — e che sono un po’ emarginati dalla normalità della città, saranno i primi in questa festa». Ma c’è anche posto per tutti gli altri; anzi, nella versione di Matteo il Vangelo chiarisce ancora meglio: «Tutti, buoni e cattivi». E da quel “tutti” Papa Francesco trae la conseguenza che «la Chiesa non è solo per le persone buone», ma che «anche i peccatori, tutti noi peccatori siamo stati invitati», per dare vita a «una comunità che ha doni diversi». Una comunità nella quale «tutti hanno una qualità, una virtù», perché la festa si fa mettendo in comune con tutti ciò che ciascuno ha.

Insomma, «alla festa si partecipa totalmente». Non ci si può limitare a dire: «Io vado a festa, ma mi fermo al primo salutino, perché devo stare soltanto con tre o quattro che conosco». Perché «questo non si può fare nella Chiesa: o entri con tutti, o rimani fuori. Non puoi fare una selezione».

Un ulteriore aspetto analizzato dal Pontefice riguarda la misericordia di Dio, che raggiunge persino quanti declinano l’invito o fingono di accettarlo ma non partecipano pienamente alla festa. Lo spunto ancora una volta è venuto dal brano di Luca, che elenca le scuse accampate da alcuni degli invitati troppo indaffarati. I quali «partecipano alla festa solo di nome: non accettano l’invito, dicono di sì», ma il loro è un no. Per Papa Francesco sono gli antesignani di quei «cristiani che si contentano soltanto di essere nella lista degli invitati. Cristiani “elencati”». Purtroppo però essere «elencato come cristiano» non «è sufficiente. Se non entri nella festa, non sei cristiano; sarai nell’elenco, però questo non serve per la tua salvezza», ha ammonito il Papa.

Riassumendo la sua riflessione, il Pontefice ha elencato cinque significati collegati con l’immagine dell’«entrare in chiesa» e, di conseguenza, dell’«entrare nella Chiesa».
1. Anzitutto si tratta di «una grazia, un invito; non si può comprare questo diritto».
2. In secondo luogo, comporta il «fare comunità, partecipare tutto quello che noi abbiamo — le virtù, le qualità che il Signore ci ha dato — nel servizio l’uno per l’altro».
3. Inoltre, richiede di «essere disponibili a quello che il Signore ci chiede».
4. E vuol dire anche «non chiedere strade speciali o porte speciali».
5. Da ultimo, significa «entrare nel popolo di Dio che cammina verso l’eternità» e nel quale «nessuno è protagonista», perché «abbiamo Uno che ha fatto tutto» e solo lui può essere “il protagonista”.
Da qui l’esortazione di Papa Francesco a metterci «tutti dietro a lui; e chi non è dietro di lui, è uno che si scusa». Come quello che, parafrasando il Vangelo, dice: «Ho comprato il campo, mi sono sposato, ho comprato i buoi, ma non posso andare dietro a lui».


Certo, ha avvertito il Santo Padre, «il Signore è molto generoso» e «apre tutte le porte». Egli «capisce anche quello che gli dice: No, Signore, non voglio venire da te. Lo capisce e lo aspetta, perché è misericordioso». Ma non accetta le menzogne: «Al Signore — ha rimarcato — non piace quell’uomo che dice di sì e fa di no. Che fa finta di ringraziare per tante cose belle, ma in realtà va per la sua strada; che ha delle buone maniere, ma fa la propria volontà, non quella del Signore».

Ecco allora l’invito conclusivo del Papa, che ha esortato a chiedere a Dio la grazia di comprendere «quanto è bello essere invitati alla festa, quanto è bello condividere con tutti le proprie qualità, quanto è bello stare con lui»; e, al contrario, quanto è «brutto giocare fra il sì e il no; dire di sì, ma accontentarsi soltanto» di essere “elencati” nella lista dei cristiani.



MEDITAZIONE MATTUTINA NELLA CAPPELLA DELLA
DOMUS SANCTAE MARTHAE
A Dio non piace perdere
Giovedì, 7 novembre 2013



(da: L'Osservatore Romano, ed. quotidiana, Anno CLIII, n. 256, Ven. 08/10/2013)



Dio è un padre «a cui non piace perdere». Egli cerca, con gioia e «con una debolezza d’amore», le persone smarrite, suscitando spesso «la musica dell’ipocrisia mormoratrice» dei benpensanti. È la chiave di lettura suggerita da Papa Francesco nell’omelia della messa celebrata giovedì mattina, 7 novembre, nella cappella della Casa Santa Marta, a commento dal passo evangelico di Luca (15, 1-10) proposto nella liturgia.

Il Pontefice ha iniziato la sua meditazione proprio descrivendo l’atteggiamento dei farisei e degli scribi che studiavano Gesù «per capire cosa faceva», scandalizzandosi per «le cose che lui faceva. E scandalizzati mormoravano contro di lui: ma quest’uomo è un pericolo!». Scribi e farisei, ha spiegato il Santo Padre, credevano che Gesù fosse un pericolo. Ecco perché il venerdì santo «chiedono la crocifissione». E prima ancora — ha ricordato — erano arrivati a dire: «È meglio che un uomo solo muoia per il popolo e che non vengano i romani. Quest’uomo è un pericolo!».

Ciò che più li scandalizzava, ha proseguito Papa Francesco, era vedere Gesù «andare a pranzo e a cena con i pubblicani e i peccatori, parlare con loro». Di qui la reazione: «Quest’uomo offende Dio, dissacra il ministero del profeta che è un ministero sacro»; e lo «dissacra per avvicinarsi a questa gente».

«La musica di questa mormorazione — e Gesù lo dirà a loro in faccia — è la musica dell’ipocrisia» ha affermato il Papa, evidenziando come nel brano evangelico Gesù risponda a «questa ipocrisia mormoratrice con una parabola». Quattro volte  in questo piccolo brano ricorre «la parola gioia o allegria: tre volte gioia e una allegria».

In pratica è come se Gesù dicesse: «Voi vi scandalizzate ma mio Padre gioisce». È proprio questo «il messaggio più profondo: la gioia di Dio». Un Dio «a cui non piace perdere. E per questo, per non perdere, esce da sé e va, cerca». È «un Dio che cerca tutti quelli che sono lontani da lui». Proprio «come il pastore» della parabola raccontata dall’evangelista Luca, «che va a cercare la pecora smarrita» e, nonostante sia buio, lascia le altre pecore «al sicuro e va a trovare quella» che manca, «va a cercarla».

Il nostro, dunque, è «un Dio che cerca. Il suo lavoro — ha sottolineato il Pontefice — è cercare: andare a cercare per rinvitare. Come abbiamo sentito ieri: invitare alla festa tutti, buoni e cattivi». In sostanza Dio «non tollera perdere uno dei suoi. Questa sarà anche la preghiera di Gesù il giovedì santo: Padre, che non si perda nessuno di quelli che tu mi hai dato».

È dunque «un Dio che cammina per cercarti  e ha una certa debolezza d’amore per quelli che si sono più allontanati, che si sono perduti. Va e li cerca. E come cerca? Cerca fino alla fine. Come questo pastore che va nel buio cercando finché trova» la pecora smarrita; o «come la donna quando perde quella moneta: accende la lampada, spazza la casa e cerca accuratamente». Dio cerca perché pensa: «Questo figlio non lo perdo, è mio! E non voglio perderlo!», Egli «è nostro Padre. Sempre ci cerca».

Ma il “lavoro” di Dio non è solo cercare e trovare. Perché, ha affermato il Pontefice, «quando ci trova, quando ha trovato la pecorella», non la mette in disparte né domanda: «Perché ti sei perduta, perché sei caduta?». Piuttosto la riporta al posto giusto. «Possiamo dire forzando la parola» — ha spiegato — che Dio «risistema: sistema un’altra volta» la persona che ha cercato e trovato; cosicché, quando il pastore la riporta in mezzo alle altre, la pecora smarrita non si senta dire «tu sei persa» ma: «tu sei una di noi». Ne «ha tutto il diritto», così come la moneta ritrovata dalla donna sta «nel portafoglio come le altre monete. Non c’è differenza». Perché «un Dio che cerca è un Dio che risistema tutti quelli che ha trovato. E quando fa questo è un Dio che gioisce. La gioia di Dio non è la morte del peccatore ma la sua vita: è la gioia».

La parabola del Vangelo mostra dunque «quanto lontana era dal cuore di Dio questa gente che mormorava contro Gesù. Non lo conoscevano. Credevano — ha detto il Pontefice — che essere religiosi, essere persone buone», fosse «andare sempre bene, anche educati e tante volte fare finta di essere educati. Questa è l’ipocrisia della mormorazione. Invece la gioia del Padre Dio è quella dell’amore. Ci ama». Anche se diciamo «Ma io sono un peccatore: ho fatto questo, questo e questo...» Dio ci risponde: «Io ti amo lo stesso e vado a cercarti e ti porto a casa!». Così, ha concluso il Papa, «è nostro Padre».





Il Papa prega per i figli dei "devoti della dea tangente", la corruzione toglie la dignità


Stamani, durante la Messa dell'8.11.2013  celebrata nella Cappellina di Santa Marta, il Papa ha pregato per i tanti giovani che ricevono dai genitori “pane sporco”, guadagni frutto di tangenti e corruzione, e hanno fame di dignità perché il lavoro disonesto toglie la dignità.

La parabola dell’amministratore disonesto dà lo spunto al Papa per parlare “dello spirito del mondo, della mondanità”, di “come agisce questa mondanità e quanto pericolosa sia”. Gesù “pregava il Padre perché i suoi discepoli non cadessero nella mondanità”. “E’ il nemico”:

“Quando noi pensiamo ai nostri nemici, davvero pensiamo prima al demonio, perché è proprio quello che ci fa male. L’atmosfera, lo stile di vita piace tanto al demonio, è questa mondanità: vivere secondo i valori - fra virgolette - del mondo. E questo amministratore è un esempio di mondanità. Qualcuno di voi potrà dire: ‘Ma, questo uomo ha fatto quello che fanno tutti!’. Ma tutti, no! Alcuni amministratori, amministratori di aziende, amministratori pubblici; alcuni amministratori del governo... Forse non sono tanti. Ma è un po’ quell’atteggiamento della strada più breve, più comoda per guadagnarsi la vita”.

Nella parabola, il padrone loda l’amministratore disonesto per la sua furbizia:

“Eh sì, questa è una lode alla tangente! E l’abitudine della tangente è un’abitudine mondana e fortemente peccatrice. E’ un’abitudine che non viene da Dio: Dio ci ha comandato di portare il pane a casa col nostro lavoro onesto! E quest’uomo, amministratore, lo portava, ma come? Dava da mangiare ai suoi figli pane sporco! E i suoi figli, forse educati in collegi costosi, forse cresciuti in ambienti colti, avevano ricevuto dal loro papà, come pasto, sporcizia, perché il loro papà, portando pane sporco a casa, aveva perso la dignità! E questo è un peccato grave! Perché si incomincia forse con una piccola bustarella, ma è come la droga, eh!”.

Dunque – afferma il Papa – l’abitudine alle tangenti diventa una dipendenza. Ma se c’è una “furbizia mondana” – prosegue Papa Francesco – c’è anche una “furbizia cristiana, di fare le cose un po’ svelte … non con lo spirito del mondo”, ma onestamente.
E’ ciò che dice Gesù quando invita ad essere astuti come i serpenti e semplici come colombe: mettere insieme queste due dimensioni – ha sottolineato - “è una grazia dello Spirito Santo”, un dono che dobbiamo chiedere. Infine, conclude con una preghiera:


“Forse oggi ci farà bene a tutti noi pregare per tanti bambini e ragazzi che ricevono dai loro genitori pane sporco: anche questi sono affamati, sono affamati di dignità! Pregare perché il Signore cambi il cuore di questi devoti della dea tangente e se ne accorgano che la dignità viene dal lavoro degno, dal lavoro onesto, dal lavoro di ogni giorno e non da queste strade più facili che alla fine ti tolgono tutto. E poi finirei come quell’altro del Vangelo che aveva tanti granai, tanti silos ripieni e non sapeva che farne: ‘Questa notte dovrai morire’, ha detto il Signore. Questa povera gente che ha perso la dignità nella pratica delle tangenti soltanto porta con sé non il denaro che ha guadagnato, ma la mancanza di dignità! Preghiamo per loro!”.





Breve omelia del Papa stamani a Santa Marta nella Messa celebrata nella Festa liturgica della Dedicazione della Basilica Lateranense, 9.11.2013.

Papa Francesco ha ricordato che la festa odierna è festa della città di Roma, della Chiesa di Roma e della Chiesa universale. La Basilica Lateranense, infatti, è la Cattedrale di Roma e “Madre di tutte le chiese dell’Urbe e dell’Orbe”.

Il Pontefice ha tratto dalle letture “tre icone” che ci parlano della Chiesa.
Dalla prima lettura, di Ezechiele, e dal Salmo 45, l’icona del fiume di acqua che sgorga dal Tempio e che rallegra la città di Dio, immagine della grazia che sostiene e alimenta la vita della Chiesa.
Dalla seconda lettura, di San Paolo ai Corinzi, l’icona della pietra, che è Gesù Cristo, fondamento su cui è costruita la Chiesa.

Dal Vangelo della purificazione del Tempio, l’icona della riforma della Chiesa: “Ecclesia semper reformanda”, perché i membri della Chiesa sono sempre peccatori e hanno bisogno di conversione.

Il Papa ha concluso invitando i fedeli a pregare perché la Chiesa possa sempre far scorrere l’acqua della grazia, sia sempre fondata su Cristo, gli rimanga fedele e i suoi membri si lascino sempre convertire da Gesù.







[Modificato da Caterina63 09/11/2013 18:37]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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