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L' ESAME DI COSCIENZA.......e la preparazione per una buona Confessione dei peccati! 2

Ultimo Aggiornamento: 23/10/2016 09:19
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25/10/2013 14:17
 
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 Amici, apriamo un nuovo thread per continuare le nostre meditazioni per una santa e buona CONFESSIONE..... l'esame di Coscienza è una pia pratica di cui si ha notizia fin dal primo secolo, di come venisse praticata.... 

L' ESAME DI COSCIENZA.......e la preparazione per una buona Confessione dei peccati!


iniziamo con una Omelia di Papa Francesco sulla Confessione.....




Il Sacramento della Confessione: quando nasce?


Per comprendere l’importanza e l’autenticità del sacramento della Confessione, «è importante e indispensabile attingere anche dalla storia primitiva e dai Padri della Chiesa». Nostro Signore in prima persona sprona alla confessione dei peccati e moltissimi santi dei primi secoli lo ribadiscono.

L’istituzione del sacramento della Penitenza: la storia
«Ciò che Cristo ha affidato agli Apostoli, costoro l’hanno trasmesso con la predicazione o per iscritto, sotto l’ispirazione dello Spirito Santo, a tutte le generazioni, fino al ritorno glorioso di Cristo» (CCC 96).

Gli Apostoli ammaestrati da Gesù spiegarono ai loro successori con maggiore precisione il senso con cui dovevano intendere le Scritture. Tanto più che se avessero inteso male le parole del Divino Maestro, Egli stesso sarebbe subito intervenuto a correggerli in tempo, giacché Egli conosceva i loro pensieri. Per questo è importante e indispensabile attingere anche dalla storia primitiva e dai Padri della Chiesa, oltre che dalla Scrittura, le Verità della nostra Fede.

Al riguardo, troviamo scritto negli Atti degli Apostoli che i primi cristiani si recavano ai piedi degli Apostoli e facevano la confessione delle loro colpe. Ecco le parole del Testo sacro: «E molti di quelli che avevano creduto, venivano a confessare e testimoniare le opere loro» (19,18).

L’Apostolo san Giovanni esortava i primi cristiani ad abbracciare questa santa pratica, dicendo loro: «Se noi confessiamo i nostri peccati, Dio è fedele e giusto da perdonarceli e mondarci da ogni iniquità» (1Gv 1,9).
Nei tempi poi vicini agli Apostoli troviamo san Clemente, discepolo e successore di san Pietro, il quale, esortando con una lettera i fedeli di Corinto a ricorrere alla misericordia del Signore per ottenere il perdono dei peccati, diceva loro: «Mentre siamo in questo mondo, convertiamoci di tutto cuore; perché quando ne saremo usciti non potremo più confessarci né far penitenza» (2Cor 8).

Dopo di lui molti altri Padri della Chiesa e scrittori ecclesiastici parlarono della Confessione come di un’opera praticata da tutti i cristiani. Nel II secolo, per esempio, abbiamo Tertulliano che nel suo libro De pœnitentia parla nel modo più esplicito della Confessione1; nel III secolo Origene, che fu uno dei predicatori più zelanti della Confessione2, e san Cipriano, che non finiva ai fedeli del suo tempo di raccomandarne la pratica3; nel IV secolo san Basilio4, sant’Ambrogio5, san Giovanni Crisostomo, san Gregorio Nazianzeno, ecc., che ne inculcarono la necessità e ne misero in luce l’efficacia; nei secoli seguenti dal V al XII una serie di scrittori sacri6 ne parlarono come ne parliamo noi oggi. Il fatto poi che la storia ci riporti il nome dei sacerdoti ai quali facevano la loro confessione i re e gli imperatori è un’altra prova in favore dell’uso che sempre si fece di confessarsi7. Dal secolo XII in poi, le testimonianze non si possono più enumerare.

Queste testimonianze ci provano che, se la Confessione fu costantemente e universalmente praticata dal tempo degli Apostoli fino a noi, essa non può che essere una istituzione voluta da Gesù.

_________________________________________________________________

1] Tertulliano nel suo libro De pœnitentia, dopo aver rimproverato quelli che per vergogna cercano di evitare o differire la confessione di se stessi, nel capo IX ci presenta i penitenti «che si prostrano ed inginocchiano ai piedi dei sacerdoti».
2] Origene, nel III secolo, avverte i penitenti che attendano bene a quale dei sacerdoti debbano confessare il loro peccato (in Ps. 37). In un’omelia al Vangelo di Luca afferma: «Se riveleremo i nostri peccati non solo a Dio, ma anche a quelli che possono porvi un rimedio, questi peccati ci verranno rimessi» (Hom. XVII in Lc).
3] San Cipriano nel suo libro De lapsis, c. XXIX, loda i peccatori del suo tempo, i quali «presso i sacerdoti di Dio con dolore e semplicità si confessano». In un’omelia scrive: «Io vi scongiuro, o fratelli, che ciascuno di voi confessi le sue colpe finché è ancora in questa vita, nella quale solamente la confessione può essere ricevuta» (Hom. II in Ps. 36). Sant’Ambrogio (cf. de Sacram.) e il Crisostomo (cf. Hom. XXII in Ioan.) soggiungono che «come non si ha vergogna e timore di mostrare al medico le piaghe del corpo, così non si deve sentire soverchio rossore a rivelare al sacerdote quelle dello spirito».
4] San Basilio, nel IV secolo, dichiara che «non si devono confessare i peccati se non a coloro che hanno il potere di cancellarli, a coloro ai quali è stato affidato l’incarico di dispensare i misteri di Cristo» (Un reg. Brev. interrog. 128-129).
5] Sant’Ambrogio (cf. de Sacram.) e il Crisostomo (cf. Hom. XXII in Ioan.) soggiungono che «come non si ha vergogna e timore di mostrare al medico le piaghe del corpo, così non si deve sentire soverchio rossore a rivelare al sacerdote quelle dello spirito».
6] San Giovanni Climaco nel VI secolo scriveva: «Non si è mai udito che i peccati di cui ci confessiamo al tribunale della penitenza si siano in verun tempo divulgati; e ciò ha permesso Dio, perché i peccatori non fossero distolti dal confessarsi e privati così dell’unica speranza di salute» (Scal. Grand. 4). San Cesario di Arles, nello stesso secolo, paragonava i peccati alle malattie, la confessione alla medicina e il confessore al medico (cf. Hom. VII de pœnit.). Nel primo concilio di Germania del 744 si stabilì che ogni comandante avesse un sacerdote per ricevere le confessioni dei soldati (cf. Can II, t. VI). Ne parla anche il concilio di Kent del 787 e poi i tre concilii di Parigi, di Pavia e di Colonia del IX secolo.
7] Sappiamo che Carlo Magno si confessava da Ildebrando, arcivescovo di Colonia e l’imperatore Ottone da sant’Ulderico, vescovo di Augsburg.


Il Papa: la lotta di un cristiano contro il male è anche confessare con sincerità e concretezza i peccati




Avere il coraggio davanti al confessore di chiamare i peccati con il loro nome, senza nasconderli. L’omelia di questa mattina 25 ottobre, nella Messa celebrata a Casa Santa Marta, è stata interamente incentrata da Papa Francesco sul Sacramento della Riconciliazione. Confessarsi, ha detto, è andare incontro all’amore di Gesù con sincerità di cuore e con la trasparenza dei bambini, non rifiutando ma anzi accogliendo la “grazia della vergogna”, che fa percepire il perdono di Dio. Il servizio di Alessandro De Carolis:RealAudioMP3 

Per molti credenti adulti, confessarsi davanti al sacerdote è uno sforzo insostenibile – che induce sovente a scansare il Sacramento – o una pena tale che al dunque trasforma un momento di verità in un esercizio di finzione. San Paolo, nella Lettera ai Romani commentata da Papa Francesco, fa esattamente il contrario: ammette pubblicamente davanti alla comunità che nella “sua carne non abita il bene”. Afferma di essere uno “schiavo” che non fa il bene che vuole, ma compie il male che non vuole. Questo accade nella vita di fede, osserva il Papa, per cui “quando voglio fare il bene, il male è accanto a me”:

“E questa è la lotta dei cristiani. E’ la nostra lotta di tutti i giorni. E noi non sempre abbiamo il coraggio di parlare come parla Paolo su questa lotta. Sempre cerchiamo una via di giustificazione: ‘Ma sì, siamo tutti peccatori’. Ma, lo diciamo così, no? Questo lo dice drammaticamente: è la lotta nostra. E se noi non riconosciamo questo, mai possiamo avere il perdono di Dio. Perché se l’essere peccatore è una parola, un modo di dire, una maniera di dire, non abbiamo bisogno del perdono di Dio. Ma se è una realtà, che ci fa schiavi, abbiamo bisogno di questa liberazione interiore del Signore, di quella forza. Ma più importante qui è che per trovare la via d’uscita, Paolo confessa alla comunità il suo peccato, la sua tendenza al peccato. Non la nasconde”.

La confessione dei peccati fatta con umiltà è ciò “che la Chiesa chiede a tutti noi”, ricorda Papa Francesco, che cita anche l’invito di S. Giacomo: “Confessate tra voi i peccati”. Ma “non – chiarisce il Papa – per fare pubblicità”, ma “per dare gloria a Dio” e riconoscere che è “Lui che mi salva”. Ecco perché, prosegue il Papa, per confessarsi si va dal fratello, “il fratello prete”: è per comportarsi come Paolo. Soprattutto, sottolinea, con la stessa “concretezza”:

“Alcuni dicono: ‘Ah, io mi confesso con Dio’. Ma è facile, è come confessarti per e-mail, no? Dio è là lontano, io dico le cose e non c’è un faccia a faccia, non c’è un quattrocchi. Paolo confessa la sua debolezza ai fratelli faccia a faccia. Altri: ‘No, io vado a confessarmi’ ma si confessano di cose tanto eteree, tanto nell’aria, che non hanno nessuna concretezza. E quello è lo stesso che non farlo. Confessare i nostri peccati non è andare ad una seduta di psichiatria, neppure andare in una sala di tortura: è dire al Signore ‘Signore sono peccatore’, ma dirlo tramite il fratello, perché questo dire sia anche concreto. ‘E sono peccatore per questo, per questo e per questo’”. 

Concretezza, onestà e anche – soggiunge Papa Francesco – una sincera capacità di vergognarsi dei propri sbagli: non ci sono viottoli in ombra alternativi alla strada aperta che porta al perdono di Dio, a percepire nel profondo del cuore il suo perdono e il suo amore. 
E qui il Papa indica chi imitare, i bambini: 

“I piccoli hanno quella saggezza: quando un bambino viene a confessarsi, mai dice una cosa generale. ‘Ma, padre ho fatto questo e ho fatto questo a mia zia, all’altro ho detto questa parola’ e dicono la parola. Ma sono concreti, eh? Hanno quella semplicità della verità. E noi abbiamo sempre la tendenza di nascondere la realtà delle nostre miserie. Ma c’è una cosa bella: quando noi confessiamo i nostri peccati come sono alla presenza di Dio, sempre sentiamo quella grazia della vergogna. Vergognarsi davanti a Dio è una grazia. E’ una grazia: ‘Io mi vergogno’. Pensiamo a Pietro quando, dopo il miracolo di Gesù nel lago: ‘Ma, Signore, allontanati da me, io sono peccatore’. Si vergognava del suo peccato davanti alla santità di Gesù Cristo”.



 


Un sacerdote risponde

Sulla partecipazione alle feste di precetto e sull'osservanza dell'astinenza di venerdì quando ci si trova in paesi stranieri e con disciplina diversa dalla nostra

Salve, 
grazie innanzitutto per la sua rubrica che mi ha fatto maturare molto nella Fede e mi ha chiarito tanti dubbi teologici.
Oggi (vigilia dell'Epifania) le sottopongo una domanda molto tecnica... 
Il cattolico è tenuto ad osservare i precetti e le feste di precetto (pena di peccato mortale se trasgredisce con volontà, avvertenza, materia grave).
Ora le feste di precetto cambiano da nazione a nazione: in pratica se la festa è ritenuta anche "civile" si è obbligati alla Messa viceversa la festa "abolita civilmente" viene spostata alla domenica successiva (vedi qui in Italia S. Giuseppe Corpus Domini e tante ancora).
Anche l'astinenza dalle carni del venerdì cambia da nazione a nazione: in Inghilterra (conferenza episcopale dell'Inghilterra) è obbligatoria mentre in Italia si dovrebbe ma in pratica si può sostituire con tante altre mortificazioni (il che significa per il grande pubblico "fate come vi pare").
La mia domanda è: se uno viaggia o si sposta per qualunque motivo da nazione a nazione... quali precetti deve seguire? Ad esempio se vado per motivi di lavoro (viceversa vacanza) in un paese dove S. Giuseppe è precetto religioso sono tenuto alla S. Messa? 
Poi ho una "provocazione": visto che la Messa la domenica non è un comandamento del decalogo (il decalogo dice semplicemente "ricordati del sabato" ben diverso dalla nostra domenica... diciamo che è l'unico comandamento abolito de-facto almeno dal punto di vista semantico) ma un precetto della Chiesa... la Chiesa non potrebbe allargare un po' le maglie su questo precetto come avviene nella chiesa ortodossa? Si salverebbero un sacco di anime che sono diventate "atee" (magari per darsi un tocco da intellettuali) perché a 14 anni si sono semplicemente stufate di andare a Messa! 
La saluto e La ricordo nella preghiera
Gabriele


Risposta del sacerdote

Caro Gabriele,
1. per dirimere la questione va fatta distinzione tra ciò che è disciplina della Chiesa universale e ciò che è disciplina della Chiesa locale.
La determinazione delle feste di precetto è di pertinenza della disciplina della Chiesa universale.
Allora questa disciplina obbliga dappertutto, a meno che uno non ne sia impedito per giusta causa (come del resto avviene anche per la partecipazione alla Messa domenicale).

2. Ebbene, la disciplina della Chiesa universale determina che le feste di precetto siano le dieci menzionate nel Codice di diritto Canonico.
Tuttavia dove la festa di precetto non è concomitante con la festa civile, la disciplina della Chiesa dispensa dall’obbligo di partecipare alla Messa perché i fedeli ne sono impediti.

3. Pertanto, ad esempio, se uno si trova per motivi di lavoro in un paese in cui si celebra come festa di precetto la solennità dell’Ascensione non è tenuto a partecipare alla Messa perché ne è impedito dai motivi di lavoro per cui si è recato in quella località.
Ma se uno è lì in vacanza, allora vi è tenuto perché il non partecipare sarebbe motivato solo da negligenza.

4. Sulla disciplina del venerdì le cose variano da nazione a nazione. La disciplina della Chiesa universale lascia alle singole conferenze episcopali di determinare la modalità concreta.
Pertanto se un italiano si trova per caso in Inghilterra non è tenuto alla disciplina della Chiesa inglese.
Tuttavia se si trova insieme a cattolici inglesi sarebbe strano (e cioè poco comunitario ed evangelico) se non si conformasse alla loro disciplina. 
Se invece ha il domicilio in Inghilterra allora è soggetto alla disciplina della Chiesa inglese, perché di fatto fa parte di quella comunità cristiana.

5. Per quanto concerne la Messa domenicale va detto che non si tratta semplicemente di disciplina della Chiesa cattolica, perché è di tradizione apostolica.
La festività del sabato (obbligatoria per gli ebrei nell’Antico Testamento e addirittura sotto pena di morte) con la risurrezione del Signore ha ceduto il posto alla domenica. Questo fin dalla prima comunità cristiana.
Pertanto su questo punto non vi sono discussioni.
Sulla gravità dell’obbligazione gli ortodossi dicono che un buon cristiano deve parteciparvi. Ma non ne parlano come di un obbligo “sub gravi”.
Va tenuto conto però che le Messe (chiamate dagli orientali “Divina Liturgia”) durano mediamente dalle due alle tre ore dove la gente dovrebbe stare ferma in un clima glaciale come quello della Russia. Nelle feste solenni durano anche quattro ore, con la gente che va e viene dalla Chiesa per le proprie necessità fisiologiche.

6. Nella Chiesa cattolica la Messa dura mediamente tre quarti d’ora. Come vedi, l’impegno è molto diverso.

7. Soprattutto però va ricordato che la gravità dell’obbligazione non nasce dalla volontà della Chiesa di punire chi non è andato a Messa.
Chi non ci va semplicemente perché non vuole parteciparvi, ha già giudicato se stesso. Vuol dire che il sacrificio di Gesù Cristo, la sua presenza, la sua parola, la comunione con la comunità cristiana non  gli importano. E questa la si potrebbe chiamare comunione di vita con Gesù?
Allora viene da dire che non commette peccato mortale soprattutto perché disobbedisce alla Chiesa, ma perché col suo atteggiamento si separa da Cristo e dalla comunione ecclesiale.
La Chiesa con la sua disciplina ricorda il male che uno fa a se stesso col disattendere alla cura della sua vita cristiana.

Ti ringrazio, ti ricordo al Signore e ti benedico.
Padre Angelo





Un sacerdote risponde

Che cosa dirò a mia figlia se un giorno mi dicesse che va a convivere e poi si farebbe sposare dal Papa?

Quesito

Caro Padre Angelo, 
Per ben tre volte ha avuto la gentilezza di rispondermi in passato che la Chiesa non cambierà una virgola il suo magistero. Ed oggi potrebbe anche rispondermi lo stesso.  Ma io cosa dirò a mia figlia quando venga a dirmi che va a convivere col suo fidanzato? Lei potrà rispondermi, " Non preoccuparti babbo, tra qualche anno se tutto va bene ci sposiamo, e forse con un po’ di buona fortuna ci sposeremo a San Pietro davanti il Papa, io con un bel vestito bianco come piace a te!"
Io tenterò di rispondere ma gli amici domenicani dicono ... e lei " Ma babbo a chi credi ai domenicani o al Papa?"
Lei ha qualche risposta?
Grazie
Enzo


Risposta del sacerdote

Caro Enzo,
1. non bisogna equivocare sui gesti del Papa.
È vero che Papa Francesco ha congiunto in nozze anche dei conviventi, ma questo non significa che il Papa approvi o, peggio ancora, incoraggi la convivenza.
Con quel gesto il Papa ha voluto mostrare che la Chiesa ha cura di tutti i suoi figli, anche di quelli che per i più svariati motivi non vivono la loro vita affettiva radicati in Cristo.

2. La convivenza è un errore, anzi per dei credenti in Cristo è un peccato.
Lo è per diversi motivi.
Innanzitutto perché l’esperienza sessuale è falsata: ci si dona in totalità sapendo che quella donazione non c’è ancora stata e si è liberi di rimandare l’altro a casa propria in qualsiasi momento. 
Ed è falsata anche perché la stessa donazione sessuale, che vorrebbe manifestare la donazione totale di se stessi, viene in genere attuata mediante la contraccezione, che in maniera evidente dice che non ci si vuole donare in totalità.

3. C’è dunque una duplice falsità nella convivenza, che davanti a tutti proclama di non volere vivere la propria sessualità secondo il disegno santo del Creatore.
Per questo i conviventi non possono accostare alla confessione sacramentale se non per riparare il loro peccato sciogliendo la convivenza.
E conseguentemente non possono fare la Santa Comunione, proprio perché contraddirebbe la volontà di Nostro Signore. Commetterebbero un sacrilegio.

3. La convivenza non è la scuola più adatta per imparare ad amare, per imparare la purezza nella vita affettiva, per vincere le proprie passioni e i propri capricci, per costruire insieme prima la casa spirituale nella quale abitare.
No, nella convivenza c’è tutto il contrario perché si dà via libera alla propria concupiscenza, non ci si impegna in nessun modo a mantenere puro il proprio amore, non si impara ad amare con amore puro e santo.
Si pongono così le premesse del disastro che molto spesso si conclude con la separazione.

4. A questi limiti oggettivi se ne aggiungono altri che sono abbastanza frustranti per una persona.
Come ad esempio quello di sentirsi in prova e in balìa della volontà dell’altro che ti può rimandare a casa in qualsiasi momento. E questo magari dopo averlo servito e riverito per anni e anni, che nel frattempo passano e non tornano più indietro.
Oppure quello di limitarsi nella propria libertà di discernimento, che pur è necessaria prima del matrimonio. Infatti dal momento in cui si va a convivere si comincia a vivere come marito e moglie. E questi fra loro hanno pur diritto di sapere dove si va, con chi si va, per quanto tempo si va. 
Ma prima del matrimonio non si deve rendere conto a nessuno della propria libertà di indagine.
Nella convivenza questa doverosa libertà di azione e di discernimento viene impedita dalla “fedeltà” che i conviventi reclamano.

5. Anche il Papa sa tutte queste cose e sa che la convivenza è contraria al disegno di Dio sul matrimonio.
Ma sa anche che queste persone vanno salvate per la vita eterna e anche per il loro matrimonio.
Per questo ha voluto dare un segno ai conviventi. 
La Chiesa non li caccia via, ma desidera la loro salvezza. È mandata da Cristo proprio per questo anche per loro.
Hanno compiuto degli errori, dei peccati? Sì, ma la Chiesa propone loro un itinerario di salvezza. Sono pecorelle smarrite nel vero senso del termine.
Quello che ha fatto il Papa, lo fanno silenziosamente tanti buoni parroci e tanti buoni sacerdoti.

6. Tuttavia c’è stato nella vicenda qualcosa di stonato.
Questi conviventi sposati dal Papa sono stati intervistati e alcuni non hanno mostrato minimamente alcun pentimento o dispiacere per la convivenza. Anzi l’hanno mostrata come la cosa più doverosa che dovevano fare e hanno detto che finalmente la Chiesa capisce e si adatta alla nuova mentalità.
Certamente il Papa non poteva seguire personalmente questi sposi.
Ma chi li ha presentati si è preoccupato di introdurli in un itinerario di preparazione spirituale?
Ha detto loro di confessarsi prima di sposarsi e di fare la Santa Comunione?
E se si sono confessati, hanno dichiarato di essere pentiti di non aver voluto camminare secondo le vie di Dio?
Perché se non si sono pentiti, la loro confessione è invalida, anzi un sacrilegio. E sacrilego è stato anche quello che hanno fatto dopo.

7. Sicché, purtroppo, alla fine si è fatto passato davanti ai più fragili che convivere va bene, che il Papa approva e che nessuno deve dare noie.
Qualcuno dunque ha equivocato sul comportamento del Papa.
Dispiacerebbe se l’avesse fatto apposta.
Purtroppo non c’è da stupirsi neanche di questo.

Ti ringrazio, ti ricordo al Signore e ti benedico. 
Padre Angelo

http://www.amicidomenicani.it/leggi_sacerdote.php?id=4222 






[Modificato da Caterina63 09/09/2015 18:55]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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06/11/2013 12:59
 
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  BEATI GLI OPERATORI DI PACE.....


È Cristo dunque il più grande operatore di pace. Egli ha pagato questo compito cosmico con una morte violenta.

Il segno più plastico e più efficace della rappacificazione universale è perciò la croce che fino a quel momento era stata solo il segno della violenza e della sopraffazione. Su questa linea pacificatrice si muovono alcune indicazioni del seguito del discorso della montagna, che ad alcuni sono sembrate paradossali, se non addirittura assurde, ma non lo sono se vengono confrontate con quanto Gesù ha effettivamente compiuto. Leggiamo nel vangelo secondo Matteo: Avete inteso che fu detto: Occhio per occhio e dente per dente; ma io vi dico di non opporvi al malvagio; anzi se uno ti percuote la guancia destra, tu porgigli anche l’altra; e a chi ti vuol chiamare in giudizio per toglierti la tunica, tu lascia anche il mantello. E se uno ti costringerà a fare un miglio, tu fanne con lui due. Dà a chi ti domanda e a chi desidera da te un prestito non volgere le spalle (Mt 5,38-42).

Apparentemente ci sembra di trovarci davanti a una capitolazione che potrebbe rendere anche più arrogante l’avversario: in realtà è l’unico modo per dimostrare che la violenza è un non senso e che l’amore, che solo genera la pace, è più produttivo perché realizza addirittura il doppio di quanto il violento potrebbe desiderare: la violenza pretende la tunica, l’amore dà spontaneamente la tunica e aggiunge anche il mantello. La violenza genera altra violenza; l’amore invece arresta la violenza e la demolisce, facendone vedere l’assurdità e la sterile follia.

Perché gli operatori di pace saranno chiamati figli di Dio?

Perché solo la pace vera, quella lasciataci da Cristo (Gv 14,27), quella che sale su per il Calvario, quella che si mette al servizio del progetto di Dio sull'uomo, quella che nasce dal cuore contrito, è capace di creare l’autentica famiglia di Dio, dove tutti si sentono compresi e amati come figli di Dio e fratelli tra loro.









Un sacerdote risponde

Sarò perdonato da Dio in punto di morte pur trovandomi in peccato mortale?

Quesito

Caro Padre Angelo,
io penso sempre che il fine della mia vita è quello di salvare la mia anima. Se pecco provo pentimento sincero, ma mi accorgo che purtroppo sono fragile e che peccare è inevitabile.
Troppe insidie, situazioni particolari, società che ci circonda, condizionamenti, tentazioni.
Per non peccare, pur avendo famiglia, dovrei rinchiudermi  in un convento e confessarmi almeno 2 volte al giorno. (Sarei anche disposto a fare questo, ma ho degli obblighi nei confronti della mia famiglia). Mi ci vuole un confessore a mia completa disposizione 24 su 24 perché la Chiesa è rigidissima, non permette alcuna distrazione.
Questo mi angoscia molto, perché desidero morire in grazia di Dio ed andare in Paradiso.
Le chiedo: sarò perdonato da Dio in punto di morte  pur trovandomi  in peccato mortale? 
Io normalmente se sbaglio mi confesso, ma se disgraziatamente mi dovessi trovare in peccato mortale e non essere in condizioni di potermi confessarmi ,che ne sarà della mia anima?
Io a Gesù ci penso tutti i giorni ,non voglio dannarmi , sono molto angosciato di morire e non poter fare una santa confessione ,anche perché' sento Gesù molto vicino a me e confido molto nella sua misericordia di cui sono molto devoto.
Possibile che il più grande amico che ho, pur conoscendo le mie intenzioni, non mi aiuta nel momento più delicato per me? (Trapasso della mia anima)?
Ho accettato serenamente tutte le sofferenze (sono un poliomielitico) ,non come castigo ma come una grazia, ho ricevuto anche tante grazie (una bella moglie, due figlie stupende, un papà ed una mamma che praticamente mi trattano come un fiore.)
L'unico desiderio della mia vita è quello di andare in Paradiso.
Un ultima cosa: c'è' pieno consenso quando, pur peccando riprovo il peccato che sto compiendo?
Grazie mille per i sui suggerimenti.
Aldo


Risposta del sacerdote

Caro Aldo, 
1. il Signore non ci abbandona mai e il segno, per un peccatore, è questo: dà la grazia del pentimento.
Se il pentimento è sincero, e cioè motivato dal fatto che con quel peccato siamo stati la causa della morte del Signore, che i nostri peccati danneggiano la Chiesa, oltre che noi stessi, e che hanno nuovamente estromesso il Signore dalla nostra vita, in quel momento ricuperiamo la grazia di Dio.
Non è possibile infatti emettere un atto sincero di pentimento (contrizione perfetta) se non perché raggiunti dalla grazia di Dio.

2. Questa contrizione perfetta include, almeno implicitamente, il proposito di andarsi a confessare.
Non c’è infatti vero pentimento e riconciliazione col Signore se non si è disposti a fare tutto quello che Egli vuole che si faccia per una piena riconciliazione con Lui.
E siccome il Signore ha legato il suo perdono a quello della Chiesa: “A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati” (Gv 20,23) ci deve essere almeno implicitamente la disposizione d’animo di andarsi a confessare.
Diversamente il pentimento non è perfetto.

3. Questo vale anche in punto di morte.
Se uno è sinceramente pentito e decide di andarsi a confessare, già da quel momento torna in grazia di Dio.
E se questo avviene in punto di morte, certamente si salva.

4. Pertanto non è credibile che il Signore, che ci ama con un amore misericordioso e infinito, abbandoni chi lo ha amato e cercato per tutta la vita, soprattutto se tutti i giorni ha invocato per sé e per tutti la sua misericordia.
Mi pare che quando dici che sei molto devoto della Divina Misericordia alluda alla bella pratica della coroncina della Divina Misericordia.

5. Certo, la condizione migliore è quella di conservarsi sempre in grazia, anche perché non sappiamo se avremo il tempo di pentirci.
Su questo il Signore ci ha ammonito: “Cercate di capire questo: se il padrone di casa sapesse a quale ora della notte viene il ladro, veglierebbe e non si lascerebbe scassinare la casa” (Mt 24,43).
E “che giova infatti all'uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde la propria anima?” (Mc 8,36).

6. Questo atto di dolore perfetto o contrizione non è una cosa impossibile. È sufficiente recitare con devozione l’atto di dolore, sottolineando alcune espressioni: “Mio Dio, mi pento e mi dolgo con tutto il cuore dei miei peccati, perché peccando ho meritato i tuoi castighi e molto più perché ho offeso Te, infinitamente buono e degno di essere amato sopra ogni cosa.
Propongo col Tuo santo aiuto di non offenderTi mai più?e di fuggire le occasioni prossime di peccato.
Signore, misericordia, perdonami”.

7. Questa è dottrina della Chiesa, dichiarata dal Concilio di Trento: “Sebbene talvolta capiti che questa contrizione sia perfetta per la carità e riconcili l’uomo con Dio prima che si riceva effettivamente il sacramento, tuttavia la stessa riconciliazione non si deve ascrivere alla stessa contrizione senza il desiderio del sacramento che è incluso in essa” (DS 1677).
Come vedi, la Chiesa non è rigidissima. È madre benevola.

8. Tuttavia, pur animati da questa contrizione perfetta e col proposito di andarsi a confessare non è lecito accostarsi nel frattempo alla santa Comunione, perché non ci si è ancora confessati e non si è ancora riparato il male inferto a Cristo e alla Chiesa.
Questa riparazione avviene solo nella confessione, che oltre alla grazia santificante aggiunge la grazia sacramentale che è necessaria per vivere in maniera penitente e cambiare vita.
Per questo il Catechismo della Chiesa Cattolica dice: “Chi è consapevole di aver commesso un peccato grave, deve ricevere il sacramento della Riconciliazione prima di accedere alla comunione” (CCC 1385).
Ugualmente anche il Codice di Diritto Canonico al can. 916.
Per questo Giovanni Paolo II nell’enciclica Ecclesia de Eucaristia ha detto: “Desidero quindi ribadire che vige e vigerà sempre nella Chiesa la norma con cui il Concilio di Trento ha concretizzato la severa ammonizione dell’apostolo Paolo affermando che, al fine di una degna ricezione dell’Eucaristia, «si deve premettere la confessione dei peccati, quando uno è conscio di peccato mortale» (DS 1647 e 1661) (Ecclesia de Eucharistia 36).

9. Circa l’ultima domanda: sì, è peccato anche se mentre lo commetti lo detesti.

Ho già scritto diverse volte questi criteri.
Ma ti ringrazio di avermi dato la possibilità di ripresentarli per i visitatori, soprattutto per i nuovi, per coloro che non li avessero ancora letti.
Ti ricordo al Signore e ti benedico.
Padre Angelo




Un sacerdote risponde

 

Sono stato per molti anni lontano dalla Fede e adesso voglio confessarmi, ma vorrei confessare solo i peccati di cui sono pentito e non quelli di cui dubito siano peccati e per i quali non provo pentimento

 

Quesito

 

Caro Padre Angelo, 
vorrei anzitutto ringraziarLa per l'importante ed utilissima attività di apostolato che Lei svolge curando questa Rubrica e per tutto l'impegno da Lei profuso nel rispondere ai tanti e difficili quesiti che ogni giorno Le vengono sottoposti. 
Vengo subito al mio problema. 
Sono stato per molti anni lontano dalla Fede, principalmente per disinteresse o superficialità, non per convinzione o avversione. 
Conseguentemente ho omesso, durante tutto questo periodo, di confessare i miei peccati.  
Mi sono riavvicinato alla Chiesa da poco, anche grazie a buone frequentazioni (non ultima la "frequentazione telematica" con la Sua rubrica), e, oltre ad aver ripreso a frequentare la Messa, in questo mese di Maggio, ho iniziato giornalmente a recitare il Rosario. 
La cosa che sino ad ora ho chiesto a Maria con maggiore insistenza é di aiutarmi nella preparazione per una buona e generale confessione, recuperando i fatti dalla memoria, valutandoli, cercando di capire il male ad essi sotteso, la mia colpevolezza, ecc. 
Ne ho riconosciuti molti e gravi e sento l'urgenza di emendarmi, anche perché - al di là dell'oggettività dei fatti - percepisco la mia colpa; tuttavia, vi è un fatto che - ad oggi - non riesco (ancora?) a intendere come peccato, pur avendo tentato di analizzarlo, anche alla luce delle circostanze e delle mie intime intenzioni; il tutto cercando di non pensare con superbia, ma con sincerità ed umiltà d'animo. Insomma: credo di aver contravvenuto una "regola", ma, probabilmente per insufficienza mia e nonostante i miei sforzi o forse giustamente, non riesco (almeno per ora) a valutarlo come "peccato". 
Questo, sino ad ora, mi ha fatto posticipare il momento della confessione. 
La mia domanda, che Le pongo in termini generali, é questa: ci si può confessare validamente, limitando l'accusa ai peccati effettivamente riconosciuti come tali e per i quali si prova reale contrizione ed omettendo un "fatto" di cui, al momento della confessione, non si percepisce (a ragione o a torto) la rilevanza spirituale? Le preciso che nelle mie intenzioni, quel "fatto" non sarebbe automaticamente archiviato come "non peccato", ma continuerebbe ad essere oggetto di considerazione (magari anche con l'aiuto di un direttore spirituale; magari anche con il Suo aiuto) e di eventuale confessione e riparazione successive. 
La ringrazio per l'attenzione che vorrà accordarmi e Le chiedo una preghiera di conforto. 
Cordiali saluti. 
S.

 


 

Risposta del sacerdote

 

Carissimo S., 
1. avrei desiderato risponderti subito per farti concludere bene, con una bella confessione, il mese di maggio. 
Se questa confessione non l’hai ancora fatta, potrai farla in occasione della festa della Madonna assunta in cielo, o anche prima se lo ritieni opportuno.

 

2. Il concilio di Trento dice che “per disposizione divina (ex iure divino) si devono confessare tutti e singoli i peccati mortali di cui si ha la coscienza dopo debita e diligente riflessione” (DS 1707).
Poiché il criterio decisivo e ultimo delle nostre azioni è il giudizio certo e retto di coscienza, se ne deduce che la confessione deve riguardare i peccati di cui si ha la certezza che sono tali.
Pertanto alla tua richiesta potrei dire: “sì, per ora accusa tutti i peccati di cui sei certo che siano peccati”.

 

3. Tuttavia siamo consapevoli che anche la nostra coscienza si può sbagliare e che possiamo dare giudizi certi ma erronei.
E di questa erroneità possiamo avere qualche responsabilità, come ricorda il concilio Vaticano II il quale, accanto ad una ignoranza invincibile (e dunque certa) e incolpevole, parla anche di una ignoranza invincibile (e dunque certa) ma colpevole.
E dice che questo si può verificare perché colpevolmente non ci si è istruiti a suo tempo oppure perché la coscienza è diventata quasi cieca in seguito all’abitudine al peccato (Gaudium et spes 16).
Ma mettiamo anche il caso di una ignoranza invincibile e incolpevole. Rimane il fatto, come ricorda Giovanni Paolo II in Veritatis splendor, che da questa  ignoranza “uno non può uscire da solo” (VS 62).  

 

4. Pertanto, per non rimandare in eterno le tue confessioni, io ti direi di confessare come certo quello che ti è sembra certo e di accusare come dubbio ciò su cui hai dei dubbi.
San Tommaso dice: “Quando uno è nel dubbio che un peccato sia mortale, è tenuto a confessarlo, finché è nel dubbio. Tuttavia egli non deve asserire che il suo peccato è mortale, ma parlare in forma dubitativa, lasciando il giudizio al sacerdote cui spetta distinguere ‘tra lebbra e lebbra’ (Dt 17,8)” (Somma TeologicaSuppl.6,4, ad 3).

 

5. Nello stesso tempo ti esorto a preparare la tua confessione con un’ardente preghiera a Maria perché ti ottenga la grazia di un vero pentimento.
Se aspettiamo che questo pentimento venga da noi stessi, verrà fuori abbastanza mediocre, o comunque secondo il livello della nostra vita spirituale.
Qui invece si tratta di avere per i nostri peccati il medesimo dispiacere che ne ha provato Cristo dalla croce. Per questo è un dono una grazia da implorare, attraverso il più puro dei cuori, quello di Maria.

 

Ti assicuro, anche per quest’ultima grazia, la mia preghiera e ti benedico. 
Padre Angelo








[Modificato da Caterina63 06/12/2014 23:03]
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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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  DIMENSIONE COMUNITARIA DEL PERDONO DEI PECCATI

Città del Vaticano, 20 novembre 2013 (VIS). La remissione dei peccati, in riferimento al cosiddetto "potere delle chiavi", simbolo biblico della missione che Gesù ha dato agli Apostoli, è stato il tema della catechesi del Papa per l'Udienza Generale del mercoledì, tenutasi in Piazza San Pietro.

"Protagonista del perdono dei peccati è lo Spirito Santo. - ha detto Papa Francesco spiegando che: "Nella sua prima apparizione agli Apostoli, nel cenacolo, Gesù risorto fece il gesto di soffiare su di loro dicendo: 'Ricevete lo Spirito Santo; a chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi'. Gesù, trasfigurato nel suo corpo, ormai è l’uomo nuovo, che offre i doni pasquali frutto della sua morte e risurrezione. Quali sono questi doni? La pace, la gioia, il perdono dei peccati, la missione, ma soprattutto dona lo Spirito Santo che di tutto questo è la sorgente. Il soffio di Gesù (...) indica il trasmettere la vita, la vita nuova rigenerata dal perdono. Ma prima di fare il gesto di soffiare e donare lo Spirito, Gesù mostra le sue piaghe, nelle mani e nel costato: queste ferite rappresentano il prezzo della nostra salvezza. Lo Spirito Santo ci porta il perdono di Dio 'passando attraverso' le piaghe di Gesù".

A sua volta la Chiesa è "depositaria del potere delle chiavi, di aprire o chiudere al perdono. Dio perdona ogni uomo nella sua sovrana misericordia, ma Lui stesso ha voluto che quanti appartengono a Cristo e alla Chiesa, ricevano il perdono mediante i ministri della Comunità (...). In questo modo Gesù ci chiama a vivere la riconciliazione anche nella dimensione ecclesiale, comunitaria. (...) La Chiesa (...) accompagna il nostro cammino di conversione per tutta la vita. La Chiesa non è padrona del potere delle chiavi, ma è serva del ministero della misericordia".

"Tante persone - ha affermato il Pontefice - forse non capiscono la dimensione ecclesiale del perdono, perché domina sempre l’individualismo (...). Certo, Dio perdona ogni peccatore pentito, personalmente, ma il cristiano è legato a Cristo, e Cristo è unito alla Chiesa. Per noi cristiani c’è un dono in più, e c’è anche un impegno in più: passare umilmente attraverso il ministero ecclesiale. Questo dobbiamo valorizzarlo (...). Io vado dal fratello sacerdote e dico: 'Padre, ho fatto questo...'. E lui risponde: 'Ma io ti perdono; Dio ti perdona'. In quel momento, io sono sicuro che Dio mi ha perdonato!".

"Infine, un ultimo punto: il sacerdote strumento per il perdono dei peccati. (...) Il sacerdote; anche lui un uomo che come noi ha bisogno di misericordia, diventa veramente strumento di misericordia, donandoci l’amore senza limiti di Dio Padre. (...) A volte capita di sentire qualcuno che sostiene di confessarsi direttamente con Dio…. Sì, come dicevo prima, Dio ti ascolta sempre, ma nel sacramento della Riconciliazione manda un fratello a portarti il perdono, la sicurezza del perdono, a nome della Chiesa".

"Il servizio che il sacerdote presta come ministro, da parte di Dio, per perdonare i peccati è molto delicato ed esige che il suo cuore sia in pace (...); che non maltratti i fedeli, ma che sia mite, benevolo e misericordioso; che sappia seminare speranza nei cuori e, soprattutto, sia consapevole che il fratello o la sorella che si accosta al sacramento della Riconciliazione cerca il perdono e lo fa come si accostavano tante persone a Gesù perché le guarisse. Il sacerdote che non abbia questa disposizione di spirito è meglio che, finché non si corregga, non amministri questo Sacramento. I fedeli penitenti hanno il diritto, tutti i fedeli hanno il diritto di trovare nei sacerdoti dei servitori del perdono di Dio".

"Non dimentichiamo che Dio - ha concluso il Pontefice - non si stanca mai di perdonarci; mediante il ministero del sacerdote ci stringe in un nuovo abbraccio che ci rigenera e ci permette di rialzarci e riprendere di nuovo il cammino. Perché questa è la nostra vita: rialzarci continuamente e riprendere il cammino".




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CATECHESI DEL SANTO PADRE IN LINGUA ITALIANA

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Mercoledì scorso ho parlato della remissione dei peccati, riferita in modo particolare al Battesimo. Oggi proseguiamo sul tema della remissione dei peccati, ma in riferimento al cosiddetto "potere delle chiavi", che è un simbolo biblico della missione che Gesù ha dato agli Apostoli.

Anzitutto dobbiamo ricordare che il protagonista del perdono dei peccati è lo Spirito Santo. Nella sua prima apparizione agli Apostoli, nel cenacolo, Gesù risorto fece il gesto di soffiare su di loro dicendo: «Ricevete lo Spirito Santo; a chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi» (Gv 20,22-23). Gesù, trasfigurato nel suo corpo, ormai è l’uomo nuovo, che offre i doni pasquali frutto della sua morte e risurrezione. Quali sono questi doni? La pace, la gioia, il perdono dei peccati, la missione, ma soprattutto dona lo Spirito Santo che di tutto questo è la sorgente. Il soffio di Gesù, accompagnato dalle parole con le quali comunica lo Spirito, indica il trasmettere la vita, la vita nuova rigenerata dal perdono.

Ma prima di fare il gesto di soffiare e donare lo Spirito, Gesù mostra le sue piaghe, nelle mani e nel costato: queste ferite rappresentano il prezzo della nostra salvezza. Lo Spirito Santo ci porta il perdono di Dio "passando attraverso" le piaghe di Gesù. Queste piaghe che Lui ha voluto conservare; anche in questo momento Lui in Cielo fa vedere al Padre le piaghe con le quali ci ha riscattato. Per la forza di queste piaghe, i nostri peccati sono perdonati: così Gesù ha dato la sua vita per la nostra pace, per la nostra gioia, per il dono della grazia nella nostra anima, per il perdono dei nostri peccati. È molto bello guardare così a Gesù!

E veniamo al secondo elemento: Gesù dà agli Apostoli il potere di perdonare i peccati. È un po’ difficile capire come un uomo può perdonare i peccati, ma Gesù dà questo potere. La Chiesa è depositaria del potere delle chiavi, di aprire o chiudere al perdono. Dio perdona ogni uomo nella sua sovrana misericordia, ma Lui stesso ha voluto che quanti appartengono a Cristo e alla Chiesa, ricevano il perdono mediante i ministri della Comunità. Attraverso il ministero apostolico la misericordia di Dio mi raggiunge, le mie colpe sono perdonate e mi è donata la gioia. In questo modo Gesù ci chiama a vivere la riconciliazione anche nella dimensione ecclesiale, comunitaria. E questo è molto bello. La Chiesa, che è santa e insieme bisognosa di penitenza, accompagna il nostro cammino di conversione per tutta la vita. La Chiesa non è padrona del potere delle chiavi, ma è serva del ministero della misericordia e si rallegra tutte le volte che può offrire questo dono divino.

Tante persone forse non capiscono la dimensione ecclesiale del perdono, perché domina sempre l’individualismo, il soggettivismo, e anche noi cristiani ne risentiamo. Certo, Dio perdona ogni peccatore pentito, personalmente, ma il cristiano è legato a Cristo, e Cristo è unito alla Chiesa. Per noi cristiani c’è un dono in più, e c’è anche un impegno in più: passare umilmente attraverso il ministero ecclesiale. Questo dobbiamo valorizzarlo; è un dono, una cura, una protezione e anche è la sicurezza che Dio mi ha perdonato. Io vado dal fratello sacerdote e dico: «Padre, ho fatto questo…». E lui risponde:«Ma io ti perdono; Dio ti perdona». In quel momento, io sono sicuro che Dio mi ha perdonato! E questo è bello, questo è avere la sicurezza che Dio ci perdona sempre, non si stanca di perdonare. E non dobbiamo stancarci di andare a chiedere perdono. Si può provare vergogna a dire i peccati, ma le nostre mamme e le nostre nonne dicevano che è meglio diventare rosso una volta che non giallo mille volte. Si diventa rossi una volta, ma ci vengono perdonati i peccati e si va avanti.

Infine, un ultimo punto: il sacerdote strumento per il perdono dei peccati. Il perdono di Dio che ci viene dato nella Chiesa, ci viene trasmesso per mezzo del ministero di un nostro fratello, il sacerdote; anche lui un uomo che come noi ha bisogno di misericordia, diventa veramente strumento di misericordia, donandoci l’amore senza limiti di Dio Padre. Anche i sacerdoti devono confessarsi, anche i Vescovi: tutti siamo peccatori. Anche il Papa si confessa ogni quindici giorni, perché anche il Papa è un peccatore. E il confessore sente le cose che io gli dico, mi consiglia e mi perdona, perché tutti abbiamo bisogno di questo perdono. A volte capita di sentire qualcuno che sostiene di confessarsi direttamente con Dio…. Sì, come dicevo prima, Dio ti ascolta sempre, ma nel sacramento della Riconciliazione manda un fratello a portarti il perdono, la sicurezza del perdono, a nome della Chiesa.

Il servizio che il sacerdote presta come ministro, da parte di Dio, per perdonare i peccati è molto delicato ed esige che il suo cuore sia in pace, che il sacerdote abbia il cuore in pace; che non maltratti i fedeli, ma che sia mite, benevolo e misericordioso; che sappia seminare speranza nei cuori e, soprattutto, sia consapevole che il fratello o la sorella che si accosta al sacramento della Riconciliazione cerca il perdono e lo fa come si accostavano tante persone a Gesù perché le guarisse. Il sacerdote che non abbia questa disposizione di spirito è meglio che, finché non si corregga, non amministri questo Sacramento. I fedeli penitenti hanno il diritto, tutti i fedeli hanno il diritto di trovare nei sacerdoti dei servitori del perdono di Dio.

Cari fratelli, come membri della Chiesa siamo consapevoli della bellezza di questo dono che ci offre Dio stesso? Sentiamo la gioia di questa cura, di questa attenzione materna che la Chiesa ha verso di noi? Sappiamo valorizzarla con semplicità e assiduità? Non dimentichiamo che Dio non si stanca mai di perdonarci; mediante il ministero del sacerdote ci stringe in un nuovo abbraccio che ci rigenera e ci permette di rialzarci e riprendere di nuovo il cammino. Perché questa è la nostra vita: rialzarci continuamente e riprendere il cammino.






Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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10/10/2014 12:46
 
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Dio ci chiederà conto di tutto questo L’INFERNO C’E’ ! I PARTE


diDon Giuseppe Tomaselli"Se Dio castigasse subito chi lo offende, certamente non verrebbe offeso come lo è ora. Ma poiché il Signore non castiga subito, i peccatori si sentono incoraggiati a peccare di più. È bene sapere però che Dio non sopporterà per sempre: come ha fissato per ogni uomo il numero dei giorni della vita, così ha fissato per ognuno il numero dei peccati che ha deciso di perdonargli: a chi cento, a chi dieci, a chi uno. Quanti vivono molti anni nel peccato! Ma quando termina il numero delle colpe fissato da Dio, sono colti dalla morte e vanno all'inferno. "
(Sant'Alfonso M. de Liguori - Dottore della Chiesa)

ANIMA CRISTIANA, NON FARTI DEL MALE! SE TI AMI... NON AGGIUNGERE PECCATO A PECCATO! TU DICI: "DIO È MISERICORDIOSO!" EPPURE, CON TUTTA QUESTA MISERICORDIA... QUANTI OGNI GIORNO VANNO ALL'INFERNO!!
I
LA DOMANDA DELL’UOMO E LA RISPOSTA DELLA FEDE




UN COLLOQUIO INQUIETANTE

La possessione diabolica è una drammatica realtà che trovia­mo ampiamente documentata negli scritti dei quattro Evangelisti e nella storia della Chiesa.
È possibile, dunque, e c'è anche oggi.
II demonio, se Dio glielo permette, può prendere possesso di un corpo umano, o di un animale ed anche di un luogo.
Nel Rituale Romano la Chiesa ci insegna da quali elementi si possa riconoscere la vera possessione diabolica.
Per più di quarant'anni ho fatto l'esorcista contro Satana. Ri­porto un episodio tra i tanti che ho vissuto.
Fui incaricato dal mio Arcivescovo di cacciare il demonio dal corpo di una ragazza che era tormentata da qualche tempo. Sottoposta più volte a visite da parte di medici specialisti, era stata trovata perfettamente sana.
Quella ragazza aveva una istruzione piuttosto bassa, avendo frequentato soltanto le scuole elementari.
Nonostante questo, appena il demonio entrava in lei, riusciva a comprendere e ad esprimersi in lingue classiche, leggeva nel pensiero dei presenti e vari fenomeni strani avvenivano nella stanza, quali: rottura di vetri, forti rumori alle porte, movimento concitato di un tavolo isolato, oggetti che uscivano da soli da un cesto e cadevano sul pavimento, ecc...
All'esorcismo assistevano parecchie persone, tra cui un altro sacerdote e un professore di storia e di filosofia che registrava tutto per un'eventuale pubblicazione.
Il demonio, costretto, manifestò il suo nome e rispose a diverse domande.
- Mi chiamo Melid!... Mi trovo nel corpo di questa ragazza e non l'abbandonerò fino a quando non accetterà di fare quello che voglio io!
- Spiegati meglio.
- Io sono il demonio dell'impurità e tormenterò questa ragazza fino a quando non sarà diventata impura come la desidero io."
- Nel nome di Dio, dimmi: all'inferno c'è gente a motivo di questo peccato?
- Tutti quelli che sono là dentro, nessuno escluso, ci sono con questo peccato o anche solo per questo peccato!
Gli rivolsi ancora tante altre domande: - Prima di essere un demonio, chi eri?
- Ero un cherubino... un alto ufficiale della Corte Celeste. - Che peccato avete commesso voi angeli in Cielo?
- Non doveva farsi uomo!... Lui, l'Altissimo, umiliarsi così... non doveva farlo!
- Ma non sapevate che ribellandovi a Dio sareste sprofondati all'inferno?
- Lui ci disse che ci avrebbe messi alla prova, ma non che ci avrebbe puniti così... L'inferno!... L'inferno!... L'inferno!... Voi non potete comprendere che significhi il fuoco eterno!
Pronunciava queste parole con rabbia furibonda e con una tre­menda disperazione.

            



COME SI FA PER SAPERE SE L’INFERNO C'È?
Che cos'è questo inferno del quale oggi si parla troppo poco (con grave danno per la vita spirituale degli uomini) e che invece sarebbe bene, anzi, doveroso conoscere nella giusta luce?
È il castigo che Dio ha dato agli angeli ribelli e che darà anche agli uomini che si ribellano a Lui e disobbediscono alla sua legge, se muoiono nella sua inimicizia.
Prima di tutto conviene dimostrare che c'è e poi cercheremo di capire che cosa è.
Così facendo, potremo arrivare a delle conclusioni pratiche. Per abbracciare una verità la nostra intelligenza ha bisogno di solide argomentazioni.
Trattandosi di una verità che ha tante e così gravi conseguenze per la vita presente e per quella futura, prenderemo in esame le prove della ragione, poi le prove della divina Rivelazione e infine le prove della storia.


LE PROVE DELLA RAGIONE
Gli uomini, anche se molto spesso, poco o tanto, si comporta­no ingiustamente, sono concordi nell'ammettere che a chi fa il be­ne spetta il premio e a chi fa il male spetta il castigo.
Allo studente volonteroso spetta la promozione, allo svogliato la bocciatura. AI soldato coraggioso si consegna la medaglia al valor militare, al disertore è riservato il carcere. II cittadino onesto è premiato col riconoscimento dei suoi diritti, il delinquente va colpito con una giusta punizione.
Dunque, la nostra ragione non è contraria ad ammettere il ca­stigo per i colpevoli.
Dio è giusto, anzi, è la Giustizia per essenza.
II Signore ha dato agli uomini la libertà, ha impresso nel cuore di ognuno la legge naturale, che impone di fare il bene e di evita­re il male. Ha dato anche la legge positiva, compendiata nei Dieci Comandamenti.
È mai possibile che il Legislatore Supremo dia dei Comanda­menti e poi non si curi se vengono osservati o calpestati?
Lo stesso Voltaire, filosofo empio, nella sua opera “La legge na­turale” ebbe il buon senso di scrivere: "Se tutto il creato ci dimo­stra l'esistenza di un Ente infinitamente sapiente, la nostra ragio­ne ci dice che deve pur essere infinitamente giusto. Ma come po­trebbe essere tale se non sapesse né ricompensare né punire? Il dovere di ogni sovrano è di castigare le azioni cattive e di premia­re quelle buone. Volete che Dio non faccia ciò che la stessa giu­stizia umana sa fare?".


LE PROVE DELLA RIVELAZIONE DIVINA
Nelle verità di fede la nostra povera intelligenza umana può dare soltanto qualche piccolo contributo. Dio, Suprema Verità, ha voluto svelare all'uomo cose a lui misteriose; l'uomo è libero di accettarle o di rifiutarle, ma a suo tempo renderà conto al Creato­re della sua scelta.
La divina Rivelazione è contenuta anche nella Sacra Scrittura così come è stata conservata e viene interpretata dalla Chiesa. La Bibbia si distingue in due parti: Antico Testamento e Nuovo Te­stamento.
Nell'Antico Testamento Dio parlava ai Profeti e questi erano i suoi portavoce presso il popolo ebreo.
II re e profeta Davide scrisse: "Siano confusi gli empi, tacciano negli inferi" (Sa 13 0, 18).
Degli uomini che si sono ribellati contro Dio il profeta Isaia disse: "Il loro verme non morirà, il loro fuoco non si spegnerà" (Is 66,24).
Il precursore di Gesù, San Giovanni Battista, per disporre gli animi dei suoi contemporanei ad accogliere il Messia, parlò an­che di un compito particolare affidato al Redentore: dare il premio ai buoni e il castigo ai ribelli e lo fece servendosi di un paragone: "Egli ha in mano il ventilabro, pulirà la sua aia e raccoglierà il suo grano nel granaio, ma brucerà la pula con un fuoco inestinguibi­le" (Mt 3, 12).


GESU’ HA PARLATO MOLTE VOLTE DEL PARADISO
Nella pienezza dei tempi, duemila anni fa, mentre a Roma im­perava Cesare Ottaviano Augusto, fece la sua comparsa nel mon­do il Figlio di Dio, Gesù Cristo. Ebbe allora inizio il Nuovo Te­stamento.
Chi può negare che Gesù sia veramente esistito? Nessun fatto storico è così tanto documentato.
II Figlio di Dio dimostrò la sua Divinità con molti e strepitosi miracoli e a tutti quelli che ancora dubitavano lanciò una sfida: "Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere" (Gv 2, 19). Disse inoltre: "Come Giona rimase tre giorni e tre notti nel ventre del pesce, così il Figlio dell'uomo resterà tre giorni e tre notti nel cuore della terra" (Mt 12, 40).
La risurrezione di Gesù Cristo è indubbiamente la prova più grande della sua Divinità.
Gesù faceva i miracoli non solo perché, mosso dalla carità, voleva soccorrere dei poveri ammalati, ma anche perché tutti, vedendo la sua potenza e comprendendo che veniva da Dio, po­tessero abbracciare la verità senza alcuna ombra di dubbio.
Gesù disse: "lo sono la luce del mondo; chi segue me, non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita" (Gv 8,12). La missione del Redentore era quella di salvare l'umanità, re­dimendola dal peccato, e di insegnare la via sicura che porta al Cielo.
I buoni ascoltavano con entusiasmo le sue parole e praticava­no i suoi insegnamenti.
Per invogliarli a perseverare nel bene, spesso parlava del gran­de premio riservato ai giusti nell'altra vita.
"Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, men­tendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli" (Mt 5, 11-12).
"Quando il Figlio dell'uomo verrà nella sua gloria con tutti i suoi angeli, si siederà sul trono della sua gloria... e dirà a quelli che stanno alla sua destra: Venite, benedetti del Padre mio, rice­vete in eredità il regno preparato per voi fin dalla fondazione dei mondo" (cfr. Mt 25, 31. 34).
Disse inoltre: "Rallegratevi perché i vostri nomi sono scritti nei cieli" (Lc 10, 20).
"Quando dai un banchetto, invita poveri, storpi, zoppi, ciechi e sarai beato perché non hanno da ricambiarti. Riceverai infatti la tua ricompensa alla risurrezione dei giusti" (L c 14, 13-14).
“Io preparo per voi un regno, come il Padre mio l'ha preparato per me” (Lc 22, 29).


GESU’ HA PARLATO ANCHE DEL CASTIGO ETERNO
A un buon figlio, per obbedire, basta conoscere cosa desidera il padre: obbedisce sapendo di fargli piacere e di godere del suo affetto; mentre a un figlio ribelle si minaccia una punizione.
Così ai buoni basta la promessa del premio eterno, il Paradiso, mentre ai malvagi, vittime volontarie delle proprie passioni, è ne­cessario presentare il castigo per scuoterli.
Vedendo Gesù con quanta malvagità tanti suoi contemporanei e persone dei secoli futuri avrebbero chiuso gli orecchi ai suoi in­segnamenti, desideroso com'era di salvare ogni anima, parlò del castigo riservato nell'altra vita ai peccatori ostinati, cioè la puni­zione dell'inferno.
La prova più forte dell'esistenza dell'inferno è data dunque dalle parole di Gesù.
Negare o anche solo dubitare delle terribili parole del Figlio di Dio fatto Uomo, sarebbe come distruggere il Vangelo, cancellare la storia, negare la luce del sole.


È DIO CHE PARLA
Gli ebrei credevano di aver diritto al Paradiso soltanto perché erano discendenti di Abramo.
E siccome molti resistevano agli insegnamenti divini e non vo­levano riconoscerlo come il Messia inviato da Dio, Gesù, minac­ciò loro la pena eterna dell'inferno.
"Vi dico che molti verranno dall'oriente e dall'occidente e sie­deranno a mensa con Abramo, Isacco e Giacobbe nel regno dei cieli, mentre i figli del regno (gli ebrei) saranno cacciati fuori nel­le tenebre, ove sarà pianto e stridore di denti" (Mt 8, 11-12).
Vedendo gli scandali del suo tempo e delle generazioni future, per far rinsavire i ribelli e preservare dal male i buoni, Gesù parlò dell'inferno e con toni molto forti: "Guai al mondo per gli scan­dali! È inevitabile che avvengano scandali, ma guai all'uomo per colpa del quale avviene lo scandalo!" (Mt 18, 7).
"Se la tua mano o il tuo piede ti scandalizzano, tagliali: è me­glio per te entrare nella vita monco o zoppo, piuttosto che essere gettato con due mani e due piedi nell'inferno, nel fuoco inestin­guibile" (cfr. Mc 9, 43-46. 48).
Gesù, dunque, ci insegna che bisogna essere disposti a qua­lunque sacrificio, anche il più grave, come l'amputazione di un membro del nostro corpo, pur di non finire nel fuoco eterno.
Per sollecitare gli uomini a trafficare i doni ricevuti da Dio, co­me l'intelligenza, i sensi del corpo, i beni terreni... Gesù raccontò la parabola dei talenti e la concluse con queste parole: "Il servo fannullone gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti" (Mt 25, 30).
Quando preannunciò la fine del mondo, con la risurrezione universale, accennando alla sua gloriosa venuta e alle due schie­re, dei buoni e dei cattivi, soggiunse: "... a quelli posti alla sua sinistra: Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli" (Mt 25, 41).
II pericolo di andare all'inferno c'è per tutti gli uomini, perché durante la vita terrena tutti corriamo il rischio di peccare grave­mente.
Anche ai suoi stessi discepoli e collaboratori Gesù fece pre­sente il pericolo che correvano di finire nel fuoco eterno. Erano andati in giro per le città e i villaggi, annunziando il regno di Dio, guarendo gli infermi e cacciando i demoni dal corpo degli ossessi. Ritornarono lieti per tutto questo e dissero: "Signore, anche i de­moni si sottomettono a noi nel tuo nome". E Gesù: "Io vedevo satana cadere dal cielo come la folgore" (Lc 10, 17-18). Voleva raccomandare loro di non insuperbirsi per quanto avevano fatto, perché la superbia aveva fatto piombare Lucifero all'inferno.
Un giovane ricco si stava allontanando da Gesù, rattristato, perché era stato invitato a vendere i suoi beni e a darli ai poveri. II Signore così commentò l'accaduto: "In verità vi dico: difficilmente un ricco entrerà nel regno dei cieli. Ve lo ripeto: è più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno dei cieli. A queste parole i discepoli rimasero costernati e chiesero: “Chi si potrà dunque salvare?”. E Gesù, fissando su di loro lo sguardo disse: “Questo è impossibile agli uomini, ma a Dio tutto è possibile”. (Mt 19, 23-26).
Con queste parole Gesù non voleva condannare la ricchezza che, in sé, non è cattiva, ma voleva farci comprendere che chi la possiede si trova nel grave pericolo di attaccarvi il cuore in modo disordinato, fino a perdere di vista il paradiso e il rischio concreto della dannazione eterna.
Ai ricchi che non esercitano la carità Gesù ha minacciato un maggior pericolo di finire all'inferno.
"C'era un uomo ricco, che vestiva di porpora e di bisso e tutti i giorni banchettava lautamente. Un mendicante, di nome Lazzaro, giaceva alla sua porta, coperto di piaghe, bramoso di sfamarsi di quello che cadeva dalla mensa del ricco. Persino i cani venivano a leccare le sue piaghe. Un giorno il povero morì e fu portato da­gli angeli nel seno di Abramo. Morì anche il ricco e fu sepolto. Stando nell'inferno tra i tormenti, levò gli occhi e vide di lontano Abramo e Lazzaro accanto a lui. Allora gridando disse: 'Padre Abramo, abbi pietà di me e manda Lazzaro a intingere nell'acqua la punta del dito e bagnarmi la lingua, perché questa fiamma mi tortura'. Ma Abramo rispose: “Figlio, ricordati che hai ricevuto i tuoi beni durante la vita e Lazzaro parimenti i suoi mali; ora inve­ce lui è consolato e tu sei in mezzo ai tormenti. Per di più, tra voi e noi è stabilito un grande abisso: coloro che di qui vogliono pas­sare da voi non possono, né da lì si può attraversare fino a noi”. E quegli replicò: 'Allora, padre, ti prego di mandarlo a casa di mio padre, perché ho cinque fratelli. Li ammonisca, perché non ven­gano anch'essi in questo luogo di tormento'. Ma Abramo rispose: 'Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro'. E lui: “No, padre Abramo, ma se qualcuno dai morti andrà da loro, si ravvedranno”. Abra­mo rispose: “Se non ascoltano Mosè e i Profeti, neanche se uno risuscitasse dai morti sarebbero persuasi”. (Lc 16, 19-31 ).

I MALVAGI DICONO...
Questa parabola evangelica, oltre a garantirci che l'inferno esi­ste, ci suggerisce anche la risposta da dare a chi osa dire sciocca­mente: "lo crederei all'inferno soltanto se qualcuno, dall'aldilà, venisse a dirmelo!".
Chi si esprime così, normalmente è già sulla via del male e non crederebbe neanche se vedesse un morto risuscitato.
Se, per ipotesi, oggi venisse qualcuno dall'inferno, tanti cor­rotti o indifferenti che, per continuar a vivere nei loro peccati senza rimorsi, hanno interesse che l'inferno non esista, sarcasti­camente direbbero: "Ma questo è matto! Non diamogli ascolto!".


IL NUMERO DEI DANNATI
Nota sul tema: "IL NUMERO DEI DANNATI " trattato a pag. 15 Da come l'Autore tratta l'argomento del numero dei dannati si sente che la situa­zione, dal tempo suo al nostro, è profondamente cambiata.
L'Autore scriveva in un tempo in cui, in Italia, poco o tanto, quasi tutti avevano un qualche legame con la fede, se non altro sotto forma di lontani ricordi, mai del tutto dimenticati, che affioravano quasi sempre in punto di morte.
Nel nostro tempo, invece, anche in questa povera Italia, un tempo cattolica e che il Papa è arrivato a definire oggi 'terra di missione", troppi, non avendo più nemmeno un pallido ricordo della fede, vivono e muoiono senza alcun riferimento a Dio e senza porsi il problema dell'aldilà. Molti vivono e "muoiono come cani", diceva il Card. Siri, anche perché molti sacerdoti sono sempre meno solleciti nel prendersi cura dei morenti e nel proporre loro la riconciliazione con Dio!
È chiaro che nessuno può dire quanti siano i dannati. Ma considerando il di­lagare attuale dell'ateismo... dell'indifferenza... dell'incoscienza... della superfi­cialità... e dell'immoralità... io non sarei così ottimista come l'Autore nel dire che sono pochi quelli che si dannano.


Sentendo che Gesù parlava spesso del paradiso e dell'inferno, gli Apostoli un giorno gli chiesero: "Chi si potrà dunque salvare?". Gesù, non volendo che l'uomo penetrasse in una verità tanto delicata, rispose in modo evasivo: "Entrate per la porta stretta, per­ché larga è la porta e spaziosa la via che conduce alla perdizio­ne, e molti sono quelli che entrano per essa; quanto stretta invece è la porta e angusta la via che conduce alla vita, e quanto pochi sono quelli che la trovano!" (Mt 7, 13-14).
Che significato dare a queste parole di Gesù?
La via del bene è aspra, perché consiste nel dominare la tur­bolenza delle proprie passioni per vivere in conformità al volere di Gesù: "Se qualcuno vuol venire dietro a me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua" (Mt 16, 24).
La via del male, che porta all'inferno, è comoda ed è battuta dai più, perché è molto più facile correre dietro ai piaceri della vita, appagando la superbia, la sensualità, la cupidigia, ecc...
"Dunque, - può concludere qualcuno - dalle parole di Gesù si può pensare che la maggior parte degli uomini andrà all'inferno!". I Santi Padri e, in generale, i moralisti, affermano che i più si salveranno. Ecco le argomentazioni che portano.
Dio vuole che tutti gli uomini si salvino, a tutti dà i mezzi per raggiungere l'eterna felicità; non tutti però si aggrappano a questi doni e, divenendo deboli, restano schiavi di Satana, nel tempo e per l'eternità.
Tuttavia pare che la maggioranza vada in paradiso.
Ecco alcune confortanti parole che troviamo nella Bibbia: è "grande presso di Lui la redenzione" (Sal 129, 7). E ancora: "Que­sto è il mio Sangue dell'alleanza, versato per molti, in remissione dei peccati" (Mt 26, 28). Dunque, sono molti quelli che usufrui­scono della Redenzione del Figlio di Dio.
Dando uno sguardo sia pur rapido all'umanità, vediamo che molti muoiono prima di essere arrivati all'uso di ragione, quando non sono ancora in grado di commettere peccati gravi. Costoro certamente non andranno all'inferno.
Moltissimi vivono nell'ignoranza completa della religione cat­tolica, ma senza propria colpa, trovandosi in paesi nei quali non è ancora giunta la luce del Vangelo. Questi, se osservano la legge naturale, non andranno all'inferno, perché Dio è giusto e non dà un castigo immeritato.
Ci sono poi i nemici della religione, i libertini, i corrotti. Non tutti questi finiranno all'inferno perché in vecchiaia, calando non poco il fuoco delle passioni, facilmente ritorneranno a Dio.
Quante persone mature, dopo le delusioni della vita, riprendo­no la pratica della vita cristiana!
Molti cattivi si rimettono in grazia di Dio perché provati dal dolore, o per un lutto di famiglia, o perché in pericolo di vita. Quanti muoiono bene negli ospedali, sui campi di battaglia, nelle prigioni o in seno alla famiglia!
Non sono molti quelli che rifiutano i conforti religiosi in fin di vita, perché, davanti alla morte, di solito si aprono gli occhi e svaniscono tanti pregiudizi e spavalderie.
Sul letto di morte la grazia di Dio può essere molto abbon­dante perché ottenuta dalla preghiera e dai sacrifici dei parenti e di altre persone buone che pregano ogni giorno per gli agoniz­zanti.
Quantunque molti battano la via del male, tuttavia un buon numero ritorna a Dio prima di entrare nell'eternità.

È VERITA’ DI FEDE
L'esistenza dell'inferno è assicurata e ripetutamente insegnata da Gesù Cristo; è dunque una certezza, per cui è un grave pecca­to contro la fede dire che: "L'inferno non c'è!".
Ed è un grave peccato anche solo il mettere in dubbio questa verità: "Speriamo che l'inferno non ci sia!".
Chi pecca contro questa verità di fede? Gli ignoranti in materia di religione che non fanno nulla per istruirsi nella fede, i superfi­ciali che prendono alla leggera un affare di così grande importan­za e i gaudenti ingolfati nei piaceri illeciti della vita.
In generale ridono dell'inferno proprio quelli che sono già sul­la strada giusta per finirci dentro. Poveri ciechi e incoscienti!
È necessario ora portare la prova dei fatti, visto che Dio ha per­messo delle apparizioni di anime dannate.

Non c'è da stupirsi che il Divino Salvatore abbia quasi sempre sulle labbra la parola “inferno”: non ce n'è un'altra che esprima così chiaramente e così propriamente il senso della sua missione.
(J. Staudinger)





[Modificato da Caterina63 30/10/2014 16:22]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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06/12/2014 22:20
 
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  Un sacerdote risponde


Quando i pensieri impuri sono da considerare peccati gravi e quando invece sono solo veniali


Salve padre Angelo.


Mi urge un chiarimento in materia di morale sessuale. Più esattamente vorrei sapere, secondo il Magistero della Chiesa, cosa significhi pensiero impuro, se esso sia un peccato mortale o veniale, e in cosa consiste. Insomma in che modo bisogna fantasticare, perché il pensiero sia impuro….


Le scrivo questo perché, a volte, forse spesso, fantastico con la mente immaginando scene d’amore, con le quali giungo, a volte, anche all’eccitazione… e dunque, questo mio “fare” non è un concepire un intento di sedurre l’altra, ma un’immaginazione che mi da piacere, una sorta di conforto, consolazione…insomma non c’è l’atto del concupire. In verità ho già provveduto a fare le mie ricerche, e una di queste mi ha portato a lei, il quale conclude che questo tipo di pensiero impuro entra nella categoria della delectatio morosa.


Questa cosa verrebbe considerata un peccato di lussuria, perché?


E poi, è un peccato mortale?


Spero possa rispondermi al più presto, la ringrazio vivamente, e ringrazio Dio per il suo sacerdozio.




Risposta del sacerdote


Carissimo,


1. quanto mi hai descritto di fatto costituisce un uso disordinato della sessualità perché il piacere legato ad essa è intimamente legato al dono di sé.


Ma qui, nel tuo caso, non c’è alcun dono di sé, anzi c’è un uso egoistico della sessualità.


2. Ora per esaminare la gravità dell’atto è necessario distinguere tra pensieri che capitano, e ai quali si va dietro senza pensare di respingerli oppure li si respinge in maniera tenue sorprendendosi anche con qualche eccitazione, e pensieri direttamente voluti con conseguente eccitazione.


In questo secondo caso, poiché si tratta di immaginazione volontaria, giungendo all’accettazione dell’eccitazione sessuale, secondo i moralisti cattolici si tratta di peccato grave contro il nono comandamento.


Come vedi, qui c’è poca differenza tra questi pensieri, voluti e cercati, e la pornografia, che dalla Chiesa è classificata peccato grave.


 


3. Nel primo caso invece quei pensieri - a motivo dell’imperfezione dell’atto, e cioè per l’imperfezione della piena avvertenza della mente e del deliberato consenso della volontà e se non si giunge all’eccitazione piena sono da classificare come peccati veniali.


 


4. Ti esorto però a non stare a vedere fino a che puoi andare per non commettere peccato grave.


Cerca invece di fare ciò che è “santo e gradito a Dio, perché questo è il culto spirituale” (Rm 12,1) che dobbiamo dare a Dio.


Questo culto è molto utile a noi, perché ci fa crescere.


È molto utile al prossimo perché ci porta a volere il suo bene.


E sarà grandemente remunerato per l’eternità.


Il peccato veniale non sarà rimurato, anzi merita solo purificazione.


 


Ti ricordo al Signore e ti benedico.


Padre Angelo







Un sacerdote risponde
Quando c’è la purezza, ci sono anche molti altri beni

Quesito

Caro Padre Angelo,
Le scrivo confidandole alcune mie cose come se mi trovassi davanti ad un diario segreto. 
Sono infelice. Ho 16 anni; vado male a scuola, non ho amici e prego sempre utilizzando il breviario (e quindi ogni giorno Ufficio, Lodi, Ora media, Vespri, Compieta). 
Sono vittima di una grande tentazione, quella dell'impurità. Vivo di peccato e di preghiera. 
Ora, nella mia situazione non bella, a chi devo incolpare la mia negatività scolastica e sociale? Non posso che attribuire la causa di tutto a Dio, a quel Dio che prego con fede notte e giorno. Di qui vien meno la mia fede sull'esistenza di Dio, dato che non ascolta la mia preghiera e dato che vedo i miei coetanei, che vivono lontani dal Signore, che vanno bene a scuola, che hanno tanti amici, ecc... Non so che fare, a chi devo seguire, come fare per riprendermi, per raggiungere la sufficienza, per avere amici della mia età con cui uscire, con cui divertirmi, ecc.. Mi sembra tanto dire con il salmista "io sono colmo di sventure, mi hai gettato nella fossa profonda, nelle tenebre e nell'ombra di morte. Hai allontanato da me i miei compagni , mi hai reso per loro un orrore. Sono infelice, sfinito, oppresso dai tuoi terrori. Hai allontanato da me amici e conoscenti, mi sono compagne solo le tenebre". Preferisco che non venga pubblicata questa conversazione.
Nell'attesa di una esauriente risposta, La saluto pregando per lei e invocando dal Signore il Suo Spirito.


Risposta del sacerdote

Carissimo,
1. Vedo che sei un bravo ragazzo e ti esorto a perseverare nella preghiera.
Ma nella tua vita c’è l’impurità e questa è causa di tanti mali, perché ti priva della grazia di Dio.
Non è Dio la causa dei tuoi mali, ma lo sono le tue impurità.

2. Guarda cosa ci dice la Sacra Scrittura. 
Giuseppe l’ebreo, il patriarca, conservò la purezza anche di fronte a tentazioni violentissime, e proprio per questo tutto gli andò bene.
Ecco cosa si legge nel testo sacro: “Il Signore fu con Giuseppe: a lui tutto riusciva bene e rimase nella casa dell'Egiziano, suo padrone. Il suo padrone si accorse che il Signore era con lui e che il Signore faceva riuscire per mano sua quanto egli intraprendeva. Così Giuseppe trovò grazia agli occhi di lui e divenne suo servitore personale; anzi, quello lo nominò suo maggiordomo e gli diede in mano tutti i suoi averi. Da quando egli lo aveva fatto suo maggiordomo e incaricato di tutti i suoi averi, il Signore benedisse la casa dell'Egiziano grazie a Giuseppe e la benedizione del Signore fu su quanto aveva, sia in casa sia nella campagna” (Gn 39,2-5).

3. Giuseppe poi finisce in prigione perché accusato ingiustamente. “Ma il Signore fu con Giuseppe, gli accordò benevolenza e gli fece trovare grazia agli occhi del comandante della prigione. Così il comandante della prigione affidò a Giuseppe tutti i carcerati che erano nella prigione, e quanto c'era da fare là dentro lo faceva lui. Il comandante della prigione non si prendeva più cura di nulla di quanto era affidato a Giuseppe, perché il Signore era con lui e il Signore dava successo a tutto quanto egli faceva” (Gn 39, 21-23).

4. Come vedi, quando c’è la purezza, ci sono anche molti altri beni.
Per questo molti autori spirituali hanno letto in riferimento alla purezza quanto si legge in Sap 7,11: “Insieme a lei mi sono venuti tutti i beni; nelle sue mani è una ricchezza incalcolabile”.

5. Le impurità, al contrario, ci privano di tutti questi beni.
Non solo, ma ci lasciano senza difese per cui ci si mette in qualche modo sotto il potere del comune avversario al quale il Signore permette che possa fare qualcosa nei nostri confronti perché ci risolviamo a convertirci, a cambiare vita, a camminare integri davanti a Lui e colmi di ogni benedizione.
Il Catechismo Romano del Concilio di Trento ricorda che nella sacra Scrittura si legge che per il peccato di uno è venuta meno la benedizione non solo su di lui ma anche su quelli della sua casa (Gn 34,25).

6. Mi piace ricordarti quanto dice San Tommaso d’Aquino: “Così chi supera le tentazioni merita di essere servito dagli angeli”
Dunque, guarda alle tentazioni che ti si presentano davanti come a delle occasioni che il Signore ti dà per essere servito dagli angeli.
Non cedere in nessuna maniera, fai quanto devi fare per lo studio, vivi in grazia e la mano del Signore ti accompagnerà.
Se fai il contrario, danneggi te stesso e diventi la causa della tua infelicità.

Ti assicuro la mia preghiera perché possa essere forte e come il Signore ti vuole.
Ti auguro ogni bene e ti benedico.
Padre Angelo




Un sacerdote risponde

Secondo un nostro visitatore l'essere gay potrebbe essere una grazia non ancora scoperta

Quesito

Gentile Padre Angelo,
nel ringraziarla per l'interessante rubrica che conduce e che mi ritrovo spesso a seguire, vorrei sottoporre alla sua attenzione una intuizione a cui sono arrivato non senza qualche fatica.
In particolare vorrei riflettere sullo stato denominato "gay" ed "omosessuale" che molte persone soprattutto giovani vivono spesso con molte difficoltà.
Premesso che gay si nasce ed omosessuali si diventa (con la condotta), ritengo che nascere ed essere "gay" corrisponda ad una difficoltà da parte della persona di scorgere una "grazia" che Nostro Signore gli ha riservato, una grazia in particolare da malattia. Ma quale malattia? 
Lei ben sa dei grandi progressi della scienza in particolare degli aspetti legati al DNA alla lettura del Genoma umano ed alla possibilità di prevenire le malattie. Una analisi del patrimonio genetico permetterebbe di riconoscere molte malattie ma non spiegare perchè non si siano manifestate.
Secondo me la persona Gay è quella persona che ha ricevuto un bene enorme ma che non è riuscita ancora appunto a cogliere questa Grazia alla nascita: una malattia che sarebbe dovuta sorgere alla nascita e che invece non si è manifestata grazie, perché no, ad un intervento divino; una persona che è stata molto amata da Dio ma che non è riuscita a riconoscere tale amore.
La persona gay con proprie pulsioni manifeste è una persona che ha bisogno di così tanto amore (perché tanto è stato amato) che se non ben interpretato non può che sfociare in un amore omosessuale. Forse i tempi non sono ancora maturi per una tale valutazione.
Questo giustificherebbe perché la Chiesa consideri l'essere Gay come una deviazione o una tendenza da correggere.
Grazie per la sua attenzione 
Andrea


Risposta del sacerdote

Caro Andrea 
1. Tu scrivi: “Premesso che gay si nasce ed omosessuali si diventa (con la condotta)”. 
Ebbene, questa premessa va dimostrata. Finora nessuno è riuscito a dimostrarlo seriamente.
Che in alcune persone vi possano essere delle predisposizioni, non lo nego. Ma in genere la causa di questo fenomeno è di ordine psicologico.
Il Catechismo della Chiesa Cattolica dicendo che “la sua genesi psichica rimane in gran parte inspiegabile” (CCC 2357) inclina a cercare le cause nell’ambito psichico.
 
2. Inoltre mi dici che è una malattia e che pertanto si tratta di una grazia molto grande, non ancora scoperta.
Ora la malattia, in quanto difetto della natura, non è una grazia, ma una disgrazia.
Che poi Dio sappia trarre anche dalle disgrazie dei beni più grandi sono d’accordo. 
Ma l’essere gay, in quanto tale, non è un dono di Dio, non è una grazia, è un defectus naturae.

3. Il Magistero della Chiesa ne parla come di un disordine.
Precisa subito che l’inclinazione gay è un disordine, ma non un peccato. 
È un disordine perché i sessi sono dissimili fra di loro per incontrarsi nella loro diversità e complementarietà.

4. La grazia più grande che ne può venir fuori può essere ad esempio la dedizione totale di se stessi alla società e alla Chiesa.
Vivendo nella purezza, fanno dono di sé spendendo tutte le proprie energie per il Vangelo o per il bene degli altri.
Proprio per questo il defectus naturae di cui si è parlato non è irreparabile.
La santità è possibile per tutti, anche per coloro che sono gay.
Non però in quanto sono gay, ma perché anch’essi sono chiamati ad amare con il cuore stesso di Cristo.
E di fatto non possiamo escludere che ci siano stati santi e che vi saranno anche tra persone con inclinazioni omosessuali!

Ti ringrazio per lo spunto di riflessione che hai offerto, ti ricordo al Signore e ti benedico.
Padre Angelo




Un sacerdote risponde

Dopo aver fatto la Comunione in peccato mortale ma col proposito di confessarmi, sentii dentro di me proprio l’assenza più totale di Dio, il nulla, il deserto, la desolazione

Quesito

Caro Padre Angelo,
le scrivo in merito al fatto della possibilità di ricevere la Santa Comunione in peccato mortale, nello specifico dopo quelli attuati da solo contro il VI comandamento: la masturbazione.
Fin dall’adolescenza mi sono ritrovato via via sempre più schiavo di questo genere di peccato e per questo motivo, su mia iniziativa, non ho più ricevuto la Santa Comunione se non in rare occasioni dopo essermi confessato. E dire che quando chiedevo ad amici o anche preti in merito a questa tematica mi sentivo dire che potevo farla a patto che facessi il proposito di confessarmi al più presto. Non ho ascoltato questi consigli se non in due occasioni, una dopo le parole di un prete e una dopo aver visto un amico che riceveva Gesù pur avendo compiuto questi atti (me lo aveva detto in un discorso poco tempo prima e nel mentre non si era confessato). Per la cronaca quella volta in particolare sentii dentro di me proprio l’assenza più totale di Dio, solo così posso descrivere ciò che provai: il nulla, il deserto, la desolazione.
Bene, ora ho 30 e passa anni e sto cercando di debellare una volta per tutte la masturbazione dalla mia vita. Sono costante nella confessione, nella messa e Comunione. Recito tutti i giorni da quasi due anni il Santo Rosario e ogni tanto qualche novena. Recito le preghiere della sera e la mattina. Come riscontro ho avuto anche più mesi senza compiere questo atto e quando la tentazione faceva capolino io mi dicevo che sceglievo Dio e poi pensavo al volto della Madonna, la nostra mamma celeste.
Arriviamo al dunque.
Mi sto affidando ad un sacerdote sia in confessionale sia in incontri mensili per la guida spirituale e sto cercando di capire se questo potrebbe essere il mio padre spirituale “ufficiale”.
Mi trovo abbastanza bene però mi dice sull’argomento della sessualità che nel mio caso per rafforzarmi devo, anche se dovessi cadere prima della successiva confessione (se dovessi cadere non troppe volte) fare la Comunione. Una volta ho seguito il suo suggerimento ma che è successo? Che dopo la comunione sono ricaduto ancora tantissime volte prima della confessione e di rafforzato non ho sentito un bel niente. Allora al successivo incontro gli ho detto che della mia anima avrei dovuto rendere conto di persona a Dio (infatti mi aveva detto che mi dava lui il permesso di fare così) e lui mi ha detto che avrei dovuto anche rendere conto del fatto che rinunciando al suo consiglio, sbagliando, avrei reso conto anche di quello.............
Ho letto cosa dice il catechismo della chiesa cattolica e io vorrei seguire quello: “chi è consapevole di aver commesso un peccato grave deve ricevere il sacramento della riconciliazione prima di accedere alla comunione”.
Quindi che faccio? Lascio perdere questo sacerdote? Sono anche devoto di Padre Pio di cui mi reputo figlio spirituale avendo raccolto la promessa strappata al Padre dal suo confratello Padre Modestino e Padre Pio giustamente non transigeva su questi peccati.

La ringrazio anticipatamente per la sua risposta,
che Dio la benedica,
con affetto,
Alessandro


Risposta del sacerdote

Caro Alessandro, 
mi dispiace molto di averti fatto attendere così tanto. Ma il numero delle mail che mi arrivano non mi permette di rispondere a tutti in maniera pronta, come sarebbe giusto fare.
La tua testimonianza è molto significativa.
Di essa desidero toccare tre punti in particolare.

1. Il primo, hai provato fin dall’adolescenza a commettere atti impuri.
Sorvolare sulle cadute degli adolescenti non è efficace, perché in tal modo viene rafforzata la dipendenza dal vizio e chissà se riusciranno a sradicarlo dalla loro vita.
Valgono anche per gli adolescenti le parole della Sacra Scrittura: “Non regni più dunque il peccato nel vostro corpo mortale, sì da sottomettervi ai suoi desideri” (Rm 6,12).
Solo ciò che è vero è anche pastoralmente buono, efficace e utile.
Senza drammatizzare, gli adolescenti che cadono nell’impurità devono essere condotti con l’aiuto della grazia a vivere nella purezza.

2. Il secondo punto: hai resistito ai consigli sbagliati di chi ti diceva di fare la S. Comunione ugualmente.
Ma hai ceduto in due occasioni dietro suggerimento (purtroppo) di un prete e anche di alcuni amici. L’hai fatto col proposito di confessarti dopo la Comunione.
E poi mi scrivi: “Per la cronaca quella volta in particolare sentii dentro di me proprio l’assenza più totale di Dio, solo così posso descrivere ciò che provai: il nulla, il deserto, la desolazione”.
Ti ringrazio per avermi dato questa testimonianza che è la più vera.
“Dio non entra in un’anima inquinata dal peccato” (Sap 1,4).
Quelle due volte il Signore non è entrato in te, non l’hai sentito. Anzi ha provato “il nulla, il deserto, la desolazione”.

3. Dio ha detto per bocca di San Paolo: “Perciò chiunque mangia il pane o beve al calice del Signore in modo indegno, sarà colpevole verso il corpo e il sangue del Signore.
Ciascuno, dunque, esamini se stesso e poi mangi del pane e beva dal calice; perché chi mangia e beve senza riconoscere il corpo del Signore, mangia e beve la propria condanna. È per questo che tra voi ci sono molti ammalati e infermi, e un buon numero sono morti” (1 Cor 11,27-30).
“Sarà colpevole verso il corpo e il sangue del Signore”. È un’espressione simile a quella di “reus maiestatis” (reo di lesa maestà) per la quale in antico si riceveva la pena di morte.
È per questo che san Paolo dice: “mangia e bene la propria condanna” e che talvolta questo grave peccato si manifesta anche attraverso segni esterni: “È per questo che tra voi ci sono molti ammalati e infermi, e un buon numero sono morti”.

4. Mi viene da dire: ma i preti che dicono di fare la Comunione lo stesso anche se si è in peccato grave ma col proposito di confessarsi in seguito, non sanno che le persone che ascoltano i loro consigli provano “il nulla, il deserto, la desolazione”?
Non sanno che quello che propongono è la strada più sicura per abbandonare anche la pratica religiosa, perché quando si smette di “gustare la buona parola di Dio e le meraviglie del mondo futuro” (Eb 6,5) la pratica religiosa diventa arida, insignificante, solo un dovere, una formalità?

5. Quando si è in grazia e si fa la Santa Comunione “si gustano le meraviglie del mondo futuro”. 
Si sperimenta allora quanto siano vere le parole del salmo 23,1: “Il Signore mi governa e non mi farà mai mancare di nulla; mi ha collocato in un luogo di abbondante pascolo” (è la traduzione dal latino. La traduzione della Cei: “Il Signore è il mio pastore: non manco di nulla. Su pascoli erbosi mi fa riposare”).

6. La terza cosa che voglio dire è in riferimento al tuo attuale confessore, che ti vuole persuadere della bontà di ciò che tu stesso hai sperimentato essere devastante.
Mi dici che dopo quel “salutare” consiglio sei caduto tantissime altre volte e non ti sei sentito rafforzare in nulla.
E che dopo avergli detto che quel consiglio non lo volevi più seguire perché ti conduceva solo al peggio e che un giorno avresti dovuto risponderne davanti a Dio, è giunto a dire che dovrai rispondere proprio del fatto di non averlo ascoltato.
Non ti pare il colmo?
Bisogna ascoltare i consigli del confessore. Ma se questi consigli sono contro la legge di Dio, non si possono ascoltare! Il confessore non è infallibile.
Dicendoti quello che ti ha detto non si comporta da ministro leale di Gesù Cristo perché deve essere fedele all’insegnamento del Signore: “Perciò chiunque mangia il pane o beve al calice del Signore in modo indegno, sarà colpevole verso il corpo e il sangue del Signore.
Ciascuno, dunque, esamini se stesso e poi mangi del pane e beva dal calice; perché chi mangia e beve senza riconoscere il corpo del Signore, mangia e beve la propria condanna” (1 Cor 11,2-29).

7. Mi hai citato un passo del Catechismo della Chiesa Cattolica.
Lo ripropongo per intero:
“«Prendete e mangiatene tutti»: la Comunione
n. 1384 Il Signore ci rivolge un invito pressante a riceverlo nel sacramento dell’Eucaristia: «In verità, in verità vi dico: se non mangiate la Carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo Sangue, non avrete in voi la vita» (Gv 6,53).
n. 1385: Per rispondere a questo invito dobbiamo prepararci a questo momento così grande e così santo. San Paolo esorta a un esame di coscienza: «Chiunque in modo indegno mangia il pane o beve il calice del Signore, sarà reo del Corpo e del Sangue del Signore. Ciascuno, pertanto, esamini se stesso e poi mangi di questo pane e beva di questo calice; perché chi mangia e beve senza riconoscere il Corpo del Signore, mangia e beve la propria condanna» (1 Cor 11,27-29).
Chi è consapevole di aver commesso un peccato grave, deve ricevere il sacramento della Riconciliazione prima di accedere alla Comunione”.

8. Citando questo passo, Giovanni Paolo II ha affermato: “Desidero quindi ribadire che vige e vigerà sempre nella Chiesa la norma con cui il Concilio di Trento ha concretizzato la severa ammonizione dell’apostolo Paolo affermando che, al fine di una degna ricezione dell’Eucaristia, «si deve premettere la confessione dei peccati, quando uno è conscio di peccato mortale” (Ecclesia de Eucharistia 36).
Il Papa si richiama poi a un passo di San Giovanni Crisostomo, il quale “con la forza della sua eloquenza, esortava i fedeli: «Anch’io alzo la voce, supplico, prego e scongiuro di non accostarci a questa sacra Mensa con una coscienza macchiata e corrotta.
Un tale accostamento, infatti, non potrà mai chiamarsi comunione, anche se tocchiamo mille volte il corpo del Signore, ma condanna, tormento e aumento di castighi».
Quello che tu hai provato dopo quelle Comunione mal fatte è la conferma più esauriente di quanto diceva San Giovanni Crisostomo.

9. Mi dici che sei devoto di Padre Pio.
Ebbene, ti dico con tutte le mie forze di seguire l’insegnamento e il modo di fare di Padre Pio.
La Chiesa l’ha canonizzato presentandolo non solo come esempio di virtù, ma anche come modello di comportamento per i sacerdoti nella pastorale della confessione sacramentale.
Puoi tenerti l’attuale confessore, ma a patto che ti permetta di confessare i tuoi peccati e che non ti dica di far la Santa Comunione ugualmente anche se non hai confessato prima i peccati gravi.
Devi obbedire prima a Dio, che parla attraverso la Sacra Scrittura, attraverso il Magistero della Chiesa e anche attraverso la tua coscienza, che per ora – grazie a Dio - resiste ai tentativi di deformazione.

Ti ringrazio di questa testimonianza, ti assicuro la mia preghiera e ti benedico.
Padre Angelo




Un sacerdote risponde

Sul reiki e se sia vero che decidere di non avere altri figli sia peccato grave

Quesito

Caro Padre Angelo,
la ringrazio per il servizio che offre online che ho scoperto "casualmente" mentre cercavo la risposta ad un mio dilemma.
Sono una donna sposata  da 6 anni; poco dopo il matrimonio sono rimasta incinta del mio  unico figlio che ora ha 5 anni. Ci siamo sposati in chiesa ma a quell'epoca non praticavo i sacramenti definendomi , con l' appellativo ormai comune , una "credente non praticante", espletando quindi le pratiche richieste dalla Chiesa per il matrimonio (corso per fidanzati, confessione,...) in modo perlopiù formale. Con la stessa modalità ho fatto battezzare mio figlio. Lavoro in ambito sanitario e lo scorso anno, tramite alcuni colleghi con i quali ho frequentato un corso di formazione, sono entrata in contatto con le cosiddette pratiche di medicina alternativa e annessi/connessi . Per farla breve, mi sono incuriosita al Reiki prendendo il primo livello, con l'intenzione di esercitarlo sul luogo di lavoro. dopo un primo momento di apparente benessere ho iniziato ad accusare alcuni disturbi senza un'evidente causa medica  e, informandomi su questa  pratica, scopro  che la Chiesa la condanna annoverandola nell'ambito dell'esoterismo, con tutti i rischi che ciò comporta.
E' proprio vero che il Signore può servirsi anche del male per generare il bene perchè questa scoperta mi ha spinta fortemente a riavvicinarmi alla Chiesa, in un primo momento motivata più che altro dalla paura ma  gradualmente , giorno per giorno , si è fatta strada una consapevolezza crescente di quanta bellezza ci sia nell'amicizia con Gesù , nella preghiera continua, nella Messa quotidiana e nel Rosario; tutto ciò nonostante le difficoltà dato che, nel frattempo, a mio figlio è stato diagnosticato un Disturbo Pervasivo dello sviluppo.  Alla mia conversione, dopo le mie preghiere, è seguita anche quella di mio marito.

All'inizio vivevamo la fede in modo sostanzialmente individuale ma sto cercando di introdurre la preghiera in famiglia e, in questo senso, ci ha aiutati tanto il viaggio a Lourdes che abbiamo fatto il mese scorso.

Mi confesso regolarmente e fino ad oggi ero convinta di essere sulla strada giusta, con i suoi scivoloni quotidiani, ma sempre in una sfera di grazia di Dio. Oggi però mi è capitato di leggere un articolo da cui si evince che decidere di non avere più figli in un matrimonio cattolico è peccato mortale.
Noi ci siamo fermati ad un unico figlio perchè per me sono stati anni molto faticosi e spesso ho pensato di non essere stata una brava mamma, perchè magari tornavo stanca dopo una giornata di lavoro e non riuscivo a dare il meglio, magari ho perso la pazienza e sono stata nervosa...oltretutto non siamo nemmeno una coppia giovanissima, i nonni sono anziani e non riescono già più ad aiutarci come avrebbero potuto fare prima. Insomma il solo pensiero del secondo figlio non è mai stato considerato. Ora ho iniziato a pensarci dopo aver letto questo articolo ma la sola idea mi terrorizza. La prima cosa che ho fatto è stata quella di affidare a Gesù e alla Madonna questo mio tormento chiedendo di illuminarmi sulla strada giusta da percorrere.
Le chiedo se può darmi qualche consiglio sulla base delle sue conoscenze.
Grazie di cuore per la sua infinita disponibilità


Risposta del sacerdote

Carissima,
1. il reiki come pratica di medicina alternativa è certamente da scartare. 
Se si cercano forze di guarigione, la strada del reiki non è certamente quella cristiana.
È pericoloso affidarsi a forze segrete invocate e ottenute da chissà chi.

2. Ti sei avvicinata a Cristo per le conseguenze negative sperimentate in seguito alla pratica del reiki.
Mi pare di poter dire che come Dio permette l’azione del demonio perché gli uomini camminino diritto per non cadere in sua balìa, così analogamente ha permesso che tu ti avvicinassi al reiki per vedere quanto danno si riceve a non fidarti del Signore e della forza che viene da Lui solo.

3. Adesso vengo al tuo problema.
Mi dici che hai letto che “decidere di non avere più figli in un matrimonio cattolico è peccato mortale”.
Questo non è vero.
La Chiesa parla di paternità responsabile e nel Concilio Vaticano II insegna: “I coniugi sappiano di essere cooperatori dell'amore di Dio Creatore e quasi suoi interpreti nel compito di trasmettere la vita umana e di educarla; ciò deve essere considerato come missione loro propria.
E perciò adempiranno il loro dovere con umana e cristiana responsabilità e, con docile riverenza verso Dio, di comune accordo e con sforzo comune, si formeranno un retto giudizio: tenendo conto sia del proprio bene personale che di quello dei figli, tanto di quelli nati che di quelli che si prevede nasceranno; valutando le condizioni sia materiali che spirituali della loro epoca e del loro stato di vita; e, infine, tenendo conto del bene della comunità familiare, della società temporale e della Chiesa stessa. Questo giudizio in ultima analisi lo devono formulare, davanti a Dio, gli sposi stessi” (Gaudium et spes, 50).
I coniugi dunque possono decidere di non mettere al mondo altri figli.

4. Tuttavia se con l’espressione  “decidere di non avere più figli in un matrimonio cattolico è peccato mortale” s’intende il ricorso alla contraccezione, allora sì, la contraccezione è un peccato oggettivamente grave perché falsifica il disegno di Dio sull’amore coniugale: rifiutando di donare la propria capacità di diventare padre e madre, ci si rifiuta di donarsi in totalità.

5. Rimane aperta la strada dei metodi naturali e cioè del ricorso ai cicli di fertilità e di infertilità.
Percorrendo questa strada disposta da Dio stesso, mentre ci si esercita nell’autodominio perché in alcuni giorni ci si deve astenere, si rimane aperti al Suo disegno e ci si dona in totalità.
In questo modo i coniugi non si sostituiscono a Dio nel determinare quali siano i fini dell’intimità coniugale, ma camminano alleati con la Sua Sapienza mantenendo la comunione con Lui e conservando lo stato di grazia che è indispensabile per poter fare la Santa Comunione.

Ti auguro un buon prosieguo nell’itinerario cristiano insieme a tuo marito. È una primavera continua, ricca di grazia e di benedizione.

Assicuro la mia preghiera per voi due e per il vostro carissimo figlio e tutti e tre vi benedico.
Padre Angelo





[Modificato da Caterina63 16/12/2014 13:44]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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12/01/2015 18:31
 
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   Un sacerdote risponde

Le parlo della forza di un'Ave Maria per vincere le tentazioni e poi le chiedo se col peccato mortale perdiamo anche i meriti acquisiti nella vita precedente

Quesito

Caro Padre Angelo,
è la prima volta che Le scrivo dopo aver letto altre testimonianze, e mi sento un poco imbarazzato a scrivere a una persona che non conosco ma la questione mi affligge da settimane. Sono un ragazzo di 16 anni. Per tutta la vita Dio non esisteva nel mio cuore: conducevo una vita di peccato, di disperazione e di solitudine. Poi, è come se qualcosa mi avesse folgorato.  Guardavo le persone giungere le mani in preghiera e mi chiedevo: "Perché pregano? Per chi pregano?".
Quell'immagine è rimasta impressa nella mia mente per diversi giorni finché non mi sono chiesto: "Cosa succederà quando morirò?". Rimasi pietrificato e la mia analisi di coscienza fu dolorosa. Da quel giorno, prego ogni giorno il rosario, vado quotidianamente alla Messa domenicale e leggo avidamente le Scritture, cercandone di capire i più profondi significati, ho dedicato il talento che Dio mi ha dato (Mt 25, 14-30) della scrittura per diffondere il messaggio della Misericordia e dell'Amore cristiano di N.S. Gesù Cristo e la mia amatissima Santa Vergine (...)
L'unico terribile ostacolo che si contrappone fra me e la nostra Madre Celeste è il vizio della masturbazione.  So che ha già affrontato questo tipo di vizio con molte altre persone e mi dispiacerebbe farLe perdere troppo tempo, ma La scongiuro di dedicarmi qualche istante. All'inizio il mio corpo è rilassato, davanti a un libro scolastico, intento a studiare.  Poi, come un morbo, entra dentro la mia testa. Tremo, prego i tre famosi Ave Maria pregando la Vergine di scacciare il demone di lussuria. Un piccolo momento di quiete e subito dopo l'immagine oscena di mio padre (i cui comportamenti perversi e lussuriosi mi hanno da sempre turbato, come girare in casa nudo o in mutande) danza davanti al libro di testo.
Sfoglio nervosamente le pagine,  inizio a tremare, urlo a me stesso di non farlo perché farei piangere la Santa Vergine. Sento che sto per cedere, colpisco la scrivania con la matita fino a mordermi le mani pur di non masturbarmi. Grido dentro di me che non ce la faccio, poi che è sbagliato,  e poi che non vincerò Satana. E poi l'atto di frustrazione e rabbia.  Quando alla fine mi rendo conto di ciò che ho appena fatto, immaginandomi Satana ridere sguaiatamente e Maria piangere lacrime di sangue, l'effetto è devastante.  Rimprovero a me stesso: "Perché l'hai fatto? Gesù ha patito così tanto dolore per noi e tu fai queste cose così stupide? Bella riconoscenza!".
Allora, maneggiando e osservando il rosario,  pensando sempre alla mia cara Regina della Pace, scoppio in lacrime. Ogni volta che compio un atto impuro, domenica prima della S. Messa mi confesso dal mio parroco per poi ringraziare Dio della sua misericordia e Maria per la sua dolcezza. E tutto ricomincia daccapo. Le domande che mi affliggono ogni volta che cado sono: "Allora, se compiendo un atto impuro si precipita direttamente all'Inferno, tutto quello che ho fatto sarà stato inutile?". Tutti i rosari che recito ogni notte? E le piccole opere di carità (do sempre nelle cassettine nella mia chiesa il denaro che uso di solito per le macchinette a scuola per mangiare; o come quella volta in cui ho pregato tramite il rosario per quelle studentesse nigeriane e, saputo la possibilità di riscatto e perciò di vita, riconoscente, ho dato tutto il denaro delle macchinette, la cui somma era più alta del solito visto che mangio poco, nelle cassettine come avevo promesso).
E tutti i miei atti di gentilezza e di disponibilità?  Tutto inutile?  Alle elementari e alle medie mi hanno sempre rifiutato e preso in giro,  nessuna mi voleva senza rendersi conto che quello che volevo dare non era passione o sesso ma amore e affetto, tutti mi hanno giudicato senza pensare che sono una persona gentile e buona. Mi hanno sempre detto di no. Allora la domanda di fondo è: nonostante tutti i rosari, le mie piccole buone azioni, le lacrime e le lotte, il mio servizio della scrittura per la cristianità,  anche Dio mi rifiuterà per colpa di questo vizio, dicendomi anche Lui di no? Vorrei tanto essere libero e ringraziare di persona Maria per tutto l'affetto che mi ha dato. Ma se Dio mi rifiuterà nonostante tutto? Che ne sarà di me? Mi dispiace per la lunga email, spero di non averLe rubato troppo la giornata.  Se fosse così, mi scuso in anticipo. 

Grazie per la disponibilità. 
La pace sia con Lei.


Risposta del sacerdote

Carissimo, 
1. anzitutto mi compiaccio per il grande dono della fede che hai ricevuto: il dono di una fede viva, che non si limita a sapere che Dio c’è (questo lo sanno anche i demoni), ma di una fede che ti tiene unito al Signore, che ti nutre della sua parola e della sua presenza, che ti permette di incontrarlo nei sacramenti e nella preghiera.
Inoltre voglio dirti che non sei solo: quando vivi in grazia, porti la presenza del Signore dentro il tuo cuore. Questa presenza ti riempie, tanto più che il Signore quando viene non viene mai da solo, ma è sempre accompagnato da tutti gli abitanti del Paradiso, in primis dalla sua Madre Santissima.

2. Mi hai descritto gli attacchi che subisci, a partire dal comportamento immodesto di tuo padre, e i combattimenti che affronti, al termine dei quali ti trovi sconfitto e allora ti metti a recitare il Rosario.
Il mio consiglio è quello di metterti a recitare il Rosario subito, appena cominciano le tentazioni.
Cercherai di recitare il Rosario come si deve: e cioè ripresentandoti la scena menzionata nell’enunciazione del mistero.
E questo sarà già molto importante. Perché appena inizi a ripresentarti la scena è come se introducessi la presenza di Gesù viva e vera e della Madonna nella tua vita. Questo è l’inizio della vittoria.

3. Poi ringrazierai il Signore e la Madonna per quanto hanno fatto per te e per tutto il genere umano nell’evento che hai menzionato. Sentirai che il tuo cuore si allarga e comincia a riempirsi di realtà sante.
Infine supplicherai Dio Padre perché per i meriti infiniti di Gesù, prodotti nell’evento menzionato, ti ottengano le grazie che gli domandi.
Nel combattimento domanderai la grazia della purezza. Con la Madonna accanto a te, le chiederai un po’ della sua purezza. E lei te la darà subito.
Solo un poco della sua purezza è già sufficiente ad allontanare, a respingere e a vincere tutte le tentazioni, per quanto grande sia la loro virulenza.
Ricordati che con la presenza e con l’intercessione della Madonna tutti i demoni fuggono impauriti. E tu ti troverai lì, vittorioso, con l’animo ricolmo di gioia per aver conservato la presenza del Signore, per non averlo cacciato via per una miserabile e momentanea soddisfazione.

4. Mi chiedi poi se col peccato grave, che è autoesclusione dalla comunione con Dio che permane anche di là se nel frattempo non ci si pente e non si torna a Lui, uno perda anche i meriti acquisiti con le opere buone.
La risposta è affermativa.
Tuttavia la grazia santificante non muore perché è una realtà di ordine soprannaturale.
E anche se sul momento non inerisce alla nostra anima a motivo della sua incompatibilità col peccato grave, tuttavia continua ad avere una relazione con colui che ne era il proprietario e al momento del pentimento ritorna con i meriti acquisiti precedentemente in proporzione al grado di pentimento.
Questa è la dottrina di San Tommaso il quale insegna che “il peccato (lo stato di peccato) non è la stessa cosa che la privazione della grazia, ma un certo ostacolo in forza del quale si resta privi della grazia” (s. tommaso, De malo, 12, 12, 3). Ma, rimosso l’ostacolo, la luce della grazia ritorna.

5. Mi preme però sottolineare le gravi conseguenze del peccato mortale.
Il peccato grave fa perdere, oltre alla grazia santificante, la presenza personale di Dio dentro di noi, e con essa fa perdere la virtù teologale della carità, che unisce a Dio. Inoltre fa perdere i doni dello Spirito Santo che costituiscono un tesoro veramente divino, infinitamente superiore a tutte le ricchezze materiali di questo mondo.
Col peccato grave o mortale, rimangono la fede e la speranza, ma sono come morte, per dirla con San Giacomo (2,26), incapaci dunque di unirci realmente a Dio.
Inoltre con peccato grave si perdono tutti i meriti della vita passata, come ricorda Dio attraverso il profeta Ezechiele: “Tutte le opere giuste da lui fatte saranno dimenticate; a causa della prevaricazione in cui è caduto e del peccato che ha commesso, egli morirà” (Ez 18, 24).

6. Infine col peccato l’anima rimane macchiata, con un conseguente deterioramento e una menomazione delle sue forze. 
È la macchia dell’anima di cui parla la Sacra Scrittura (Sir 47,22) e della quale San Tommaso dice: “In senso proprio si parla di macchia per le cose materiali, quando un corpo nitido, per esempio, l’oro, l’argento, o una veste, perde la sua lucentezza a contatto con altri corpi. Perciò nelle cose spirituali se ne deve parlare in analogia a questa macchia... Ora quando l’anima pecca aderisce a qualche cosa che è contraria alla luce della ragione e della legge divina. Ebbene, questa perdita di luminosità metaforicamente è chiamata macchia dell’anima” (Somma teologica, I-II, 86, 1).
“La macchia del peccato resta nell’anima anche dopo l’atto peccaminoso... Essa scompare solo col ritorno della luce di Dio e della ragione, mediante la grazia” (Ib., I-II, 86, 2).

7. A questa macchia si deve aggiungere una certa dipendenza dal peccato, che è come una schiavitù, secondo le parole del Signore: “Chiunque commette il peccato è schiavo del peccato” (Gv 8,34).
Con la schiavitù del peccato c’è anche l’aumento delle cattive inclinazioni e un certo assoggettamento all’influsso del demonio. 
Ed è per questo che chi cade nel peccato sente di non sperimentare più la benedizione del Signore come prima.

8. Ti esorto pertanto a non gettare via il tesoro meraviglioso che possiedi quando sei in grazia.
Devi essere disposto a tutto pur di non perderlo.

Per questo ti assicuro la mia preghiera e ti benedico. 
Padre Angelo





Un sacerdote risponde

Sulla vocazione, se i dannati si dissolvano o esistano per sempre, se i divorziati risposati siano gli unici ad essere esclusi dalla Comunione

Quesito

Carissimo Padre Angelo,
innanzitutto grazie per la sua risposta circa la mia probabile vocazione, come sempre molto chiara. 
Mi soffermo su alcuni punti.
1. La purezza. Ha ragione, so che devo superare in modo definitivo il problema, le assicuro che ce la sto mettendo tutta e prego intensamente per questo. Nei momenti di tentazione recito l'Ave Maria anche più volte, ho notato che è un'arma molto potente. Purtroppo questi episodi capitano in momenti di stress eccessivo, ultimamente soprattutto dovuti al mio desiderio sempre più pressante di avere le idee un po' più chiare sul mio futuro. In ogni caso non lascio trascorrere più di un giorno dalla caduta alla confessione: sento di offendere Dio e allontanarmi da Lui, ma anche di offendere me stesso, di non riuscire a concentrarmi in quello che faccio e a pregare come dovrei. La confessione mi aiuta a ripulirmi dalla sporcizia del peccato.
2. Le letture. Tra le letture che ho finito in questi mesi ci sono: i 3 libri di Papa Benedetto su Gesù, l'enciclica Lumen Fidei, l'esortazione apostolica Evangelii Gaudium, le biografia di San Francesco d'Assisi, San Domenico di Guzman (non sapevo non esistessero testi scritti da San Domenico, la sua vita però basta e avanza come esempio), Santa Chiara d'Assisi, San Bernardo di Chiaravalle, Papa Gregorio VII, Papa Celestino V, Santa Giovanna d'Arco, La notte oscura dell'anima di San Giovanni della Croce (mi ha un po' sconvolto), Racconti di un pellegrino russo, alcuni libri sulla Chiesa nel Medioevo, le Crociate, l'Inquisizione, le eresie medievali. Ora sono impegnato con una biografia su Sant'Antonio di Padova. Non è granché… Ovviamente leggere libri di fede non vuol dire avere la vocazione, altrimenti ci sarebbero milioni di "chiamate".
3. Il lavoro. Mi ha un po' turbato il fatto che possono esserci delle difficoltà nel discernimento per chi in età relativamente adulta è disoccupato. Mi ha detto che ogni caso va valutato. Capisco che qualcuno possa pensare che uno sceglie la vita religiosa perchè non trova lavoro, effettivamente ho riflettuto molto su questo e mi sto domandando seriamente se la possibile "chiamata" possa essere influenzata dalla mia situazione o sia autentica.

Volevo adesso porle due domande che non riguardano la vocazione e poi non la disturbo più (promesso!).
1. Noi crediamo nel ritorno glorioso di Cristo, la risurrezione dei morti e il giudizio universale al termine del quale i giusti vivranno nella gloria nei "cieli nuovi e terra nuova", mentre gli ingiusti andranno nello stagno di fuoco e zolfo. Quindi i "condannati" o meglio coloro che si sono in un certo senso condannati da soli poiché con la loro vita hanno meritato l'inferno, finiranno anima e corpo nello stagno? Questo stagno è l'immagine dell'inferno e quindi gli ingiusti resteranno in eterno anima e corpo all'inferno (dopo il giudizio universale) oppure si disintegreranno o non sappiamo esattamente che fine faranno?
2. Riflettendo sul sinodo sulla famiglia, la relazione del cardinale Kasper, che ha aperto una discussione, ho pensato che forse i divorziati-risposati sono gli unici che non possono più ricevere la comunione per tutto il resto della loro vita. E vero questo o mi sfugge qualcosa? Per poter fare la comunione è necessario il pentimento, la confessione e il proposito di non commettere più quel peccato, quindi questo può valere ad esempio per gli atti impuri, per due conviventi che poi però regolarizzano la loro situazione con il sacramento del matrimonio, per la bestemmia, l'adulterio occasionale, ecc. fino ad arrivare all'omicidio, sempre ripeto con pentimento sincero, confessione, penitenza e poi impegno a non peccare più. Quindi tra tutti i peccatori, i divorziati-risposati, non potendo impegnarsi a non commettere più il peccato sono gli unici che non possono ricevere la comunione? La mia è una domanda senza fini polemici o altro, ma solo per poter essere guidato dalla Chiesa anche su questo tema su cui spesso si parla. 

Non so come ringraziala. 
Pregherò per lei e per la sua infinita cortesia e pazienza a leggere tutto quello che le ho scritto.
Grazie ancora!


Risposta del sacerdote

Carissimo, 
1. intanto mi compiaccio per il tuo cammino nella vita cristiana che certamente è serio e impegnato e confido anche che tu possa presto prendere delle decisioni definitive nella tua vita, che in ogni caso (matrimonio o consacrazione) sarà molto preziosa per l’edificazione del Regno di Dio.
È superfluo che io ti ricordi quanto ha detto San Paolo: “Vorrei che tutti fossero come me; ma ciascuno riceve da Dio il proprio dono, chi in un modo, chi in un altro” (1 Cor 7,7).

2. Sono convinto anch’io della potenza di una sola Ave Maria.
Quando la reciti devotamente, chiami la Madonna accanto a te e Lei viene senza dubbio e con la sua sola presenza sbaraglia tutti gli attacchi infernali.
Così come fai bene a confessarti subito, appena vi fosse qualche caduta. Infatti, se si è privi della grazia, non è possibile resistere ad altre tentazioni, perché si è ancora più deboli e vulnerabili.

3. Circa le letture: ne fai molte, anche se scrivi: “non è un granché”.
Certo non tutti sono portati a fare le letture che fai tu. Ognuno ha le proprie  inclinazioni e la propria chiamata.
Tuttavia non posso che lodarti perché sai nutrire bene la tua anima.

4. Circa il lavoro: indubbiamente sarebbe eliminato ogni pensiero di questo tipo se al momento in cui si bussa alla porta di un convento si può dire: “lascio le mie povere reti e vengo a seguire il Signore più da vicino”.

5. Per la prima delle domande di teologia che mi hai posto:
Le anime sono immortali e i corpi risuscitati saranno spirituali, come ricorda san Paolo (1 Cor 15,44).
Sia per questo motivo sia anche perché l’eternità è un istante che non passa, non ci sarà dissolvimento per i dannati. Ma, come entreranno all’inferno, così rimarranno.
Come vedi, il nostro linguaggio non riesce ad esprimere adeguatamente il concetto di eternità. Io stesso ho scritto: così rimarranno. E questo fa pensare ad una successione infinita di istanti. Ma questo è proprio del tempo, non dell’eternità.

6. Per la seconda domanda: l’esclusione permanente dalla Santa Comunione non riguarda solo i divorziati risposati, ma anche altre persone.
Il Codice di Diritto Canonico dice: “Non siano ammessi alla sacra comunione gli scomunicati e gli interdetti, dopo l'irrogazione o la dichiarazione della pena e gli altri che ostinatamente perseverano in peccato grave manifesto” (Can. 915).
Anzi, proprio questo canone fa ricordare che i divorziati risposati non sono scomunicati. E che anche ai divorziati risposati può essere data la Santa Comunione se, pentiti della rottura del vincolo matrimoniale, vivono in castità e si accostano alla S. Comunione là dove non sono sconosciuti come irregolari per non generare confusione o scandalo presso i fedeli.
Come vedi, non sono gli unici, né la loro condizione è la più pesante.

Ringrazio te per la tua cortesia, ti assicuro la mia preghiera e il ricordo nella Messa perché il Signore ti illumini con abbondanza e tu con prontezza possa seguire la sua chiamata.

Ti benedico.
Padre Angelo



Un sacerdote risponde

Finora col mio fidanzato siamo vissuti in castità, notiamo come l'unione ormai è molto salda e quindi abbiamo il desiderio di unirci

Quesito

Buongiorno Padre,
sono una studentessa romana di 20 anni.
Da due anni e tre mesi sono fidanzata con un ragazzo con il quale non ho mai avuto rapporti. In quest'ultimo periodo abbiamo/ho più difficoltà perché notiamo come l'unione ormai è molto salda e quindi abbiamo questo desiderio di unirci. Purtroppo non possiamo sposarci per la giovane età e per questioni lavorative e quindi temo, sempre se il Signore ha pensato questo per noi, che dovremmo attendere almeno altri 2/3 anni. Lei può capire che 5 anni di fidanzamento "casto" sono molto lunghi e non facili. Alcune volte io ho avuto la tentazione di cedere perché credo che arrivati a questo punto della relazione non sarebbe un peccato cosi grave e perché son convinta che Dio mi vuole felice e non triste soprattutto nei momenti in cui penso "chi me lo fa fare, lo amo e se dovessi cadere, Gesù mi perdonerà". Il mio fidanzato invece, appartenendo ad un movimento ecclesiale, è molto rigido e lo vedo sempre preoccupato per questa situazione e quindi non vivo serena pensando che lui farebbe di tutto pur di non commettere un peccato cosi grave (nella sua ottica).
Può aiutarmi a capire se sono io che sbaglio oppure se è lui troppo rigido? 
La ringrazio


Risposta del sacerdote

Carissima,
1. devi considerare una cosa in questo tuo desiderio di unirti carnalmente col tuo ragazzo.
Quel gesto, nel suo intrinseco significato, a che cosa è ordinato?
Non è ordinato semplicemente a unire le persone, perché la consolidazione dell’unione può e deve essere attuata in molte altre maniere.
Certamente è anche ordinato ad esprimere un’unione, che tra voi è molto salda.
Di fatto però è intrinsecamente ordinato a suscitare la vita. Si tratta di unirsi attraverso gli organi riproduttivi che di loro natura sono ordinati alla procreazione.
Ora procreare al di fuori del matrimonio è una grave irresponsabilità nei confronti l’uno dell’altro e soprattutto nei confronti del bambino, il quale per la sua serena crescita ha bisogno di un quadro giuridico stabile come quello del matrimonio.

2. Tu diresti: in questo caso faremmo contraccezione.
Ma la contraccezione è una falsificazione dell’interiore linguaggio di quel gesto: mentre si dice di donarsi in totalità di fatto si esclude  volontariamente di donarsi in totalità. È una bugia, come ha detto Giovanni Paolo II.

3. Desidero invece sottolineare un’espressione che hai usato e che credo perfettamente corrispondente alla realtà: “notiamo come l'unione ormai è molto salda”.
Sono convinto che la vostra unione sia molto salda proprio a motivo della castità o della purezza con cui avete cercato di amarvi.
Il rispetto vicendevole e soprattutto il dialogo e le attenzioni vicendevoli vi hanno molto uniti.
Non sono i rapporti prematrimoniali che rendono salda l’unione.
Piuttosto i rapporti prematrimoniali rendono forte l’attrazione fisica e, potrei dire, la concupiscenza.
Ma è proprio questa che rende più solida l’unione? 
La solidità dell’unione non può basarsi solo sull’esplosione dell’attrazione fisica ed erotica. Anzi, è di tutti i giorni la storia di ragazzi e di ragazze che si sono consegnati prima del tempo perché non hanno voluto comandarsi e che poi si sono lasciati.
Storia trascinata per lungo tempo nella speranza che le cose si mettessero meglio, con la paura di essere lasciati per strada con il corpo e l’anima non più intatti, ma devastati sotto molti aspetti.
Ci tengo dunque a sottolineare questa perla della vostra unione.
Potete benissimo testimoniare quanto sia vero l’insegnamento della Chiesa a proposito della purezza quando dice che  “la castità è energia spirituale che libera l’amore dall’egoismo e dall’aggressività” (pontificio consiglio per la famiglia, Sessualità umana: verità e significato, 19).
Non rovinate dunque quello che finora avete costruito.

4. Voglio aggiungere un’ultima cosa.
Aver edificato il fidanzamento sulla solida base della purezza non è sinonimo di superamento di tutte le prove. Non significa affatto che voi siete immuni dalle tentazioni.
Queste le avvertono tutti in ogni stagione della vita.
Sotto un certo aspetto sono provvidenziali perché che spingono a ravvivare la purezza e a bandire in maniera sempre più profonda e dettagliata l’egoismo e la sensualità dalla nostra vita.

5. Quando dice "chi me lo fa fare, lo amo e se dovessi cadere, Gesù mi perdonerà" bada bene che in quell’espressione si può trovare una forte dose di amore di se stessi, anzi di sensualità.
“Gesù mi perdonerà”: cerca invece di fare ciò che è gradito al Signore. L’amore per il Signore lo si mostra soprattutto così. Se no, torniamo sempre all’amore di noi stessi.
Non metterlo di nuovo in croce tanto lui ti perdonerà. È un peccato grave non solo nell’ottica del tuo ragazzo, ma nell’ottica di Dio

6. Cerca dunque di comportarti in modo da non pentirtene mai.
Se giungerai al matrimonio pura, come ti vuole il Signore, non avrai nulla da rimpiangere, nulla da pentirtene.
E sarai fiera di avere un marito sulla cui fedeltà puoi contare.
Anzi puoi contare su un marito che come finora ti ha aiutato a superare le tentazioni ed ad essere pura, così ti aiuterà anche in futuro. 
Tu sai che quelle risorse lui le ha. E sono una grande ricchezza per tutti e due.

Assicuro per te e per lui la mia preghiera e il mio ricordo nella S. Messa.
Vi benedico. 
Padre Angelo






[Modificato da Caterina63 18/01/2015 11:06]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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21/01/2015 10:16
 
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    Un sacerdote risponde

Se si debba sempre sopportare le persone moleste o se si debba anche reagire

Quesito

“Sopportare pazientemente le persone moleste” è riferito solo alla sopportazione personale, senza reagire… o anche ad altro?
(Segue un lungo elenco di casi; n.d.r.)


Risposta del sacerdote

Carissimo, 
1. la pazienza, come insegna S. Agostino, "è la disposizione che ci fa sopportare i mali con animo sereno", cioè senza i turbamenti della tristezza, "e ci impedisce di abbandonare con l'animo turbato cose che ci fanno raggiungere i beni più grandi" (De patientia, 2).

2. Ci si domanda giustamente: bisogna sempre sopportare il male?
Qui è necessario fare una distinzione tra la disposizione dell’animo e la necessità di attuare la giustizia, che come ricordava Paolo VI è la forma minima dell’amore.
A questo proposito giova ricordare quanto scriveva Pio XI nell’enciclica Divini Redemptoris (contro il comunismo ateo).
In termini molto forti il Papa disse: “La carità non sarà mai vera carità se non terrà sempre conto della giustizia... Una carità che privi l’operaio del salario a cui ha stretto diritto, non è carità, ma un vano nome e una vuota speranza di carità.
Né l’operaio ha bisogno di ricercare come elemosina ciò che a lui tocca per giustizia; né si può tentare di esimersi dai grandi doveri imposti dalla giustizia con piccoli doni di misericordia” (DR 49).
E Pio XII: “Per essere autentica e vera, la carità deve sempre tener conto della giustizia da instaurare e non accontentarsi di mascherare disordini e insufficienze d’una ingiusta condizione” (Lettera al Presidente della Settimana sociale in Francia, 1952).

3. Finché il male è presente ed è ineliminabile è necessario portarlo in maniera virtuosa e meritoria, come ha fatto nostro Signore.

4. Poiché il male è contrario alla volontà di Dio è sempre doveroso fare il possibile per eliminarlo.
Per questo san Tommaso prevedeva la possibilità di fuggire dalla prigione senza commettere alcuna colpa per chi vi fosse stato messo ingiustamente.
E per il medesimo motivo scrive: “si dice che uno è paziente non perché non fugge, ma perché sopporta con onore quanto lo affligge, senza addolorarsi eccessivamente” (Somma teologica, II-II, 136, 4, ad 2).

5. Aggiunge anche che reagire al male non è incompatibile con la pazienza: “Il fatto poi che uno aggredisce chi compie il male, quando ciò si richiede, non è incompatibile con la pazienza; poiché, come dice il Crisostomo, "è cosa lodevole essere pazienti nelle ingiurie fatte a noi: ma sopportare con troppa pazienza le ingiurie fatte a Dio è cosa empia" (In Matteo hom. 5, su 4,10)” (Ib., ad 3).

6. Domandandosi poi se uno sia sempre tenuto a sopportare gli insulti S. Tommaso scrive: “L’obbligo di sopportare le azioni ingiuste è da considerarsi quale disposizione dell’animo, come dice s. Agostino, spiegando quel precetto del Signore: ‘Se uno ti percuote su una guancia, porgigli anche l’altra’, e cioè nel senso che uno deve essere disposto a farlo, se è necessario.
Ma nessuno è tenuto a farlo sempre realmente, perché neppure il Signore lo fece; ma dopo di aver ricevuto uno schiaffo, come narra S. Giovanni, disse: ‘Perché mi percuoti?’ (Gv 18,23). Quindi anche a proposito delle parole offensive, vale lo stesso criterio. Infatti siamo tenuti ad avere l’animo preparato a sopportare gli insulti quando ciò si richiede. Ma in certi casi è necessario respingere le ingiurie, e specialmente per due motivi:
per il bene di chi insulta: cioè per reprimere l’audacia, ossia perché non si osi ripetere codesti atti. Nei Proverbi (26,5) infatti si legge: ‘Rispondi allo stolto secondo la sua stoltezza, affinché non si creda saggio ai suoi occhi’;
per il bene di altre persone, il bene delle quali viene compromesso dagli insulti fatti a noi” (Somma teologica, II-II, 72, 3).
E aggiunge: “Si è tenuti a reprimere l'audacia di chi insulta, ma con la debita moderazione: e cioè per compiere un dovere di carità, e non per la brama del prestigio personale. Di qui le parole dei Proverbi: "Non rispondere allo stolto secondo la sua stoltezza, affinché non diventi pari suo anche tu" (Pr 26,4)” (Ib., ad 1).

7. Come vedi, è sempre necessario esaminare secondo quanto richiedono le circostanze, le quali talvolta impongono di reagire e tal’altra – soprattutto quando non si può sfuggire il male oppure non è prudente o non è meritorio reagire - di fare di noi stessi sacrificio vivente, santo, gradito a Dio” (Rm 12,1).

Con l’augurio di saper sempre discernere queste situazioni, ti ricordo al Signore e ti benedico. 
Padre Angelo





Un sacerdote risponde

Se si recita il Rosario in peccato grave si acquistano le indulgenze? E se no, si possono poi ricuperare?

Quesito

Carissimo Padre Angelo,
la saluto e la ringrazio per la sua disponibilità a rispondere a tutte le domande dei fedeli.
Quest'oggi le scrivo per porle dei quesiti molto interessanti che sono sicuro saranno utili a parecchi.
1) Ho deciso di recitare il Santo Rosario quotidianamente, cinque misteri al giorno (quelli gaudiosi il lunedì, quelli del dolore il martedì....) ma mi sto chiedendo una cosa.
Se un fedele che recita il rosario dovesse perdere la grazia per una caduta in un peccato mortale, e continuasse a recitare il rosario, potrebbe ottenere le indulgenze e gli altri benefici se si confessasse entro 15 giorni dall'orazione (come accade per le indulgenze plenarie)? 

2) Se si prende la comunione senza essere in stato di grazia si compie sacrilegio o l'atto risulta vano ma non aggrava la propria posizione?

3) Fin da piccolo ho sempre avuto una passione per la storia antica e la storia medievale. Essendo affascinato dagli ordini cavallereschi medievali, ho acquistato l'anno scorso un anello templare, con la famosa croce. Lo indosso frequentemente. Non lo uso come oggetto religioso, ma come puro anello estetico. Però, so anche che l'ordine templare è stato oggetto di accuse terribili (anche se ormai è chiara la manipolazione di Filippo il Bello) e con la bolla Vox in Excelso il papa Clemente V scomunicò l'ordine, trasferì le sue ricchezze agli Ospitalieri (anche se gran parte venne trattenuta dal re di Francia stesso) e vietò ogni tentativo di riformarlo, pena la scomunica immediata perenne e irrevocabile. Ora, pur essendo il processo ai Templari avvenuto in un clima molto strano e corrotto, la bolla papale è ancora oggi riconosciuta se non sbaglio, quindi, indossare l'anello è ritenuto un tentativo di ricreare l'ordine meritevole di scomunica o semplicemente un simpatico elemento estetico per ricordare ciò che i Templari rappresentarono?
La ringrazio in anticipo per le sue risposte e le assicuro la mia umile preghiera.
F


Risposta del sacerdote

Caro F.,
1. mi compiaccio anzitutto per la tua autodeterminazione a vivere in preghiera recitando quotidianamente il santo Rosario.
È una delle grazie più belle che il Signore ti ha dato.
Riuscirai a valutarne gli effetti salutari non solo adesso ma soprattutto a distanza di anni.
Ti accorgerai che non riusciresti a fare tutto per bene senza la recita quotidiana del Santo Rosario.

2. Venendo adesso alla prima delle tue domande devo dire che le opere e le preghiere compiute prive della grazia di Dio, se meritano come dice Santa Caterina da Siena qualche bene di ordine temporale, non possono meritare nulla nell’ordine soprannaturale perché sono opere morte.
Le indulgenze operano nell’ambito soprannaturale. E ciò che viene compiuto senza essere innestati in Cristo, è secco, come ha detto Nostro Signore: “Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e secca; poi lo raccolgono, lo gettano nel fuoco e lo bruciano” (Gv 15,6). 
Allora la confessione fatta in seguito fa ricuperare la grazia che si era persa, con i meriti che precedentemente si erano acquisiti, ma non può far rivivere ciò che è morto, è secco ed è destinato ad essere bruciato.

3. Il paragone con la confessione fatta qualche giorno dopo l’opera compiuta per prendere l’indulgenza plenaria ci aiuta a capire il meccanismo che si deve seguire.
Finché c’è l’affetto o l’attaccamento al peccato non si acquista nessuna indulgenza plenaria, neanche se ci si confessa prima.
L’opera prescritta per l’acquisto dell’indulgenza plenaria deve essere accompagnata dal dolore perfetto dei peccati, con la risoluzione più decisa di evitarli per il futuro.
Ebbene, questo dolore perfetto non si può esprimerlo se non perché già raggiunti dalla grazia. Anzi, questo dolore lo si concepisce proprio perché la grazia santificante ci ha prevenuto e sollecitato al pentimento più sincero. 
E proprio perché si riacquista la grazia prima della confessione, ma col proposto della confessione, allora le opere compiute non sono più opere morte, ma compiute in Cristo, sono opere vive che meritano per la vita eterna.

4. Pertanto se uno fosse caduto nel peccato grave, prima di recitare il santo Rosario è opportuno che esprima un atto di pentimento e di dolore dei propri peccati, col proposito della confessione.
Allora non riacquisterà l’indulgenza dopo la confessione, ma l’acquista già ora perché c’è il pentimento vivo accompagnato dalla grazia e l’impegno a confessarsi al più presto.

5. Passo ora alla seconda domanda: se si fa la Santa Comunione senza essere in stato di grazia si compie sacrilegio, perché non si è congiunti a Cristo per mezzo della grazia santificante.
In tal caso non solo non si riceve il frutto della venuta del Signore nel nostro cuore, ma si attua un’offesa nei suoi confronti perché gli viene impedita l’opera di santificazione e di comunicazione di grazia che attua attraverso il Sacramento.
Per questo si parla di sacrilegio.

6. San Paolo non usa la parola sacrilegio. Ma dice l’equivalente quando afferma: “Perciò chiunque mangia il pane o beve al calice del Signore in modo indegno, sarà colpevole verso il corpo e il sangue del Signore” (1 Cor 11,27).
Gli esegeti (interpreti) dicono che quest’espressione è equivalente a quella di lesa maestà, per la quale era prevista la pena di morte.
Per questo San Paolo subito dopo scrive: “Ciascuno, dunque, esamini se stesso e poi mangi del pane e beva dal calice; perché chi mangia e beve senza riconoscere il corpo del Signore, mangia e beve la propria condanna” (1 Cor 11, 28-29).

7. San Giovanni Paolo II ricorda che “L’integrità dei vincoli invisibili (e cioè lo stato di grazia, n.d.r.) è un preciso dovere morale del cristiano che vuole partecipare pienamente all’Eucaristia comunicando al corpo e al sangue di Cristo. A questo dovere lo richiama lo stesso Apostolo con l’ammonizione: «Ciascuno, pertanto, esamini se stesso e poi mangi di questo pane e beva di questo calice» (1 Cor 11,28). San Giovanni Crisostomo, con la forza della sua eloquenza, esortava i fedeli: «Anch’io alzo la voce, supplico, prego e scongiuro di non accostarci a questa sacra Mensa con una coscienza macchiata e corrotta. Un tale accostamento, infatti, non potrà mai chiamarsi comunione, anche se tocchiamo mille volte il corpo del Signore, ma condanna, tormento e aumento di castighi» (Ecclesia de Eucharistia 36).

8. Circa l’anello dei templari: portalo pure, tanto più che in te non c’è alcuna velleità di ricostituire questo Ordine, che secondo gli storici della Chiesa  Bihlmeyer e Tuechle fu trattato malamente.

Ti ringrazio vivamente per la preghiera che mi assicuri e sono contento di ricambiarla.
Ti benedico.
Padre Angelo








[Modificato da Caterina63 03/02/2015 18:06]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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Carissima Caterina, il periodo difficile per la mia famiglia cui accennavo  non è purtroppo ancora terminato. Io provo ad accogliere la tribolazione nello spirito della Quaresima abbracciando, fin dove possibile nei limiti della mia assai povera umanità, la Croce che Cristo mi manda. […] Mi rivolgo a te per la grande fede che hai sempre manifestato in questi anni e ti chiedo la cortesia di un ricordo nella preghiera; a mia volta pregherò il Signore perchè ti renda cento volte tanto. Sono deluso dalle tante delusioni e mi confesso anche un tantino  disperato. […] Non rispondermi di chiedere aiuto alla parrocchia perchè il mio problema è spirituale e non materiale e, nel primo caso neppure il prete è stato in grado di aiutarmi perchè non c'è mai […] e non so neppure se questo mio stato di cose sia un peccato mortale. La mia grande paura ora è anche quella che Dio non esista, non scandalizzarti. Forse c'è ancora speranza altrimenti perchè scriverti? Non vedo più un senso alla mia vita, per un attimo ho sperato che con questo papa certi sentimenti sarebbero cambiati, ma inutile, ed è certo che il problema alberga in me non dico certo nel papa. […] Ho davvero tanto bisogno di sentire che non sono solo nel terribile combattimento spirituale che sto affrontando. Se vuoi aiutarmi, e non saprei come, ti leggerò comunque sempre e volentieri.

(e-mail firmata ma con richiesta dell'anonimato dall'autore che mi ha dato il permesso di usarla per la posta della Catechista)

 

*****

Carissimo Angelo (nome di fantasia ma di grandi auspici),

alla tua e-mail ho tratto l'essenziale per pubblicarla in modo da dare aiuto a quanti, leggendo, dovessero riscontrarsi in alcuni tuoi stessi problemi e, soprattutto, per spingere altri cuori a farsi intercessori davanti al Trono di Dio, perciò ti sono grata del permesso che mi hai dato di usarla per una catechesi e di questa grande opportunità.

Vuoi un aiuto e giustamente mi anticipi "non saprei come" potrei aiutarti perché, come tu stesso riconosci, qui il problema è tutto tuo, è interno a te, è probabilmente quella "notte dell'anima" che tutti i battezzati, prima o poi, devono passare. Per i non battezzati potrebbe trattarsi di ritrovarsi in un bivio, a dover fare una scelta coraggiosa, ma per noi battezzati è l'avanzare proprio del dubbio e delle tentazioni che ci fanno piegare le ginocchia e, il silenzio di Dio, ci porta a quella "notte oscura dell'anima" dove in verità non siamo abbandonati ma messi alla prova per essere purificati.

Non mi scandalizzano le tue domande e i tuoi dubbi, basta leggere le vite dei Santi per capire come in ogni loro scritto ci sono migliaia di domande. Certo, loro non soffrivano perchè dubitavano dell'esistenza di Dio, ma ci dimostrano che il fatto di credere ciecamente in Dio non ci toglie il dramma del dubbio sulla nostra fede, del sospetto a chi davvero crediamo, della tentazione a diversi livelli....

Un consiglio che mi sento di darti a freddo è di leggerti le Lettere di San Padre Pio e il Diario della Beata Madre Teresa di Calcutta, perchè sono a noi contemporanei, e scoprirai di non essere solo nel tormento dell'anima.

Siamo appunto in Quaresima, prendi un Crocefisso, di quelli tosti, di quelli che "sanguinano", non di quelli artisticamente moderni dove il Crocefisso è stilizzato e devi inventarti dove trovare le ferite... poi fissalo, almeno un'ora al giorno passa del tempo con Lui con fare amichevole, con adorazione, piangi se ne senti il languore, parlaGli se ne senti la necessità, ringraziaLo semplicemente per aver dato la Sua vita per te!

Passa più tempo davanti al Tabernacolo - visto che nella e-mail mi dici che non vai in Chiesa da "molto tempo" - perchè vedi, questo abbandonare la Visita al Santissimo ti ha portato ancora più lontano da Lui. Non è Lui ad essersi allontanato da te, sei tu che pian piano te ne sei andato, Lui è sempre lì che ti aspetta. Non puoi sopportare la battaglia o accollarti le tribolazioni da solo, senza di Lui, se non vai più a farGli visita, comprendi? E' ovvio che ti sembra di crollare: sei senza Supporto!

Ti rivolgi a me per la "grande fede" che ti ho dimostrato, ma pensi che forse per me sia stato più facile? Pensi davvero che anche io non abbia superato dure prove? O che oggi vada tutto liscio?  Diceva Santa Caterina da Siena che chi non ha battaglia non ha vittoria... ed è l'insegnamento di Paolo, ricordi?

"Anche nelle gare atletiche, non riceve la corona se non chi ha lottato secondo le regole. L'agricoltore poi che si affatica, dev'essere il primo a cogliere i frutti della terra. Cerca di comprendere ciò che voglio dire; il Signore certamente ti darà intelligenza per ogni cosa" (2Tim.2,5-7). Noi siamo "atleti" ogni giorno per tutta la vita, e non soltanto in certi momenti, ma sempre finchè saremo su questa terra che infatti non è il regno promesso, per questo si legge nelle Scritture che siamo di passaggio, ma non certo per una vacanza.

Cosa posso consigliarti più di quanto non ci sia stato già consigliato saggiamente dai Santi di Dio e nella Scrittura? Lo scoraggiamento, la depressione sono frutti del demonio, è lui il tentatore che fa bene il suo compito mentre noi capitoliamo quando, ahimè, non facciamo bene il nostro compito. Permettimi di dirti che piangersi addosso non serve a nulla e non risolve i problemi.

Anche il dare una certa responsabilità all'assenza del parroco può starci, ma fino ad un certo punto, fai pace con lui! E cerca l'aiuto di un sacerdote, non puoi farne a meno, prega e cerca, cerca e prega, vedrai che il Signore ti aiuterà a trovarlo e magari sarà proprio il tuo parroco. Se Cristo abita in noi, rammenta San Paolo, qualsiasi tempesta non potrà mai scalfirci. Certo ci sbatacchia un pò qua e un poco là, può scagliarci addosso fulmini e saette, grandine e pioggia, ma alla fine terminerà e vedremo il sole... Tu stesso dici, infatti, che "il periodo difficile non è ancora terminato" ecco, vedi? Non sei stato abbandonato, sei ancora nel tempo della prova, magari sei agli sgoccioli, non mollare proprio ora!

Sei come l'atleta, dice san Paolo, devi stare alle regole del gioco, non puoi abbandonare proprio quando ti manca poco per guadagnarti la vittoria! Ricordati che tutte le prove che Dio ci da non sono mai superiori a ciò che possiamo sopportare, Dio ci conosce bene! Ma il calice amaro va bevuto fino in fondo.

Se tu ti senti deluso dalle tante delusioni, pensa a quale delusione esporrai i Cuori di Gesù e Maria se tu mollassi proprio ora! A cosa sarebbe servita quella morte di Croce se tu la rigettassi, pensa a quale delusione esporresti il divino Crocefisso, l'Amore puro! Devi resistere!

Non dimenticare Gesù nel Getzemani e il suo grido dalla Croce: "Dio mio, perchè mi hai abbandonato?" Non penserai che Gesù dubitasse dell'esistenza di Dio, vero? E' il combattimento che, come umani, dobbiamo vivere fino all'ultimo a casua della nostra condizione di peccatori, quel peccato che Gesù si caricò sulle spalle, inchiodandolo alla croce.

Pensa al fatto che ciò che tu stai provando è la prova che Dio esiste! Non guardare solo il bicchiere mezzo vuoto, cerca di vederlo "mezzo pieno".

Quanto stai provando non è un peccato, ne è un peccato mortale, ma stai attento a non mollare la buona battaglia perchè se tu disgraziatamente la dovessi mollare, allora sì che entreresti nel peccato, persino mortale, quello contro lo Spirito Santo che è quello di chi dispera della salvezza, dispera dell'aiuto di Dio, questo è un gravissimo peccato mortale. Fino a che muoverai battaglia, Dio sarà sempre con te in fondo al tuo cuore.

Voglio raccontarti questo fatto.

Santa Caterina da Siena era in preda ad una delle più dure battaglie nel suo animo e soffriva e si lamentava, a tratti sembrava persino cedere, ma continuava la battaglia finchè finalmente la vince e ritiene un dovere andarsi a lamentare con Gesù: "Gesù mio, mi avevate promesso di essermi stato accanto nella lotta e che mi avreste sostenuta, ma dove eravate mentre combattevo?"  *  "Figlia mia - le disse amorevolmente Gesù - io ero in fondo al tuo cuore! Se non fossi stato lì tu non avresti mai potuto vincere questa battaglia da sola..."

Ecco, caro Angelo, spesse volte, quando la battaglia si fa dura, Gesù non se ne va, ma si ritira in fondo al nostro cuore, se Gli avremo fatto spazio, e da lì ci aiuta nella lotta, siamo noi che dobbiamo credere e confidare in questa Presenza. Così non per nulla i Santi consigliano di iniziare i Rosari prima che inizi la dura battaglia e non dopo quando il danno è fatto, in tal modo saremo messi sotto la protezione di Maria prima, e nel combattere la nostra battaglia Lei sarà con noi anche se ci sembrerà di essere stati abbandonati. E' la polvere delle battaglie a renderci oscura la Loro presenza, ma Loro ci sono! E' il demonio che porta le tenebre, non cascarci, e se cadi rialzati!

Per concludere voglio suggerirti la lettura di un libro stupendo: Le Glorie di Maria di Sant'Alfonso Maria de Liguori - vedi e scarica qui. Non è soltanto una lettura edificante, ma è un vero manuale per le nostre battaglie spirituali! E non dimenticare mai il Rosario, portalo sempre con te e maggiore si fa la lotta, più ti invito ad usarlo, pregarlo, tenerlo sempre fra le mani. E mi raccomando, attendo "aggiornamenti" alla tua situazione nel mentre saprai che da adesso saremo in tanti a pregare per te ma anche con te.

Ed un ultimo consiglio che ti do con tutto il cuore: occupa la tua mente  e il tuo cuore pregando per i tanti fratelli e sorelle perseguitati nel mondo e che stanno morendo, letteralmente, per rimanere fedeli a Cristo. Unisciti al loro martirio e presto vedrai i frutti di questa "Comunione dei santi" che pronunciamo - forse troppo distrattamente - nel Credo. Non sei solo in questi combattimenti, siamo in migliaia di migliaia, lo dice il Libro dell'Apocalisse, non è una falsità.

Avanti tutta, come ha ricordato il Papa all'Angelus di domenica 22 febbraio:

"La Chiesa ci fa ricordare tale mistero all’inizio della Quaresima, perché esso ci dà la prospettiva e il senso di questo tempo, che è un tempo di combattimento -nella Quaresima si deve combattere - un tempo di combattimento spirituale contro lo spirito del male. E mentre attraversiamo il “deserto” quaresimale, noi teniamo lo sguardo rivolto alla Pasqua, che è la vittoria definitiva di Gesù contro il Maligno, contro il peccato e contro la morte. Ecco allora il significato di questa prima domenica di Quaresima: rimetterci decisamente sulla strada di Gesù, la strada che conduce alla vita. Guardare Gesù, cosa ha fatto Gesù, e andare con Lui.

E questa strada di Gesù passa attraverso il deserto. Il deserto è il luogo dove si può ascoltare la voce di Dio e la voce del tentatore. Nel rumore, nella confusione questo non si può fare; si sentono solo le voci superficiali. Invece nel deserto possiamo scendere in profondità, dove si gioca veramente il nostro destino, la vita o la morte. E come sentiamo la voce di Dio? La sentiamo nella sua Parola. Per questo è importante conoscere le Scritture, perché altrimenti non sappiamo rispondere alle insidie del maligno..."

Un abbraccio nei Cuori di Gesù e Maria

Sia lodato Gesù Cristo

La pagina verrà aggiornata, cliccare qui per l'indice agli argomenti; e qui per l'indice alla sezione del Catechismo.





Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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11/03/2015 00:57
 
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La fede è conoscere la verità e aderirvi (cfr 1 Tm 2,4); 
la carità è «camminare» nella verità (cfr Ef 4,15). 
Con la fede si entra nell'amicizia con il Signore; 
con la carità si vive e si coltiva questa amicizia (cfr Gv 15,14s). 
La fede ci fa accogliere il comandamento del Signore e Maestro; 
la carità ci dona la beatitudine di metterlo in pratica (cfr Gv 13,13-17). 
Nella fede siamo generati come figli di Dio (cfr Gv 1,12s); 
la carità ci fa perseverare concretamente nella figliolanza divina 
portando il frutto dello Spirito Santo (cfr Gal 5,22).
La fede ci fa riconoscere i doni che il Dio buono e generoso ci affida; 
la carità li fa fruttificare (cfr Mt25,14-30). 




 






Un sacerdote risponde

Il nostro parroco ha detto che la distinzione tra peccati mortali e veniali è stata spazzata via dal Concilio

Quesito

Caro Padre Angelo, 
sono la mamma di un bambino che si sta preparando alla prima confessione. Durante un incontro con noi genitori il Parroco ha riferito quella che secondo me è una cosa non vera, e cioè che non c'è più la distinzione tra peccati veniali e mortali perché Dio non "ragiona" utilizzando  parametri e che questa distinzione è stata spazzata via con il Concilio. Inoltre, ha detto che Dio perdona sempre, anche in altri modi, come durante l'atto penitenziale tutti i peccati. A me è andato il "sangue alla testa", ma sono stata in silenzio per rispetto al sacerdote e perché non volevo mortificarlo. Ma mio marito, che è più coraggioso, gli è andato a parlare a quattrocchi mettendolo in difficoltà e portando il riferimento certo del Catechismo della Chiesa Cattolica. Ora, io mi chiedo: è giusto, secondo lei riferire ciò al Vescovo? Mio marito vorrebbe scrivere una lettera. Oltretutto questo sacerdote dovrebbe a causa dell'età presto essere sostituito. Le chiedo una preghiera speciale affinché il Signore ci faccia la grazia di mandarne uno più preparato in Parrocchia.

Le devo fare ancora una domanda: non ho saputo rispondere a una persona che mi diceva "ma che bisogno c'è di recarsi in tanti luoghi (Santuari, opere di alcuni Santi tipo Collevalenza ecc.) per ottenere la grazie. Se il Signore vuole farmi il miracolo lo può fare anche adesso, qui." Sono rimasta spiazzata.

La saluto e la ringrazio in anticipo!
T.


Risposta del sacerdote

Carissima,
1. le affermazioni che avrebbe fatto il vostro parroco sono enormi.
Penso che un bambino della prima Comunione saprebbe opporgli resistenza: una bugia detta alla mamma è la stessa cosa che ammazzare una persona o sterminare un’intera famiglia?
Un piccolo furto sarebbe la stessa cosa che buttare una bomba per distruggere persone e cose?
Non riesco a capire come ci si possa ridurre a pensare così.
Ma non riesco a capacitarmi soprattutto di un’altra cosa: come possa un sacerdote ridotto in queste condizioni mentali a insegnare ai fedeli le vie della salvezza.

2. Tra le prime nozioni morali che un sacerdote deve insegnare ai fedeli vi deve essere ciò che conduce alla salvezza, ciò che porta alla perdizione, ciò che ha bisogno di essere purificato.
I genitori stessi, che sono i primi maestri per i loro figli, insegnano loro a distinguere il bene dal male, a valutare le aziono buone o cattive per quello che sono.

3. Ma vediamo che cosa dicono in proposito la Sacra Scrittura e il Magistero della Chiesa.
Giovanni Paolo II, nell’esortazione postsinodale “Reconciliatio et paenitentia”, pubblicata in seguito al sinodo sulla confessione nel 1984 dice:
“Già nell’Antico Testamento, per non pochi peccati - quelli commessi con deliberazione (Num 15,30), le varie forme di impudicizia (Lv 18,26-30), di idolatria (Lv 19,4), di culto di falsi dei (Lv 20,1-7) - si dichiarava che il reo doveva essere eliminato dal suo popolo, ciò che poteva anche significare condannato a morte (Es 21,17). Ad essi si contrapponevano altri peccati, soprattutto quelli commessi per ignoranza, che venivano perdonati mediante un sacrificio (Lv 4,2 ss; 5,1 ss; Num 15,22-29).
Anche in riferimento a quei testi la Chiesa, da secoli, costantemente parla di peccato mortale e di peccato veniale
Ma questa distinzione e questi termini ricevono luce soprattutto dal Nuovo Testamento, nel quale si trovano molti testi che enumerano e riprovano con forti espressioni i peccati particolarmente meritevoli di condanna (Mt 5,28; 6,23; 12,31 ss; 15,19; Mc 3,28-30; Rm 1, 29-31; 13,13; Gc 4), oltre alla conferma del decalogo fatta da Gesù stesso (Mt 5,17; 15,1-10; Mc 10,19; Lc 18,20)” (RP 17).

4. Nella prima lettera di san Giovanni troviamo un testo importante che distingue esplicitamente tra peccati che conducono alla morte e peccato che non conducono alla morte.
Ecco le sue testuali parole: “Se uno vede il propriofratello commettere un peccato che non conduce allamorte, preghi e Diogli darà la vita: s’intende a coloro che commettono un peccato che non conduce alla morte, c’è infatti un peccato che conduce alla morte; per questo dico di non pregare. Ogni iniquità è peccato, ma c’è il peccato che non conduce alla morte” (1 Gv 5,16-17).
Senza addentraci sui motivi per cui in un caso esorta a pregare e nell’altro no, tuttavia la distinzione è esplicita e inequivocabile.
La Bibbia di Gerusalemme, in nota al passo citato, cerca di individuare i peccati che conducono alla morte: “I destinatari della lettera erano forse persone informate su questo peccato di una gravità eccezionale. Può essere il peccato contro lo Spirito Santo, contro la verità (Mt 12,31) o l’apostasia degli anticristi (1 Gv 2,16-19; Eb 4,6-8)”.

5. Anche S. Giacomo allude a peccati mortali quando scrive “il peccato, quand’è consumato, produce la morte” (Gc 1,15).
S. Giovanni offre inoltre un elenco di peccati mortali: “Per i vili e gli increduli, gli abietti e gli omicidi, gli immorali, i fattucchieri, gli idolatri e per tutti i mentitori è riservato lo stagno di fuoco e di zolfo: questa è la seconda morte” (Ap 21,8).
S. Paolo parla di peccati che escludono dal Regno di Dio e che pertanto sono mortali. E ne offre alcuni elenchi: “O non sapete che gli ingiusti non erediteranno il Regno di Dio? Non illudetevi: né immorali, né idolatri, né adulteri, né effeminati, né sodomiti, né ladri, né avari, né ubriaconi, né maldicenti, né rapaci erediteranno il suo Regno” (1 Cor 6,9-10). “Del resto le opere della carne sono ben note: fornicazione, impurità, libertinaggio, idolatrie, stregoneria, inimicizie, discordie, gelosie, dissensi, divisioni, fazioni, invidie, ubriachezze, orge e cose del genere; circa queste cose vi preavviso, come ho già detto, che chi le compie non erediterà il Regno di Dio” (Gal 5,19-21).

6. La Sacra Scrittura riferisce esplicitamente anche di peccati che non impediscono o non fanno perdere la vita di grazia. Si tratta dei peccati veniali che tutti quotidianamente commettono: “Il giusto pecca sette volte al giorno” (Pr 24,16), “tutti quanti manchiamo in molte cose” (Gc 3,2), “se diciamo di essere senza peccato, inganniamo noi stessi e la verità non è in noi” (1 Gv 1,8).
Un riferimento ai peccati veniali si può trovare nei rimproveri del Signore ai farisei di filtrare il moscerino e di lasciar passare il cammello (Mt 23,24).

7. Insieme con la Sacra Scrittura anche il Magistero della Chiesa parla esplicitamente di maggiore o minore gravità, di peccati mortali e peccati non mortali.
IlConcilio di Trento fa riferimento all’esistenza di peccati veniali quando afferma: “Infatti in questa vita mortale, anche se santi e giusti, qualche volta i cristiani cadono almeno in peccati leggeri e quotidiani, che si dicono anche veniali, senza per questo cessare di essere giusti (DS 1537), e: “Se qualcuno afferma che si può per tutta la sua vita evitare ogni peccato, anche veniale, senza uno speciale privilegio di Dio, come la Chiesa ritiene della beata Vergine: sia anatema” (DS 1573).
Il Magistero della Chiesa riconosce l’esistenza dei peccati veniali distinti dai mortali quando a proposito della materia della confessione dice che solo i peccati mortali o gravi sono materia necessaria (DS 1680) e quando consiglia la confessione delle colpe veniali.
In Reconciliatio et Paenitentia Giovanni Paolo II scrive: “Alla luce di questi ed altri testi della sacra Scrittura, i dottori e i teologi, i maestri spirituali e i pastori hanno distinto i peccati in mortali e veniali” (RP 17). 
Potresti chiedere al tuo parroco di dirti in quale documento il Concilio avrebbe spazzato via questa distinzione.
Evidentemente ti risponderà con un’altra invenzione!

8. L’atto penitenziale della Messa serve a rimettere i peccati veniali e a domandar perdono dei mortali, ma senza conferire la possibilità di fare la Santa Comunione.
Se fosse sufficiente l’atto penitenziale della Messa per quale motivo allora Gesù Cristo avrebbe istituito il sacramento della Penitenza?
O forse non lo ha istituito?
Eppure le parole pronunciate dal Signore la sera del giorno della sua risurrezione sono così chiare: “A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati” (Gv 20,23)!
Qui il Signore non lega il suo perdono all’atto penitenziale prima della Messa, ma ad un giudizio emesso dagli apostoli.
Lo lega al punto che se non perdona la Chiesa, non perdona neanche Lui.
Allora l’affermazione del vostro parroco: “Dio perdona sempre” è vera se uno è pentito e fa quello che deve fare per essere riconciliato con Lui. 
Ma se uno non è pentito e non fa quello che deve fare per essere riconciliato (e cioè se non accede al sacramento del perdono da Lui istituito), non è perdonato neanche da Dio. L’ha detto Lui.

9. Circa l’ultima domanda che mi hai fatto: "ma che bisogno c'è di recarsi in tanti luoghi (Santuari, opere di alcuni Santi tipo Collevalenza ecc.) per ottenere la grazie”.
Ebbene, di per sé non c’è bisogno di recarsi qua o là per domandare grazie.
Ma è fuori di dubbio che quando si vuole una grazia uno sente l’esigenza di rinforzare la propria preghiera.
Ora la preghiera viene rinforzata dal digiuno, dalle penitenze, dai voti, dai buoni propositi e anche da un pellegrinaggio.
Il pellegrinaggio ha sempre qualche cosa di speciale: vi si dedicano ore, qualche disagio, talvolta il camminare stesso...
Inoltre per il messaggio legato a quel particolare Santuario si viene meglio disposti alla conversione e molto spesso ci si confessa.
Insomma, nel pellegrinaggio si compiono tanti atti di devozione e tante pratiche che diversamente non si compirebbero.

10. Mi piace ricordare che già nell’Antico Testamento la madre di Samuele, Anna, andò a peregrinare al santuario di Silo per domandare la grazia di un figlio.
L’aveva chiesta tante volte anche stando a casa sua.
Ma qui pregò più intensamente dando sfogo alle sue lacrime. Qui incontrò il sacerdote Eli, che le disse una parola piena di fiducia da parte di Dio. Qui fece il suo voto e qui poi tornerà a suo tempo per adempierlo.

Assicuro al mia preghiera per la tua famiglia e per la vostra parrocchia. 
Vi benedico.
Padre Angelo





 Reggente Penitenzieria: preti stiano più nel confessionale



Papa Francesco si confessa in San Pietro - AFP


09/03/2015 

Presso il Palazzo della Cancelleria, a Roma, si svolge dal 9 al 13 marzo il 26.mo Corso sul foro interno della Penitenzieria Apostolica. Il 12 marzo, alle ore 12.00 è prevista l’udienza con il Papa. Tra i temi in esame, la corretta amministrazione del Sacramento della Penitenza, i suoi aspetti canonici, morali e liturgico-pastorali, ma anche i doveri e diritti dei penitenti, etica e genetica. A questo proposito, Fabio Colagrande ha intervistato mons. Krzysztof  Nykiel, reggente della Penitenzieria Apostolica:


R. - Da più di un quarto di secolo durante il periodo quaresimale, che è propriamente il tempo liturgico della riconciliazione e della conversione, la Penitenzieria Apostolica organizza questo Corso perché siamo profondamente convinti che la valorizzazione del ministero penitenziale, soprattutto della confessione, dipende in gran misura anche dai sacerdoti e dalla loro consapevolezza di essere depositari di un ministero prezioso e insostituibile. Il nostro Dicastero, accogliendo i continui inviti che ci vengono da Papa Francesco ad essere misericordiosi e a non avere paura di confidare  nella divina misericordia, intende sottolineare l’importanza che ha per la vita di ogni cristiano il Sacramento della Riconciliazione che, come insegna il Catechismo della Chiesa Cattolica, “offre una nuova possibilità di convertirsi e di recuperare la grazia della giustificazione. I Padri della Chiesa presentano questo sacramento come “la seconda tavola [di salvezza] dopo il naufragio della grazia perduta”(cfr. CCC., n. 1446). In questa prospettiva, costituisce senz’altro una delle priorità pastorali, specialmente per i presbiteri in cura d’anime, quella di trascorrere sempre più tempo nel confessionale perché, mediante l’amministrazione di questo sacramento, si hanno tante opportunità per formare rettamente la coscienza dei credenti aiutandoli ad accogliere Cristo nei loro cuori e ad aprirsi alla Sua Presenza sempre capace di trasformare, convertire e fare nuove tutte le cose. 
Ogni attività pastorale deve saper orientare al confessionale, nel quale, prima e meglio di ogni azione umana, agisce la potenza della grazia che, liberandoci da ogni male, ci restituisce sempre di nuovo la dignità di figli di Dio e membri della Chiesa. 
Pertanto, destinatari del Corso sono i novelli sacerdoti, i diaconi e i candidati al sacerdozio che frequentano l’ultimo anno del curriculum formativo degli studi in vista del presbiterato.
Oggetto particolare del corso sono temi di teologia morale e di diritto canonico, aspetti pastorali e liturgici, condizioni e situazioni particolari di penitenti … Alcune conferenze, altresì, saranno dedicate alle informazioni necessarie per redigere e inviare le domande o i ricorsi da sottoporre alla Penitenzieria Apostolica circa le materie esclusivamente a essa riservate o che utilmente possono essere a essa inoltrate. Ogni giorno i partecipanti possono pur sempre presentare domande di approfondimento ai diversi relatori che si avvicenderanno durante i giorni del Corso.

D. - Lei ha poc’anzi che “ogni attività pastorale deve orientare al confessionale” … ma oggi in diversi paesi soprattutto della nostra Europa cristiana molti fedeli disertano il confessionale. Ci può spiegare quale, secondo Lei, il motivo?

R. - E’ vero. In molti paesi europei pochi sono i fedeli che si accostano con frequenza al sacramento della confessione. Il motivo, secondo me, è da ricercarsi nella diffusione - soprattutto tra i giovani - della perdita del senso del peccato. La causa principale di tale perdita è da individuare fondamentalmente nell’estromissione di Dio dall’orizzonte culturale moderno. Molte persone non mettono più Dio al centro della loro vita. 
Non gli riconoscono il primato che gli spetta. Le diverse correnti del pensiero moderno (relativismo, ateismo, idealismo, materialismo), proclamando l’assolutizzazione della ragione umana, hanno portato ad una cancellazione di ogni responsabilità morale ed etica. Tutto è lecito. Tutto è permesso. La “mia personale opinione” è la sola verità. 
Siamo come avvolti da un atmosfera amorale, non esistendo più la frontiera tra vizio e virtù, tra ciò che è buono e ciò che non lo è, tra bene e male. A tal proposito, vorrei ricordare ciò che il Papa emerito Benedetto XVI ha affermato durante la recita dell’Angelus del 13 marzo 2011: “se si elimina Dio dall’orizzonte del mondo, non si può parlare di peccato. Come quando si nasconde il sole, spariscono le ombre; l’ombra appare solo se c’è il sole; così l’eclissi di Dio comporta necessariamente l’eclissi del peccato. Perciò il senso del peccato – che è cosa diversa dal “senso di colpa” come lo intende la psicologia – si acquista riscoprendo il senso di Dio” (cfr. Benedetto XVI, Angelus del 13 marzo 2011). 
Davvero allora possiamo affermare che la colpa più grave di oggi è quella di non sentirsi peccatori e, quindi, non sentire il bisogno di ritornare a Dio, di convertirsi a Lui, di sperimentare la bellezza del Suo perdono. E’ questa difficoltà dell’uomo moderno a riconoscere il peccato e il perdono che spiega, alla radice, anche le difficoltà della pratica cristiana della confessione o riconciliazione. La Chiesa, allora, oggi più che mai è chiamata a rilanciare la remissione dei peccati e l’annuncio della Divina Misericordia, sempre più grande di ogni peccato, come parte fondamentale della sua azione pastorale e missionaria. Questa riscoperta non può non avvenire  attraverso il sacramento della Penitenza che più di ogni altro sacramento rivela la grandezza, la sublimità e la bellezza dell’amore misericordioso di Dio che è un amore, come ha scritto San Giovanni Paolo II nell’Enciclica Dives in misericordia, “più potente della morte, più potente del peccato e di ogni male, che solleva l'uomo dalle abissali cadute e lo libera dalle più grandi minacce” (n. 13).

D. - Ma in che modo il Corso sul Foro interno, che è indirizzato soltanto ai sacerdoti, può aiutare tutti anche e soprattutto i christifideles laici nella riscoperta e valorizzazione del sacramento della penitenza?

R. - Grazie per questa domanda che mi consente di precisare un obiettivo molto importante che ogni anno la Penitenzieria si prefigge di raggiungere mediante il Corso che è, appunto, quello di formare sacerdoti che siano sempre più apostoli e missionari della misericordia di Dio. Il nostro Corso ha come fine spirituale e pastorale quello di suscitare nei sacerdoti la consapevolezza di quanto il sacramento della confessione sia indispensabile per il cammino di santificazione personale e per quello dei fedeli laici che sono affidati alle loro cure pastorali. 
Se un sacerdote ha coscienza della sublimità del sacramento della penitenza, se egli stesso sa riconoscersi peccatore e bisogno continuamente della misericordia di Dio, allora Egli saprà trasmettere questa medesima convinzione a tutti coloro che il Signore ha affidato al suo cuore di pastore e di guida delle anime. La valorizzazione del ministero penitenziale, soprattutto della confessione, dipende molto dai sacerdoti e dalla loro consapevolezza di essere depositari di un ministero prezioso e insostituibile. I sacerdoti sono principalmente gli strumenti della Divina Misericordia. E’ Dio stesso, infatti, che perdona la colpa quando il confessore assolve il fedele che con animo sinceramente contrito si accosta al confessionale. Ogni confessore, dunque, è “educatore di misericordia” perché deve essere capace di aiutare i penitenti a fare una concreta esperienza della Misericordia di Dio. Il Corso sul Foro intende aiutare i sacerdoti ad essere “buoni educatori” di misericordia, degli ottimi pedagoghi che conducono a Cristo! Educare alla misericordia è uno degli aspetti più significativi della vita cristiana che si inserisce nell’orizzonte più ampio, non solo della pastorale della Chiesa, ma delle sfide che caratterizzano il nostro tempo.

D. - Eccellenza, ci pare di capire dalle Sue risposte che il confessionale è un “passaggio obbligatorio” nel cammino di santificazione personale ed ecclesiale … Ci spieghi meglio il perché …

R. - Certamente.  Come sappiamo, l’uomo può scegliere di commettere il male, ma da solo non se ne può liberare. Solo Dio ha il potere di eliminare il peccato del mondo. Solo Lui ci può redimere e salvare. E Dio esercita questo “Suo potere di perdono e di misericordia” attraverso il Sacramento della Penitenza  che “Cristo ha istituito” – come ricorda sempre il già citato Catechismo della Chiesa Cattolica -  «per tutti i membri peccatori della sua Chiesa, in primo luogo per coloro che, dopo il Battesimo, sono caduti in peccato grave e hanno così perduto la grazia battesimale e inflitto una ferita alla comunione ecclesiale (cfr. CCC., n. 1446). 
Per i cristiani battezzati l’unico modo per ricevere l’assoluzione dei peccati ed avere così la certezza che Dio ci ha veramente perdonato passa attraverso il Sacramento della Riconciliazione. Infatti, coloro che “si accostano al sacramento della penitenza, ricevono dalla misericordia di Dio il perdono delle offese fatte a lui; allo stesso tempo si riconciliano con la Chiesa, alla quale hanno inflitto una ferita col peccato e che coopera alla loro conversione con la carità, l'esempio e la preghiera” (cfr. Lumen Gentium, n. 11). Come ha ribadito Papa Francesco durante l’udienza generale del 19 febbraio 2014, tutta incentrata sul sacramento della riconciliazione, “Io non posso dire: mi perdono i peccati. Il perdono si chiede, si chiede a un altro e nella Confessione chiediamo il perdono a Gesù. 
Il perdono non è frutto dei nostri sforzi, ma è un regalo, è un dono dello Spirito Santo, che ci ricolma del lavacro di misericordia e di grazia che sgorga incessantemente dal cuore spalancato del Cristo crocifisso e risorto” (cfr. Papa Francesco, Udienza generale del 19 febbraio 2014). Ecco spiegato in questo passaggio del discorso del Papa la vera motivazione per cui senza sacramento della confessione non ci può essere vera conversione e santificazione. Anzi aggiungo di più: senza sacramento della confessione non ci può essere vera carità. Solo chi ha sperimentato la misericordia di Dio può provare compassione e carità nei confronti del prossimo.

D. - Eccellenza, il Corso si conclude anche quest’anno con la celebrazione penitenziale presieduta dal Santo Padre nella Basilica di san Pietro che inaugura l’iniziativa pastorale “24 con il Signore” … ci può illustrare brevemente come si svolgerà la celebrazione?

R. - E’ una grande gioia per la Penitenzieria Apostolica concludere il Corso sul Foro interno con la Celebrazione Penitenziale presieduta da Papa Francesco venerdì 13 marzo p. v. nella Basilica Vaticana e che darà l’avvio all’iniziativa “24 ore per il Signore” che prevede per tutta la notte la confessione e l’adorazione eucaristica in alcune chiese del centro di Roma e che è stata estesa a tutte le diocesi e le parrocchie del mondo perché si dedicassero momenti particolari per promuovere il Sacramento della Riconciliazione. Siamo davvero grati al Santo Padre per i suoi continui richiami a non aver paura di accostarsi al sacramento della riconciliazione perché Dio è felice di perdonarci e di accoglierci come suoi veri figli. La Penitenzieria Apostolica metterà a disposizione per l’amministrazione del Sacramento della Confessione, durante la suddetta celebrazione penitenziale, ben 60 confessori di cui la maggior parte sono costituiti dai Penitenzieri ordinari e straordinari delle Basiliche Papali dell’Urbe, ai quali si aggiungono lo stesso Cardinale Penitenziere Maggiore, il Reggente e gli officiali sacerdoti del Dicastero. Sarà un forte momento di grazia e un occasione favorevole per riflettere la nostra chiamata alla conversione, a cambiare vita e mettere l’amore di Dio al centro del nostro cuore.


 Celebrazione della Penitenza [13 marzo 2015]: Libretto






 

Un cristiano non ha vie di compromesso

Non c’è una via di mezzo
I Santi, soggiunge Francesco, “sono quelli che non hanno paura di lasciarsi accarezzare dalla misericordia di Dio. E per questo i Santi sono uomini e donne che capiscono tante miserie, tante miserie umane, e accompagnano il popolo da vicino. Non disprezzano il popolo”:

“Gesù dice: ‘Chi non è con me, è contro di me’. Ma non ci sarà una via di compromesso, un po’ di qua e un po’ di là? No. O tu sei sulla via dell’amore o tu sei sulla via dell’ipocrisia. O tu ti lasci amare dalla misericordia di Dio o tu fai quello che tu vuoi, secondo il tuo cuore, che si indurisce di più, ogni volta, su questa strada. Chi non è con me, è contro di me: non c’è una terza via di compromesso. O sei santo, o vai per l’altra via. Chi non raccoglie con me, lascia le cose… No, è peggio: disperde, rovina. E’ un corruttore. E’ un corrotto, che corrompe”.


[Modificato da Caterina63 12/03/2015 19:56]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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19/03/2015 17:03
 
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  Un sacerdote risponde

Se in caso di aids o di pericolo di figli autistici sia lecito il preservativo

Quesito

Carissimo Padre, 
vorrei un aiuto per capire. 
So che in caso di aids gli sposi possono usare il preservativo, è cosi? 
Nel caso di sposi che hanno avuto un figlio autistico, chiuso in se stesso, possono aver rapporti usando il preservativo per evitare che altri eventuali figli nascano così? 
la ringrazio


Risposta del sacerdote

Carissimo,
1. la contraccezione non è mai lecita, perché è una falsificazione (così l'ha chiamata Giovanni Paolo II) del progetto di Dio sulla sessualità e sull'amore umano.
L'atto coniugale è vero atto di amore se il coniuge dona tutto se stesso, anche la propria capacità di diventare padre e madre.
Scrive Giovanni Paolo II in Familiaris consortio: “Così al linguaggio nativo che esprime la reciproca donazione totale dei coniugi, la contraccezione impone unlinguaggio oggettivamente contraddittorio, quello cioè di non donarsi all’altro in totalità.
Ne deriva, non soltanto il positivo rifiuto all’apertura alla vita, ma anche una falsificazione dell’interiore verità dell’amore coniugale, chiamato a donarsi in totalità personale” (FC 32c).

2. Sebbene l’uso del profilattico venga attuato per evitare il rischio di un bambino portatore di hiv, e questo sarebbe una forma di responsabilizzazione come ha detto Benedetto XVI a proposito delle prostitute che chiedono ai “clienti” di usare mezzi di barriera, tuttavia questo uso non rende lecito ciò che essi compiono.
Si tratta sempre di un disordine, e cioè di un peccato.

3. Nel caso in cui uno dei coniugi sia contagiato da hiv l'unica strada è l'astensione, tanto più che il preservativo ha la possibilità di far passare il virus dell'hiv nella misura del 18%.
Infatti anche i profilattici, come ogni materiale, hanno la loro porosità. E questo è il motivo principale della loro non totale sicurezza.
Inoltre va tenuto presente che il virus dell'hiv è 450 volte più piccolo di uno spermatozoo. 

4. Ma a ben guardare: quando uno dei coniugi è affetto da hiv, come può far passare come gesto d’amore un atto in cui vi è una seria possibilità di contagiare il partner in maniera così grave?
Quell’atto - nonostante le buone intenzioni - cessa di essere un atto di autentico amore.
Nessuno vieta che i due si esprimano l’affetto vicendevole in momenti così delicati. Ma non c’è solo questo gesto per dirsi la propria vicinanza.
Non succede una cosa analoga quando in un coniuge per motivi terapeutici vengono asportati gli organi genitali?
In casi del genere si è chiamati a fare di necessità virtù.

5. Anche per il secondo caso che mi hai sottoposto la risposa non è corretta.
Tanto più che qui è possibile usare metodi che permettono di rimanere aderenti al piano divino sulla sessualità umana: il ricorso ai ritmi di infertilità naturale, che copre la maggioranza dei giorni del ciclo della donna.

6. Stabiliti i principi, che sono questi, rimane il problema della pratica.
Non poche persone per i più svariati motivi non riescono a praticare l’astinenza o la continenza periodica.
Riconoscendo che si tratta di atti che non sono secondo il progetto di Dio - prima di accedere alla Santa Comunione - bisogna fare quello che ricorda Paolo VI nell’enciclica Humanae vitae: “E se il peccato facesse ancora presa su di loro, non si scoraggino, ma ricorrano con umile perseveranza alla misericordia di Dio, che viene elargita nel sacramento della Penitenza” (HV 25).
È questa la maniera di camminare secondo Dio, quella di riconoscersi peccatori, bisognosi della sua purificazione e della sua misericordia.
Mi sembra il cammino più veritiero e più giusto.
Che cosa c’è di più bello di questo?

Ti ringrazio, ti ricordo al Signore e ti benedico. 
Padre Angelo

  altro quesito simile

Carissimo Padre, 
vorrei un aiuto per capire. 
So che in caso di aids gli sposi possono usare il preservativo, è cosi? 
Nel caso di sposi che hanno avuto un figlio autistico, chiuso in se stesso, possono aver rapporti usando il preservativo per evitare che altri eventuali figli nascano così? 
la ringrazio


Risposta del sacerdote

Carissimo,
1. la contraccezione non è mai lecita, perché è una falsificazione (così l'ha chiamata Giovanni Paolo II) del progetto di Dio sulla sessualità e sull'amore umano.
L'atto coniugale è vero atto di amore se il coniuge dona tutto se stesso, anche la propria capacità di diventare padre e madre.
Scrive Giovanni Paolo II in Familiaris consortio: “Così al linguaggio nativo che esprime la reciproca donazione totale dei coniugi, la contraccezione impone unlinguaggio oggettivamente contraddittorio, quello cioè di non donarsi all’altro in totalità.
Ne deriva, non soltanto il positivo rifiuto all’apertura alla vita, ma anche una falsificazione dell’interiore verità dell’amore coniugale, chiamato a donarsi in totalità personale” (FC 32c).

2. Sebbene l’uso del profilattico venga attuato per evitare il rischio di un bambino portatore di hiv, e questo sarebbe una forma di responsabilizzazione come ha detto Benedetto XVI a proposito delle prostitute che chiedono ai “clienti” di usare mezzi di barriera, tuttavia questo uso non rende lecito ciò che essi compiono.
Si tratta sempre di un disordine, e cioè di un peccato.

3. Nel caso in cui uno dei coniugi sia contagiato da hiv l'unica strada è l'astensione, tanto più che il preservativo ha la possibilità di far passare il virus dell'hiv nella misura del 18%.
Infatti anche i profilattici, come ogni materiale, hanno la loro porosità. E questo è il motivo principale della loro non totale sicurezza.
Inoltre va tenuto presente che il virus dell'hiv è 450 volte più piccolo di uno spermatozoo. 

4. Ma a ben guardare: quando uno dei coniugi è affetto da hiv, come può far passare come gesto d’amore un atto in cui vi è una seria possibilità di contagiare il partner in maniera così grave?
Quell’atto - nonostante le buone intenzioni - cessa di essere un atto di autentico amore.
Nessuno vieta che i due si esprimano l’affetto vicendevole in momenti così delicati. Ma non c’è solo questo gesto per dirsi la propria vicinanza.
Non succede una cosa analoga quando in un coniuge per motivi terapeutici vengono asportati gli organi genitali?
In casi del genere si è chiamati a fare di necessità virtù.

5. Anche per il secondo caso che mi hai sottoposto la risposa non è corretta.
Tanto più che qui è possibile usare metodi che permettono di rimanere aderenti al piano divino sulla sessualità umana: il ricorso ai ritmi di infertilità naturale, che copre la maggioranza dei giorni del ciclo della donna.

6. Stabiliti i principi, che sono questi, rimane il problema della pratica.
Non poche persone per i più svariati motivi non riescono a praticare l’astinenza o la continenza periodica.
Riconoscendo che si tratta di atti che non sono secondo il progetto di Dio - prima di accedere alla Santa Comunione - bisogna fare quello che ricorda Paolo VI nell’enciclica Humanae vitae: “E se il peccato facesse ancora presa su di loro, non si scoraggino, ma ricorrano con umile perseveranza alla misericordia di Dio, che viene elargita nel sacramento della Penitenza” (HV 25).
È questa la maniera di camminare secondo Dio, quella di riconoscersi peccatori, bisognosi della sua purificazione e della sua misericordia.
Mi sembra il cammino più veritiero e più giusto.
Che cosa c’è di più bello di questo?

Ti ringrazio, ti ricordo al Signore e ti benedico. 
Padre Angelo




Un sacerdote risponde

Sono un avvocato cattolico che vorrebbe esercitare la sua professione nel rispetto della verità

Quesito

Gentile Padre Angelo,
sono un avvocato cattolico che vorrebbe esercitare la sua professione nel miglior modo possibile. Purtroppo per via di tanti avvocati senza scrupoli la mia professione è vista molto male.
Voglio porle un quesito che penso sia venuto in mente a tutte le persone che si sono approcciate ai crimini. Come si fa a difendere un criminale che si sa essere tale e fare di tutto perchè venga assolto, se il giudice non lo condanna, perchè magari il pm non trova prove e commette di nuovo qualcosa, posso chiedere l'assoluzione (dicendo magari che il fatto non è stato commesso) sono moralmente complice, ho qualche colpa?
So che io ho dei doveri come avvocato e anche una libertà e cerco sempre di approfondire la morale cattolica, ma, al caso specifico dell'avvocato, vedo che sono dedicati approfondimenti praticamente nulli, cosa che non è per esempio con il medico.

Le chiedo preghiere per il mio imminente matrimonio.
Cordiali saluti in Cristo Re e Giudice
A.


Risposta del sacerdote

Caro A.,
1. l’avvocato parla in nome dell’imputato. Sotto quest’aspetto è una sola cosa con lui.
Ora il reo per diritto naturale può negare di aver commesso un determinato delitto. Questa negazione non sarebbe una menzogna, ma una restrizione mentale.
Vale a dire: dal momento che è compito dei giudici cercare la verità, può usare un’espressione che intesa oggettivamente non denuncia la propria colpevolezza, ma la copre, facendo così intendere che il compito di inquisire la verità è dei giudici.
Certo non può coprirsi dicendo una bugia.
Ma tra la bugia e il dire la verità c’è di mezzo la cosiddetta restrizione mentale e cioè un’affermazione che nel suo modo di esprimersi è così ampia che può far pensare che non sia lui il colpevole e lo scagioni.

2. Ecco che cosa dice di S. Tommaso: “Una cosa è tacere la verità e un’altra proferire una menzogna. 
Ora, la prima cosa in certi casi può essere permessa.
Infatti uno non è tenuto a dire tutta la verità, ma quella soltanto che il giudice può e deve esigere da lui a norma del diritto: per esempio quando un crimine ha già dato origine alla pubblica infamia, o è emerso da chiari indizi, oppure da una prova quasi completa. Tuttavia in nessun caso è lecito proporre una menzogna.
Ancora: “Al reo che viene accusato è lecito difendersi nascondendo nei debiti modi la verità che non è tenuto a confessare: per esempio non rispondendo alle domande a cui non è tenuto a rispondere.
E questo non è un difendersi con la falsità, ma un uscir fuori con prudenza.
Al contrario non gli è lecito dire il falso; e neppure ricorrere alla frode o all’inganno, poiché la frode e l’inganno equivalgono a una menzogna. E questo è precisamente difendersi con la falsità” (Somma teologica, II-II, 69, 2).
L’avvocato difensore può dunque smontare tutte le accuse presentate dal pubblico ministero.
L’avvocato è tenuto per segreto naturale a non rivelare quanto gli dice l’imputato e deve comportarsi come chi avendo ricevuto un segreto naturale ad eventuali domande risponde che non ne sa nulla (evidentemente per doverlo rivelare agli altri).

3. Se è lecito difendere il reo dalla condanna, non è lecito invece patrocinare cause ingiuste che causino dei danni al prossimo.
Ecco di nuovo l’insegnamento di San Tommaso: “È sempre illecito per chiunque cooperare al male, sia con l’opera, sia con il consiglio, sia con l’aiuto, sia con ogni altro consenso: poiché chi consiglia e coopera in qualche modo compie l’azione. Tutti costoro sono tenuti alla restituzione.
Ora, è evidente che l’avvocato presta aiuto e consiglio alla persona di cui difende la causa.
Se quindi egli difende scientemente una causa ingiusta, senza dubbio fa un peccato mortale; ed è tenuto a riparare il danno incorso ingiustamente alla parte avversa per il suo intervento.
Se invece difende una causa ingiusta per ignoranza, cioè pensando che sia giusta, allora è scusato nella misura in cui può scusare l’ignoranza” (Somma teologica, II-II, 71, 3).
“Se un avvocato in principio crede che la sua causa sia giusta e poi si accorge che è ingiusta, non deve denunziarla in modo da aiutare la parte avversa, o da rivelare ad essa i segreti della sua parte. Tuttavia può abbandonarla; oppure può indurre il suo cliente a cedere, o a venire a una composizione senza danno per gli avversari” (Ib.,ad 2).

Ti porgo i più cordiali auguri per la tua attività ma anche per il matrimonio che stai per celebrare. 
Per questo ti assicuro la mia preghiera e ti benedico.
Padre Angelo


Un sacerdote risponde

Sono un ragazzo di 24 anni omosessuale, due anni e mezzo fa ho conosciuto il mio attuale fidanzato con il quale convivo

Quesito

Caro Padre Angelo, 
sono un ragazzo di 24 anni omosessuale. Due anni e mezzo fa ho conosciuto …, il mio attuale fidanzato.
Nel periodo in cui l'ho conosciuto ero molto distante da Gesù: non frequentavo la Santa Messa e mi sentivo abbandonato da Dio.
Mi sono riavvicinato al Signore circa un anno fa. Ho ricominciato ad andare a messa e a pregare. La mia fede in questo ultimo anno è stata un crescendo e ora mi trovo combattuto tra la fede in Cristo e l'amore IMMENSO che provo per ….
Per vivere con pienezza da cristiano devo accettare la croce e lasciarlo? 
Sto soffrendo tantissimo. E anche lui sta malissimo. Tra l'altro conviviamo.
Che devo fare? La prego, mi ricordi nelle sue preghiere. 
Attendo con fervore la sua risposta. 
Grazie.


Risposta del sacerdote

Carissimo, 
1. la Chiesa non dice che due omosessuali che provano fra loro sentimenti di amicizia debbano lasciarsi.
In nome di che cosa due omosessuali non potrebbero essere amici fra di loro?

2. La Chiesa invece è convinta che i peccati di omosessualità sono uno stravolgimento del disegno di Dio sulla sessualità umana.
Lo dice per un doppio motivo: uno di ragione e l’altro di fede.
Il motivo di ragione: perché la sessualità maschile o femminile ha un suo intrinseco significato e un suo intrinseco linguaggio.
Tutto quanto avviene nell’esercizio della sessualità (o, per meglio, dire della genitalità) è ordinato a porre le premesse per suscitare la vita.
Unirsi sessualmente al di fuori del rapporto maschio – femmina è fuori dalla logica della sessualità. 
E poiché la sessualità umana è radicata nella persona ed è portatrice dei valori della persona e quindi anche di quel dono di sé per il quale ci si espropria e ci si dona all’altro per appartenergli, la Chiesa è convinta che il rapporto sessuale maschio - femmina ha vero significato solo all’interno del matrimonio.

3. Il secondo motivo è di fede e poggia su quanto Dio ha detto attraverso la divina Rivelazione.
Così ad esempio leggiamo nelle Sacre Scritture: “Se uno ha rapporti con un uomo come con una donna, tutti e due hanno commesso un abominio; dovranno essere messi a morte; il loro sangue ricadrà su di loro” (Lv 20,13); “Non illudetevi: né effeminati, né sodomiti... erediteranno il Regno di Dio” (1 Cor 6,10).
S. Pietro ricorda che Dio “condannò alla distruzione le città di Sodoma e Gomorra, riducendole in cenere, ponendo un esempio a quanti sarebbero vissuti empiamente. Liberò invece il giusto Lot, angustiato dal comportamento immorale di quegli scellerati. Quel giusto infatti, per ciò che vedeva e udiva mentre abitava in mezzo a loro, si tormentava ogni giorno nella sua anima giusta per tali ignominie” (2 Pt 2, 6-8).

4. Per questi motivi il Magistero della Chiesa afferma che i rapporti omosessuali “sono intrinsecamente disordinati e che in nessun modo possono ricevere una qualche approvazione” (Congregazione per la dottrina della fede, Persona humana 8).
Infatti “secondo l’ordine morale oggettivo le relazioni omosessuali sono atti privi della loro regola essenziale e indispensabile” (PH 8). Manca infatti ad essi la complementarità dei sessi e la connessa capacità di suscitare la vita.
Inoltre la Chiesa ricorda che “è solo nella relazione coniugale che l’uso della facoltà sessuale può essere moralmente retto. Pertanto una persona che si comporti in modo omosessuale agisce immoralmente” (Congregazione per la dottrina della fede, Homosexualitatis problema 7).

5. La Chiesa ti dice di lasciare la pratica omosessuale perché “è contraria alla sapienza creatrice di Dio” (HP 7), è un male, un peccato, e pertanto è contraria anche al bene della persona.
Infatti la pratica omosessuale scatena una dipendenza, una schiavitù morale e psicologica e lascia una persona priva della libertà interiore. 
Chi si dà alla pratica omosessuale si sente come incatenato, prigioniero.
Non di rado le persone omosessuali parlano di bisogni compulsivi, che non vengono da madre natura, ma da pratiche disordinate.
Per questo il Magistero della Chiesa dice anche che la pratica omosessuale “rafforza un’inclinazione sessuale disordinata, per se stessa caratterizzata dall’autocompiacimento” (HP 7).

6. Queste ultime parole “per se stessa caratterizzata dall’autocompiacimento” fanno vedere quanto questa relazione sia diversa dalla donazione degli sposi per la quale essi si trovano all’inizio di un percorso di immolazione e di abnegazione che li impegna per tutta la vita: la generazione e l’amore dei figli li impegna così.
Tra i due rapporti c’è una differenza abissale.
Quelli omosessuali sono privi “della loro regola essenziale e indispensabile”.

7. La Chiesa è persuasa che il comandamento divino sui rapporti omosessuali non solo intende tutelare la libertà interiore delle persone coinvolte, ma anche la loro dignità. Le vuole preservare dall’essere ridotte oggetto di autocompiacimento.
Ed è convinta pure che “l’attività omosessuale impedisce la propria realizzazione e felicità (HP 7).
Sicché “quando respinge le dottrine erronee riguardanti l’omosessualità, la Chiesa non limita ma piuttosto difende la libertà e la dignità della persona, intese in modo realistico e autentico” (HP 7).

8. Per coltivare l’amicizia non è necessario convivere, ben sapendo che la convivenza è occasione prossima di andare fuori strada ed è anche motivo di scandalo all’interno della comunità cristiana.
La convivenza è una situazione che impedisce di accostarsi al sacramento della Confessione e alla santa Comunione.
A che giova allora questa convivenza omosessuale se impedisce di acquisire beni così grandi come i due sacramento menzionati che sono “un tesoro nascosto nel campo”. Chi trova questo tesoro, lo nasconde. Poi va, pieno di gioia, vende tutti i suoi averi, comprese le pratiche omosessuali e la convivenza omosessuale, per poter comprare quel campo (cfr. Mt 13,44).

9. Come vedi, vale la pena vivere in maniera evangelica.
Lasciare la convivenza ti peserà.
Ma ti accorgerai ben presto che la tua amicizia poi diventerà più bella perché più pulita, più pura.
E ne guadagnerai molto anche nel tuo rapporto con Gesù.

Ti ricordo volentieri nelle mie preghiere, come mi hai chiesto, e ti benedico.
Padre Angelo






Un sacerdote risponde

Ho peccato, è ovvio che ora Dio mi punirà; toccherà solo me che sono la peccatrice diretta o anche chi amo?

 

Quesito

 

Caro Padre Angelo,
le scrivo perché vorrei affrontare insieme a lei un tema molto importante , spigoloso e pieno di contraddizioni al tempo stesso.
Ci hanno insegnato fin da piccoli, in Chiesa, che l'unione fisica con un'altra persona prima del matrimonio.... sia da evitare completamente. Senza se e senza ma, abbiamo accettato quanto detto, poi però si cresce e si inizia ad urtare con una realtà e con delle esigenze che ci portano in alcuni casi a deviare ,diciamo così, da quanto imposto dalla Chiesa.
Come lei ben saprà, ci possono essere vari modi per poter soddisfare un'esigenza ed un piacere fisico....ed ammetto che sono stata forse io la prima ad essere coinvolta, eppure le confesso...che sono caduta nello sconforto più profondo. Sono cosciente e responsabile delle mie azioni, eppure sono così impaurita e così timorosa di Dio , che dopo aver commesso tale peccato carnale..... io non so come esprimere il mio stato d'animo, ho paura, mi chiudo in me stessa...mi rifiuto addirittura di pregare o di guardare le immagini e le statuette dei santi che ho a casa perchè mi ritengo di non essere degna , perchè io, proprio io ho commesso tale gesto.  Inizio ad avere paura, perchè dico.....è ovvio ora Dio mi punirà... ma in cosa consisterà questa punizione? Toccherà solo me? che sono la peccatrice diretta... o Dio mi punirà toccando chi amo? ( intendo i miei genitori e la mia famiglia)... poi la mia mente inizia a lavorare così tanto...che mi inizio a chiedere: sono forse l'unica ad aver compiuto questo gesto? e gli altri? non voglio credere che sulla faccia della terra non ci sia qualcuno che si trovi nella mia situazione... e come fanno ad affrontare la cosa? Vedo persone che pur dichiarandosi cattoliche, hanno comunque rapporti o altre forme di erotismo, mettiamola così, prima del matrimonio... ma è come se per loro fosse una cosa normale.
 Le chiedo aiuto Padre... perchè mi sento così sola e con nessuno con cui parlare, che mi sono rifiutata e mi vergogno anche di andarmi a confessare...

 


 

Risposta del sacerdote

 

Carissima,
1. il divieto di commettere atti impuri non è imposto dalla Chiesa, come forse ti è sfuggito nello scrivere.
È nei dieci comandamenti, che sono legge di Dio.
Questa legge è stata scritta su tavole di pietra e consegnata da Dio a Mosè.
Ma questa legge era già stata scritta da Dio nel cuore dell’uomo al momento della creazione.

 

2. Dopo il peccato l’uomo è diventato incapace di leggere dentro il proprio cuore (coscienza) così spesso offuscato dalle macchie di tanti peccati.
Dio allora ha scritto i comandamenti su tavole di pietra perché gli uomini li avessero sempre davanti agli occhi.

 

3. Il fatto che si tratta di una legge scritta nel nostro cuore è di grande importanza perché derogare dai comandamenti è la stessa cosa che derogare dalla strada della propria felicità.
Il nostro avversario continua a fare con tutti i peccati quello che ha fatto con i nostri progenitori. Seduce dicendo: non vi è nulla di male, sarai contento, lo fanno tutti…
Sebbene gli uomini conoscano questa storia, pensano che valga per gli altri, ma non per loro perché la loro situazione è diversa, perché loro sono consapevoli, hanno capito, ecc…ecc…
E puntualmente tutti si ritrovano come Adamo ed Eva dopo il peccato originale, sebbene questo peccato non sia stato un peccato carnale.

 

4. Anche tu, dopo il peccato, ti sei sentita inquinata, sporca, defraudata di un bene importante di cui prima non ne apprezzavi il valore.
Senti addirittura di essere meritevole di un castigo, non considerando che la situazione che stai vivendo è già un castigo, una punizione che ti sei data da te stessa.
Tu adesso attendi un’altra punizione: quella divina su te stessa o suoi tuoi cari. E questo ti spaventa.

 

5. Ebbene, in ordine a questo ti consiglio due cose.
La prima è la confessione sacramentale, mediante la quale sfuggi all’influsso del tuo avversario (il demonio) sotto il quale inavvertitamente ti sei messa.
Così per i meriti di Cristo, che il sacerdote riversa sulla tua anima con le parole e il gesto dell’assoluzione sacramentale, “dove è abbondato il peccato, viene a sovrabbondare la grazia” (cfr. Rm 5,20). 
La misericordia e la benevolenza di Dio non troveranno ostacoli nell’essere riversati sulla tua anima.

 

6. E il castigo meritato?
A questo castigo si è auto sottoposto Gesù Cristo al posto tuo e per amor tuo.
“Egli è stato trafitto per le nostre colpe, schiacciato per le nostre iniquità. Il castigo che ci dà salvezza si è abbattuto su di lui; per le sue piaghe noi siamo stati guariti. 
Noi tutti eravamo sperduti come un gregge, ognuno di noi seguiva la sua strada; il Signore fece ricadere su di lui l'iniquità di noi tutti.
Maltrattato, si lasciò umiliare e non aprì la sua bocca; era come agnello condotto al macello, come pecora muta di fronte ai suoi tosatori, e non aprì la sua bocca” (Is 53,5-7).
Quando andiamo a confessarsi dobbiamo sempre tenere lo sguardo fisso su di lui, sul suo amore per noi.
Vedi come è da amare Gesù: nessuno si è sottoposto al castigo al posto nostro come ha fatto Lui!

 

7. La seconda cosa che ti consiglio: vai dalla Madonna, domandale perdono e dille che ti tenga accanto a Lei.
Perché la Madonna?
Senti che cosa dice il Santo Curato d’Ars: “La Vergine santissima è sempre così buona che ci tratta sempre amorosamente e non ci castiga mai. 
Il Figliolo ha la sua giustizia, ma la Madre non ha che l’amore suo” (MONNIN, Vita del beato Curato d’Ars, p. 385). 
Quando il Signore ci vede rifugiati da sua Madre, allora anche lui – si direbbe - lascia da parte la giustizia e ci usa misericordia.

 

8. Domani è la festa della Madonna assunta in cielo.
Se non l’hai ancora fatto, vai subito alla confessione.
Tutto quello che l’umile confessione dei tuoi peccati ti costerà, offrilo alla Madonna, sia il tuo gesto concreto di affetto per Lei.
È bello poter offrire qualcosa alla Madonna.

 

Ti accompagno con la mia preghiera, ti affido alla Madonna assunta in cielo e ti benedico. 
Padre Angelo



     



[Modificato da Caterina63 25/03/2015 08:17]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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  Come pani azzimi e agnelli di Pasqua


Solo una volta Paolo usa il termine "pasqua" nell'espressione "Cristo nostra Pasqua è stato immolato"di 1Cor 5,7.


Valentin de Boulogne, "San Paolo scrive le epistole", 1620.


Valentin de Boulogne, "San Paolo scrive le epistole", 1620.


Come pani azzimi e agnelli di Pasqua Per imparare a celebrare la Pasqua con la chiesa e il mondo, una chiave di buona lettura dei testi paolini, ci viene dal beato Giacomo Alberione, che già nell'ottobre del 1941, a proposito della santità personale e familiare, commentava:"L'amore che non porta al sacrificio è un inganno, è una sentimentalità; perché l'amore vero è quello di Gesù che si è immolato" (EM, 1942, 46). Usava lo stesso di Paolo. Anche noi parliamo, o sentiamo parlare di amore, che nella società in cui viviamo e purtroppo spesso anche nella Chiesa, con questo termine intendiamo il diritto inviolabile di ciascuno a esercitare la propria sessualità come sembra giusto.


Il contesto dell'espressione di Paolo, l'unica nella Bibbia in cui festa (Pasqua) e sacrificio di sé sono strettamente vincolati, ha propriamente a che vedere con un amore mal inteso. Ragionando da apostolo, ma anche da pratico pastore di anime e di corpi, ai suoi lettori di Corinto, ancora poco capaci di un giudizio critico e responsabile, Paolo fa balenare gli effetti devastanti dell'immoralità, specificamente di un caso di incesto. Anche se fosse coinvolta una sola persona, è dissacrata la comunione e la comunità. È tagliente, Paolo escomunica l'incestuoso.


Lo manda letteralmente al diavolo: "questo tale", forse ancora giovane cristiano, ma con mentalità ellenista, e con matrigna giovanile e appetibile:"venga consegnato a Satana a rovina della sua carne, affinché lo spirito possa essere salvato nel giorno del Signore". Le modalità di questa consegna sono irrilevanti.


Non c'è un codice di diritto canonico. Importante è però che la chiesa, nel suo insieme, nel suo considerarsi essere corpo di Cristo, o fidanzata casta, sia forte. In questa durezza Paolo non è democratico ma profetico. Stranamente, e con un'intelligenza teologica, utilizza la collaborazione indiretta di Satana, per salvare l'anima di un giovane attraverso la distruzione (a questo porta la corruzione) della sua carne.


Morire per vivere al ritmo della festa



In questo processo all'incestuoso, e nella sua fine misteriosa, quasi escatologica, è adombrata una legge di celebrazione della gioia dell'amore: morire per salvare dei peccatori e convivere con loro per sempre; sacrificarsi per redimere altri. Chi soffre nella propria carne qualche condanna simile alla croce, salva non solo se stesso ma tante anime di fratelli e sorelle della comunità. E salva davvero i corpi dell'uomo e della donna, fatti per la vita. Questa sofferenza dell'incestuoso somiglia quindi, anche se lontanamente, al sacrificio patito da Cristo sulla croce; all'immolazione dell'agnello innocente, necessaria per lasciare che gli altri nella comunità facciano festa a Pasqua.

***********
(  apriamo una parentesi per sottolineare anche questo:

Romani 1,26-27: «Per questo Dio li ha abbandonati a passioni infami: le loro donne hanno cambiato i rapporti naturali in rapporti contro natura. Egualmente anche gli uomini, lasciando il rapporto naturale con la donna, si sono accesi di passione gli uni verso gli altri, commettendo atti ignominiosi uomini con uomini, ricevendo così in se stessi la punizione che s’addiceva al loro traviamento».

questo è l'unico passo chiarissimo paolino su un'altra questione, quella dei sodomiti.... nonchè gli ambienti cristiani omosessualisti usano citare  per dire che tutto ciò che San Paolo condanna è tutto quello che viene fatto senza amore... insomma come a dire che.... se lo fai per amore, puoi unirti con chi vuoi  

poi a fare i pignoli ci sono altre due citazioni sempre paoline, ma non sono così dirette e fanno parte dei divieti diversi: 1 Corinti 6,9-10: «.... Non illudetevi: né immorali, né idolatri, né adulteri, né effeminati, né sodomiti , né ladri, né avari, né ubriaconi, né maldicenti, né rapaci erediteranno il Regno di Dio». qui Paolo mette "effeminati e sodomiti" quale peccato come l'adulterio, l'immoralità, il rubare, ecc.... per il quale non si erediterà il regno dei cieli.

infine l'altra citazione è in 1 Timoteo 1,9-10: «.... sono convinto che la legge non è fatta per il giusto, ma per gli iniqui e i ribelli ..... per i pervertiti e per ogni altra cosa che è contraria alla sana dottrina». ma il termine "pervertito" qui effettivamente, non è esclusivamente usato per il sodomita e l'effeminato il pervertito era anche colui che faceva l'incesto del quale parla l'articolo che stiamo trattando. E qui chiudiamo questa parentesi)

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Del resto, Gesù per primo è stato crocifisso perché considerato bestemmiatore, indemoniato, non osservante del Sabato, mangione e beone, amico di prostitute, adultere, samaritane, pubblicani, ricchi, pagani, violatore e profanatore del Tempio. Gesù è morto da peccatore doc, da maledetto. L'amore per i peccatori - ma quelli più responsabili sono i sacerdoti, gli scribi, i dottori, i giudici del sinedrio - comporta l'immolazione di sé, l'accettazione di una scomunica, di una esecuzione di una condanna a morte.

Tutto avviene, anche in Gesù, nel suo corpo umano penetrato da chiodi, da spine, da una lancia. Da una solitudine da esclusione, insopportabile umanamente. É la morte dell'io, che non è necessaria solo per l'incestuoso; è l'accettare, anche per i seguaci autentici di Gesù, dell'essere con-crocifissi e con-sepolti con Cristo. Come lo stesso Paolo. Solo questa fine del lievito si possono preparare pani azzimi. Per la festa. Prostituta e insieme casta, la Chiesa è per Paolo sposa conquistata con il dono completo di sé, del suo corpo e del suo sangue, con la morte volontariamente accolta. Satana sicuramente è stato, ed è sempre attivo nell'esecuzione di una sentenza di scomunica, di inquisizione, di esecuzione atroce della Legge.

Comunque Paolo non è senza misericordia, in quanto pensa alla redenzione dell'incestuoso. Per questo è anche convinto che sia fuori luogo essere tolleranti verso derive morali che non giovano a nessuno a Corinto:" Non è bello che vi vantiate". Ciò che muove Paolo non è la sua avversione, culturale e quindi tradizionale in quanto ebreo, verso certe forme di indecenza greca, ma l'osservazione su quanto avviene o deve avvenire in una casa, nel preparare il pane per la festa di Pasqua: "Non sapete che un po' di lievito fa fermentare tutta la pasta?"

Se il lievito non è cattivo, come non lo è la sessualità e neppure il piacere dell'unione tra un uomo e una donna, a Pasqua però il pane deve essere quello azzimo, per entrare nella festa di liberazione dal proprio passato di schiavitù a Satana, all'uomo vecchio, dominante, che si va guastando di giorno in giorno fino alla data di scadenza definitiva. Per ottenere pani azzimi, pasquali, è necessario mettere il lievito da parte per non fermentare la massa e inacidire il pane che non si conserva. Di qui l'imperativo ai responsabili e a tutti i membri, maschili e femminili, della Chiesa di Corinto.

Ripeto per intero il versetto: "Togliete via il lievito vecchio, per essere pasta nuova, poiché siete azzimi. E infatti Cristo, nostraPasqua, è stato immolato!" (1Cor 5,7). Paolo, dicevo sopra, non ha mai usato fino ad ora "Pasqua", né lo farà altrove in altre lettere. Il termine páscha è vecchio, indicando tradizioni aramaiche ed ebraiche molto antiche: è trascrizione fonetica del caldaico pisha ed ebraico pesah, dal verbo pasah "passare oltre". Bisogna andare oltre anche rispetto a questa pasqua ebraica. L'evocazione più forte per un giudeo, all'ascoltare questa parola, è quella dell'angelo dello sterminio dei primogeniti egiziani, mentre passava oltre le case segnate dal sangue dell'agnello immolato in famiglia.

Propriamente quindi pasqua è il passare oltre della morte, non essere uccisi, l'essere risparmiati grazie al sangue dell'agnello, che gli israeliti erano soliti scannare il quattordicesimo giorno di Nisan, il primo mese dell'anno lunare. Nella LXX, in Es 12-13, in Nm 9 e in Dt 16 è usata spesso l'espressione greca, simile a quella usata da Paolo nel testo sopra citato:thýein tó páscha, per tradurre sahat hapesah, "immolare la pasqua"o "sacrificare la pasqua", o, interpretando, "uccidere l'agnello" e mangiarselo. Che pasqua e agnello siano la stessa cosa, o la stessa persona in Cristo,è deducibile appunto anche dall'espressione phageîn tó páscha, "mangiare la pasqua" (akal hapesah) come la si trova, per esempio in Mt 26,17 e Gv 18,28 e altrove nel NT.

Paolo pensa, nella stessa 1Cor, all'ultima cena, durante la quale è il corpo e sangue di Cristo che diventano pane azzimo e vino effervescente che donati, anticipano la morte in croce del giorno dopo. Non ci sono, per Paolo, riferimenti migliori per parlare, decidere e agire come Chiesa di Dio, se non questo vangelo del mistero pasquale.

L'Eucaristia è la regola per tutti i membri del corpo di Cristo. Non bisogna entrare in comunione con demoni - come si fa quando si pecca, ma anche quando si diventa troppo religiosi o idolatri. Nella stessa lettera, infatti, in 1Cor 10,20, l'apostolo mette in guardia dal mangiare carne sacrificata agli idoli, anche se questi oggettivamente sono il nulla:"quei sacrifici sono offerti ai demoni e non a Dio. Ora, io non voglio che voi entriate in comunione con i demòni".

I demoni esistono, il nulla no. Bisogna mangiare l'agnello pasquale, invece, e pani azzimi, senza mescolanze di altre vivande. Subito spiega infatti, in1Co 10,21, che"non potete bere il calice del Signore e il calice dei demòni; non potete partecipare alla mensa del Signore e alla mensadei demòni". Anche ai Galati Paolo ricorda che "un po' di lievito fa fermentare tutta la pasta" (5,9) e quindi va tolto di mezzo per ottenere pani azzimi.

Il discorso che fa Paolo "contro" l'incestuoso (ma per salvarlo!) somiglia a quello di Gesù in Mc 8,15, allorché il Maestro metteva in guardia i discepoli "dal lievito dei farisei e dal lievito di Erode!": da una religiosità devota e rigorosa, ma ipocrita, e dal potere forte sugli altri. Solo la morte di croce del Cristo, Agnello innocente, è il laboratorio della festa. Pensando così, l'apostolo agisce da sacerdote della nuova alleanza.

Festa in famiglia

Possiamo chiederci, come membri di uno stesso corpus paolino, come ci comportiamo con i peccatori o da peccatori insufficienti in tutto, nello spirito, nello studio, nell'apostolato e nella povertà. Alberione esortava, ma forse non quelli di dentro soltanto: "Peccatori, abbiate fiducia! Non guardate al passato, basta che d'ora innanzi preghiamo di più, ci umiliamo, fuggiamo le occasioni. Solamente Caino pensò: "il mio peccato è troppo grande" (In preparazione alla Pasqua del 1938: HM I, 1 (1939) pp 90-91). Gesù è Maestro, Pastore e Sommo Sacerdote da seguire quando ci esorta a non temere perché è sempre con noi; ad avere un cuore penitente. "Avremmo mai capito cos'è l'umiltà, la dolcezza, la pazienza, la sopportazione delle ingiurie, la verginità, la carità fraterna spinta fino all'immolazione di sé, se non avessimo letto e meditato gli esempi e le lezioni di Nostro Signore su queste virtù? (ottobre 1954, CiSP, 1971 p. 1155). La Pasqua è una festa apostolica!

Angelo Colacrai, ssp



Un sacerdote risponde

Il significato delle parole in cui si dice che Dio punisce la colpa dei padri nei figli fino alla terza e alla quarta generazione

Quesito

Caro Padre Angelo, 
ho scoperto da pochissimo questa sua pagina in cui dispensa insegnamenti e consigli preziosi per cui voglio rivolgerle anche un mio quesito. 
Premetto che ho sempre avuto un sentimento di religiosità latente, nonostante che il Signore non abbia mai smesso di chiamarmi da lontano, che in sostanza mi ha portato a vivere una vita abbastanza sregolata soprattutto dal punto di vista del comportamento sessuale. 
Poi un bel giorno superati i cinquant'anni ho deciso di cambiare in maniera sostanziale la mia vita e, senza chiedere nulla in cambio ma solo decidendo di donare me stesso a Gesù, mi sono confessato e partecipo alle funzioni non solo della domenica ma anche di tutti i giorni nei momenti di possibilità. 
La mia vita ora è fatta di preghiera ma soprattutto di pensieri e comportamenti che ricalcano in ogni momento della giornata ogni insegnamento del Vangelo. 
Ci tengo a sottolineare che in brevissimo tempo dal momento del mio assenso a Gesù ho potuto sperimentare una pace interiore e la risoluzione di tanti problemi sicuramente per opera dello Spirito Santo. 
Data l'occasione e leggendo di persone molto preoccupate per la confessione io credo che nel momento in cui ci si pente per davvero dei peccati commessi, e si ha la VERA intenzione di non commetterli più pregando in ginocchio davanti al Signore, si venga perdonati. 
La confessione davanti al sacerdote è ovviamente determinante e imprescindibile ma se ci si scorda di qualche particolare non credo che a Dio interessi più di tanto. Egli sa già benissimo cosa abbiamo e non abbiamo fatto e quello che a Lui  importa è che si decida dal profondo del cuore e della fede di non commettere più i peccati che ci fanno vergognare. 
A poco servirebbe una confessione ricca di particolari se poi siamo poco convinti, o per nulla, nel non ripetere le stesse cose sbagliate e che ci allontanano da Dio. 
Ma la vera cosa che volevo chiederle è che leggendo nella Bibbia dei rapporti di matrimonio non consacrati, cioè considerati adulteri, le colpe ricadrebbero sui figli. Io sono figlio di una coppia non sposata in chiesa perchè a quel tempo andava di moda la filosofia comunista-anticlericale che faceva ritenere la religiosità cosa inutile e Dio un'invenzione a beneficio dei preti (più o meno).
Nonostante questo i miei genitori sono sempre stati esempio di onestà e di fedeltà e non posso certo dire che mi abbiano ostacolato nella fede o insegnato cose sbagliate. 
Le chiedo dunque ma davvero chi nasce da un rapporto non ufficializzato davanti a Dio porta dentro una colpa che comunque in definitiva non è sua?? 
Che dire dei figli nati da rapporti sbagliati, o per violenza, o qualsiasi altro caso??
In cuor mio mi sento creatura di Dio, con un grandissimo amore nei Suoi confronti, e non smetterò mai di lodarlo e di testimoniarlo nel mondo. Posso sentirmi ben accetto e a quello che ho letto ho dato un'interpretazione troppo letterale o sbagliata?? 
La ringrazio e la saluto fraternamente. 
Giovanni.


Risposta del sacerdote

Caro Giovanni, 
1. le osservazioni che hai fatto sulla confessione sono giuste.
L’elemento principale consiste nella contrizione, e cioè nel pentimento dei peccati e nella risoluzione di non più commetterli.
L’accusa è importante, è necessaria, è di diritto divino e pertanto la Chiesa non può dispensare dal farla. Tuttavia se uno dimentica un peccato, ma aveva la volontà di confessarlo, deve ritenersi assolto. 
Se poi gli torna in mente, lo accuserà nella successiva confessione. E nel frattempo, se non ha commesso altri peccati gravi, può fare la Santa Comunione.

2. La seconda domanda che mi hai posto trae la sua ispirazione da quello che si legge nel libro dell’Esodo nel momento in cui Dio sta per consegnare i dieci comandamenti a Mosè e ne chiede l’osservanza: “Perché io, il Signore, tuo Dio, sono un Dio geloso, che punisce la colpa dei padri nei figli fino alla terza e alla quarta generazione, per coloro che mi odiano, ma che dimostra la sua bontà fino a mille generazioni, per quelli che mi amano e osservano i miei comandamenti” (Es 20,5-6).

3. Il linguaggio del castigo e del premio è evidentemente allegorico.
La pena che colpisce i figli fino alla terza e alla quarta generazione sta a ricordare che come i figli sono il bene più prezioso per i genitori, i quali preferirebbero piuttosto soffrire loro stessi pur di risparmiarne i figli, così la trasgressione dei divini comandamenti priva l’uomo del bene più caro, che è il possesso di Dio dentro di sé per il tempo e per l’eternità.

4. Gli antichi tuttavia non intendevano queste parole solo in senso allegorico, ma anche materiale.
Qui allora vi si trovano altri significati.
Non va dimenticato che nell’Antico Testamento il ceppo famigliare o il clan avevano grande importanza.
In una società in cui non vi era minimamente il concetto di uno stato sociale che garantisse il minimo di beni a tutti i cittadini, l’appartenenza ad un clan o ad una famiglia era un elemento di difesa e di protezione.
Va ricordato anche che a quei tempi vigeva la pena del taglione: quella che si esprime nell’occhio per occhio e nel dente per  dente. 
Va ricordato anche che la pena di morte veniva data con molta facilità. La bestemmia e la trasgressione del riposo del sabato erano, ad esempio, causa di pena di morte. 
Questa pena di morte evidentemente cooperava all’impoverimento del clan o del nucleo famigliare e questo si sarebbe fatto sentire per diverso tempo. 
Ecco perché si parla di punizione fino alla terza e quarta generazione. Ma a dire il vero è un’auto punizione.
Pertanto il significato letterale delle parole della Sacra Scrittura va inteso secondo le condizioni di vita dell’Antico Testamento e non può essere applicato a noi.

5. Inoltre rimane sempre vero che talvolta si fanno pagare le conseguenze dei propri peccati anche i figli.
Questo è un dato testimoniato anche dalla scienza medica, che parla di  trasmissione di tare dovute al proprio comportamento. Si pensi ad esempio agli effetti dell’alcoolismo o dell’aids sui figli. 

6. Noi oggi, in queste parole della Sacra Scrittura, possiamo vedervi anche una nascosta solidarietà che lega gli uomini nel bene e nel male, a seconda che vivano in grazia o siano privi della grazia.
È quella legge della solidarietà cui alludeva Giovanni Paolo II in Reconciliatio et poenitentia quando scriveva: “Riconoscere che in virtù di una solidarietà umana tanto misteriosa e impercettibile quanto reale e concreta, il peccato di ciascuno si ripercuote in qualche modo sugli altri. È, questa, l’altra faccia di quella solidarietà che, a livello religioso, si sviluppa nel profondo e magnifico mistero della comunione dei santi, grazie alla quale si è potuto dire che “ogni anima che si eleva, eleva anche il mondo”.
A questa legge dell’ascesa corrisponde, purtroppo, la legge della discesa, sicché si può parlare di una comunione nel peccato per cui un’anima che si abbassa per il peccato abbassa con sé la Chiesa e, in qualche modo, il mondo intero. In altri termini, non c’è alcun peccato, anche il più intimo e segreto, il più strettamente individuale, che riguardi esclusivamente colui che lo commette. Ogni peccato si ripercuote, con maggiore o minore veemenza, con maggiore o minore danno, su tutta la compagine ecclesiale e sull’intera famiglia umana. Secondo questa prima accezione, a ciascun peccato si può attribuire indiscutibilmente il carattere di peccato sociale” (RP 16).

 7. Con tutto questo non dobbiamo dimenticare le parole successive proferite da Dio: “che dimostra la sua bontà fino a mille generazioni”.
Il premio promesso (la misericordia e la benevolenza divina) si riversano sull’umanità in maniera più ampia (mille generazioni) che i castighi. 
Per i meriti di Abramo, Isacco e Giacobbe (e noi possiamo dire per i meriti di Cristo, della Beata Vergine e dei santi) Dio benefica l’umanità in maniera straordinaria, perché vuole che il bene compiuto in grazia vada a beneficio di tutti e per tutta l’eternità.

Ti ricordo al Signore nella preghiera e ti benedico.
Padre Angelo


    


Un sacerdote risponde

Chi si confessa è tenuto al medesimo segreto cui è tenuto il confessore?

Quesito

Caro Padre Angelo,
oggi mi è sorto un dubbio... sappiamo che il confessore è tenuto ad osservare una serie di leggi ecclesiali tipo il segreto del confessionale. Esistono leggi anche per il penitente? anche il penitente è tenuto al segreto? Cosa può dire e cosa no?
I miei più cordiali saluti e un abbraccio forte.


Risposta del sacerdote

Carissimo,
1. Il segreto del confessionale non è soltanto un segreto naturale, ma divino.
Quello che il sacerdote viene a sapere dall’accusa dei peccati lo viene a sapere in quanto è ministro di Dio e non semplicemente come un uomo. 
Dice San Tommaso: “Il sacerdote è a conoscenza di quei peccati non come uomo, ma come Dio” (Somma teologicaSuppl., 11, 1, ad 2).

2. Anche nel caso che il sacerdote venisse interrogato in un tribunale o da un suo superiore deve tacere quanto ha sentito in confessione.
Dice ancora san Tommaso: “Perciò, senza pregiudizio per la coscienza, un confessore può giurare di non sapere quello che sa solo come Dio” (Ib., ad 3).

3. Come vedi, il penitente non funge da ministro di Dio.
Pertanto di per sé non è tenuto al medesimo segreto cui è tenuto il sacerdote.
Il sacerdote infatti è tenuto ad un segreto divino.

4. Tuttavia, come accanto all’accusa dei peccati vi è legato anche un segreto naturale (il penitente sa che il sacerdote non ne parlerà), così il penitente è in qualche modo tenuto al medesimo segreto naturale del sacerdote. 
Ho detto in qualche modo. 
Perché se il penitente suggerisce un buon consiglio che gli ha dato il confessore, non viola alcun segreto naturale.

5. Ma se dicesse qualche cosa che può mettere in cattiva luce il confessore, deve stare zitto, tanto più che il sacerdote in questo caso non può difendersi, essendo tenuto al segreto divino.

6. Per questo Giovanni Paolo II ha detto: “Al sacerdote che riceve le confessioni sacramentali è fatto divieto, senza eccezione, di rivelare l’identità del penitente e le sue colpe…
Direttamente questa totale riservatezza è a beneficio del penitente.
Di conseguenza, non sussiste per lui né peccato né pena canonica, se spontaneamente e senza provocare danni a terzi rivela fuori confessione quanto ha accusato. 

Ma è evidente che, almeno, per un dovere di equità, e, vorrei dire, per un senso di nobiltà verso il Sacerdote confessore, egli deve a sua volta rispettare il silenzio su ciò che il confessore, confidando nella sua discrezione, gli manifesta all’interno della confessione sacramentale.

A questo riguardo, è mio dovere richiamare e confermare quanto, mediante Decreto della Congregazione per la Dottrina della Fede (AAS 1988, p. 1367), è stato disposto per reprimere ed impedire l’oltraggio della sacralità della confessione, perpetrato mediante i mezzi di comunicazione sociale” (12.3.1994).

Ti saluto, ti ricordo al Signore e ti benedico. 
Padre Angelo





[Modificato da Caterina63 04/04/2015 11:23]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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06/04/2015 09:57
 
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Mi sono sposato in peccato mortale e chiedo se il matrimonio sia valido

Quesito

Caro Padre Angelo, 
pochi giorni fa mi sono sposato all’estero.
Per una serie di eventi non sono riuscito a fare la confessione prima della  celebrazione del sacramento.
Ora, siccome mi trovavo in stato di peccato mortale, mi domando:  il sacramento è valido ugualmente? 
È sufficiente fare una confessione per rimediare?
In attesa di una sua risposta la saluto cordialmente.


Risposta del sacerdote

Carissimo, 
1. intanto mi congratulo per l’obiettivo che hai realizzato. Perché il matrimonio è certamente una delle tappe più importanti e decisive nella vita di una persona.

2. Venendo adesso al tuo problema in termini molto spicci potrei dire che il sacramento che hai celebrato è valido, ma l’hai celebrato illecitamente.
L’hai celebrato validamente perché avevi l’intenzione di celebrarlo.
L’intenzione infatti è la condizione essenziale per la validità del sacramento.
Per cui è valido il matrimonio celebrato in peccato mortale, così come è valida la Cresima ricevuta in peccato mortale ed è valida la Messa se chi la celebra è in peccato mortale.

3. Ma per ricevere la grazia del sacramento è necessario che da parte del soggetto non vi siano ostacoli.
A questo proposito allora si fa una distinzione tra i sacramenti cosiddetti dei vivi (perché richiedono di essere ricevuti in grazia, pena compiere un sacrilegio) e i sacramenti dei morti (quelli che sono ricevuti da chi può essere in peccato mortale).

4. I sacramenti “dei morti” sono due: il Battesimo e la Confessione. 
Per ricevere questi sacramenti non si richiede di essere in grazia. Infatti sono i sacramenti che danno la grazia a chi ancora non la possiede.
Mentre gli altri sacramenti presuppongono che uno sia già in grazia.
Per questo vengono chiamati “dei vivi”, sottinteso nella grazia.
Se chi riceve questi sacramenti non è in grazia non può ricevere neanche la grazia propria di quel sacramento, che è la grazia sacramentale.

5. Celebrando il matrimonio in peccato mortale hai compiuto un sacrilegio.
Questo sacrilegio è stato ulteriormente aggravato se hai fatto anche la Santa Comunione.
Nel tuo caso la grazia ha trovato un ostacolo ad entrare nella tua vita nel medesimo modo in cui la luce del sole non può entrare in una stanza con le imposte chiuse.

6. Adesso puoi ricuperare la grazia sacramentale, che è sempre accompagnata dalla grazia santificante, col pentimento e accostandoti alla Confessione.
Rimosso l’ostacolo, la grazia revivisce.

7. Devo ancora aggiungere che se tu avessi avuto la volontà di confessarti e ti fossi trovato nell’impossibilità di confessarti per mancanza di confessore, e se ti sei sinceramente pentito dei tuoi peccati esprimendo la volontà di andarti a confessare al più presto, la grazia ti avrebbe raggiunto prima del sacramento e allora la tua celebrazione non sarebbe stata sacrilegio.
Mi auguro che sia andata così.

Ti rinnovo gli auguri più belli perché la grazia del Signore accompagni sempre il tuo matrimonio.
Ti ricordo nella preghiera insieme con la tua sposa ed entrambi vi benedico. 
Padre Angelo




Un sacerdote risponde

Talvolta mio marito nell'intimità coniugale chiede di avere rapporti simili a quelli degli omosessuali

Quesito

Salve Padre,
sono coniugata con due figli. Mio marito a volte mi chiede, in intimità, di avere per alcuni momenti un rapporto come quello che hanno gli omosessuali per intendersi (ovviamente però con me).
Mi chiede se voglio oppure no e io a volte per concedermi di più acconsento anche perché è rispettoso anche in quei momenti.
Mi vergogno anche a farle questa domanda perché sono cattolica e una volta quando l'ho confessato il sacerdote mi ha detto che non era peccato perché Dio non sta a guardare queste cose quando due coniugi sono in intimità e perciò lo chiedo anche a lei.
Grazie e a presto e che il Signore la benedica.


Risposta del sacerdote

Carissima, 
1. rispondendo alla tua domanda colgo l’occasione di ripresentare una sentenza della Sacra Penitenzieria apostolica del 3 aprile 1916.
Ricordo che questa sentenza è un’espressione del Magistero della Chiesa, il quale si evolve in maniera omogenea e non discontinua o dialettica. 
Pertanto si evolve senza mai rinnegare le affermazioni precedenti.
D’altra parte non si tratta di una determinazione della disciplina della Chiesa, ma della legge di Dio.
E questa legge evidentemente non cambia.

2. La Sacra Penitenzieria si pone una duplice domanda.
La prima riguarda la colpa di Onan, in altri termini il coito interrotto.
Quest’azione è sempre peccaminosa perché altera in maniera palese il disegno di Dio sulla sessualità.
Ma la Sacra Penitenzieria si poneva il caso di una donna che fosse costretta dal marito sotto minacce di violenza o addirittura di morte.
La Sacra Penitenzieria dice che in questo caso, sebbene non voglia l’azione, tuttavia può permetterla e subirla perché il male di cui viene minacciata non la spinge ad opporsi fino in fondo, anche perché lei inizia l’atto coniugale in una maniera che non è contraria alla legge di Dio e non coopera attivamente all’azione.

3. La seconda domanda riguarda un rapporto coniugale compiuto secondo l’uso dei sodomiti, e cioè degli omosessuali.
Qui la risposta è del tutto negativa. La moglie non può permetterla in nessuna maniera perché l’azione - anche da parte sua, e non solo del marito - sarebbe viziata fin dall’inizio.

4. Ecco allora la domanda posta alla Sacra Penitenzieria: “Può una moglie cooperare lecitamente ad una azione del marito che, per darsi al piacere, vuole commettere la colpa di Onan o dei Sodomiti, e, se non obbedisce, la minaccia sotto pena di morte o di gravi molestie?”

5. La prima risposta riguarda la colpa di Onan.
“Se il marito nell'uso del matrimonio vuole commettere la colpa di Onan, spargendo cioè il seme al di fuori del vaso naturale, dopo aver iniziato la copula, minaccia di morte o di gravi molestie la moglie se non si sottomette alla sua perversa volontà, la moglie, secondo l'opinione di provati teologi, può in questo caso congiungersi così con suo marito, dal momento che lei da parte sua dà corso ad una cosa ed azione lecita, mentre permette il peccato del marito per un grave motivo che la scusa, poiché la carità, per la quale sarebbe tenuta ad impedirlo, non obbliga di fronte ad una così grave molestia

6. Ed ecco la seconda risposta che riguarda il tuo caso:
Ma se il marito vuole commettere con lei la colpa dei Sodomiti, poiché questo coito sodomitico è un atto contro natura da parte di entrambi i coniugi che così sì congiungono e questo, a giudizio di tutti i dottori, è gravemente cattivo, la moglie, per nessun motivo, neppure per evitare la morte, può lecitamente in questo caso compiacere al suo impudico marito” (DS 3634).

7. Devo concludere che il sacerdote al quale ti sei rivolta probabilmente non ha capito oppure è del tutto fuori strada.
Non basta che i coniugi siano nell’intimità coniugale perché tutto sia corrispondente al disegno di Dio.
Il Concilio Vaticano II afferma che “i coniugi cristiani non possono procedere a loro arbitrio, ma devono sempre essere retti da una coscienza che siaconforme alla legge divina stessa, docili al magistero della Chiesa, che in modo autentico quella legge interpreta alla luce del vangelo” (Gaudium et spes 50).  

E “quando si tratta di comporre l’amore coniugale con la trasmissione responsabile della vita, il carattere morale del comportamento non dipende solo dalla sincera intenzione e dalla valutazione dei motivi, ma va determinato da criteri oggettivi che hanno il loro fondamento nella dignità stessa della persona umana e dei suoi atti e sono destinati a mantenere in un contesto di vero amore l’integro senso della mutua donazione e della procreazione umana, e tutto ciò non sarà possibile se non venga coltivata con sincero animo la virtù della castità coniugale.
I figli della Chiesa, fondati su questi principi, non potranno seguire strade che sono condannate dal Magistero nella spiegazione della legge divina” (GS 51).  

8. Paolo VI nell’enciclica Humanae Vitae insegna che “nel compito di trasmettere la vita i coniugi non sono liberi di procedere a proprio arbitrio, come se potessero determinare in modo del tutto autonomo le vie oneste da seguire, ma, al contrario, devono conformare il loro agire all’intenzione creatrice di Dio, espressa nella stessa natura del matrimonio e dei suoi atti, e manifestata dall’insegnamento costante della Chiesa” (HV 10).

Ti ringrazio di avermi dato l’opportunità di presentare ai nostri visitatoti gli insegnamenti della Chiesa su alcune questioni riguardanti l’intimità coniugale.
Il senso di tutto è questo: anche nell’intimità coniugale siamo chiamati ad essere santi, e cioè conformi alla luminosità e alla bellezza del disegno di Dio sulla sessualità.
Ti ricordo al Signore e ti benedico. 
Padre Angelo










Un sacerdote risponde

Quali sono le varie strade, oltre la confessione, che giovano per la remissione dei peccati veniali

Quesito

Buongiorno Padre
sono Claudio, vorrei porle la seguente domanda: noi sappiamo che i peccati si possono suddividere in veniali e mortali; i primi non distruggono la comunione con Dio e la Chiesa ma la possono indebolire mentre, i secondi la distruggono e perchè si possa (in questo secondo caso ricostituire) bisogna ricorrere al Sacramento della confessione. 
So che i peccati veniali vengono certamente rimessi col Sacramento della Confessione ma vi sono anche altre "possibilità" perchè vengano rimessi. Siccome ho sperimentato che spesso un peccato magari "parte" come veniale ma poi, nonostante la preghiera, può (col deliberato consenso la piena avvertenza e la materia grave) diventare mortale, vorrei sapere come  possiamo oltre al sacramento della confessione agire perchè ci vengano rimessi i peccati veniali.
Ad esempio un sacerdote ha detto che usando CON FEDE l'acqua benedetta e col pentimento dovuto questo può rimettere i peccati veniali. Quali altre strade lei mi consiglia e quindi la Chiesa stessa consiglia?
Grazie
Mi benedica
Un abbraccio


Risposta del sacerdote

Caro Claudio,
1. per la remissione dei peccati veniali va tenuto presente anzitutto questo: se vi sono anche dei peccati mortali, non possono essere rimessi da soli.
Il motivo te lo presenterò tra breve.
Invece se una persona vive in grazia i peccati veniali possono esser rimessi sia per mezzo della confessione sia per mezzo di molte altre strade.
Noi adesso parliamo di quest’ultimo caso: di chi vive in grazia e desidera la remissione dei peccati veniali.

2. Tutti commettiamo diversi peccati veniali, anche se ci conserviamo in grazia. 
La nostra natura infatti è segnata dal peccato ed è inclinata al male.
Per questo se con l’aiuto della grazia possiamo evitare tutti e singoli i peccati mortali, non riusciamo invece a non cadere in qualche peccato veniale. Questo “per la corruzione degli appetiti inferiori della sensualità, i cui moti la ragione è in grado di reprimere singolarmente (e a ciò essi devono la loro natura di atti peccaminosi volontari), però non può reprimerli globalmente tutti; poiché mentre tenta di resistere ad uno, forse ne insorge un altro; ed anche perché la ragione non sempre è pronta ad evitare questi moti” (SAN TOMMASO, Somma teologica, I-II, 109, 8).

3. Ma vediamo adesso come si possano rimuovere i peccati veniali.
Essi coesistono con la grazia.
La loro remissione non richiede una nuova infusione di grazia santificante come avviene per chi ha commesso un peccato mortale.
È sufficiente un moto contrario e cioè un atto di penitenza.
Scrive San Tommaso: “Per la remissione del peccato veniale non si richiede una nuova infusione di grazia, ma basta un atto che derivi dalla grazia col quale si detesta esplicitamente, o per lo meno implicitamente il peccato, come quando uno si muove con fervore verso Dio” (Somma teologica, III, 87, 3).
Pertanto nessun peccato viene rimesso senza penitenza. Per i peccati mortali si richiede una penitenza più perfetta, che si attua detestando il peccato e confessandolo nel sacramento della Penitenza.
Per il peccato veniale la penitenza è necessaria perché si deve riparare l’affetto al peccato veniale.
E questo si attua con atti di carità accompagnati esplicitamente o almeno implicitamente con la penitenza e cioè col dispiacere nei confronti dei peccati commessi.

4. San Tommaso afferma senza esitazione che “i peccati veniali non possono essere rimessi senza la penitenza” (Somma teologica, III, 87, 1, sed contra) perché introducono nell’anima un certo disordine che va riparato.
Del resto anche S. Agostino diceva che "c'è nella Chiesa una penitenza quotidiana per i peccati veniali" (Serm 351,3).

5. Pertanto, se uno è già in grazia, basta un atto di penitenza compiuto per amore di Dio per rimuovere il peccato veniale, nel medesimo modo in cui in un vestito ancora tutto pulito basta una scrollatina (il moto contrario!) per eliminare la polvere.
Scrive San Tommaso: “Ogni cosa viene eliminata dal suo contrario.
Ma il peccato veniale non è contrario né alla grazia né alla carità, limitandosi a ritardarne gli atti, per il fatto che uno si attacca troppo a un bene creato, senza però andare contro Dio. Perché quindi tale peccato venga cancellato non si richiede un'infusione della grazia abituale; ma basta un moto della grazia, o della carità perché venga rimesso” (Somma teologica, III, 87, 2).
E ancora: “Il peccato veniale non viene mai rimesso senza un qualche atto della penitenza virtù, o esplicito, o implicito.
Però può essere rimesso senza la penitenza sacramento, la quale formalmente consiste nell'assoluzione del sacerdote” (Ib., ad 2).

6. Stabiliti questi principi, passiamo adesso alle conclusioni e cioè alle vie concrete per ottenere la remissione dei peccati veniali.
San Tommaso dice che “una pia pratica può influire sulla remissione dei peccati veniali” (Somma teologica, III, 87, 3).
Questo può avvenire in tre maniere. 
Anzitutto quando si riceve un sacramento, il quale infondendo la grazia, infonde sempre almeno implicitamente il dolore dei peccati.
In particolare la partecipazione all’Eucaristia giova alla remissione dei peccati veniali. 
In secondo luogo giovano alla remissione dei peccati veniali quelle pratiche che spesso accompagnano la recezione dei Sacramenti, come il Confiteor (Confesso a Dio onnipotente), l’atto di dolore, il battersi il petto, la preghiera del Padre nostro nella quale diciamo “Rimetti a noi i nostri debiti”.
In terzo luogo quando compiamo pratiche che spingono a compiere un atto di riverenza verso Dio e verso le cose di Dio. E in tal modo influiscono sulla remissione dei peccati la benedizione episcopale, l'aspersione dell'acqua benedetta, una qualsiasi unzione rituale, il pregare in una chiesa consacrata, e altre pratiche del genere” (Ib.).

7. Oltre a queste pratiche comportano la remissione dei peccati veniali tutti gli atti comandati dalla virtù di penitenza.
In particolare gli atti pazienza e di umiltà, la pratica del digiuno, la preghiera (molte preghiere sono ordinate alla richiesta del perdono dei peccati) e l’elemosina.
Di quest’ultima la Sacra Scrittura dice: “come l’acqua spegne il fuoco, così l’elemosina espia i peccati” (Sir 3,29).

8. Tuttavia mentre questi atti compiuti in grazia certamente la ravvivano e la possono accrescere e giovano alla remissione dei peccati veniali, quando si accede al sacramento della Penitenza viene sempre comunicata anche la grazia sacramentale che è di validissimo aiuto per superare le occasioni di peccato.
Sicché la confessione frequente anche solo per i peccati veniali rimane la via regale per la loro remissione.

Ti ringrazio, ti ricordo al Signore e ti benedico. 
Padre Angelo




Un sacerdote risponde

Di solito dopo la confessione mi sento sempre libero e in pace ma questa volta non è successo; le chiedo se la confessione sia valida e anche qualche aiuto in proposito

Quesito

Caro Padre Angelo,
mi chiamo Alessandro e le scrivo perché un dubbio mi tormenta e avrei bisogno d'aiuto.
Si tratta del pentimento dopo aver commesso un atto impuro, per fortuna dopo aver capito quello che il Signore ha fatto per noi e il Suo messaggio di amore e speranza queste cose capitano molto raramente, ma ultimamente dopo un periodo difficile purtroppo è ricapitato, solo che il pentimento per il gesto è stato meno forte del solito.
Mi vergogno veramente molto di questo e non capisco perché accada, non vorrei mai offendere e mancare di rispetto al nostro Signore, Lui ci ama e si è sacrificato per noi e proprio per questo non capisco quello che mi succede, mi sento come vuoto e questo mi fa paura.
Mi sono confessato ma dato i miei sentimenti non so se la confessione fosse effettivamente valida, non capisco se sono pentito davvero, non nel senso che io non sappia che quello che ho fatto è sbagliato, ma perché il dolore che provo è meno forte di quello che ho provato le altre volte che commettevo questi orribili errori.
In più di solito dopo la confessione mi sento sempre libero e in pace ma questa volta non è successo.
Mi fa paura e non mi è mai successo di sentirmi così vuoto e dal cuore duro.
La prego di darmi qualche consiglio e di aiutarmi in questo modo a tornare nella via che il Signore mi ha indicato, per favore.
Le auguro una buona serata e la ringrazio con tutto il cuore


Risposta del sacerdote

Carissimo,
1. di per sé non è necessario il dolore come sentimento.
È sufficiente avere la consapevolezza di aver offeso il Signore e desiderare di non averlo fatto. Vi è incluso il proposito almeno implicito di non farlo mai più.
Questi tre elementi (consapevolezza di aver offeso il Signore, desiderare di non averlo fatto, desiderio di non in farlo più) costituiscono quel dolore dell’anima che si chiama contrizione.
 
2. Ecco che cosa dice in proposito il Concilio di Trento: “La contrizione include non solo la cessazione del peccato e il proposito e l’inizio di una vita nuova, ma anche l’odio della vita vecchia, conforme all’espressione “Liberatevi da tutte le iniquità commesse e formatevi un cuore nuovo e uno spirito nuovo” (Ez 18,31). Certamente colui che riflette su quelle grida dei santi: “Contro di te, contro te solo ho peccato, quello che è male ai tuoi occhi, io l’ho fatto” (Sal 6,7); “Ripenso alla mia vita con l’amarezza nell’anima” (Is 38,15 Vlg), e su altre simili, comprenderà facilmente che esse provenivano da un odio veramente profondo della vita passata e da una grande detestazione del peccato” (DS 1676).
Giovanni Paolo II in Reconciliatio et Paenitentia dice che questo “è l’atto essenziale della penitenza” (RP 31,III). 
Senza quest’atto non si è penitenti e il sacramento viene esposto all’infruttuosità.

3. Il dolore dei peccati, soprattutto se si tratta di peccati mortali, deve essere sommo, perché sommo è il male compiuto.
È sufficiente però che il dolore sia sommo nella considerazione dei valori e degli atti compiuti.
Non si richiede che sia sommo nell’intensità delle emozioni. 
Nessun dubbio pertanto sulla validità della tua confessione.

4. Le emozioni possono non esserci per vari motivi.
Il principale motivo potrebbe essere costituito dallo stato di tiepidezza che ha portato al peccato e che perdura nonostante la confessione.
Vi potrebbe essere anche una certa stanchezza psicologica, un’astenia o qualche altro motivo.

5. Ma io desidero sottolineare la causa forse più comune, occasionata dal fatto che la confessione non è stata ben preparata.
Qui mi preme ricordare che la preparazione non consiste semplicemente nel far memoria dei peccati compiuti. Perché nel caso specifico che mi hai narrato c’era un peccato ben chiaro da confessare. Non occorreva pertanto un particolare esame di coscienza

6. Per preparazione alla confessione intendo il mettersi davanti al Signore, meglio ancora davanti all’immagine del Crocifisso, e chiedergli anzitutto la grazia del pentimento.
Il vero pentimento dei nostri peccati non è una faccenda semplicemente nostra, ma è dono del Signore.
È un pentimento di ordine soprannaturale e va invocato.

7. La strada più breve per ottenerlo consiste nel domandare alla Beata Vergine di impetrarlo per noi.
Se lo domandiamo ci viene dato. Spesso ci viene dato prontamente. 
Magari non sarà accompagnato da emozioni, che del resto non sono necessarie, ma si avverte che qualcosa è successo nella nostra anima perché ci si trova più risoluti e più determinati nel cambiare vita.

8. Domandarlo alla Beata Vergine significa certamente rivolgere a Lei il nostro pensiero e il nostro desiderio.
Ma di fatto la nostra richiesta è più vera e più bella se insieme a Lei contempliamo i misteri dolorosi del santo Rosario. 
Qui l’immagine di Gesù è sempre presente. Anzi, al di là dell’immagine, Gesù stesso si rende presente nell’anima.
E puoi vedere nel suo corpo gli effetti dei tuoi peccati, e di riflesso puoi intuire i mali che i tuoi peccati hanno inflitto al suo Copro mistico (la Chiesa) e a te stesso.
Ne viene da sé la detestazione di quanto hai fatto e il desiderio di non farlo di nuovo.
Fai dunque così.

Ti ringrazio del quesito, la cui risposta può giovare a molti.
Ti ricordo al Signore e ti benedico. 
Padre Angelo







[Modificato da Caterina63 16/05/2015 12:54]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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25/05/2015 09:44
 
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... così posso dire di essere stato un catechista anche se protestante e perciò su spiagge opposte. Ritornato alla Chiesa una e santa, cattolica ed apostolica, ho potuto studiare sui due catechismi quello tridentino e quello varato dalla chiesa sotto Giovanni Paolo II. Nonostante che il padrino del mio ritorno alla vera Chiesa sia un così detto tradizionalista  e continuasse a ripetermi che anche la chiesa cattolica di oggi ha tradito la dottrina, io studiando su entrambi i catechismi non solo non vi ho trovato errori dottrinali, ma ho notato alla fine una continuità maggiorata, semmai, arricchita e non impoverita. Tuttavia mi sono accorto di un particolare di non poco conto: la Penitenza. Nel nuovo Catechismo c'è carenza sulla Penitenza la quale virtù e prassi, oserei dire, è sempre stata all'occhiello della pratica dei Santi. Oggi si danno piccole penitenze alla confessione, ma la vera penitenza che fine ha fatto? e come riproporla oggi in un mondo edonista e schivo al solo pensare di fare penitenza in virtù di qualcosa di più grande? Grazie.

Rolando G.

 

****

Carissimo Rolando (porti il nome del grande, seppur quattordicenne Beato seminarista, ti affido alla sua intercessione), i problemi che esponi sono diversi e tutti molto interessanti, vediamo di aiutarci in questo ruolo nel quale il Signore ci ha posti con la Sua grazia, quello del Catechista il quale deve necessariamente esprimere quanto ricevuto, fedelmente, mettendo da parte ciò che opinabilmente vorrebbe tante volte dire.

Ci sono oggi, purtroppo, molti detti "tradizionalisti" che avanzano con le proprie opinioni, magari dettate da una massiccia dose di buona fede, ma ahimè sbagliata, così come dall'altro versante, quello modernista-progressista, si avanza seminando falsità a riguardo di ciò che la Chiesa oggi dice ed insegna per bocca del Pontefice. La battaglia che però dobbiamo fare non è contro le persone, come insegna San Paolo, ma è contro questo avanzare delle tenebre, contro i demoni che offuscano, dividono, contrappongono, portando inganno, caos, spesso confusione.

Potremo citare, a cominciare dal cardinale Sarah, Prefetto per la Congregazione del Culto Divino e nominato tale dal regnante Pontefice, ciò che ha detto in questi giorni: “La gente crede che ci sarà una rivoluzione, ma non potrà essere così. Perché la dottrina non appartiene a qualcuno, ma è di Cristo” (vedi qui).

Il Catechismo della Chiesa varato da Giovanni Paolo II (CCC) si pone su questa strada a tal punto da non aver ritoccato neppure la priorità degli argomenti da trattare: quello tridentino iniziava con l'Atto di Fede, il Credo, finendo con l'Orazione, idem ha fatto il "nuovo" Catechismo, citando lo stesso Catechismo tridentino e arricchendo il testo di molte fonti patristiche.

Spiegato questo, se qualcuno ancora avesse dubbi, bè, non possiamo obbligarlo a credere, preghiamo affinché apra gli occhi del cuore e comprenda.

 

Veniamo ora al nocciolo del vero problema: la Penitenza.

Sì! purtroppo è un problema concreto e reale, ma non certo per colpa del nuovo Catechismo, come vedremo, quanto piuttosto per il fatto che nè il Catechismo, nè queste cose vengono più dette, spiegate o insegnate, durante le omelie in parrocchia o durante il catechismo in parrocchia.

Il Catechismo chiarisce un aspetto fondamentale:

1430 Come già nei profeti, l'appello di Gesù alla conversione e alla penitenza non riguarda anzitutto opere esteriori, « il sacco e la cenere », i digiuni e le mortificazioni, ma la conversione del cuore, la penitenza interiore. Senza di essa, le opere di penitenza rimangono sterili e menzognere; la conversione interiore spinge invece all'espressione di questo atteggiamento in segni visibili, gesti e opere di penitenza (Cf Gl 2,12-13; Is 1,16-17; Mt 6,1-6.16-18).

Dunque le "opere di penitenza" non sono state abolite, ma ben configurate dentro un atteggiamento più concreto e sincero: la conversione del cuore, senza la quale ogni opera esteriore di penitenza sarebbe non soltanto inutile, ma persino dannosa. E' la conversione pura e vera a spingere poi ad atti esteriori di penitenza, i segni "visibili". La domanda che dobbiamo farci è fino a che punto - oggi - siamo davvero afflitti nel cuore per i peccati che commettiamo visto che, alla fine, non si è spinti a vere opere ed atti di penitenza anche pubblici?

Questo non significa che in passato chi praticava queste o certe penitenze fosse una persona falsa, questo nessuno può dirlo, contrariamente a quanto invece affermano le frange progressiste e moderniste. Molto più semplicemente la Chiesa che è Madre e in quanto tale spinge ognuno di noi a valutare più a fondo e più profondamente l'essenza autentica della Penitenza che è data da un vero "cuore affranto e umiliato" e che, come dice il Salmo: "tu o Dio non disprezzi!".

Possiamo invece dire che certa confusione deriva dal fatto che, chiamando sempre più insistentemente questo Sacramento "il Sacramento della Penitenza", si è finiti spesso con il mettere più in sordina la "soddisfazione" che tale Sacramento richiede dopo la confessione dei peccati.

Dice infatti il Catechismo:

1494 Il confessore propone al penitente il compimento di certi atti di « soddisfazione » o di « penitenza », al fine di riparare il danno causato dal peccato e ristabilire gli atteggiamenti consoni al discepolo di Cristo.

Infatti, sempre nel Catechismo leggiamo: "È chiamato sacramento della Penitenza poiché consacra un cammino personale ed ecclesiale di conversione, di pentimento e di soddisfazione del cristiano peccatore..."

E allora dobbiamo domandarci: cosa è la Penitenza e in cosa consiste oggi?

Penitenza, pentire, penitente, hanno tutti una comune radice che viene da quel rimorso di un cuore sincero che, comprendendo di essere caduto in disgrazia, non si piega su se stesso, ma si rialza, pentito reagisce accogliendo la pena (pen-itere=penitente) che sa di dover soddisfare per il reato commesso. Tale cuore è spinto dalla grazia ricevuta nel confessionale, l'assoluzione dei peccati confessati, quindi la certezza di essere stato già perdonato lo spinge ancor più a dedicarsi all'espiazione (pena) del danno fatto.

In tal modo e sempre nella Chiesa, le penitenze hanno avuto una costante ininterrotta, fondata sui generi dei peccati commessi. Le "soddisfazioni" hanno così sempre riguardato il genere della colpa commessa specialmente a riguardo di terzi come il rubare qualcosa, il dire falsa testimonianza, l'uccidere, lo stesso adulterio sono peccati che coinvolgono altre persone conducendole nell'errore, nel male, nel danno, danni che vanno riparati dopo la contrizione del cuore, dopo la confessione.

Il Purgatorio si sviluppa per altro sul medesimo contesto e concetto, dice infatti Gesù:

"Quando vai con il tuo avversario davanti al magistrato, lungo la strada procura di accordarti con lui, perché non ti trascini davanti al giudice e il giudice ti consegni all’esecutore e questi ti getti in prigione. Ti assicuro, non ne uscirai finché non avrai pagato fino all’ultimo spicciolo” (Lc. 12,54-59).

Il vero povero, il frodato da noi, il calunniato, l'abortito, l'ingannato da noi e così via, sono coloro che ci giudicheranno, sono le loro testimonianze alle nostre opere corrotte, nel contesto della giustizia divina, che ci faranno finire in questa prigione dalla quale si uscirà solo dopo aver pagato fino all'ultimo spicciolo, e se non convertiti  possono condurci persino all'inferno. Ecco perchè la maternità santa della Chiesa ci insegna a "soddisfare" subito, da qui, queste pene, anche per evitarci una lunga prigionia, o persino la morte eterna che è la dannazione. Non si tratta di ricatti o di spauracchi, ma di giustizia: ti sarà dato ciò che avrai scelto (cfr. Siracide).

Le parole di Gesù sulla riconciliazione che chiedono accoglienza e comprensione illuminano questa situazione. Perché l’unico peccato che Dio non riesce a perdonare è proprio la nostra mancanza di perdono verso gli altri (Mt 6,14), non è un caso che Egli l'abbia messo anche nella preghiera più imponente, il Pater Noster: "rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori". Per questo, consiglia di cercare la riconciliazione prima che sia troppo tardi! Quando giungerà l’ora del giudizio, sarà troppo tardi. Ci dice: quando hai tempo, cerca di cambiar vita, comportamento e modo di pensare e cerca di fare il passo giusto (cf. Mt 5,25-26; Col 3,13; Ef 4,32; Mc 11,25).

La penitenza correttamente intesa ci spinge allora a questo cambiamento, a questa conversione attraverso il compimento della soddisfazione in riparazione alle colpe commesse. La vera e autentica Penitenza è perciò la vera pedagogia di Dio verso l'uomo, verso il quale dimostra sempre di esserne il vero Medico.

Non dimentichiamo come per esempio, le sette opere di misericordia corporali, che possono essere vere e proprie opere di penitenza: dar da mangiare agli affamati. Dar da bere agli assetati. Vestire gli ignudi. Alloggiare i pellegrini. Visitare gli infermi. Visitare i carcerati. Seppellire i morti, e le sette opere di misericordia spirituale: Consigliare i dubbiosi. Insegnare agli ignoranti. Ammonire i peccatori. Consolare gli afflitti. Perdonare le offese. Sopportare pazientemente le persone moleste. Pregare Dio per i vivi e per i morti, tratte dal Vangelo di Matteo, siano state di recente raccomandate dal Papa, anzi, ha chiesto proprio di impararle a memoria per poterle mettere in pratica tutte e quattordici (vedi qui - Discorso del 30 aprile 2015).

 

Per concludere, come abbiamo visto, il nuovo CCC non ha affatto cancellato la Penitenza correttamente intesa, al contrario, la ha arricchita di senso e significato, dice infatti ancora il Catechismo:

1434 La penitenza interiore del cristiano può avere espressioni molto varie. La Scrittura e i Padri insistono soprattutto su tre forme: il digiuno, la preghiera, l'elemosina, che esprimono la conversione in rapporto a se stessi, in rapporto a Dio e in rapporto agli altri.

1435 La conversione si realizza nella vita quotidiana attraverso gesti di riconciliazione, attraverso la sollecitudine per i poveri, l'esercizio e la difesa della giustizia e del diritto, attraverso la confessione delle colpe ai fratelli, la correzione fraterna, la revisione di vita, l'esame di coscienza, la direzione spirituale, l'accettazione delle sofferenze, la perseveranza nella persecuzione a causa della giustizia. Prendere la propria croce, ogni giorno, e seguire Gesù è la via più sicura della penitenza.

1438 I tempi e i giorni di penitenza nel corso dell'anno liturgico (il tempo della Quaresima, ogni venerdì in memoria della morte del Signore) sono momenti forti della pratica penitenziale della Chiesa. Questi tempi sono particolarmente adatti per gli esercizi spirituali, le liturgie penitenziali, i pellegrinaggi in segno di penitenza, le privazioni volontarie come il digiuno e l'elemosina, la condivisione fraterna (opere caritative e missionarie).

A significare quanto abbiamo esposto qui e a suggellare quanto detto, ecco come spiega il CCC alcuni legittimi e leciti cambiamenti:

1448 Attraverso i cambiamenti che la disciplina e la celebrazione di questo sacramento hanno conosciuto nel corso dei secoli, si discerne la medesima struttura fondamentale. Essa comporta due elementi ugualmente essenziali: da una parte, gli atti dell'uomo che si converte sotto l'azione dello Spirito Santo: cioè la contrizione, la confessione e la soddisfazione; dall'altra parte, l'azione di Dio attraverso l'intervento della Chiesa. La Chiesa che, mediante il Vescovo e i suoi presbiteri, concede nel nome di Gesù Cristo il perdono dei peccati e stabilisce la modalità della soddisfazione, prega anche per il peccatore e fa penitenza con lui. Così il peccatore viene guarito e ristabilito nella comunione ecclesiale.

Caro Rolando, nel ringraziarti per le domande a me rivolte, ti auguro ogni bene e un buon lavoro da catechista nel Cuore della Chiesa nostra Madre.

Unendoti a noi nel Santo Rosario di Maria, volgiamo fraterni saluti.

Sia lodato Gesù Cristo

La pagina verrà aggiornata, cliccare qui per l'indice agli argomenti; e qui per l'indice alla sezione del Catechismo.

Si legga anche questi

Misericordia giustizia e perdono in che senso

  Risposte a dubbi delusioni combattimento




Un sacerdote risponde

Sono una trans operata, convivo con un ragazzo, voglio solo iniziare una nuova vita in pace ma ho paura di dannarmi

Quesito

Caro Padre Angelo,
mi ponevo una domanda, sono una trans operata, da premettere che sono una credente e che ho fatto mio il santo rosario ogni di, la preghiera fa parte della mia vita, da un anno conosco un ragazzo, ora mi sono trasferita a casa sua e sono in cerca di un lavoro, insomma voglio iniziare una nuova vita in pace, cosa devo fare lasciarlo, ma così facendo mi ritroverei sola e senza sostentamento, da premettere che nessuno sa del mio passato, voglio solo iniziare una nuova vita in pace ma ho paura di dannarmi se dovessi andare avanti con questa storia, dalla altra parte mi dispiace ci vogliamo bene e se dovessi rimanere sola non saprei cosa fare, non pensa che anche io ho diritto ad avere qualcuno che mi voglia bene????


Risposta del sacerdote

Carissima,
1. mi compiaccio anzitutto per il Rosario che hai fatto tuo e che reciti ogni giorno.
 All’età di 32 anni colui che poi diverrà Papa Giovanni XXIII scriveva nel suo diario: “E se quest’anno fosse l’ultimo della mia vita? Oh che gioia presentarmi davanti a Maria con la mia fragrante corona! Sarà questo il mio passaporto migliore” (Giornale dell’anima, n. 560).
Ti esorto pertanto a continuare con il Santo Rosario. Anche per te sarà il passaporto migliore.
Sono convinto infatti che recitando il santo Rosario tutti i giorni la Madonna poco per volta ti otterrà tutte le grazie che sono necessarie per la salvezza.

2. Adesso vengo invece al passo che hai compiuto, un passo che ha comportato per te grande sofferenza. Ne sono cerio. 
C’è stata sofferenza per la situazione in cui vivevi precedentemente e sofferenza anche nel prendere la decisione.
Secondo me non è stata la decisione più giusta perché di fatto il carattere sessuale è scritto nel nostro DNA e pertanto nelle nostre cellule, ed è immodificabile.
Tu hai modificato solo la morfologia del tuo corpo, mentre il tuo corpo biologicamente è rimasto lo stesso.
Questo avrebbe dovuto portarti ad attuare la vera terapia, che in questo caso era da attuare più a livello psicologico che in quello fisiologico.
Ma ormai è andata così e l’intervento di fatto è irreversibile.

3. Nel frattempo hai commesso un altro errore: quello di andare a convivere, mentre presumo che prima tu abitassi con i tuoi, dove tutto sommato avevi ancora un tetto e anche il cibo, in attesa di poter trovare una qualche sistemazione.
Adesso invece ti trovi convivente e senza lavoro e proprio per questo sei fortemente condizionata. Non sei libera di compiere le tue scelte perché l’attuale situazione ti garantisce almeno la sopravvivenza.

4. Di fatto sei costretta a vivere con il convivente da marito e moglie, senza esserlo evidentemente.
E sei anche nell’incapacità di divenirlo, almeno sotto il profilo ecclesiale.

5. Mi dici che nessuno è a conoscenza della tua situazione. Presumo che il convivente lo sia e ti abbia accettato così come sei.
Per i conviventi (e non solo per loro ma anche per quanti vivono in una situazione irregolare analoga alla tua) la condizione per poter accedere ai sacramenti della penitenza e della Santa Comunione è quella di vivere in castità e cioè senza relazioni sessuali.
In tale caso però potresti fare la Santa Comunione solo dove non sei conosciuta come convivente. Questo non è gravoso, ma è un gesto di carità nei confronti della comunità cristiana che invece rimarrebbe male nell’apprendere che un convivente si comporta nei confronti dei Sacramenti come se tutto fosse regolare.

6. Mi scrivi: “non pensa che anche io ho diritto ad avere qualcuno che mi voglia bene”?
Sì, hai diritto che qualcuno ti ami e ti voglia bene.
Ma come per una persona sposata non c’è il diritto di essere amata e voluta bene da chiunque, così non c’è il diritto di essere amati da chicchessia a nessuna condizione.
L’amore, e cioè la donazione, deve essere vero. Se non è vero, è una finzione.

7. Ora lo stato di convivenza ti ha messo in una condizione di provvisorietà per cui di fatto non c’è donazione totale, donazione vera.
Perché se uno dona il proprio io, rimane “donato” per sempre. Dal momento della donazione non si appartiene più, appartiene all’altro e gli appartiene irrevocabilmente.
Ma nella convivenza c’è proprio il rifiuto di donarsi in totalità, per sempre e in maniera esclusiva. Essa ha per sua caratteristica la provvisorietà.
Allora hai diritto di essere amata, sì, ma non a metà. Perché si tratterebbe di una finzione.

8. Inoltre per te c’è anche il problema dell’intervento di transessualità che ti mette in condizione di non poter celebrare un vero matrimonio perché infine si tratterebbe di un matrimonio tra due maschi.
Pertanto proprio nella logica del diritto di essere amata e di poter amare in maniera vera devi cercare nuove strade che sono quelle della donazione di sé analoga quella di tante persone che per scelta personale o per vocazione o per necessità non si sono sposate.
Anche queste persone amano e si sentono amate, anche se non lo realizzano “per via sessuale”.

9. Soprattutto per un credente, come sei tu, c’è un’altra sponsalità che sazia il cuore e rende felici.
È quella sponsalità per la quale si porta all’interno del proprio cuore, nell’intimo di sé, la presenza personale dell’Amico più caro, più fedele, più ricco, più dolce e più amabile: Gesù Cristo.
Per chi non ha fede, e cioè non ha fatto quest’esperienza, le parole che ho scritto possono sembrare solo parole, anzi parole vuote.
Ma lo stato di letizia di coloro che consacrati o laici vivono così testimonia che questo è vero ed è possibile. 
Dio non abbandona nessuno a meno che uno di propria iniziativa non lo abbandoni e a tutti offre la maniera di amare e di sentirsi amati in maniera vera, e cioè in maniera piena e soddisfacente..

10. Ti assicuro la mia preghiera perché questo si possa realizzare anche per te.
Sono convinto, come ti ho scritto all’inizio, che la Madonna alla quale sei fedele col Santo Rosario quotidiano, ti aiuterà a fare i passi giusti e a vivere secondo Dio, e cioè in maniera felice, anche da transessuale che ha fatto una scelta irreversibile.
Ti benedico e nello stesso tempo ti esprimo la mia vicinanza con l’affetto e la partecipazione alle tue ansie.
Padre Angelo





[Modificato da Caterina63 07/06/2015 10:21]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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09/06/2015 10:38
 
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   Un sacerdote risponde

Mi sono separata dal marito perché non lo amavo più e nel frattempo mi sono innamorata di un altro; perché dovrei pentirmene?

Quesito

Gentilissimo, 
sono nata cattolica, ho frequentato la parrocchia durante l’adolescenza con passione e fiducia, mi sono sposata perché amavo mio marito, volevo vivere con lui per sempre, ho avuto due figli, tuttora voglio bene a mio marito, ma da poco ci siamo separati. È stato doloroso, è ancora fonte di sofferenza, sono delusa, dispiaciuta, è svanito il mio sogno, sono crollate le mie promesse. L’ho lasciato io perché non ero felice, perché non lo amavo più, perché non eravamo d’accordo su tante cose, perché mi sono innamorata di un altro. Non le voglio nascondere nulla, non ho paura del giudizio, questa è tutta la verità, senza omissioni che potrebbero giustificarmi.
E ora la Chiesa non mi vuole più, sono una peccatrice, perché non amavo più, l’amore non è un oggetto, è un sentimento che deriva da emozioni, e le emozioni non sono ragionevoli né sotto il controllo della ragione. Ho scelto di vivere serena e non moglie depressa e infelice. Avrei dato anche a mio marito l’infelicità, nessuno può vivere con una persona che non lo ama.
La Chiesa mi punta il dito, Gesù lo avrebbe fatto? Di cosa dovrei pentirmi? Di aver seguito il mio cuore, di aver scelto liberamente? La Chiesa mi disapprova. La Chiesa mi nega la comunione. Gesù ha detto: “Prendete e mangiatene tutti”, non ha fatto eccezioni.
Io la comunione non la voglio per forza. La voglio perché Gesù ha invitato tutti a mangiare alla sua mensa. E io sono in mezzo a tutti.
Cordiali saluti.
(nome)


Risposta del sacerdote

Carissima,
dobbiamo mettere in chiaro diverse cose.

1.  La prima: mi dici che, sebbene separata, vuoi ancora bene a tuo marito. Nello stesso tempo mi dici che non lo ami più.
Penso che con quest’ultima espressione tu intenda dire che non provi più per lui attrazione.
Ebbene, quando ci si sposa bisogna mettere nel conto anche quest’eventualità.
Non sempre c’è l’attrazione fisica e non sempre questa rimane. Hai ragione quando mi scrivi che “le emozioni non sono ragionevoli né sotto il controllo della ragione”.
Tuttavia nel giorno del matrimonio tu hai promesso a tuo marito davanti a Dio che lo avresti amato e rispettato nella buona e cattiva sorte per tutti i giorni della tua vita”.
Col matrimonio scatta qualcosa nella nostra vita per cui non si è più come due fidanzati.
Attraverso il consenso coniugale “ci si promette” per sempre “nella buona e cattiva sorte”.
Nel consenso coniugale e cioè nel sì che si pronuncia davanti all’altare avviene il momento più alto del matrimonio: la cessione di se stessi e della propria vita alla persona amata.
Una volta ceduti, non ci si appartiene più. Si è dell’altro per sempre.

2. Ora nella vita di ciascuno di  noi ci possono essere momenti di stanchezza o di crisi.
Ma la consapevolezza di quello che si è fatto nel giorno del matrimonio o dell’ordinazione sacra deve dare la forza per andare avanti ed essere fedeli agli impegni assunti.
Tutti sono soggetti a tentazioni. Ma queste non sono sufficienti per giustificare ogni nostro cedimento.
Hai un marito che hai lasciato a se stesso e che hai defraudato di un diritto per il quale aveva investito tutte le energie della sua vita: quello di averti come sposa e compagna di vita. 
Hai due figli che certamente soffrono per la fine della loro famiglia.
Hai un impegno di santificazione matrimoniale dal quale adesso stai derogando. E di questo un giorno dovrai renderne conto a Dio.

3. Onestamente mi hai detto che in questo momento stai amando un altro.
Questo non ti è lecito perché il tuo affetto l’hai promesso esclusivamente per tuo marito.
Quanto hai fatto è un tradimento della promessa matrimoniale e costituisce adulterio.
Non c’è bisogno di appellarsi al Vangelo per dire che si tratta di questo.

4. Mi dici: “Di cosa dovrei pentirmi?”
Devi pentirti dell’adulterio.
Devi pentirti del tradimento,
Devi pentirti della sofferenza causata a tuo marito e di avergli tolto un diritto.
Devi pentirti della sofferenza causata ai tuoi figli privati di una famiglia in cui i loro genitori sono uniti.
Devi pentirti di aver sfasciato una famiglia per essere corsa dietro alla concupiscenza.
Devi pentirti del cattivo esempio che hai dato ai tuoi e a molti altri.

5. Scrivi “La Chiesa mi punta il dito, Gesù lo avrebbe fatto? Di cosa dovrei pentirmi?”.
Mi chiedi se devi pentirti di essere andata dietro al tuo cuore.
Non è sufficiente obbedire al cuore, soprattutto se questo è malato, come avviene quando è in preda alla concupiscenza.
Se il cuore dicesse a una persona di fare pedofilia non vi sarebbe nulla da obiettare perché gliel’ha detto il cuore? 
Le decisioni si prendono, sì, con il cuore, ma anzitutto con la mente.
E il Signore ha illuminato la nostra mente con la legge che ha scolpito all’interno della coscienza.
E poiché questa si annebbia a motivo del peccato, Dio ce l’ha messa anche davanti agli occhi con i 10 comandamenti, dove nel sesto si legge: non commettere adulterio.
La tua coscienza in questo momento è annebbiata e forse anche accecata. Per questo non vedi ciò di cui dovresti pentirti.

6. “La Chiesa non ti punta il dito”. 
No, la Chiesa è sempre pronta ad accoglierti. La Chiesa è madre ed è desiderosa che tutti i suoi figli si salvino.
Soffre per te e per la tua famiglia e continua a pregare per te. 
È dispiaciuta per quello che stai fatto del tuo matrimonio che è indissolubile.
È dispiaciuta per l’umiliazione e la sofferenza che hai dato a tuo marito e ai tuoi figli.

7. La chiesa non ti nega la Comunione. La offre a tutti, purché siano pentiti e confessati dei loro peccati.
Sei tu che ti sei messa in una condizione per cui hai rotto di tua iniziativa la Santa Comunione con Gesù Cristo.
Come non ricordare le parole di Gesù: “(Dio) dall'inizio della creazione li fece maschio e femmina; per questo l'uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due diventeranno una carne sola. Così non sono più due, ma una sola carne.
Dunque l'uomo non divida quello che Dio ha congiunto». 
A casa, i discepoli lo interrogavano di nuovo su questo argomento. E disse loro: «Chi ripudia la propria moglie e ne sposa un'altra, commette adulterio verso di lei; e se lei, ripudiato il marito, ne sposa un altro, commette adulterio»” (Mc 10,6-12)?

8. A proposito della Comunione la Chiesa ricorda ai fedeli ciò che dice la Sacra Scrittura: “Perciò chiunque mangia il pane o beve al calice del Signore in modo indegno, sarà colpevole verso il corpo e il sangue del Signore. Ciascuno, dunque, esamini se stesso e poi mangi del pane e beva dal calice; perché chi mangia e beve senza riconoscere il corpo del Signore, mangia e beve la propria condanna. È per questo che tra voi ci sono molti ammalati e infermi, e un buon numero sono morti” (1 Cor 11,27-30).
Come vedi, è per misericordia verso coloro che vanno fuori strada che non può essere data la Santa Comunione
La Chiesa vuole risparmiare loro alcuni mali gravissimi cui essi si espongono da se stessi mettendosi in balia del comune avversario: “È per questo che tra voi ci sono molti ammalati e infermi, e un buon numero sono morti” (1 Cor 11,27-30).

9. Dici: “La Chiesa mi nega la comunione. Gesù ha detto: “Prendete e mangiatene tutti”, non ha fatto eccezioni. Io la comunione non la voglio per forza. La voglio perché Gesù ha invitato tutti a mangiare alla sua mensa. E io sono in mezzo a tutti”.
Sì va bene: Gesù vuole che tutti si nutrano del Suo Corpo e del Suo Sangue. Si è incarnato proprio per portarci a questa altissima comunione.
Ma non ricordi quello che Gesù stesso ha detto nella parabola degli invitati a nozze?
Ha voluto che tutti partecipassero alle nozze.
Sapeva che quanti sarebbero stati chiamati dai crocicchi delle strade non erano pronti. Aveva però approntato il guardaroba per purificarsi e indossare l’abito nuziale. I grandi tra gli antichi orientali provvedevano all’abito di nozze per gli invitati, perché tutti fossero vestiti in maniera degna del banchetto che si consumava.
Ecco il testo: “Poi disse ai suoi servi: «La festa di nozze è pronta, ma gli invitati non erano degni; andate ora ai crocicchi delle strade e tutti quelli che troverete, chiamateli alle nozze». Usciti per le strade, quei servi radunarono tutti quelli che trovarono, cattivi e buoni, e la sala delle nozze si riempì di commensali. Il re entrò per vedere i commensali e lì scorse un uomo che non indossava l'abito nuziale. Gli disse: «Amico, come mai sei entrato qui senza l'abito nuziale?». Quello ammutolì. Allora il re ordinò ai servi: «Legatelo mani e piedi e gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti»” (Mt 22,8-13). 
Per fare la Santa Comunione ti è chiesto dunque di passare dal guardaroba, e cioè confessare i tuoi peccati, farne penitenza e rivestirti dell’abito nuziale della Grazia.
Questo comporta lasciare l’uomo col quale stai consumando il tuo adulterio.
Se non lo fai, corri il rischio di fare la fine di quel tale che ha voluto presentarsi così com’era.
Ma non te lo auguro con tutto il cuore.

Ti ricordo vivamente al Signore e insieme con te ricordo anche tuo marito e i tuoi carissimi figli.
Vi benedico. 
Padre Angelo









  interessante riflessione di Padre Angelo Bellon O.P. cliccare qui per la risposta integrale



.... la trasmissione della vita umana avviene non solo attraverso un atto personale, ma anche attraverso un atto cosciente.
Vale a dire attraverso un atto in cui la persona è consapevole di quello che fa, si esprime in maniera libera e responsabile, fà dono di se stessa.

Questo richiede la presenza della persona e non semplicemente di un suo gamete. Il gamete non s’identifica con la persona. Nel gamete non c’è la persona, ma un frutto della persona.
Mai una persona potrebbe dire: io sono quelle cellule.

Il dono di sé è sempre indissolubilmente congiunto con la presenza della persona che lo esprime, con la totalità dell’anima e del corpo.

Pertanto l’azione personale mediante la quale i coniugi si donano in totalità e nel modo ora descritto li rende aperti alla vita attraverso una cooperazione simultanea, e cioè con la presenza personale di tutti e due e non semplicemente con qualcosa di biologico, e attraverso una cooperazione immediata, e cioè senza mediazione di terzi.

Questo principio era stato espresso da Pio XII, il quale aveva affermato che l’azione fecondante dei coniugi esige una cooperazione simultanea e immediata(Discorso alle ostetriche, 29.10.1951.

6. Dal momento che la persona umana ha dignità di fine, si richiede che essa sia rispettata come tale fin dall’inizio, dal suo sorgere.

La generazione di una persona avviene da persona a persona.

Il figlio non è “il prodotto di un intervento di tecniche mediche e biologiche: ciò equivarrebbe a ridurlo a diventare l’oggetto di una tecnologia scientifica” (DV II,4,b).

È nel loro corpo e per mezzo del loro corpo che gli sposi consumano il matrimonio e possono diventare padre e madre (Istruzione Donum vitae, II,4,b). E questo è quanto dire: “È nella loro persona e per mezzo della loro persona”.

7. Potrebbe sembrare un principio solo astratto, teorico. Ma quante conseguenze sul figlio proprio perché non viene rispettato come persona fin dall’inizio.

È il caso di dire con Davide nel salmo 119: “Di ogni cosa perfetta ho visto il limite, solo la tua legge non ha confini” (Sal 119,96).

Anche la scienza e la tecnica hanno i loro limiti. Le scoperte successive lo manifestano.
Ora quando si deroga dalla natura questi limiti si fanno sentire in maniera pesante e, purtroppo, si fanno sentire sui figli, come ho accennato al punto 2.

8. Il matrimonio non dà diritto ad avere un figlio, che rimane sempre un dono, ma a compiere gli atti che di loro natura sono ordinati alla procreaizone.
L’aveva ricordato già Pio XII: “Il contratto matrimoniale… non ha per oggetto la prole, ma gli atti naturali capaci di generare una nuova vita e a questo scopo ordinati” (19.5.1956).

L’Istruzione Donum vitae scrive: “Il matrimonio non conferisce agli sposi il diritto ad avere un figlio, ma soltanto il diritto a porre quegli atti che di per sé sono ordinati alla procreazione.

Un vero e proprio diritto al figlio sarebbe contrario alla sua dignità e alla sua natura. Il figlio non è un qualche cosa di dovuto e non può essere considerato come oggetto di proprietà: è piuttosto un dono, ‘il più grande’ (GS 50) e il più gratuito del matrimonio, ed è testimonianza vivente della donazione reciproca dei suoi genitori”(DV II,8)1.

Il desiderio del figlio è una cosa ottima, è nella logica del matrimonio, è il desiderio di una benedizione del Signore.
Ma questo desiderio non può essere attuato a tutti i costi, a scapito di altre vite umane, a scapito della dignità della persona del figlio e dei suoi diritti.


 




Un sacerdote risponde
http://www.amicidomenicani.it/leggi_sacerdote.php?id=4200 

Non sono più giovanissimo e le espongo un problema che ho nel matrimonio relativamente all'intimità coniugale

Quesito

Caro Padre Angelo 
Sono sposato felicemente da 41 anni con due figlie sposate da tempo e due  nipotini adorabili. 
Il nostro rapporto di coppia sta cambiando da un po’ di tempo. Io, nonostante abbia subito una operazione alla prostata per un tumore maligno (operazione HIFU ben riuscita) considero nel nostro amore coniugale il rapporto sessuale ancora importante, bello e “necessario”. Mia moglie, diversamente da me, molte volte, lo vede con distacco, quasi con “tolleranza”. 
Siamo credenti e praticanti con una fede non vivacissima, ma di medio livello. La preghiera che rivolgiamo al Signore è qualche volta comune, ma il più delle volte personale. La liturgia domenicale è comunque sempre insieme assidua e partecipata. 
Veniamo al rapporto sessuale. Quando entrambi partecipiamo con ardore è sempre bello come le prime volte appena sposati, ma spesso la mia compagna non ha “voglia” e per non dispiacermi ci spingiamo a baci e  carezze che mentre lasciano lei abbastanza “fredda” portano me inesorabilmente all’orgasmo (di fatto è una masturbazione). Anche dopo questo “apice” - però solitario - ci scambiamo  tanti baci e tante ulteriori carezze ed effusioni amorose, ma il vero rapporto sessuale - di fatto  - non c’è stato. 
Finora (io credo per paura di una risposta non desiderata) non ho mai confessato questa anomalia se anomalia di rapporto coniugale lo è realmente. Ho anche paura ad inviare a lei questo mio quesito per il timore della risposta che mi potrà esser data. Ebbene amo realmente mia moglie, ma stento ad avere in questa fase della vita (inizio della terza età) gli stessi ritmi sessuali . 
Posso aggiungere  che ovviamente preferisco il rapporto sessuale vero e proprio che è appagante e di grande spinta alla vita coniugale, ma l’amoreggiamento sopra descritto per me è comunque bello seppur “palliativo” e mia moglie partecipa con “altruismo” quasi soddisfatta di aver trovato un modo per accontentarmi e non “sacrificarsi”. 
Con stima e fiducia la saluto.


Risposta del sacerdote

Carissimo, 
1. Paolo VI nell’enciclica Humanae vitae insegna che “qualsiasi atto matrimoniale (quilibet matrimonii usus) deve rimanere aperto alla trasmissione della vita” (HV 11). 
La versione italiana traduce “qualsiasi atto matrimoniale”. Il testo latino, che è quello ufficiale, non dice atto, ma usus.
Dunque qualsiasi uso del matrimonio o dell’intimità coniugale deve essere aperto alla vita. 
E questo perché nella donazione totale e reciproca gli sposi si donano tutto, compresa la capacità procreativa che vanno suscitando.

2. Ora anche nei rapporti coniugali non fertili si attua una donazione totale e vicendevole di tutto il proprio essere.
Sono atti che sono in linea col disegno del Creatore che ha previsto anche questo per favorire la mutua intesa.

3. L’uso disordinato delle potenze procreative, come succede quando si giunge volutamente alla masturbazione di uno o di entrambi i coniugi, trasforma radicalmente il significato della sessualità e fa sì che quell’atto cessi di essere un atto di autentico amore. Al suo posto subentra la libidine fine a se stessa.
Con ciò stesso ci si mette al di fuori del disegno santificante di Dio che - proprio perché santificante – impegna nell’oblazione ed è sempre pieno di carità.
È questo il motivo per cui avverti da te stesso che nell’atto che si conclude con la masturbazione c’è qualcosa che non va e che questo atto è del tutto diverso dal rapporto coniugale perché è privato della sua interiorità.

4. Pertanto ti direi tre cose.
La prima: è quella di tralasciare questo tipo di surrogato, che non è amore vero verso tua moglie, la quale ne farebbe volentieri a meno, ma è amore per te stesso, anzi è un amore disordinato di te stesso, è soddisfazione di una tentazione e in termini teologici è un peccato.
Non devi dimenticare l’obiettivo superiore del tuo matrimonio: la santificazione. 
A questa santificazione si giunge attraverso l’esercizio di tutte le virtù, compresa la purezza nell’ambito matrimoniale.
Astieniti pertanto da questo peccato per amore del Signore.
Ricorda che il corpo nel quale abiti, prima di essere tuo, è suo.
Te l’ha dato perché sia tempio dello Spirito Santo (1 Cor 6,19).
Tieni presente anche quanto dice nella sacra Scrittura: “Perché questa è la volontà di Dio, la vostra santificazione: che vi asteniate dall’impudicizia, che ciascuno sappia mantenere il proprio corpo con santità e rispetto, non come oggetto di passioni e di libidine, come i pagani che non conoscono Dio; che nessuno offenda o inganni in questa materia il proprio fratello, perché il Signore è vindice di tutte queste cose, come già vi abbiamo detto e attestato. Dio non ci ha chiamati all’impurità, ma alla santificazione. Perciò chi disprezza queste norme, non disprezza un uomo, ma Dio stesso, che ci dona il suo santo Spirito” (1 Tess 4,3-8).

5. La seconda cosa che desidero dirti: mi dici che la tua vita cristiana è guidata da una “fede non vivacissima, ma di medio livello”.
Poi soggiungi: “La preghiera che rivolgiamo al Signore è qualche volta comune, ma il più delle volte personale. La liturgia domenicale è comunque sempre insieme assidua e partecipata”.
Intanto quello che fai è bene e potrei dire che la definizione che hai dato della tua vita cristiana è vera.
Tuttavia io ti direi di andare più avanti e te lo dico proprio perché tanto tu quanto il sottoscritto siamo reduci da ciò che abbiamo sentito nel Vangelo di domenica scorsa (trentatreesima del tempo ordinario, anno a). Abbiamo sentito la parabola dei talenti.
Ebbene, i talenti di cui parla il Signore non sono le qualità naturali che tutti possiedono, Queste le avevano anche i servi ai quali il padrone aveva affidato quei talenti. 
Dal momento che un talento ai tempi di Gesù corrispondeva a circa un  milione di euro attuali comprendiamo subito che si tratta di realtà preziosissime e sono quelle che corrispondono al tesoro del Vangelo, della Grazia, della presenza di Gesù in noi, del dono dello Spirito Santo, della pratica dei sacramenti (soprattutto dell’Eucaristia e della Penitenza), della Comunione dei Santi e con i Santi e della carità.
Abbiamo sentito che i primi due servitori avevano ricevuto rispettivamente 5 e 2 talenti e che ne hanno guadagnati altri cinque e altri due. E che cioè li hanno fatti rendere al cento per cento.
Ecco dunque che cosa desidero dirti: traffica anche tu i beni di ordine soprannaturale che il Signore ha messo nelle tue mani al cento per cento. Non accontentarti di farli rendere a metà.
In questo periodo della tua vita, in cui probabilmente sei pensionato, dedicati ancora di più alla pratica religiosa.
Ad esempio, recita il santo Rosario insieme a tua moglie tutti i giorni per il bene vostro, dei tuoi figli, della Chiesa e del mondo.
Inoltre, se non è disagevole, vai a Messa anche tutti i giorni. È bello poter andare incontro al Signore e dirgli: “Mi hai dato il tesoro della vita di grazia, il tesoro della vita cristiana. Ecco l’ho trafficato al 100 per cento”.
E allora al termine dei tuoi giorni potrai sentire quelle parole che devono orientare tutta la nostra vita: “Bene servo buono e fedele. Sei stato fedele nel poco, ricevi autorità su molto. Entra nella gioia del tuo Signore” (Mt 25, 21).
Se farai quanto mi sono permesso di consigliarti, ti accorgerai di giorno in giorno che mediante il Rosario insieme a tua moglie e con la partecipazione alla Messa e alla Santa Comunione entrerai quotidianamente già fin d’ora e sempre di più nella gioia del tuo Signore.
Capirai che questi sono i beni più grandi che possediamo (“poiché la tua grazia vale più della vita”, Sal 63,4), che comunicano le gioie più pure e penetranti che possiamo gustare di qua. Sono quei beni ai quali sono ordinati tutti i beni di ordine temporale come al loro obiettivo ultimo.

3. La terza cosa: se il peccato facesse talvolta breccia nella tua vita, vai a confessarti.
Dirai al sacerdote che non hai usato del matrimonio secondo Dio. Non è necessario specificare oltre.
Paolo VI nell’enciclica Humanae vitae scrive: “E se il peccato facesse ancora presa su di loro, non si scoraggino, ma ricorrano con umile perseveranza alla misericordia di Dio, che viene elargita nel sacramento della Penitenza” (HV 25).
Anche questa è un’esperienza molto bella: quella di sentirsi mondati interiormente dal Sangue di Cristo che viene versato su di noi mentre il sacerdote proferisce le parole dell’assoluzione: “E io ti assolvo dai tuoi peccati nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo”.
E tuttavia, anche se il peccato non facesse più presa nella tua vita, confessati ugualmente in maniera frequente perché nella confessione viene versato su di te il Sangue di Cristo, quel Sangue che ti redime, ti purifica e ti santifica.
Per questo il Catechismo della Chiesa Cattolica afferma: “In coloro che ricevono il sacramento della Penitenza con cuore contrito e in una disposizione religiosa, ne conseguono la pace e la serenità della coscienza insieme a una vivissima consolazione dello spirito” (CCC, 1468).

Fai dunque così, e ti troverai bene.
Ti ricordo al Signore e ti benedico. 
Padre Angelo










Un sacerdote risponde
http://www.amicidomenicani.it/leggi_sacerdote.php?id=4223 

Due anni fa ho conosciuto delle persone che mi hanno fatto praticare la stregoneria

Quesito

Salve padre Angelo,
vorrei chiederle un consiglio: due anni fa ho conosciuto delle persone che mi hanno fatto praticare la stregoneria.
Ora da due anni che sono in chiesa.
Per praticare la magia, mi hanno toccato dei punti nel petto, e ho incominciato a sentire un’energia scorrermi nel braccio destro.
Sentivo come uscisse dal braccio per poterla poi mettere nei riti che facevamo.
Le chiedo consiglio: se mi sa dire delle preghiere apposite per poter passare questo disturbo?
La ringrazio in anticipo


Risposta del sacerdote

Carissimo, 
1. venire a contatto con la stregoneria è sempre un male.
Anzitutto perché consapevolmente o meno ci si sottrae al governo di Dio e si cerca aiuto dal demonio.
Ora il demonio, anche qualora comunicasse qualcosa di buono, lo fa sempre per privare di tutti i beni di cui è privo e ricolmare di tutti i mali di cui è pieno. 
Dunque non c’è niente di peggio che mettersi sotto l’influsso del nostro avversario.
Per questo Dio nella Sacra Scrittura proibisce in maniera molto forte i contatti col mondo demoniaco, come sono quelli che avvengono attraverso la stregoneria e la magia.

2. Ecco alcuni testi nei quali si chiede addirittura l’eliminazione di queste persone dal numero del suo popolo: “Non lascerai vivere colei che pratica la magia” (Es 22,17). 
“Non vi rivolgete ai negromanti né agli indovini; non li consultate, per non rendervi impuri per mezzo loro. Io sono il Signore, vostro Dio” (Lv 19,31).
“Se uomo o donna, in mezzo a voi, eserciteranno la negromanzia o la divinazione, dovranno essere messi a morte: saranno lapidati e il loro sangue ricadrà su di loro»” (Lv 20,27)
“Non si trovi in mezzo a te chi fa passare per il fuoco il suo figlio o la sua figlia, né chi esercita la divinazione o il sortilegio o il presagio o la magia, né chi faccia incantesimi, né chi consulti i negromanti o gli indovini, né chi interroghi i morti, perché chiunque fa queste cose è in abominio al Signore. A causa di questi abomini, il Signore, tuo Dio, sta per scacciare quelle nazioni davanti a te. Tu sarai irreprensibile verso il Signore, tuo Dio, perché le nazioni, di cui tu vai ad occupare il paese, ascoltano gli indovini e gli incantatori, ma quanto a te, non così ti ha permesso il Signore, tuo Dio” (Dt 18,10-14).

3. Per questo il Catechismo della Chiesa Cattolica afferma: “Tutte le pratiche di magia e di stregoneria con le quali si pretende di sottomettere le potenze occulte per porle al proprio servizio ed ottenere un potere soprannaturale sul prossimo - fosse anche per procurargli la salute - sono gravemente contrarie alla virtù della religione.
Tali pratiche sono ancor più da condannare quando si accompagnano ad una intenzione di nuocere ad altri o quando in esse si ricorre all’intervento dei demoni” (CCC 2117).
Per questo “il giusto atteggiamento cristiano consiste nell’abbandonarsi con fiducia nelle mani della Provvidenza per ciò che concerne il futuro e a rifuggire da ogni curiosità malsana a questo riguardo” (CCC 2115).

3. Si sa che in non pochi casi si tratta solo di imbrogli o di illusioni per spillare soldi agli sprovveduti.
Tuttavia Padre Amorth mette in guardia dal ricorrere a queste pratiche in ogni caso: “Gli ignari pensano che sia solo superstizione, curiosità, finzione, frode; infatti c’è legato un grosso giro d’affari.
Ma nella maggioranza dei casi la realtà è un’altra. La magia non è soltanto una vana credenza, un qualcosa privo di ogni fondamento. È un ricorso alle forze demoniache per influenzare il corso degli eventi e per influire sugli altri a proprio vantaggio.
Questa forma deviata di religiosità, che era tipica dei popoli primitivi, si è prolungata nel tempo e convive con le varie religioni in tutti i paesi. Anche se in forme diverse, il risultato è identico: allontanare l’uomo da Dio e portarlo al peccato, alla morte interiore” (Un esorcista racconta, p.175).

4. Sotto il profilo della gravità morale si tratta di peccato mortale, come si evince dalla pena grave comminata nell’Antico Testamento.
Ciò significa che ricorrendo a tali pratica ci si fa sempre del grande male.

5. Veniamo ora a quello che puoi fare per liberarti da eventuali influssi malefici che potresti aver ricevuto.
Coma saprai, il primo esorcismo consiste nella confessione.
Penso che te ne sarai confessato.
Tuttavia ti consiglio di continuare a confessarti abbastanza frequentemente anche se nella tua vita non ci fossero peccati gravi. 
Ricorri alla confessione almeno ogni 15 giorni.
Questo sacramento, oltre a donare un accrescimento di grazia nella vita presente e di gloria nel Paradiso, attua una liberazione permanente.

6. Ti consiglio poi la preghiera del Santo Rosario. 
Pregando col Rosario porti dentro la tua vita la presenza di Gesù salvatore, anzi la presenza di Gesù che, non soltanto promette, ma attua - mentre preghi con il Rosario - la salvezza e la liberazione.
Inoltre col Rosario porti dentro di te anche la presenza di Maria.
Nel Santo Rosario hai l’opportunità di recitare il Padre nostro, compresa l’ultima invocazione: “liberaci dal male”.
E nell’Ave Maria invochi la Madonna perché ti aiuti “adesso”.

7. Ti consiglio di portare sempre con te un oggetto benedetto, come ad esempio la corona del Santo Rosario.
Come si legge nel Rituale Romano, tra le varie grazie che si ricevono portando con sé la corona benedetta del Rosario c’è anche questa: di essere liberati sempre e dovunque dai nemici visibili e invisibili.

8. Fai così. Ti troverai liberato e contento.

Ti assicuro la mia preghiera e ti benedico. 
Padre Angelo

   






[Modificato da Caterina63 13/07/2015 12:46]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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20/07/2015 22:56
 
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Come posso diventare più consapevole di stare facendo del male a qualcUno (Gesù) quando commetto peccato?


Quesito


Buongiorno,
ho trovato per caso (...caso?) la sua rubrica all'inizio di questo mese ed ho iniziato a seguire con interesse la corrispondenza pubblicata, nonché a spulciare in archivio quando ho tempo, grato che qualcuno affronti queste tematiche in un modo netto, ma non freddo e spietato - bensì con l'abbraccio di cui chiunque ha bisogno. Di questo la ringrazio moltissimo (anche i suoi collaboratori) per il vostro servizio.
Mi trovo a scriverle per una questione che mi preme, ma non so se abbia già risposto a questa problematica in qualche lettera - sono veramente molte da controllare! Per cui spero mi scuserà se ha già trattato la cosa in precedenza.
La mia domanda è: come posso diventare più consapevole di stare facendo del male a qualcUno (Gesù) quando commetto peccato?
Perchè spesso mi trovo in una condizione per cui riconosco di aver commesso dei peccati, ma non avverto una partecipazione accorata, un pentimento che nasca dal cuore e non solo dal sapere di avere infranto una legge. Come posso sentire più concretamente, essere più attento, in modo da essere sempre più consapevole di stare inchiodando Gesù ancora e ancora ogni volta che commetto peccato?
Non in modo figurato, ma vorrei avere la stessa consapevolezza di quando mi rendo immediatamente conto del male che faccio alle persone intorno a me.
Mi spiace molto non essere capace di accorato e sentito pentimento, piuttosto che consapevole del peccato e basta, specie quando vado a confessarmi.
Spero di essermi spiegato, anche se ho affastellato un po' di frasi nel tentativo di limare il concetto...
Se la ritiene utile anche ad altri può pubblicare la domanda sul sito!
La ringrazio in anticipo per il tempo che vorrà dedicarmi, la ricorderò in una preghiera questa sera.


Risposta del sacerdote
http://www.amicidomenicani.it/leggi_sacerdote.php?id=4225 

Carissimo,
1. sono contento che tu sia capitato anche nel nostro sito e che abbia potuto ricevere luce e forza dal nostro lavoro.
La domanda che mi poni ha già trovato risposta nella nostra corrispondenza, ma sono contento di tornar di nuovo sull’argomento, che è di grande importanza.
In pratica mi chiedi come si fa a sentire dolore per i propri peccati, soprattutto dolore per aver offeso il Signore e averlo di nuovo crocifisso, come dice la lettera agli ebrei.
La domanda è pertinente perché istintivamente proviamo dolore, e anche sensibilmente, quando ci capita di far del male anche involontariamente, mentre invece non lo proviamo quando offendiamo Nostro Signore.

2. A questo proposito bisogna dire due cose.
La prima: noi proviamo un dolore sensibile e anche forte per i mali che vediamo e che sono a portata di mano.
La nostra sensibilità ne è toccata direttamente,
Quando invece i mali non li vediamo, pur sapendo che sono gravi e tragici, il coinvolgimento emotivo è più debole e talvolta addirittura nullo. 
Ad esempio: sappiamo che tante persone in questo momento soffrono per le più svariate malattie e che si stanno approssimando alla morte. 
Di altre sappiamo che sono coinvolte in incidenti stradali, oppure che sono profughe, derubate di tutti i loro beni, ecc…
Questi mali, pur sapendo che sono gravissimi, sotto il profilo emotivo ci toccano poco, perché non li vediamo e queste persone non le conosciamo.
Allora la prima cosa da dire è questa: non proviamo dolore sensibile per i peccati che commettiamo perché Gesù Cristo non lo vediamo con i nostri occhi, non lo tocchiamo con le nostre mani, ecc…
Ce ne dispiace, anzi sappiamo che lo crocifiggono di nuovo, ma la crocifissione non la vediamo e non l’abbiamo mai vista.
Per questo i teologi dicono che il dolore dei nostri peccato deve essere sommo, sì, ma poi aggiungono un avverbio in latino: “appretiave”, e cioè nella stima o nella gerarchia dei valori. Il che significa: sappiamo di aver fatto un grande male, siamo decisi di non farlo più, anche se il coinvolgimento emotivo è poco.
Ma questo coinvolgimento emotivo non è richiesto. 
Pertanto si richiede che il dolore sia “appretiave sommo”, anche se non è “intensive sommo” (sommo nel coinvolgimento emotivo).

3. Ma c’è una seconda cosa da osservare.
Il dolore di peccati non è come il dolore che si prova per aver causato un incidente stradale.
Questo dolore nasce dalla nostra sensibilità e dipende tutto da noi.
Il dolore dei peccati invece è un dolore che non parte da noi, ma da Dio.
È un dolore soprannaturale, infuso da Dio nella nostra anima e ha la capacità, se è perfetto, di ricongiungerci con Dio soprannaturalmente conosciuto e amato.
Ho detto infuso: ciò sta a dire che Dio quando infonde in noi il dolore dei peccati ci raccoglie come ha fatto il buon samaritano con quel malcapitato che aveva trovato mezzo morto sulla strada. Ci raccoglie, ci rimette in sesto, ci fa sentire il dolore di quello che abbiamo perso e di quello che abbiamo fatto,

4. Inizialmente questo dolore può essere anche un dolore motivato dal timore di perdersi eternamente, perché ci si trova privi della grazia ed esposti all’inferno. Oppure può essere un timore che sopravviene per la consapevolezza di non essere protetti dalla grazia, la quale per noi è uno scudo e una difesa dalle insidie del demonio e dei suoi collaboratori.
Questo timore, che non congiunge ancora perfettamente a Dio, viene chiamato dai teologi “attrizione”.
È anch’esso un dolore infuso, di ordine soprannaturale. Già sufficiente per accostarsi alla confessione.
Si tratta di grazie (pertanto infuse) attuali, attraverso le quali Dio ci dispone al pentimento più vero e perfetto.

5. Questo pentimento vero e perfetto si chiama “contrizione” o “contrizione perfetta”.
Dio lo infonde molto spesso anche prima della confessione.
La contrizione perfetta è motivata da una triplice consapevolezza:
primo, di aver offeso il Signore, infinitamente buono e  degno di essere amato sopra ogni cosa, 
secondo, di aver estromesso Cristo dalla nostra vita crocifiggendolo di nuovo, 
terzo, di aver impoverito e danneggiato la Chiesa.

6. Questa contrizione, proprio perché è perfetta e accompagnata dalla carità, riporta in grazia di Dio anche prima della confessione, non senza però il suo desiderio almeno implicito.
Non autorizza ancora a fare la Santa Comunione, perché il processo di pentimento è solo cominciato e non ancora perfezionato. Un po’ come se uno, appena commesso un incidente stradale, inizia a domandare perdono per il male che ha causato. Ma  la sua azione non si ferma e non può fermarsi qui, ma deve fare anche tutto quello che è richiesto perché l’altro sia reintegrato perfettamente nei beni che gli sono stati lesi.
Nel nostro caso, tutto questo avviene nella Confessione, dove il sacerdote dà l’assoluzione, e cioè versa il sangue di Cristo sopra le ferite dell’anima, lava le colpe e reintegra il soggetto e la Chiesa nei loro beni di ordine soprannaturale.

7. Proprio perché questo dolore è effetto dell’azione misericordiosa del Signore, non dipende solo da noi e non parte solo da noi.
Vi possiamo collaborare, possiamo disporci a riceverlo con la preghiera e con le opere di penitenza.
Lo possiamo pertanto domandare. Anzi, dobbiamo domandarlo. 
Ma non è in nostro potere darcelo.
Abbiamo solo il potere di riceverlo.

8. Ciò significa che dobbiamo perseverare nella preghiera perché Dio ci dia il vero pentimento dei nostri peccati
Anzi che ci dia lo stesso dispiacere che Cristo sulla croce ha provato per i specifici peccati che abbiamo commesso e che adesso andiamo a confessare.
Per questo dobbiamo dire come Davide nel Salmo Miserere: “Crea in me o Dio un cuore puro” (Sal 51,12).
Oppure anche recitare il Santo Rosario o i Salmi penitenziali perché il Signore ci conceda un dolore più perfetto dei nostri peccati.

9. Anzi, come dice San Tommaso, dobbiamo fare penitenza ed essere dispiaciuti dei peccati commessi per tutta la vita.
Ecco il suo preciso pensiero: “Esistono due tipi di penitenza: l'interna e l'esterna. 
La penitenza interiore consiste nel dolersi per il peccato commesso. 
E questa penitenza deve durare fino al termine della vita.
Uno cioè deve aver sempre il dispiacere di aver peccato: se infatti ne provasse piacere, per ciò stesso commetterebbe peccato, e perderebbe il frutto del perdono…
La penitenza esterna invece mostra i segni esterni del dolore, fa confessare oralmente i propri peccati al sacerdote che deve assolvere, e ne accetta la soddisfazione secondo il di lui arbitrio. E tale penitenza non è necessario che duri fino al termine della vita, ma fino a un dato tempo determinato secondo la gravità della colpa (Somma teologica, III, 84,8).

10. E ancora: “Due sono le maniere di far penitenza: attuale ed abituale.
In maniera attuale certo è impossibile che l'uomo faccia penitenza di continuo; poiché l'atto del penitente, sia interno che esterno, deve necessariamente essere interrotto almeno dal sonno e dalle altre necessità corporali.
L'altra maniera di far penitenza è quella abitualeE in tal senso la penitenza deve essere continua: sia perché uno non deve mai fare un atto contrario alla penitenza, togliendo così l'abituale sua disposizione di penitente; sia perché deve sempre persistere nel proposito di rammaricarsi dei peccati commessi” (Somma teologica, III, 84,9).

11. Chiediamo dunque al Signore con la preghiera e con le opere di penitenza perché ci dia la grazia di un dolore sempre più forte e più perfetto dei nostri peccati.
Anche questo dolore è dono suo.
E proprio perché viene da Lui è capace di congiungerci a Lui mediante la grazia.

Ti ricordo nella preghiera e ti benedico. 
Padre Angelo




Un sacerdote risponde

Mia moglie dice che non fare la comunione la domenica dopo aver fatto l'amore mediante contraccezione è un affronto al matrimonio

Quesito

Caro Padre Angelo,
ho bisogno di fare molta chiarezza su un aspetto della mia vita matrimoniale e chiedo a lei di aiutarmi.
Io e mia moglie abbiamo rapporti sessuali mediante l'uso del preservativo.
In 8 anni di matrimonio abbiamo avuto due figlie (alternando vari metodi contraccettivi a periodi in cui ci siamo aperti al dono della vita). Dopo la nascita della nostra seconda figlia, ci siamo detti "adesso che facciamo?" Abbiamo letto insieme l'Humanae vitae e siamo arrivati a due conclusioni diverse. La mia quella di aprirci alla vita usando i "metodi naturali", mia moglie invece per paura (ma non si immagina quanta) di un altra gravidanza e perchè non li ritiene abbastanza sicuri, mi ha chiesto di utilizzare  la contraccezione mediante il preservativo.
Io ho accettato; all'inizio perchè mi faceva comodo, secondo perchè ho avuto paura di mettere a repentaglio il mio matrimonio.
Su questo argomento abbiamo litigato alcune volte in maniera accesa.
Non faccio colpe a mia moglie solo Dio sa cosa prova nel cuore.
Sono arrivato alla conclusione che ogni qualvolta cado nel peccato mi confesso e non mi accosto all'eucarestia se ho commesso questo peccato, ma questo infastidisce molto mia moglie (non fare la comunione la domenica dopo aver fatto l'amore lo percepisce con un affronto al nostro matrimonio).
Siccome mi pesa molto non fare la comunione, ma vorrei essere fedele al magistero della chiesa, le chiedo se sia possibile fare comunque la comunione in casi come questo, vista anche la frequenza con la quale mi accosto al sacramento della riconciliazione (mi sono imposto, riuscendoci per forza, almeno una volta al mese).
Nel corso della storia ho trovato anche sacerdoti che hanno minimizzato questo mio problema, che però per me è fondamentale.
Grazie per il  suo aiuto.
Pace e bene.


Risposta del sacerdote

Carissimo,
1. il nocciolo della questione è racchiuso nella percezione di tua moglie secondo la quale “non fare la comunione la domenica dopo aver fatto l'amore è un affronto al matrimonio”.

2. Ebbene, se tua moglie vuole essere oggettiva deve riconoscere che nella contraccezione c’è qualcosa che non è secondo il significato autentico della sessualità.
Di fatto quegli atti che sono costituti per congiungere intimamente gli sposi per donarsi in totalità mettendosi in gioco, di fatto vengono frustrati nella loro intrinseca finalità.
Questo è un dato oggettivo.
La contraccezione mette una barriera alla donazione totale. La impedisce volontariamente. Di fatto ci si rifiuta di donarsi in totalità, compresa la propria capacità di diventare padre o madre.

3. Per questo il beato Paolo VI aveva detto: “Salvaguardando ambedue questi aspetti essenziali, unitivo e procreativo, l’atto coniugale conserva integralmente il senso di mutuo e vero amore ed il suo ordinamento all’altissima vocazione dell’uomo alla paternità” (HV 11),
Ciò significa che se convengono simultaneamente salvaguardati questi due aspetti gli atti di contraccezione cessano di essere atti di autentico amore.

4. Già il Concilio aveva detto: “Quando si tratta di comporre l’amore coniugale con la trasmissione responsabile della vita, il carattere morale del comportamento non dipend scrivee solo dalla sincera intenzione e dalla valutazione dei motivi, ma va determinato da criteri oggettivi che hanno il loro fondamento nella dignità stessa della persona umana e dei suoi atti e sono destinati a mantenere in un contesto di vero amore l’integro senso della mutua donazione e della procreazione umana, e tutto ciò non sarà possibile se non venga coltivata con sincero animo la virtù della castità coniugale.
I figli della Chiesa, fondati su questi principi, non potranno seguire strade che sono condannate dal Magistero nella spiegazione della legge divina” (GS 51).

5. Nell’Humanae vitae il beato Paolo VI dice ancora: “Usare di questo dono divino distruggendo, anche soltanto parzialmente, il suo significato e la sua finalità è contraddire alla natura dell’uomo come a quella della donna e del loro più intimo rapporto, e perciò è contraddire anche al piano di Dio e alla sua santa volontà.
Usufruire invece del dono dell’amore coniugale rispettando le leggi del processo generativo, significa riconoscersi non arbitri delle sorgenti della vita umana, ma piuttosto ministri del disegno stabilito dal creatore” (HV 13).

6. San Giovanni Paolo II sempre sulla medesima linea in Familiaris consortio: “Quando i coniugi, mediante il ricorso alla contraccezione, scindono questi due significati che Dio Creatore ha inscritti nell'essere dell'uomo e della donna e nel dinamismo della loro comunione sessuale, si comportano come «arbitri» del disegno divino e «manipolano» e avviliscono la sessualità umana, e con essa la persona propria e del coniuge, alterandone il valore di donazione «totale». 
Così al linguaggio nativo che esprime la reciproca donazione totale dei coniugi, la contraccezione impone un linguaggio oggettivamente contraddittorio, quello cioè di non donarsi all’altro in totalità.
Ne deriva, non soltanto il positivo rifiuto all’apertura alla vita, ma anche una falsificazione dell’interiore verità dell’amore coniugale, chiamato a donarsi in totalità personale” (FC 32c).
L’espressione di Giovanni Paolo II (falsificazione dell’interiore verità dell’amore coniugale) è forte.
Ma come si può dire che non sia vera?
Da tutto quanto ti ho scritto puoi vede vedere come sia rovesciabile l’affermazione di tua moglie: la contraccezione è un affronto al vero significato degli atti di intimità coniugale.
Anzi è un affronto al disegno santificante di Dio sulla sessualità e il matrimonio.

7. Poco prima aveva riportato l’insegnamento di Paolo VI: “Ed ha concluso ribadendo che è da escludere come intrinsecamente disonesta «ogni azione che, o in previsione dell'atto coniugale, o nel suo compimento, o nello sviluppo delle sue conseguenze naturali, si proponga, come scopo o come mezzo, di rendere impossibile la procreazione» (HV 14)” (FC 32).

8. Come vedi si tratta di un’alterazione o di una falsificazione del disegno di Dio sulla sessualità e sull’amore umano. È contraddire la sua santa volontà. 
La contraccezione non giova alla santità, ma porta su un’altra direzione.
Per questo sempre il beato Paolo VI dice: “E se il peccato facesse ancora presa su di loro, non si scoraggino, ma ricorrano con umile perseveranza alla misericordia di Dio, che viene elargita nel sacramento della Penitenza” (HV 25).
Pertanto ti raccomando di non scambiare il bene col male.
Continua a confessarti prima di fare la Santa Comunione qualora ti trovassi in peccato.
Porta anche tua moglie a fare la stessa cosa e a riconoscere umilmente il suo peccato. Il Signore la benedirà.

Vi ricordo al Signore e vi benedico. 
Padre Angelo




[Modificato da Caterina63 06/09/2015 13:32]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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24/08/2015 13:31
 
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Il sacrilegio. Terribile peccato causa di dannazione per molti. 
Come si commette e come si ripara



Un peccato che può condurre alla dannazione eterna è il sacrilegio.Disgraziato colui che si mette su questa strada! Commette sacrilegio chi volontariamente nasconde in Confessione qualche peccato mortale, oppure si confessa senza la volontà di lasciare il peccato o di fuggirne le occasioni prossime. Quasi sempre chi si confessa in modo sacrilego compie anche il sacrilegio eucaristico, perché poi riceve la Comunione in peccato mortale.

Racconta San Giovanni Bosco...

"Mi trovai con la mia guida (l'Angelo custode) in fondo a un precipizio che finiva in una valle oscura. Ed ecco comparire un edificio immenso con una porta altissima che era chiusa. Toccammo il fondo del precipizio; un caldo soffocante mi opprimeva; un fumo grasso, quasi verde e guizzi di fiamme sanguigne si innalzavano sui muraglioni dell'edificio.
Domandai: 'Dove ci troviamo?'. 'Leggi l'iscrizione che c'è sulla porta'. mi rispose la guida. Guardai e vidi scritto: 'Ubi non est redemptio! , cioè: `Dove non c'è redenzione!', Intanto vidi precipitare dentro quel baratro... prima un giovane, poi un altro e poi altri ancora; tutti avevano scritto in fronte il proprio peccato.
Mi disse la guida: 'Ecco la causa prevalente di queste dannazioni: i compagni cattivi, i libri cattivi e le perverse abitudini'.
Quei poveri ragazzi erano giovani che io conoscevo. 
Domandai alla mia guida: “Ma dunque è inutile lavorare tra i giovani se poi tanti fanno questa fine! Come impedire tutta questa rovina?” 
– “Quelli che hai visto sono ancora in vita; questo però è lo stato attuale delle loro anime, se morissero in questo momento verrebbero senz'altro qui!” disse l'Angelo.

Dopo entrammo nell'edificio; si correva con la velocità di un baleno. Sboccammo in un vasto e tetro cortile. Lessi questa iscrizione: 'Ibunt impii in ignem aetemum! ; cioè: `Gli empi andranno nel fuoco eterno!'.
Vieni con me - soggiunse la guida. Mi prese per una mano e mi condusse davanti a uno sportello che aperse. Mi si presentò allo sguardo una specie di caverna, immensa e piena di un fuoco terrificante, che sorpassava di molto il fuoco della terra. 
Questa spelonca non ve la posso descrivere, con parole umane, in tutta la sua spaventosa realtà.

All'improvviso cominciai a vedere dei giovani che cadevano nella caverna ardente.
La guida mi disse: 'L'impurità è la causa della rovina eterna di tanti giovani!'.

- Ma se hanno peccato si sono poi anche confessati.
- Si sono confessati, ma le colpe contro la virtù della purezza le hanno confessate male o del tutto taciute. Ad esempio, uno aveva commesso quattro o cinque di questi peccati, ma ne ha detto solo due o tre. Ve ne sono alcuni che ne hanno commesso uno nella fanciullezza e per vergogna non l'hanno mai confessato o l'hanno confessato male. Altri non hanno avuto il dolore e il proposito di cambiare. Qualcuno invece di fare l'esame di coscienza cercava le parole adatte per ingannare il confessore. E chi muore in questo stato, decide di collocarsi tra i colpevoli non pentiti e tale resterà per tutta l'eternità. 
Ed ora vuoi vedere perché la misericordia di Dio ti ha portato qui? - La guida sollevò un velo e vidi un gruppo di giovani di questo oratorio che conoscevo bene: tutti condannati per questa colpa. Fra questi ce n'erano alcuni che in apparenza avevano una buona condotta.

La guida mi disse ancora: 'Predica sempre e ovunque contro l'impurità! :. Poi parlammo per circa mezz'ora sulle condizioni necessarie per fare una buona confessione e si concluse: 'Bisogna cambiar vita... Bisogna cambiar vita'.
- Ora che hai visto i tormenti dei dannati, bisogna che anche tu provi un poco l'inferno!
Usciti da quell'orribile edificio, la guida afferrò la mia mano e toccò l'ultimo muro esterno. Io emisi un grido di dolore. Cessata la visione, notai che la mia mano era realmente gonfia e per una settimana portai la fasciatura."

Padre Giovan Battista Ubanni, gesuita, racconta che una donna per anni, confessandosi, aveva taciuto un peccato di impurità. Arrivati in quel luogo due sacerdoti domenicani, lei che da tempo aspettava un confessore forestiero, pregò uno di questi di ascoltare la sua confessione.
Usciti di chiesa, il compagno narrò al confessore di aver osservato che, mentre quella donna si confessava, uscivano dalla sua bocca molti serpenti, però un serpente più grosso era uscito solo col capo, ma poi era rientrato di nuovo. Allora anche tutti i serpenti che erano usciti rientrarono.
Ovviamente il confessore non parlò di ciò che aveva udito in Confessione, ma sospettando quel che poteva essere successo fece di tutto per ritrovare quella donna. Quando arrivò presso la sua abitazione, venne a sapere che era morta appena rientrata in casa. Saputa la cosa, quel buon sacerdote si rattristò e pregò per la defunta. Questa gli apparve in mezzo alle fiamme e gli disse: "lo sono quella donna che si è confessata questa mattina; ma ho fatto un sacrilegio. Avevo un peccato che non mi sentivo di confessare al sacerdote del mio paese; Dio mi mandò te, ma anche con te mi lasciai vincere dalla vergogna e subito la Divina Giustizia mi ha colpito con la morte mentre entravo in casa. Giustamente sono condannata all'inferno!". Dopo queste parole si aprì la terra e fu vista precipitare e sparire.

Scrive il Padre Francesco Rivignez (l'episodio è riportato anche da Sant'Alfonso) che in Inghilterra, quando c'era la religione cattolica, il re Anguberto aveva una figlia di rara bellezza che era stata chiesta in sposa da diversi principi.

Interrogata dal padre se accettasse di sposarsi, rispose che non poteva perché aveva fatto il voto di perpetua verginità.
II padre ottenne dal Papa la dispensa, ma lei rimase ferma nel suo proposito di non servirsene e di vivere ritirata in casa. II padre l'accontentò.
Cominciò a fare una vita santa: preghiere, digiuni e varie altre penitenze; riceveva i Sacramenti e andava spesso a servire gli infermi in un ospedale. In tale stato di vita si ammalò e morì.
Una donna che era stata sua educatrice, trovandosi una notte in preghiera, sentì nella stanza un gran fracasso e subito dopo vide un'anima con l'aspetto di donna in mezzo a un gran fuoco e incatenata tra molti demoni...
- lo sono l'infelice figlia del re Anguberto.
- Ma come, tu dannata con una vita così santa?
- Giustamente sono dannata... per colpa mia. Da bambina io caddi in un peccato contro la purezza. Andai a confessarmi, ma la vergogna mi chiuse la bocca: invece di accusare umilmente il mio peccato, lo coprii in modo che il confessore non capisse nulla. Il sacrilegio si è ripetuto molte volte. Sul letto di morte io dissi al confessore, vagamente, che ero stata una grande peccatrice, ma il confessore, ignorando il vero stato della mia anima, mi impose di scacciare questo pensiero come una tentazione. Poco dopo spirai e fui condannata per tutta l'eternità alle fiamme dell'inferno.
Detto questo disparve, ma con così tanto strepito che sembrava trascinasse il mondo e lasciando in quella camera un odore ributtante che durò parecchi giorni.

L'inferno è la testimonianza del rispetto che Dio ha per la nostra libertà. L'inferno grida il pericolo continuo in cui si trova la nostra vita; e grida in modo tale da escludere ogni leggerezza, grida in modo costante da escludere ogni frettolosità, ogni superficialità, perché siamo sempre in pericolo. 

Quando mi annunciarono l'episcopato, la prima parola che dissi fu questa: "Ma io ho paura di andare all'inferno."

(Card. Giuseppe Siri)






Preghiere prima di confessare e confessarsi




 


PREGHIERA A SAN MICHELE ARCANGELO

di Leone XIII
 


Sancte Michaël Arcangele, defende nos in proelio, contra nequitias et insidias diaboli esto presidium; imperet illi Deus, supplices deprecamur; tuque, princeps militiae coelestis, Satanam aliosque spiritus malignos, qui ad perditionem animarum pervagantur in mundo, divina virtute, in infernum detrude. Amen

San Michele Arcangelo, difendici nella battaglia: sii tu nostro sostegno contro la perfidia e le insidie del diavolo. Che Dio eserciti il suo dominio su di lui te ne preghiamo supplichevoli. E tu, o principe della milizia celeste, con la potenza divina, ricaccia nell'inferno Satana e gli altri spiriti maligni che errano nel mondo per perdere le anime. Amen.





PREGHIERA ALLO SPIRITO SANTO

 

Vieni o Spirito Santo, vieni per la potente intercessione del Cuore Immacolato di Maria, tua amatissima Sposa (da ripetere tre volte)







Confessione: Sacramento di Misericordia - Risposta ad alcune questioni...


La natura umana è incline a trovare mille scuse che giustifichino l’inadempienza di certi doveri religiosi. Di seguito le risposte ad alcune diffusissime “obiezioni” sul dovere della Confessione come Sacramento e la necessità di accusare i propri peccati al ministro di Dio.

Obiezioni comuni

1) “Non è Dio solo che può rimettere i peccati? Che bisogno c’è dunque di avere come intermediario il prete? Basta confessarsi direttamente con Dio”.
Risposta: troppo comodo e... illusorio! Troppo comodo, perché si pretende che Dio ci accordi il beneficio inestimabile della sua grazia e del suo perdono senza che noi muoviamo un dito da parte nostra e senza che facciamo il minimo sacrificio o il minimo atto di riparazione!
Illusorio poi, perché in pratica apre la porta a molte illusioni ed inganni sulla veracità e serietà del pentimento, che in ogni caso è il presupposto indispensabile per avere il perdono di Dio. È vero che Dio solo può rimettere direttamente i peccati e che Gesù Cristo poteva stabilire anche il perdono in modo diverso, ma dal momento che Lui ha voluto esercitare la sua Autorità divina attraverso gli Apostoli e i loro successori che sono i preti, che diritto abbiamo noi di fare diversamente? Chi è che deve stabilire le leggi del perdono, l’offeso o l’offensore? Dal momento che Gesù Cristo ha voluto trasmettere il suo potere di rimettere i peccati ai suoi ministri – e il Vangelo parla chiaro –, la sua Volontà è legge per noi, e ogni questione è inutile e assurda.
Dice sant’Agostino: «Pretendere che basti confessarsi solo con Dio è rendere vano il potere delle chiavi da Lui conferite alla sua Chiesa e contraddice alle parole da Gesù rivolte ai suoi Apostoli». È così facile poi confondere il rimorso con il pentimento! Il rimorso è un atto involontario e inutile per la Salvezza, mentre al contrario il pentimento deve essere volontario e sottintende un sincero dolore del peccato in quanto peccato. Ognuno poi diventando sia giudice che reo, è inclinato a immaginare il proprio dolore sincero. Inoltre, l’esperienza insegna che chi parla di confessarsi davanti a Dio alla fine non lo fa, o se lo fa, lo fa senza un vero pentimento.

2) “La Confessione è una tortura delle anime, una vera carneficina delle coscienze, che Gesù Cristo non ha potuto imporre perché troppo grave, odiosa e ripugnante alla natura umana”.
Risposta: svelare ad un altro uomo le proprie colpe e le miserie più intime è qualcosa che sicuramente costa al nostro amor proprio. Tuttavia questa difficoltà non va esagerata, tanto da non considerarne invece i vantaggi che ne derivano. Bisogna tener presente che se la legge è grave, assai più grave è il peccato commesso che viene condonato nella Confessione. Questa breve umiliazione ci è di rimedio contro quell’orgoglio che è stato la causa del peccato. Prova inoltre la sincerità del pentimento e dà inizio alla riparazione necessaria. Diceva sant’Agostino: «Non ho arrossito di fare una ferita all’anima, non devo neppure arrossire a guarirla».
Il cuore umano poi, tende naturalmente a versare in un altro cuore le sue gioie, i suoi amori, e specialmente le sue apprensioni, i suoi timori, le sue tristezze, i suoi dolori più intimi e cocenti, tanto è vero che le sale d’aspetto degli psicologi sono sempre gremite di gente.
D’altra parte non andiamo forse dal medico per manifestare anche le malattie più vergognose allo scopo di essere guariti? Diremo forse che quell’ammalato fa qualche cosa contro natura con questa confessione?
Questo ci dimostra come la Confessione istituita da Gesù Cristo, anche da un punto di vista umano, è una scuola di saggi ammaestramenti, un consulto e una prescrizione sapiente che il medico dell’anima dà agli infermi spirituali, una santa amicizia, sorgente di conforto, controllo efficacissimo della nostra condotta pubblica e privata. Niente quindi di poco conforme alla dignità umana.
Pensate poi se dovessimo fare l’accusa dei peccati ad un Angelo invece che ad un uomo. In tale ipotesi la nostra situazione sarebbe molto peggiore, perché l’Angelo, non conoscendo gli stimoli del peccato, né la condizione di fragilità in cui ci troviamo, sarebbe portato a giudicarci con molta durezza. Il confessore invece, come uomo, si sente in tutto eguale ai suoi penitenti, soggetto alle stesse tentazioni e miserie, e forse peccatore come loro; quindi più propenso all’indulgenza, alla commiserazione, al perdono.

3) “La Confessione fatta al prete serve alla Chiesa Romana per indagare sui particolari più intimi e segreti delle famiglie”.
Risposta: che cosa importa al confessore indagare sui particolari delle famiglie, se spesso non conosce nemmeno il nome del penitente? A che cosa gli serve poi questa conoscenza se il confessore non può, nemmeno con il penitente fuori della Confessione, trattare delle cose udite in Confessione? Che divertimento c’è a conoscere i particolari delle famiglie? I poveri confessori devono stare ore e ore inchiodati al confessionale per ascoltare miserie, lenire dolori, confortare tante anime prese dalla disperazione, consigliare i mezzi più opportuni per ritrovare la pace, la concordia e la fedeltà tra i coniugi, la sana educazione dei figli, l’onestà nelle relazioni sociali, la giustizia e la carità verso il prossimo!
Bisognerebbe che tutti quelli che temono la curiosità dei confessori, provassero di persona la realtà del confessionale, e muterebbero ben presto parere.

4) “La Confessione è origine di abusi e scandali”.
Risposta: normalmente gli abusi e gli scandali si addossano sempre ai preti, quando ci sarebbe molto da dire riguardo ai penitenti. Comunque, l’abuso non toglie l’uso. L’abuso è un delitto che purtroppo si trova dappertutto, e persino nelle cose più belle e più sante. Se volessimo abolire tutto quello di cui si abusa allora bisognerebbe sopprimere anche la scienza medica, l’avvocatura e ogni altra realtà umana. Questi scandali poi non sono cosi frequenti come si vorrebbe insinuare. Molte volte sono più fantasie di romanzieri o giornalisti che lavorano allo scopo di denigrare la Chiesa o di fare scalpore con i loro articoli, che di una realtà. Non è poi mai lecito, né onesto, generalizzare il disordine in modo da intaccare la bontà e l’utilità di una istituzione che tra l’altro conta anche dei martiri.

5) “I preti mi stanno tutti antipatici e non li posso sopportare”.
Risposta: quando si va in banca a riscuotere il denaro non guardiamo se il cassiere è simpatico o meno. Ciò che ci importa è il denaro. Così quando andiamo a confessarci, non andiamo per il prete, ma per ricevere il perdono di Dio. Se la fontana ha un rubinetto d’oro, di metallo o di un pezzo insignificante di plastica a noi non interessa. Ciò che ci deve importare è l’acqua della grazia e della Salvezza.

Conclusione

Quando le Confessioni saranno accompagnate da tutte le qualità finora esposte, ossia saranno sincere, umili e semplici, potremo star tranquilli che sono ben fatte, buone e accette a Dio. In virtù del Sangue di Gesù Cristo tutte le colpe verranno cancellate, si spezzeranno in mano al demonio le catene della nostra schiavitù e diverremo nuovamente figli di Dio ed eredi del Paradiso. L’anima nostra tornerà allora a gustare quella pace e felicità che aveva perduto per il peccato, e che non si può trovare che in Dio.






[Modificato da Caterina63 09/09/2015 18:51]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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Un sacerdote risponde

Io e mia moglie non stiamo applicando il magistero della Chiesa per quanto riguarda i metodi anticoncezionali e ci chiediamo se la Chiesa non debba rivedere il suo insegnamento

Quesito

Gentilissimo Padre,
Le scrivo in un momento di profonda riflessione nata quasi per caso (anche se al caso non credo in questa particolare circostanza).
Sono sposato ormai da 15 anni, ho due figli desiderati e amati da noi genitori. Nella mia vita (ho poco più di 40 anni) ho cercato di osservare, pur con le cadute della mia fragilità umana, i comandamenti, ho studiato all'Università Cattolica, ho dato esami di teologia, sono stato catechista per anni, frequento la parrocchia, centro nevralgico anche della vita di crescita dei nostri figli, mi confesso frequentemente così come partecipo all’Eucaristia domenicale. Ma…
…Io e mia moglie non stiamo applicando il magistero della Chiesa per quanto riguarda i metodi anticoncezionali. In pratica non usiamo quelli cosiddetti naturali ben consigliati dalla Humanae Vitae. Il problema è che in questi giorni ho ripreso in mano, non so perché, questo argomento e ho iniziato a documentarmi (cosa che avrei evidentemente dovuto fare prima). Il sito dove Lei periodicamente scrive mi ha sicuramente illuminato ma nello stesso tempo, dalle Sue risposte, sempre così pragmatiche, non ho trovato una via convincente.
Mi rispecchio nelle parole enunciate dai due laici brasiliani Arturo e Hermelinda As Zamberline, responsabili regionali di un movimento di spiritualità coniugale presente in 70 paesi,  che davanti al Sinodo dei Vescovi in Ottobre 2014 hanno detto “i metodi contraccettivi naturali sono buoni ma nella cultura attuale ci sembrano privi di praticità” e “le coppie cattoliche nella grande maggioranza non rifiutano l’utilizzazione di altri metodi contraccettivi”.
Le loro parole sono d’altra parte lo specchio delle risposte al questionario che il Santo Padre ha inviato a tutte le parrocchie del mondo con una serie di domande su temi molto attuali. La chiesa tedesca che per prima ha reso noti i risultati del sondaggio ha svelato come la stragrande maggioranza dei cattolici tedeschi non applichi i metodi naturali e non si senta neppure in obbligo di confessare tale scelta.
Neppure io ho mai sentito necessario confessarmi di questa scelta in quanto ho sempre trovato giustificazione nel fatto che io e mia moglie ci siamo aperti alla vita e i nostri figli ne sono la prova vivente. Oggi continuiamo ad amarci e riteniamo di  unirci nell’atto sessuale come dono reciproco l’uno verso l’altro. Non riesco a vedere una colpa così grave nell’utilizzare metodi che consentano la paternità e maternità responsabile; eppure per la Chiesa si tratta addirittura di peccato mortale. Questo mi ha scosso, me ne sono confessato ma come ho detto al confessore più per paura delle conseguenze che per la certezza che sia giusta questa limitazione alla scelta in coscienza degli sposi. Anche il confessore mi ha detto che le posizioni su questo argomento sono varie. 
Le sue risposte confrontate con quelle di altri teologi ne sono ulteriore prova. La sua intransigenza in tutte le sue risposte su questo tema, caro Padre, mi ha profondamente toccato. Trovo maggiore rispondenza alla Chiesa che ama i suoi figli nel “Vademecum per i confessori su alcuni temi di morale attinenti alla vita coniugale” in cui viene riconosciuto  alla coscienza della persona la capacità di valutare e decidere il comportamento da scegliere e da vivere. In questo caso la coscienza potrebbe esprimere un giudizio diverso dal giudizio del magistero.
Padre Maurizio Faggioni, docente di Teologia Morale, in un bell’articolo di qualche tempo fa ripercorre l’ambito storico in cui l’Humanae Vitae fu scritta. Era doveroso in quel tempo che la Chiesa prendesse posizione su un tema che, lasciato senza una guida, avrebbe portato a ritenere lecito qualsiasi comportamento lassivo e noncurante dei valori altissimi di cui la sessualità umana è portatrice. Il teologo afferma che le decisioni in questo campo sono affidate, in ultima istanza, alla coerenza della coscienza cristianamente formata degli sposi che, fedeli ai valori del matrimonio e in ascolto fiducioso e pensoso degli insegnamenti del Magistero, dovranno formulare valutazioni e fare scelte, con la libertà e la trasparenza dei figli, davanti al Padre. E’ chiaro che il ricorso alla contraccezione ha risonanza morale diversa se configura uno strumento tecnicamente efficace per fare sesso “sicuro” in un contesto di promiscuità e libertinaggio o se si configura come un tempo o una fase dell’itinerario cristiano di una coppia che si sforza di vivere con impegno la sua vocazione all’amore e di crescere in essa (cfr Giovanni Paolo II, Familiaris Consortio n.34 e il già citato Vademecum per i confessori).
In conclusione caro Padre, mi trovo molto combattuto tra il dover credere che il precetto della Chiesa sia giusto o pensare che sia solo il frutto di una presa di posizione che può minare la serenità degli sposi. Sicuramente Lei mi citerà esempi di sposi che hanno fatto la scelta del Magistero e sono felicissimi e tranquilli (e ci credo, non metto in dubbio tale scelta da loro fatta), ma d’altra parte io Le dico che non riesco ad accettare come peccato mortale la mia scelta (da equiparare all’omicidio? al furto? alla menzogna e alla violenza?). Non è che la Chiesa dovrà rivedere questa posizione così intransigente? Ora che sono consapevole di essere nel peccato mortale come potrò unirmi con mia moglie serenamente? Mi vengono alla mente le parole di Gesù "....anche a voi, dottori della Legge, che caricate gli uomini di pesi insopportabili che voi neppure toccate con un dito....".
Mi illumini perché sono nel dubbio e mi affido alla Madre Celeste che spero possa intercedere presso il Figlio se stiamo sbagliando e ci consenta il perdono del Padre.
La ringrazio e La saluto cordialmente, 
Luca

 


Risposta del sacerdote

Caro Luca,
1. Ci sono tanti errori in quello che mi hai scritto. 
Quanto hanno detto su questo punto i due coniugi brasiliani non riflette la legge di Dio insegnata dalla Chiesa.
Né il  comportamento dei tedeschi costituisce un criterio normativo di condotta.
Il criterio veritativo, come ben sai, non è dato dalla condotta della gente, né è garantito dal comportamento della maggioranza.

2. La maggioranza della gente trasgredisce anche altri comandamenti, come il terzo che riguarda la santificazione delle feste. Ma questo non significa che il terzo comandamento abbia cessato di essere direttivo del comportamento umano.
Fai riferimento ad un articolo di Padre Faggioni, il quale dice che “le decisioni in questo campo sono affidate, in ultima istanza, alla coerenza della coscienza cristianamente formata degli sposi che, fedeli ai valori del matrimonio e in ascolto fiducioso e pensoso degli insegnamenti del Magistero, dovranno formulare valutazioni e fare scelte, con la libertà e la trasparenza dei figli, davanti al Padre. Il teologo afferma che le decisioni in questo campo sono affidate, in ultima istanza, alla coerenza della coscienza cristianamente formata degli sposi che, fedeli ai valori del matrimonio e in ascolto fiducioso e pensoso degli insegnamenti del Magistero, dovranno formulare valutazioni e fare scelte, con la libertà e la trasparenza dei figli, davanti al Padre”.
È chiaro che le decisioni del comportamento le prende sempre il singolo col suo giudizio di coscienza in questo campo come in tutti gli altri.
Ma Padre Faggioni ha parlato di “coerenza della coscienza cristianamente formata degli sposi che, fedeli ai valori del matrimonio e in ascolto fiducioso e pensoso degli insegnamenti del Magistero”. Che significa questo se non che gli sposi cristiani intendono obbedire a Dio che manifesta la sua volontà anche attraverso l’insegnamento autorevole della Chiesa da Lui stesso assistita?
Il Padre Faggioni non  ha detto che si può fare quello che si vuole. No, non l’ha detto. Né ha detto che l’insegnamento della Chiesa non sia vincolante per la formazione cristiana della coscienza degli sposi. Anzi, se soppesi le parole, ha detto il contrario di quanto hai pensato.

3.  Ed ecco l’insegnamento della Chiesa espresso in un’assise come quella del Concilio Vaticano II: “I coniugi cristiani siano consapevoli che non possono procedere a loro arbitrio, ma devono sempre essere retti da una coscienza che sia conforme alla legge divina stessa, docili al magistero della Chiesa, che in modo autentico quella leggeinterpreta alla luce del vangelo” (Gaudium et spes, 50).

4. Il Concilio offre anche l’interpretazione della norma divina e dà anche la valutazione della contraccezione.
Dice infatti: “Quando si tratta di comporre l’amore coniugale con la trasmissione responsabile della vita, il carattere morale del comportamento non dipende solo dalla sincera intenzione e dalla valutazione dei motivi, ma va determinato da criteri oggettivi che hanno il loro fondamento nella dignità stessa della persona umana e dei suoi atti e sono destinati a mantenere in un contesto di vero amore l’integro senso della mutua donazione e della procreazione umana, e tutto ciò non sarà possibile se non venga coltivata con sincero animo la virtù della castità coniugale.
I figli della Chiesa, fondati su questi principi, non potranno seguire strade che sono condannate dal Magistero nella spiegazione della legge divina” (GS 51).
Di fatto tu stai seguendo “strade che sono condannate dal Magistero nella spiegazione della legge divina” (GS 51).
Non è una bella cosa né ti può lasciare tranquillo in coscienza.

5. Come puoi notare, il Concilio ha dato anche la valutazione sulla contraccezione coniugale: parla di integro senso della donazione umana.
Nella contraccezione non c’è l’integrità del dono, come ripetutamente ha insegnato San Giovanni Paolo II. 
Né viene coltivata la virtù della castità, che nel comportamento contraccettivo  abituale rimane una parola gettata al vento.

6. Né si può dire che essendo peccato grave la contraccezione venga valutata alla pari dell’omicidio. 
Ti faccio un esempio: si va in carcere perché si è omicidi e si va in carcere anche perché si è rubato.
I crimini sono diversi, ma sono ambedue gravi, sebbene uno sia più grave dell’altro, come viene determinato anche dalla pena.
Del resto anche il non santificare le feste per capriccio è un peccato grave e non è certo paragonabile all’omicidio.
Ciò non di meno non cessa di essere un peccato grave.

7. Ma ciò che forse si è oscurato in te è questo: che la valutazione del peccato grave non viene data in riferimento all’onesta naturale.
Anche chi non santifica le feste continua ad essere una persona onesta.
E anche chi fa contraccezione, come nel tuo caso, non cessa di essere persona onesta.
Si parla di peccato mortale in riferimento ad un altro criterio, che è di ordine soprannaturale, ed è quello della carità che consiste nell’avere la nostra volontà all’unisono con  quella di Dio. 
Infatti solo chi osserva i comandamenti ama il Signore: “Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi è colui che mi ama” (Gv 14,21).
Chi non li osserva non può dire di amare il Signore. È bugiardo, dice San Giovanni, e la verità non è in lui: “Chi dice: «Lo conosco» e non osserva i suoi comandamenti, è bugiardo e la verità non è in lui” (1 Gv 2,4).
San Tomasso ricorda che “mortale è quel peccato che toglie la vita spirituale prodotta dalla carità, virtù in forza della quale Dio abita in noi: perciò è mortale per il suo genere quel peccato che per se stesso, cioè per la sua natura, è incompatibile con la carità” (Somma teologica, II-II, 35, 3).

8. Mi dici anche che il tuo matrimonio ha realizzato l’aspetto procreativo perché hai due figli. 
Questa obiezione se l’è presentata anche Paolo VI nell’Humanae vitae e risponde così: “Né a giustificazione degli atti coniugali resi intenzionalmente infecondi, si può invocare, come valida ragione,... il fatto che tali atti costituirebbero un tutto con gli atti fecondi che furono posti o poi seguiranno, e quindi ne condividerebbero l’unica e identica bontà morale...
È quindi errore pensare che un atto coniugale, reso volutamente infecondo, e perciò intrinsecamente non onesto possa essere coonestato dall’insieme di una vita coniugale feconda” (Humanae Vitae, 14).
Se fosse stato sufficiente il tuo ragionamento, il Papa avrebbe potuto esimersi dallo scrivere l’Humanae Vitae e Giovanni Paolo II dal tornarvi sopra mille volte.
In realtà la nostra santificazione e la nostra amicizia col Signore si costruisce atto dopo atto, soprattutto in atti nei quali uno impegna grandemente se stesso come avviene negli atti coniugali.
Come non basta andare Messa a Natale e a Pasqua per dire che si santificano le feste, così non è sufficiente dire che si sono messi al mondo due figli  per giustificare atti che non rispettano neanche la vera e integra donazione dei coniugi.
C’è vera donazione se si dona tutto, anche la capacità procreativa.
Perché a quegli atti, oltre la donazione, è intrinseca la finalità procreativa, della quale siete bene consapevoli, perché diversamente non ricorrereste alla contraccezione. E sapete anche che quegli atti non durano finché volete, ma di fatto per natura vengono meno quando è stata espletata la funzione procreativa.
È evidente pertanto che la contraccezione attua una manomissione del disegno del Creatore sulla sessualità e sull’amore umano.

9. Mi hai citato il Vademecum per i confessori del Pontificio Consiglio per la famiglia (12.2.1997).
Ma proprio questo Vademecum dice: “La Chiesa ha sempre insegnato l’intrinseca malizia della contraccezione, cioè di ogni atto coniugale intenzionalmente infecondo. Questo insegnamento è da ritenere come dottrina definitiva ed irreformabile.
La contraccezione si oppone gravemente alla castità matrimoniale
è contraria al bene della trasmissione della vita (aspetto procreativo del matrimonio), 
alla donazione reciproca dei coniugi (aspetto unitivo del matrimonio), 
ferisce il vero amore 
nega il ruolo sovrano di Dio nella trasmissione della vita umana” (n. 2.4).
Tu mi scrivi: “Non è che la Chiesa dovrà rivedere questa posizione così intransigente?”.
Hai sentito che cosa dice il Vademecum? “Questo insegnamento è da ritenere come dottrina definitiva ed irreformabile”.

10. Infine, ma il discorso diventerebbe troppo lungo, riguarda i metodi naturali, che non sono come tu li definisci metodi anticoncezionali. Scrivi infatti: “Io e mia moglie non stiamo applicando il magistero della Chiesa per quanto riguarda i metodi anticoncezionali. In pratica non usiamo quelli cosiddetti naturali ben consigliati dalla Humanae Vitae”.
No, i metodi naturali non sono “metodi anticoncezionali naturali”.
Sono un’espressione della virtù della castità, di autodominio, di vero dono, non di contraffazione del dono.
A questo proposito ti ricordo la grande affermazione di Giovanni Paolo II il quale dice che fra i due metodi vi è “una differenza assai più vasta e profonda di quanto abitualmente non si pensi e che coinvolge in ultima analisi due concezioni della persona e della sessualità umana tra loro irriducibili” (Familiaris Consortio 32), ed invita “ad approfondire la differenza antropologica e al tempo stesso morale che esiste tra la contraccezione e il ricorso ai ritmi infecondi” (Ib.).
Mi permetto di rimandarti ad un mio approfondimento su questo tema, fatto in tre puntate, sul nostro sito: La profonda differenza che passa tra la contraccezione e il seguire la legge di Dio nel matrimonio  pubblicate il 14, il 15 e il 16 aprile del 2010 (leggi tutto...) (leggi tutto...) (leggi tutto...).

11. Quando tu mi hai scritto era il 5 gennaio, poco dopo la prima sessione del Sinodo straordinario. E in quel periodo molti hanno detto e scritto cose sbagliate, dando l’impressione che la dottrina della Chiesa su questo punto fosse modificabile.
Se non che Papa Francesco ha avuto occasione di ribadire la validità della dottrina di Paolo VI. Lo ha fatto in particolare a Manila. Ha detto: “In un momento in cui si riproponeva il problema della crescita della popolazione, ebbe il coraggio di difendere l’apertura alla vita della famiglia. Lui conosceva le difficoltà che c’erano in ogni famiglia, per questo nella sua Enciclica era tanto misericordioso con i casi particolari e chiese ai confessori che fossero molto misericordiosi e comprensivi con i casi particolari. Però lui guardò anche oltre, guardò i popoli della Terra, e vide questa minaccia di distruzione della famiglia a causa della mancanza dei figli. Paolo VI era coraggioso, era un buon pastore e allertò le sue pecore sui lupi in arrivo”.
Ho voluto evidenziare l’espressione: “chiese ai confessori che fossero molto misericordiosi e comprensivi con i casi particolari”.
Ed è vero ed è ciò che io ripropongo in continuazione nel nostro sito: “E se il peccato facesse ancora presa su di loro, non si scoraggino, ma ricorrano con umile perseveranza alla misericordia di Dio, che viene elargita nel sacramento della Penitenza” (Humanae vitae, 25).
Dicendo ai fedeli di ricorrere con umile perseveranza chiede nello stesso tempo ai confessori di essere “molto misericordiosi e comprensivi con i casi particolari”, come interpreta Papa Francesco. 
Ma essere “molto misericordiosi e comprensivi” non significa dire che il male non è male, anzi in alcuni casi è anche un bene.
No, un conto è la norma e un  conto è la condotta dei fedeli.
Anche in questo caso mi piace citare il Vademecum: “La recidiva nei peccati di contraccezione non è in se stessa motivo per negare l’assoluzione. Questa non si può impartire solo se mancano il sufficiente pentimento o il proposito di non ricadere in peccato. Il confessore eviterà di aver sfiducia nei confronti della grazia di Dio e delle disposizioni del penitente, esigendo garanzie assolute umanamente impossibili” (nn. 5 e 11).
La purezza della dottrina non è inconciliabile con la misericordia nel tratto delle persone. Mi pare che sia la premessa per essere veramente misericordiosi.

12. Mi scrivi anche: “nel Vademecum per i confessori viene riconosciuto alla coscienza della persona la capacità di valutare e decidere il comportamento da scegliere e da vivere. In questo caso la coscienza potrebbe esprimere un giudizio diverso dal giudizio del magistero”.
Il Vademecum non dice che si può fare quello che si vuole.
Dice piuttosto che in alcuni casi di ignoranza della legge di Dio “è sempre valido il principio secondo il quale è preferibile lasciare i penitenti in buona fede in caso di errore dovuto ad ignoranza soggettivamente invincibile, quando si preveda che il penitente, pur orientato a vivere nell’ambito della vita di fede, non modificherebbe la propria condotta, anzi passerebbe a peccare formalmente. 
Tuttavia, anche in questo caso, il confessore deve tendere ad avvicinare sempre più tali penitenti attraverso la preghiera, l’esortazione alla formazione della coscienza, ad accogliere nella propria vita il piano di Dio e l’insegnamento della Chiesa” (n. 8). Il che è ben diverso.

13. Infine desidero fare un’osservazione: come vedi, su tutta la linea sei abbastanza lontano da quanto dice il Magistero e lo sembri addirittura accusare con quell’affermazione “Mi vengono alla mente le parole di Gesù "....anche a voi, dottori della Legge, che caricate gli uomini di pesi insopportabili che voi neppure toccate con un dito....".
Questa citazione è fuori posto ed è offensiva nei confronti della Chiesa, di cui sei figlio. 
È fuori posto perché Gesù parlava delle leggi rituali e delle cerimonie che i dottori di quel tempo imponevano alla gente. E tu sembri applicarlo alla legge di Dio!
Penso che sia più giusto riconoscere i propri errori che legittimarli.
E dire che in un punto importante della vita purtroppo il peccato fa ancora breccia, come dice il beato Paolo VI e purtroppo si “nega il ruolo sovrano di Dio”.
E che convenga ricorrere “con umile perseveranza alla misericordia di Dio, che viene elargita nel sacramento della Penitenza” (Humanae vitae, 25).

14. A questo punto desidero dirti che la Chiesa ti affida un compito tutto contrario a quello che tu desideri da lei.
Mentre tu attendi una impossibile revisione della legge di Dio, la Chiesa ti dice: “E ora la nostra parola si rivolge più direttamente ai nostri figli, particolarmente a quelli che Dio chiama a servirlo nel matrimonio. La chiesa, mentre insegna le esigenze imprescrittibili della legge divina, annunzia la salvezza e apre con i sacramenti le vie della grazia, la quale fa dell’uomo una nuova creatura, capace di corrispondere nell’amore e nella vera libertà al disegno del suo Creatore e Salvatore e di trovare dolce il giogo di Cristo. (…).
Ad essi (gli sposi cristiani) il Signore affida il compito di rendere visibile agli uomini la santità "e la soavità della legge che unisce l’amore vicendevole degli sposi con la loro cooperazione all’amore di Dio autore della vita umana.
Non intendiamo affatto nascondere le difficoltà talvolta gravi inerenti alla vita dei coniugi cristiani: per essi, come per ognuno, è stretta la porta e angusta la via che conduce alla vita" (cfr. Lc 13,24).
Ma la speranza di questa vita deve illuminare il loro cammino, mentre coraggiosamente si sforzano di vivere con saggezza, giustizia e pietà nel tempo presente, sapendo che la figura di questo mondo passa” (HV 25).

15. Il Signore ti ha dato questo compito, il compito di essere con tua moglie apostolo della santità del matrimonio e della soavità della legge di Dio.
Pertanto ti esorto ad essere quello che devi essere davanti a Dio e davanti agli uomini senza sconti. 
Non cercare un sacerdote acquiescente alla tua situazione. 
Cercane uno che ti spinga alla santità. Non è così che si deve fare?
Cercane uno che ti aiuti ad essere umile, uno che ti purifichi dopo ogni caduta, che ti rialzi e ti faccia accostare al banchetto eucaristica come il Signore vuole.
Credo che questa sia la vera misericordia, quella che rende puri davanti al Signore.
Il buon samaritano ha lavato e curato le ferite di colui che era finito sotto le botte dei suoi rapinatori.
Il sacerdote e il levita che gli sono passati accanto e lo hanno lasciato così com’era. Non è stata misericordia la loro!  

Assicuro un cordiale ricordo nella preghiera per te, per tua moglie, per i tuoi carissimi figli e vi benedico uno ad uno. 
Padre Angelo








Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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  esame di coscienza con san Padre Pio




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Padre Pio e il Quinto Comandamento

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Estratto del libro “Padre Pio nella sua interiorità. Figlio di Maria, francescano, stigmatizzato, sacerdote, apostolo, guida spirituale”, di Don Attilio Negrisolo, Don Nello Castello, Padre Stefano Maria Manelli (Edizioni San Paolo, Roma, 1997).

«Non uccidere»

Padre Pio era l’uomo della vita.

Conosceva i misteri della vita dello spirito con una profondità mistica tutta sua. Amava la vita degli altri fino a offrire e dare per ognuno la sua.

Era la creatura posta nella posizione più audace in difesa della vita, sotto ogni aspetto.

Viveva con Cristo e con lui proclamava: «Io sono la Vita».

Superfluo parlare della pastorale di Padre Pio sull’aborto volontario, che definiva «abominevole delitto» e con la parola “matricidio”, che ne rivela, da sola, l’intrinseca gravità.

«Se per un solo giorno — disse in una circostanza — non avvenissero peccati contro la vita nascente, come contropartita Iddio darebbe al mondo la pace e la cessazione di ogni guerra».

Ma, a proposito del quinto comandamento che condanna l’odio e la vendetta, Padre Pio era inesorabile con chi coltivava risentimenti, rancori. Non si contano i penitenti che rimandava a riconciliarsi, prima di assolverli.

A una signora che, confessandosi, dopo avere enumerato i peccati, pensava di non dover aggiungere altro, Padre Pio chiese: «Ti ricordi altro?». «No, Padre». «Pensaci», le replicò Padre Pio. «No… non ricordo altro, Padre». E Padre Pio: «E con la tale persona?», ricordandole così un rancore antico. «Va’ a casa, riconciliati prima, e dopo torna che ti assolverò».

Un amico di Palermo, fedele figlio spirituale, che a Padre Pio doveva la salute dell’anima e quella del corpo, un giorno, confessandosi, si sente chiedere: «Odi tu?». «No, Padre». «Non hai odio?». «Padre, no». A questo punto una scena reale davanti ai suoi occhi: il suo ufficio e due impiegati. «Ma, Padre, li converta lei quei due lì!». «Figlio mio, prega per loro. Noi dobbiamo pregare per chi ci fa del male».




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Padre Pio e la proprietà: il Settimo e il Decimo Comandamento

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Estratto del libro “Padre Pio nella sua interiorità. Figlio di Maria, francescano, stigmatizzato, sacerdote, apostolo, guida spirituale”, di Don Attilio Negrisolo, Don Nello Castello, Padre Stefano Maria Manelli (Edizioni San Paolo, Roma, 1997).

«Non rubare. Non desiderare la roba d’altri»

10456062_905392362814045_2622541903797595633_nUn fatto può dare un’idea del modo con cui Padre Pio trattava i casi del settimo comandamento. Un negoziante di Cava dei Tirreni si confessa e Padre Pio gli chiede quanto fosse l’interesse che ricavava nella vendita. Il penitente esce dalla linea della domanda e dice: “Però faccio elemosine”. E Padre Pio: «Con i soldi degli altri! Vattene, ladro!». Fu tale lo sconcerto che costui lasciò il mestiere.

Un signore di Palermo, sindacalista, che si sentiva a disagio per i rischi morali che incontrava nella sua attività, volle consigliarsi con Padre Pio, che gli raccomandò di cambiare impiego, perché «la politica insegna a ladroneggiare».

Egli, fin dagli anni sessanta, prevedeva e soffriva per le attuali situazioni della nostra generazione. Ne parlava con parole roventi. Diceva che la nostra epoca si caratterizza come «confusione di idee e predominio di ladri».






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Il Confessore non è il “notaio” del penitente

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Don Nicola Bux replica ad un penitente di Bari che non è stato assolto durante la notte di Natale perché divorziato-risposato.

Bari, 3 gennaio 2016 — Qualcosa è cambiato, nei rapporti tra i fedeli e la Chiesa Cattolica. La vicenda di un uomo divorziato e risposato, recatosi per la confessione a San Nicola alla vigilia di Natale, riaccende il dibattito su un concetto che con il Giubileo è diventato mediatico. In una lettera, che laGazzetta ha pubblicato mercoledì 30 dicembre, l’interessato ha raccontato la propria delusione per l’assoluzione negatagli. E ha rivendicato la misericordia di Papa Francesco.

Don Nicola Bux
Don Nicola Bux

«Ma il sacerdote non è il notaio che ratifica una decisione già presa dal penitente» commenta don Nicola Bux, teologo, consultore in Vaticano, autore tra i più citati a livello internazionale. Il suo ultimo libro,Come andare a messa e non perdere la fede, è stato già tradotto in cinque lingue.

Ma l’assoluzione, ci ha scritto il nostro lettore, «va data a tutti quelli che si confessano».

È un’affermazione assurda. Qui si confonde il perdono con il condono. Nella confessione, il sacerdote è allo stesso tempo giudice e medico dell’anima. Assolvere vuol dire “sciogliere”, ossia slegare il penitente dal legame con il peccato. È il sacerdote, non il fedele, che valuta se ci sono le condizione per assolvere o meno.

Il pentimento non basta?

Il pentimento vero implica la disponibilità del fedele a sciogliere quel legame. Nel Vangelo Gesu Cristo dice: “Va’, e non peccare più”. Mica “va’ e continua a fare di testa tua”.

Il sacerdote ha ritenuto che non vi fossero le condizioni di cui parla?

Certamente. Non si può pretendere l’assoluzione senza il fermo proposito di non peccare più.

E qui entra in gioco il Giubileo della misericordia.

Concetto parecchio frainteso, negli ultimi tempi. Le regole non sono cambiate e i sacerdoti si attengono alla solita dottrina, tutti allo stesso modo, esattamente come tutti i giudici si attengono alla legge, senza eccezioni. Perché questo concetto è dato per scontato in tribunale e vorremmo sovvertirlo nelle chiese?

È chiaro da che parte stia don Bux.

Dalle parte di Gesù Cristo, ovviamente. Nessuno, su questa terra, ha l’autorità di cambiare le regole della sua Chiesa. Tant’è vero che dal sinodo è uscito un documento che non cambia assolutamente nulla, in materia di disciplina dell’eucaristia ai divorziati-risposati.

Però, papa Francesco, a molti sembra intenzionato a cambiare rotta.

Un altro enorme fraintendimento. Lo ha spiegato molto chiaramente il cardinale Muller, prefetto della congregazione per la dottrina della fede, ossia il custode della fede cattolica, il quale afferma: “La dottrina non è una teoria costruita dagli uomini. Il magistero del Papa e dei vescovi non è superiore alla Parola di Dio”.

A giudizio del sacerdote il nostro lettore sarebbe ancor più peccatore in quanto faceva la Comunione, nonostante avesse divorziato e si fosse poi risposato.

E vorremmo fare una colpa al sacerdote? È Gesù Cristo che, nel Vangelo, decreta l’indissolubilità del matrimonio. E San Paolo mette in guardia dal ricevere il sacramento indegnamente. Come si può pretendere di accedere all’eucaristia, se non si è più in comunione con la propria moglie? È una contraddizione in termini. Ed altre ne emergono, da quella lettera.

A cosa si riferisce?

Innanzitutto il dato di partenza. Il lettore si definisce “cattolico credente”, ma anche divorziato e risposato, il che tradisce l’indissolubilità del vincolo coniugale. Poi parla, testualmente, di uno “schiribizzo”, che lo avrebbe spinto a confessarsi dopo dodici anni di assenza dal confessionale. Ma almeno una volta all’anno, i cattolici hanno l’obbligo di confessarsi e di comunicarsi. È un tipico esempio di “cristianesimo fa-da-te”, che dovrebbe adattarsi alla nostre esigenze. Un fenomeno dal quale ci aveva messi in guardia il papa Benedetto XVI.

Ultima questione. La porta santa aperta nella Basilica, non rappresenta un percorso penitenziale speciale?

Anche su questo bisogna fare chiarezza. Il peccato, un po’ come il reato, comporta la colpa ed una pena. La confessione assolve dal peccato, non dalla pena che sarà scontata nell’al-di-là a livello soprannaturale. È a questo punto che entra in gioco il Giubileo che, in via straordinaria, serve ad assolvere anche dalla pena. Le porte della misericordia, nella Chiesa, erano, sono e saranno sempre aperte. Ma alle consuete condizioni. E i sacerdoti sanno che non devono cedere, non devono lasciarsi intimorire dalle opinioni dominanti.

FONTE: lagazzettadelmezzogiorno.it






[Modificato da Caterina63 06/01/2016 19:29]
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 FOCUS 
di Massimo Introvigne
La copertina del libro del Papa: Il nome di Dio è misericordia
 

È stato presentato in Vaticano il libro Il nome di Dio è misericordia, dove Andrea Tornielli intervista Papa Francesco sul tema della misericordia. Il libro è un’utile e commovente guida all’Anno Santo della Misericordia, e chiarisce che la misericordia non ha nulla a che fare con la negazione del peccato.


 Il libro è un’utile e commovente guida all’Anno Santo della Misericordia, e chiarisce in modo netto che la misericordia non ha nulla a che fare con il buonismo o con presunte negazioni della realtà del peccato. Al contrario, il Pontefice spiega che solo chi si riconosce peccatore riesce a incontrare la misericordia di Dio, e che il luogo privilegiato di questo incontro è il confessionale. Il libro comprende cinque diversi nuclei tematici. Il primo è relativo alle fonti del Magistero di Francesco sulla misericordia. 

Dall’inizio del suo pontificato, spiega il Papa, ha voluto proporre una Chiesa che «non aspetta che iferiti bussino alla sua porta, li va a cercare per strada, li raccoglie, li abbraccia, li cura, li fa sentire amati», e a tutti annuncia la misericordia. Ma non si tratta, afferma il Pontefice, di una novità. Le fonti ispiratrici di questa proposta sono San Giovanni XXIII, il Beato Paolo VI e soprattutto l’enciclica di San Giovanni Paolo II Dives in misericordia, nella quale il Papa polacco ha affermato che «la Chiesa vive una vita autentica quando professa e proclama la misericordia, il più stupendo attributo del Creatore e del Redentore, e quando accosta gli uomini alle fonti della misericordia». 

Francesco insiste anche su Santa Faustina Kowalska, l’apostola della Divina Misericordia, la cui devozione unisce San Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e l’attuale Pontefice. Francesco cita pure un’impegnativa affermazione teologica del Papa teologo, Benedetto XVI: «La misericordia è in realtà il nucleo centrale del messaggio evangelico, è il nome stesso di Dio, il volto con il quale Egli si è rivelato nell’antica Alleanza e pienamente in Gesù Cristo, incarnazione dell’Amore creatore e redentore». Ma ultimamente, insiste Francesco, le fonti del primato della misericordia sono nella Sacra Scrittura: «la misericordia è la carta d’identità del nostro Dio». Il Papa cita San Paolo nella Seconda Lettera a Timoteo (2, 13): «Se siamo infedeli, Lui rimane fedele, perché non può rinnegare sé stesso». «Tu puoi rinnegare Dio, commenta Francesco, tu puoi peccare contro di Lui, ma Dio non può rinnegare sé stesso, Lui rimane fedele». Ci sono poi delle fonti, per così dire, più personali. Il Papa cita il teologo gesuita padre Gaston Fessard e il suo libro La Dialectique des “Exercises spirituels” de S. Ignace de Loyola

In particolare, Francesco afferma di avere appreso da Fessard l’importanza della capacità di provare quella vergogna di fronte ai propri peccati che «è una delle grazie che sant’Ignazio fa chiedere nella confessione dei peccati davanti al Cristo crocifisso». Il Papa ha ritrovato questi concetti anche «nelle omelie del monaco inglese San Beda il Venerabile», e nell’esperienza concreta dei grandi confessori. Ne cita alcuni che ha conosciuto personalmente, e San Leopoldo Mandic, di cui ha letto in particolare nelle omelie di Papa Giovanni Paolo I. E cita anche il famoso teologo domenicano Antonio Royo Marín. Nel suo primo Angelus da Pontefice, Francesco aveva ricordato una vecchia penitente argentina, che in confessione gli aveva detto: «Se il Signore non perdonasse tutto il mondo non esisterebbe». «Durante quel primo Angelus – rivela ora il Papa –, dissi, per farmi capire, che la mia risposta era stata: “ma lei ha studiato alla Gregoriana!”. In realtà, la vera risposta fu: “Ma lei ha studiato con Royo Marín!”». 

Il secondo nucleo tematico del libro spiega la scelta di mettere oggi la misericordia al centro del Magistero. Questa scelta, afferma Francesco, è necessaria perché quella di oggi «è un’umanità ferita, un’umanità che porta ferite profonde. Non sa come curarle o crede che non sia proprio possibile curarle. E non ci sono soltanto le malattie sociali e le persone ferite dalla povertà, dall’esclusione sociale, dalle tante schiavitù del terzo millennio. Anche il relativismo ferisce tanto le persone: tutto sembra uguale, tutto sembra lo stesso».
Il relativismo porta a perdere il senso del peccato. Il venerabile Pio XII, ricorda Francesco, «più di mezzo secolo fa, aveva detto che il dramma della nostra epoca era l’aver smarrito il senso del peccato, la coscienza del peccato. A questo si aggiunge oggi anche il dramma di considerare il nostro male, il nostro peccato, come incurabile, come qualcosa che non può essere guarito e perdonato». Non si crede più al peccato, dunque non ci si confessa, ma si cercano gli aiuti più bizzarri nelle nuove religioni e nell’occultismo.Francesco ricorda di avere appreso dal cardinale Giacomo Biffi questa citazione dello scrittore inglese Gilbert Keith Chesterton: «Chi non crede in Dio, non è vero che non crede in niente, perché comincia a credere a tutto». E commenta: «Una volta ho sentito una persona dire: ai tempi di mia nonna bastava il confessore, oggi tante persone si rivolgono ai chiromanti… Oggi si cerca salvezza dove si può». 

Il terzo nucleo tematico riguarda la confessione. Non basta dire, ricorda il Papa, che riconosco il mio peccato e me ne pento davanti a Dio. «Ma è importante che io vada al confessionale, che metta me stesso di fronte a un sacerdote che impersona Gesù, che mi inginocchi di fronte alla Madre Chiesa chiamata a dispensare la misericordia di Dio. C’è un’oggettività in questo gesto, nel mio genuflettermi di fronte al prete, che in quel momento è il tramite della grazia che mi raggiunge e mi guarisce». Il Papa ricorda e spiega le sue immagini usate in omelie a Santa Marta secondo cui il confessionale non è né «una tintoria» né «una stanza delle torture». Quella della tintoria, spiega, era «un’immagine per far capire l’ipocrisia di quanti credono che il peccato sia una macchia, soltanto una macchia, che basta andare in tintoria perché te lavino a secco e tutto torni come prima». È l’atteggiamento di tanti che continuano a commettere lo stesso peccato, pensando che tanto poi se ne confesseranno. 

Quanto all’immagine della «stanza di tortura», Francesco spiega che era destinata ai confessori, qualche volta troppo curiosi specie nel campo sessuale. Il Papa li invita a guardare al dialogo di Gesù con l’adultera, un grande esempio per i confessori. Gesù non chiede alla donna quante volte lo ha fatto, con chi e come. Sta all’essenziale: «Vai e non peccare più». Mentre qualche volta tra i confessori «ci può essere un eccesso di curiosità, in materia sessuale, soprattutto. Oppure un’insistenza nel far esplicitare particolari che non sono necessari». L’invito ai confessori alla misericordia, afferma ancora il Papa, non significa che debbano assolvere sempre. Ci sono casi in cui l’assoluzione non si può dare. Ma in questi casi, «se il confessore non può assolvere, che spieghi il perché ma dia comunque una benedizione, anche senza assoluzione sacramentale» e non interrompa il dialogo con il penitente.  

Il quarto nucleo tematico riguarda l’atteggiamento giusto in cui dobbiamo porci nei confronti della Divina Misericordia e quindi della confessione. L’essenziale è che noi «siamo coscienti del nostro peccato, del male compiuto, della nostra miseria, del nostro bisogno di perdono, di misericordia». Se pensiamo di non essere capaci, chiediamolo al Signore. «Dio ci attende, aspetta che gli concediamo soltanto quel minimo spiraglio per poter agire in noi, col suo perdono, con la sua grazia». Ha atteso anche Simon Pietro, il cui tradimento – aggiunge Francesco – mostra che anche i Papi debbono riconoscersi peccatori.Dobbiamo anzitutto imparare e riconoscere che «c’è il peccato originale. Un dato del quale si può fare esperienza. La nostra umanità è ferita, sappiamo riconoscere il bene e il male, sappiamo che cosa è male, cerchiamo di seguire la via del bene, ma spesso cadiamo a motivo della nostra debolezza e scegliamo il male. È la conseguenza del peccato d’origine, del quale abbiamo piena coscienza grazie alla Rivelazione».

Il peccato originale non è una leggenda. La Sacra Scrittura «si serve di un linguaggio immaginifico per esporre qualcosa di realmente accaduto alle origini dell’umanità». Se il peccato originale non fosse una realtà, non si capirebbe perché Gesù Cristo «ha accettato di farsi torturare, crocifiggere e annientare per redimerci dal peccato». Al penitente, per fare una buona confessione, si chiede che «sappia guardare con sincerità a sé stesso e al suo peccato. E che si senta peccatore, che si lasci sorprendere, stupire da Dio. Perché lui ci riempia con il dono della sua misericordia infinita dobbiamo avvertire il nostro bisogno, il nostro vuoto». La verità sul peccato e la misericordia non si escludono, ma si richiamano. 

«La Chiesa condanna il peccato perché deve dire la verità: questo è un peccato. Ma allo stesso tempo abbraccia il peccatore che si riconosce tale, lo avvicina, gli parla della misericordia infinita di Dio». Senza riconoscere il proprio peccato non si può incontrare la misericordia. «La misericordia c’è, ma se tu non vuoi riceverla... Se non ti riconosci peccatore vuol dire che non la vuoi ricevere, vuol dire che non ne senti il bisogno». 

Rispondendo a una domanda di Tornielli sul famoso «chi sono io per giudicare» riferito alle persone omosessuali, Francesco spiega che «avevo detto in quella occasione: se una persona è gay, cerca il Signore e ha buona volontà, chi sono io per giudicarla? Avevo parafrasato a memoria il Catechismo della Chiesa cattolica, dove si spiega che queste persone vanno trattate con delicatezza e non si devono emarginare. Innanzitutto mi piace che si parli di “persone omosessuali”: prima c’è la persona, nella sua interezza e dignità. E la persona non è definita soltanto dalla sua tendenza sessuale: non dimentichiamoci che siamo tutti creature amate da Dio, destinatarie del suo infinito amore. Io preferisco che le persone omosessuali vengano a confessarsi». 
Sbaglia chi oppone la misericordia alla verità o alla dottrina: «la misericordia è vera, è il primo attributo di Dio. Poi si possono fare delle riflessioni teologiche su dottrina e misericordia, ma senza dimenticare che la misericordia è dottrina». Lo hanno negato le eresie «che riemergono sotto altre forme: i catari, i pelagiani che giustificano sé stessi per le loro opere e per il loro sforzo volontaristico, atteggiamento quest’ultimo già contrastato in maniera molto limpida nel testo della Lettera ai Romani di Paolo. Pensiamo allo gnosticismo, che porta quella spiritualità soft, senza incarnazione».

È difficile per la Chiesa tenere insieme verità e misericordia, evitando fraintendimenti? È difficile, ma è obbligatorio. «Bisogna entrare nel buio, nella notte che attraversano tanti nostri fratelli. Essere capaci di entrare in contatto con loro, di far sentire la nostra vicinanza, senza lasciarci avvolgere e condizionare da quel buio. Andare verso gli emarginati, verso i peccatori, non significa permettere ai lupi di entrare nel gregge». Ma, mentre vigila sui lupi, la Chiesa è attenta a incontrare le pecorelle smarrite che hanno mosso i primi timidi passi sulla via del ritorno all’ovile. «A volte c’è il rischio che i cristiani, con la loro psicologia di dottori della Legge, spengano ciò che lo Spirito Santo accende nel cuore di un peccatore, di qualcuno che sta sulla soglia, di qualcuno che comincia ad avvertire la nostalgia di Dio». 

Il quinto nucleo del libro riguarda la dimensione sociale e politica della misericordia.
Questa dimensione, afferma il Papa che ha antenati piemontesi, non può essere negata se «pensiamo al Piemonte della fine dell’Ottocento, alle Case della misericordia, ai santi della misericordia, il Cottolengo, don Bosco...». Santi che si sono anche occupati di rendere più umana la condizione dei carcerati, una causa che sta molto a cuore a Francesco. «Con la misericordia la giustizia è più giusta, realizza davvero sé stessa. Questo non significa essere di manica larga, nel senso di spalancare le porte delle carceri a chi si è macchiato di reati gravi. Significa che dobbiamo aiutare a non rimanere a terra coloro che sono caduti».

Francesco spiega anche perché è così severo sulla corruzione. Non si tratta di un peccato specifico – quasi che fosse corrotto solo il politico che ruba – ma di un atteggiamento mentale, che come tale riguarda tutti i peccati. «La corruzione è il peccato che invece di essere riconosciuto come tale e di renderci umili, viene elevato a sistema, diventa un abito mentale, un modo di vivere. Non ci sentiamo più bisognosi di perdono e di misericordia, ma giustifichiamo noi stessi e i nostri comportamenti».  «Il peccato, soprattutto se reiterato, può portare alla corruzione»: «il corrotto si stanca di chiedere perdono e finisce per credere di non doverlo più chiedere». In fondo, la corruzione è la manifestazione, che diventa sociale, della perdita sia del senso del peccato sia della vergogna di fronte ai peccati. Dobbiamo tutti «chiedere la grazia di riconoscerci peccatori, responsabili di quel male. Più ci riconosciamo bisognosi, più ci vergogniamo e ci umiliamo, più presto veniamo inondati dal suo abbraccio di Grazia». 

Il luogo dove apprendere il senso del peccato e della misericordia è la famiglia: «è l’ospedale più vicino: quando uno è malato ci si cura lì, finché si può. La famiglia è la prima scuola dei bambini, è il punto di riferimento imprescindibile per i giovani, è il miglior asilo per gli anziani». Lì si apprende anche la compassione, che è il nostro modo umano di corrispondere alla misericordia divina. E si cominciano a praticare le opere di misericordia, che il Papa ha più volte raccomandato di riscoprire nel Giubileo. Non solo le opere di misericordia corporale, ma anche quelle di misericordia spirituale, che non sono meno importanti: «avvicinare, saper ascoltare, consigliare, insegnare». È questo l’apostolato della misericordia.



[Modificato da Caterina63 13/01/2016 08:25]
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14/01/2016 00:48
 
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[SM=g1740717] [SM=g1740720] Il 14 giugno 2013 il piccolo Walter è nato a 19 settimane di gestazione all'ospedale di Kokomo, in Indiana, Stati Uniti.
Nonostante sia sopravvissuto solo pochi minuti, lui e sua madre hanno lasciato un segno profondo in molta gente in tutto il mondo dopo la diffusione delle foto della sua nascita inattesa.

www.youtube.com/watch?v=fYL3e23ncxU






[SM=g1740738] [SM=g1740750] [SM=g1740752]

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  Cosa dire quando mi confesso?
dal Numero 25 del 23 giugno 2013
di Don Leonardo M. Pompei

I peccati mortali devono essere sempre tutti confessati, avendo cura di specificare, nella Confessione, alcuni elementi, come di seguito si potrà leggere. È buona abitudine confessare anche i peccati veniali, sebbene non sia obbligatorio.

Il quarto requisito per una buona Confessione è l’accusa sincera dei peccati commessi di cui si ha memoria. Come la Santa Madre Chiesa ha autorevolmente (e dogmaticamente) insegnato, sono oggetto obbligatorio e necessario tutti e ciascuno i singoli peccati commessi da quando si ha l’uso della ragione in poi, i quali vanno confessati bene, ovvero non genericamente, ma per specie, numero e circostanze. L’inosservanza volontaria di tale indicazione, come già visto per ciò che concerne il sincero pentimento, non solo rende la Confessione invalida, ma la trasforma in sacrilega. Cerchiamo di focalizzare bene i dettagli di questo importantissimo ulteriore elemento costitutivo della “quasi materia del Sacramento”.

Bisogna quindi anzitutto distinguere tra oggetto obbligatorio e necessario della Confessione e oggetto consigliato e raccomandato di essa. È strettamente obbligatorio confessare i peccati mortali, ovvero quelli aventi una materia grave (in sé o per le “proporzioni” della trasgressione) e che siano stati commessi con piena avvertenza (rendendosi conto della gravità di ciò che si stava facendo) e deliberato consenso (non sotto la spinta di violenza o altra gravissima causa). 

Tanto per fare qualche esempio di comuni peccati che sono sempre mortali per la gravità della materia in se stessa, possiamo citare i sacrilegi, le irriverenze, le bestemmie, il falso giuramento, l’omessa santificazione del giorno festivo, l’uso di droga, le percosse, l’impurità in tutti i suoi generi e specie, l’inverecondia e l’immodestia. Ci sono invece alcuni peccati che diventano mortali quando la materia da “lieve” diventa “grave”.
Per esempio il furto, che è peccato veniale quando cade su oggetti di scarso valore, mentre è peccato mortale quando l’entità della cosa rubata o ingiustamente trattenuta è considerevole; le mancanze nei confronti dei genitori, che diventano gravi quando sono ingiurie o quando sono disubbidienze in cose di grande entità; le volgarità e le parolacce, che diventano gravi quando sono a sfondo sessuale o quando sono dette con odio per ferire e colpire il prossimo.

Questi peccati vanno confessati non in maniera generica, ma per specie: non basta dire “ho peccato contro il Secondo Comandamento”, perché un conto è la bestemmia, un conto il falso giuramento, un conto la nomina inutile del nome di Dio, della Madonna o dei santi; non basta dire “ho commesso atti impuri”, perché altra cosa è l’adulterio rispetto ai rapporti prematrimoniali, o al peccato impuro solitario, ecc. Va inoltre specificato il numero, perché tanti sono i peccati mortali quante sono le volte che si sono commessi e ciò determina un profondo aggravamento sia della situazione della coscienza sia delle pene dovute per il peccato (che faranno fare il Purgatorio nonostante l’assoluzione). 

Quando non si ricorda il numero preciso, bisogna dare al confessore “l’ordine di grandezza”, avvicinandosi il più possibile alla verità. Se un penitente sa di aver colpevolmente “mandato in vacanza il Padre eterno” durante il periodo estivo, non sarà per lui sufficiente dire “ho mancato alla Santa Messa”, ma dovrà appunto specificare “per tutto il periodo estivo”.

Se si confessa un bestemmiatore abituato, dovrà far chiaramente capire che non è che gli sia scappata una bestemmia in un momento di collera, ma che più volte ha offeso il nome di Dio, ecc. Infine vanno specificate le circostanze quando queste mutano la natura del peccato oppure ne aggravano o diminuiscono la gravità. Se si è bestemmiato dinanzi a un figlio piccolo, bisogna specificarlo, perché questa aggravante (il vero e proprio scandalo dato a un piccolo dal proprio genitore) è quasi più grave del peccato commesso; così come se si è mancati alla Santa Messa, avendo dei figli piccoli che devono avere nei genitori un modello e uno sprone per imparare l’osservanza della Legge di Dio.

Se si è commessa qualche impurità, bisogna specificare se il complice, per esempio, fosse sposato in Chiesa (anche se divorziato), perché l’atto si trasforma immediatamente in adulterio che è molto più grave della fornicazione semplice, ecc.
Similmente se si è mancati alla Santa Messa non per negligenza ma per improvvisi problemi che hanno reso molto difficile la partecipazione (se non addirittura moralmente impossibile: la malattia personale, un incidente stradale, il ricovero improvviso di una persona cara), bisogna specificarlo; così come se fosse scappata una bestemmia in preda all’ira da parte di chi non ha questa abitudine e si è ritrovato con un’espressione blasfema uscitagli dalla bocca senza nemmeno capire come è successo; oppure i peccati che sono stati commessi per ignoranza anche se colpevole (cosa che avviene quando si trasgredisce gravemente la Legge di Dio, senza sapere o avere la piena consapevolezza della gravità del peccato, per difetto di formazione della coscienza, ecc.).

I peccati mortali vanno confessati tutti, anche quelli molto lontani nel tempo, di cui non si abbia la certezza di averli già portati dinanzi al tribunale della divina Misericordia. La Confessione, infatti, copre solo i peccati non confessati per dimenticanza, ma comporta sempre in sé l’obbligo che, qualora affiorino nella memoria peccati anche molto antichi che si è certi o quasi di non aver mai confessato, essi vengano umilmente confessati alla prima Confessione utile. Sembra assai probabile l’opinione di chi ritiene, in caso di peccati molto antichi, che nonostante l’obbligo di confessarli alla prima occasione utile, il fedele possa accostarsi alla Comunione sacramentale, diversamente da ciò che accade qualora, nel presente, si commetta un peccato mortale, nel qual caso non bisogna per nessun motivo accostarsi all’Eucaristia senza premettere la Confessione sacramentale.

Gli altri peccati (quelli veniali) e le imperfezioni morali non costituiscono oggetto obbligatorio di Confessione, ma la Chiesa ne “raccomanda caldamente” la confessione, dato che una coscienza che li sottovaluti si espone grandemente al pericolo di cadere in mancanze gravi e comunque, nel caso di peccati in senso stretto (piccole maldicenze, atti di superbia, bugie, volgarità non eccessive, scatti di collera, ecc.), si offende comunque Dio e si “aumenta” il tempo di purgazione che sarà necessario affrontare in Purgatorio prima di accedere alla visione beatifica. Un’anima poi che voglia santificarsi non può in nessun caso e per nessun motivo prendere alla leggera venialità e imperfezioni, altrimenti cadrà inevitabilmente nelle sciagurate sabbie mobili della mediocrità e della tiepidezza, perderà un numero considerevole di grazie divine, farà molto meno bene (o lo farà molto peggio) di quello che dovrebbe o potrebbe.






  Il dolore che salva in punto di morte
dal Numero 28 del 14 luglio 2013
di Padre Angelomaria Lozzer, FI

Alcuni credono di poter condurre una vita lontani da Dio per poi ricorrere al “pentimento finale”, alle soglie della morte. Ma è un pensiero imprudente e pericoloso. L’ignoranza in materia inganna molti. Perciò sarà utile conoscere la cosiddetta “contrizione”, dono divino alquanto raro.

Nel caso in cui un peccatore, trovandosi in punto di morte impossibilitato a ricevere i Sacramenti, sinceramente pentito, compisse un atto di contrizione perfetta, riceverebbe l’assoluzione delle sue colpe direttamente da parte di Dio e se morisse si salverebbe. Tale contrizione (o dolore perfetto), tuttavia, per essere valida ed ottenere il perdono deve possedere 6 caratteristiche fondamentali, alcune delle quali, eccettuata la quinta, sono proprie anche del dolore necessario per la validità del sacramento della Confessione. 

1) Sommo, in quanto il peccato deve essere ritenuto come il male peggiore e la più grande sciagura possibile su questa terra, perché è la perdita di Dio Sommo Bene. Non significa con ciò che si debba provare un dolore maggiore per intensità di qualsiasi altro, come sarebbe per esempio la perdita di una persona cara, ma “apprezzativamente” sì, al punto che in caso di scelta dovremmo preferire la nostra stessa morte alla perdita di Dio. 

2) Interno, nel senso che il dolore per essere valido non deve necessariamente manifestarsi all’esterno con lacrime e sospiri, ma deve scaturire dall’anima, dalla volontà e dall’intelletto: «Stracciatevi il cuore e non le vesti».

3) Universale, cioè si deve estendere senza eccezioni a tutti i peccati mortali, in quanto tutti offendono Dio e ci privano del Paradiso. 

4) Soprannaturale, perché deve nascere da motivi di fede e non da motivi naturali, come sarebbero il rimorso per aver perduto un’amicizia, il lavoro, i beni terreni o l’essere incorso nell’infamia, nella giustizia civile, ecc. Questi ultimi motivi da soli non sono sufficienti nemmeno per ottenere il perdono nel sacramento della Confessione.

5) Motivato dalla carità perfetta. Non tutti i motivi soprannaturali sono sufficienti per ottenere il perdono al di fuori del sacramento della Confessione, ma solo quello che deriva da un atto perfetto di amor di Dio. Quindi il dolore non dovrà procedere da motivi soprannaturali inferiori, quali sarebbero ad esempio la paura dell’inferno e dei castighi di Dio, perché sebbene siano sufficienti al fine del Sacramento, non lo sono altrettanto al di fuori di esso. Il Catechismo della Chiesa Cattolica insegna tutto ciò espressamente ai numeri 1452-1453: «Quando proviene dall’amore di Dio amato sopra ogni cosa, la contrizione è detta “perfetta” (contrizione di carità). 
Tale contrizione rimette le colpe veniali; ottiene anche il perdono dei peccati mortali, qualora comporti la ferma risoluzione di ricorrere, appena possibile, alla confessione sacramentale. La contrizione detta “imperfetta” (o “attrizione”) è, anch’essa, un dono di Dio, un impulso dello Spirito Santo. Nasce dalla considerazione della bruttura del peccato o dal timore della dannazione eterna e delle altre pene la cui minaccia incombe sul peccatore (contrizione da timore). Quando la coscienza viene così scossa, può aver inizio un’evoluzione interiore che sarà portata a compimento, sotto l’azione della grazia, dall’assoluzione sacramentale. Da sola, tuttavia, la contrizione imperfetta non ottiene il perdono dei peccati gravi, ma dispone a riceverlo nel sacramento della Penitenza».

6) Accompagnato dalla volontà di accostarsi al sacramento della Confessione il prima possibile. Tale caratteristica è la prova della sincerità del pentimento; ossia l’anima è disposta a tutto ciò che Dio, l’Offeso, gli chiede per ottenere di nuovo la sua amicizia.

Si capisce allora che compiere un atto di contrizione perfetta non è qualcosa di semplicissimo da fare, né di così scontato, ma anzi è una grazia straordinaria di Dio che la Chiesa ci fa chiedere insistentemente ad ogni Ave Maria: «Prega per noi adesso e nell’ora della nostra morte». Dio la concede a coloro che in vita si sono sforzati di osservare la sua Legge e di conservarsi nella sua grazia, facendo buon uso di quei mezzi di grazia offertici a tale scopo da Dio, quali i Sacramenti e la preghiera (la pratica dei primi nove venerdì del mese e i primi cinque sabati).

Chi ricusa di confessarsi in vita con la scusa di pentirsi in punto di morte e di ottenere così il perdono si inganna. Egli accumula su di sé altri peccati oltre quelli che già ha, mettendosi in una condizione peggiore di prima. Pecca innanzitutto contro la virtù della speranza, perché, come spiega san Tommaso d’Aquino, si può andare contro questa virtù o per difetto o per eccesso: per difetto con la disperazione, per eccesso con la presunzione. La speranza, infatti, è quella virtù teologale che ci fa desiderare e aspettare da Dio con ferma fiducia «la vita eterna e le grazie per meritarla» (CCC 1843). 

Ora, chi si affida ad un intervento finale da parte di Dio trascurando le grazie necessarie per meritarla è simile a chi, dovendo fare un lungo viaggio per mare, rifiuta il passaggio offertogli dalla nave per affidarsi ad un legno che galleggia sull’acqua, sperando in un vento favorevole; è la tentazione del diavolo che dice a Gesù di gettarsi dal pinnacolo perché tanto Dio invierà i suoi Angeli a salvarlo e a cui Gesù risponderà: «Non tenterai il Signore Dio tuo». Infine, l’anima che presume la propria Salvezza rifiutando di servirsi dei Sacramenti aggiunge anche il peccato di ingiuria nei confronti di Cristo che li ha istituiti, perché ripudiandoli o ne nega l’efficacia o comunque ne rende vana l’istituzione. 

Perciò guardiamo sempre di attendere alla nostra Salvezza – come dice san Paolo – «con timore e tremore» (Fil 2,12), facendo buon uso di tutti i mezzi di grazia che il Signore ci ha concesso. Se poi ci capitasse di trovarci in punto di morte senza la possibilità dei Sacramenti, stringiamoci al petto un crocifisso e baciamolo con venerazione, contemplando quelle piaghe d’amore con riconoscenza e pentimento, affidando alla Madonna, Rifugio dei peccatori la nostra povera anima.



  



[Modificato da Caterina63 21/01/2016 19:08]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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  Ho peccato in pensieri parole opere ed omissioni
(cliccare sulle immagini per ingrandirle)

 

Gesù ha detto: “ma io vi dico: chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel suo cuore” (Mt. 5,28).

Come vediamo, per compiere il peccato non basta il pensiero. È necessario anche il desiderio. Ma una volta adulterato il pensiero, ossia pianificato il desiderio perverso, non basta il non compierlo per trovarsi in regola, bisogna emendare il desiderio e il cattivo pensiero maturato perchè, insegna sempre Gesù  che dal cuore si emanano gli adultèri e le azioni disoneste che macchiano l'uomo (Mt. 15,19). L'apostolo Paolo bolla di frequente, con parole roventi tutti i vizi e altrove ribadisce: "Fuggite l'impudicizia!" (1Cor. 6,18) che è la madre dei cattivi desideri. "Non immischiatevi con gli impudichi" (1Cor. 5,9); "In mezzo a voi, non siano neppur nominate l'incontinenza, l'impurità di ogni genere e l'avarizia" (Ef. 5,3); "Disonesti, adulteri, effeminati e sodomiti, non possederanno il regno di Dio...." (1Cor. 6,9-10)

In sostanza, poi, i famosi peccati contro lo Spirito Santo sono imperdonabili non perché Dio non voglia perdonarli, ma perché chi li compie si chiude del tutto all’azione della grazia di Dio e al pentimento, non si pente, ossia non elimina quel desiderio malvagio e perverso, giustificandolo e dunque ha un cuore chiuso alla conversione.

Ho peccato in pensieri parole opere ed omissioni è un "pacchetto" unico perchè i cattivi pensieri partono da desideri disordinati e si trasformano in parole, dalle parole agli atti, dagli atti alle omissioni, ossia, l'omissione al riconoscere ciò che è peccato. Molti pensano che il peccatore sia semplicemente un eretico, sia un semplice apostata, un immorale. ma non è solo questo: si può essere malvagiamente persino ortodossi nella dottrina e tuttavia vivere da peccatori. Che cosa sono dunque queste omissioni?

Stiamo attenti a non agire come il fariseo nella sua preghiera e agiamo piuttosto come il pubblicano, nella parabola che troviamo nel Vangelo di Luca 18,9-14.

C'è una bellissima risposta del cardinale Muller, Prefetto della CdF al quale in una lunga intervista, apparsa il 30 dicembre scorso sul settimanale tedesco Die Zeit, alla domanda:

che cosa pensi di quei cattolici che attaccano il Papa definendolo “eretico”, egli risponde: «Non solo per il mio ufficio, ma per convinzione personale devo dissentire. Eretico nella definizione teologica è un cattolico che nega ostinatamente una verità rivelata e proposta come tale dalla Chiesa da credere. Tutt’altro è quando coloro che sono ufficialmente incaricati di insegnare la fede si esprimono in modo forse infelice, fuorviante o vago. Il magistero del Papa e dei vescovi non è superiore alla Parola di Dio, ma la serve. (…) Pronunciamenti papali hanno inoltre un diverso carattere vincolante – a partire da una decisione definitiva pronunciata ex cathedra fino ad un’omelia che serve piuttosto all’approfondimento spirituale».

La risposta del cardinale la prendiamo per fare nostro questo esame della coscienza e non già per giudicare le coscienze degli altri... i nostri pronunciamenti dottrinali, per esempio, come sono? Quale testimonianza diamo alla Verità? Quale testimonianza diamo alla sana Dottrina? Quale testimonianza diamo nella vita quotidiana in famiglia, con gli amici, sul posto di lavoro, ai figli, e così via? Quale testimonianza diamo a chi è nel dubbio, nell'errore, nel peccato? Quanti peccati omettiamo di dire nel confessionale perchè ci riteniamo giusti, approvati dalle false dottrine perchè ci fanno comodo?

 

Lo diciamo all'inizio della Messa e si chiama Atto penitenziale, il Confiteor: Confesso a Dio onnipotente, e a voi, fratelli, che ho molto peccato in pensieri, parole, opere e omissioni: (battendosi il petto) per mia colpa, mia colpa, mia grandissima colpa. E supplico la beata sempre vergine Maria, gli angeli, i santi e voi, fratelli di pregare per me il Signore Dio nostro.

Vale la pena, allora, fare uno sforzo per evitare che l'abitudine a ripetere certe formule non diventino però ostacolo al riconoscere davvero questo peccare, e fare ogni autentico proposito per debellare in noi quel desiderio malvagio che ci porta costantemente lontani da Dio. Infatti non è mai Dio ad allontanarsi da noi, ma noi da Lui, e quanto maggiormente chiudiamo il cuore a questo percorso di purificazione, maggiormente ci illudiamo di stare nel giusto.

C'è un'importante precisazione da fare riguardo ai peccati di omissione. Omettere vuol dire tralasciare. Il giudizio finale, invece, avverrà tutto proprio sui peccati di omissione:

«Quando il Figlio dell'uomo verrà nella sua gloria con tutti i suoi angeli... e saranno riunite davanti a Lui tutte le genti, Egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dai capri e porrà le pecore alla sua destra e i capri alla sua sinistra... Poi dirà a quelli alla sua sinistra: "via lontano da me, maledetti nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli. Perché...(..) In verità vi dico: ogni volta che non avete fatto queste cose a uno di questi miei fratelli più piccoli (cioè gli emarginati) non l'avete fatte a me". E se ne andranno questi al supplizio eterno e i giusti alla vita eterna» (Mt 25, 31, 32, 41-43, 45, 46).

Non diamo ascolto a quelli che dicono che l'Inferno non esiste, o che si svuoterà, o che è lo spauracchio che la Chiesa usa per tenere il popolo oppresso, no! Ricordiamo piuttosto il monito dei Santi che dell'Inferno ce ne hanno parlato, ricordiamo le parole di Santa Suor Faustina Kowalska, colei che ha ricevuto da Gesù di parlare della Sua Divina Misericordia, ma dove anche le fece vedere l'Inferno che ella descrisse nel suo Diario:

"Oggi, sotto la guida di un angelo, sono stata negli abissi dell'inferno. È un luogo di grandi tormenti per tutta la sua estensione spaventosamente grande. (...) Il peccatore sappia che col senso col quale pecca verrà torturato per tutta l'eternità. Scrivo questo per ordine di Dio, affinché nessun'anima si giustifichi dicendo che l'inferno non c'è, oppure che nessuno c'è mai stato e nessuno sa come sia. Io, Suor Faustina, per ordine di Dio sono stata negli abissi dell'inferno, allo scopo di raccontarlo alle anime e testimoniare che l'inferno c'è. Ora non posso parlare di questo. Ho l'ordine da Dio di lasciarlo per iscritto. (..) Quello che ho scritto è una debole ombra delle cose che ho visto. Una cosa ho notato e cioè che la maggior parte delle anime che ci sono, sono anime che non credevano che ci fosse l'inferno..."

Quindi il non fare il bene è cosa di cui bisognerà rendere conto al punto che le omissioni indicate da Gesù significheranno semplicemente la dannazione!

Dicono che il Dio dell'Antico Testamento sgomenta per la sua intransigenza, ma qui è Gesù che parla: e non è Gesù "il nostro Signore e nostro Dio" una sola cosa col Padre che chiama Padre e una cosa sola con lo Spirito Paraclito?

Dio è amore e come qui si vede, Egli non tollera che dei suoi figli lascino morire di fame o di ignoranza altri suoi figli, per questo il Catechismo insegna le "7 opera di misericordia corporali e le 7 opere di misericordia spirituali".

 

Anzi Gesù, paradossalmente e apparentemente, mostra maggiore severità del Padre nel pretendere la perfezione dell'uomo, perchè Lui è venuto ad insegnarci come si fa, pagandone il prezzo.
Infatti alcuni comandamenti vennero "amplificati" da Gesù nel senso che Egli volle far comprendere il loro più profondo significato e che il peccato è non tanto nell'azione, quanto nel sentimento che lo produce, nell'intenzione, nella perversione, nella giustificazione nel commetterlo. E' dal pensiero malvagio che si produce poi l'effetto.
Egli solo e proprio perché Figlio di Dio e quindi Dio, poteva parlare con autorità divina e dichiarare:
«Avete inteso che fu detto agli antichi... ma Io vi dico...

Ed ecco che al comandamento: "non commettere adulterio"; Gesù aggiunge: "chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel suo cuore" ( Mt 5,28), e questo vale anche per le donne come insegnerà Paolo.

Al 5° comandamento: "non uccidere", Gesù aggiunge: "chiunque si adira con il proprio fratello sarà sottoposto a giudizio (...) sarà sottoposto al fuoco della geenna" (Mt 5, 22).
Tanto grande è la dignità dell'uomo, che insultare un essere umano con disprezzo e con odio, è come insultare il Signore, perché l'uomo è creato a immagine di Dio! Ma soprattutto qui è chiamato in causa il perdonare. Lo diciamo nel Padre Nostro: "rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori..." chi non perdona il prossimo che gli ha fatto qualcosa che è male, ed agisce con odio e vendetta, sarà ripagato da Dio con la stessa moneta. L'odio e la vendetta, infatti, alimentano nel cuore dell'uomo pensieri malvagi, per questo il nostro modello è Gesù, un Dio fatto uomo e non il contrario. Perchè Gesù è perfetto, è senza peccato, è Dio, e i suoi insegnamenti sono divini, sono perfetti.

Possiamo fare un'altra precisazione a proposito del 6° comandamento. Esso è stato tradotto dall'ebraico anche con le parole: non fornicare. La fornicària, in lingua latina, è la prostituta: chi andava con una prostituta, tradiva la moglie e quindi commetteva adulterio. Però, con significato più esteso, fornicare vuol dire darsi a piaceri illeciti.

Sentiamo che cosa dice l'Apostolo a questo proposito:
«Quanto alla fornicazione e a ogni specie di impurità o cupidigia, neppure se ne parli tra voi come si addice a santi; lo stesso si dica per le volgarità, insulsaggini, trivialità... Perché sappiatelo bene, nessun fornicatore, o impuro o avaro... avrà parte al regno di Cristo e di Dio. Nessuno vi inganni con vani ragionamenti: per queste cose infatti piomba l'ira di Dio su coloro che gli resistono. Non abbiate quindi niente in comune con loro. Se un tempo eravate tenebra, ora siete luce nel Signore» (Ef 5, 3-8).

I «vani ragionamenti» che possono ingannare le coscienze sono proprio quelli che si fanno oggi e cioè che tutto è lecito, che bisogna liberarsi dai tabù del passato, ecc.
Chi dice così o non sa che la parola di Dio, vale per tutti i tempi perché Dio non è come gli uomini che oggi possono dire una cosa e domani la riconoscono errata ed hanno quindi bisogno di correggerla! Non abbiamo un Dio giocarellone e ciò che era peccato ieri è peccato anche oggi, i Comandamenti non mutano con i tempi....
Oppure chi dice così: che bisogna liberarsi dai tabù del passato... omette di ben ragionare perchè definisce maliziosamente i Comandamenti e la legge di Dio come un tabù del passato e così dimostra solo di non aver mai creduto davvero nella legge divina.
Le parole dell'Apostolo Paolo sono state dichiarate Parola di Dio perché ispirate dallo Spirito Santo e sono in perfetta armonia con quelle di Gesù che dichiara, e che pochi sacerdoti e catechisti citano:
«Quel che esce dall'uomo, questo sì contamina l'uomo. Dal di dentro infatti, cioè dal cuore degli uomini, escono le intenzioni cattive: fornicazioni, furti, omicidi, adulteri, cupidigie, malvagità, inganno, impudicizia, invidia, calunnia, superbia, stoltezza. Tutte queste cose cattive vengono fuori dal di dentro e contaminano l'uomo» (Mc 7, 20-23).

Contaminare vuol dire infettare, corrompere, deturpare, macchiare, omettere.
E questo è il peccato: macchia, corruzione, abbruttimento dell'anima, omissione della verità e quindi la menzogna. In questo stato l'anima non può avere comunione con Dio che è purezza assoluta e santità.

Vogliamo proprio attirarci addosso il castigo di Dio? Dice ancora S. Paolo:
«Non illudetevi, né immorali, né idolatri, né effemínati, né sodomiti, né ladri, né avari, né ubriaconi, né maldicenti, né rapaci, erediteranno il regno di Dio» (1 Cor 6, 9-10).
E ancora: «Mortificate dunque quella parte di voi che appartiene alla terra. fornicazione, impurità, passioni, desideri cattivi e quella avarizia insaziabile che è idolatria, cose tutte che attirano l'ira di Dio su coloro che disobbediscono» (Col 3, 5, 6).
E scrivendo agli ebrei dichiara: «Il matrimonio sia rispettato da tutti e sia il talamo incontaminato. I fornicatori e gli adulteri saranno giudicati da Dio» (Eb 13, 4).

Non siamo chiamati ad emettere giudizi sulle persone che peccano, ma come abbiamo dimostrato siamo chiamati a dare testimonianza alla Verità, chiamati a chiamare il peccato con i tanti nomi che lo distinguono, chiamati a non omettere nulla di ciò che la legge Dio, fatta per noi peccatori, insegna affinchè ce ne liberiamo al più presto possibile, senza farci degli sconti, senza corruzione, senza alcun compromesso.

Severi dunque prima con se stessi, e poi predicatori contro i peccati e non contro i peccatori, ma non con le proprie opinioni, le proprie misericordie, il proprio buonismo, piuttosto con la Scrittura alla mano, con le parole e l'insegnamento di Gesù Cristo, con le raccomandazioni della Sua Santissima Madre a Fatima e a Lourdes, per esempio, con l'insegnamento della Chiesa che è Madre e Maestra del nostro viver quotidiano e per il nostro vero bene, per la nostra vera felicità.

Sia lodato Gesù Cristo +

 Le 7 opere di misericordia corporali e le 7 spirituali

 Mio Dio che non si bestemmi il Nome Tuo per causa mia

 





Misericordia e amore: così la Chiesa accoglie gli omosessuali, per aiutarli a scoprire il valore delle virtù e della castità

 
04/03/2016 

Oggi si è svolta a Roma la giornata di formazione pastorale, per l'accoglienza delle persone omosessuali. - ANSA


“Vivere la verità nell’amore” è il tema della giornata di formazione pastorale per accogliere le persone che provano attrazione verso lo stesso sesso, svoltasi questa mattina a Roma alla Pontificia Università Lateranense. L’iniziativa, è stata promossa dal Pontificio Istituto Giovanni Paolo II e da "Courage Italia", una associazione cattolica americana che offre sostegno spirituale e psicologico agli omosessuali in difficoltà. Il servizio di Marina Tomarro:



Misericordia, amore e attenzione queste le tre parole chiave che vanno a riassumere la Giornata di formazione pastorale per l’accoglienza verso le persone che provano attrazione verso lo stesso sesso. Ascoltiamo Robert Gahl, docente presso la Pontificia Università della Santa Croce:

R. – La Chiesa può accogliere queste persone come accoglie tutti: cioè, non devono esserci categorie a parte, anche se possono esserci attività specifiche per le persone che sperimentano attrazione verso persone dello stesso sesso. E queste altre attività possono aiutarle anche a trovare senso di vita vocazionale. Quindi la Chiesa offre loro soprattutto i sacramenti, e quindi la Confessione – il Sacramento della Penitenza – e l’Eucaristia – la Santa Comunione – sono un grandissimo aiuto, come lo sperimentiamo tutti, per lottare, per cercare la santità.


D. – In che modo si può aiutarli a superare anche le loro paure, soprattutto quella della discriminazione?


R. – Alcuni hanno paura di essere guardati male quando svelassero questa loro tendenza. Però, la Chiesa – e penso che la Chiesa stia facendo grandi passi avanti in questo senso – deve far capire che tutti sono accolti, tutti sono benvenuti. C’è la questione delle coppie omosessuali, che hanno anche figli che sono stati affidati loro o che sono stati adottati, e così via. Alcuni di questi si avvicinano alla Chiesa e chiedono l’aiuto della Chiesa, per esempio, perché i loro figli vengano formati nella Chiesa, che vengano battezzati. Questo offre al tempo stesso una sfida, ma anche un’opportunità alla Chiesa per manifestare che è veramente Madre e che vuole offrire la santità anche ai figli di queste coppie.


E fondamentale diventa soprattutto l’ascolto dell’esperienza umana vissuta. Alberto Corteggiani, responsabile di "Courage Italia" l’associazione cattolica nata in America nel 1980, con l’obiettivo di far sentire la propria vicinanza alle persone omosessuali.

R. - L’ultimo Sinodo sulla famiglia ci chiede di approfondire la tematica della cura pastorale delle persone che provano un’attrazione per lo stesso sesso. In quanto rappresentante dell’Associazione “Courage” in Italia, ho sperimentato una diffusa inadeguatezza, riconosciuta da parte di molte delle diocesi, ad accogliere le persone che provano attrazione per lo stesso sesso e che chiedono di poter intraprendere un cammino che le aiuti a vivere le virtù, in particolar modo la virtù della castità.

D. – Quali sono gli aiuti maggiori che vi chiedono?

R. – Anzitutto, provano un forte senso di solitudine e sono alla ricerca di una comunità che si in grado di accoglierli senza giudicarli. Sicuramente, in molte persone che provano un’attrazione omosessuale c’è questa percezione di diversità rispetto al mondo che le circonda. Il percorso promosso dall’Apostolato “Courage” aiuta a restituire senso a questa forma di fragilità, a questa sofferenza, e in questo modo le persone vedono con occhi nuovi il loro percorso e gli attribuiscono un nuovo significato.

da Radio Vaticana





DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO 
AI PARTECIPANTI AL
 CORSO PROMOSSO DALLA PENITENZIERIA APOSTOLICA

Sala Regia
Venerdì, 4 marzo 2016

[Multimedia]



 

Cari fratelli, buongiorno!

Sono lieto di incontrarvi, durante la Quaresima dell’Anno Giubilare della Misericordia, in occasione dell’annuale Corso sul foro interno. Saluto cordialmente il Cardinale Piacenza, Penitenziere Maggiore, e lo ringrazio per le sue cortesi espressioni. Saluto il Reggente - che ha una faccia tanto buona, deve essere un buon confessore! - , i Prelati, gli Officiali e il Personale della Penitenzieria, i Collegi dei penitenzieri ordinari e straordinari delle Basiliche Papali – le cui presenze sono state allargate proprio in occasione del Giubileo – e tutti voi partecipanti al Corso, che si propone di aiutare i novelli sacerdoti e i seminaristi prossimi all’ordinazione a formarsi per amministrare bene il Sacramento della Riconciliazione. La celebrazione di questo Sacramento richiede infatti un’adeguata e aggiornata preparazione, affinché quanti vi si accostano possano «toccare con mano la grandezza della misericordia, fonte di vera pace interiore» (cfr Bolla Misericordiae Vultus, 17).

«Il mistero della fede cristiana sembra trovare in questa parola – “misericordia” – la sua sintesi. Essa è divenuta viva, visibile e ha raggiunto il suo culmine in Gesù di Nazareth» (ibid.,1). In tal senso, la misericordia, prima di essere un atteggiamento o una virtù umana, è la scelta definitiva di Dio a favore di ogni essere umano per la sua eterna salvezza; scelta sigillata con il sangue del Figlio di Dio.

Questa divina misericordia può gratuitamente raggiungere tutti quelli che la invocano. Infatti la possibilità del perdono è davvero aperta a tutti, anzi è spalancata, come la più grande delle “porte sante”, perché coincide con il cuore stesso del Padre, che ama e attende tutti i suoi figli, in modo particolare quelli che hanno sbagliato di più e che sono lontani. La misericordia del Padre può raggiungere ogni persona in molti modi: attraverso l’apertura di una coscienza sincera; per mezzo della lettura della Parola di Dio che converte il cuore; mediante un incontro con una sorella o un fratello misericordiosi; nelle esperienze della vita che ci parlano di ferite, di peccato, di perdono e di misericordia.

C’è tuttavia la “via certa” della misericordia, percorrendo la quale si passa dalla possibilità alla realtà, dalla speranza alla certezza. Questa via è Gesù, il quale ha «il potere sulla terra di perdonare i peccati» (Lc 5,24) e ha trasmesso questa missione alla Chiesa (cfr Gv 20,21-23). Il Sacramento della Riconciliazione è dunque il luogo privilegiato per fare esperienza della misericordia di Dio e celebrare la festa dell’incontro con il Padre. Noi dimentichiamo quest’ultimo aspetto, con tanta facilità: io vado, chiedo perdono, sento l’abbraccio del perdono e mi dimentico di fare festa. Questa non è dottrina teologica, ma io direi, forzando un po’, che la festa è parte del Sacramento: è come se della penitenza fosse parte anche la festa che devo fare con il Padre che mi ha perdonato.

Quando, come confessori, ci rechiamo al confessionale per accogliere i fratelli e le sorelle, dobbiamo sempre ricordarci che siamo strumenti della misericordia di Dio per loro; dunque stiamo attenti a non porre ostacolo a questo dono di salvezza! Il confessore è, egli stesso, un peccatore, un uomo sempre bisognoso di perdono; egli per primo non può fare a meno della misericordia di Dio, che lo ha “scelto” e lo ha “costituito” (cfr Gv 15,16) per questo grande compito. Ad esso deve dunque disporsi sempre in atteggiamento di fede umile e generosa, avendo come unico desiderio che ogni fedele possa fare esperienza dell’amore del Padre. In questo non ci mancano confratelli santi ai quali guardare: pensiamo a Leopoldo Mandic e Pio da Pietrelcina, le cui spoglie abbiamo venerato un mese fa in Vaticano. E anche - mi permetto - uno della mia famiglia: il padre Cappello.

Ogni fedele pentito, dopo l’assoluzione del sacerdote, ha la certezza, per fede, che i suoi peccati non esistono più. Non esistono più! Dio è onnipotente. A me piace pensare che ha una debolezza: una cattiva memoria. Una volta che Lui ti perdona, si dimentica. E questo è grande! I peccati non esistono più, sono stati cancellati dalla divina misericordia. Ogni assoluzione è, in un certo modo, un giubileo del cuore, che rallegra non solo il fedele e la Chiesa, ma soprattutto Dio stesso. Gesù lo ha detto: «Vi sarà gioia nel cielo per un solo peccatore che si converte, più che per novantanove giusti i quali non hanno bisogno di conversione» (Lc 15,7). E’ importante, dunque, che il confessore sia anche un “canale di gioia” e che il fedele, dopo aver ricevuto il perdono, non si senta più oppresso dalle colpe, ma possa gustare l’opera di Dio che lo ha liberato, vivere in rendimento di grazie, pronto a riparare il male commesso e ad andare incontro ai fratelli con cuore buono e disponibile.

Cari fratelli, in questo nostro tempo, segnato dall’individualismo, da tante ferite e dalla tentazione di chiudersi, è un vero e proprio dono vedere e accompagnare persone che si accostano alla misericordia. Ciò comporta anche, per noi tutti, un obbligo ancora maggiore di coerenza evangelica e di benevolenza paterna; siamo custodi, e mai padroni, sia delle pecore, sia della grazia.

Rimettiamo al centro – e non solo in questo Anno giubilare! – il Sacramento della Riconciliazione, vero spazio dello Spirito nel quale tutti, confessori e penitenti, possiamo fare esperienza dell’unico amore definitivo e fedele, quello di Dio per ciascuno dei suoi figli, un amore che non delude mai. San Leopoldo Mandic ripeteva che «la misericordia di Dio è superiore ad ogni nostra aspettativa». Era anche solito dire a chi soffriva: «Abbiamo in Cielo il cuore di una madre. La Vergine, nostra Madre, che ai piedi della Croce ha provato tutta la sofferenza possibile per una creatura umana, comprende i nostri guai e ci consola». Sia sempre Maria, Rifugio dei peccatori e Madre di Misericordia, a guidare e sostenere il fondamentale ministero della Riconciliazione.

E cosa faccio se mi trovo in difficoltà e non posso dare l’assoluzione? Cosa si deve fare? Prima di tutto, cercare se c’è una strada, tante volte la si trova. Secondo: non legarsi soltanto al linguaggio parlato, ma anche al linguaggio dei gesti. C’è gente che non può parlare, e con il gesto dice il pentimento, il dolore. E terzo: se non si può dare l’assoluzione, parlare come un padre: “Senti, per questo io non posso [assolverti], ma posso assicurarti che Dio ti ama, che Dio ti aspetta! Preghiamo insieme la Madonna, perché ti custodisca; e vieni, torna, perché io ti aspetterò come ti aspetta Dio”; e dare la benedizione. Così questa persona esce dal confessionale e pensa: “Ho trovato un padre e non mi ha bastonato”. Quante volte avete sentito gente che dice: “Io non mi confesso mai, perché una volta sono andato e mi ha sgridato”. Anche nel caso limite in cui io non posso assolvere, che senta il calore di un padre! Che lo benedica, e gli dica di tornare. E anche che preghi un po’ con lui o con lei. Sempre questo è il punto: lì c’è un padre. E anche questa è festa, e Dio sa come perdonare le cose meglio di noi. Ma che almeno possiamo essere immagine del Padre.

Ringrazio la Penitenzieria Apostolica per il suo prezioso servizio, e benedico di cuore tutti voi e il ministero che svolgete come canali di misericordia, specialmente in questo tempo giubilare. Ricordatevi, per favore, di pregare anche per me.

E oggi anch’io andrò lì, con i vostri penitenzieri, a confessare a San Pietro.







CELEBRAZIONE DELLA PENITENZA
RITO PER LA RICONCILIAZIONE DI PIÙ PENITENTI
CON LA CONFESSIONE E L'ASSOLUZIONE INDIVIDUALE

OMELIA DEL SANTO PADRE FRANCESCO

Basilica Vaticana
Venerdì, 4 marzo 2016

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«Che io veda di nuovo» (Mc 10,51). È questa la richiesta che oggi vogliamo rivolgere al Signore. Vedere di nuovo, dopo che i nostri peccati ci hanno fatto perdere di vista il bene e ci hanno distolto dalla bellezza della nostra chiamata, facendoci invece errare lontano dalla meta.

Questo brano di Vangelo ha un grande valore simbolico, perché ognuno di noi si trova nella situazione di Bartimeo. La sua cecità lo aveva portato alla povertà e a vivere ai margini della città, dipendendo dagli altri in tutto. Anche il peccato ha questo effetto: ci impoverisce e ci isola. E’ una cecità dello spirito, che impedisce di vedere l’essenziale, di fissare lo sguardo sull’amore che dà la vita; e conduce poco alla volta a soffermarsi su ciò che è superficiale, fino a rendere insensibili agli altri e al bene. Quante tentazioni hanno la forza di annebbiare la vista del cuore e di renderlo miope! Quanto è facile e sbagliato credere che la vita dipenda da quello che si ha, dal successo o dall’ammirazione che si riceve; che l’economia sia fatta solo di profitto e di consumo; che le proprie voglie individuali debbano prevalere sulla responsabilità sociale! Guardando solo al nostro io, diventiamo ciechi, spenti e ripiegati su noi stessi, privi di gioia e privi di libertà. E’ così brutto!

Ma Gesù passa; passa e non va oltre: «si fermò», dice il Vangelo (v. 49). Allora un fremito attraversa il cuore, perché ci si accorge di essere guardati dalla Luce, da quella Luce gentile che ci invita a non rimanere rinchiusi nelle nostre scure cecità. La presenza vicina di Gesù fa sentire che lontani da Lui ci manca qualcosa di importante. Ci fa sentire bisognosi di salvezza, e questo è l’inizio della guarigione del cuore. Poi, quando il desiderio di essere guariti si fa audace, conduce alla preghiera, a gridare con forza e insistenza aiuto, come ha fatto Bartimeo: «Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!» (v. 47).

Purtroppo, come quei «molti» del Vangelo, c’è sempre qualcuno che non vuole fermarsi, che non vuole essere disturbato da chi grida il proprio dolore, preferendo far tacere e rimproverare il povero che dà fastidio (cfr v. 48). È la tentazione di andare avanti come se nulla fosse, ma in questo modo si rimane distanti dal Signore e si tengono lontani da Gesù anche gli altri. Riconosciamo di essere tutti mendicanti dell’amore di Dio, e non lasciamoci sfuggire il Signore che passa. «Ho paura del Signore che passa», diceva sant’Agostino. Paura che passi e io lo lasci passare. Diamo voce al nostro desiderio più vero: «[Gesù], che io veda di nuovo!» (v. 51). Questo Giubileo della Misericordia è tempo favorevole per accogliere la presenza di Dio, per sperimentare il suo amore e ritornare a Lui con tutto il cuore. Come Bartimeo, gettiamo via il mantello e alziamoci in piedi (cfr v. 50): buttiamo via, cioè, quello che impedisce di essere spediti nel cammino verso di Lui, senza paura di lasciare ciò che ci dà sicurezza e a cui siamo attaccati; non rimaniamo seduti, rialziamoci, ritroviamo la nostra statura spirituale - in piedi - la dignità di figli amati che stanno davanti al Signore per essere da Lui guardati negli occhi, perdonati e ricreati. E la parola forse che oggi arriva nel nostro cuore, è la stessa della creazione dell’uomo: “Alzati!”. Dio ci ha creati in piedi: “Alzati!”.

Oggi più che mai, soprattutto noi Pastori siamo anche chiamati ad ascoltare il grido, forse nascosto, di quanti desiderano incontrare il Signore. Siamo tenuti a rivedere quei comportamenti che a volte non aiutano gli altri ad avvicinarsi a Gesù; gli orari e i programmi che non incontrano i reali bisogni di quanti si potrebbero accostare al confessionale; le regole umane, se valgono più del desiderio di perdono; le nostre rigidità che potrebbero tenere lontano dalla tenerezza di Dio. Non dobbiamo certo sminuire le esigenze del Vangelo, ma non possiamo rischiare di rendere vano il desiderio del peccatore di riconciliarsi con il Padre, perché il ritorno a casa del figlio è ciò che il Padre attende prima di tutto (cfr Lc 15,20-32).

Le nostre parole siano quelle dei discepoli che, ripetendo le stesse espressioni di Gesù, dicono a Bartimeo: «Coraggio! Alzati, ti chiama» (v. 49). Siamo mandati ad infondere coraggio, a sostenere e condurre a Gesù. Il nostro è il ministero dell’accompagnamento, perché l’incontro con il Signore sia personale, intimo, e il cuore si possa aprire sinceramente e senza timore al Salvatore. Non dimentichiamo: è solo Dio che agisce in ogni persona. Nel Vangelo è Lui che si ferma e chiede del cieco; è Lui a ordinare che glielo portino; è Lui che lo ascolta e lo guarisce. Noi siamo stati scelti – noi pastori – per suscitare il desiderio della conversione, per essere strumenti che facilitano l’incontro, per tendere la mano e assolvere, rendendo visibile e operante la sua misericordia. Che ogni uomo e donna che si accosta al confessionale trovi un padre; trovi un padre che l’aspetta; trovi il Padre che perdona.

La conclusione del racconto evangelico è carica di significato: Bartimeo «subito vide di nuovo e lo seguiva lungo la strada» (v. 52). Anche noi, quando ci accostiamo a Gesù, rivediamo la luce per guardare al futuro con fiducia, ritroviamo la forza e il coraggio per metterci in cammino. Infatti «chi crede, vede» (Lett. enc. Lumen fidei, 1) e va avanti con speranza, perché sa che il Signore è presente, sostiene e guida. Seguiamolo, come discepoli fedeli, per fare partecipi quanti incontriamo sul nostro cammino della gioia del suo amore. E dopo l’abbraccio del Padre, il perdono del Padre, facciamo festa nel nostro cuore! Perché Lui fa festa!

 



[Modificato da Caterina63 05/03/2016 14:32]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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27/04/2016 10:32
 
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  Un sacerdote risponde

La mia ragazza dice che nei rapporti sessuali non cerca il mio corpo, ma la mia anima e che non intende smettere perché Dio sa che non facciamo nulla di male

Quesito

Caro Padre Angelo,
Sono un ragazzo di 20 anni, ho una famiglia stupenda che mi ha accostato sin da piccolo alla chiesa e a Dio ma era ormai da 2-3 anni che non andavo in chiesa, a messa la domenica e mi manca da tanto una buona confessione...
questo ultimo periodo però mi sono accostato molto alla religione grazie a delle testimonianze sulla madonna di medjugorje...
ho iniziato a dire da una settimana il rosario ogni sera e ogni giorno che passa mi sento sempre più peccatore e leggendo ho scoperto che molte cose che pensavo non fossero dei peccati invece lo sono...
ecco ho bisogno di un aiuto perché sto fidanzando già da 3 anni con una ragazza e abbiamo fatto l'amore...
io facendo l'amore non penso al suo corpo ma penso solo a lei come persona...io la amo e l'amore lo faccio solo per stare attaccato strettamente a lei in una sola cosa in quel momento...è un peccato grave questo? E io in questo periodo le ho anche detto di aspettare al matrimonio per unirci ma lei continua a dirmi che non c'è niente di male e che anche lei lo fa per un'unione non con il mio corpo ma con la mia anima e non vuole smettere di farlo perché dice che Dio lo sa che non stiamo facendo niente di male...ho provato a spiegarglielo ma poi mi sono fermato per paura che mi lasciasse. Io ho voglia di cambiare ma se lei continua a andarmi contro io chiedendo scusa al Signore penso di continuare a farlo perché non voglio perderla...su altri punti poi lei mi va contro ed a me mi si blocca il cuore pensando che la sua anima se non cambia possa andare all'inferno...cosa posso fare ? Sono davvero confuso.
Grazie.


Risposta del sacerdote

Carissimo,
1. sono più di cinque mesi da quando mi hai scritto. Purtroppo non sono riuscito a risponderti prima. Me ne dispiace e te ne domando scusa.
 Quando mi hai scritto dicevi che da una settimana avevi cominciato a recitare ogni giorno il Santo Rosario. Mi auguro che tu prosegua per questa strada e che nel frattempo sia riuscito a fare anche una buona confessione.

2. Mi dici che pregando ti senti sempre più peccatore.
È naturale che sia così.
Quando in una stanza rimasta al buio per diverso tempo entra la luce se ne scopre tutta la sporcizia e appaiono ragnatele che prima non si pensava che ci fossero.
È una grazia grande quella di scoprire davanti a Dio la propria miseria.

3. Mi dici pure che attraverso varie letture ti stai accorgendo che tante azioni da te compiute sono un peccato e non lo sapevi.
Tra queste i rapporti sessuali con la tua ragazza, che non ti paiono un peccato.
Ebbene, in questo momento della tua vita assomigli a quel cieco che era stato guarito progressivamente dal Signore e che all’inizio della guarigione interrogato dal Signore su che cosa vedesse, rispose: “vedo come degli alberi che camminano”
Te ne riporto il passo: “Giunsero a Betsàida, e gli condussero un cieco, pregandolo di toccarlo. Allora prese il cieco per mano, lo condusse fuori dal villaggio e, dopo avergli messo della saliva sugli occhi, gli impose le mani e gli chiese: «Vedi qualcosa?». Quello, alzando gli occhi, diceva: «Vedo la gente, perché vedo come degli alberi che camminano». Allora gli impose di nuovo le mani sugli occhi ed egli ci vide chiaramente, fu guarito e da lontano vedeva distintamente ogni cosa” (Mc 8,22-25). 

4. Venendo adesso al nodo della tua mail: mi dici fai l’amore con la tua ragazza, che non cerchi il suo corpo, ma la sua anima.
E che anche lei attesta la stessa cosa: non cerca il tuo corpo, ma solo la tua anima.
Viene spontaneo dire: se non cercate il corpo, ma l’anima, perché invece cercate di unire i corpi?
Avete molte cose che attendono di essere unite nelle vostre anime!
Tra queste realtà vi è anzitutto la condivisione delle cose spirituali, di quello che Dio vi dice e vi dona.
Vi sono poi le realtà che intendete costruire: la famiglia, il matrimonio, l’impegno vivo all’interno della Chiesa e della società per esserne membra attive.
Vi sono poi molti altri valori o principi spirituali e morali che costituiscono la travatura della vostra esistenza.
E queste cose non si uniscono mediante i corpi, ma diversamente, e cioè attraverso lo spirito.

5. Tra queste realtà da unire vi sono anche i principi che orientano, plasmano e vivifìcano la vostra vita affettiva 
A cominciare dai rapporti sessuali prima del matrimonio sui quali cominci ad essere dell’idea che bisognerebbe sospenderli.
E in realtà sono da sospendere perché sono in se stessi falsificati.
E questo almeno per un  doppio motivo: 
primo perché sono privati del loro intrinseco ordinamento a suscitare la vita;
secondo, perché privati di questo elemento intrinseco cessano di essere atti in cui ci si dona in totalità. Non sono più atti di amore incondizionato, vero, totale ed esclusivo.

6. Tu ti accorgi che in questi atti c’è qualcosa di fondamentale che ad essi manca. Magari non sai dire esplicitamente che cosa manchi, ma lo avverti.
Forse la tua ragazza lo avverte di meno o non lo avverte affatto perché  asserisce che Dio sa che non fate nulla di male.

7. Allora ti dico questo: prova a chiedere alla tua ragazza perché Dio ha proibito la fornicazione.
Per fornicazione s’intende il rapporto sessuale fra persone non ancora sposate.
Ecco alcuni testi: “Guàrdati, o figlio, da ogni sorta di fornicazione” (Tob 4,12); Ef 5,3 “Di fornicazione e di ogni specie di impurità o di cupidigia neppure si parli fra voi - come deve essere tra santi” (Ef 5,3); “Perché, sappiatelo bene, nessun fornicatore, o impuro, o avaro - cioè nessun idolatra - ha in eredità il regno di Cristo e di Dio” (Ef 5,5); “Fuggite la fornicazione! Qualsiasi peccato l'uomo commetta, è fuori del suo corpo; ma chi si dà alla fornicazione, pecca contro il proprio corpo” (1 Cor 6,18); “Del resto sono ben note le opere della carne: fornicazione, impurità, dissolutezza… Riguardo a queste cose vi preavviso, come già ho detto: chi le compie non erediterà il regno di Dio” (Gal 5,19.21).

8. Dobbiamo essere persuasi solo di questo: che se Dio la proibisce, non lo fa per un tornaconto personale. Sarebbe sciocco pensarlo.
Se la proibisce, è solo per il nostro bene, perché il nostro amore sia puro, capace di diventare sempre più forte e somigliante al Suo, e cioè santo.
Ci si deve chiedere onestamente se i rapporti sessuali prematrimoniali facciano diventare sempre più puri e più santi.
Il più delle volte si assiste ad un allontanamento dal Signore.
San Tommaso dice, e l’esperienza lo attesta, che “massimamente per il peccato di lussuria l’uomo si allontana da Dio: l’uomo infatti si accosta a Dio attraverso azioni spirituali, e queste azioni spirituali vengono impedite dalla dilettazione lussuriosa” (Commento al libro di Giobbe, 31, inizio).

9. Rifletti anche su questo: la tua ragazza è così unita alla tua anima che se le dici di rimandare i rapporti sessuali al momento giusto e a quando avranno la possibilità di essere compiuti nella maniera giusta e secondo il loro giusto significato, è pronta a lasciarti.
Mi scrivi che non solo su questo punto, ma anche su altri la tua ragazza “ti viene contro e ti si blocca il cuore”.
Come vedi l’unione delle anime è ancora tutta farsi.
Anzi, vedi come è fragile.
C’è da dire: le vostre anime non si sono ancora unite.
L’unione delle vostre anime è ancora tutta da fare.
È stata bloccata dalla concupiscenza la quale vi dava l’impressione di unire le anime.
Mi dispiace che la tua ragazza “ti venga contro e ti si blocchi il cuore”.
Se ti amasse con amore puro sarebbe contenta di renderti lieto.

10. Lei dice che non fate nulla di male, ma intanto la vostra unione è diventata più fragile.
E questo perché è legata alla concupiscenza, al timore di lasciarvi, e forse anche da brutti pensieri qualora rimanesse incinta.
Il vero amore non può portare a questo.
Il vero amore rende fedeli.
Il vero amore rende forti.
Il vero amore rende accoglienti e generosi.

11. Il Signore sta entrando come luce nella tua vita. 
E sta entrando come luce anche nel rapporto con la tua ragazza.
Questo rapporto, che ora è fragile e abbastanza rovinato, ha bisogno di essere curato e raddrizzato per poter conservarsi.
Sei ancora in tempo. Puoi raddrizzare e conservare tutto.
Ma questo può avvenire solo se ti fidi del Signore, solo se anteponi al pericolo di perdere la tua ragazza il pericolo di perdere il Signore.
Con Lui salvi tutto. 
Senza di Lui perdi tutto, compresa la tua ragazza, come l’esperienza attesta.
“Se il Signore non costruisce la casa, invano si affaticano i costruttori” (Sal 127,1).
Passeranno i cieli e la terra, ma non passeranno queste parole dette dallo Spirito Santo.

Ti auguro ogni bene per il progresso della tua vita cristiana e anche il felice progresso della relazione con la tua fidanzata.
Assicuro per tutti e due la mia preghiera e vi benedico. 
Padre Angelo




Un sacerdote risponde

Ho l'impressione che la misericordia predicata da Papa Francesco sia mal intesa e fonte di equivoci

Quesito

Buon pomeriggio padre Bellon,
Le vorrei chiedere una domanda che mi sta molto a cuore. Quando il Santo Padre Papa Bergoglio dice che Gesù perdona tutti i peccati perché è misericordioso, è giusto perché è così e tra l'altro lo dice il vangelo. Ma non mi sembra che questa parola sia abusata e resa come una parola strettamente umana? Mi spiego. Dio è talmente buono che ha mandato il Figlio suo per vincere ogni sorta di male compreso il maligno. Ma per ottenere misericordia bisogna anche pentirsi e non peccare più altrimenti noi umani facciamo della misericordia di Dio una barzelletta e cioè che ogni essere umano fa quello che gli pare ed alla fine della vita, sapendo che Dio perdona sempre, pur vivendo nella più disordinata vita, e cioè uccidendo, sgozzando, e tutto quello che stiamo vedendo e sentendo nel mondo, si arroga il fatto che Dio lo dovrebbe perdonare.
Ci sono molti passi nel vangelo dove Gesù ci ammonisce e mi ricordo di un passaggio dove dice di passare per la porta stretta perché larga è la via che porta alla perdizione, e vi dico che molti vi entrano. Lo dice Gesù e tanto basta. Per concludere vorrei dirle che non dobbiamo prenderci gioco della misericordia di Dio altrimenti ci carichiamo di un'altro peccato ancora più grave di tutti gli altri. Che ne pensa? Pace e bene in Cristo Risorto. Aspetto una sua risposta.


Risposta del sacerdote

Carissimo,
1. è facile equivocare sul concetto di misericordia.
Per molti è sinonimo di chiudere un occhio o anche di chiuderli tutti e due e lasciar correre.

2. Gesù nella parabola del buon samaritano ci mostra la vera misericordia:
“Invece un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto, vide e ne ebbe compassione. Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi lo caricò sulla sua cavalcatura, lo portò in un albergo e si prese cura di lui. 
Il giorno seguente, tirò fuori due denari e li diede all'albergatore, dicendo: «Abbi cura di lui; ciò che spenderai in più, te lo pagherò al mio ritorno»” (Lc 19,33-35).
Come vedi, ha usato misericordia chi si è preso cura di qual tale massacrato dai briganti e l’ha portato alla guarigione.
Sant’Agostino dice che “la misericordia è la compassione del cuore per le miserie altrui per cui uno si sente spinto a soccorrerlo” (De Civitate Dei, 9,5)..
E San Tommaso: “Spetta alla misericordia donare ad altri e, ciò che più conta, sollevare le miserie altrui” (Somma teologica, II-II, 30,4). 
E ancora: “La misericordia è una speciale profusione di bontà per rimuovere la miseria” (Commento al salmo 24). 
Mentre la bontà mira a ricolmare di bene una persona, la misericordia mira a sollevare dal male (Ib.).

3. Ma adesso contempliamo la misericordia in Dio di cui la nostra è una derivazione.
Sentiamo che cosa dice San Tommaso quando parla sulla misericordia di Dio.
Partendo da quanto dice il Salmo “Paziente e misericordioso è il Signore" (Sal 145,8) dice: “La misericordia va attribuita a Dio in modo principalissimo; non per quanto ha di sentimento o passione, ma per gli effetti che produce. 
A chiarimento di questo si osservi che misericordioso si dice chi ha un cuore pieno di commiserazione, perché alla vista delle altrui miserie è preso da tristezza, come se si trattasse della sua propria miseria. E da ciò proviene che egli si adoperi a rimuovere l'altrui miseria come la sua propria miseria. E questo è l'effetto della misericordia” (Somma teologica, I, 21, 3). 
Come vedi, anche qui la misericordia non consiste nel chiudere un occhio, ma nel togliere la miseria o il peccato che affligge una persona.

4. Continua San Tommaso: “Rattristarsi, dunque, della miseria altrui non si addice a Dio, ma ben gli conviene, in grado sommo, di liberare dalla miseria, intendendo per miseria qualsiasi difetto” (Ib.).
Intanto come vedi dice che in Dio non c’è la tristezza, con buona pace di quel teologo che continua a dire che Dio si rattrista a dispetto di San Giacomo il quale afferma che in Dio “non c'è variazione né ombra di cambiamento” (Gc 1,17).
Inoltre dice che Dio è misericordioso perché “libera dalla miseria, intendendo per miseria qualsiasi difetto” (Ib.).
Con tutta l’onnipotenza del suo essere Dio vuole liberare gli uomini dalle loro miserie e con tutta l’onnipotenza del suo essere fa di tutto perché la sua misericordia li raggiunga.
La sua misericordia può trovare solo un limite: nella libertà dell’uomo che la rifiuta.

5. Ora la Chiesa è chiamata ad essere il volto visibile di Dio.
Come la Chiesa vive per donare agli uomini la bontà di Dio, così vive per donare la sua misericordia.
Donare misericordia non è un optional per la Chiesa, ma è la sua stessa ragion d’essere.
Ma come la misericordia di Dio non consiste nel chiudere un occhio  e far finta che non ci sia il male, così la Chiesa usa misericordia al mondo e gli uomini nella misura in cui fa di tutto per liberarli dai mali fisici e morali che li affliggono.

6. San Tommaso sa che Dio è santità (e cioè verità e giustizia) ed è misericordia. Si domanda come la misericordia in Dio si componga con la sua giustizia. Ecco la risposta:
“Quando Dio opera con misericordia, non agisce contro la sua giustizia, ma compie qualche cosa oltre i limiti della giustizia: precisamente come se uno ad un tale a cui sono dovuti cento denari, dà del suo duecento denari; costui non agisce contro giustizia, ma opera con liberalità, o con misericordia.
Così pure se uno perdona l'offesa commessa contro di lui. Perché chi perdona, in qualche maniera dà: tant'è vero che l'Apostolo chiama il perdono una donazione: "Donatevi vicendevolmente, come Dio ha donato a voi in Cristo". Da ciò appare chiaro che la misericordia non toglie via la giustizia; ma è in qualche modo coronamento della giustizia. Per questo dice S. Giacomo che "la misericordia trionfa sul giudizio" (Somma teologica, I, 21, 3, ad 2).
Dio mostra la sua misericordia perché porta l’uomo al pentimento e là dove l’uomo ha peccato riversa il Sangue del Signore, quel Sangue che non soltanto ripara il peccato secondo giustizia, ma arricchisce il peccatore pentito con i meriti infiniti di Nostro Signore.
Così parimenti è chiamata a fare la Chiesa.

7. La vera misericordia dunque è quella che mira alla conversione dei peccatori.
E questo è quanto scrive Papa Francesco nella Bolla Misercordiae vultus, con la quale indice il Giubileo della misericordia”: “Nelle parabole dedicate alla misericordia, Gesù rivela la natura di Dio come quella di un Padre che non si dà mai per vinto fino a quando non ha dissolto il peccato e vinto il rifiutocon la compassione e la misericordia” (n. 9). 
Intanto la prima condizione per avere misericordia nei confronti delle debolezze e dei peccati umani è il perdono.
Per perdono non s’intende dire che va tutto bene, che si debba confondere il male col bene. 
No, il male resta male e un male talvolta odiosissimo.

8. In che cosa consiste allora? 
Dice Papa Francesco: il perdono consiste nel “lasciar cadere il rancore, la rabbia, la violenza e la vendetta” (Ib.).
Per questo San Paolo dice: “Non tramonti il sole sopra la vostra ira, e non date occasione al diavolo” (Ef 4,26-27).
Questa è l’apertura d’animo mostrata da Dio nei confronti degli uomini e  da lui infusa nei cuori mediante la grazia.

9. Come si vede, la misericordia predicata da Papa Francesco è la misericordia predicata e insegnata da sempre.
È la misericordia che vuole vincere il male, non quella che lascia nel male.
È la misericordia che vuole vincere il peccato, non quella che lascia nel peccato.
E vuole vincere il male e il peccato mostrando un animo pronto alla riconciliazione e al perdono perché, pur rimanendo il dispiacere per il torto subito, non conserva verso chi si é lasciato vincere dal male “il rancore, la rabbia, la violenza e la vendetta” (Ib.).

10. La misericordia vuole suscitare nell’animo del peccatore i medesimi sentimenti e con questi la consapevolezza di aver sbagliato e la necessità di riparare il male fatto.
Solo a questo punto la misericordia ha realizzato i suoi effetti.
Diversamente rimane solo nell’animo di chi è misericordioso, come è rimasta nell’anima di Gesù fino alla fine nei confronti di Giuda che l’aveva deliberatamente rifiutata. Questa misericordia non  stata sufficiente per salvarlo. E non perché fosse troppo debole (anzi!), ma perché Giuda non vomito che raggiungesse il suo cuore.

Ti ringrazio di avermi dato l’opportunità di precisare questi concetti con i testi alla mano, in particolare con  quello che Papa Francesco ha scritto.
Ti ricordo al Signore e ti benedico.
Padre Angelo





Un sacerdote risponde

Io e mia moglie non stiamo applicando il magistero della Chiesa per quanto riguarda i metodi anticoncezionali e ci chiediamo se la Chiesa non debba rivedere il suo insegnamento

Quesito

Gentilissimo Padre,
Le scrivo in un momento di profonda riflessione nata quasi per caso (anche se al caso non credo in questa particolare circostanza).
Sono sposato ormai da 15 anni, ho due figli desiderati e amati da noi genitori. Nella mia vita (ho poco più di 40 anni) ho cercato di osservare, pur con le cadute della mia fragilità umana, i comandamenti, ho studiato all'Università Cattolica, ho dato esami di teologia, sono stato catechista per anni, frequento la parrocchia, centro nevralgico anche della vita di crescita dei nostri figli, mi confesso frequentemente così come partecipo all’Eucaristia domenicale. Ma…
…Io e mia moglie non stiamo applicando il magistero della Chiesa per quanto riguarda i metodi anticoncezionali. In pratica non usiamo quelli cosiddetti naturali ben consigliati dalla Humanae Vitae. Il problema è che in questi giorni ho ripreso in mano, non so perché, questo argomento e ho iniziato a documentarmi (cosa che avrei evidentemente dovuto fare prima). Il sito dove Lei periodicamente scrive mi ha sicuramente illuminato ma nello stesso tempo, dalle Sue risposte, sempre così pragmatiche, non ho trovato una via convincente.
Mi rispecchio nelle parole enunciate dai due laici brasiliani Arturo e Hermelinda As Zamberline, responsabili regionali di un movimento di spiritualità coniugale presente in 70 paesi,  che davanti al Sinodo dei Vescovi in Ottobre 2014 hanno detto “i metodi contraccettivi naturali sono buoni ma nella cultura attuale ci sembrano privi di praticità” e “le coppie cattoliche nella grande maggioranza non rifiutano l’utilizzazione di altri metodi contraccettivi”.
Le loro parole sono d’altra parte lo specchio delle risposte al questionario che il Santo Padre ha inviato a tutte le parrocchie del mondo con una serie di domande su temi molto attuali. La chiesa tedesca che per prima ha reso noti i risultati del sondaggio ha svelato come la stragrande maggioranza dei cattolici tedeschi non applichi i metodi naturali e non si senta neppure in obbligo di confessare tale scelta.
Neppure io ho mai sentito necessario confessarmi di questa scelta in quanto ho sempre trovato giustificazione nel fatto che io e mia moglie ci siamo aperti alla vita e i nostri figli ne sono la prova vivente. Oggi continuiamo ad amarci e riteniamo di  unirci nell’atto sessuale come dono reciproco l’uno verso l’altro. Non riesco a vedere una colpa così grave nell’utilizzare metodi che consentano la paternità e maternità responsabile; eppure per la Chiesa si tratta addirittura di peccato mortale. Questo mi ha scosso, me ne sono confessato ma come ho detto al confessore più per paura delle conseguenze che per la certezza che sia giusta questa limitazione alla scelta in coscienza degli sposi. Anche il confessore mi ha detto che le posizioni su questo argomento sono varie. 
Le sue risposte confrontate con quelle di altri teologi ne sono ulteriore prova. La sua intransigenza in tutte le sue risposte su questo tema, caro Padre, mi ha profondamente toccato. Trovo maggiore rispondenza alla Chiesa che ama i suoi figli nel “Vademecum per i confessori su alcuni temi di morale attinenti alla vita coniugale” in cui viene riconosciuto  alla coscienza della persona la capacità di valutare e decidere il comportamento da scegliere e da vivere. In questo caso la coscienza potrebbe esprimere un giudizio diverso dal giudizio del magistero.
Padre Maurizio Faggioni, docente di Teologia Morale, in un bell’articolo di qualche tempo fa ripercorre l’ambito storico in cui l’Humanae Vitae fu scritta. Era doveroso in quel tempo che la Chiesa prendesse posizione su un tema che, lasciato senza una guida, avrebbe portato a ritenere lecito qualsiasi comportamento lassivo e noncurante dei valori altissimi di cui la sessualità umana è portatrice. Il teologo afferma che le decisioni in questo campo sono affidate, in ultima istanza, alla coerenza della coscienza cristianamente formata degli sposi che, fedeli ai valori del matrimonio e in ascolto fiducioso e pensoso degli insegnamenti del Magistero, dovranno formulare valutazioni e fare scelte, con la libertà e la trasparenza dei figli, davanti al Padre. E’ chiaro che il ricorso alla contraccezione ha risonanza morale diversa se configura uno strumento tecnicamente efficace per fare sesso “sicuro” in un contesto di promiscuità e libertinaggio o se si configura come un tempo o una fase dell’itinerario cristiano di una coppia che si sforza di vivere con impegno la sua vocazione all’amore e di crescere in essa (cfr Giovanni Paolo II, Familiaris Consortio n.34 e il già citato Vademecum per i confessori).
In conclusione caro Padre, mi trovo molto combattuto tra il dover credere che il precetto della Chiesa sia giusto o pensare che sia solo il frutto di una presa di posizione che può minare la serenità degli sposi. Sicuramente Lei mi citerà esempi di sposi che hanno fatto la scelta del Magistero e sono felicissimi e tranquilli (e ci credo, non metto in dubbio tale scelta da loro fatta), ma d’altra parte io Le dico che non riesco ad accettare come peccato mortale la mia scelta (da equiparare all’omicidio? al furto? alla menzogna e alla violenza?). Non è che la Chiesa dovrà rivedere questa posizione così intransigente? Ora che sono consapevole di essere nel peccato mortale come potrò unirmi con mia moglie serenamente? Mi vengono alla mente le parole di Gesù "....anche a voi, dottori della Legge, che caricate gli uomini di pesi insopportabili che voi neppure toccate con un dito....".
Mi illumini perché sono nel dubbio e mi affido alla Madre Celeste che spero possa intercedere presso il Figlio se stiamo sbagliando e ci consenta il perdono del Padre.
La ringrazio e La saluto cordialmente, 
Luca

 


Risposta del sacerdote

Caro Luca,
1. Ci sono tanti errori in quello che mi hai scritto. 
Quanto hanno detto su questo punto i due coniugi brasiliani non riflette la legge di Dio insegnata dalla Chiesa.
Né il  comportamento dei tedeschi costituisce un criterio normativo di condotta.
Il criterio veritativo, come ben sai, non è dato dalla condotta della gente, né è garantito dal comportamento della maggioranza.

2. La maggioranza della gente trasgredisce anche altri comandamenti, come il terzo che riguarda la santificazione delle feste. Ma questo non significa che il terzo comandamento abbia cessato di essere direttivo del comportamento umano.
Fai riferimento ad un articolo di Padre Faggioni, il quale dice che “le decisioni in questo campo sono affidate, in ultima istanza, alla coerenza della coscienza cristianamente formata degli sposi che, fedeli ai valori del matrimonio e in ascolto fiducioso e pensoso degli insegnamenti del Magistero, dovranno formulare valutazioni e fare scelte, con la libertà e la trasparenza dei figli, davanti al Padre. Il teologo afferma che le decisioni in questo campo sono affidate, in ultima istanza, alla coerenza della coscienza cristianamente formata degli sposi che, fedeli ai valori del matrimonio e in ascolto fiducioso e pensoso degli insegnamenti del Magistero, dovranno formulare valutazioni e fare scelte, con la libertà e la trasparenza dei figli, davanti al Padre”.
È chiaro che le decisioni del comportamento le prende sempre il singolo col suo giudizio di coscienza in questo campo come in tutti gli altri.
Ma Padre Faggioni ha parlato di “coerenza della coscienza cristianamente formata degli sposi che, fedeli ai valori del matrimonio e in ascolto fiducioso e pensoso degli insegnamenti del Magistero”. Che significa questo se non che gli sposi cristiani intendono obbedire a Dio che manifesta la sua volontà anche attraverso l’insegnamento autorevole della Chiesa da Lui stesso assistita?
Il Padre Faggioni non  ha detto che si può fare quello che si vuole. No, non l’ha detto. Né ha detto che l’insegnamento della Chiesa non sia vincolante per la formazione cristiana della coscienza degli sposi. Anzi, se soppesi le parole, ha detto il contrario di quanto hai pensato.

3.  Ed ecco l’insegnamento della Chiesa espresso in un’assise come quella del Concilio Vaticano II: “I coniugi cristiani siano consapevoli che non possono procedere a loro arbitrio, ma devono sempre essere retti da una coscienza che sia conforme alla legge divina stessa, docili al magistero della Chiesa, che in modo autentico quella leggeinterpreta alla luce del vangelo” (Gaudium et spes, 50).

4. Il Concilio offre anche l’interpretazione della norma divina e dà anche la valutazione della contraccezione.
Dice infatti: “Quando si tratta di comporre l’amore coniugale con la trasmissione responsabile della vita, il carattere morale del comportamento non dipende solo dalla sincera intenzione e dalla valutazione dei motivi, ma va determinato da criteri oggettivi che hanno il loro fondamento nella dignità stessa della persona umana e dei suoi atti e sono destinati a mantenere in un contesto di vero amore l’integro senso della mutua donazione e della procreazione umana, e tutto ciò non sarà possibile se non venga coltivata con sincero animo la virtù della castità coniugale.
I figli della Chiesa, fondati su questi principi, non potranno seguire strade che sono condannate dal Magistero nella spiegazione della legge divina” (GS 51).
Di fatto tu stai seguendo “strade che sono condannate dal Magistero nella spiegazione della legge divina” (GS 51).
Non è una bella cosa né ti può lasciare tranquillo in coscienza.

5. Come puoi notare, il Concilio ha dato anche la valutazione sulla contraccezione coniugale: parla di integro senso della donazione umana.
Nella contraccezione non c’è l’integrità del dono, come ripetutamente ha insegnato San Giovanni Paolo II. 
Né viene coltivata la virtù della castità, che nel comportamento contraccettivo  abituale rimane una parola gettata al vento.

6. Né si può dire che essendo peccato grave la contraccezione venga valutata alla pari dell’omicidio. 
Ti faccio un esempio: si va in carcere perché si è omicidi e si va in carcere anche perché si è rubato.
I crimini sono diversi, ma sono ambedue gravi, sebbene uno sia più grave dell’altro, come viene determinato anche dalla pena.
Del resto anche il non santificare le feste per capriccio è un peccato grave e non è certo paragonabile all’omicidio.
Ciò non di meno non cessa di essere un peccato grave.

7. Ma ciò che forse si è oscurato in te è questo: che la valutazione del peccato grave non viene data in riferimento all’onesta naturale.
Anche chi non santifica le feste continua ad essere una persona onesta.
E anche chi fa contraccezione, come nel tuo caso, non cessa di essere persona onesta.
Si parla di peccato mortale in riferimento ad un altro criterio, che è di ordine soprannaturale, ed è quello della carità che consiste nell’avere la nostra volontà all’unisono con  quella di Dio. 
Infatti solo chi osserva i comandamenti ama il Signore: “Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi è colui che mi ama” (Gv 14,21).
Chi non li osserva non può dire di amare il Signore. È bugiardo, dice San Giovanni, e la verità non è in lui: “Chi dice: «Lo conosco» e non osserva i suoi comandamenti, è bugiardo e la verità non è in lui” (1 Gv 2,4).
San Tomasso ricorda che “mortale è quel peccato che toglie la vita spirituale prodotta dalla carità, virtù in forza della quale Dio abita in noi: perciò è mortale per il suo genere quel peccato che per se stesso, cioè per la sua natura, è incompatibile con la carità” (Somma teologica, II-II, 35, 3).

8. Mi dici anche che il tuo matrimonio ha realizzato l’aspetto procreativo perché hai due figli. 
Questa obiezione se l’è presentata anche Paolo VI nell’Humanae vitae e risponde così: “Né a giustificazione degli atti coniugali resi intenzionalmente infecondi, si può invocare, come valida ragione,... il fatto che tali atti costituirebbero un tutto con gli atti fecondi che furono posti o poi seguiranno, e quindi ne condividerebbero l’unica e identica bontà morale...
È quindi errore pensare che un atto coniugale, reso volutamente infecondo, e perciò intrinsecamente non onesto possa essere coonestato dall’insieme di una vita coniugale feconda” (Humanae Vitae, 14).
Se fosse stato sufficiente il tuo ragionamento, il Papa avrebbe potuto esimersi dallo scrivere l’Humanae Vitae e Giovanni Paolo II dal tornarvi sopra mille volte.
In realtà la nostra santificazione e la nostra amicizia col Signore si costruisce atto dopo atto, soprattutto in atti nei quali uno impegna grandemente se stesso come avviene negli atti coniugali.
Come non basta andare Messa a Natale e a Pasqua per dire che si santificano le feste, così non è sufficiente dire che si sono messi al mondo due figli  per giustificare atti che non rispettano neanche la vera e integra donazione dei coniugi.
C’è vera donazione se si dona tutto, anche la capacità procreativa.
Perché a quegli atti, oltre la donazione, è intrinseca la finalità procreativa, della quale siete bene consapevoli, perché diversamente non ricorrereste alla contraccezione. E sapete anche che quegli atti non durano finché volete, ma di fatto per natura vengono meno quando è stata espletata la funzione procreativa.
È evidente pertanto che la contraccezione attua una manomissione del disegno del Creatore sulla sessualità e sull’amore umano.

9. Mi hai citato il Vademecum per i confessori del Pontificio Consiglio per la famiglia (12.2.1997).
Ma proprio questo Vademecum dice: “La Chiesa ha sempre insegnato l’intrinseca malizia della contraccezione, cioè di ogni atto coniugale intenzionalmente infecondo. Questo insegnamento è da ritenere come dottrina definitiva ed irreformabile.
La contraccezione si oppone gravemente alla castità matrimoniale
è contraria al bene della trasmissione della vita (aspetto procreativo del matrimonio), 
alla donazione reciproca dei coniugi (aspetto unitivo del matrimonio), 
ferisce il vero amore 
nega il ruolo sovrano di Dio nella trasmissione della vita umana” (n. 2.4).
Tu mi scrivi: “Non è che la Chiesa dovrà rivedere questa posizione così intransigente?”.
Hai sentito che cosa dice il Vademecum? “Questo insegnamento è da ritenere come dottrina definitiva ed irreformabile”.

10. Infine, ma il discorso diventerebbe troppo lungo, riguarda i metodi naturali, che non sono come tu li definisci metodi anticoncezionali. Scrivi infatti: “Io e mia moglie non stiamo applicando il magistero della Chiesa per quanto riguarda i metodi anticoncezionali. In pratica non usiamo quelli cosiddetti naturali ben consigliati dalla Humanae Vitae”.
No, i metodi naturali non sono “metodi anticoncezionali naturali”.
Sono un’espressione della virtù della castità, di autodominio, di vero dono, non di contraffazione del dono.
A questo proposito ti ricordo la grande affermazione di Giovanni Paolo II il quale dice che fra i due metodi vi è “unadifferenza assai più vasta e profonda di quanto abitualmente non si pensi e che coinvolge in ultima analisi due concezioni della persona e della sessualità umana tra loro irriducibili” (Familiaris Consortio 32), ed invita “ad approfondire la differenza antropologica e al tempo stesso morale che esiste tra la contraccezione e il ricorso ai ritmi infecondi” (Ib.).
Mi permetto di rimandarti ad un mio approfondimento su questo tema, fatto in tre puntate, sul nostro sito: La profonda differenza che passa tra la contraccezione e il seguire la legge di Dio nel matrimonio  pubblicate il 14, il 15 e il 16 aprile del 2010 (leggi tutto...) (leggi tutto...) (leggi tutto...).

11. Quando tu mi hai scritto era il 5 gennaio, poco dopo la prima sessione del Sinodo straordinario. E in quel periodo molti hanno detto e scritto cose sbagliate, dando l’impressione che la dottrina della Chiesa su questo punto fosse modificabile.
Se non che Papa Francesco ha avuto occasione di ribadire la validità della dottrina di Paolo VI. Lo ha fatto in particolare a Manila. Ha detto: “In un momento in cui si riproponeva il problema della crescita della popolazione, ebbe il coraggio di difendere l’apertura alla vita della famiglia. Lui conosceva le difficoltà che c’erano in ogni famiglia, per questo nella sua Enciclica era tanto misericordioso con i casi particolari e chiese ai confessori che fossero molto misericordiosi e comprensivi con i casi particolari. Però lui guardò anche oltre, guardò i popoli della Terra, e vide questa minaccia di distruzione della famiglia a causa della mancanza dei figli. Paolo VI era coraggioso, era un buon pastore e allertò le sue pecore sui lupi in arrivo”.
Ho voluto evidenziare l’espressione: “chiese ai confessori che fossero molto misericordiosi e comprensivi con i casi particolari”.
Ed è vero ed è ciò che io ripropongo in continuazione nel nostro sito: “E se il peccato facesse ancora presa su di loro, non si scoraggino, ma ricorrano con umile perseveranza alla misericordia di Dio, che viene elargita nel sacramento della Penitenza” (Humanae vitae, 25).
Dicendo ai fedeli di ricorrere con umile perseveranza chiede nello stesso tempo ai confessori di essere “molto misericordiosi e comprensivi con i casi particolari”, come interpreta Papa Francesco. 
Ma essere “molto misericordiosi e comprensivi” non significa dire che il male non è male, anzi in alcuni casi è anche un bene.
No, un conto è la norma e un  conto è la condotta dei fedeli.
Anche in questo caso mi piace citare il Vademecum: “La recidiva nei peccati di contraccezione non è in se stessa motivo per negare l’assoluzione. Questa non si può impartire solo se mancano il sufficiente pentimento o il proposito di non ricadere in peccato. Il confessore eviterà di aver sfiducia nei confronti della grazia di Dio e delle disposizioni del penitente, esigendo garanzie assolute umanamente impossibili” (nn. 5 e 11).
La purezza della dottrina non è inconciliabile con la misericordia nel tratto delle persone. Mi pare che sia la premessa per essere veramente misericordiosi.

12. Mi scrivi anche: “nel Vademecum per i confessori viene riconosciuto alla coscienza della persona la capacità di valutare e decidere il comportamento da scegliere e da vivere. In questo caso la coscienza potrebbe esprimere un giudizio diverso dal giudizio del magistero”.
Il Vademecum non dice che si può fare quello che si vuole.
Dice piuttosto che in alcuni casi di ignoranza della legge di Dio “è sempre valido il principio secondo il quale è preferibile lasciare i penitenti in buona fede in caso di errore dovuto ad ignoranza soggettivamente invincibile, quando si preveda che il penitente, pur orientato a vivere nell’ambito della vita di fede, non modificherebbe la propria condotta, anzi passerebbe a peccare formalmente. 
Tuttavia, anche in questo caso, il confessore deve tendere ad avvicinare sempre più tali penitenti attraverso la preghiera, l’esortazione alla formazione della coscienza, ad accogliere nella propria vita il piano di Dio e l’insegnamento della Chiesa” (n. 8). Il che è ben diverso.

13. Infine desidero fare un’osservazione: come vedi, su tutta la linea sei abbastanza lontano da quanto dice il Magistero e lo sembri addirittura accusare con quell’affermazione “Mi vengono alla mente le parole di Gesù "....anche a voi, dottori della Legge, che caricate gli uomini di pesi insopportabili che voi neppure toccate con un dito....".
Questa citazione è fuori posto ed è offensiva nei confronti della Chiesa, di cui sei figlio. 
È fuori posto perché Gesù parlava delle leggi rituali e delle cerimonie che i dottori di quel tempo imponevano alla gente. E tu sembri applicarlo alla legge di Dio!
Penso che sia più giusto riconoscere i propri errori che legittimarli.
E dire che in un punto importante della vita purtroppo il peccato fa ancora breccia, come dice il beato Paolo VI e purtroppo si “nega il ruolo sovrano di Dio”.
E che convenga ricorrere “con umile perseveranza alla misericordia di Dio, che viene elargita nel sacramento della Penitenza” (Humanae vitae, 25).

14. A questo punto desidero dirti che la Chiesa ti affida un compito tutto contrario a quello che tu desideri da lei.
Mentre tu attendi una impossibile revisione della legge di Dio, la Chiesa ti dice: “E ora la nostra parola si rivolge più direttamente ai nostri figli, particolarmente a quelli che Dio chiama a servirlo nel matrimonio. La chiesa, mentre insegna le esigenze imprescrittibili della legge divina, annunzia la salvezza e apre con i sacramenti le vie della grazia, la quale fa dell’uomo una nuova creatura, capace di corrispondere nell’amore e nella vera libertà al disegno del suo Creatore e Salvatore e di trovare dolce il giogo di Cristo. (…).
Ad essi (gli sposi cristiani) il Signore affida il compito di rendere visibile agli uomini la santità "e la soavità della legge che unisce l’amore vicendevole degli sposi con la loro cooperazione all’amore di Dio autore della vita umana.
Non intendiamo affatto nascondere le difficoltà talvolta gravi inerenti alla vita dei coniugi cristiani: per essi, come per ognuno, è stretta la porta e angusta la via che conduce alla vita" (cfr. Lc 13,24).
Ma la speranza di questa vita deve illuminare il loro cammino, mentre coraggiosamente si sforzano di vivere con saggezza, giustizia e pietà nel tempo presente, sapendo che la figura di questo mondo passa” (HV 25).

15. Il Signore ti ha dato questo compito, il compito di essere con tua moglie apostolo della santità del matrimonio e della soavità della legge di Dio.
Pertanto ti esorto ad essere quello che devi essere davanti a Dio e davanti agli uomini senza sconti. 
Non cercare un sacerdote acquiescente alla tua situazione. 
Cercane uno che ti spinga alla santità. Non è così che si deve fare?
Cercane uno che ti aiuti ad essere umile, uno che ti purifichi dopo ogni caduta, che ti rialzi e ti faccia accostare al banchetto eucaristica come il Signore vuole.
Credo che questa sia la vera misericordia, quella che rende puri davanti al Signore.
Il buon samaritano ha lavato e curato le ferite di colui che era finito sotto le botte dei suoi rapinatori.
Il sacerdote e il levita che gli sono passati accanto e lo hanno lasciato così

[Modificato da Caterina63 27/04/2016 10:44]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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Se alcuni comportamenti nell'intimità coniugale siano leciti come preliminari


Quesito


Carissimo Padre Angelo,
innanzitutto volevamo ringraziarla per la disponibilità e la chiarezza nelle risposte agli svariati quesiti che le vengono proposti.
Siamo una coppia di sposi che mira sempre a vivere il matrimonio secondo la Parola del Signore. Le scriviamo perché siamo molto confusi in quanto ci sono pareri discordanti tra vari sacerdoti che abbiamo interpellato in confessione e vorremmo, una volta per tutte, una risposta che ci chiarisca le idee. 
Ci scusiamo in anticipo per la delicatezza dell'argomento: vorremmo sapere se all'interno dei rapporti coniugali, che comunque si concludono sempre dove naturalmente e cristianamente si devono concludere (seguiamo il metodo Billings), sia lecito oppure no avere rapporti anali e orali come situazione preliminare.
Alcuni sacerdoti hanno detto a mio marito che è peccato e uno ha detto addirittura di evitare qualsiasi occasione che potrebbe portare ad un tipo di rapporto del genere (ma, data la timidezza del mio sposo soprattutto su questi argomenti non so se sia stato specificato che si tratta di un preliminare e non di un rapporto concluso così). 
E per due volte, sempre in confessione è stato detto che tutto ciò è lecito purché sia un rapporto aperto alla vita e basato sulla donazione di sé.
Nel dubbio cerchiamo di astenerci da queste pratiche ma la situazione sta diventando pesante perché il desiderio é forte e non sappiamo se il nostro é un sacrificio inutile oppure effettivamente stiamo sfuggendo ad un grave peccato.
Sicuri di una risposta, la ringraziamo, la ricordiamo nelle nostre preghiere e le chiediamo di pregare per noi affinché siamo sempre guidati dalla Luce del Signore. 
Con affetto … e …


Risposta del sacerdote

Carissimi,
1. l’espressione rapporto orale o anale è già di suo fuorviante perché rimanda ad atti contro natura.
Se si tratta di rapporti completi, anche se vengono compiuti come preliminari, costituiscono u disordine grave. 
Il Magistero della Chiesa si è espresso così: “Ma se il marito vuole commettere con lei la colpa dei Sodomiti, poiché questo coito sodomitico è un atto contro natura da parte di entrambi i coniugi che così sì congiungono e questo, a giudizio di tutti i dottori, è gravemente cattivo, la moglie, per nessun motivo, neppure per evitare la morte, può lecitamente in questo caso compiacere al suo impudico marito” (DS 3634).
Si tratta di un disordine grave, di una perversione del disegno di Dio sulla sessualità e l’amore umano.

2. Come vedi, questi rapporti vengono considerati come i peccati dei sodomiti, dei quali nella Sacra Scrittura si legge che furono peccati che gridarono verso il cielo a motivo del grande sconvolgimento che questi peccati causano all’interno della società. 
Gridare verso il cielo nella Sacra Scrittura è la stessa cosa che attirare dei castighi.
Non che Dio castighi, ma nel senso che Dio abbandona queste persone alla loro perversa volontà. E così più facilmente sono esposte ad essere flagellate dalla malvagità degli uomini e dei demoni.
“Dio abbandona” è un linguaggio metaforico, perché Dio non abbandona nessuno. 
Ma poiché queste persone si sottraggono alla protezione della grazia, che secondo la Sacra Scrittura è anche scudo, corazza, rifugio e difesa, succede per loro di essere più esposte a tanti mali che in definitiva si infliggono da se stesse.

3. Questo abbandono stringe il cuore.
Ma queste sono proprio le parole usate da San Paolo: “Perciò Dio li ha abbandonati all'impurità secondo i desideri del loro cuore, tanto da disonorare fra loro i propri corpi” (Rm 1,24);
“Per questo Dio li ha abbandonati a passioni infami; infatti, le loro femmine hanno cambiato i rapporti naturali in quelli contro natura” (Rm 1,26). 
“E poiché non ritennero di dover conoscere Dio adeguatamente, Dio li ha abbandonati alla loro intelligenza depravata ed essi hanno commesso azioni indegne” (Rm 1,28).

4. Ci tengo anche a precisare che all’interno del matrimonio non è sufficiente evitare la contraccezione e usare i metodi naturali.
Pur usando i metodi naturali il cuore può essere pieno di passioni infami, per usare il linguaggio di San Paolo.
C’è una purezza da coltivare anche all’interno del matrimonio. 
Per questo il Santo Papa Giovanni Paolo II nella lettera alle famiglie “Gratissimam sane”  ha detto che “la persona non può mai essere considerata un mezzo per raggiungere uno scopo; mai, soprattutto, un mezzo di “godimento”. Essa è e dev’essere solo il fine di ogni atto. Solo allora corrisponde alla vera dignità della persona” (GrS 12).

5. Detto questo, si può parlare allora anche di preliminare corretto.
Ed è corretto quel preliminare per il quale ci si stimola in vario modo per poter essere in grado di compiere il gesto dell’intimità sessuale secondo Dio.
Come vedi, siamo in un’ottica ben diversa da quella per cui si cerca il rapporto orale o anale per se stesso, anche se poi viene seguito da un rapporto secondo natura.
In questo stimolarsi in vario modo è incluso anche quanto i coniugi possono fare per portare la donna all’appagamento fisico.

6. È questo il principio che tenevano presente gli autori di teologia morale quando scrivevano che “baciare i genitali in genere non è necessario e neanche utile per compiere l’atto. 
Spesso ripugna ai coniugi. 
Tuttavia talvolta a motivo della frigidità di uno dei due o di tutti e due possono essere utili e talvolta anche necessari”.

7. Come vedi, nei principi che ti ho esposto puoi trovare quanto ti hanno detto i vari confessori. A te è parso che abbiano detto cose diverse tra loro. 
In realtà talvolta i penitenti parlano in modo da indurre il confessore ad esprimersi in un modo piuttosto che in un altro. Di qui si ha l’impressine di trovare pareri discordi. Ma spesso non è così.

8. Colgo l’occasione per esprimere il mio compiacimento per la vostra condotta morale: nel dubbio che si trattasse di azioni che non sono gradite a Dio, vi siete astenuti.
È così che ci si deve comportare quando si dubita che un’azione sia buona o cattiva.
Non ci si può esporre a offendere Dio. Prima è necessario dissipare il dubbio.

Vi ringrazio di cuore per le preghiere promesse che contraccambio volentieri. 
Vi auguro ogni bene e vi benedico. 
Padre Angelo





Un sacerdote risponde

Quando ci confessiamo e ritorniamo in grazia di Dio, vi torniamo allo stesso stato in cui ci trovavamo prima di peccare con tutti i meriti finora acquisiti

Quesito

Carissimo P. Angelo,
Le scrivo per essere aiutato a capire il pensiero dell'Aquinate in merito al recupero delle virtù mediante la penitenza. Quando ci confessiamo e otteniamo la grazia di Dio noi ritorniamo allo stesso stato in cui ci trovavamo prima di peccare con tutti i meriti che abbiamo acquisito fino ad allora, oppure li perdiamo e ricominciamo daccapo? 
Mi puoi aiutare a comprendere il pensiero di S. Tommaso?
Grazie 
Alessandro


Risposta del sacerdote

Caro Alessandro,
1. San Tommaso tratta di questo problema nella questione 89 della terza parte della Somma Teologica.
Suo punto di partenza è quanto si legge nel Vangelo: “Nella parabola evangelica il padre comanda che il figlio pentito sia rivestito "con la veste più preziosa", che a detta di S. Ambrogio è "la veste della sapienza", la quale è accompagnata da tutte le virtù” (Somma Teologica, III, 69, 1, sed contra).
Questa veste della sapienza è la grazia santificante che viene comunicata sempre insieme con le tre virtù teologali (fede, speranza e carita) e con i sette doni dello Spirito Santo.

2. Ecco la tua domanda: in quale misura viene infusa la grazia quando ci si pente dei peccati e ci si confessa?
San Tommaso ricorda che l’infusione della grazia in una persona che ha raggiunto l’uso di ragione è sempre accompagnato da un atto consapevole e libero.
Questo atto personale segna la disposizione con la quale l’uomo si dispone ad accogliere la grazia di Dio.
Ebbene, il grado di infusione della grazia - egli dice - è proporzionato all’intensità dell’atto con cui si detesta il peccato.

3. “Perciò, a seconda che il moto del libero arbitrio è nella penitenza più intenso o più debole, il penitente consegue una grazia maggiore o minore.
Ora accade che l'intensità del moto suddetto è proporzionato a una grazia talora superiore, talora uguale e talora inferiore a quella da cui il penitente era decaduto col peccato
Perciò il penitente talora risorge con una grazia superiore a quella precedente; talora con una uguale; e talora con una grazia inferiore.
Lo stesso si dica delle virtù che accompagnano la grazia” (Somma Teologica, III, 69, 2).

4. San Tommaso dice ancora: “La penitenza di suo ha la virtù di riparare alla perfezione tutti i difetti, e anzi di promuovere a uno stato superiore: questo però talora viene impedito da parte dell'uomo, che si muove con poco impegno nella ricerca di Dio e nella detestazione del peccato” (Ib., ad 2).

5. San Tommaso si domanda infine se le opere buone compiute in grazia di Dio, e pertanto meritorie, ma che successivamente sono state “mortificate” dal peccato grave, possano tornare a favore di chi le ha compiute.
È chiaro infatti da quanto dice il profeta Ezechiele che col peccato grave si perde tutto il merito delle opere buone: “Ma se il giusto si allontana dalla giustizia e commette il male, imitando tutte le azioni abominevoli che l'empio commette, potrà egli vivere? Tutte le opere giuste da lui fatte saranno dimenticate; a causa della prevaricazione in cui è caduto e del peccato che ha commesso, egli morirà” (Ez 18,24).
Ed ecco la risposta: “L'uomo col peccato viene a perdere due tipi di dignità: una presso Dio, l’altra presso la Chiesa.
Presso Dio egli perde una duplice dignità. Una dignità principale, per cui "era computato tra i figli di Dio" (Sap 5,5) mediante la grazia. E questa viene recuperata dalla penitenza. A ciò si accenna nella parabola evangelica del figliol prodigo, allorché dopo il pentimento il padre comanda di restituire "la veste più preziosa, l'anello e i calzari" (Lc 15,22).
Perde poi una dignità secondaria, cioè l'innocenza: della quale nella parabola evangelica ricordata, si gloriava il figlio maggiore con quelle parole: "Ecco io ti servo da tanti anni e non ho mai trasgredito un tuo comando" (Lc 15,29). E questa dignità il penitente non può ricuperarla.
Talora però egli ricupera qualche cosa di più grande. Poiché, come scrive S. Gregorio, "coloro che considerano le proprie defezioni da Dio, ricompensano con i guadagni successivi le perdite precedenti. Ecco perché di essi si fa più festa in cielo: perché il comandante ama di più nel combattimento quel soldato che, tornato indietro dopo aver tentato la fuga, incalza coraggiosamente il nemico, piuttosto che quello il quale, senza aver mai voltato le spalle al nemico, non compie mai un grande atto di coraggio" (In Evang. hom. 34)” (Somma Teologica, III, 69, 3).

Ti auguro ogni bene, ti ricordo al Signore e ti benedico.
Padre Angelo



Un sacerdote risponde

Sono un comune sportivo e frequento palestre e spogliatoi

Quesito

Spett.Padre Angelo,
sono un comune sportivo e frequento palestre e spogliatoi, vorrei chiederle un paio di domande che forse le sembreranno banali, se il culto dello sport in sè (forza,competizione, superiorità genetica ecc.) sia condannato dalla Chiesa come una forma di paganesimo o una via per migliorare sè stessi ("mens sana in corpore sano"), e se il rito di spogliarsi e docciarsi completamente nudi dinnanzi a più persone dello stesso sesso in uno spogliatoio comune sia condannata come  una sconcezza da evitare al pari di tutta la cultura del nudismo.
Andrea


Risposta del sacerdote

Caro Andrea, 
solo oggi sono giunto alla tua dopo tanto tempo. Me ne dispiace e te ne domando scusa.

1. Lo sport è un’attività orientata alla distrazione, al divertimento, alla gioia, alla competizione atletica, alla realizzazione di se stessi.
La persona ne ha bisogno per ricuperare le proprie energie fisiche e psichiche.
San Tommaso ne parla all’interno della virtù della temperanza e ancor più precisamente all’interno dell’eutrapelia, che si può definire la virtù che ha a che fare con la gioia del divertimento.
Ne riconosce pertanto il valore altamente positivo e lo considera utile sia per la salute del corpo sia per la distensione dello spirito.

2. S. Tommaso tratta dell’eutrapelia all’interno della modestia negli atteggiamenti esteriori del corpo1 .
Scrive: “L’uomo ha bisogno del riposo fisico per ritemprare il corpo, il quale non può lavorare di continuo a causa dei limiti delle proprie energie, così ne ha bisogno per l’anima, le cui forze sono adeguate solo per determinate attività. Perciò quando l’anima si occupa oltre misura in qualche lavoro, sente lo sforzo e la fatica: specialmente perché nelle attività dell’anima collabora anche il corpo…
Ora, i beni connaturali all’uomo sono quelli sensibili. E così quando l’anima, occupata in attività di ordine razionale, sia in campo pratico che speculativo, si eleva al disopra delle realtà sensibili, sente una certa fatica. (…).
Ora, come la fatica fisica si smaltisce con il riposo del corpo, così la fatica dell’anima deve smaltirsi con il riposo dell’anima. Ma il riposo dell’anima è il piacere, come si è detto nel trattato sulle passioni.
Quindi per lenire la fatica dell’anima bisogna ricorrere a un piacere, interrompendo la fatica delle occupazioni di ordine razionale” (Somma teologica, II-II, 168, 2).

3. A questo punto riporta quanto si legge nelle Collationes Patrum di Cassiano dove si legge che alcuni discepoli di San Giovanni apostolo ed evangelista si erano scandalizzati per averlo trovato mentre giocava con loro.
San Giovanni comandò a uno di loro che aveva un arco di lanciare una freccia. Dopo che l’arciere l’ebbe fatto più volte, San Giovanni gli domandò se poteva ripetere di continuo quel gesto. Quegli rispose che in tal caso l’arco si sarebbe spezzato. E allora S. Giovanni replicò che anche l’animo avrebbe la medesima fine se non gli fosse mai concesso un po’ di riposo.

4. Lo sport pertanto non è condannato dalla Chiesa, anzi la Chiesa l’approva e lo promuove. Basta vedere quello che si fa nei cosiddetti oratori o patronati.
Ci sono tante virtù e tanta autodisciplina che si esercitano nello sport.
Certo se viene fatto per manifestare superiorità genetica allora la motivazione non è delle migliori, per usare un eufemismo.
Se qualcuno lo facesse solo per questo, non si deve svalutare in toto l’attività sportiva.

5. Mi accenni infine alla questione degli spogliatoi.
Non sarebbe male che dappertutto, anche negli spogliatoi venisse salvaguardato il pudore.
Ma quando questo non è possibile perché non si può fare altrimenti, tocca ai singoli tutelare il proprio pudore con una certa discrezione.
Se si vuole, ci si riesce, almeno in parte.
Purtroppo bisogna convenire che talvolta alcuni non hanno alcuna discrezione.

Ti auguro ogni bene, ti ricordo al Signore e ti benedico. 
Padre Angelo


1 S. Tommaso, Somma teologica, II-II, 168, 2.






Un sacerdote risponde

Perché gli atti tra omosessuali vengono detti contro natura se per taluni la loro natura è quella?

Quesito

Caro Padre Angelo,
Avrei bisogno di alcuni chiarimenti circa ciò che si intende per "contro natura" e circa le unioni omosessuali. 
Innanzitutto: gli atti omosessuali sono condannati perché "contronatura". Però, anche se per molti questo è un vero e proprio vizio di perversione, per coloro che si trovano senza averne colpa in questa condizione non si può parlare di "natura"? Per esempio, anche avere un figlio down, non è naturale, però succede senza che alcuno ne sia colpevole, per cui in un certo senso è "naturale", cioè, arriva e basta...
Gli stessi atti impuri, dice la Chiesa, sono un bisogno naturale del corpo. Ma con la nostra volontà siamo tenuti a combatterli per un Fine Superiore. Come la scelta del sacerdozio, in cui si sceglie la via del celibato ("contronatura"), per qualcosa di immensamente Superiore.
Per cui, perché si dice che una cosa contronatura è peccato? Non è peccato ciò che Dio ci indica come tale, indipendentemente dalla "natura"?
Per il caso degli omosessuali, perché non si può dire "scelgo questa via contronatura, per qualcosa di superiore, che è l'amore per una persona dello stesso sesso?" magari questo amore può anche essere sentito sinceramente da questi...
Può spiegarmi le differenze tra queste cose e perché non si può affermare questo?
Messa in questo modo riesce difficile condannare la pratica omosessuale perché "contro natura". Piuttosto è invece chiaramente da condannare in quanto lo dice Dio nella Sacra Scrittura.
Inoltre, anche gli atti sessuali compiuti da un uomo e una donna fuori dal matrimonio sono da condannare, per cui sotto questo aspetto non vi è questa grande differenza: un uomo e una donna non sposati non possono, cosi come due persone dello stesso sesso non possono, e poiché non gli è lecito sposarsi non potranno mai.
Quanto maggiore è la gravità di un atto sessuale tra due persone dello stesso sesso, rispetto a quello tra un uomo e una donna non sposati?
La ringrazio per la disponibilità e la ricordo nella preghiera.
Luca


Risposta del sacerdote

Caro Luca,
1. gli organi sessuali hanno una loro precisa finalità. Sono stati strutturati da Dio nella loro mascolinità e nella loro femminilità in ordine ad un obiettivo ben chiaro ed evidente: la riproduzione.
Tutto quanto vi è in essi è ordinato a questo. In anatomia, quando si giunge a studiare queste determinate parti del corpo, si legge “Apparato riproduttivo”.
Sono ordinati alla riproduzione nel medesimo modo in cui gli occhi sono stati strutturati per vedere e gli orecchi per sentire.

2. Questa finalità riproduttiva si raggiunge mediante la compenetrazione dei due sessi.
Questa compenetrazione avviene in un determinato modo, quello stabilito dalla natura, quello per il quale i due sessi sono differenziati.
Quando invece attraverso i sessi si realizza una compenetrazione che è fittizia e che in nessun modo può suscitare la vita si dice che si tratta di un uso della sessualità contro natura, e cioè contro l’obiettivo per cui la sessualità è stata così strutturata dal Creatore.
Non è necessario scomodare la sacra Scrittura per dire che si tratta di atti contro natura.

3. Mi parli di alcuni che si trovano con tale inclinazione senza averne colpa.
Sì, è vero, ma questo non significa che gli atti di omosessualità compiuti da queste persone raggiungano l’obiettivo inscritto nella natura.
Anzi questi atti rimangono privi del loro intrinseco significato e continuano ad essere fuori posto, contro natura.
La sessualità maschile e femminile delle persone omosessuali non è fatta per congiungersi tra persone dello stesso sesso.

4. Mi dici: “Avere un figlio down non è naturale, però succede senza che alcuno ne sia colpevole, per cui in un certo senso è "naturale", cioè, arriva e basta...”
Qui, come vedi, si equivoca sul significato di “naturale”.
Tu per naturale intendi ciò che comunemente avviene.
E allora sotto questo aspetto è naturale che alcuni nascano ciechi, zoppi, ecc…, perché succede.
Ma il dato sociologico non si identifica col dato ontologico, e cioè quello iscritto nella struttura stessa di determinati organi o facoltà.
Se il dato sociologico si identificasse con quello ontologico non potresti più parlare di malformazioni, perché anche queste avvengono in natura.
Si parla di malformazioni invece perché l’organo o la facoltà non hanno quello che dovrebbero avere.
Non dobbiamo dunque dimenticare che quando parliamo di omosessualità ci troviamo dinanzi ad un’inclinazione che vorrebbe portare l’uso della sessualità verso un obiettivo che è diverso da quello scritto nella sua stessa struttura.

5. Essere ciechi è un difetto della natura. Quando arriva, lo si subisce. Come hai detto tu: “arriva e basta...”. 
È un difetto fisico, che non toglie nulla alla dignità della persona. 
E come non si può ridere sulla cecità di una persona, così è fuori posto l’irrisione delle persone omosessuali, molte delle quali - tra l’altro - vivono questo difetto con vera sofferenza.

6. Ora non qui non parliamo del rispetto che si deve a tali persone, questione che è fuori discussione.
Ma ci chiediamo se gli atti di omosessualità abbiano la medesima valenza degli atti con cui normalmente si congiungono marito e moglie.
Indubbiamente c’è una differenza: gli uni sono espressi secondo il linguaggio inscritto nella sessualità maschile e femminile, e normalmente estuano nella procreazione perché sono interiormente strutturati verso di essa.
Gli altri invece sono una palese contraffazione del dato della natura. Non sono ordinati verso l’obiettivo scritto nella loro stessa struttura. 
È vero che alcune persone sono inclinate verso lo stesso sesso indipendentemente dalla loro volontà. Ma le azioni di omosessualità rimangono ugualmente prive del loro intrinseco significato: non ci sarà mai quella donazione di sé che aiuta l’altro a diventare padre o madre. E questo non perché si è vecchi o per qualche incidente di percorso, ma perché non ci sono le premesse.

7. Ti porto un esempio. Vi sono delle persone che sono cleptomani perché l’occasione le ha fatte diventare tali e altre che lo sono per inclinazione sbagliata della natura.
Ne ho incontrate alcune in confessionale. Talune sono ricche, non hanno bisogno di nulla. Eppure quando sono al supermercato, pur sapendo che si tratta di un’azione brutta e particolarmente disonorante, la compiono ugualmente e in maniera potrei dire compulsiva. Queste persone detestano la loro azione, se ne confessano, e non la giustificano in nessuna maniera.
Ugualmente vi sono persone con inclinazione omosessuale che talvolta commettono atti impuri, e tuttavia non li giustificano, non se ne vantano, ne avvertono il disordine e domandano perdono a Dio.
È quello che si dovrebbe fare.
Altre invece se ne fanno un vanto e reclamano come un diritto di ciò di cui tutti si vergognerebbero.

8. Scrivi: “Gli stessi atti impuri, dice la Chiesa, sono un bisogno naturale del corpo”.
No, questo la Chiesa non lo dice e non l’ha mai detto.
L’esercizio della sessualità, intesa come genitalità, non è un bisogno fisiologico.
Coloro che si votano alla castità per il Signore non vanno contro natura, non combattono contro la sessualità, ma la vivono nella sua dimensione tipicamente personale e spirituale astenendosi dall’aspetto genitale.
Nessuno può votarsi alla castità se non la sente come un’esigenza dell’anima, a motivo di un amore più grande e più fecondo.

9. Mi piace ricordare quanto scrisse il Maatma Gandhi che era un indù e non un cristiano, circa il voto solenne e perpetuo di castità che fece con sua moglie all’età di trentanni: “Quando io guardo indietro mi sento pieno di gioia e di meraviglia. La libertà e la gioia che mi riempirono dopo aver fatto il voto di castità, non l’avevo mai sperimentata prima del 1906 (data del suo voto solenne).
Prima di fare il voto io ero in balìa di ogni tentazione impura a ogni momento. Ora il voto diventò per me uno scudo sicuro contro la tentazione. 
La grande potenza della castità divenne in me sempre più palese. Ogni giorno che è passato mi ha sempre fatto comprendere di più che la castità è una protezione del corpo, della mente, dell’anima. 
Il praticare la castità non diventò il praticare un’ardua penitenza, fu invece una consolazione ed una gioia. Ogni giorno mi svelava una fresca bellezza: è stata per me una gioia sempre crescente” (GANDHI, La mia vita per la libertà, pp. 193-194).
Ed ecco come è nata nell’anima di Gandhi la decisione per la castità: “Io vidi con chiarezza che uno che aspira a servire gli altri in modo totale non può non fare a meno di fare il voto di castità. Il voto di castità mi diede la gioia: diventai libero e disponibile a ogni servizio del prossimo” (Ib.).

10. Chiedi “perché si dice che una cosa contronatura è peccato? Non è peccato ciò che Dio ci indica come tale, indipendentemente dalla "natura"?”.
Alla persona omosessuale non è proibito amare, non è proibito avere e coltivare amicizie anche con persone della stessa inclinazione.
Anche tra omosessuali ci possono essere autentiche amicizie. Chi lo può negare?
Ma il compimento di atti omosessuali rimane sempre un uso improprio della genitalità.
Di fatto è un uso egoistico e umiliante della sessualità, la quale invece è fatta per donarsi, per immolarsi in maniera vera come avviene nel matrimonio, nella generazione, nell’educazione e nella santificazione dei figli.
Pertanto gli atti di omosessualità non sono peccati solo perché Dio li ha proibiti, ma Dio li ha proibiti perché sono dannosi per l’uomo, non lo fanno crescere, non lo santificano, ma anzi lo disonorano e avviliscono.

11. In tal modo ho risposto alle altre domande che ti sei fatto.
Un conto dunque dono le amicizie tra persone omosessuali. 
Un altro conto invece è l’uso della genitalità al di fuori del suo intrinseco obiettivo. 
La Chiesa distingue fra gli atti omosessuali e le tendenze omosessuali.
“Riguardo agli atti, insegna che, nella Sacra Scrittura, essi vengono presentati come peccati gravi.
La Tradizione li ha costantemente considerati come intrinsecamente immorali e contrari alla legge naturale.
Essi, di conseguenza, non possono essere approvati in nessun caso” (CONGREGAZIONE PER L'EDUCAZIONE CATTOLICA, Istruzione della Congregazione per l'Educazione Cattolica circa i criteri di discernimento vocazionale riguardo alle persone con tendenze omosessuali, n. 2).

12. Ancora: “gli atti sessuali compiuti da un uomo e una donna fuori dal matrimonio sono da condannare”, sì, ma non perché siano peccati contro natura, bensì perché sono privi di quell’autentico amore per il quale ci si dona per sempre e perché espongono i bambini a nascere al di fuori del quadro sicuro e benefico del matrimonio.

13. Come ultima domanda chiedi se sia più grave un peccato al di fuori del matrimonio o un peccato di sodomia.
Sant’Agostino dice che "tra tutti questi peccati", cioè tra quelli di lussuria, "il peggiore è quello contro natura" (De adulterio).
E ancora: “I peccati contro natura quali quelli dei Sodomiti, sono sempre degni di detestazione e di castigo: e anche se fossero commessi da tutte le genti, queste sarebbero ree di uno stesso crimine di fronte alla legge di Dio, la quale non ammette che gli uomini si trattino in quel modo. Così infatti viene violata la società che deve esistere tra noi e Dio, profanando con la perversità della libidine la natura di cui egli è l'autore" (Confessioni 3,8).

14. San Tommaso dal canto suo dice che “come in campo speculativo l'errore circa i principi noti per natura è quello più grave e vergognoso; così in campo pratico agire contro ciò che è determinato per natura è il peccato più grave e più nefando. E poiché nel vizio contro natura si trasgredisce ciò che è determinato per natura nell'uso dei piaceri venerei, ne segue che questo è il peccato più grave in tale materia” (Somma teologica, II-II, 154, 12).

Ti ringrazio per il ricordo nella preghiera, lo contraccambio di cuore e ti benedico. 
Padre Angelo




Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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20/05/2016 19:54
 
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Nell'Omelia a santa Marta del 20 maggio 2016, il santo Padre Francesco ha espresso parole forti ma che riteniamo doverose riportare e meditare, dal momento che si sono sollevati alcuni scudi, come una sorta di difesa a ciò che si pensa di questo pontefice, mentre invece ciò che ha espresso, è pienamente corretto e silenziato dai Media.

La scena che domina spesso molte pagine dei Vangeli è quella in cui, farisei e dottori della legge, cercano di far cadere Gesù per prenderlo in contropiede, minarne l’autorità e il credito di cui gode fra la gente. Una delle tante, riportata dal Vangelo del giorno, è quella che i farisei gli tendono domandandogli se sia lecito ripudiare la propria moglie.

Non ci soffermiamo sul concetto della "trappola casistica" fin troppo abusata, e neppure sulla questione del "popolo" che intende il Papa anche perché, a riguardo di una più oscura "teologia del popolo", preferiamo quella immagine del Vangelo in cui Gesù esprime la Sua "compassione": “vide una grande folla, ebbe compassione di loro... e si mise ad insegnare loro molte cose” (Mc 6,34). Spesso il Papa tende a far pensare che sia la Chiesa a dover "imparare" dal popolo, ma il Vangelo dice esattamente l'opposto.

Discendendo dal seno del Padre, e incarnatosi nel grembo della Vergine Maria, Gesù non si fa semplicemente Uomo, ma incontra l’umanità, un’umanità fortemente sofferente a causa del Peccato Originale, e la vede: come pecore che non hanno pastore, gregge non più gregge, sbandato, destinato a passanti affamati e a lupi rapaci. “Ebbe compassione di loro”, scrive Marco. Il Verbo Divino tocca il luogo caratteristico della compassione: le viscere materne dell'umanità, un sentimento incomprensibile ai maschi, e se nel gruppo dei "maschi" ci mettiamo pure la casta sacerdotale che governava comunità e coscienze, il quadro diventa più completo! Da qui possiamo anche comprendere quando il santo Padre denuncia certo clericalismo di oggi.

In questo scenario Gesù non è spettatore, ma incarnato nella storia degli uomini, prova compassione che nasce da un sentimento (andare incontro all'uomo) ma non si riduce ad esso, bensì a qualcosa di molto più diretto: “Si mise ad insegnare”.

Sì, noi rimaniamo stupiti: insegnare? Non sarebbe stato meglio, o più semplice accontentare tutti... e via a dare buoni consigli o a rimboccarsi le maniche nell'attivismo sociale?

La com-passione non significa sentimentalismo, è un termine composto che significa com-patire che a sua volta significa "partecipare dell'altrui patimento". Gesù è Colui che, vero uomo e vero Dio, entra nel tempo per portare fuori gli uomini da questo patimento, viene a portarci fuori dalle logiche del mondo e dal mondo stesso. Ricordiamo: «Il mio regno non è di questo mondo... il mio regno non è di quaggiù» (Gv.18,36).

Infine va compreso che all'epoca dei fatti l'insegnamento non era certo come quello che intendeva il Cristo, ossia arrivare a toccare il cuore dell'uomo, entrare dentro i nostri cuori per commuoverli e dunque istruirli e dimorarvi dentro. L'insegnamento era imposizione della Legge e non c'era contraddittorio tra il popolo e i "maestri", le discussioni le facevano i maestri fra di loro, mentre il popolo subiva in silenzio. Il rapporto con Dio era distante e sbarrato dai sacerdoti che erano i tramiti. Con l'avvento del Messia Gesù lo scenario cambia. La rivoluzione che Gesù porta non è a livello terreno, ma nelle anime, nelle coscienze, in questo rapporto con Dio che diventa un "Tu per tu".

E per portarci fuori da questo mondo e dalla sua logica, Gesù si espone in prima Persona, offre se stesso fino allo scandalo della morte di Croce, ma non solo, nel vedere queste folle, non si limita a consolarle, ma comprende bene, sa bene, che non conoscendo ancora il Messia, non sanno la Verità, non conoscono la Via da prendere, non sanno nulla della Vita vera, non lo hanno ancora incontrato. Ecco perché Gesù "si mise ad insegnare molte cose". Prima ancora di compiere i miracoli, Gesù insegna.

 

Ma perchè questa insistenza? Ecco che ritorniamo alle parole del Papa nell'omelia.

La Legge di Mosè, a causa della "durezza dei cuori", aveva modificato la Legge originale di Dio e Dio lo aveva permesso perchè eravamo ancora immaturi di comprendere, e perchè nessuno avrebbe potuto insegnare con l'autorità di Dio come dimostrò Gesù quando scandalizzò perché arrivò a rimettere i peccati: «Ti sono rimessi i tuoi peccati!» (Mc 2,5).

Combattere la fame, la miseria, le malattie è molto importante, è bello ed è cristiano, anche i non cristiani possono riuscirci con la buona ed onestà volontà, ma significa combattere soltanto le conseguenze e non ancora la causa del male. Lottare contro le conseguenze del peccato, che è il male, è come amministrare un anestetico che toglie un poco il dolore, ma non cancella la malattia, la quale, presto o tardi, riapparirà più devastante, come sta accadendo in questo nostro tempo. Il cancro di tutte le società, l'origine di ogni male è il peccato. Gesù viene a sradicarlo e, nel farlo offrendo Se stesso, non vuole che rimaniamo nell'ignoranza la quale è anche una delle cause delle bruttezze che avvengono nelle società.

La Legge di Mosè, dunque, prevedeva la pena di morte a coloro che non osservavano i Comandamenti divini e il ripudio alla donna (non al marito) che commetteva adulterio, spesso anche con la lapidazione. La Vergine Santissima, Maria, rischiò anch'Essa di essere ripudiata: Ecco come avvenne la nascita di Gesù Cristo: sua madre Maria, essendo promessa sposa di Giuseppe, prima che andassero a vivere insieme si trovò incinta per opera dello Spirito Santo.Giuseppe suo sposo, che era giusto e non voleva ripudiarla, decise di licenziarla in segreto.  Mentre però stava pensando a queste cose, ecco che gli apparve in sogno un angelo del Signore e gli disse: «Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa, perché quel che è generato in lei viene dallo Spirito Santo.  Essa partorirà un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati» (Mt.1,18-21)

Giuseppe, uomo giusto, corretto nella coscienza, sapeva che Maria le era stata fedele, ma il dubbio lo mosse non verso la Sposa, ma a cosa avrebbe detto la gente, come avrebbero reagito i dottori della Legge di Mosè. Ripudiarla "in segreto" significava appunto di non farlo sapere a nessuno proprio per evitare che Maria potesse correre il rischio di venire ripudiata e  pure lapidata. Questo è lo scenario in cui si muovono i farisei, anzi, la tensione e la paura che essi avevano seminato usando, a torto o a ragione, la Legge. In questo scenario e sull'insegnamento di Gesù, Papa Francesco non sta ribaltando la priorità fra conversione, peccato e misericordia, ma sta sottolineando le mosse di Gesù.

Alla base del suo discorso c'è, appunto, la Legge di Mosè che puniva con la morte chi non osservava i Comandamenti. I Farisei volevano mantenere la Legge di Mosè perchè gli faceva comodo e potevano spadroneggiare, e l'uso di questa legge così interpretata alla lettera dai dottori della legge, penalizzava soprattutto le donne e i più poveri; non puniva, quasi mai, gli uomini, ossia non li puniva per questione di sesso o tradimenti, gli uomini venivano lapidati se bestemmiavano Dio, le donne solitamente per questioni di adulterio.

Gesù non s'immischia nelle diatribe umane, e quando cercano di incastrarlo, ha sempre una risposta che urta certi ascoltatori. Lo accusano di voler cambiare la Legge di Mosè, ma Egli risponde: "Non pensate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non son venuto per abolire, ma per dare compimento.."(Mt.7,17-20). E il compimento era Lui, l'avvento del Messia.

Cercano di incastrarlo sulla questione del matrimonio, la Legge prevedeva il ripudio, ma Gesù dà loro una risposta che non si aspettavano, non pone la questione "uomo sì, e donna no" ma davanti a Dio li mette sulla stessa dignità, la donna ha lo stesso diritto del marito non per ripudiare, ma per amare e conservare l'indissolubilità del matrimonio (Mt.19,1-30), la sua carne è una carne sola con il marito legittimo e perciò, il marito non ha più alcun diritto di ripudiare la moglie, subentra la logica del perdono e del perdonare. Il Matrimonio esce così  fuori da ogni discussione arbitraria, da quel contesto della "legge" del ripudio, per ritornare a quella unione indissolubile  creata da Dio all'origine, ecc.. ecc...

Ecco l'indissolubilità, non più oggetto di ricatto o discussioni, o lapidazioni, ma un fatto concreto che insito nelle coscienze rette degli uomini è portato a compimento da Gesù e lo fa lui stesso "sposando la Chiesa", l'unione indissolubile è portata allo scoperto ma non come un peso, bensì come sviluppo naturale coniugale dell'uomo e della donna: la vera felicità è la stabilità dell'unica unione originale  benedetta da Dio. Per questo Gesù la insegna e invia la Chiesa, Sua Sposa, ad istruire sul compimento della Legge.

 

Infine, nelle parole del Papa, sulla questione dell'adultera, si sottolinea che Gesù non ha mai condannato nessuno, e Lui stesso dice che non è venuto a condannare, ma per salvare.... «Se qualcuno ascolta le mie parole e non le osserva, io non lo condanno; perché non sono venuto per condannare il mondo, ma per salvare il mondo. Chi mi respinge e non accoglie le mie parole, ha chi lo condanna: la parola che ho annunziato lo condannerà nell'ultimo giorno.....» (Gv.12,47-48), la strategia di Gesù è semplice: la compassione, l'accogliere i peccatori, il perdonare, il coinvolgere - dopo - il perdonato alla comprensione della grazia ricevuta.

In questo senso e non altro il Papa sta sottolineando come, invece, i farisei tentavano di patteggiare la verità con Cristo: comprensione per i peccatori sì, Gesù conosce le nostre debolezze, per questo è venuto nel mondo, ma non per negoziare la verità o per giustificare il peccato. La stessa conclusione di quella parte del discorso riporta integrale la scena dell'adultera con le parole: va e non peccare più...

Ora, se io peccatore, comprendo la misericordia Dio, quanto maggiormente comprenderò che non devo peccare più? Questa è la lezione dell'adultera convertita.... ciò che la muove è quella compassione e misericordia che Gesù le dimostra, quella parola che invece di condannarla come diceva la Legge di Mosè, la fa sentire perdonata. Questi sono i soggetti degni della compassione di Gesù, coloro che come l'adultera che ha compreso il suo stato di peccatrice, attende la sua fine, non ha più speranza perché sa di aver sbagliato. Ed ecco allora l'incontro con la Speranza incarnata che perdona, risana.

Gesù non solo non la giudica, ma vedendola e sapendola pentita e pure umiliata e mortificata, la tira fuori da quella situazione senza farle alcun processo, una novità unica per quel tempo, ma il discorso si chiude con un quel monito chiaro ed incisivo: "va e non peccare più" (Gv.8,11), e sappiamo poi dalla Tradizione che quella Donna entrò nel gruppo delle Donne alla sequela di Gesù, con Maria, la Madre. Il vero pentito che sa e sente di essere stato perdonato, si incammina nel discepolato del suo Salvatore Gesù Cristo.

Così come accade lo stesso per un paralitico guarito, un episodio un poco trascurato, al quale Gesù dice: «Ecco che sei guarito; non peccare più, perché non ti abbia ad accadere qualcosa di peggio» (Gv.5,14)

E' questa la barriera più grande che Gesù è venuto ad abbattere, il muro dell'omertà verso il peccato, dal quale dipende tutto il resto, dipendono i nostri rapporti sia familiari quanto sociali e culturali.

“Ma Gesù è tanto misericordioso, è tanto grande, che mai, mai, mai chiude la porta ai peccatori”. Dunque, sottolinea il santo Padre Francesco, queste sono le “due cose che Gesù ci insegna: la verità e la comprensione”, ciò che i “teologi illuminati” non riescono a fare, perché chiusi nella trappola “dell’equazione matematica” del “Si può? Non si può?” e quindi “incapaci sia di orizzonti grandi sia di amore” per la debolezza umana. Basti guardare, conclude il Papa, la “delicatezza” con cui Gesù tratta l’adultera sul punto di essere lapidata:“Neanch'io ti condanno; va e d'ora in poi non peccare più”.

Perché... se pecchi ancora e non ti penti, o arrivi a giustificare il tuo peccare, non sarò io a condannarti, ci ricorda Gesù nelle parole che abbiamo riportato nelle nostre riflessioni, ma sarai tu stesso ad escluderti dalla salvezza. Anche per questo ha istituito il Sacramento della Riconciliazione, o Penitenza: «Ricevete lo Spirito Santo; a chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi» (Gv.20,23).

Ma in quel rimettere non c'è, appunto, la gestione arbitraria del Sacramento, la rimessione non è lasciata al libero arbitrio del sacerdote, ma tutto rientra in quella scala di valori portata dal Cristo di cui parla il Papa: Gesù distingue sempre tra la verità e la “debolezza umana”, “senza giri di parole”... qualcosa si può fare: il perdono, la comprensione (della debolezza del peccatore, non del peccato), l’accompagnamento, l’integrazione, il discernimento di questi casi… (chi è recidivo nel peccare e vuole giustificare il proprio peccato, da chi non comprende e non sa di vivere in peccato) sempre… ma la verità non si vende mai!

Sia lodato Gesù Cristo




Un sacerdote risponde

Due domande sul peccato e una su come si possa togliere una maledizione o maleficio

Quesito

Caro Padre Angelo,
Sono ammirato dalla sua profonda conoscenza! Le scrivo per porle alcuni quesiti un po' diversi tra loro ma entrambi importanti per me. Il primo riguarda la definizione di peccato grave contenuta nella Reconciliatio et Paenitentia, dove si dice che per alcuni peccati, data la gravità della materia, si richiede solo sufficiente consapevolezza e libertà (e non piena): come interpretare questa posizione? 
La seconda domanda: esiste una tripartizione di peccati, cioè veniali, gravi, e "gravissimi"? E se sì, qual è la materia di questi peccati "gravissimi", dato che la definizione che si trova nel documento (atti gravemente illeciti a prescindere dalle circostanze) sembra applicabile a molti di quei peccati per cui si parla di sufficiente consapevolezza e consenso?
La seconda domanda è la seguente: se una persona maledice un oggetto o una persona (nel senso tecnico di invocare il diavolo perché ne prenda possesso), c'è modo di sapere se tale atto ha avuto reale effetto o no? In che modo si può concretamente riparare ("s-maledire")? Nel caso di un oggetto di uso comune (ad esempio, una televisione o un computer o un file del computer), è moralmente lecito usarlo/condividerlo/regalarlo? 
La ringrazio per la sua attenzione e aiuto.
Francesco


Risposta del sacerdote

Caro Francesco,
1. le due espressioni “piena avvertenza della mente” e “sufficiente consapevolezza e libertà” sembrano non equivalersi al punto che tu domandi: è richiesta sufficiente avvertenza oppure piena avvertenza?
A dire il vero Giovanni Paolo II non usa la parola avvertenza, ma consapevolezza.
È vero che questi due termini nel nostro vocabolario sono abbastanza simili.
Tuttavia qui hanno ognuno un significato proprio.

2. Quando in teologia morale si dice che il peccato per essere imputabile ad una persona deve procedere da pienaavvertenza si vuole dire che questa avvertenza deve essere psicologica e morale.
È psicologica quando uno sa quello che fa ed è padrone del proprio atto così da poterlo sospendere come vuole.
È morale quando si è consapevoli della bontà o della malizia di quell’azione. 
Piena dunque si riferisce all’integrità dell’avvertenza.
È sufficiente che manchi uno dei due elementi perché l’avvertenza non sia piena.

3. “Sufficiente consapevolezza” si riferisce invece all’intensità o alla larghezza dell’avvertenza.
Ad esempio: uno ha piena avvertenza dell’omicidio che sta per compiere perché è padrone del proprio atto e perché sa che è un’azione malvagia. E tuttavia lo compie ugualmente perché vuole vendicarsi o dare una lezione.
Ma pur avendo questa duplice avvertenza, potrebbe non avere la consapevolezza piena del male che fa perché non pensa alle conseguenze dell’omicidio, alla condizione in cui lascia i figli, i famigliari, i dipendenti della vittima.
In riferimento a questo Giovanni Paolo II parla di sufficiente consapevolezza.
Perché gli sia pienamente imputabile non si richiede che ne soppesi tutte le conseguenze. Queste sono implicite nell’atto che compie.
Tornando all’esempio portato: è sufficiente che sappia che è un omicidio. 
Il resto è implicito.

4. Vengo ora all’altra domanda e cioè se esista una tripartizione del peccato: veniale, grave e gravissimo.
Qui bisogna intendersi bene perché la tripartizione proposta in passato da alcuni non era tra peccato veniale, grave e gravissimo, ma tra peccato veniale, grave e mortale.
Ecco che cosa scrive Giovanni Paolo II in Reconciliatio et Poenitentia: “Durante l’assemblea sinodale è stata proposta da alcuni padri una distinzione tripartita fra i peccati, che sarebbero da classificare come venialigravi, e mortali. La tripartizione potrebbe mettere in luce il fatto che fra i peccati gravi esiste una gradazione. Ma resta sempre vero che la distinzione essenziale e decisiva è fra peccato che distrugge la carità e peccato che non uccide la vita soprannaturale: fra la vita e la morte non si dà via di mezzo...
Perciò, il peccato grave si identifica praticamente, nella dottrina e nell’azione pastorale della Chiesa, col peccato mortale” (RP 17).
Il peccato mortale dunque s’identifica col peccato grave.
Ma è sottinteso che tra i peccati gravi non tutti sono della medesima gravità: un furto, ad esempio, non è equiparabile ad un omicidio, né una fornicazione ad una violenza carnale.
I peccati cosidetti gravissimi sono una sottospecie dei peccati mortali.
Pertanto non esiste una tripartizione del peccato, ma una sua duplice distinzioneveniale e mortale.
All’interno dei veniali e dei mortali non tutti sono della medesima intensità.

5. Per il terzo quesito è necessario distinguere tra maledizione fatta come imprecazione e la maledizione intesa come maleficio.
Nel primo caso, quello dell’imprecazione, non si produce nulla.
Le nostre parole sono solo parole e, nel caso dell’esempio fatto, manifestano il disappunto che si prova nei confronti delle cose che non funzionano.
Nel secondo caso invece si parla di maleficio e cioè di una richiesta diretta o indiretta fatta al mondo infernale perché nuoccia a cose o a persone.
Il maleficio si toglie con un’azione che gli è contraria e che lo allontana.
Questa azione è la benedizione.

6. Va detto ancora che il maleficio non colpisce inequivocabilmente.
Può colpire solo chi non è protetto dalla grazia, che è uno scudo, una corazza, come dice la Sacra Scrittura. 
Se una persona vive in grazia può osservare quanto siano vere le parole del Salmo 91: “Mille cadranno al tuo fianco e diecimila alla tua destra, ma nulla ti potrà colpire.
Basterà che tu apra gli occhi e vedrai la ricompensa dei malvagi!” (Sal 91,7-8).
Come vedi, il maleficio fatto alle persone che vivono in grazia di Dio non solo non può fare loro alcun male, ma ricade su chi lo compie nel medesimo modo in cui una freccia che picchia contro uno scudo rimbalza indietro e può nuocere a chi l’ha lanciata.

Ti ringrazio dei quesiti che interesseranno a più d’una persona, ti ricordo al Signore e ti benedico. 
Padre Angelo



Un sacerdote risponde

Come uno stupido mi metto su chat erotiche e poi dico al confessore che ho compiuti atti impuri da solo cercandomi le occasioni; le chiedo se vada bene confessarsi così

Quesito

Carissimo padre Angelo.
Oggi le occasioni prossime di peccato, con internet, si sono centuplicate. Talvolta, quando cedo intimamente alla sensualità, come uno stupido mi metto su chat erotiche e immagini lei le conversazioni peccaminose e l'istigazione ad atti disdicevoli che ne vengono fuori! A ciò fa seguito l'atto solitario gravemente peccaminoso.
Quando vado a confessarmi mi accuso in questi termini: "Ho peccato gravemente da solo contro la purezza; invece di fuggire le occasioni sono invece andato a cercarmele".
Mi viene lo scrupolo però di non aver confessato in modo completo i miei peccati: debbo essere più esplicito, o va bene così?
Grazie


Risposta del sacerdote

Carissimo, 
1. è troppo poco quello che dici in confessione.
L’espressione “invece di fuggire le occasioni sono invece andato a cercarmele" è troppo generica.
Il sacerdote non sa di che cosa si tratta.
Dal momento che il sacramento della Confessione ha anche un carattere terapeutico o medicinale, quali risorse adatte ai singoli casi può proporre il sacerdote se non conosce le malattie spirituali da cui è colpita una persona?
Se tu andassi dal medico e gli dicessi: ho preso una bronchite ma sono andato a cercarmela, potrebbe pensare che sei andato in un posto dove c’era un gran freddo. È stato un incidente che certamente non vuoi che si ripeta. Ti darà allora il farmaco che in breve ti riporta alla normalità.
Ma se tu dicendo “sono andato a cercarmela” sottintendi  che anche d’inverno vuoi stare con la finestra aperta, allora ti dirà: guarda che se continui così finisci male e le medicine non servono a niente.
Così è per la correttezza delle confessioni.

2. Tanto più che l’occasione alla quale ti riferisci è già di suo un peccato grave.
Spesso succede invece che le occasioni siano in se stesse eventi buoni, ma noi, a motivo delle nostre cattive inclinazioni, le trasformiamo in occasioni prossime di peccato.
Ad esempio: mettere del vino a tavola non è di per sé un’azione cattiva. Anzi, un pò di vino aiuta la digestione.
Ma per qualcuno questo fatto in se stesso buono può diventare un’occasione prossima di peccato.
Questo discorso non vale invece per le “chat erotiche, le conversazioni peccaminose e l'istigazione ad atti disdicevoli” perché si tratta di atti intrinsecamente peccaminosi, che depauperano e depravano una persona e che sono gravemente offensivi del disegno santificante di Dio sulla sessualità umana.
Come vedi, quelle che tu chiami “occasioni cercate” sono in realtà una serie di peccati gravi.

3. Mi parli di “chat erotiche”. E gia questo è un peccato grave, dal momento che Nostro Signore ha detto: “Ma io vi dico: chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel proprio cuore” (Mt 5,28). 
Anche “le conversazioni peccaminose” sono un peccato grave. San Paolo è molto chiaro: “Di fornicazione e di ogni specie di impurità o di cupidigia neppure si parli fra voi - come deve essere tra santi - né di volgarità, insulsaggini, trivialità, che sono cose sconvenienti. Piuttosto rendete grazie! Perché, sappiatelo bene, nessun fornicatore, o impuro, o avaro - cioè nessun idolatra - ha in eredità il regno di Cristo e di Dio. Nessuno vi inganni con parole vuote: per queste cose infatti l'ira di Dio viene sopra coloro che gli disobbediscono” (Ef 5,3-6).
Vi è infine “l'istigazione ad atti disdicevoli” e cioè a peccati gravi. E questo è scandalo. Gesù ha detto: “Guai al mondo per gli scandali! È inevitabile che vengano scandali, ma guai all'uomo a causa del quale viene lo scandalo!”  (Mt 18,7). 
Come vedi, tutti questi peccati nelle tue confessioni li taci. E il sacerdote passa oltre perché non è minimamente a conoscenza dello stato grave in cui volontariamente ti metti.
Diversamente ti ripeterebbe le parole che Nostro Signore ha detto per chi pecca anche solo col guardare: “Se il tuo occhio destro ti è motivo di scandalo, cavalo e gettalo via da te: ti conviene infatti perdere una delle tue membra, piuttosto che tutto il tuo corpo venga gettato nella Geènna” (Mt 5,29) oppure quelle per chi istiga altri al peccato.

4. Dalla tua confessione sembra che tu abbia compiuto un solo peccato grave: gli atti impuri su te stesso.
E questo non è vero.
Allora capisci bene che non si è trattato di una vera e sincera confessione.
Sarebbe stato più semplice che tu, senza giri di parole, avessi detto al sacerdote le scarne parole che hai scritto a me: “mi sono messo su chat erotiche, ho fatto conversazioni peccaminose e ho istigato altri a compiere peccati gravi”. Ci avresti messo 7- 8 secondi.
E avresti poi aggiunto: di conseguenza ho anche compiuto atti impuri su me stesso.

5. Il mio consiglio allora è questo: la prossima volta che ti confesserai, e mi auguro  presto, dirai che nelle precedenti confessioni per vergogna non hai detto che hai fatto “chat erotiche, conversazioni peccaminose e hai istigato altri a compiere atti impuri”. E che questo si è ripetuto più volte e che l’hai velato con giri di parole.

6. Ti ringrazio per avermi dato l’occasione di precisare tutte queste cose perché la tua confessione e quella di tanti altri visitatori sia vera, sincera, porti frutto e serenità.
Diversamente ci si illude di essersi confessati e non si rimane sereni, come non lo sei rimasto tu.

Ti auguro una proficua conclusione della Quaresima, ti ricordo volentieri al Signore  e ti benedico.
Padre Angelo







[Modificato da Caterina63 08/06/2016 20:30]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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15/06/2016 23:07
 
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Non andare a Messa la Domenica è davvero così grave?


 


Spesso si sente dire dai preti che non andare a Messa la domenica è peccato mortale. Ma come si può paragonare un peccato del genere con l’omicidio o l’adulterio o la truffa a danno dei poveri che sembrano cose assai più gravi del non andare alla Messa che può rientrare, a seconda dei casi, nel peccato di superficialità, di ignoranza o di dimenticanza e che in fondo non lede la fede né il comportamento morale del cristiano?


Santa Messa


Come lei ben sa, andare a Messa la domenica rientra nel Terzo Comandamento del Decalogo: «Ricordati di santificare le feste».


Certamente uno può avere tanti motivi per non andare alla Messa domenicale, e forse tra questi possiamo mettere anche, come dice lei, la sbadataggine o la dimenticanza, ma è certo che un vero cristiano, cioè uno che crede le cose che ha insegnato Gesù Cristo, non si dimentica di Lui, del suo Sacrificio, della sua opera di Salvezza che vive e persiste integra ed efficace nel sacramento dell’Eucaristia che si celebra in ogni Santa Messa.


Che la Chiesa abbia tratto un precetto formale dal divino Comandamento è stato necessario. Non si può amare Dio solo a parole o solo nel servizio e nell’esercizio della carità sociale, come si pensa oggi: bisogna amare anche Dio per Se stesso, perché è Dio e perché ci ha detto, nella sua Seconda Persona, cioè Gesù Cristo, che è presente nel Santissimo Sacramento dell’Eucaristia.


Ora il modo più semplice, seguendo la tradizione biblica che santificava il sabato, di rendere un I culto minimo, ma almeno sufficiente a Dio è quello di santificare la domenica, cioè il giorno della Risurrezione del Signore, con la partecipazione alla Santa Messa.


Il Santo Padre Giovanni Paolo II ha sottolineato caldamente questo aspetto dell’appartenenza alla Fede cristiana nella Lettera Apostolica Dies Domini del 31 maggio 1998: «Sembra più che mai necessario ricuperare le motivazioni dottrinali profonde che stanno alla base del precetto ecclesiale, perché a tutti i fedeli risulti ben chiaro il valore irrinunciabile della domenica nella vita cristiana.


Così facendo, ci muoviamo sulle tracce della perenne tradizione della Chiesa, vigorosamente richiamata dal Concilio Vaticano II quando ha insegnato che, nel giorno della domenica, “i fedeli devono riunirsi in assemblea perché, ascoltando la parola di Dio e partecipando all’Eucaristia, facciano memoria della Passione, della Risurrezione e della Gloria del Signore Gesù e rendano grazie a Dio che li ha rigenerati per una speranza viva per mezzo della Risurrezione di Gesù Cristo dai morti (cf. 1Pt 1,3)” (Se 106)» (n. 6).


Lei dice che non andare a Messa non lede la fede, né il comportamento morale del cristiano. Evidentemente lei ha perso il senso del valore profondo, mistico, spirituale, soprannaturale della Santa Messa.


È proprio nella Santa Messa, e solo nella Santa Messa, a meno di un dono straordinario ed imprevisto dall’alto, che il cristiano rinnova e rafforza la sua fede e la sua virtù morale e se gli capita, per propria colpa, di non andarvi, perde una grazia specialissima ed unica di crescere nella fede e di perfezionarsi nella virtù. “Ogni lasciata è persa”, dice il vecchio proverbio.


Dunque la Messa non è una semplice manifestazione comune, qui c’è traccia di antiche ideologie politiche che Si servivano di incontri o manifestazioni pubbliche per esprimere il loro credo storico-sociale, la Messa è mistero soprannaturale, divino, istituito da Cristo stesso per nostra redenzione e non c’è surrogato umano che , possa sostituirlo, né chimico, né biologico, né psicologico, né sociale.


La Messa è un “unicum” al quale il cristiano dovrebbe tendere come il pesce all’acqua e ogni vivente all’ossigeno. Se uno vive la realtà della fede non potrebbe più vivere senza la Messa. Il languore e la tiepidezza dipendono, questo sì, dal peccato originale, attuale, abituale, ripetuto e alla fine incancrenito in concezioni totalmente erronee che mettono al primo posto i peccati contro l’uomo e al secondo i peccati contro Dio.


Se è vero che è grave commettere l’omicidio, l’adulterio e l’oppressione dei poveri, tanto più è vero che è grave dimenticarsi di Dio che è il Bene, tutto il Bene, il sommo Bene e l’origine di ogni altro bene.


Dal rinnovato amore a Dio si riusciranno a vivere anche gli altri Comandamenti che tutelano l’amore del prossimo. Viceversa se non si ama Dio, anche l’amore del prossimo subirà la stessa fine, cioè la dimenticanza e l’oblio.


 


Redazione Papaboys (Fonte www.stellamatutina.eu)


  


Durante la giornata in certi momenti mi sento (non so come spiegarlo) attratto verso il male e non verso il bene

Quesito

Caro Padre Angelo,
sono sempre io Lorenzo. 
Mi dispiace se la disturbo ancora una volta ma volevo delle delucidazioni a proposito di questi miei dubbi. 
Uno è questo: durante la giornata in certi momenti mi sento (non so come spiegarlo) attratto verso il male e non verso il bene. 
Sento che la mia volontà sia inclinata verso il male e che non riesca a seguire il Signore Gesù. 
In questi momenti mi capita di compiacermi (non del tutto ma in parte) delle le persone bestemmiano e peccano. 
Dopo un pò mi scompare. 
Volevo chiederle cosa significa tutto questo. 
Preghi per me per sapere quale strada il Signore mi indicherà. 
Cordialmente la saluto e le auguro ogni bene. 
Lorenzo


Risposta del sacerdote

Caro Lorenzo,
1. in noi, dopo il peccato originale, esiste una reale inclinazione al male.
È stato Gian Giacomo Rousseau a dire che l’uomo è nativamente buono e viene inclinato al male dagli altri stando in società.

2. La Sacra Scrittura ricorda che Adamo ed Eva prima del peccato originale vivevano in perfetta armonia. 
Dopo il peccato sono iniziate le accuse e i disaccordi.
Adamo incolpa Eva per il peccato originale.
Inoltre tende a dominare la sua sposa, mentre essa sente giusta attrazione verso di lui.

3. L’inclinazione al male la ereditiamo tutti.
San Giovanni (1 Gv 2,16) nella sua prima lettera parla di una triplice concupiscenza: quella degli occhi, nella quale i santi Padri vi hanno visto l’avidità delle ricchezze, la concupiscenza della carne nei piaceri legati al mangiare, al bere e alla vita affettiva.
Vi è poi una terza concupiscenza alla quale dà il nome di superbia della mente.

4. L’inclinazione al male viene poi rafforzata dai peccati personali, i quali passano come atto, ma rimangono come reato, e cioè come dipendenza.
Quando questi non vengono emendati e anzi sono ripetuti, sorgono in noi le catene dei vizi, che trovano alimento nelle tare ereditarie e nelle tentazioni che giungono dall’esterno.

5. Per queste catene, l’uomo sperimenta nella propria vita quanto diceva S. Paolo: “Io non riesco a capire neppure ciò che faccio. Infatti non faccio quello che voglio, ma quello che detesto” (Rm 7,15), e “Trovo questa legge in me: quando voglio fare il bene, il male è alla mia portata” (Rm 8,21). 
Anche Ovidio aveva detto qualcosa di simile quando scrisse: “Video meliora, proboque, peiora sequor” (vedo il bene, lo approvo, ma faccio il peggio.

6. Questa incapacità di uscire con le proprie forze dal peccato aveva portato un pensatore del nostro tempo, M. Blondel, a dire che l’uomo da solo non può essere costante nel bene e che, per vivere secondo natura, ha bisogno di una forza soprannaturale.

7. Non possiamo dimenticare che su queste inclinazioni al male punta molto il diavolo il quale, come ricorda San è Pietro è il nostro nemico numero uno:  “Il vostro nemico, il diavolo, come leone ruggente va in giro cercando chi divorare. Resistetegli saldi nella fede, sapendo che le medesime sofferenze sono imposte ai vostri fratelli sparsi per il mondo” (1 Pt 5,8-9).
Quella certa compiacenza per i peccati altrui penso che venga soprattutto di qui. È la tentazione, alla quale dismo chiamati a resistere e che dobbiamo vincere.

8. Giovanni Paolo II ha descritto tutto questo in Veritatis splendor (VS) con le seguenti parole: “Ragione ed esperienza dicono non solo la debolezza della libertà umana, ma anche il suo dramma. 
L’uomo scopre che la sua libertà è misteriosamente inclinata a tradire questa apertura al Vero e al Bene e che troppo spesso, di fatto, egli preferisce scegliere beni finiti, limitati ed effimeri.
Ancor più, dentro gli errori e le scelte negative, l’uomo avverte l’origine di una ribellione radicale, che lo porta a rifiutare la Verità e il Bene per erigersi a principio assoluto di se stesso... 
La libertà, quindi, ha bisogno di essere liberata. Cristo ne è il liberatore: egli ‘ci ha liberati perché restassimo liberi’ (Gal 5,1)” (VS 86).

9. Come si rimedia alle inclinazioni al male?
Attraverso l’acquisizione delle virtù morali che sono delle forze o strumenti con cui l’uomo, con la grazia di Dio, cerca di custodire e incrementare il proprio orientamento al bene. 
Questi strumenti consentono all’uomo di compiere il proprio dovere in maniera ferma (firmiter), facile (expedite) e piacevole (delectabiliter).
La forza conferita dalle virtù non crea alcuna necessità o compulsività.
È una forza che non diminuisce la libertà e non sfocia nell’abitudinarietà.
È una forza che rimane in qualche modo all’interno della libertà stessa, facendola diventare più grande.

Ti auguro di crescere incessantemente nell’acquisizione delle virtù, con l’aiuto della grazia di Dio.
Così sarai libero dalle catene del peccato e potrai volare in alto, come desideri e come il Signore vuole.
Ti assicuro anche per questo il mio ricordo nella preghiera e ti benedico. 
Padre Angelo



[Modificato da Caterina63 18/06/2016 15:03]
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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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24/06/2016 21:44
 
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L’abbraccio del Padre


  in L'Eterno  da 

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…in fondo, ciò che dobbiamo chiedere a Dio, prima di inginocchiarci davanti al prete per ricevere il Sacramento della Penitenza, è il dono di un perfetto dolore…



Un tentativo di fare chiarezza sul Sacramento della Penitenza e sul ministero di Riconciliazione. Sul peccato e la remissione, il pentimento e la conversione. Partendo da una lettura profonda, attenta ai dettagli che sfuggono ai più, della mirabile parabola del Figliol Prodigo


 


padre Francesco Solazzodi p. Francesco Solazzo, Passionista

Di perdono, chiaramente, ha senso parlare dopo che una persona ha commesso un torto verso un’altra persona. Questo torto separa le due persone e le allontana l’una dall’altra, come se innalzasse un muro fra esse. Il male crea incomunicabilità, proprio nel senso di ciò che è il contrario della comunione, crea dunque discordia e inimicizia.


Rispetto a questo moto di allontanamento, il perdono è il cammino inverso: abbatte quel muro che separa e fa ritrovare l’amicizia. A buon titolo, allora, possiamo ritenere la riconciliazione come frutto del perdono.


Questo cammino di riconciliazione, però, non può essere percorso in solitaria, perché non ha un unico verso: sono, sempre e necessariamente, coinvolte tutte e due le parti in causa. Se da una parte c’è chi chiede perdono, ma dall’altra non c’è chi lo offre, esso non si perfeziona e, dunque, non c’è riconciliazione. Simmetricamente, se da una parte c’è chi offre il perdono ma dall’altra non c’è chi lo chiede, parimenti non c’è riconciliazione. La riconciliazione, dunque, esige la reciprocità; cioè che chi ha sbagliato riconosca l’errore e si umili a chiedere perdono e che chi ha subito il torto ugualmente si umili a deporre ogni intenzione di vendetta e accondiscenda alla richiesta di perdono.


Quanto affermo, non toglie che rimanga un’azione moralmente meritoria il fatto di offrire il perdono da parte della persona offesa o il chiederlo da parte del colpevole: non è questo il centro del nostro discorso. Qui mi preme sottolineare quanto sia essenziale la reciprocità affinché vi sia vera riconciliazione.



Riconciliazione fra Dio e l’uomo



Se il perdono fra uomini richiede per il suo perfezionamento la reciprocità, questo vale anche per quanto riguarda il rapporto fra Dio e il peccatore. Se Dio non ci offrisse il suo perdono sarebbero vane tutte le nostre suppliche e le nostre penitenze. Parimenti, quando non chiediamo perdono di cuore a Dio, rendiamo vana la sua offerta di perdono.


Noi ora sappiamo che Gesù Cristo, con il Sacrificio della sua Croce, ci ha dato la certezza assoluta che Dio perdona tutti i nostri peccati: se dunque possiamo essere certi di questo, allora ne consegue che ciò che ci viene richiesto perché possiamo riconciliarci con Dio è il nostro pentimento. Ogni qual volta che non c’è riconciliazione significa che vi è una mancanza nostra, e solo nostra.



La sicurezza del perdono non prescinde dal confessionale



L’assoluzione del sacerdote rende attuale per noi la sentenza che Cristo ha emesso a nostro favore sulla Croce.
L’ASSOLUZIONE DEL SACERDOTE RENDE ATTUALE PER NOI LA SENTENZA CHE CRISTO HA EMESSO A NOSTRO FAVORE SULLA CROCE.

Se abbiamo la certezza assoluta del perdono di Dio, allora si potrà obiettare che è inutile il Sacramento della Penitenza: a cosa può mai servire confessare i propri peccati e ricevere l’assoluzione impartita dal sacerdote? non basta volersi pentire col cuore e con la volontà? Inutile dire che si tratta di un grave errore, perché così ci abbandoniamo a noi stessi, in balia di quanto più effimero vi sia in noi (Cfr. Ger 17,9: « Niente è più infido del cuore e difficilmente guarisce! Chi lo può conoscere? »). Sulla necessità di questo Sacramento diremo prima di tutto che nella confessione si esprime la propria contrizione, conditio sine qua non del perdono e della riconciliazione.


Riguardo l’assoluzione, invece, val la pena ricordare quanto ha insegnato il Santo Papa Pio X nel suo Catechismo Maggiore. Egli dice: « L’assoluzione è la sentenza, che il sacerdote pronunzia in nome di Gesù Cristo, per rimettere i peccati al penitente » (n. 688). L’assoluzione, dunque, muta la sentenza di condanna, che spetta a noi peccatori, in una sentenza di riconciliazione con Dio ed è necessaria in quanto rende attuale quella sentenza.


Per intenderci, al modo in cui la S. Messa rinnova e rende attuale, nel momento che stiamo vivendo, il Sacrificio della Croce, allo stesso modo l’assoluzione sacramentale rende attuale per la nostra persona il frutto che da quel Sacrificio è nato. E come la S. Messa non toglie e non aggiunge niente al perfetto Sacrificio della Croce, ma toglie o aggiunge a noi i benefici di quel Sacrificio, allo stesso modo l’assoluzione sacramentale non toglie e non aggiunge niente alla sentenza che Gesù Cristo ha pronunciato a nostro favore sulla Croce, ma toglie e aggiunge a noi il favore di quella sentenza.



Il cuore del sacramento di Penitenza: la contrizione del fedele



«689. Delle parti del sacramento della Penitenza qual è la più necessaria?


«Delle parti del sacramento della Penitenza la più necessaria è la contrizione, perché senza di essa non si può mai ottenere il perdono dei peccati, e con essa sola, quando sia perfetta, si può ottenere il perdono, purché sia congiunta col desiderio, almeno implicito, di confessarsi».


Con queste parole di S. Pio X entriamo nel vivo del discorso sul perdono e riconciliazione, perché ci vengono in aiuto confermando quanto abbiamo detto più sopra sul fatto che noi possiamo avere la certezza assoluta del perdono di Dio e che, se la riconciliazione non avviene, la deficienza è solo nostra. Se infatti Dio non ci perdonasse o vi potessero essere dubbi sul suo perdono, anche la più perfetta delle contrizioni sarebbe assolutamente inutile.


È ancora una volta il Catechismo Maggiore di S. Pio X che ci viene in aiuto per comprendere cosa sia la contrizione e come operi nella nostra anima e nel cammino di riconciliazione con Dio. Scrive il santo Papa al n. 681 del suo Catechismo:


«La contrizione, ossia il dolore dei peccati, è un dispiacere dell’animo, pel quale si detestano i peccati commessi e si propone di non farne più in avvenire »; e al n. 682 scrive: « La parola contrizione, vuol dire rottura o spezzamento, come quando una pietra è pestata e ridotta in polvere».


Il ladrone pentito, in punto estremo, si riconobbe peccatore e confessò la regalità di Cristo.
IL LADRONE PENTITO, IN PUNTO ESTREMO, SI RICONOBBE PECCATORE E CONFESSÒ LA REGALITÀ DI CRISTO.

Il potere di poterci pentire e convertire non è affatto scontato e banale, se Dio non avesse avuto misericordia di noi, saremmo rimasti per sempre avvinti nell’inganno del peccato e della morte. Pentimento e conversione, dunque, sono un dono che Dio ci ha dato per mezzo dei meriti del Sacrificio di Cristo sulla Croce, meriti che vanno bel al di là del momento in cui Gesù è morto e che abbracciano l’intera storia umana, fin dalle sue origini.


È su quell’evento, infatti, che trova forza la prima sentenza che Dio pronunciò in favore dell’uomo peccatore, allontanando da lui il diavolo; quando disse: « Io porrò inimicizia fra te e la donna, fra la tua stirpe e la sua stirpe: questa ti schiaccerà la testa e tu le insidierai il calcagno » (Gen 3,15). Dio, dunque, per ricostruire la sua amicizia con l’uomo, ha posto inimicizia fa questi e il diavolo e ha dato alla stirpe dell’uomo il potere di schiacciare la testa al serpente, nonostante le insidie del nemico. In quel momento Dio aveva già deciso la Redenzione, ossia l’Incarnazione, la Passione, la Morte e la Risurrezione del Figlio.



Le due fasi della contrizione



La contrizione si realizza dunque in due fasi simultanee e speculari l’una all’altra: il pentimento, che è l’odio per il male commesso, e la conversione, che è il proponimento di non commetterne più nel futuro. Si trova dunque nelle nostre mani (non certamente per nostro merito, ma per i meriti della Passione di Gesù) il potere di spezzare i vincoli che ci legano al peccato e ci tengono lontani dall’amicizia con Dio.


Possiamo comprendere a questo punto come mai l’Apostolo Paolo si mostri tanto vigoroso nell’esortare i cristiani di Corinto, a cui dice: « Vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio » (2Cor 5,20). Dio ha mosso i primi passi verso di noi, si è abbassato fino al punto di lasciarsi condannare alla morte di croce per potersi, Lui per primo, riconciliare con noi, dunque l’unica cosa che ci chiede è di accettare questo abbraccio del Padre, allo stesso modo in cui il ladrone pentito, nel punto estremo della sua vita, fece la confessione dei peccati (quando disse: «Noi [siamo stati crocifissi] giustamente perché riceviamo quello che abbiamo meritato per le nostre azioni.» – Lc 23,41) e confessò la regalità di Cristo (quando disse: «Gesù, ricòrdati di me quando entrerai nel tuo Regno.» – Lc 23,42).



Il ministero della Riconciliazione: il momento del prete



La buona e la cattiva confessione. Dipinto spagnolo
LA BUONA E LA CATTIVA CONFESSIONE. DIPINTO SPAGNOLO

Il discorso sul Sacramento della Riconciliazione, però, non può ancora finire, perché di mezzo c’è un altro personaggio: il prete.


È Dio stesso che ha voluto che ogni Rivelazione e ogni Salvezza, così come ogni ministero, siano mediati: anche Gesù Cristo, infatti, per compiere il Sacrificio redentore e far giungere a noi la sua Divinità,  ha voluto la mediazione della natura umana, la mediazione del Suo corpo e della sua anima umane. Ugualmente ha voluto che non ci sia nella Chiesa alcun ministero che non sia mediato, compreso, dunque, quello della Riconciliazione. Gesù istituì questa mediazione dopo la sua Risurrezione, quando diede il mandato ai suoi Apostoli dicendo: « Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati » (Gv 20,22b-23).


Anche l’Apostolo Paolo, da parte sua, prende atto di questa mediazione e ne riconosce l’origine in Dio stesso. Scrive, infatti: « Tutto questo però viene da Dio, che ci ha riconciliati con sé mediante Cristo e ha affidato a noi il ministero della riconciliazione. Era Dio infatti che riconciliava a sé il mondo in Cristo, non imputando agli uomini le loro colpe e affidando a noi la parola della riconciliazione » (2Cor 5,18-19). Il principio della mediazione è dunque Dio, il quale ha affidato agli Apostoli, e dopo di loro ai Vescovi e ai Presbiteri, l’ufficio del Perdono divino.


Dio ha affidato a noi sacerdoti il compito di mediare la grazie della Riconciliazione, ma non l’ha lasciata al nostro arbitrio, poiché noi siamo solo ministri, cioè servi, di questa grazia. Gesù Cristo ci ha dato dei criteri ben precisi per discernere quando concedere il perdono e quando non concederlo. Rifiutarlo quando esso è dovuto, infatti, sarebbe un atto di superbia perché il sacerdote, in tal caso, abuserebbe del proprio mandato e si porrebbe al posto di Dio stesso che, ricordiamolo, non vuole la morte del malvagio, ma la sua conversione (Cfr. Ez 33,11). D’altra parte, invece, concedere il perdono quando esso non può essere accordato, significa, anche in questo caso, abusare del proprio ministero e sbugiardare Dio come Legislatore e Salvatore.



La parabola del figliol prodigo. Alcuni criteri di discernimento



Discernere il pentimento e la conversione è veramente un compito impervio e quasi impossibile a compierlo se Gesù Cristo stesso non ci avesse istruiti. Una tappa fondamentale di questa istruzione è costituita dalla celeberrima parabola del figlio prodigo (Lc 15,11-32) o, come si preferisce chiamarla in tempi più recenti, del padre misericordioso.


Io qui riporterò una parte di questo brano; chi non lo conosce può leggerlo e a chi lo conosce chiedo di fare attenzione alle parole che ho evidenziato:


11 Disse ancora: « Un uomo aveva due figli. 12 Il più giovane dei due disse al padre: “Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta”. Ed egli divise tra loro le sue sostanze. 13 Pochi giorni dopo, il figlio più giovane, raccolte tutte le sue cose, partì per un paese lontano e làsperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto. 14 Quando ebbe speso tutto, sopraggiunse in quel paese una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno.15 Allora andò a mettersi al servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei suoi campi a pascolare i porci. 16 Avrebbe voluto saziarsi con le carrube di cui si nutrivano i porci; ma nessuno gli dava nulla. 17 Allora ritornò in sé e disse: “Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! 18 Mi alzeròandrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; 19 non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati”. 20 Si alzò e tornò da suo padre. »


Gesù, come possiamo vedere, è anche un genio della narrativa: col metodo delle parabole, quindi con un linguaggio semplice e concreto, riesce a comunicare dei contenuti molto complessi e, tante volte, anche astratti; e questo è un eccelso esempio. Come rendere in parole i moti dell’animo umano, così astratti? Come descrivere il processo della disobbedienza e del peccato di un uomo e il suo successivo pentimento e conversione? Gesù usa quelle parole che io ho messo in evidenza col grassetto: i verbi partire e sperperare indicano la dissoluzione, mentre i verbi alzarsi e tornare (andare esprime lo stesso identico concetto; e notiamo come questi due ultimi verbi siano ripetuti due volte, al contrario dei primi!) indicano il pentimento e la riconciliazione.



Questi verbi non sono solo simbolici, ma costituiscono anche dei criteri di discernimento che Gesù ci ha lasciato. Gesù voleva che i suoi discepoli avessero dei saldi principi ermeneutici per poter discernere le situazioni e poter leggere i segni dei tempi; dei principi che non fossero astratti ed “evanescenti”, ma saldi e concreti. Il criterio principe che ci ha lasciato per il discernimento, infatti, è quello esposto nel paragone dell’albero e dei frutti (Cfr. Mt 7,18: « Ogni albero buono produce frutti buoni e ogni albero cattivo produce frutti cattivi »). Non dobbiamo, cioè scervellarci per comprendere la natura dell’albero, ma sarà il tempo che, portando con sé i frutti, ci dirà di quale albero si tratta. Così, nella parabola che stiamo esaminando, per descrivere i moti dell’animo umano, Gesù non usa parole come cuoreamoresentire, ecc. od altre smancerie (mi si passi il termine) simili, ma usa dei verbi che parlano di gesti concreti, visibili e facilmente verificabili. Ed è proprio in questo senso che essi divengono per noi dei criteri di discernimento.


Se l’unico criterio valido di discernimento è quello di valutare l’albero dai frutti (noi infatti, non siamo come Dio e non possiamo scrutare l’intimo dei cuori) allora l’unico criterio che ci resta per valutare l’autenticità del pentimento, sono i gesti esterni e le azioni che concretamente una persona mette in atto (Cfr. Mt 15,19: «Dal cuore, infatti, provengono propositi malvagi, omicidi, adultèri, impurità, furti, false testimonianze, calunnie.»).


Quello che a Gesù preme di far comprendere riguardo il figlio prodigo è che il suo non è un pentimento puramente astratto, ma un pentimento autentico e che, in quanto tale, produce degli effetti visibili nella vita del personaggio. Il figlio prodigo, infatti, non resta là dov’è, ma stacca il culo da mezzo il porcile in cui è andato a finire e, passo dopo passo, giunge alla casa del padre.



La misericordia del padre



Il padre è talmente misericordioso che non rincorre il figlio, ma lo attende in casa, scrutando l’orizzonte. (Eugène Burnand - figlio prodigo Padre in attesa)
IL PADRE È TALMENTE MISERICORDIOSO CHE NON RINCORRE IL FIGLIO, MA LO ATTENDE IN CASA, SCRUTANDO L’ORIZZONTE.
(EUGÈNE BURNAND – FIGLIO PRODIGO PADRE IN ATTESA)

In questa parabola, allora, gli atteggiamenti del padre divengono degli esempi e dei criteri che i pastori possono imitare nel discernimento e anche nell’azione pastorale.
Il padre della parabola, poi, è talmente misericordioso che non si mette all’inseguimento del figlio e, quando è fuori di casa, non va a cercarlo e non affigge in giro manifestini con la foto e la scritta “missing”. Non muove un dito, ma resta in casa in attesa, scrutando l’orizzonte; solo quando lo vede arrivare, e dunque ha la certezza del ritorno, si smuove e gli corre incontro.

Dov’è qui la misericordia? Essa si trova nel rispetto della libertà del figlio: ha messo al mondo un figlio, non un servo, dunque la misericordia sta prima di tutto nella verità del figlio, cioè nel rispetto della sua natura: avrebbe contraddetto se stesso in quanto padre se avesse ostacolato la sua libertà. Continuate a leggere la parabola, infatti, e notate come, delle belle parole che il figlio si prepara da recitare, l’unica frase che il padre non gli consente di dire è: «Trattami come uno dei tuoi salariati». Il padre della parabola, prima di tutto, è così misericordioso che lascia che il figlio vada via di casa; e possiamo pensare che egli abbia intuito le intenzioni del figlio già quando gli ha chiesto di dividere le sue sostanze.

Naturalmente, il suo ruolo di padre sta anche nell’azione educatrice che, nella parabola, non è raccontata, ma è sottintesa e presupposta e che possiamo trovare adombrata nella divisione che il padre fa delle sue sostanze: dà generosamente a ciascun figlio ciò che sarà necessario alla vita; ed è infatti il ricordo di queste sostanze che permette al figlio prodigo di ritornare in sé e di sentire il desiderio della casa paterna.

Miseria e pentimento

Qualcuno potrebbe obiettare, però, che ciò che spinge il figlio a voler tornare dal padre non è un vero pentimento, ma la constatazione del proprio stato di estrema necessità e indigenza in cui era caduto. Questa obiezione non tiene conto della concretezza del linguaggio attraverso cui Gesù vuol comunicare il pentimento e la conversione. Ma, soprattutto, non tiene conto della realtà della situazione in cui il peccato ci precipita. Noi non comprendiamo la necessità del perdono fuori la constatazione della miseria e, fuori della miseria, non abbiamo vera coscienza di peccato, perché il peccato è miseria.
Vi è un peccato dei peccati che noi continuamente commettiamo, cioè quello di sminuire la realtà del peccato e la reale drammaticità degli orrori che esso compie nella nostra vita, con la conseguente miseria in cui ci getta. Quando pecchiamo, non solo col peccato mortale, ma anche con quelli veniali, finiamo per pascolare con i porci e per desiderare il loro cibo, solo che noi non ce ne rendiamo veramente conto. Perché di tanti Santi si dice che non abbiano fatto neanche un attimo di Purgatorio? Non era forse perché avevano una coscienza vivissima di ciò che è il peccato? Altrimenti perché tanti Santi avevano il desiderio di confessarsi ogni giorno? E cos’è in fondo il Purgatorio se non quel momento in cui, lasciata la nostra condizione mondana, non ci si svela in tutta la sua realtà la verità sul peccato, sulla amicizia con Dio che esso rompe?

Questo che ho definito “peccato dei peccati” altro non è che il peccato (o bestemmia) contro lo Spirito Santo, il solo peccato che, concretamente, ci tiene lontani da Dio, perché è quello che impedisce al perdono che Dio ci offre di trasformarsi in Riconciliazione. Il peccato contro lo Spirito Santo è dunque il peccato di un cattivo pentimento e di un cattivo esame di coscienza, ossia il peccato di un pentimento parziale o assente (non fa praticamente differenza). È il peccato di una cattiva coscienza di fronte a Dio. (Su questo argomento magari ne parlerò più estesamente in un altro articolo).

Concludo questo articolo dicendo che , in fondo, ciò che dobbiamo chiedere a Dio, prima di inginocchiarci davanti al prete per ricevere il Sacramento della Penitenza, è il dono di una perfetta contrizione, di un perfetto dolore dei propri peccati.


Un sacerdote risponde

 

Mi aiuti a uscire dal tormento della convivenza omosessuale

 

Quesito

 

Caro Padre Angelo,
sono un ragazzo omosessuale di … anni, che cerca di conciliare le sue scelte di vita con una grande fede che Dio gli ha dato.
Non ho mai cercato di indorarmi la pillola dicendo a me stesso che l'amore è comunque amore, o cose di questo genere, io sono un grande peccatore, vivo con un uomo e nello stesso tempo prego molto e ho una vita spirituale intensa, questo mi provoca un'enorme sofferenza, come se in me convivessero due entità che non possono convivere, ma che non ho la forza, la volontà, il coraggio di cambiare.
Sono estremamente convinto che il percorso che porterebbe la mia persona ad un pò di pace, sia quello della castità, cosa che stando insieme ad un ragazzo e vivendo nella stessa casa, non è oggettivamente possibile, ma di fronte al fatto di andarmene e cambiare la mia vita, mi si erge di fronte un muro di dubbi, incertezze, dolori ed oggettivi impedimenti pratici, da una parte la carne, il demonio, mi tenta e mi fa cadere sempre più in basso, i lacci con cui mi tiene a sé sono per mia responsabilità, molto forti e difficili da spezzare, quindi rischio continuamente di cadere nella disperazione pensando che per me non ci sia salvezza, ma non riesco nemmeno a fare questo perchè Dio mi dona sempre la Grazia di pensare che Lui invece mi ama.
Ho un Padre spirituale che mi segue da molti anni, e occasionalmente mi confesso anche dai sacerdoti della mia parrocchia, tutti mi danno l'assoluzione e mi invitano a fare la comunione, nonostante sappiano perfettamente la mia condizione di vita, io però ho sempre il dubbio atroce di non poter fare la comunione perchè la mia condizione di convivenza è una scelta di vita, anche se la metto in dubbio e mi fa stare male, e quindi un'ipocrisia la mia Comunione, ho sempre paura di commettere sacrilegio e non mi sento mai sereno fino in fondo, questo tarlo mi divora anche nei rari momenti di pace dopo la Santa Confessione.
Cosa devo fare? Io mi vedo come in uno specchio, la mia iniquità la vedo tutta perfettamente e mi fa malissimo.
Mi aiuti Lei a capire, la prego, mi aiuti a uscire da questo tormento.
Grazie in anticipo per la risposta e per la pazienza nella lettura.

 


 

Risposta del sacerdote

 

Carissimo,
1. i sacerdoti ti assolvono perché ti vedono dispiaciuto e pentito.
In questo pentimento pare anche a me di intravedere la volontà di vivere in maniera casta.

 

2. Ma, come constati da te stesso, la convivenza di qualunque tipo costituisce un’occasione prossima di peccato. 
Nell’atto di dolore ci si propone di fuggire le occasioni prossime di peccato.
Di fatto però tu non le fuggi e hai la volontà di rimanerci dentro.

 

3. Certo la cosa migliore sarebbe quella di sciogliere la convivenza. Dice il Signore: “A che serve guadagnare il mondo intero se poi si perde la propria anima?” (Mc 8,36).
E daresti anche una bella e pubblica testimonianza di vita cristiana.
Mentre di fatto con la convivenza omosessuale dai ai fratelli nella fede e soprattutto ai ragazzi e ai giovani una controtestimonianza.

 

4. Sono convinto che gli atti sessuali fra persone dello stesso sesso non sono atti di autentico amore.
Contraddicono infatti la natura della sessualità che è intrinsecamente strutturata per incontrarsi con l’altro sesso e per una finalità obiettiva ben precisa che è quella di mettere concretamente una persona in atteggiamento di donazione e di immolazione di sé. 
Di fatto contraddicono il sapientissimo disegno del Creatore e ne costituiscono una palese perversione.
Inoltre gli atti omosessuali sono atti esplosivi di libidine che devastano interiormente una persona e ne radicano la dipendenza.
Sicché il Magistero della Chiesa nella dichiarazione della Congregazione per la dottrina della fede Persona humana dice che “gli atti di omosessualità sono intrinsecamente disordinati e che, in nessun caso, possono ricevere una qualche approvazione” (n. 8).

 

5. In un altro documento (Homosexualitatis problema) il Magistero precisa ulteriormente: “Come accade per ogni altro disordine morale, l’attività omosessuale impedisce la propria realizzazione e felicità, perché è contraria alla sapienza creatrice di Dio” (HP 7).
Come constata un autore di teologia morale “pochi omosessuali, forse nessuno, sono realmente in pace con la loro perversione, stando il fatto che la strada della gratificazione è instabile e incompleta e che il grado di gratificazione nella perversione è sempre limitato.
Il fatto della colpa inconscia si fa largamente luce in molti di questi individui” (K. Pesche, Teologia morale, p. 577).
Sottolineo la motivazione che porta: “stando il fatto che la strada della gratificazione è instabile e incompleta”.

 

6. La gratificazione è completa solo quando la donazione di sé è totale.
Ed è totale solo quando è aperta alla fioritura dell’amore stesso nella generazione e nell’educazione dei figli.
Proprio perché manca questa gratificazione avverti un malessere profondo che non ti lascia in pace con te stesso. Scrivi infatti: “Io mi vedo come in uno specchio, la mia iniquità la vedo tutta perfettamente e mi fa malissimo”.
Sono convinto che se per assurdo la Chiesa ti dicesse: “No, non badare a queste cose e vivi serenamente in pace la tua omosessualità” avvertiresti ugualmente la ribellione interiore della coscienza. È la ribellione della natura.

 

7. Il Magistero dice ancora: “Quando respinge le dottrine erronee riguardanti l’omosessualità, la Chiesa non limita ma piuttosto difende la libertà e la dignità della persona, intese in modo realistico e autentico” (HP 7).
Difende la libertà”: tu avverti invece che la pratica omosessuale ti incatena.
Scrivi: “ma di fronte al fatto di andarmene e cambiare la mia vita, mi si erge di fronte un muro di dubbi, incertezze, dolori ed oggettivi impedimenti pratici, da una parte la carne, il demonio, mi tenta e mi fa cadere sempre più in basso,i lacci con cui mi tiene a sé sono per mia responsabilità, molto forti e difficili da spezzare”.

 

8. Allora proprio per difendere “la libertà e la dignità” della tua persona la strada che ti si apre è quella della castità.
La puoi percorrere facendo evolvere la convivenza omosessuale in amicizia.
Per essere amici non è necessario convivere, soprattutto se la convivenza costituisce un’insidia.

 

9. Il Signore, che ti sta vicino, ti ha già fatto capire che questa è la strada da percorrere: “Sono estremamente convinto che il percorso che porterebbe la mia persona ad un pò di pace sia quello della castità, cosa che stando insieme ad un ragazzo e vivendo nella stessa casa, non è oggettivamente possibile”.
È la strada che il Signore ha fatto intravedere a Sant’Agostino quando si trovava in una situazione di convivenza, con tanto di figlio.
Ecco la sua testimonianza nella quale per alcune versi ti puoi ritrovare pienamente: “Mi trattenevano miserie di miserie e vanità di vanità, mie antiche amicizie, che mi scuotevano la veste di carne e mormoravano piano: ‘E ci lasci? E da questo momento non saremo con te più mai? E da questo momento non ti sarà lecito questo e quello più mai?’. E quali cose mi suggerivano in quell’espressione: ‘questo e quello’, quali cose suggerivano, Dio mio! (…).
Ma da quella parte, dove tenevo rivolta la faccia e trepidavo di fare il passo, mi si mostrava la casta bellezza della continenzaserena e pudicamente lietainvitandomi con tratto onesto ad andare senza dubbi, stendendo per accogliermi ed abbracciarmi le pie mani tra una folla di buoni esempi; fanciulli e fanciulle, giovani molti e gente d’ogni età, vedove austere e vergini anziane; ed era in tutti la stessa purezza non sterile, ma feconda madre di figli della gioia a Te sposo, o Signore. E mi faceva un sorriso d’incoraggiamento come per dirmi: ‘E tu non riuscirai a fare quello che hanno fatto questi e queste? Forse che questi e queste ne hanno la forza in se stessi e non piuttosto nel Signore loro Dio?’ (…). Tale era il combattimento che si svolgeva nel mio cuore: me contro me” (s. agostino, Confessioni, VIII, 11).

 

9. “Fanciulli e fanciulle, giovani molti e gente d’ogni età, vedove austere e vergini anziane”: ebbene non puoi esserci anche tu fra questi?
Con la forza che ti viene dalla grazia di Dio e sostenuto dall’esempio e dall’aiuto celeste di tanti che nella storia cristiana hanno compiuto atti eroici di castità per amore del Signore, anche tu puoi fare questo passo.
E potrai dire con Sant’Agostino: “Che soavità subito provai nell’esser privo di quelle vane dolcezze che prima avevo paura di perdere e ora mi era gioia lasciare!
Eri Tu che le allontanavi da me, Tu vera e somma dolcezza; le allontanavi e invece loro entravi Tu più dolce di ogni voluttà non per la carne e il sangue, Tu più luminoso d’ogni luce, ma più interiore d’ogni segreto, Tu più sublime d’ogni grandezza, non per quelli, però, che sono sublimi in se stessi. 
Già il mio animo era libero dalle dolorose preoccupazioni dell’ambizione, del guadagno e dalla scabbia delle passioni, inquiete e pruriginose. Balbettavo le prime parole a Te, mia luce e ricchezza, mia salvezza, Signore Dio mio” (Ib., IX, 1).

 

10. Ti assicuro la mia preghiera perché tu possa compiere questo passo.
Sarà decisivo per la tua vita che sarà così riempita dalla presenza di Dio, di colui che è “la vera e somma dolcezza”, di colui che “più dolce di ogni voluttà non per la carne e il sangue”, “più luminoso d’ogni luce, ma più interiore d’ogni segreto”.
E sarà di grande testimonianza all’interno della comunità in chi vivi.

 

Ti auguro ogni bene e ti benedico. 
Padre Angelo

 

Un sacerdote Risponde

 

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[Modificato da Caterina63 31/07/2016 16:23]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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Sesso: Femminile
21/08/2016 20:26
 
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ANGELUS

Piazza San Pietro
Domenica, 21 agosto 2016

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Papa Francesco All'Angelus - ANSA


 

Cari fratelli e sorelle

L’odierna pagina evangelica ci esorta a meditare sul tema della salvezza. L’evangelista Luca racconta che Gesù è in viaggio verso Gerusalemme e durante il percorso viene avvicinato da un tale che gli pone questa domanda: «Signore, sono pochi quelli che si salvano?» (Lc 13,23). Gesù non dà una risposta diretta, ma sposta il dibattito su un altro piano, con un linguaggio suggestivo, che all’inizio forse i discepoli non capiscono: «Sforzatevi di entrare per la porta stretta, perché molti, io vi dico, cercheranno di entrare, ma non ci riusciranno» (v.24). Con l’immagine della porta, Egli vuol far capire ai suoi ascoltatori che non è questione di numero – quanti si salveranno - , non importa sapere quanti, ma è importante che tutti sappiano quale è il cammino che conduce alla salvezza.

Tale percorso prevede che si attraversi una porta. Ma, dov’è la porta? Com’è la porta? Chi è la porta? Gesù stesso è la porta. Lo dice Lui nel Vangelo di Giovanni; “Io sono la porta” (Gv 10,9). Lui ci conduce nella comunione con il Padre, dove troviamo amore, comprensione e protezione. Ma perché questa porta è stretta, si può domandare? Perché dice che è stretta? È una porta stretta non perché sia oppressiva, ma perché ci chiede di restringere e contenere il nostro orgoglio e la nostra paura, per aprirci con cuore umile e fiducioso a Lui, riconoscendoci peccatori, bisognosi del suo perdono. Per questo è stretta: per contenere il nostro orgoglio, che ci gonfia. La porta della misericordia di Dio è stretta ma sempre spalancata per tutti! Dio non fa preferenze, ma accoglie sempre tutti, senza distinzioni. Una porta stretta per restringere il nostro orgoglio e la nostra paura; una porta spalancata perché Dio ci accoglie senza distinzioni. E la salvezza che Egli ci dona è un flusso incessante di misericordia, che abbatte ogni barriera e apre sorprendenti prospettive di luce e di pace. La porta stretta ma sempre spalancata: non dimenticatevi di questo.

Gesù oggi ci rivolge, ancora una volta, un pressante invito ad andare da Lui, a varcare la porta della vita piena, riconciliata e felice. Egli aspetta ciascuno di noi, qualunque peccato abbiamo commesso, per abbracciarci, per offrirci il suo perdono. Lui solo può trasformare il nostro cuore, Lui solo può dare senso pieno alla nostra esistenza, donandoci la gioia vera. Entrando per la porta di Gesù, la porta della fede e del Vangelo, noi potremo uscire dagli atteggiamenti mondani, dalle cattive abitudini, dagli egoismi e dalle chiusure. Quando c’è il contatto con l’amore e la misericordia di Dio, c’è il cambiamento autentico. E la nostra vita è illuminata dalla luce dello Spirito Santo: una luce inestinguibile!

Vorrei farvi una proposta. Pensiamo adesso, in silenzio, per un attimo alle cose che abbiamo dentro di noi e che ci impediscono di attraversare la porta: il mio orgoglio, la mia superbia, i miei peccati. E poi, pensiamo all’altra porta, quella spalancata dalla misericordia di Dio che dall’altra parte ci aspetta per dare il perdono.

Il Signore ci offre tante occasioni per salvarci ed entrare attraverso la porta della salvezza. Questa porta è l’occasione che non va sprecata: non dobbiamo fare discorsi accademici sulla salvezza, come quel tale che si è rivolto a Gesù, ma dobbiamo cogliere le occasioni di salvezza. Perché a un certo momento «il padrone di casa si alzerà e chiuderà la porta» (v.25), come ci ha ricordato il Vangelo. Ma se Dio è buono e ci ama, perché chiuderà la porta a un certo punto? Perché la nostra vita non è un videogioco o una telenovela; la nostra vita è seria e l’obiettivo da raggiungere è importante: la salvezza eterna.

Alla Vergine Maria, Porta del Cielo, chiediamo di aiutarci a cogliere le occasioni che il Signore ci offre per varcare la porta della fede ed entrare così in una strada larga: è la strada della salvezza capace di accogliere tutti coloro che si lasciano coinvolgere dall’amore. È l’amore che salva, l’amore che già sulla terra è fonte di beatitudine di quanti, nella mitezza, nella pazienza e nella giustizia, si dimenticano di sé e si donano agli altri, specialmente ai più deboli.


Dopo l'Angelus:

Cari fratelli e sorelle,

mi ha raggiunto la triste notizia dell’attentato sanguinario che ieri ha colpito la cara Turchia. Preghiamo per le vittime, per i morti e i feriti e chiediamo il dono della pace per tutti.

Ave o Maria, …

Saluto cordialmente tutti i pellegrini romani e quelli provenienti da vari Paesi, in particolare i fedeli di Kalisz (Polonia), Gondomar (Portogallo); vorrei anche salutare in maniera particolare i nuovi seminaristi del Pontificio Collegio Nord Americano. Benvenuti a Roma!

Saluto l’Associazione Santissimo Redentore di Manfredonia, i motociclisti del Polesine, i fedeli di Delianuova e quelli di Verona che sono giunti in pellegrinaggio a piedi. Saluto i giovani di Padulle, venuti per un servizio alla mensa della Caritas di Roma.

A tutti auguro una buona domenica. E per favore, non dimenticatevi di pregare per me.




Un sacerdote risponde

Io sono gay e, se mai entrerò nel regno dei cieli, entrerò non certo da gay, perché là tutto si perde

Quesito

Caro Padre Angelo,
un amico mi ha consigliato di scriverle
A dire il vero nn ho cose particolari da dire e credo che forse sia lo stato migliore per poter esporre meglio, senza alcun bisogno di chiedere delle risposte impossibili, chiedere giustizia da Dio o protestare contro questo o contro quello.
Come tutti, parto in svantaggio: sono un peccatore!!!
PREGO, AMO, MA NN POSSO DIRE DI ODIARE COMPLETAMENTE ANCHE IL PECCATO, ANCHE SE NN LO SEGUO IN TUTTE LE SUE FORME.
Sono una persona provata dalla solitudine umana.
Sono una persona graziata dalle grazie che il Signore ogni giorno mi fa al fine di colmare questa solitudine (…).
Nella mia vita è entrata una ragazza quando volevo entrare in seminario, cosi dopo tantissima resistenza ho capito che nn potevo scegliere quella strada ma di essere un buon cristiano
Ci siamo frequentati  per tre anni... un percorso molto arricchente
Può sembrare noiosa sta storia, ma se ha pazienza, nn lo è affatto
All’età di … anni, cambio lavoro: entro nell’ambiente ospedaliero e conosco un paziente, e dopo tanto tempo ho capito che ero innamorato di lui.
Anche lui timorato di Dio e nn ci siamo mai neppure domandati niente di noi
Ci siamo detti che ci volevamo bene (…) In un sentimento pervertito ho incontrato il Signore.
Ora nn le farò le dimostrazioni del fatto che allora essere gay è giusto o altre considerazioni del genere.
Dopo la sua morte e dietro suo invito “nella tua lunga vita nn mollare mai questa via...stai sempre vicino al Signore!!!”.
E cosi ho fatto!!!!!!!! anche se mi commuove riscrivere ste sue parole.
Orami sono passati 13 anni
Poi la morte di un’altra amica e la scoperta della divina misericordia prodigiosa!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
Il Signore, come tra fidanzati, all’inizio sorprende, diverte, ti fa sussultare il cuore nel petto d’amore; ti fa vivere situazioni straordinarie e spesso nn sai tenere la bocca chiusa con gli amici perché sei come gli innamorati che amano raccontare delle cose di sé.
Questo Gesù della misericordia, mi sbatte ad ogni angolo e su ogni via, ma poi con vece meravigliosa mi afferra a se in un modo cosi speciale che nn si può raccontare
Ti sa guardare dentro in un modo che quasi percepisco il Suo sguardo: se dovesse soffermarsi oltre morirei ( mi impasta al muro ogni volta...è come avere il sole ad un metro da te.... un esperienza nn possibile!!!!).
Io nella vita sono solo e Lui mi chiede: Fidati di me e nn fare nient’altro. (…).
Il mo cuore è schiacciato e provato perché nn ho amici e nn posso costruire niente nella vita, ma nel contempo se pur "rustigato" da LUI il mio cuore è attraversato da pensieri meravigliosi, meditazioni che sfuggono alla mia intelligenza e così via.
Io sono cattolico e nn nella sottomissione, ma nell’obbedienza pratico la castità. (…).
Io sono per la famiglia e i figli e gli amici. (…).
Io sono gay e se mai entrerò nel regno dei cieli, entrerò nn certo da gay, perché la tutto si perde. (…).
Io ho vissuto il mondo gay nel passato
Sono scappato subito!!!!!
Al di là delle critiche che si possono muovere e anche vere verso questo mondo, è un mondo di nessuno. (…).
Una sera in un bar gay, osservavo queste trans, gay e lesbo e senza giudicare un desiderio vivo e sincero: queste persone devono essere di qualcuno!!! Nn possono essere abbandonate così. Signore sono i tuoi figli che cercano amore e nn lo troveranno sicuramente qui. Molti sono credenti, le trans in particolare, e sono così combattute. Ne ho viste alcune davanti ad un crocifisso in una chiesa a Milano. Nn le posso descrivere la commozione. Sembrava un circo la chiesa: Tacchi alti e scarpe bianche o multicolor , vestiti, li può immaginare, eppure per un attimo il tempo si era fermato. Nessuno ha osato dire nulla, perché l’intensità della devozione azzerava ogni perbenismo. (…).
Ho sentito preti dire durante la predica: case del demonio, di perversione e del vizio. 
Spesso il mondo gay è così, anzi, credo che siccome si sono arenati, se pur considerandosi progressisti, abbiano bisogno di ritrovare la strada del ritorno. NN per farli diventare meno gay o altro, ma per farli tornare alla vita di uomini e donne. Il 99% di loro vive in un mondo che nn esiste, alla ricerca del sempre più bello per essere alla pari per rimediare esperienze sessuali con persone dello stesso target e vita da vip e se nn ce la fai coi soldi, fai l’escort o altro ancora. Tutto gira intorno a ste tre cose. (…).
Come le dicevo, le ho scritto, cose cosi, come tra amici l bar con una birra davanti
Un pò si scherza, un pò si tirano fuori le cose vere e un pò si sta in silenzio nei propri pensieri.
Mi scuso per essermi dilungato.
la saluto


Risposta del sacerdote

Carissimo…, 
per brevità ho tagliato alcune parti della tua lunga mail, che ho letto con interesse e nella quale ho trovato tante cose giuste.

1. La più bella è questa: “(Cristo) ti sa guardare dentro in un modo che quasi percepisco il Suo sguardo: se dovesse soffermarsi oltre morirei (mi impasta al muro ogni volta...è come avere il sole ad un metro da te....)”.
Sì, questa è l’esperienza cristiana, simile a quella dei discepoli di Emmaus. Camminavano con  Gesù e sentivano che il Sole entrava dentro il loro cuore: “Non ardeva forse in noi il nostro cuore mentre egli conversava con noi lungo la via, quando ci spiegava le Scritture?” (Lc 24,32).

2. Mi dici che vivi in obbedienza alla Chiesa.
Continua così.
Adesso capisci dove ti porta questa obbedienza. Ti porta a vivere l’amicizia con Gesù, a sentirlo camminare insieme con te, a pregare insieme con te, a lavorare insieme con te, a soffrire e ad offrire insieme con te.
Nella purezza puoi avvertire continuamente le parole che furono dette a Maria di Betania, identificata in passato e non senza ragioni con la Maddalena: “Il maestro è qui e ti chiama” (Gv 11,28).
Queste parole le furono dette “in silenzio”, come dice il testo latino del Vangelo. Adesso sono state tradotte “di nascosto”.
Nel silenzio si percepisce che il Maestro è qui e ti chiama a fare tutto con Lui.
Quando nel silenzio gli si apre la porta, si sente la sua presenza che invade la nostra anima, scalda il nostro cuore e dilata i nostri polmoni.
In quei momenti non ci si sente affatto soli, ma con la presenza nel cuore di Colui che riempie tutto l’universo.

3. Mi scrivi anche: “Io sono gay e se mai entrerò nel regno dei cieli, entrerò, nn certo da gay, perché la tutto si perde, ma la mia anima sarà quella di un uomo voluto da Lui così.
Io ho vissuto il mondo gay nel passato.
Sono scappato subito!!!!!
Al di la delle critiche che si possono muovere e anche vere verso questo mondo, è un mondo di nessuno”.
Mi ha colpito anche questa tua seconda affermazione: che il mondo gay “è un mondo di nessuno”.
Detta da te, che in questo mondo ci sei stato e sai come è fatto, ha un sapore tutto particolare.
Mi fa tornare in mente quanto dice un testo del Magistero della Chiesa su questa tema: “Come accade per ogni altro disordine morale, l’attività omosessuale impedisce la propria realizzazione e felicità, perché è contraria alla sapienza creatrice di Dio. Quando respinge le dottrine erronee riguardanti l’omosessualità, la Chiesa non limita ma piuttosto difende la libertà e la dignità della persona, intese in modo realistico e autentico” (Homosexualitatis problema 7).
Un autore di teologia morale osservava: “Pochi omosessuali, forse nessuno, sono realmente in pace con la loro perversione, stando il fatto che la strada della gratificazione è instabile e incompleta e che il grado di gratificazione nella perversione è sempre limitato. Il fatto della colpa inconscia si fa largamente luce in molti di questi individui” (k. peschke, Etica cristiana, p. 577).

4. Scrivi poi che i gay hanno “bisogno di ritrovare la strada del ritorno. NN per farli diventare meno gay o altro, ma per farli tornare alla vita di uomini e donne. Il 99% di loro vive in un mondo che nn esiste”.
Forse ci sarebbe da dire qualche cosa su quanto dici: “NN per farli diventare meno gay o altro”. Forse vuoi dire che per qualcuno la situazione è ormai irreversibile.
Ma aggiungo subito queste altre tue parole: “ma per farli tornare alla vita di uomini e donne. Il 99% di loro vive in un mondo che nn esiste”.
Queste parole, se fossero dette da altri, verrebbero forse subito contestate.
Ma sono dette da te, che quel mondo lo conosci, ci fanno riflettere.
Ti ringrazio perché ci aiuti a tenere i piedi per terra.

5. Ti terrò presente nelle mie preghiere e terrò presente anche tutto quel mondo che forse con tanta facilità viene tenuto ai margini delle nostre preghiere personali, come se fossero persone che non ne hanno bisogno, come se non fossero anch’esse persone che soffrono, che cercano Dio, che sono sole.

6. Ti auguro di progredire sempre più nella tua vita cristiana.
Solo in Cristo non ti sentirai mai solo e sarai felice.
Ti auguro anche di continuare a vivere nell’obbedienza, e cioè nella castità per poter sentire nel silenzio quelle meravigliose parole: “Il Maestro è qui e ti chiama” e sperimentare che Lui entra subito dentro il tuo cuore con la forza e lo splendore di un sole.

Ti benedico.
Padre Angelo 


Quel "buonismo" pastorale che cancella il peccato
di Riccardo Barile23-10-2015
I lavori nell'Aula del Sinodo

Nelle coppie irregolari etero e anche in quelle omo ci sono tanti atti buoni perché nessuno nella vita - per fortuna! - pecca al 100%. Da qui si sta facendo strada in modo trasversale una metodologia pastorale o nuovo approccio, che si caratterizza dal partire dal positivo: «dal desiderio profondo inscritto nel cuore di ognuno ... vedere quello che c’è di positivo nelle situazioni più difficili ... spesso nelle famiglie patchwork si trovano esempi di generosità sorprendente ... i veri cristiani sanno guardare e discernere in una coppia, in un’unione di fatto, dei conviventi, gli elementi di vero eroismo, di vera carità, di vero dono reciproco, anche se dobbiamo dire: non è ancora una piena realtà del sacramento». Chi fa altrimenti corre il rischio di parlare «con una lingua fatta di concetti vacui», mentre invece «bisogna staccarsi dai nostri libri per andare in mezzo alla folla e lasciarsi toccare dalla vita delle persone».

Il cardinale Christoph Schönborn in una recente intervista a Civiltà Cattolica (Quaderno 3966 del26.09.2015) - le citazioni precedenti sono sue - ha anche formulato il principio teologico ecclesiale del metodo positivo: come secondo la Lumen Gentium 8 «l’unica Chiesa di Gesù Cristo sussiste nella Chiesa cattolica» sussistendo però al di fuori dei suoi confini visibili elementi di verità e di santificazione, così, analogamente, il vero matrimonio sussiste nel sacramento della Chiesa, ma al di fuori di esso ci sono «elementi del matrimonio che sono segnali di attesa, elementi positivi». Il presente intervento non è una polemica verso il cardinale Schönborn - che nell’intervista in più passi è dottrinalmente ineccepibile, moralmente esigente e pastoralmente equilibrato, tranne che nella ipotesi di riservare a un confessore/direttore spirituale il giudizio sull’ammissione ai sacramenti in casi limite (suppongo di coppie che praticano una vita sessuale, altrimenti il problema non si porrebbe) -, ma l’intervista è citata perché esprime una tendenza trasversale con molta chiarezza e anche con una gradevole dose di pathos.

A questo punto è opportuno passare a una minima digressione sulla comunicazione. In uno scritto odiscorso articolato è, infatti, abbastanza evidente che: esiste una verità delle singole proposizioni e una dell’insieme e non è detto che coincidano; esiste una verità del testo e una verità della recezione, che talvolta non coincidono; esiste una verità teorica che giustifica il dire certe cose e un’opportunità pastorale che sconsiglia di divulgarle (chi scrive è un domenicano e non dovrebbe mai sostenere l’ultima contrapposizione - dire, ma non in pubblico -, che è alquanto gesuitica, ma siccome oggi i gesuiti vanno di moda...). Ecco, leggendo la motivata giustificazione del metodo positivo, mentre le singole frasi sono accettabili, l’insieme genera un sottile disagio di trovarsi fuori strada, per non parlare poi di come il discorso potrebbe essere recepito.

Il “partire dal positivo” è senz’altro un metodo valido, ma, senza la dichiarazione esplicita del peccato dal quale ritrarsi - per lo meno il “peccato oggettivo” come è formulato nella “dottrina” -, il metodo unicamente positivo rischia di non arrivare mai a indurre alla conversione, cioè rischia di fallire; inoltre oggi si basa su due discorsi equivocamente proposti come novità mentre non lo sono. Quali sono le novità che non sono tali? La prima è l’esigenza di accogliere coppie irregolari etero e, a un diverso livello, omo. Gli ultimi decenni del recente Magistero sono talmente zeppi di affermazioni in tal senso che dispensano dalla documentazione, se non per concludere che questa, oggi come oggi, non è una via nuova. Più intrigante il secondo equivoco, e cioè che nelle persone di cui sopra ci sono dei valori e degli atti positivi: affermazione contestualizzata nel gioioso stupore di aver finalmente scoperto qualcosa che da anni - da secoli? - ci era vicino e non abbiamo visto... Ahimè, non è vero che non l’abbiamo visto! Da sempre la rivelazione, la sana ragione, la Chiesa, la teologia ecc. hanno insegnato che il male assoluto non esiste perché il male è privazione del bene e dunque sussiste in qualcosa di bene (San Tommaso I-II, q 43, a 1.3; D 3251) e così neppure i demoni hanno una “inclinazione naturale” verso qualche male e dunque non sono “naturalmente” cattivi (I-II, q 63, a 4). Passando dai demoni agli uomini, il Magistero ha dichiarato errata la proposizione giansenistica di Baio († 1589) secondo il quale «tutte le opere degli infedeli sono peccati e le virtù dei filosofi sono vizi» (D 1925). A questo punto figurarsi se - da sempre - non si è pensato che anche chi vive in situazioni irregolari compie alcuni atti buoni e non solo in relazione a Dio e agli altri, ma anche a “l’altro” o a “l’altra”!

Ma la questione non è questa, bensì quella di un tipo di vincolo relazionale che cristianamente non èammesso ed è peccato. Ed è per questo che sino a poco tempo fa si è parlato di irregolari, di conversione, di astensione dai rapporti sessuali quando la convivenza non può essere prudentemente sciolta ecc.: non perché si fosse tanto antievangelici da non praticare l’accoglienza o tanto giansenisti da non ammettere atti buoni in queste persone! Ci si potrebbe allora domandare come mai si fanno questi discorsi inutili. Una prima risposta è: perché si vuol dire altro. Dunque, invece di scomodare l’accoglienza e la presenza di molti atti buoni nelle coppie irregolari, sarebbe più onesto dichiarare: «Io sono (noi siamo) per l’ammissione alla comunione delle coppie irregolari, omo comprese, purché vivano con una certa stabilità con lo stesso partner... un rito sacramentale delle nozze omo no, le seconde nozze perdurante il primo vincolo restano un cantiere aperto, per tutti poi gli irregolari una benedizione all’inizio della nuova convivenza non farebbe male, anzi». Questo sarebbe un parlare chiaro e onesto.

Una seconda risposta sembra scontata: si vuole fondare teologicamente e pastoralmente un approccio che eviti di affrontare ciò che non va, l’irregolarità, il peccato. E qui, in altri campi, la situazione diventerebbe comica. Sarebbe come se uno, affetto da un cancro alla prostata, andasse da un urologo e questi gli proponesse: «Lasciamo stare il cancro. In realtà lei digerisce quasi bene: cerchiamo di partire dal positivo ottimizzando la sua digestione con qualche farmaco». Chi andrebbe una seconda volta da un simile dottore? Eppure tante proposte pastorali, tanti articoli di riviste pastorali, qualche teologo... Dicevamo che il metodo unicamente positivo rischia di non arrivare mai a indurre alla conversione, cioè rischia di fallire. Ovvio che il traguardo della conversione suppone che la situazione attuale si configuri come un “peccato oggettivo” dal quale uscire. Per cui partire dal positivo è vero e opportunamente pastorale solo se è accompagnato dalla manifestazione del negativo, della irregolarità, del peccato ecc., sempre fatta salva la buona fede o una soggettività che fa fatica a discernere la propria situazione di fronte a Dio.

Una cosa, infatti, è l’itinerario di Paolo: «dimenticando ciò che mi sta alle spalle e proteso verso ciòche mi sta di fronte, corro verso la meta, al premio che Dio ci chiama a ricevere lassù, in Cristo Gesù» (Fil 3,13-14); un’altra cosa invece sono inviti che presuppongono sì un itinerario, ma di conversione: «se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo» (Lc 13,3.5), «non peccare più, perché non ti accada qualcosa di peggio» (Gv 5,14), «va’ e d’ora in poi non peccare più» (Gv 8,11), «tornate indietro dal vostro cammino perverso e dalle vostre opere malvagie» (Zc 1,4). Nel primo caso c’è un procedere in linea retta, nel secondo caso un cambio di direzione. Ora, non far emergere la dottrina sul male di certe relazioni affettive e vitali, pone tutti e senza distinzione - cristiani ferventi, convivenze etero irregolari, convivenze omo - nella situazione di san Paolo proteso verso il meglio e già in una situazione buona senza richiedere ad alcuno un cambiamento di rotta. E questo è pastoralmente deviante. Per non parlare poi della ingiustizia e della umiliazione che si infligge a quanti con sforzo si stanno adeguando alla legge di Dio e che devono sempre tacere perché a ogni loro parola scatta l’accusa di moralisti, ipocriti, ingiustamente divisori della Chiesa e dell’umanità in buoni e cattivi ecc.

Ma perché ci sia un cambiamento di rotta occorre aiutare a capire che qualcosa non è a posto conDio/Cristo/Chiesa a livello di “peccato” e non solo a livello dei buoni rapporti umani con il coniuge precedente o con l’attuale. È vero, ciò crea una certa tensione, ma è benefica perché richiama alla conversione e mantiene nella verità. San Gregorio Magno spiega che «il rimprovero è una chiave. Apre,  infatti, la coscienza a vedere la colpa, che spesso è ignorata anche da quello che l’ha commessa» (LdO, Uff. lett., II lett. Domenica XXVII ord.), nel nostro caso apre anche alla prospettiva di un nuovo traguardo, di una nuova bellezza, di una nuova pace. Poiché il fondo dell’imbuto si concretizza ecclesialmente e personalmente il più delle volte nel colloquio con un presbitero nel sacramento della Penitenza o fuori di esso, c’è da domandarsi se un prete così procedendo non risulti crudele, disumano, incapace in ogni caso di comprendere e di consolare ecc. No, perché la valorizzazione del positivo rimane: ci mancherebbe!

Ma anche nel portare alla luce il peccato, il disordine, la brutta bestia dello intrinsece malum (per ilcommento a questa espressione si rilegga l’intervista citata), il presbitero resta umano se sa coniugare la preoccupazione di mantenere il “odore delle pecore” (l’espressione è di papa Francesco) restando però «modello del gregge» (1Pt 5,3) (l’espressione è dello Spirito Santo e dunque ha una marcia in più), cioè la fraternità e la paternità. La fraternità ammettendo la difficoltà per tutti e anche per lui di vivere casti e di aver in ogni caso trovato Gesù Cristo che sostiene la fragilità; la paternità dettando le regole e ricostituendo un mondo ordinato nel quale reinserirsi, ma insieme manifestando l’amore del Padre che segue tutti e ognuno con la sua provvidenza in vista della salvezza e solo per questo. A meno che uno sia pregiudizialmente maldisposto, questo amore, che passa attraverso la pazienza dell’ascolto e la preghiera, si percepisce e risulta una preziosa consolazione anche umana.


vedi anche:

- IL CARDINALE MARX? PARLA COME LUTEROdi A. Pellicciari




[Modificato da Caterina63 23/10/2016 09:19]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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