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L' ESAME DI COSCIENZA.......e la preparazione per una buona Confessione dei peccati! 2

Ultimo Aggiornamento: 23/10/2016 09:19
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20/07/2015 22:56
 
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  Un sacerdote risponde


Come posso diventare più consapevole di stare facendo del male a qualcUno (Gesù) quando commetto peccato?


Quesito


Buongiorno,
ho trovato per caso (...caso?) la sua rubrica all'inizio di questo mese ed ho iniziato a seguire con interesse la corrispondenza pubblicata, nonché a spulciare in archivio quando ho tempo, grato che qualcuno affronti queste tematiche in un modo netto, ma non freddo e spietato - bensì con l'abbraccio di cui chiunque ha bisogno. Di questo la ringrazio moltissimo (anche i suoi collaboratori) per il vostro servizio.
Mi trovo a scriverle per una questione che mi preme, ma non so se abbia già risposto a questa problematica in qualche lettera - sono veramente molte da controllare! Per cui spero mi scuserà se ha già trattato la cosa in precedenza.
La mia domanda è: come posso diventare più consapevole di stare facendo del male a qualcUno (Gesù) quando commetto peccato?
Perchè spesso mi trovo in una condizione per cui riconosco di aver commesso dei peccati, ma non avverto una partecipazione accorata, un pentimento che nasca dal cuore e non solo dal sapere di avere infranto una legge. Come posso sentire più concretamente, essere più attento, in modo da essere sempre più consapevole di stare inchiodando Gesù ancora e ancora ogni volta che commetto peccato?
Non in modo figurato, ma vorrei avere la stessa consapevolezza di quando mi rendo immediatamente conto del male che faccio alle persone intorno a me.
Mi spiace molto non essere capace di accorato e sentito pentimento, piuttosto che consapevole del peccato e basta, specie quando vado a confessarmi.
Spero di essermi spiegato, anche se ho affastellato un po' di frasi nel tentativo di limare il concetto...
Se la ritiene utile anche ad altri può pubblicare la domanda sul sito!
La ringrazio in anticipo per il tempo che vorrà dedicarmi, la ricorderò in una preghiera questa sera.


Risposta del sacerdote
http://www.amicidomenicani.it/leggi_sacerdote.php?id=4225 

Carissimo,
1. sono contento che tu sia capitato anche nel nostro sito e che abbia potuto ricevere luce e forza dal nostro lavoro.
La domanda che mi poni ha già trovato risposta nella nostra corrispondenza, ma sono contento di tornar di nuovo sull’argomento, che è di grande importanza.
In pratica mi chiedi come si fa a sentire dolore per i propri peccati, soprattutto dolore per aver offeso il Signore e averlo di nuovo crocifisso, come dice la lettera agli ebrei.
La domanda è pertinente perché istintivamente proviamo dolore, e anche sensibilmente, quando ci capita di far del male anche involontariamente, mentre invece non lo proviamo quando offendiamo Nostro Signore.

2. A questo proposito bisogna dire due cose.
La prima: noi proviamo un dolore sensibile e anche forte per i mali che vediamo e che sono a portata di mano.
La nostra sensibilità ne è toccata direttamente,
Quando invece i mali non li vediamo, pur sapendo che sono gravi e tragici, il coinvolgimento emotivo è più debole e talvolta addirittura nullo. 
Ad esempio: sappiamo che tante persone in questo momento soffrono per le più svariate malattie e che si stanno approssimando alla morte. 
Di altre sappiamo che sono coinvolte in incidenti stradali, oppure che sono profughe, derubate di tutti i loro beni, ecc…
Questi mali, pur sapendo che sono gravissimi, sotto il profilo emotivo ci toccano poco, perché non li vediamo e queste persone non le conosciamo.
Allora la prima cosa da dire è questa: non proviamo dolore sensibile per i peccati che commettiamo perché Gesù Cristo non lo vediamo con i nostri occhi, non lo tocchiamo con le nostre mani, ecc…
Ce ne dispiace, anzi sappiamo che lo crocifiggono di nuovo, ma la crocifissione non la vediamo e non l’abbiamo mai vista.
Per questo i teologi dicono che il dolore dei nostri peccato deve essere sommo, sì, ma poi aggiungono un avverbio in latino: “appretiave”, e cioè nella stima o nella gerarchia dei valori. Il che significa: sappiamo di aver fatto un grande male, siamo decisi di non farlo più, anche se il coinvolgimento emotivo è poco.
Ma questo coinvolgimento emotivo non è richiesto. 
Pertanto si richiede che il dolore sia “appretiave sommo”, anche se non è “intensive sommo” (sommo nel coinvolgimento emotivo).

3. Ma c’è una seconda cosa da osservare.
Il dolore di peccati non è come il dolore che si prova per aver causato un incidente stradale.
Questo dolore nasce dalla nostra sensibilità e dipende tutto da noi.
Il dolore dei peccati invece è un dolore che non parte da noi, ma da Dio.
È un dolore soprannaturale, infuso da Dio nella nostra anima e ha la capacità, se è perfetto, di ricongiungerci con Dio soprannaturalmente conosciuto e amato.
Ho detto infuso: ciò sta a dire che Dio quando infonde in noi il dolore dei peccati ci raccoglie come ha fatto il buon samaritano con quel malcapitato che aveva trovato mezzo morto sulla strada. Ci raccoglie, ci rimette in sesto, ci fa sentire il dolore di quello che abbiamo perso e di quello che abbiamo fatto,

4. Inizialmente questo dolore può essere anche un dolore motivato dal timore di perdersi eternamente, perché ci si trova privi della grazia ed esposti all’inferno. Oppure può essere un timore che sopravviene per la consapevolezza di non essere protetti dalla grazia, la quale per noi è uno scudo e una difesa dalle insidie del demonio e dei suoi collaboratori.
Questo timore, che non congiunge ancora perfettamente a Dio, viene chiamato dai teologi “attrizione”.
È anch’esso un dolore infuso, di ordine soprannaturale. Già sufficiente per accostarsi alla confessione.
Si tratta di grazie (pertanto infuse) attuali, attraverso le quali Dio ci dispone al pentimento più vero e perfetto.

5. Questo pentimento vero e perfetto si chiama “contrizione” o “contrizione perfetta”.
Dio lo infonde molto spesso anche prima della confessione.
La contrizione perfetta è motivata da una triplice consapevolezza:
primo, di aver offeso il Signore, infinitamente buono e  degno di essere amato sopra ogni cosa, 
secondo, di aver estromesso Cristo dalla nostra vita crocifiggendolo di nuovo, 
terzo, di aver impoverito e danneggiato la Chiesa.

6. Questa contrizione, proprio perché è perfetta e accompagnata dalla carità, riporta in grazia di Dio anche prima della confessione, non senza però il suo desiderio almeno implicito.
Non autorizza ancora a fare la Santa Comunione, perché il processo di pentimento è solo cominciato e non ancora perfezionato. Un po’ come se uno, appena commesso un incidente stradale, inizia a domandare perdono per il male che ha causato. Ma  la sua azione non si ferma e non può fermarsi qui, ma deve fare anche tutto quello che è richiesto perché l’altro sia reintegrato perfettamente nei beni che gli sono stati lesi.
Nel nostro caso, tutto questo avviene nella Confessione, dove il sacerdote dà l’assoluzione, e cioè versa il sangue di Cristo sopra le ferite dell’anima, lava le colpe e reintegra il soggetto e la Chiesa nei loro beni di ordine soprannaturale.

7. Proprio perché questo dolore è effetto dell’azione misericordiosa del Signore, non dipende solo da noi e non parte solo da noi.
Vi possiamo collaborare, possiamo disporci a riceverlo con la preghiera e con le opere di penitenza.
Lo possiamo pertanto domandare. Anzi, dobbiamo domandarlo. 
Ma non è in nostro potere darcelo.
Abbiamo solo il potere di riceverlo.

8. Ciò significa che dobbiamo perseverare nella preghiera perché Dio ci dia il vero pentimento dei nostri peccati
Anzi che ci dia lo stesso dispiacere che Cristo sulla croce ha provato per i specifici peccati che abbiamo commesso e che adesso andiamo a confessare.
Per questo dobbiamo dire come Davide nel Salmo Miserere: “Crea in me o Dio un cuore puro” (Sal 51,12).
Oppure anche recitare il Santo Rosario o i Salmi penitenziali perché il Signore ci conceda un dolore più perfetto dei nostri peccati.

9. Anzi, come dice San Tommaso, dobbiamo fare penitenza ed essere dispiaciuti dei peccati commessi per tutta la vita.
Ecco il suo preciso pensiero: “Esistono due tipi di penitenza: l'interna e l'esterna. 
La penitenza interiore consiste nel dolersi per il peccato commesso. 
E questa penitenza deve durare fino al termine della vita.
Uno cioè deve aver sempre il dispiacere di aver peccato: se infatti ne provasse piacere, per ciò stesso commetterebbe peccato, e perderebbe il frutto del perdono…
La penitenza esterna invece mostra i segni esterni del dolore, fa confessare oralmente i propri peccati al sacerdote che deve assolvere, e ne accetta la soddisfazione secondo il di lui arbitrio. E tale penitenza non è necessario che duri fino al termine della vita, ma fino a un dato tempo determinato secondo la gravità della colpa (Somma teologica, III, 84,8).

10. E ancora: “Due sono le maniere di far penitenza: attuale ed abituale.
In maniera attuale certo è impossibile che l'uomo faccia penitenza di continuo; poiché l'atto del penitente, sia interno che esterno, deve necessariamente essere interrotto almeno dal sonno e dalle altre necessità corporali.
L'altra maniera di far penitenza è quella abitualeE in tal senso la penitenza deve essere continua: sia perché uno non deve mai fare un atto contrario alla penitenza, togliendo così l'abituale sua disposizione di penitente; sia perché deve sempre persistere nel proposito di rammaricarsi dei peccati commessi” (Somma teologica, III, 84,9).

11. Chiediamo dunque al Signore con la preghiera e con le opere di penitenza perché ci dia la grazia di un dolore sempre più forte e più perfetto dei nostri peccati.
Anche questo dolore è dono suo.
E proprio perché viene da Lui è capace di congiungerci a Lui mediante la grazia.

Ti ricordo nella preghiera e ti benedico. 
Padre Angelo




Un sacerdote risponde

Mia moglie dice che non fare la comunione la domenica dopo aver fatto l'amore mediante contraccezione è un affronto al matrimonio

Quesito

Caro Padre Angelo,
ho bisogno di fare molta chiarezza su un aspetto della mia vita matrimoniale e chiedo a lei di aiutarmi.
Io e mia moglie abbiamo rapporti sessuali mediante l'uso del preservativo.
In 8 anni di matrimonio abbiamo avuto due figlie (alternando vari metodi contraccettivi a periodi in cui ci siamo aperti al dono della vita). Dopo la nascita della nostra seconda figlia, ci siamo detti "adesso che facciamo?" Abbiamo letto insieme l'Humanae vitae e siamo arrivati a due conclusioni diverse. La mia quella di aprirci alla vita usando i "metodi naturali", mia moglie invece per paura (ma non si immagina quanta) di un altra gravidanza e perchè non li ritiene abbastanza sicuri, mi ha chiesto di utilizzare  la contraccezione mediante il preservativo.
Io ho accettato; all'inizio perchè mi faceva comodo, secondo perchè ho avuto paura di mettere a repentaglio il mio matrimonio.
Su questo argomento abbiamo litigato alcune volte in maniera accesa.
Non faccio colpe a mia moglie solo Dio sa cosa prova nel cuore.
Sono arrivato alla conclusione che ogni qualvolta cado nel peccato mi confesso e non mi accosto all'eucarestia se ho commesso questo peccato, ma questo infastidisce molto mia moglie (non fare la comunione la domenica dopo aver fatto l'amore lo percepisce con un affronto al nostro matrimonio).
Siccome mi pesa molto non fare la comunione, ma vorrei essere fedele al magistero della chiesa, le chiedo se sia possibile fare comunque la comunione in casi come questo, vista anche la frequenza con la quale mi accosto al sacramento della riconciliazione (mi sono imposto, riuscendoci per forza, almeno una volta al mese).
Nel corso della storia ho trovato anche sacerdoti che hanno minimizzato questo mio problema, che però per me è fondamentale.
Grazie per il  suo aiuto.
Pace e bene.


Risposta del sacerdote

Carissimo,
1. il nocciolo della questione è racchiuso nella percezione di tua moglie secondo la quale “non fare la comunione la domenica dopo aver fatto l'amore è un affronto al matrimonio”.

2. Ebbene, se tua moglie vuole essere oggettiva deve riconoscere che nella contraccezione c’è qualcosa che non è secondo il significato autentico della sessualità.
Di fatto quegli atti che sono costituti per congiungere intimamente gli sposi per donarsi in totalità mettendosi in gioco, di fatto vengono frustrati nella loro intrinseca finalità.
Questo è un dato oggettivo.
La contraccezione mette una barriera alla donazione totale. La impedisce volontariamente. Di fatto ci si rifiuta di donarsi in totalità, compresa la propria capacità di diventare padre o madre.

3. Per questo il beato Paolo VI aveva detto: “Salvaguardando ambedue questi aspetti essenziali, unitivo e procreativo, l’atto coniugale conserva integralmente il senso di mutuo e vero amore ed il suo ordinamento all’altissima vocazione dell’uomo alla paternità” (HV 11),
Ciò significa che se convengono simultaneamente salvaguardati questi due aspetti gli atti di contraccezione cessano di essere atti di autentico amore.

4. Già il Concilio aveva detto: “Quando si tratta di comporre l’amore coniugale con la trasmissione responsabile della vita, il carattere morale del comportamento non dipend scrivee solo dalla sincera intenzione e dalla valutazione dei motivi, ma va determinato da criteri oggettivi che hanno il loro fondamento nella dignità stessa della persona umana e dei suoi atti e sono destinati a mantenere in un contesto di vero amore l’integro senso della mutua donazione e della procreazione umana, e tutto ciò non sarà possibile se non venga coltivata con sincero animo la virtù della castità coniugale.
I figli della Chiesa, fondati su questi principi, non potranno seguire strade che sono condannate dal Magistero nella spiegazione della legge divina” (GS 51).

5. Nell’Humanae vitae il beato Paolo VI dice ancora: “Usare di questo dono divino distruggendo, anche soltanto parzialmente, il suo significato e la sua finalità è contraddire alla natura dell’uomo come a quella della donna e del loro più intimo rapporto, e perciò è contraddire anche al piano di Dio e alla sua santa volontà.
Usufruire invece del dono dell’amore coniugale rispettando le leggi del processo generativo, significa riconoscersi non arbitri delle sorgenti della vita umana, ma piuttosto ministri del disegno stabilito dal creatore” (HV 13).

6. San Giovanni Paolo II sempre sulla medesima linea in Familiaris consortio: “Quando i coniugi, mediante il ricorso alla contraccezione, scindono questi due significati che Dio Creatore ha inscritti nell'essere dell'uomo e della donna e nel dinamismo della loro comunione sessuale, si comportano come «arbitri» del disegno divino e «manipolano» e avviliscono la sessualità umana, e con essa la persona propria e del coniuge, alterandone il valore di donazione «totale». 
Così al linguaggio nativo che esprime la reciproca donazione totale dei coniugi, la contraccezione impone un linguaggio oggettivamente contraddittorio, quello cioè di non donarsi all’altro in totalità.
Ne deriva, non soltanto il positivo rifiuto all’apertura alla vita, ma anche una falsificazione dell’interiore verità dell’amore coniugale, chiamato a donarsi in totalità personale” (FC 32c).
L’espressione di Giovanni Paolo II (falsificazione dell’interiore verità dell’amore coniugale) è forte.
Ma come si può dire che non sia vera?
Da tutto quanto ti ho scritto puoi vede vedere come sia rovesciabile l’affermazione di tua moglie: la contraccezione è un affronto al vero significato degli atti di intimità coniugale.
Anzi è un affronto al disegno santificante di Dio sulla sessualità e il matrimonio.

7. Poco prima aveva riportato l’insegnamento di Paolo VI: “Ed ha concluso ribadendo che è da escludere come intrinsecamente disonesta «ogni azione che, o in previsione dell'atto coniugale, o nel suo compimento, o nello sviluppo delle sue conseguenze naturali, si proponga, come scopo o come mezzo, di rendere impossibile la procreazione» (HV 14)” (FC 32).

8. Come vedi si tratta di un’alterazione o di una falsificazione del disegno di Dio sulla sessualità e sull’amore umano. È contraddire la sua santa volontà. 
La contraccezione non giova alla santità, ma porta su un’altra direzione.
Per questo sempre il beato Paolo VI dice: “E se il peccato facesse ancora presa su di loro, non si scoraggino, ma ricorrano con umile perseveranza alla misericordia di Dio, che viene elargita nel sacramento della Penitenza” (HV 25).
Pertanto ti raccomando di non scambiare il bene col male.
Continua a confessarti prima di fare la Santa Comunione qualora ti trovassi in peccato.
Porta anche tua moglie a fare la stessa cosa e a riconoscere umilmente il suo peccato. Il Signore la benedirà.

Vi ricordo al Signore e vi benedico. 
Padre Angelo




[Modificato da Caterina63 06/09/2015 13:32]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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