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A 50 Anni dalla promulgazione della Sacrosanctum Concilium

Ultimo Aggiornamento: 30/10/2013 19:54
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Omelia di S. E. Mons. Filipazzi in occasione del 50° della promulgazione della "Sacrosanctum Concilium"

 

 
 
 
 Splendida omelia di S.E. Mons. Filipazzi, Nunzio Apostolico in Indonesia, per l'apertura della Conferenza nazionale in occasione dei 50 anni dalla promulgazione della Costituzione "Sacrosanctum Concilium" del Concilio Vaticano II. 
Da leggere assolutamente, da meditare. Deo Gratias!
 
a MAKASSAR il 15.10.2013
 
 

1. Questa Celebrazione Eucaristica apre la conferenza nazionale voluta per ricordare i 50 anni dalla promulgazione della Costituzione "Sacrosanctum Concilium" del Concilio Vaticano II. La celebrazione della Santa Messa accompagnerà e concluderà questi giorni di studio, riflessione e discussione. A tal riguardo, vorrei ricordare a tutti che la Santa Messa non è mai un atto secondario o solamente formale. 
            Non è un atto secondario rispetto alle conferenze e ai dibattiti di questi giorni. Infatti, la liturgia celebrata ha la precedenza sul suo studio, rimane infinitamente più grande e più importante di tutte le nostre considerazioni su di essa. La "Sacrosanctum Concilim" ci ha ricordato che "ogni celebrazione liturgica, in quanto opera di Cristo sacerdote e del suo corpo, che è la Chiesa, è azione sacra per eccellenza, e nessun'altra azione della Chiesa ne uguaglia l'efficacia allo stesso titolo e allo stesso grado" (SC, 7). Occorre coltivare tale consapevolezza di fede davanti alla liturgia, in modo da non ridurla mai a oggetto da manipolare a piacimento.
Come rilevava Benedetto XVI, "purtroppo, forse, anche da noi Pastori ed esperti, la liturgia è stata colta più come un oggetto da riformare che non come soggetto capace di rinnovare la vita cristiana" (Discorso, 6 maggio 2011). Dobbiamo accostarci ad essa, sia quando la celebriamo sia quando la studiamo, con l'atteggiamento riverente di Mosè che si avvicina al roveto ardente, segno della presenza del Dio vivente.

            Allo stesso modo questa S. Messa non deve essere considerata un gesto formale, che si compie che si usa fare in occasione dei nostri incontri e nel corso delle nostre iniziative. Il fatto di aprire, condurre avanti e concludere questa conferenza liturgica con la Celebrazione Eucaristica richiama un altro insegnamento del Concilio Vaticano II, secondo il quale "la liturgia è il culmine verso cui tende l'azione della Chiesa e, al tempo stesso, la fonte da cui promana tutta la sua energia" (n. 10). Da questa sorgente di grazia che sono i Sacri Misteri celebrati dalla Chiesa deriva anche la luce e la forza per poter riflettere sulla liturgia e trarne opportune risoluzioni d'impegno. Allo stesso tempo, ciò che in questi giorni verrà detto e fatto dovrà tendere a che la liturgia sia sempre meglio celebrata e compresa  e possa portare frutto nella vita.
            "Il giusto per fede vivrà": nella prima lettura S. Paolo, citando il profeta Abacuc, ci ha ricordato che la fede è il principio che deve illuminare e guidare tutta la nostra vita, compresa la nostra conoscenza, anzitutto quando essa si esercita sulle realtà che riguardano Dio e la salvezza. Quindi se vogliono approfondire le realtà sacre, tale studio dev'essere guidato soprattutto dalla luce della fede. Che durante questa conferenza, ma poi sempre quando si riflette sulla liturgia, tutti siano sempre guidati dalla luce della fede, dono che invochiamo durante questa Santa Eucaristia!   
 
            2. Iniziamo questa conferenza nazionale celebrando la memoria di S. Teresa di Gesù, vergine e dottore della Chiesa.
            Fare memoria dei Santi sottolinea un'importante dimensione della liturgia, richiamata  dalla conclusione del Prefazio di ogni Messa: "... uniti agli Angeli e agli Arcangeli e a tutti i santi del cielo, cantiamo senza fine l’inno della tua lode: Santo, Santo, Santo il Signore Dio dell’universo. I cieli e la terra sono pieni della tua gloria. Osanna nell’alto dei cieli" (Prefazio dei Santi, I).
            La Costituzione liturgica del Vaticano II ha così illustrato tale dimensione della liturgia: "Nella liturgia terrena noi partecipiamo per anticipazione alla liturgia celeste che viene celebrata nella santa città di Gerusalemme, verso la quale tendiamo come pellegrini, dove il Cristo siede alla destra di Dio quale ministro del santuario e del vero tabernacolo; insieme con tutte le schiere delle milizie celesti cantiamo al Signore l'inno di gloria; ricordando con venerazione i santi, speriamo di aver parte con essi; aspettiamo come Salvatore il Signore nostro Gesù Cristo, fino a quando egli comparirà, egli che è la nostra vita, e noi saremo manifestati con lui nella gloria" (SC, 8).

            Nella liturgia il Cielo si affaccia sulla nostra terra (cfr. Benedetto XVI, Esor. Ap. Sacramentum Caritatis, 35), Dio in tutta la sua maestà si mostra a noi, e noi incontriamo Cristo "il più bello fra i figli dell'uomo".
Papa Francesco ha ricordato che la "bellezza di quanto è liturgico... non è semplice ornamento e gusto per i drappi, bensì presenza della gloria del nostro Dio " (Omelia, Messa crismale 2013). Come la gloria di Dio si manifesta nella creazione (le perfezioni di Dio - dice S. Paolo ai Romani -,  "ossia la sua eterna potenza e divinità, vengono contemplate e comprese dalla creazione del mondo attraverso le opere da lui compiute"), così essa risplende nella preghiera ufficiale della Chiesa. È questo che rende bella la liturgia terrena della Chiesa, una bellezza che è intrinseca alla liturgia stessa e che non dipende in primo luogo dal nostro sforzo di renderla tale, ricorrendo magari a mezzi umani che non sono consoni alla liturgia stessa. Noi dobbiamo piuttosto permettere a questa bellezza divina di manifestarsi grazie al nostro modo di celebrare la liturgia. Fede, amore, silenzio, ordine, rispetto dei segni, dei gesti e delle parole liturgiche: tutti elementi necessari affinché possa essere percepita e vissuta l'intrinseca bellezza delle sacre celebrazioni.
            Purtroppo, si è diffusa la mentalità e la conseguente prassi per le quali la liturgia dovrebbe continuamente cambiare, dovrebbe adattarsi alle singole comunità, dovrebbe divenire interessante attraverso la nostra inventiva. Ma celebrazioni frutto di questa logica non manifesteranno la vera bellezza della Chiesa! Lo stesso bisogno di trovare sempre nuovi espedienti per rendere interessante la liturgia, indica quanto sia inconsistente ed effimera una bellezza creata da noi.
            Lo Spirito Santo illumini i lavori di questa conferenza nazionale e la vita liturgica in Indonesia affinché sempre più sia compresa la vera natura della bellezza della liturgia e tutti, ministri e fedeli, siano impegnati a farla risplendere in ogni celebrazione.        
 
            3. "Nella vita di S. Teresa ci offre un esempio, nell’intercessione un aiuto, nella comunione di grazia un vincolo di amore fraterno" (Prefazio dei Santi, I). Il culto dei Santi ci fa incontrare questi uomini e donne, che con noi formano l'unica Chiesa di Cristo, invitandoci ad imitarli e ad affidarci all'aiuto della loro intercessione presso Dio.
            In che cosa può ispirare l'esempio della grande Santa spagnola a questa conferenza sulla liturgia?
            La vita e l'opera di Teresa d'Avila si colloca in un'epoca segnata, da una parte, dalla Riforma protestante iniziata da Martin Lutero e, dall'altra, dalla Riforma cattolica, cioè la risposta della Chiesa cattolica alle esigenze di rinnovamento ecclesiale che si concretizzò soprattutto nell'opera del Concilio di Trento e nell'azione di tanti Santi e Sante di quel secolo. All'epoca della Santa carmelitana, dunque, si contrapponevano due tipi di riforma: una riforma che ha rotto l'unità visibile della Chiesa di Cristo e una riforma che ha prodotto, invece, una rifioritura di vita cristiana, i cui benefici influssi giungono fino a noi.  
            La storia ci mostra che quasi ad ogni epoca si fronteggiano nella Chiesa vere e false riforme. Anzi, all'interno di ogni processo di rinnovamento della vita ecclesiale, possono essere frammischiati elementi di vera riforma e altri che, invece, impoveriscono e deturpano il volto della Chiesa Occorre perciò individuare dei criteri per discernere fra vera e falsa riforma.
            Ora, tali criteri non possono essere soggettivi o meramente pragmatici, ma, essendo la Chiesa una realtà divino-umana, che si può conoscere veramente solo con la luce della Rivelazione divina, devono essere criteri di fede.
Se guardiamo la bimillenaria esperienza della Chiesa se ne possono individuare alcuni. Ogni vero rinnovamento della Chiesa deve compiersi in piena adesione alla dottrina della Chiesa; va condotto avanti nel rispetto della struttura gerarchica e della disciplina della Chiesa; deve edificare la comunione e l'unità della Chiesa, evitando ogni tendenza disgregatrice; deve rispettare l'eredità spirituale e devozionale del passato; deve contrastare le tendenze della natura umana decaduta e gli influssi della mentalità mondana; deve essere realizzata con atteggiamento di pazienza e umiltà.

            Questi criteri devono guidare anche la realizzazione di quanto il Concilio Vaticano II ha stabilito cinquant'anni or sono circa la liturgia. Questo mezzo secolo ha visto luci e ombre, aspetti positivi e negativi nella vita liturgica della Chiesa; ciò dipende anche dal fatto che le indicazioni del Concilio non sono state sempre realizzate secondo tali principi di ogni vera riforma ecclesiale.
            Invece, se guardiamo alla vita e all'opera di S. Teresa di Gesù, vi ritroviamo la piena realizzazione di queste esigenze della vera riforma ecclesiale. Al termine della sua vita ella poté esclamare con ragione: "Sono una figlia della Chiesa", e per questo ella diede impulso ad un vero e duraturo rinnovamento. La sua intercessione ottenga che le riflessioni di questi giorni, ma soprattutto la vita liturgica delle comunità cristiane in Indonesia siano sempre fedelmente ispirate a questi criteri, in modo che "il popolo cristiano ottenga più sicuramente le grazie abbondanti che la sacra liturgia racchiude" (SC, 21).
 
            4. La colletta della memoria odierna ci ha ricordato che lo Spirito Santo ha "suscitato nella Chiesa S. Teresa d'Avila per indicare una via nuova nella ricerca della perfezione". La Chiesa ce la propone non solo come modello, ma anche come maestra di vita spirituale. Nel 1970 il Servo di Dio Paolo VI la proclamò - prima donna insieme a S. Caterina da Siena - dottore della Chiesa.
            Come ricordava quel Pontefice, dottrina di Teresa "sono i segreti dell'orazione": guidata dallo Spirito Santo, ella li ha conosciuti "per via di esperienza" e "ha avuto l'arte di esporli". Dunque, ella porta alla Chiesa e al mondo soprattutto "il messaggio dell'orazione" (Omelia, 27 settembre 1970).
            Per S. Teresa la preghiera è "un colloquio tra amici e una familiarità con Dio, con cui in segreto conversiamo sapendo di essere da lui amati” (La Vita, 8, 5) ed è incentrata sulla contemplazione della Santissima Umanità di Cristo.
            È interessante il fatto che lo stesso Paolo VI abbia messo in connessione questo messaggio di S. Teresa di Gesù, dottore della Chiesa, con l'attuazione della riforma liturgica promossa dal Vaticano II: "Il messaggio dell’orazione! Viene a noi, figli della Chiesa, in un’ora segnata da un grande sforzo di riforma e di rinnovamento della preghiera liturgica" (Omelia, 27 settembre 1970).
            Nel contesto di questa conferenza nazionale sulla liturgia, l'insegnamento di S. Teresa ci richiama che anche la preghiera ufficiale della Chiesa deve condurre alla "familiarità con Dio", dev'essere vero colloquio con Lui. Non si tratta di un'affermazione scontata, perché la preghiera liturgica è esposta al pericolo di restare solo esteriore.
            Il richiamo all'interiorità risuona continuamente nelle parole dei profeti dell'Antico Testamento. Il Signore Gesù ha chiesto molte volte ai suoi discepoli la sintonia delle parole e delle opere con l'atteggiamento interiore del loro cuore. Anche nel Vangelo di oggi Egli invita a vivere consapevoli che "Colui che ha fatto l’esterno" ha "fatto anche l’interno", per cui non basta la purezza esteriore.  
           
Il Concilio Vaticano II, in sintonia con il Magistero dei Pontefici da San Pio X a Pio XII, ha raccomandato la "piena, consapevole e attiva partecipazione alle celebrazioni liturgiche" (SC, 14) da parte dei fedeli. Da allora molto si è discusso sul significato di tale partecipazione. Al riguardo, Benedetto XVI ha fatto rilevare che con "tale parola non si intende fare riferimento ad una semplice attività esterna durante la celebrazione" (Esor. Ap. Sacramentum Caritatis, n. 52). Purtroppo sappiamo bene quanto questa concezione riduttiva della partecipazione alla liturgia sia diffusa in teoria e in pratica.
            Va ribadito, come insegnava il Servo di Dio Pio XII, che "l'elemento essenziale del culto deve essere quello interno", perché, "diversamente, la religione diventa un formalismo senza fondamento e senza contenuto" (Enc. Mediator Dei). Per questo la "Sacrosanctum Concilium" chiede "la partecipazione attiva dei fedeli, sia interna che esterna" (n. 19); vuole che "i fedeli si accostino alla sacra liturgia con retta disposizione d'animo, armonizzino la loro mente con le parole che pronunziano e cooperino con la grazia divina per non riceverla invano" (n. 11).
La vera attuazione della riforma della liturgia deve quindi condurre tutto il popolo cristiano a pregare veramente nella liturgia e con la liturgia. Occorre che la liturgia sia guida e alimento della preghiera del cristiano, come anche auspicava il Movimento liturgico che ha preceduto la "Sacrosanctum Concilium". Per questa ragione in nome della preghiera liturgica non si può tralasciare né la preghiera personale, né i "pii esercizi" che dalla liturgia scaturiscono e alla quale riconducono (cfr. SC, 13).    
            Alla fine la vera realizzazione della riforma liturgica dipende da questo: se chi partecipa alla liturgia davvero prega sempre più con quella profondità di colloquio con Dio che oggi vediamo risplendere in S. Teresa. È significativo che il Beato Giovanni Paolo II, ricordando dieci anni or sono l'approvazione della "Sacrosanctum Concilium", abbia indicato questa priorità: "la pastorale liturgica... deve instillare il gusto della preghiera" (Lett. Ap. Spiritus et Sponsa, 14). Mi sembra un programma valido anche per questo incontro e per l'azione pastorale di tutta la Chiesa in Indonesia: dare il gusto della preghiera!                  
 
            5. Se volessimo riassumere le riflessioni finora fatte, potremmo dire che tutto nella liturgia, nella sua celebrazione e nel suo studio, esige la fede. La fede ci fa comprendere cos'è la liturgia e come dobbiamo celebrarla. La fede ci offre anche i giusti criteri per promuovere la vita liturgica dei fedeli e della comunità. È questa una verità che l'Anno della Fede, che stiamo celebrando, ci richiama con forza.
            In ogni Celebrazione Eucaristica la Chiesa invoca con questa fede dal Padre il dono dello Spirito Santo per santificare i doni del pane e del vino "perché diventino il corpo e il sangue di Gesù Cristo" e su di noi "perché diventiamo, in Cristo, un solo corpo e un solo spirito" (Preghiera Eucaristica III).
            Ogni opera di riforma autentica é anzitutto frutto dell'azione purificatrice e santificatrice dello Spirito Santo nelle anime.
È stato Lui a trasformare i cuori di uomini e donne - i Santi - che hanno rinnovato la Chiesa e il mondo.             Fu così anche per S. Teresa, alla cui intercessione oggi affidiamo l'impegno di tutti nella Chiesa in Indonesia a celebrare e a vivere sempre più adeguatamente, cioè con viva fede, i santi misteri.
           
Grazie a questa fede la grande Santa spagnola vedeva in ogni Santa Messa il rinnovarsi della presenza viva e salvifica del Signore Gesù nella storia dell'umanità, presenza pari a quella della Sua vita terrena: "Se, quando era nel mondo, il solo tocco delle sue vesti sanava gli infermi, come si può dubitare, avendo fede, che non farà miracoli così intimamente unito a noi, e non ci darà quanto gli chiederemo, trovandosi nella nostra casa?" (Cammino di perfezione, 34,8). Di sè scriveva: "Il Signore le aveva dato una fede così viva che quando udiva dire da alcuni che avrebbero voluto vivere al tempo in cui Cristo, nostro Bene, era in questo mondo, rideva dentro di sé, sembrandole che, se lo si possedeva nel santissimo Sacramento così realmente come allora, null’altro dovesse loro importare" (34,6).
            S. Teresa ci ricorda anche come un tale incontro col Signore esiga di essere ricambiato da parte nostra: "Sua Maestà pertanto ci usa una grande misericordia nel volere che ci rendiamo conto della sua presenza nel santissimo Sacramento. Ma farsi vedere apertamente, comunicare le sue grandezze e distribuire i suoi tesori, non vuol concederlo se non a coloro di cui scorge l’ardente desiderio che hanno di lui, perché questi sono i suoi veri amici" (34,13).     
            Chiediamo a S. Teresa di ottenerci questa fede e questo amore mentre celebriamo i sacri misteri oggi e ogni giorno! Amen.





Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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