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San Gregorio Magno Regola Pastorale

Ultimo Aggiornamento: 29/11/2013 09:59
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Sesso: Femminile
29/11/2013 09:50
 
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25 — Come bisogna ammonire coloro che rifiutano l’ufficio della predicazione per eccessiva umiltà e coloro che se ne impadroniscono con fretta precipitosa


 


Diverso è il modo di ammonire coloro che, pur essendo in grado di predicare degnamente, temono di farlo per eccessiva umiltà, e quelli a cui sarebbe proibito da qualche difetto o dall’età e tuttavia l’irruenza li spinge a farlo. Infatti, coloro che potrebbero predicare utilmente ma ne rifuggono per umiltà eccessiva bisogna ammonirli, a dedurre da esempi di minor conto, l’entità di quel che essi trascurano affatto in cose di maggior conto. Se infatti essi nascondessero, a dei prossimi bisognosi, del denaro in loro possesso, ne faciliterebbero senz’altro la rovina. Vedano allora con quale colpa si legano, dal momento che, sottraendo a dei fratelli peccatori la parola della predicazione, nascondono medicine di vita ad anime che stanno morendo. Perciò dice bene un sapiente: Sapienza nascosta e tesoro non visto, quale utilità in ambedue? (Sir. 20, 32). Se la fame sfinisse la popolazione ed essi custodissero nascosto del frumento, sarebbero senza dubbio autori di morte. Considerino dunque con che pena meritano di essere colpiti loro, che, mentre le anime muoiono di fame della Parola, non distribuiscono il pane della grazia ricevuta. Perciò bene è detto per mezzo di Salomone: Chi nasconde il grano sarà maledetto tra i popoli (Prov. 11, 26); poiché nascondere il grano significa trattenere presso di sé le parole della predicazione santa. Una tale persona viene maledetta tra i popoli perché per la ‘sola colpa del silenzio, viene condannata in proporzione a quella che sarà la pena di molti, che avrebbe potuto correggere.


Se ci fosse chi conosce bene l’arte medica e vedesse una ferita da incidere e tuttavia ricusasse di farlo, peccherebbe certamente come responsabile della morte del fratello solo per pigrizia. Vedano dunque quanto sia grande la colpa in cui si avvolgono, coloro che mentre riconoscono le ferite dei cuori trascurano di curarle col taglio delle parole. Perciò è anche ben detto per mezzo del profeta: Maledetto chi tiene lontano la sua spada dal sangue (Ger. 48, 10), poiché tener lontano la spada dal sangue corrisponde a trattenere la parola della predicazione dall’uccidere la vita carnale. E di questa spada di nuovo è detto: E la mia spada mangerà le carni (Deut. 32, 42). Costoro dunque, quando nascondono presso chi sé la parola della predicazione, ascoltino con terrore le divine. sentenze pronunciate contro di loro. Ascoltino che colui, il quale non volle commerciare il talento, lo perdette insieme con la sentenza di condanna (cf. Mt. 25, 24 ss.). Ascoltino come Paolo tanto più si considerò puro del sangue dei suoi prossimi, quanto più non li risparmiò dal colpire i loro vizi dicendo: Affermo davanti a voi, oggi, che sono puro del sangue di tutti: infatti non mi sottrassi dall’annunziarvi ogni consigliò di Dio (Atti, 20, 26-27). Ascoltino ciò che Giovanni ammonisce con voce angelica, quando è detto: Chi ascolta dica: Vieni (Ap. 22, 17); certo, perché colui nel quale si insinua una voce interiore chiami altri e trascini là, dove egli stesso è rapito, affinché non trovi le porte chiuse, nonostante sia stato invitato, se si avvicina a mani vuote a colui che lo chiama. Ascoltino Isaia, il quale, poiché aveva taciuto dal ministero della parola, illuminato dalla luce celeste, con grande voce di pentimento, rimprovera se stesso dicendo: Guai a me, perché ho taciuto (Is. 5, 5). Ascoltino ciò che è promesso per mezzo di Salomone, cioè che sarà moltiplicata la scienza della predicazione in colui che avendola già ottenuta non si trattiene da essa per il vizio della indolenza. Dice infatti: L’anima che benedice sarà impinguata e chi inebria è lui pure inebriato (Prov. 11, 25). Infatti, chi benedice esteriormente predicando, accoglie la pinguedine della crescita interiore; e mentre non cessa di inebriare l’animo degli ascoltatori col vino della Parola, cresce a sua volta inebriato dalla bevanda del dono così moltiplicato. Ascoltino ciò che David offri in dono a Dio, poiché non nascose la grazia della predicazione che aveva ricevuto, dicendo: Ecco, non terrò chiuse le mie labbra, Signore, tu lo sai: non ho nascosto nel mio cuore la tua giustizia, la tua verità e la tua salvezza ho proclamato (Sal. 39, 10-11). Ascoltino ciò che si dice nel colloquio dello sposo con la sposa: Tu che abiti nei giardini, gli amici [ti] ascoltano; fammi udire la tua voce (Cant. 8, 13). È la Chiesa che abita nei giardini, e conserva le pianticelle ben coltivate delle virtù per un rigoglio interiore. E gli amici che ascoltano la sua voce sono gli eletti e coloro che desiderano la parola della sua predicazione. Ed anche lo sposo desidera di udire quella voce, poiché anch’egli anela alla sua predicazione attraverso le anime dei suoi eletti. Ascoltino come Mosè, vedendo che Dio era adirato col popolo e ordinando di dare il via alla vendetta, con la spada, dichiarò che erano dalla parte di Dio coloro che senza esitazione avrebbero colpito il delitto dei peccatori, dicendo: Se uno è del Signore, si unisca a me; ponga ogni uomo la spada sulla sua coscia: andate e tornate da porta a porta attraversando l’accampamento nel mezzo e ciascuno uccida il fratello e l’amico e il suo prossimo (Es. 32, 27).

Porre la spada sulla coscia è anteporre l’amore della predicazione ai piaceri della carne, poiché, quando uno desidera di parlare di cose sante, bisogna che abbia cura di sottomettere le suggestioni illecite. Andare, poi, da una porta all’altra è passare col rimprovero da un vizio all’altro, poiché da essi entra la morte per l’anima. Attraversare il campo nel mezzo significa vivere nella Chiesa con tanto disinteresse che colui il quale rimprovera le colpe dei peccatori non si deve piegare a favorire alcuno. Perciò giustamente si aggiunge: L’uomo forte uccida il fratello, l’amico e il suo prossimo. Cioè, uccide il fratello, l’amico, il prossimo, colui che quando scopre qualcosa degno di punizione, non risparmia dalla spada del rimprovero neppure coloro che ama per legame di parentela. Se dunque è detto appartenente a Dio colui che è eccitato dallo zelo dell’amore divino a colpire i vizi, negano certamente di essere di Dio coloro che rifiutano di rimproverare, in quanto possono, la vita di uomini carnali. Al contrario, coloro ai quali, o una imperfezione naturale o l’età proibisce l’ufficio della predicazione e tuttavia vi sono spinti dall’irruenza, bisogna ammonirli a non tagliarsi la via di un miglioramento successivo coll’arrogarsi, nella loro irruenza, il peso di un ufficio così grave; e a non perdere anche ciò che avrebbero potuto compiere, prima o poi ma al tempo giusto, coll’impadronirsi, fuori tempo, di ciò di cui non sono capaci; e quindi di non mostrare di avere giustamente perduto questa scienza della predicazione, perché si sono sforzati a ostentarla impropriamente. Bisogna ammonirli a considerare che, se i piccoli degli uccelli vogliono volare prima di avere tutte le penne, dal luogo che abbandonano, nella brama di salire in alto, precipitano nel profondo. Bisogna ammonirli a considerare che, se si pone il peso di una travatura sopra strutture recenti e non ancora consolidate, non si fabbrica una abitazione ma un crollo. Bisogna ammonirli a considerare che se le donne partorissero i figli concepiti prima che fossero pienamente formati, non riempirebbero le case, ma le tombe.
È perciò, infatti, che la Verità stessa, che pure avrebbe potuto dare subito una tale forza a chi voleva, per lasciare un esempio a quelli che sarebbero venuti in seguito, perché non avessero la presunzione di predicare quando non fossero ancora in grado di farlo, dopo avere pienamente istruito i discepoli sulla virtù della predicazione, aggiunse immediatamente: Voi però rimanete nella città finché siate rivestiti della virtù dall’alto (Lc. 24, 49). Dunque noi restiamo in città se ci chiudiamo nel chiostro del nostro animo per non andare vagando coi discorsi all’esterno; e usciamo invece fuori di noi stessi per istruire anche gli altri, solo allora quando ci siamo rivestiti pienamente della virtù divina. Perciò è detto per mezzo di un sapiente: Giovane, parla solo se ti è proprio necessario, e se sei interrogato due volte, allora incomincia a parlare (Sir. 32, 10). È perciò che il medesimo nostro Redentore, pur essendo creatore e sempre, nella manifestazione della sua potenza, dottore degli angeli, nei cieli; in terra, non volle essere maestro degli uomini prima dei trent’anni; ciò evidentemente per infondere nei precipitosi la forza di un sanissimo timore, in quanto anch’egli stesso che non avrebbe potuto cadere, non predicava la grazia di una vita perfetta se non dopo avere compiuto l’età; poiché sta scritto: Quando ebbe dodici anni, il bambino Gesù rimase a Gerusalemme (Lc. 2, 42), e poco dopo si aggiunge di lui, il quale era stato ricercato dai genitori: Lo trovarono nel Tempio che sedeva in mezzo ai dottori, li ascoltava e interrogava (Lc. 2, 46). Dunque, bisogna considerare attentamente che, quando si parla di Gesù dodicenne che sedeva in mezzo ai dottori, si dice che viene trovato a interrogare, non a insegnare. Con questi esempi, evidentemente, si vuole dimostrare che nessuno, che non ne abbia la forza, deve osare insegnare, se quel bambino, con le sue domande, volle essere istruito; lui, che per la potenza della sua divinità aveva dispensato la parola della scienza ai suoi stessi dottori. Ma quando per mezzo di Paolo si dice al discepolo: Ordina queste cose e insegna; nessuno disprezzi la tua adolescenza (1 Tim. 4, 11-12), dobbiamo intendere che, nel discorso sacro, talvolta la giovinezza è chiamata adolescenza. E ciò si dimostra subito citando ad esempio le parole di Salomone: Gioisci giovane, nella tua adolescenza (Qo. 11, 9). Infatti se non avesse inteso l’una e l’altra come una cosa sola, non avrebbe chiamato giovane colui che ammoniva nella sua adolescenza.

 

26 — Come bisogna ammonire coloro a cui tutto, e coloro a cui nulla accade secondo la loro volontà

 

Diverso è il modo di ammonire coloro che prosperano nei beni temporali, in tutto quanto desiderano, e coloro che, pure accesi di desiderio delle cose mondane, durano la fatica di una pesante fortuna avversa. Infatti, i primi bisogna ammonirli a non trascurare di cercare colui che dà, dal momento che hanno tutto quanto basta al loro desiderio; e a non fissare il proprio animo nelle cose che sono loro date, così da amare il cammino verso la patria, invece che la patria stessa; a non mutare gli aiuti ricevuti per il viaggio in ostacoli al raggiungimento della meta e, dilettati dalla luce notturna della luna, a non rifuggire dalla vista luminosa del sole. Così, bisogna ammonirli a non credere che tutti quanti i beni che conseguono in questo mondo siano il premio di quel che hanno meritato, e non, invece, sollievo dalla sventura; levino la mente contro i favori del mondo, per non soccombere in essi col cuore tutto preso dal loro diletto. Infatti, chiunque nella considerazione del suo cuore non reprime la prosperità di cui gode con l’amore di una migliore vita, rende i vantaggi di una vita che passa occasione di una morte perpetua. È perciò infatti che coloro i quali si rallegrano dei successi di questo mondo vengono rimproverati, in persona degli Idumei che si lasciarono vincere dalla loro prosperità, quando è detto: Si presero la mia terra in eredità con gioia, con tutto il cuore, con tutta l’anima (Ez. 36, 5). E da queste parole si può considerare che non è solamente perché godono, ma è perché godono con tutto il cuore e con tutta l’anima che vengono colpiti con un severo rimprovero. Perciò dice Salomone: Il rifiuto dei piccoli li ucciderà e la prosperità degli stolti li perderà (Prov. 1, 32). Perciò Paolo ammonisce dicendo: Chi compra come se non possedesse, chi usa di questo mondo come se non ne usasse (1 Cor. 7, 30). Ciò, per dire che quanto abbiamo in abbondanza deve servirci esteriormente così da non distoglierci l’animo dall’amore della gioia celeste. Le cose che ci offrono un aiuto, finché siamo nell’esilio, non indeboliscano in noi il lutto dell’intimo stato di pellegrini; e non godiamo, come gente felice, di beni passeggeri, noi che ora ci vediamo infelici, lontano da quelli eterni. È perciò infatti che la Chiesa dice, con la voce degli eletti: La sua sinistra è sotto il mio capo e la sua destra mi abbraccia (Cant. 2, 6). Dio ha posto la sua sinistra, cioè la prosperità della vita presente, sotto il capo, e la preme la tensione verso l’amore sommo; ma la destra di Dio l’abbraccia poiché la Chiesa nella offerta di sé è tutta contenuta nella sua eterna beatitudine. Perciò ancora è detto per mezzo di Salomone: Lunghezza di giorni nella sua destra, e nella sua sinistra le sue ricchezze e la sua gloria (Prov. 3, 16).
E insegna, così, come si debbano usare ricchezze e gloria che egli pone nella mano sinistra. Perciò dice il salmista: La tua destra mi fa salvo (Sal. 107, 7). Infatti non dice mano, ma destra, evidentemente per indicare, dicendo destra, che era la salvezza eterna che egli cercava. Perciò ancora è scritto: La tua destra Signore ha infranto i nemici (Es. 15, 6. LXX); infatti i nemici di Dio, quantunque nella sua sinistra si avvantaggino, dalla destra sono infranti, poiché per lo pin la vita presente innalza i malvagi, ma l’avvento della felicità eterna li condanna. Bisogna ammonire coloro che godono della prosperità in questo mondo, a considerare accortamente che la prosperità di questa vita talvolta è data proprio per incitare ad una vita migliore e altra volta invece per una più piena dannazione eterna. È perciò infatti che viene promessa al popolo israelita la terra di Canaan, perché prima o poi sia incitato alle speranze eterne. Né d’altra parte quel rozzo popolo avrebbe creduto alle promesse di Dio,. riguardanti il futuro, se non avesse ricevuto, da colui che le aveva fatte, qualcosa anche al presente. Dunque, per dare una più solida certezza alla [sua] fede nei beni eterni, non è solo con la speranza che lo si attira a quei beni, ma è pure coi beni temporali che lo si conduce a sperare. E ciò è chiaramente attestato dal salmista che dice: Diede ad essi i territori delle genti e possedettero il frutto delle fatiche di quei popoli, perché custodissero i suoi decreti e ricercassero la sua legge (Sal. 104, 44). Ma quando l’anima dell’uomo non corrisponde con le buone opere a Dio, che è largo verso di essa, proprio a causa di quei beni che si crede le siano alimento alla pietà, essa viene più giustamente condannata. Perciò, infatti, si dice ancora per mezzo del salmista: Li hai abbattuti mentre si consolavano (Sal. 72, 18). Poiché, quando i reprobi non corrispondono ai doni di Dio con opere di giustizia, quando abbandonano completamente se stessi in questa vita e si lasciano andare alla sovrabbondanza del benessere, ciò per cui esteriormente hanno successo è la causa della loro caduta spirituale. Ed è perciò che al ricco tormentato nell’inferno si dice: Hai ricevuto beni nella tua vita (Lc. 16, 25). Infatti anche il cattivo riceve beni in questa vita, proprio per questo, cioè per ricevere più pienamente il male nell’altra; poiché qui non si è convertito neppure per mezzo di quei beni. Al contrario, coloro che pure accesi di desiderio delle cose mondane, durano la fatica di una pesante fortuna avversa, bisogna ammonirli ad apprezzare con attenta considerazione, con quanta grazia il Creatore, che dispone tutto, vigila su di loro, non permettendo che si lascino andare ai loro desideri. Giacché, al malato senza speranza di guarigione, il medico concede di prendere tutto ciò che desidera, ma chi si crede possa guarire, si proibiscono molte cose di cui egli sente voglia. Inoltre, non diamo soldi in mano ai bambini, ai quali pure riserviamo tutto intero il patrimonio in quanto ne sono eredi. Perciò dunque, gioiscano della speranza della eredità eterna, coloro che sono umiliati dall’avversità della vita temporale, perché, se la dispensazione divina non li riguardasse come fatti per la salvezza eterna, non li frenerebbe sotto il governo della disciplina. Pertanto bisogna ammonire coloro che, accesi dal desiderio di beni temporali, durano la fatica di una pesante fortuna avversa, a considerare con premura che spesso anche i giusti, quando la potenza mondana li esalta, sono afferrati come in un laccio dalla colpa. Così, come abbiamo già detto nella prima parte di quest’opera (I, par. 3), David amato da Dio fu più giusto nel periodo del suo servizio che quando giunse al regno.

Infatti, da servo, per amore della giustizia, ebbe timore di colpire l’avversario che aveva nelle mani (cf. 1 Sam. 24, 18); da re, invece, indotto dalla lussuria, uccise un soldato devoto con studiata frode (cf. 2 Sam. 11, 7). Chi, dunque, potrà cercare senza danno ricchezze, potere e gloria se queste cose furono dannose perfino a colui che le ebbe senza averle cercate? Chi, in mezzo ad esse, potrà salvarsi senza correre la fatica di un grande pericolo, se colui che era stato preparato ad esse dalla scelta di Dio rimase turbato dalla colpa che vi si era insinuata? Bisogna ammonirli a considerare come non si ricorda che Salomone — il quale viene descritto come chi cadde nell’idolatria pur dopo aver ricevuto tanta sapienza (1 Re, 11, 4 ss.) — avesse avuto in questa vita alcuna avversità prima di cadere, ma dopo che gli fu concessa la sapienza, lasciò andare completamente il suo cuore, che nessuna tribolazione, neppure la più piccola, aveva custodito con la sua disciplina.

 

27 — Come si devono ammonire i coniugati e i celibi

 

Diverso è il modo di ammonire quelli che sono vincolati dal matrimonio, e quelli che sono liberi dal vincolo matrimoniale. Bisogna ammonire i primi, quando pensano vicendevolmente l’uno all’altro, a studiarsi di piacere al coniuge in modo da non dispiacere al Creatore; e trattino le cose di questo mondo così: da non tralasciare di aspirare a quelle che sono di Dio; e godano dei beni presenti così da temere tuttavia, con viva attenzione, i mali eterni; e piangano i mali presenti in modo dà fissare però, con intatta consolazione, la loro speranza nei beni eterni, dal momento che sanno che ciò che fanno passa, e ciò cui aspirano resta; né i mali del mondo spezzino il loro cuore; poiché la speranza dei beni eterni lo conforta; né i beni della vita presente lo ingannino, poiché lo rattrista il timore dei mali del giudizio futuro. E così, l’animo degli sposi cristiani è insieme debole e fedele, tale che non è capace di disprezzare pienamente tutti i beni temporali, e tuttavia è capace di unirsi, nel desiderio, alle realtà eterne; e quantunque per ora giaccia nel piacere della carne, si rinvigorisce con l’alimento della speranza celeste. Dunque se nel viaggio usa delle cose del mondo, spera in quelle di Dio come frutto della meta raggiunta; e non si consegni interamente a ciò che fa per non cadere del tutto da ciò che avrebbe dovuto sperare con forza. Paolo esprime bene e brevemente ciò, dicendo: Chi ha moglie sia come se non l’avesse; e chi piange come se non piangesse; e chi gode come se non godesse (1 Cor. 7, 29-30). Poiché ha moglie come se non l’avesse, colui che con lei usa della consolazione della carne, in modo che mai, tuttavia, per amore di lei, si piega, dalla rettitudine della migliore intenzione, ad azioni depravate. Ha moglie come se non l’avesse, colui che, vedendo come tutte le cose sono transitorie, tollera per necessità la cura della carne, ma lo spirito attende con tutto il desiderio le gioie eterne. Piangere non piangendo è piangere le avversità esteriori sapendo tuttavia godere della consolazione della speranza eterna. E, ancora, godere non godendo è innalzare tanto l’animo dalle bassezze, che esso non cessi mai di temere le realtà supreme. E qui, appropriatamente, poco dopo aggiunge pure: Passa, infatti, la figura di questo mondo (1 Cor. 7, 31). Come se dicesse apertamente: Non amate stabilmente il mondo, dal momento che ciò stesso che amate non può rimanere; vanamente fissate il cuore come se foste destinati a rimanere, mentre fugge colui stesso che amate. Bisogna ammonire i coniugi a tollerare a vicenda, con pazienza, ciò in cui talvolta l’uno dispiace all’altro; e a salvarsi esortandosi a vicenda. Infatti è scritto: Portate a vicenda i vostri pesi e così adempirete la legge di Cristo (Gal. 6, 2).

E la legge di Cristo è la carità; poiché per essa egli ci ha donato largamente i suoi beni e con mitezza ha portato i nostri mali. Dunque, adempiremo la legge di Cristo come i suoi imitatori quando offriremo benignamente i nostri beni e sosterremo con spirito di pietà i mali del nostro prossimo. Bisogna ammonirli pure a badare, ciascuno di essi, non tanto a ciò che l’uno deve sopportare dall’altro quanto a ciò che l’altro deve sopportare di suo. Se infatti ciascuno considera i pesi che lui fa portare, porta a sua volta più leggermente i pesi altrui che deve sostenere. Bisogna ammonire gli sposi a ricordarsi che essi sono uniti allo scopo di avere figli, e quando, servendo ad una unione sfrenata, mutano il momento della propagazione in pratica del piacere, considerino che, anche se ciò non avviene al di fuori dell’unione matrimoniale, tuttavia nel matrimonio stesso essi oltrepassano i diritti del matrimonio. Per cui è necessario che, con frequenti orazioni, cancellino ciò che, per la mescolanza col piacere, macchia la bellezza dell’atto coniugale. È perciò infatti che l’Apostolo, esperto di medicina celeste, non ammaestrò tanto i sani, quanto mostrò i rimedi ai malati dicendo: Quanto a ciò che mi avete scritto: È bene per l’uomo non toccare donna; ma per rimedio alla fornicazione ciascuno abbia la propria moglie e ciascuna abbia il proprio marito (1 Cor. 7, 1-2). Ma se mise avanti il timore della fornicazione, certo non stabili il precetto per quelli che stanno saldi in piedi, bensì mostrò un letto a coloro che cadono perché non rovinassero in terra. Perciò ancora, ai vacillanti, aggiunse: Il marito dia alla moglie ciò che le deve e così la moglie al marito (1 Cor. 7, 3); ma, nel fare ad essi qualche concessione riguardo al piacere, nell’ambito di una onestissima unione, aggiunse: Ma questo lo dico per indulgenza, non per comando (1 Cor. 7, 6); e accenna evidentemente che si tratta di colpa; poiché parla di un oggetto di indulgenza, ma di colpa tale che tanto più presto è condonata in quanto con essa non si compie qualcosa di illecito in sé, ma piuttosto non si contiene, in un ambito di moderazione, ciò che di per sé è lecito. Ed è ciò che Lot esprime bene in se stesso quando fugge Sodoma in fiamme e tuttavia, trovando Segor, non sali subito la montagna (cf. Gen. 19, 30).
Fuggire Sodoma in fiamme significa rinunciare agli incendi illeciti della carne, e l’altezza dei monti è la purezza delle persone continenti.

Ora, sono certamente come chi sta sul monte perfino coloro che, pur aderendo all’unione carnale, tuttavia non si abbandonano ad alcun piacere della carne al di fuori di quell’atto compiuto per avere figli. Stare sul monte, cioè, significa non cercare nella carne se non il frutto della generazione. Stare sul monte significa non aderire carnalmente alla carne. Ma poiché ci sono molti che rinunciano ai peccati della carne e tuttavia, posti nello stato matrimoniale; non ne osservano solamente i diritti del suo debito uso, usci appunto Lot da Sodoma e tuttavia non giunse subito sui monti, a indicare che quando già è abbandonata la vita degna di condanna, l’altezza della continenza coniugale non è però ancora raggiunta in tutta la sua perfezione. Ma c’è nel mezzo la città di Segor, per salvare il debole che fugge, poiché naturalmente, quando i coniugi si uniscono a causa dell’incontinenza, fuggono la caduta del peccato e tuttavia si salvano per condiscendenza.
È come se trovassero una piccola città che li difende dal fuoco, poiché una tale vita coniugale non è certo mirabile per la virtù e tuttavia è sicura dal castigo. Perciò il medesimo Lot dice all’angelo: C’è qui vicino una piccola città in cui posso rifugiarmi e mi salverò in essa. Non è forse modesta, e la mia anima vivrà in essa? (Gen. 19, 20). Dunque, è detta vicino e tuttavia è indicata come sicura per la salvezza, poiché la vita coniugale non è separata di molto dal mondo e tuttavia non è estranea alla gioia della salvezza. I coniugi però, in tale stato, custodiscono la loro vita come in una piccola città, quando intercedono per se stessi con suppliche assidue. Perciò viene detto anche al medesimo Lot, per mezzo dell’angelo: Ecco, ho ascoltato le tue preghiere anche in questo: non distruggerò la città in favore della quale hai parlato (Gen. 19, 21); poiché è chiaro che non è condannata quella vita matrimoniale in cui i coniugi si rivolgono a Dio con la supplica, riguardo alla quale anche Paolo ammonisce dicendo: Non privatevi l’uno dell’altro se non d’accordo e per un tempo stabilito, per essere liberi per la preghiera (1 Cor. 7, 5). Al contrario, coloro che non sono legati nel matrimonio bisogna ammonirli a servire tanto pin rettamente i comandamenti divini quanto meno li inclina alle cure del mondo il giogo dell’unione carnale; e poiché non sono gravati dal peso lecito del matrimonio, non gravi su di loro il peso illecito della preoccupazione terrena, ma l’ultimo giorno li trovi tanto più pronti quanto più leggeri; e poiché, liberi come sono, possono compiere opere tanto più meritorie, non le trascurino così da meritare, per questo, supplizi tanto più gravi. Ascoltino l’Apostolo, il quale, volendo formare alcuni alla grazia del celibato, non disprezzò il matrimonio, ma respinse le cure mondane che nascono da esso dicendo: Ciò lo dico per vostra utilità, non per gettarvi un laccio; ma per indicarvi ciò che è onesto e offre la possibilità di servire Dio senza impedimento (1 Cor. 7, 35).
Dal matrimonio, dunque, procedono le preoccupazioni terrene, e perciò il maestro delle genti volle persuadere i suoi ascoltatori a cose migliori perché non si legassero alla preoccupazione terrena. Pertanto, il celibe, trattenuto dall’impedimento delle cure temporali, è uno che non si è sottoposto al matrimonio e tuttavia non è sfuggito ai suoi pesi. Bisogna ammonire i celibi a non pensare di potersi unire a donne di liberi costumi, senza incorrere nel giudizio di condanna. Infatti, quando Paolo inserì il vizio della fornicazione fra tanti peccati esecrabili, indicò la sua gravità dicendo: Né i fornicatori né gli idolatri né gli adulteri né gli effeminati né gli omosessuali né i ladri né gli avari né gli ubriachi né i maldicenti né i rapaci possiederanno il regno di Dio (1 Cor. 6, 9-10). E ancora: I fornicatori e gli adulteri li giudicherà Dio (Ebr. 13, 4). Pertanto se sopportano le. tempeste delle tentazioni con pericolo della salvezza, bisogna ammonirli a cercare il porto del matrimonio, infatti è scritto: È meglio sposarsi che ardere (1 Cor. 7, 9). Non è colpa se si sposano, purché in precedenza non si siano impegnati con voti a uno stato di vita più perfetto. Infatti, chi si era proposto un bene maggiore, rende illecito il bene minore che prima gli sarebbe stato lecito. Perciò è scritto: Nessuno che mette la mano all’aratro e si volta a guardare indietro è adatto al regno dei cieli (Lc. 9, 62). Dunque, chi si era rivolto a un interesse più forte è convinto a guardare indietro se, abbandonati i beni maggiori, ripiega sui minimi.

 

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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