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La Vergine Maria nella formazione intellettuale e spirituale dei cristiani-cattolici

Ultimo Aggiornamento: 29/06/2014 11:34
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10/01/2014 13:27
 
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  Problemi attuali di mariologia  

di GIUSEPPE DAMINELLI, smm

«Saluto mai altre volte udito»
   

"Piena di grazia": Maria è stata e rimane colmata dal favore divino. Ed è nostra sicura vocazione...
 

Nelle litanie lauretane invochiamo la Vergine come santa Maria, santa Madre di Dio, santa Vergine delle vergini, Regina dei santi, e le chiediamo di pregare per noi peccatori, perché ci aiuti a diventare santi. Ciò vuol dire che riconosciamo in lei non solo l’icona della nostra santità, ma pure il suo ruolo di cooperatrice, di formatrice di santi.

Ci soffermeremo questa volta sull’invocazione Santa Maria, per comprendere cosa vuol dire essere santi, e cogliere così le ragioni per cui diciamo santa la Vergine Maria ed imparare da lei le vie per le quali si giunge alla santità.

F. Botticini (1446-1497), L'Annunciazione (part.), Museo di Empoli (Firenze).
F. Botticini (1446-1497), L’Annunciazione (part.), Museo di Empoli (Firenze – foto Paolo Ferrari).

Cosa vuol dire essere santi? Nell’Antico Testamento il termine Santo – Qadosh, in ebraico, eAghios in greco – vuol dire Separato (Dio, il Tutt’Altro; il Santo d’Israele). A Mosè che voleva avvicinarsi a vedere il roveto ardente, disse il Signore: «Non avvicinarti! Togliti i sandali dai piedi, perché il luogo sul quale tu stai è una terra santa» (Es 3,5).

Con Isaia si passa dalla santità intesa come separazione fisica, esterna, alla santità intesa come separazione morale, interna da tutto ciò che non piace a Dio, al Santo d’Israele. Il Profeta sente i serafini che «proclamavano l’uno all’altro: "Santo, santo, santo è il Signore degli eserciti. Tutta la terra è piena della sua gloria"» (Is 6,3). La santità di Dio esige dall’uomo che sia anche lui santificato, cioè separato dal profano, purificato dal peccato, partecipando alla giustizia di Dio.

Nel Nuovo Testamento la nozione di santità si precisa con la rivelazione che Gesù fa dello Spirito Santo. Dio comunica la sua santità. Nel battesimo si diventa veramente figli di Dio e compartecipi della natura divina, e perciò veramente santi. Il battezzato deve quindi, con l’aiuto di Dio, mantenere e perfezionare, vivendola, la santità che ha ricevuto (LG 40). Il cristiano è tempio dello Spirito Santo (1Cor 6,19).

Santità del matrimonio, miniatura francese del sec. XV, Biblioteca reale del Belgio, Bruxelles.
Santità del matrimonio, miniatura francese del sec. XV, Biblioteca reale del Belgio, Bruxelles (foto Lores Riva).

Maria è santa, santissima; è la Tuttasanta (la Panaghia).

Nell’Annunciazione Maria è salutata con l’appellativo di "Piena di grazia", Kecharitomene. È un titolo che le è rivolto da Dio, mediante l’Angelo. Potremmo dire che questo è il nome proprio di Maria.

Qual è la portata di questo nome? Esso vuol dire che Maria è stata e rimane colmata dal favore divino e che questo favore l’ha tutta trasformata, santificata. Scrive Pio IX nella lettera apostolica Ineffabilis Deus dell’8 dicembre 1854: «Gli stessi Padri e gli scrittori della Chiesa, considerando attentamente che la beatissima Vergine, in nome e per ordine di Dio stesso, fu chiamata "Piena di grazia" dall’angelo Gabriele... insegnarono che, con questo singolare e solenne saluto, mai altre volte udito, viene manifestato che la Madre di Dio fu sede di tutte le grazie, ornata di tutti i carismi del divino Spirito, anzi tesoro quasi infinito e abisso inesauribile dei medesimi carismi, cosicché giammai fu sottoposta alla maledizione, ma fu partecipe insieme al Figlio della perpetua benedizione».

A questa pienezza di grazia, a questa santità ricevuta da Dio, Maria ha sempre e pienamente corrisposto: «Già piena di grazia quando fu salutata dall’arcangelo Gabriele, Maria ne fu ricolma con sovrabbondanza quando lo Spirito Santo stese su di lei la sua ombra ineffabile. Poi crebbe talmente di giorno in giorno e di momento in momento in quella duplice pienezza, che raggiunse un grado di grazia immenso e inconcepibile» (Montfort, Vera devozione 44).

N. De Landi (sec. XV), Madonna e santi Giovanni Battista e Caterina di Alessandria, Norton Simon Museum of Art, Pasadena (California).
N. De Landi (sec. XV), Madonna e santi Giovanni Battista e Caterina di Alessandria,
Norton Simon Museum of Art, Pasadena (California).

Così Maria diventa icona di santità per tutti i fedeli: sacerdoti, religiosi, laici. Volendo concretare i percorsi obbligati, quasi paradigma di verifica della nostra personale imitazione della santità di Maria, potremmo indicarli come fa L. De Candido in NDM, pp. 1251-1253: lasciarsi amare da Dio (accogliere i suoi doni, affidarsi alla sua guida, saperlo ringraziare, creare un proprio Magnificat...); obbedire con intelligenza: con libera fede (LG 56); ascoltare in contemplazione (custodia nel cuore, difesa della parola, confronto tra i messaggi, pazienza nell’incomprensione, silenzio protettivo); perseverare nella fedeltà... soprattutto come presenza accanto a Cristo; servire chi deve essere servito, con Maria la serva del Signore; perseverare presso la croce.

Maria suscita, forma e incorona i santi. Diventare santi è nostra sicura vocazione. Ma quali mezzi occorrono per rispondere e corrispondere a tale vocazione? Tutti li conosciamo. Il Vangelo ce li indica, i maestri di vita spirituale li spiegano, i santi li vivono. L’insegnamento di san Luigi Maria da Montfort, il quale invita a riconoscere e ad abbracciare la vera devozione a Maria in totale affidamento a lei come segreto di grazia e di santità.

Numerose sono le pagine dove il Montfort propone la vera devozione a Maria come segreto di santità. Ne riferisco qui solo alcune tra le più espressive e incisive: «O Spirito Santo... Tutti i santi del passato e del futuro sino alla fine del mondo sono opere del tuo amore unito a quello di Maria» (Preghiera infocata 15).

«Maria è un luogo santo, anzi il Santo dei santi, dove i santi sono formati e modellati» (Trattato della vera devozione a Maria 218); «La formazione e l’educazione dei grandi santi, che vivranno verso la fine del mondo, sono riservate a Maria, perché soltanto questa Vergine singolare e miracolosa può produrre, insieme allo Spirito Santo, le cose singolari e straordinarie» (ivi 35).

Scuola toscana (sec. XV), Madonna e santi, Collegiata di Castiglione Olona (Varese).
Scuola toscana (sec. XV), Madonna e santi, Collegiata di Castiglione Olona (Varese – foto Scalcione).

Queste chiare affermazioni del Montfort sono in perfetta sintonia con il Vaticano II, là dove esso dice che «Maria coopera con amore di madre alla rigenerazione e alla formazione dei fedeli» (LG 63); sono in perfetta sintonia anche con un discorso che Pio XI fece, il 15 agosto 1933, per la canonizzazione della beata Giovanna Antida Thouret. «...Anche riguardo ai santi si può dire che Maria è con Dio in quanto li suscita, li forma, e li incorona. Anzitutto li suscita. Le anime semplici si rivolgono a Maria, che risplende all’aurora e all’alba di tutte le sante vite: è sempre con l’intervento speciale di Maria che si annunciano fin dai primi giorni della loro vita uno di quei santi o di quelle sante che un giorno accresceranno i tesori della santità della Chiesa. Si può dire che, anche prescindendo da questi santi inizi, è sempre Maria che, per il suo posto speciale nella gloria e nella santità, è vera ispiratrice e suscitatrice di santi.

Formare la santità è opera esclusivamente divina, ma se la grazia è da Dio, è però data per Maria che è la nostra avvocata e mediatrice, in quanto l’affetto materno da una parte trova corrispondenza nella pietà filiale, Dio dà le grazie, Maria le ottiene e le distribuisce.

Maria non solo suscita i santi, ma anche li incorona: essa li conduce alla perseveranza finale ed alla gloria eterna. La Chiesa invita a pregare Maria e ad invocarla con le parole mortis hora suscipe: tu ne ricevi nell’ora della nostra morte. È bello vedere Maria non solo ricevere le anime come la morte a lei le porta, ma portarle essa stessa a ricevere la corona di gloria meritata con la sua assistenza».

Con queste ultime espressioni Pio XI fece riferimento a un bel discorso di san Bonaventura sul capitolo 12 dell’Apocalisse. «Le dodici stelle che incoronano Maria simboleggiano i santi tutti. Attribuendo a Maria la loro corona di gloria, essi incoronano colei dalla quale, dopo Dio, si sentono incoronati, come è detto in Ap 4,10: "I 24 vegliardi gettavano le loro corone davanti al trono". Questi vegliardi raffigurano tutti i santi. Così tutti i santi gettano le loro corone davanti a colui che siede in trono, perché si riconoscono incoronati dal Signore e dalla sua santa Madre, simboleggiata dal trono».

Giuseppe Daminelli










Maria e i sacerdoti
   

«Non c’è molto amor di Dio in quella parrocchia, voi ce ne metterete».
 

Il cristiano dei nostri giorni sovente si trova in una sorta di crisi d’identità e talvolta si lascia spesso coinvolgere dall’indifferentismo, dalla superficialità o dal disincanto testimoniale; si può ben dire che il cristianesimo soffre anch’esso di una certa precarietà comune alla odierna società.

A tal riguardo l’esempio di vita, di fede e di ministero apostolico di san Giovanni Maria Vianney, scrive Papa Ratzinger nella lettera ai sacerdoti, è oltremodo attuale. Infatti, egli era «giunto ad Ars, un piccolo villaggio di 230 abitanti, preavvertito dal Vescovo che avrebbe trovato una situazione religiosamente precaria: "Non c’è molto amor di Dio in quella parrocchia, voi ce ne metterete". Era, di conseguenza, pienamente consapevole che doveva andarvi ad incarnare la presenza di Cristo, testimoniandone la tenerezza salvifica».

Sì, anche in questo nostro tempo il sacerdote in modo particolare rispetto a tutti i membri della Chiesa dei discepoli e delle discepole, deve essere testimone della tenerezza salvifica di Cristo e dell’amore materno-sororale della Madre, possedendo e aiutando i fedeli laici ad avere uno stile di vita conforme al Vangelo.

Crocifissione di Gesù (dal film per la tv San Pietro, trasmesso su Raiuno nell'ottobre 2005; regia di Giulio Base; il Cristo è interpretato da Johannes Brandrup).
Crocifissione di Gesù (dal film per la tv San Pietro, trasmesso su Raiuno nell’ottobre 2005; regia di Giulio Base;
il Cristo è interpretato da Johannes Brandrup).

La Sacra Scrittura, testo fondamentale della fede che va inteso e compreso nelle sue parti di Antico e Nuovo Testamento, «un libro solo e quest’ultimo libro è Cristo (Ugo da san Vittore, L’arca di Noè, II,8)», deve essere considerato dai credenti il grande libro della "storia" di Dio e in Dio dell’umanità.

Esso, nel contempo, è santo e verace racconto del suo sguardo misericordioso/materno sul mondo: «Gli occhi del Signore scrutano la terra» (Zc 4,10); sguardo interessato e capace di penetrare fin nei luoghi più segreti (cf Sir 23,19). Tali occhi e sguardi paterno/materni attenti alle diverse realtà e bisogni dell’uomo e della donna infinitamente amati, sono solleciti a scorgere e tergere le lacrime della sofferenza, che poi Dio stesso raccoglie teneramente in un otre (cf Sal 56,9), e si compiacciono della spirituale povertà degli umili e dei poveri come l’anaw Maria di Nazaret.

Lo sguardo compassionevole e il tenero e generoso cuore di Dio uno e trino hanno sempre accompagnato la storia dell’umanità e ogni singolo suo membro. Si può ben dire con Benedetto XVI, che in questi anni di analfabetismo emozionale di cui sono affette le giovani generazioni in gran parte diseducate dalle generazioni adulte, tutte prese a dare ragione all’assioma del Consumo, dunque sono (Z. Bauman), ha rilanciato con forza appassionata la straordinaria fecondità e impegno dell’amore del Dio svelatoci dal figlio Gesù.

Su questo versante Papa Benedetto rassicura: «Il nostro Dio non è un Dio lontano, intoccabile nella sua beatitudine: il nostro Dio ha un cuore. Anzi ha un cuore di carne, si è fatto carne proprio per poter soffrire con noi ed essere con noi nelle sofferenze. Si è fatto uomo per darci un cuore di carne e per risvegliare in noi l’amore per i sofferenti e i bisognosi» (Via Crucis al Colosseo, 6.4.2007).

Madre di Dio odigitria, Scuola iconografica di Seriate (nata nel 1978) del centro Russia cristiana.
Madre di Dio odigitria, Scuola iconografica di Seriate (nata nel 1978) del centro Russia cristiana.

Questa sacrosanta verità la testimonia la stessa Madre del suo Figlio nel suo cantico anamnetico e di lode del Magnificat (cf Lc 1,46-55): lo sguardo e il cuore di Dio, in definitiva, sono perennemente rivolti a noi sempre in attesa. Il Signore Iddio, ci rammenta santa Maria, lo ha «promesso ai nostri padri: ad Abramo e ai suoi discendenti per sempre» (Lc 1,55).

La Vergine Maria, edotta da Dio, dall’evento messianico e cordiale del Figlio e dalla sua singolare sensibilità antropologica, anch’essa ha volto e continuamente volge il suo sguardo e il suo cuore compassionevoli verso i bisogni degli uomini. Lo sguardo colmo di amore, di perdono e di compassiodi Gesù Cristo si è posato con dolcezza e tenerezza dalla croce sulla Madre e sul discepolo, entrambi icone della Chiesa, che da quel momento sono divenuti indivisibile volontà, potenza e profezia di un servizio, di un cuore, di uno sguardo e di un testamento che vanno ben oltre i mondani orizzonti.

La kenosis, lo svuotamento dell’incarnazione del Figlio di Dio e quella della sua croce, declinati come icona dell’amore, della compassione e della misericordia pro nobis di Dio immerso liberamente nella condizione dell’uomo, sono espressione del mistero dell’altruismo della Trinità, della sua pro-esistenza, cioè del mistero della solidarietà divino-umana portata sino all’estremo della morte in croce del Figlio, poi rischiarata dalla potenza della risurrezione.

Amore agapico che ha poi reso possibile la glorificazione della credente per eccellenza, Maria, la figlia prediletta del Padre (cf Lumen gentium 55); colei che fattasi Cristo in Cristo per opera dello Spirito, in cielo sino alla fine del mondo, è divenuta la perfetta creatura trinitaria costituita da Dio quale odigitriache mostra e accompagna i fedeli ad attingere a piene mani dalla provvidente compassione di Dio, pregando per noi e volgendo il suo compassionevole sguardo sulle nostre necessità materiali e spirituali, tanto da essere invocata con l’accorata espressione: «Monstra te esse Matrem!».

Salvatore M. Perrella

Invito all’approfondimento: A. Vanhoye sj, Il cuore sacerdotale di Gesù, Adp 2009, pp. 32, € 3,50.










Paolo di Tarso e Maria di Nazaret
   

Si affronta in questo testo, un vero saggio, la dottrina dell’Apostolo per la mariologia.
  

È raro trovare l’accostamento di Paolo di Tarso a Maria di Nazaret, due figure bibliche senza evidente legame o necessario richiamo. Basti consultare il Dizionario di Paolo e delle sue lettere (G.F. Hawthorne, C.R. Martin e D. Reid, a cura di R. Penna, San Paolo 2000, pp. 1.886, € 61,97), per accorgersi che il nome di Maria è completamente ignorato, anche come donna che ha generato il Figlio di Dio (Gal 4,4), passo saltato perfino nella voce Lettera ai Galati.

A prima vista sembra che in realtà non ci sia niente di comune tra i due personaggi di rilievo nella Chiesa delle origini. Paolo è il missionario teologo, l’apostolo delle genti e il rappresentante di un cristianesimo libero dalla legge di Mosè e aperto all’ellenismo; Maria è una donna tenuta in grande considerazione come madre di Cristo, ma professante come Pietro e Giacomo un giudeo-cristianesimo fedele alle prescrizioni legali in seno alla comunità di Gerusalemme.

Inizio della Lettera ai Galati. Pagina miniata del sec. XIII, Biblioteca braidense, Milano.
Inizio della Lettera ai Galati. Pagina miniata del sec. XIII, Biblioteca braidense, Milano (
foto Archivio Storico San Paolo).

Eppure il legame tra Paolo e Maria esiste, dal momento che dobbiamo all’Apostolo il primo testo del Nuovo Testamento dove si parla di Cristo come «nato da donna» (Gal 4,4). Riflettendo sul piano della salvezza e in particolare sull’incarnazione, Paolo non può fare a meno di riferirsi a quella donna d’Israele che ha generato il Messia.

Il quadro normativo per l’annuncio di Maria nella Chiesa. Come è risaputo, i discorsi kerigmatici di Pietro (At 2,14-39; 3,12-26; 4,9-12; 5,29-32; 10,34-46) e di Paolo (At 13,16-30; 17,22-31), mirano a comunicare il contenuto essenziale della storia della salvezza: Cristo morto e risorto. Solo una volta si fa riferimento all’attività sanatrice ed esorcistica di Gesù dopo il battesimo di Giovanni (At 10,38) e solo una volta si menziona la discendenza davidica di Cristo: «Dalla discendenza di lui [Davide], secondo la promessa, Dio trasse per Israele un salvatore» (At 13,23).

In questa prima fase non si nomina mai Maria. La ragione di questo silenzio sulla Madre di Gesù è comprensibile: essa rientra nel più vasto silenzio circa l’intero arco della vicenda storica di Cristo (che sarà oggetto di considerazione accurata da parte degli evangelisti), perché il centro d’interesse degli apostoli è l’annuncio del mistero pasquale.

Fratelli Linnich, San Paolo (part., sec. XX), vetrata del Tempio di san Paolo, Alba (Cuneo).
Fratelli Linnich, San Paolo (part., sec. XX), vetrata del Tempio di san Paolo, Alba (Cuneo – foto E. Necade).

Paolo rompe il silenzio su Maria offrendo in Gal 4,4 la più antica testimonianza mariana del Nuovo Testamento, che risale al 49 o al massimo al 57 dopo Cristo, cioè una ventina d’anni dopo l’Ascensione.

Occasione della lettera ai Galati è l’infiltrazione nelle comunità della Galazia in Asia Minore (attuale Turchia) di alcuni cristiani giudaizzanti, che insegnavano la validità della legge giudaica per nulla abolita da Cristo. A questi Paolo oppone il suo Vangelo, ossia la salvezza mediante la fede in Cristo. Da autentico teologo, Paolo pone il dilemma: chi ci salva, Cristo o la legge? Se la salvezza viene dalla legge, allora «Cristo è morto invano» (Gal 2,21). Ma se Cristo è il salvatore, allora la legge perde la sua funzione e necessità, sicché le genti possono credere ed essere battezzate senza passare dall’obbedienza alle prescrizioni mosaiche. Con questa soluzione, che raccoglie l’accordo degli apostoli e comunità, il cristianesimo cessa di essere un semplice gruppo ebraico (pur mantenendone la fede monoteistica e la profonda spiritualità), e diviene una comunità universale.

In tale contesto polemico contro i giudaizzanti, Paolo introduce il testo di alto interesse cristologico in cui si fa menzione «tangenzialmente e in forma anonima» di Maria, la «donna» dalla quale nacque Gesù: «Quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la legge, per riscattare coloro che erano sotto la legge, perché ricevessimo l’adozione a figli» (Gal 4,4).

Boccardino da Firenze, La Trinità, miniatura del sec. XVI, Basilica di san Pietro, Perugia.
Boccardino da Firenze, La Trinità, miniatura del sec. XVI, Basilica di san Pietro, Perugia (foto Lores Riva).

Nonostante la sua laconicità, tale testo è considerato di altissimo interesse mariano, quasi «una mariologia in germe», in quanto «nucleo germinale» aperto «alle successive acquisizioni del Nuovo Testamento».

Lo storico dei dogmi mariani Georg Söll giunge ad affermare: «Dal punto di vista dogmatico l’enunciato di Gal 4,4 è il testo mariologicamente più significativo del NT, anche se la sua importanza non fu pienamente avvertita da certi teologi di ieri e di oggi. Con Paolo ha inizio l’aggancio della mariologia con la cristologia, proprio mediante l’attestazione della divina maternità di Maria e la prima intuizione di una considerazione storico-salvifica del suo significato».

L’importanza del testo paolino è data dal fatto che esso ha una struttura trinitaria ed insieme storico-salvifica.

Paolo ricorre chiaramente allo schema di invio. Il soggetto della frase è il Padre, che determina lapienezza del tempo, cioè il tempo propizio alla salvezza dopo il periodo di sudditanza e di maturazione (Gal 4,1-2), e decide l’invio di suo Figlio. Questi, che preesiste per poter essere inviato, viene nel tempo secondo due modalità e finalità intimamente connesse e contrapposte: nasce in condizione di fragilità (nato da donna) edi schiavitù (nato sotto la legge) in vista della liberazione dalla schiavitù (per riscattare coloro che erano sotto la legge) e del dono della figliolanza divina reso possibile dallo Spirito (perché ricevessimo l’adozione a figli, Gal 4,6).

San Paolo, miniatura del sec. XVI, Certosa di Pavia.
San Paolo, miniatura del sec. XVI, Certosa di Pavia (foto Tagliabue).

Maria è la donna che inserisce il Figlio di Dio nella storia in una condizione di abbassamento, ma ella è situata nella pienezza del tempo e si trova coinvolta nel disegno storico-salvifico della trasformazione degli uomini in figli di Dio.

Nei due versetti (Gal 4,4-6) sono presenti le persone della Trinità in un orizzonte storico-salvifico, sicché si può giustamente osservare che la donna da cui nasce Cristo è incomprensibile al di fuori della sua relazione con le tre persone divine e con la storia della salvezza.

Il «mistero» della donna in Gal 4,4ss è totalmente inserito in un disegno cristologico-trinitario-ecclesiale e posto a garanzia dell’effettiva libertà dei figli di Dio.

La donna, di cui non si menziona neppure il nome, è interamente al servizio dell’evento salvifico che impegna la Trinità intera ed è a vantaggio di tutti gli uomini.

Potremmo dire che Maria è coinvolta nel «complotto» di Dio, meglio nel suo misterioso e sorprendente «disegno», per la salvezza degli esseri umani: «[Maria] è colei che porta in sé Gesù Cristo; ma non vuole conservarlo per sé, perché infine è colei che lo porta al mondo: in questo senso partecipa – come la Chiesa – a quello che si potrebbe chiamare il "complotto" di Dio per salvare il mondo, e si può celebrarla come quella che ha introdotto segretamente tra gli uomini il Cristo, nel quale il regno di Dio è presente».

Paolo tra i Galati, miniatura del sec. XIII, Biblioteca marciana, Venezia.
Paolo tra i Galati, miniatura del sec. XIII, Biblioteca marciana, Venezia (foto S.a.i.e.).

Il genere paradossale per parlare della Madre di Cristo. Nello stesso breve passo di Gal 4,4 Paolo ricorre al genere paradossale, a lui caro (1Cor 1,21-31; 2Cor 5,21; 8,9; Rm 8,3-4), mettendo insieme realtà contrastanti (paradosso, dal greco pará dóxa = a lato dell’opinione): schiavitù-redenzione, fragilità-figliolanza divina. Esiste in realtà un rapporto antitetico tra la modalità con cui il Figlio di Dio si presenta al mondo e la finalità della stessa sua venuta.

In pratica Paolo applica all’invio del Verbo nella condizione umana la legge storico-salvifica dell’abbassamento-esaltazione che lega la prima alleanza al definitivo Testamento.

Il ribaltamento delle sorti è il messaggio del libro di Ester, dove questa è intronizzata e Vasti ripudiata, Mardocheo è esaltato e Amman ucciso. Soprattutto nel Servo di JHWH si realizza l’antitesiabbassamento-esaltazione: egli è umiliato con la persecuzione e la sofferenza, ma poi viene «esaltato e molto innalzato» (Is 50,6; 52,13).

Quando la comunità cristiana cerca un principio che renda comprensibile la vicenda di Gesù, lo trova nello schema del giusto sofferente ed esaltato. In questa linea si svolge il celebre inno cristologico pre-paolino di Fil 2,6-11, dove si passa dalla fase di umiliazione che raggiunge il climax nella morte di croce all’esaltazione di Gesù come Signore.

Il Bergognone, Maria e donne sotto la croce (1512), ex monastero benedettino di Brugora di Besana (Milano).
Il Bergognone, Maria e donne sotto la croce (1512), ex monastero benedettino
di Brugora di Besana (Milano – foto Censi).

Di fronte al testo di Paolo sorgono spontaneamente alcuni interrogativi: come può Cristo «sottomesso alla legge» liberare quanti attendono di esserne affrancati? E come può un «nato da donna» come tutti gli esseri umani conferire la dignità di figli di Dio?

Paolo non scioglie questi enigmi, ma lascia aperto il discorso circa il modo con cui Cristo viene al mondo (per es. verginalmente e nella potenza dello Spirito, come specificheranno i Vangeli dell’infanzia) o è sottoposto alla legge (cioè volontariamente, senza essere obbligato). Il discorso rimane aperto anche circa il tempo, quando si passerà dall’umiliazione all’esaltazione; tale passaggio avverrà sicuramente per Paolo nel mistero pasquale, ma nel passo di Gal 4,4 esso rimane implicito.

Maria è accomunata alla kenosi del Figlio, cioè alla sua incarnazione in stato di svuotamento e di debolezza, di cui lei diviene elemento indispensabile.

Quattro secoli più tardi Agostino riconoscerà in Maria la madre della «debolezza» di Cristo, «non della sua divinità», avendolo generato nella condizione umana. Del resto gli studi biblici e teologici nel Novecento contestualizzeranno la Vergine di Nazaret nella storia spirituale del suo popolo piccolo, disprezzato e calpestato dalle grandi potenze. Ella fa parte dei «poveri di JHWH», apice spirituale d’Israele, come donna in ascolto di Dio che si rivela, al quale fa il dono totale di sé.

Pur avendo generato il Signore dell’universo, ella conduce una vita senza privilegi terreni, in situazione di povertà e di assenza di qualsiasi potere e influsso. La sua suprema kenosi è raggiunta sul Calvario quando sperimenta la spada del dolore. Tuttavia il principio kenotico «sarebbe monco e incompleto qualora non venisse attribuita alla Madre di Gesù anche la sua necessaria conseguenza che è l’esaltazione».

Lkenosi di Cristo, cui partecipa Maria, non è che il primo pannello di un dittico che contempla anche la condizione glorificata di entrambi. Il theologumeno storico-salvifico dell’abbassamento-esaltazione che la Vergine applica alla sua vicenda nel Magnificat (Lc 1,47-48), può tradursi oggi con emarginazione-promozione, passività-inserimento attivo nella storia, vuoto di valori-pienezza di significato: Dio ha trasformato la sua insignificanza in momento di salvezza messianica. L’immagine kenotica di Maria controbilancia la tendenza glorificatrice di lei, che la privava della sua consistenza concreta di donna inserita nella storia dell’ebraismo, giungendo ad una certa disumanizzazione della sua figura.

Stefano De Fiores, smm
   

Invito all’approfondimento: F. Manzi, Tratti mariologici nel "Vangelo" di Paolo, in Theotokos, VIII (2000), pp. 649-689; A.M. Serra, Nato da donna, Servitium 1992, pp. 405, € 25,82.

















Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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