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2014 Centenario di San Pio X Calendario e la vita di Papa Sarto

Ultimo Aggiornamento: 31/08/2014 23:54
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29/07/2014 21:04
 
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Pio X E IL MODERNISMO.


 


— Preparato dalle condizioni intellettuali e culturali del principio del sec. xx, il modernismo, figlio del soggettivismo kantiano e dell’emotività pseudo-religiosa di Schleiermacher, trova nel simbolismo evoluzionista di Sabatier, applicato alla Rivelazione, un principio suggestivo e comodo, per far passare di contrabbando come genuina scienza la filosofia dell’immanenza e la critica razionalista; e si comincia dagli studi biblici. Nel 1902 A. Loisy pubblica l'Evangile et l'Eglise, tentando di fare l’apologia della Chiesa con il negarne l’origine divina. È il principio di un franamento sempre più rovinoso e più esteso in Francia (Loisy), in Inghilterra (Tyrrell), in Italia (Buonaiuti); dal campo esegetico si passa con disinvoltura a quello dogmatico, morale, giuridico, sociale, letterario.


Clamorose defezioni, manovre subdole, propaganda scaltra, agguerrita, multiforme. Il veleno si inocula con impressionante celerità, penetra persino nei seminari, nei chiostri, nelle file del clero e del laicato militante. « Sintesi di tutte le eresie », « strada all’ateismo », « scure  alla radice della fede », il modernismo minaccia la purezza della fede, la saldezza della disciplina, la santità della Chiesa. L’intervento appare sin dal principio severo, forte, decisivo, provvidenziale.


Il decreto del S. Uffizio Lamentabili del 3    luglio 1907, con cui si condannano 65 proposizioni erronee (in gran parte tratte dalle opere del Loisy), preludia la magistrale encicl. Pascendi Dominici gregis (7 sett. 1907).


 


Il documento pontifìcio è diviso in due parti : nella prima una esauriente e lucidissima esposizione del modernismo; nella seconda una serrata, e stritolatrice critica che ne dimostra tutta la falsità e ne denuncia le funeste conseguenze per la fede, per la Chiesa, per il mondo.


All’enciclica si rispose con violenta e virulente resistenza : la lotta continuò per anni ed ebbe ore di angoscia e di lacrime per Pio X che si vide a volte mal compreso e maltrattato anche in settori a lui tanto vicini. Nella lunga vicenda non mancarono le esagerazioni degli ultrazelanti e le malevolenze degli ipocriti; non sempre e non tutti i combattenti seppero mantenersi liberi da passioni di parte e da intemperanze di forma. Ma è ormai acquisito alla storia che « anche nei periodi più difficili, più aspri, più gravi di responsabilità, Pio X diede prova di quel- l’illuminata prudenza che non fa mai difetto nei santi » (Pio XII).


 


Pio X LEGISLATORE.


 


— Dal tempo di Sisto V (cost. Immensa, 22 genn. 1587) i dicasteri della Curia romana avevano avuto parziali ritocchi. Le vicende, specialmente dopo il 1870, rendevano necessaria una completa e generale revisione. Accogliendo di buon animo il desiderio di molti vescovi, memore delle esperienze fatte da vescovo e patriarca, Pio X detta egli stesso le linee maestre della riforma che affida alla saggezza di una commissione cardinalizia, composta di provetti giuristi.


Il 29 giugno 1908 pubblica la cost. Sapienti consilio con annesse norme comuni e speciali per il funzionamento delle S. Congregazioni, dei tribunali, degli uffici. All’istituto matrimoniale, fondamento della famiglia cristiana, Pio X rivolge speciale cura : la cost. Provida (18 genn. 1906), circa la validità dei matrimoni misti, e il celebre decreto Ne temere della S. Congr. del Concilio (2 ag. 1907), circa la forma giuridica degli sponsali e del matrimonio.


Provvedimenti parziali in attesa di più vasto ed universale lavoro. La necessità di accogliere in un unico testo le innumerevoli prescrizioni disseminate nelle decretali era da tempo sentita, specie da chi doveva applicare il diritto alla cura pastorale. Pio X riconoscendola « troppo necessaria » non la volle più differire.


E del 19 marzo 1904 il motu proprio Arduum sane : de Ecclesiae legibus in unum redigendis con il quale si istituisce la commissione di studio e di compilazione. Egli segue l’immane fatica, si può dire, giorno per giorno : consiglia, esorta, incoraggia, decide.


Si consultano vescovi, teologi, giuristi. Si affrontano questioni secolari, si superano ostacoli di varia natura, si concilia alla severa esigenza della legge la multiforme pratica della vita. L’arditissima opera, sebbene veda la luce solamente il 27 maggio 1917, sotto Benedetto XV, rimane sempre « il capolavoro del pontificato di Pio X » (Pio XII), ed is [Pio X] tamen unus huius codicis habendus est auctor (Benedetto XV). Aveva del resto esordito con due costituzioni di storico valore : la Commissum nobis del 20 genn. 1904, che commina la scomunica maggiore a chiunque ardisse presentare nel conclave il veto anche sotto forma di semplice desiderio, e la Vacante Sede Apostolica (25 die. 1904) che disciplina i lavori del conclave.


 


LA SANTITA'


 


— Essa emanava da lui costantemente. Il suo sguardo, la sua parola, la sua personalità esprimevano la bontà, la fermezza, la fede. Le udienze « erano una vera e santa missione ».


Eppure egli ambiva soltanto di essere il sovrano di se stesso. Da questo dominio di sé, vittoria di lunghi anni di lotta sul temperamento ardente, nasceva la mitezza di cuore, che lo faceva semplice e sereno e buono anche nelle ore più tempestose, in mezzo alle critiche più acerbe, alle calunnie più velenose, nella più amara solitudine. Tra le virtù appariva sovrana l’umiltà : ricordava all’occasione la sua origine modestissima, evitava gli elogi e se ne schermiva, mal sopportava gli applausi e i complimenti, accettava con amabilità l’altrui parere, sollecitava anzi il giudizio dei cardinali, dei vescovi, dei collaboratori, evitava di dare ad altri la più piccola noia, usava mille attenzioni persino con i servitori.


Generoso nel perdonare e nel dimenticare, indulgente con gli erranti non ostinati nell’errore, inesorabile contro gli equivoci e i compromessi, staccato totalmente da ogni bene terreno, da ogni forma anche apparente di favoritismo, visse e morì povero, lasciando alla carità del successore di provvedere alle sorelle che volle rimanessero nell’ombra della loro modestissima condizione.


Dal cuore grande i gesti di una carità industriosa, appassionata, eroica, specialmente da pontefice verso i poveri, gli orfanelli, i decaduti, soprattutto per i colpiti dal terremoto siculo-calabrese del 1908.


Uomo di intensa orazione, ancora vivente godeva di doni straordinari e di poteri soprannaturali.


La sua benedizione operò più volte guarigioni, anche a distanza, che avevano dell’insperato, se non addirittura del prodigioso, guarigioni che egli umilmente dichiarava dovute « al potere delle somme chiavi ».


Era diffusa la convinzione che egli leggesse con sicurezza nell’intimo dell’animo e prevedesse il futuro con una luce che superava l’intelligenza umana.


 


LA MORTE E LA GLORIA.


 


— Il 2 giugno 1914 Pio X entrava nell'80° anno di età.


La fibra rimasta sempre robusta, nonostante l’allarme al cuore, avvertito ancora nel lontano periodo di vita veneziana, denotava ormai segni di stanchezza. All’orizzonte politico si addensavano nubi foriere di tempesta.


Il Papa presentiva il « guerrone », come egli ripeteva agli intimi. L’assassinio a Serajevo dell’arciduca Ferdinando, erede al trono d’Austria, fu la scintilla.


Il Pontefice tentò invano di scongiurare la guerra.


Postosi a letto per una leggera bronchite il pomeriggio del 15 agosto - dopo aver voluto officiare la Solennità dell'Assunta, il 19 peggiorò d’improvviso, e all’una e quindici del 20 ag. l’anima sua entrò nell’eterna pace.


Aveva regnato undici anni e 16 giorni.


Il mondo commosso si chinò riverente dinanzi alla salma del Pontefice.: « La storia ne farà un grande Papa, la Chiesa ne farà un grande Santo » fu detto sin da allora.


Nel silenzio delle Grotte Vaticane il sepolcro divenne meta incessante di pellegrini e di oranti. Per voto unanime di tutti i 22 cardinali residenti a Roma, nel febbr. 1923 è promossa la Causa di beatificazione e di canonizzazione, che, conclusi i processi ordinari sulla fama di santità, viene introdotta il 12 febbr. 1943. Costruiti in seguito i processi apostolici, si passa alla discussione sulla eroicità della virtù, che viene proclamata con decreto del 3 sett. 1950.


Sanzionati poi dall’autorità della Chiesa i due miracoli richiesti dai sacri canoni, il 4 marzo 1951 Pio XII promulga il decreto del tuto procedi posse.


Il 3 giugno 1951 sul sagrato della Basilica Vaticana Pio X è proclamato beato. Innumerevoli grazie straordinarie hanno condotto alla sollecita ripresa dalla Causa (13 nov. 1951) per il supremo onore degli altari in questo Anno di grazia 1954, il 29 maggio. Le spoglie del Beato riposano sotto la mensa dell’altare della Presentazione, il primo a sinistra di chi entra nella basilica di S. Pietro.


Pure nella Basilica, sopra la porta detta « dei musaici », Pier Enrico Astorri di Piacenza ha scolpito nel marmo il Pontefice nella maestà del Triregno, aperte le braccia a supremo olocausto di sé; il monumento è stato inaugurato nel 1923.


 





- LA PRIMA COMUNIONE E LA COMUNIONE FREQUENTE E QUOTIDIANA


 


La santa premura, di Pio X di dare Gesù ai fanciulli e i fanciulli a Gesù, troncando risolutamente le secolari barriere e le annose discussioni sull’argomento, costituisce una delle pagine più luminose del suo Pontificato.


« Solo in un’anima sapientemente candida ed evangelicamente infantile come la sua » — proclamò S. S. Pio XII — « poteva trovare risoluta eco l’ardente sospiro di Gesù : “ Lasciate che i fanciulli vengano a me ” ; ed insieme la comprensione del dolcissimo desiderio di questi di correre all’abbraccio del Redentore divino ».


 


A)      La PRIMA COMUNIONE.


 


— 1. Storia. — La questione concernente l’età della prima Comunione sorse quando, lungo il corso del sec. xn, venne a rarefarsi, fino alla chiara proibizione, l’uso di dare la Comunione ai bambini ancora prima dell’uso della ragione.


I motivi di tale mutazione, che doveva in breve tempo diventare legge disci-plinare per la Chiesa occidentale, non sono chiaramente noti; forse vi concorsero disordini e irriverenze, così facili nei bambini; abusi e trascuratezze in chi avrebbe dovuto vigilare alla distribuzione della Comunione; l’abolizione, avvenuta in quel tomo di tempo, della Comunione ai laici anche sotto la specie del vino, che sarebbe apparsa singolare, se continuata, com’era uso generale, per i bambini.


Il fatto si è, che sugli inizi del sec. XIII decreto del Concilio Lateranense IV (1215), determina, contro la decadenza della pratica della Confessione e Comunione, il numero delle volte che il cristiano deve confessarsi e comunicarsi ogni anno : « Ogni fedele dell’uno e dell’altro sesso, quando è giunto agli anni della discrezione, deve confessarsi almeno una volta all’anno e ricevere con devozione, almeno alla Pasqua, il sacramento dell’Eucaristia, tranne che, con il consiglio del confessore, non giudichi di doversene astenere per qualche tempo per un ragionevole motivo. A chi vi si rifiutasse sarà proibito di entrare in Chiesa e privato, alla morte, della sepoltura ecclesiastica » (Denz-U, 437).


Il decreto ebbe rapida divulgazione, ma poiché non determinava quali fossero gli anni della discrezione, aperse anche la via a controversie, che durarono purtroppo fino al sec. XX, con danno assai grande delle anime (cf. decretò Quam singolari dell’8 ag. 1910). Partendo, infatti, da una non retta interpretazione delle parole « anni della discrezione » e dell’inciso « ricevere con devozione », e sotto l’influsso di alcune ragioni, dedotte dalle pene comminate dal decreto contro i renitenti e dalla loro applicabilità secondo le norme generali del diritto, si vollero distinguere due età della discrezione, una per la Confessione, l’altra per la Comunione; richiedendo, per la prima, l’età, in cui si può discernere il bene dal male e quindi peccare; per la seconda, invece, un’età maggiore, in cui la conoscenza della dottrina cristiana fosse più piena e più matura la disposizione dell’anima.


 


Per questa stabilirono i dieci, dodici, quattordici anni; il giansenismo, più tardi, esagerando oltre ogni limite la necessità di una buona preparazione, cercò di procrastinarla fino ai diciotto e venti anni.


Che questa interpretazione del decreto fosse errata, appare da diverse ragioni :


a) il Concilio Lateranense non fa distinzione alcuna, ma per i due precetti imposti richiede la medesima età. Perciò se per la Confessione l’età della discrezione è quella, in cui si distingue il bene dal male, cioè quella in cui si è raggiunto l’uso di ragione, lo stesso deve dirsi per la Comunione;


b) così, infatti, l’intesero i principali interpreti e teologi del sec. XIII, per i quali l’età della discrezione equivale a quella dell’uso della ragione;


(cf. Sum. Theol., 3a, q. 90, a. 9 ad 3, dove s. Tommaso parla di « aliqualis usus rationis » come sufficiente per essere ammessi alla Comunione, e i suoi commentatori : P. Ledesma, In s. Thomam, 3 q. 80, a. 9, dub. 6 ; In 3am part - per altre testimonianze antiche, cf. L. Landrieux, op. cit. in bibl., pp. 94-136).


 


Così il Concilio di Trento (sess. XXI, cap. 4; Denz-U, 933), richiamandosi al Lateranense non assegna altra ragione di non dare la Comunione ai bambini se non questa, che non possono peccare; donde si deduce che, raggiunta l’età, in cui questa possibilità esiste (cioè l’uso della ragione), debbono poter ricevere la Comunione. Il Catechismus romanus (parte 2a, De Sacrarti. Euchar., n. 63) parla esplicitamente di uso di ragione.


Ciò nonostante la tesi, che si potrebbe chiamare preconcetta, continuò a prevalere nella pratica, nonostante altre spiegazioni e condanne della Chiesa. I danni che ne provennero furono gravi, perché in questo modo l’età puerile, tenuta lontana dal Cristo, si trovò priva come di un succo vitale, di un aiuto efficace quanto altro mai per conservarsi intatta nella lotta contro le passioni e le allettative dell’ambiente, e conobbe il vizio prima ancora di riceverne l’antidoto preservatore.


 


2. La disciplina vigente. — È stata regolata da Pio X con il decreto della S. Congregazione dei Sacramenti Quam singulari Christus amore, dell’8 ag. 1910 (Acta ApostolicaeSedis, 2 [i9io],p. 582sgg.), il quale fissa i seguenti punti:


 


a)l’età della discrezione per la Confessione e la Comunione si raggiunge con l’uso della ragione, il che avviene ca. i 7 anni; da questo tempo incombe anche ai fanciulli l’obbligo annuale di ricevere i due Sacramenti;


 


b) per la prima ammissione ad essi non si richiede la piena e perfetta cognizione della dottrina cristiana (che si acquisterà più tardi) ma basta quella dei principali misteri della fede e quella sufficiente a distinguere il pane eucaristico dal pane comune e a riceverlo con la devozione possibile a quell’età;


 


c) il giudizio per queste disposizioni sufficienti spetta al confessore e ai genitori o a quelli che ne fanno le veci.


Al parroco, poi, secondo il CIC (can. 854 §§ 4 e 5) spetta il dovere di vigilare, anche mediante un esame se lo riterrà opportuno, perché i fanciulli non si accostino alla prima Comunione, prima di avere raggiunto l’uso della ragione e senza sufficiente preparazione; come pure di procurare che, quando l’uso di ragione e la sufficiente preparazione siano raggiunti, i fanciulli siano nutriti di questo cibo divino.


 


B)      LA Comunione frequente.


 


— 1. La pratica e la sua evoluzione. — L’uso della Comunione frequente (cioè plurisettimanale o anche quotidiana) è già suggerito dal fatto stesso della istituzione dell’Eucaristia e dalla materia scelta per la consacrazione. Gesù Cristo, infatti, parlò di « pane disceso dal cielo »,  di « pane di vita » ; rilevandone le analogie con la « manna del deserto » (Io. 6, 59), di modo che i discepoli poterono facilmente comprendere che, come ogni giorno il corpo si nutre del pane e ogni giorno gli Ebrei si nutrirono della manna, così ogni giorno l’anima può nutrirsi del pane celeste. E quando egli pose sulle labbra dei fedeli, nel Pater, la domanda del « nostro pane quotidiano », ciò si deve intendere, con tutti i Padri della Chiesa, non tanto del pane materiale, quanto piuttosto del Pane eucaristico.


 


I cristiani primitivi lo compresero.


Per la Comunione quotidiana non si hanno per i primi due secoli indicazioni chiare e decisive; il che non vuol dire che non esistesse affatto; se ne hanno, invece, per la Comunione frequente, specialmente domenicale. Si sa infatti, che i fedeli erano perseveranti nella dottrina degli Apostoli e nella preghiera non solo, ma anche nella fractio panis (Act. 2, 42; 20, 7; I Cor. 11, 2-34; Iud. 5, 12-13; Didaché, 14, 1; s. Giustino, Apoi., I, 67, 5 : PG, 6, 430).


Con queste citazioni concorda la lettera di Plinio a Traiano (1. X, 97), che parla delle riunioni dei cristiani in un giorno fisso (stato die) per celebrare i loro banchetti. Dalla fine del sec. II al V, le indicazioni per la Comunione quotidiana abbondano.


Tertulliano (De idol., 7 : PL 1, 669) riferisce che i cristiani stendono ogni giorno le mani, secondo il rito di allora, per ricevere il    Corpo di Cristo (2) ; s. Cipriano attesta per l’Africa : « qui in Christo sumus et Eucharistiam quotidie ad cibum salutis accipimus » (De orat. domiti., 18: PL 4, 531).


Per l’Egitto si ha la testimonianza di Clemente Alessandrino (Quis dives salvetur, 23 : PG 9, 628) e di Origene (In Genesim hom., X: PG 12, 218); per l’Asia Minore quella di s. Basilio (Epist., 93 : PG 32, 484); per l’Italia superiore di s. Ambrogio (De benedict. patriarch., 9, 38 : PL 14, 686); per la Spagna di s. Girolamo (Epist., 71, 6 : PL 22, 672), per la Gallia di Cassiano (De coenob. instit., VI, 8 : PL 49, 277); per Roma, oltre l’indicazione di s. Girolamo (Epist., 48, 15 : PL 22, 506), si ha l’esempio di s. Melania Giuniore, la quale « nunquam cibum corporalem accepit, nisi prius Corpus Domini communicasset » (M. Rampolla del Tindaro, S. Melania giuniore, senatrice romana, Roma 1905, p. 205).


 


Non si deve però dimenticare come nella pratica si manifestassero ben presto delle differenze nelle varie Chiese; s. Agostino accenna come in alcune i fedeli si comunicavano tutti i giorni, in altre solo il sabato e la domenica, in altre ancora solo alla domenica (Epist., 54, 2 : PL 36, 200). Anche tra i cristiani di una stessa Chiesa si notavano defezioni; s. Giovanni Crisostomo, ad es., lamenta che in mezzo al suo popolo non pochi si comunicassero una o al più due volte all’anno, mentre altri lo facevano di frequente (In epist. ad Hebr., hom. XVII, 4: PG 63, 131) e deplora che mentre il S. Sacrificio si celebrava tutti i giorni, pure si trascurasse la Comunione (In epist. ad Ephes., hom. Ili, 4-5 : PG 62, 28).


A Milano s. Ambrogio rimpiange che l’indifferenza dell’Oriente si mostri anche in mezzo al suo popolo (De Sacram., V, 24 : PL 16, 452).


Una grande diminuzione nella frequenza alla Comunione si nota specialmente a cominciare dal sec. IX; e andrà sempre crescendo, nonostante l’esempio delle anime più ferventi e i richiami dei concili locali, tanto che nel sec. XII il Concilio Lateranense IV (1215) si vide costretto « propter iniquitatis abundantiam, refrigescente caritate multorum » (Sum. Theol., 3, q. 80, a. 10, ad 5 m) ad andare fino al limite estremo dell’indulgenza, imponendo l’obbligo di una sola Comunione annuale, alla Pasqua (cap. 21; Denz-U, 437), e sanzionandolo con delle pene.


 


La predicazione fervorosa dei Francescani e dei Domenicani stabilisce allora e consolida l’uso della Comunione nelle tre Pasque dell’anno (Natale, Risurrezione, Pentecoste); i grandi teologi e i mistici (s. Beda Venerabile, s. Pier Damiani, s. Bonaventura, s. Tommaso d’Aquino, l’Imitazione di Cristo, G. Savonarola) insistono su di una frequenza assai maggiore fino alla Comunione quotidiana - abbiamo l'esempio di come Santa Caterina da Siena fosse solita "andare alla Messa mattutina e ricevere l'Eucaristia", e di come divenne buona abitudine delle massaie iniziare la giornata recandosi alla Messa; ma la corrispondenza che incontrano nel clero, nei direttori di coscienza, nei Terz’Ordini, nelle confraternite e per conseguenza nei laici, è in generale assai scarsa.


Bisogna scendere fino alla metà ca. del sec. XVI per constatare un vero risveglio di vita eucaristica; e lo si deve sia al Concilio di Trento, indubbiamente stimolatore della Comunione frequente (sess. XXII, cap. 6; Denz-U, 882, 944; Catech. Romanus, parte 2a, cap. 4, n. 63) e al vigoroso impulso dato dai nuovi Ordini religiosi : Teatini, Barnabiti, Cappuccini, Gesuiti, dalle piccole congregazioni di preti riformati, da Bonsignore Cacciaguerra con i suoi compagni di S. Girolamo della Carità, da s. Filippo Neri, da s. Carlo Borromeo, che con la parola e con la penna combatterono i pregiudizi profondamente radicati e i sofismi che s’ammantavano di rispetto verso il S.mo Sacramento, e stimolarono ad una più intensa pratica eucaristica.


 


Non tutti, è vero, insistettero sulla Comunione quotidiana; molti (come s. Francesco di Sales, e i grandi teologi, F. Toledo, J. Vàzquez, F. Suàrez, P. Laymann, J. de Lugo) senza affatto condannarla, approvandola anzi e consigliandola in casi determinati, mantennero un contegno più riservato e prudente e si contentarono di promuovere, come norma ordinaria, la Comunione settimanale. Il sopraggiungere delle dottrine gianseniste, con il loro rigore e le loro ristrettezze, turbarono e sconvolsero questo sviluppo, ricco di frutti anche straordinari per le anime; ma se l’episodio fu burrascoso (cf. l’opera del maggior rappresentante del giansenismo, A. Arnauld, De la fréquente Communion, Parigi 1643, confutata dal gesuita D. Petau, e condannata, in alcune sue asserzioni, da Alessandro VIII [7 die. 1690; Denz-U, 1312-13]) e riuscì ad allungare propaggini fino ai nostri tempi, ritardò, ma non potè stroncare il moto iniziato, tanto più che nel frattempo vari documenti ecclesiastici incoraggiavano e spingevano alla frequenza della Comunione (ad es., la risposta della S. Congregazione del Concilio al vescovo di Brescia del 24 genn. 1587 fin Analecta iurìs potiti/., 8a serie, pp. 782-83]; il decreto Cutti ad aures del 12 febbr. 1679 [Denz-U, nn. 1147-50]).


 


 


2. Disciplina vigente. — Perdurando, però, le incertezze e le esitazioni, specialmente sulle disposizioni necessarie e sufficienti per la Comunione frequente e soprattutto quotidiana, Pio X stimò opportuno rompere ogni indugio e precisare una volta per sempre la dottrina da seguire, mediante il decreto della S. Congregazione del Concilio del 20 die. 1905, Sacra Tridentina Synodus (Denz-U, 1981-90).


Del decreto questi sono i punti riassuntivi :


a) la Comunione frequente e quotidiana sia accessibile a tutti, di qualsiasi classe e condizione;


b) uniche con-dizioni richieste sono : lo stato di grazia e la retta intenzione, la quale importa che alla Comunione si vada non per uso o vanità o riguardi umani, ma per soddisfare al piacere di Dio e al bene della propria anima;


c) poiché disposizioni più perfette producono miglior frutto, si deve badare al preparamento e al ringraziamento;


d) giudice della frequenza è il confessore;


e) con questo deve cessare ormai ogni disputa litigiosa circa le disposizioni per la Comunione frequente e quotidiana (il CIC mantenne queste direttive, richiamando il desiderio del Concilio di Trento, Denz-U, 944), che i fedeli, i quali assistono alla Messa, partecipino più intimamente al Sacrificio con l’unione reale alla vittima divina mediante la Comunione (can. 863; cf. anche l’enciclica Mediator Dei, parte 2a, punto 3); il che è da raccomandare e da promuovere specialmente nei seminari e in tutti i collegi cristiani di educazione (decreto Sacra Trid. Synodus, n. 7) vigilando però sempre per una piena libertà al fine di evitare sacrilegi (S. Congregazione dei Sacramenti, 8 die. 1932).


 


Sia lodate Gesù Cristo


sempre sia lodato


 


Sancte Pie Decime


Ora pro nobisi


 


Nota


 


1) L'intero Documento è tratto dal libro "San Pio X" in occasione  della sua Canonizzazione del 29 maggio 1954; fonte "Encicl. Cattolica - Città del Vaticano 22 may 1954 - con Imprimatur - Nihil obstat


 


2) riguardo a Tertulliano quando dice: " che i cristiani stendono ogni giorno le mani", secondo il rito di allora, per ricevere il       Corpo di Cristo, in quel "stendere le mani" va specificato come si usava fare: il fedele stendeva le due mani come un trono la sinistra sopra e la destra sotto, poi "senza prenderla con le mani" (san Crisostomo), la mano destra accompagnava la sinistra contenente l'Ostia direttamente alla bocca. In ogni caso non si toccava assolutamente l'Ostia "prendendola" ma la si "riceveva", usando le mani come trono, portandola direttamente da questa, alla bocca. La Chiesa Orientale ha mantenuto la prassi di "imboccare" il fedele durante la Comunione.





Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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