A tutti voi che passate da qui: BENVENUTI
Se avete desiderio di capire che cosa insegna la Bibbia che il Magistero della Santa Chiesa, con il Sommo Pontefice ci insegna, questo Gruppo fa per voi. Non siamo "esperti" del settore, ma siamo Laici impegnati nella Chiesa che qui si sono incontrati da diverse parti d'Italia per essere testimoni anche nella rete della Verità che tentiamo di vivere nel quotidiano, come lo stesso amato Giovanni Paolo II suggeriva.
Nuova Discussione
Rispondi
 
Pagina precedente | 1 | Pagina successiva

Discorsi del Papa alla Curia e ai Vescovi

Ultimo Aggiornamento: 22/09/2017 09:01
Autore
Stampa | Notifica email    
OFFLINE
Post: 39.987
Sesso: Femminile
22/12/2013 23:18
 
Email
 
Scheda Utente
 
Quota

http://d2.yimg.com/sr/img/1/8abf9fbf-9355-3fd5-afa6-1fa8cc62f619




PRESENTAZIONE DEGLI AUGURI NATALIZI DELLA CURIA ROMANA

DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO

Sala Clementina
Sabato, 21 dicembre 2013

Video

 

Signori Cardinali,
cari fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio, 
cari fratelli e sorelle,

ringrazio di cuore per le sue parole il Cardinale Decano. Grazie!

Il Signore ci ha concesso di percorrere ancora una volta il cammino dell’Avvento, e rapidamente siamo giunti agli ultimi giorni che precedono il Natale, giorni carichi di un clima spirituale unico, fatto di sentimenti, di ricordi, di segni liturgici e non, come il presepe… In questo clima si colloca anche il tradizionale incontro con voi, Superiori e Officiali della Curia Romana, che collaborate quotidianamente nel servizio alla Chiesa. Vi saluto tutti cordialmente. E permettetemi di salutare in modo particolare Mons. Pietro Parolin, che da poco ha iniziato il suo servizio di Segretario di Stato, e ha bisogno delle nostre preghiere!      

Mentre i nostri cuori sono tutti pervasi di riconoscenza verso Dio, che tanto ci ha amato da donare per noi il Figlio Unigenito, è bello dare spazio anche alla gratitudine tra noi. E io sento il bisogno, in questo mio primo Natale da Vescovo di Roma, di dire un grande “grazie” a voi, sia a tutti come comunità di lavoro, sia a ciascuno personalmente. Vi ringrazio per il vostro servizio di ogni giorno: per la cura, la diligenza, la creatività; per l’impegno, non sempre agevole, di collaborare nell’ufficio, di ascoltarsi, di confrontarsi, di valorizzare le diverse personalità e qualità nel rispetto reciproco.

In modo particolare desidero esprimere la mia gratitudine a coloro che in questo periodo terminano il loro servizio e vanno in pensione. Sappiamo bene che come sacerdoti e vescovi non si va mai in pensione, ma dall’ufficio sì, ed è giusto, anche per dedicarsi un po’ di più alla preghiera e alla cura delle anime, incominciando dalla propria! Dunque un “grazie” speciale, dal cuore, per voi, cari fratelli che lasciate la Curia, specialmente per voi che avete lavorato qui per tanti anni e con tanta dedizione, nel nascondimento. Questo è veramente degno di ammirazione. Io ammiro tanto questi Monsignori che seguono il modello dei vecchi curiali, persone esemplari... Ma anche oggi ne abbiamo! Persone che lavorano con competenza, con precisione, abnegazione, portando avanti con cura il loro dovere quotidiano. Vorrei qui nominare qualcuno di questi nostri fratelli, per esprimere loro la mia ammirazione e la mia riconoscenza, ma sappiamo che in una lista i primi che si notano sono quelli che mancano, e, facendolo, corro il rischio di dimenticare qualcuno e di commettere così un’ingiustizia e una mancanza di carità. Però voglio dire a questi fratelli che costituiscono una testimonianza molto importante nel cammino della Chiesa.

E sono un modello, e da questo modello e da questa testimonianza ricavo le caratteristiche dell’officiale di Curia, e tanto più del Superiore, che vorrei sottolineare: la professionalità e il servizio.

La professionalità, che significa competenza, studio, aggiornamento… Questo è un requisito fondamentale per lavorare nella Curia. Naturalmente la professionalità si forma, e in parte anche si acquisisce; ma penso che, proprio perché si formi, e perché venga acquisita, bisogna che ci sia dall’inizio una buona base.

E la seconda caratteristica è il servizio, servizio al Papa e ai Vescovi, alla Chiesa universale e alle Chiese particolari. Nella Curia Romana si apprende, “si respira” in modo speciale questa duplice dimensione della Chiesa, questa compenetrazione tra universale e particolare; e penso che sia una delle esperienze più belle di chi vive e lavora a Roma: “sentire” la Chiesa in questo modo. Quando non c’è professionalità, lentamente si scivola verso l’area della mediocrità. Le pratiche diventano rapporti di “cliché” e comunicazioni senza lievito di vita, incapaci di generare orizzonti di grandezza. D’altra parte, quando l’atteggiamento non è di servizio alle Chiese particolari e ai loro Vescovi, allora cresce la struttura della Curia come una pesante dogana burocratica, ispettrice e inquisitrice, che non permette l’azione dello Spirito Santo e la crescita del popolo di Dio.

A queste due qualità, professionalità e servizio, vorrei aggiungerne una terza, che è la santità della vita. Sappiamo bene che questa è la più importante nella gerarchia dei valori. In effetti, è alla base anche della qualità del lavoro, del servizio. E vorrei direi qui che nella Curia Romana ci sono stati e ci sono santi. L’ho detto pubblicamente più di una volta, per ringraziare il Signore. Santità significa vita immersa nello Spirito, apertura del cuore a Dio, preghiera costante, umiltà profonda, carità fraterna nei rapporti con i colleghi. Significa anche apostolato, servizio pastorale discreto, fedele, portato avanti con zelo a contatto diretto con il Popolo di Dio.
Questo è indispensabile per un sacerdote. Santità nella Curia significa anche obiezione di coscienza. Sì, obiezione di coscienza alle chiacchiere. Noi giustamente insistiamo molto sul valore dell’obiezione di coscienza, ma forse dobbiamo esercitarla anche per difenderci da una legge non scritta dei nostri ambienti che purtroppo è quella delle chiacchiere. Allora facciamo tutti obiezione di coscienza; e badate che non voglio fare solo un discorso morale! Perché le chiacchiere danneggiano la qualità delle persone, danneggiano la qualità del lavoro e dell’ambiente.

Cari Fratelli, sentiamoci tutti uniti in questo ultimo tratto di strada verso Betlemme. Ci può far bene meditare sul ruolo di san Giuseppe, così silenzioso e così necessario accanto alla Madonna. Pensiamo a lui, alla sua premura per la sua Sposa e per il Bambino. Questo ci dice tanto sul nostro servizio alla Chiesa! Allora viviamo questo Natale spiritualmente vicini a san Giuseppe. Ci farà bene a tutti questo!

Vi ringrazio tanto per il vostro lavoro, e soprattutto per le vostre preghiere. Davvero mi sento “portato” dalle preghiere, e vi chiedo di continuare a sostenermi così. Anch’io vi ricordo al Signore e vi benedico, augurando un Natale di luce e di pace a ciascuno di voi e ai vostri cari. Buon Natale!






Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
OFFLINE
Post: 39.987
Sesso: Femminile
08/04/2014 15:04
 
Email
 
Scheda Utente
 
Quota


Lettera del Santo Padre al Segretario Generale del Sinodo dei Vescovi in occasione della elevazione alla dignità episcopale del Sotto-Segretario, 08.04.2014
 

Lettera del Santo Padre al Segretario Generale del Sinodo dei Vescovi in occasione della elevazione alla dignità episcopale del Sotto-Segretario

 

Pubblichiamo di seguito la Lettera che il Santo Padre Francesco ha inviato al Segretario Generale del Sinodo dei Vescovi, Em.mo Card. Lorenzo Baldisseri, in occasione dell’elevazione alla dignità episcopale del Sotto-Segretario del Sinodo dei Vescovi, Rev.do Mons. Fabio Fabene:

 

Lettera del Santo Padre

 

Eminenza Reverendissima,

Il 15 settembre 1965, il mio Venerato Predecessore, il Servo di Dio Paolo VI, dopo aver scrutato attentamente i segni dei tempi e consapevole della necessità di rafforzare con più stretti vincoli l'unione del Vescovo di Roma con i Vescovi che lo Spirito Santo ha costituito per governare la Chiesa di Dio, istituiva, con il Motu proprio "Apostolica Sollicitudo", il Sinodo dei Vescovi.

A quel tempo, mentre il Concilio Vaticano II volgeva al termine, il nascente Organismo Sinodale costituiva uno sprone per tutti i Vescovi cattolici a prendere parte, in modo più evidente ed efficace, alla sollecitudine del Vescovo di Roma per la Chiesa Universale.

Le Assemblee Sinodali, che da allora si sono celebrate alla presenza di Vescovi provenienti dai diversi continenti, hanno potuto far conoscere gli imprescindibili contributi riguardanti i problemi e l'attività della Chiesa nel mondo e hanno offerto al Successore di Pietro un valido aiuto e consiglio per salvaguardare e incrementare la fede, per proporre con coraggio l'integrità della vita cristiana e per consolidare la disciplina ecclesiale.

Il Beato Giovanni Paolo II, che ha presieduto tante Assisi sinodali, nel ribadire l'efficacia del Sinodo e nel riconoscere l'enorme bene che esso donava alla Chiesa, prospettava con lungimiranza: "Forse questo strumento potrà essere ancora migliorato. Forse la collegiale responsabilità pastorale può esprimersi nel Sinodo ancor più pienamente" (Omelia nella conclusione della VI Assemblea Generale del Sinodo dei Vescovi, 29 ottobre 1983).

Infatti, la larghezza e la profondità dell'obiettivo dato all'istituzione sinodale derivano dall'ampiezza inesauribile del mistero e dell'orizzonte della Chiesa di Dio, che è comunione e missione. Perciò, si possono e si devono cercare forme sempre più profonde e autentiche dell'esercizio della collegialità sinodale, per meglio realizzare la comunione ecclesiale e per promuovere la sua inesauribile missione.

Trascorsi quasi cinquant'anni dall'istituzione del Sinodo dei Vescovi, avendo anch'io perscrutato i segni dei tempi e nella consapevolezza che per l'esercizio del mio Ministero Petrino serve, quanto mai, ravvivare ancor di più lo stretto legame con tutti i Pastori della Chiesa, desidero valorizzare questa preziosa eredità conciliare.

A tal proposito, non v'è dubbio che il Vescovo di Roma abbia bisogno della presenza dei suoi Confratelli Vescovi, del loro consiglio e della loro prudenza ed esperienza. Il Successore di Pietro deve sì proclamare a tutti chi è "il Cristo, il Figlio del Dio vivente" ma, in pari tempo, deve prestare attenzione a ciò che lo Spirito Santo suscita sulle labbra di quanti, accogliendo la parola di Gesù che dichiara:"Tu sei Pietro..." (cfr Mt 16,16-18), partecipano a pieno titolo al Collegio Apostolico.

Perciò, sono molto grato a quanti, con un lavoro generoso, assiduo e competente, hanno assicurato, in tutti questi anni, che l'istituzione sinodale contribuisse all'imprescindibile dialogo tra Pietro e i suoi Confratelli. Un pensiero di particolare riconoscenza vorrei esprimerlo a Vostra Eminenza, ai Membri dei vari Consigli, ai Superiori e agli Officiali della Segreteria Generale, presenti e passati.

Ora, al fine di rendere più manifesto l'apprezzato servizio che codesto Organismo svolge in favore della collegialità episcopale con il Vescovo di Roma, ho deciso di conferire al Sotto-Segretario il carattere episcopale.

In tal modo, il Sotto-Segretario, già nel suo compito di collaborazione con Vostra Eminenza per quanto concerne lo sviluppo dell'attività sinodale, in virtù dell'Ordine episcopale rispecchierà quella comunione affettiva ed effettiva che costituisce lo scopo precipuo del Sinodo dei Vescovi. Anche nel coordinare il lavoro interno della Segreteria Generale, il Sotto-Segretario sarà chiamato ad esprimere la feconda e fruttuosa realtà che sgorga dalla partecipazione al munus episcopale, fonte di santificazione per quelli che lo circondano e fondamento della comunione gerarchica con il Vescovo di Roma, capo del Collegio Episcopale, e con i Membri del medesimo Collegio.

Tanto comunico all'Eminenza Vostra, con la mia Benedizione Apostolica.

Dal Vaticano, 1° aprile 2014

FRANCESCO










Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
OFFLINE
Post: 39.987
Sesso: Femminile
19/05/2014 21:36
 
Email
 
Scheda Utente
 
Quota


DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO
ALLA 66a ASSEMBLEA GENERALE 
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

Aula del Sinodo
Lunedì, 19 maggio 2014



[dopo il momento di preghiera]

A me sempre ha colpito come finisce questo dialogo fra Gesù e Pietro: “Seguimi!” (Gv 21,19). L’ultima parola. Pietro era passato per tanti stati d’animo, in quel momento: la vergogna, perché si ricordava delle tre volte che aveva rinnegato Gesù, e poi un po’ di imbarazzo, non sapeva come rispondere, e poi la pace, è stato tranquillo, con quel “Seguimi!”. Ma poi, è venuto il tentatore un’altra volta, la tentazione della curiosità: “Dimmi, Signore, e di questo [l’apostolo Giovanni] che puoi dirmi? Cosa succederà a questo?”. “A te non importa. Tu, seguimi”. Io vorrei andarmene con questo messaggio, soltanto… L’ho sentito mentre ascoltavo questo: “A te non importa. Tu, seguimi”. Quel seguire Gesù: questo è importante! E’ più importante da parte nostra. A me sempre, sempre ha colpito questo…

Vi ringrazio di questo invito, ringrazio il Presidente delle sue parole. Ringrazio i membri della Presidenza… Un giornale diceva, dei membri della Presidenza, che “questo è uomo del Papa, questo non è uomo del Papa, questo è uomo del Papa…”. Ma la presidenza, di cinque-sei, sono tutti uomini del Papa!, per parlare con questo linguaggio “politico”… Ma noi dobbiamo usare il linguaggio della comunione. Ma la stampa a volte inventa tante cose, no?

Nel preparami a questo appuntamento di grazia, sono tornato più volte sulle parole dell’Apostolo, che esprimono quanto ho – quanto abbiamo tutti – nel cuore: “Desidero ardentemente vedervi per comunicarvi qualche dono spirituale, perché ne siate fortificati, o meglio, per essere in mezzo a voi confortato mediante la fede che abbiamo in comune, voi ed io” (Rm 1, 11-12).

Ho vissuto quest’anno cercando di pormi sul passo di ciascuno di voi: negli incontri personali, nelle udienze come nelle visite sul territorio, ho ascoltato e condiviso il racconto di speranze, stanchezze e preoccupazioni pastorali; partecipi della stessa mensa, ci siamo rinfrancati ritrovando nel pane spezzato il profumo di un incontro, ragione ultima del nostro andare verso la città degli uomini, con il volto lieto e la disponibilità a essere presenza e vangelo di vita.

In questo momento, unite alla riconoscenza per il vostro generoso servizio, vorrei offrirvi alcune riflessioni con cui rivisitare il ministero, perché si conformi sempre più alla volontà di Colui che ci ha posto alla guida della sua Chiesa.

A noi guarda il popolo fedele. Il popolo ci guarda! Io ricordo un film: “I bambini ci guardano”, era bello. Il popolo ci guarda. Ci guarda per essere aiutato a cogliere la singolarità del proprio quotidiano nel contesto del disegno provvidenziale di Dio. E’ missione impegnativa la nostra: domanda di conoscere il Signore, fino a dimorare in Lui; e, nel contempo, di prendere dimora nella vita delle nostre Chiese particolari, fino a conoscerne i volti, i bisogni e le potenzialità. Se la sintesi di questa duplice esigenza è affidata alla responsabilità di ciascuno, alcuni tratti sono comunque comuni; e oggi vorrei indicarne tre, che contribuiscono a delineare il nostro profilo di Pastori di una Chiesa che è, innanzitutto, comunità del Risorto, quindi suo corpo e, infine, anticipo e promessa del Regno.

In questo modo intendo anche venire incontro – almeno indirettamente – a quanti si domandano quali siano le attese del Vescovo di Roma sull’Episcopato italiano.

1. Pastori di una Chiesa che è comunità del Risorto.

Chiediamoci, dunque: Chi è per me Gesù Cristo? Come ha segnato la verità della mia storia? Che dice di Lui la mia vita?

La fede, fratelli, è memoria viva di un incontro, alimentato al fuoco della Parola che plasma il ministero e unge tutto il nostro popolo; la fede è sigillo posto sul cuore: senza questa custodia, senza la preghiera assidua, il Pastore è esposto al pericolo di vergognarsi del Vangelo, finendo per stemperare lo scandalo della croce nella sapienza mondana.

Le tentazioni, che cercano di oscurare il primato di Dio e del suo Cristo, sono “legione” nella vita del Pastore: vanno dalla tiepidezza, che scade nella mediocrità, alla ricerca di un quieto vivere, che schiva rinunce e sacrificio. E’ tentazione la fretta pastorale, al pari della sua sorellastra, quell’accidia che porta all’insofferenza, quasi tutto fosse soltanto un peso. Tentazione è la presunzione di chi si illude di poter far conto solamente sulle proprie forze, sull’abbondanza di risorse e di strutture, sulle strategie organizzative che sa mettere in campo. Tentazione è accomodarsi nella tristezza, che mentre spegne ogni attesa e creatività, lascia insoddisfatti e quindi incapaci di entrare nel vissuto della nostra gente e di comprenderlo alla luce del mattino di Pasqua.

Fratelli, se ci allontaniamo di Gesù Cristo, se l’incontro con Lui perde la sua freschezza, finiamo per toccare con mano soltanto la sterilità delle nostre parole e delle nostre iniziative. Perché i piani pastorali servono, ma la nostra fiducia è riposta altrove: nello Spirito del Signore, che – nella misura della nostra docilità – ci spalanca continuamente gli orizzonti della missione.

Per evitare di arenarci sugli scogli, la nostra vita spirituale non può ridursi ad alcuni momenti religiosi. Nel succedersi dei giorni e delle stagioni, nell’avvicendarsi delle età e degli eventi, alleniamoci a considerare noi stessi guardando a Colui che non passa: spiritualità è ritorno all’essenziale, a quel bene che nessuno può toglierci, la sola cosa veramente necessaria. Anche nei momenti di aridità, quando le situazioni pastorali si fanno difficili e si ha l’impressione di essere lasciati soli, essa è manto di consolazione più grande di ogni amarezza; è metro di libertà dal giudizio del cosiddetto “senso comune”; è fonte di gioia, che ci fa accogliere tutto dalla mano di Dio, fino a contemplarne la presenza in tutto e in tutti.

Non stanchiamoci, dunque, di cercare il Signore – di lasciarci cercare da Lui –, di curare nel silenzio e nell’ascolto orante la nostra relazione con Lui. Teniamo fisso lo sguardo su di Lui, centro del tempo e della storia; facciamo spazio alla sua presenza in noi: è Lui il principio e il fondamento che avvolge di misericordia le nostre debolezze e tutto trasfigura e rinnova; è Lui ciò che di più prezioso siamo chiamati a offrire alla nostra gente, pena il lasciarla in balìa di una società dell’indifferenza, se non della disperazione. Di Lui – anche se lo ignorasse – vive ogni uomo. In Lui, Uomo delle Beatitudini – pagina evangelica che torna quotidianamente nella mia meditazione – passa la misura alta della santità: se intendiamo seguirlo, non ci è data altra strada. Percorrendola con Lui, ci scopriamo popolo, fino a riconoscere con stupore e gratitudine che tutto è grazia, perfino le fatiche e le contraddizioni del vivere umano, se queste vengono vissute con cuore aperto al Signore, con la pazienza dell’artigiano e con il cuore del peccatore pentito.

La memoria della fede è così compagnia, appartenenza ecclesiale: ecco il secondo tratto del nostro profilo.

2. Pastori di una Chiesa che è corpo del Signore

Proviamo, ancora, a domandarci: che immagine ho della Chiesa, della mia comunità ecclesiale? Me ne sento figlio, oltre che Pastore? So ringraziare Dio, o ne colgo soprattutto i ritardi, i difetti e le mancanze? Quanto sono disposto a soffrire per essa? 

Fratelli, la Chiesa – nel tesoro della sua vivente Tradizione, che da ultimo riluce nella testimonianza santa di Giovanni XXIII e diGiovanni Paolo II – è l’altra grazia di cui sentirci profondamente debitori. Del resto, se siamo entrati nel Mistero del Crocifisso, se abbiamo incontrato il Risorto, è in virtù del suo corpo, che in quanto tale non può che essere uno. E’ dono e responsabilità, l’unità: l’esserne sacramento configura la nostra missione. Richiede un cuore spogliato di ogni interesse mondano, lontano dalla vanità e dalla discordia; un cuore accogliente, capace di sentire con gli altri e anche di considerarli più degni di se stessi. Così ci consiglia l’apostolo.

In questa prospettiva suonano quanto mai attuali le parole con cui, esattamente cinquant’anni fa, il Venerabile Papa Paolo VI – che avremo la gioia di proclamare beato il prossimo 19 ottobre, a conclusione del Sinodo Straordinario dei Vescovi sulla famiglia – si rivolgeva proprio ai membri della Conferenza Episcopale Italiana e poneva come “questione vitale per la Chiesa” il servizio all’unità: “E’ venuto il momento (e dovremmo noi dolerci di ciò?) di dare a noi stessi e di imprimere alla vita ecclesiastica italiana un forte e rinnovato spirito di unità”. Vi sarà dato oggi questo discorso. E’ un gioiello. E’ come se fosse stato pronunciato ieri, è così.

Ne siamo convinti: la mancanza o comunque la povertà di comunione costituisce lo scandalo più grande, l’eresia che deturpa il volto del Signore e dilania la sua Chiesa. Nulla giustifica la divisione: meglio cedere, meglio rinunciare – disposti a volte anche a portare su di sé la prova di un ingiustizia – piuttosto che lacerare la tunica e scandalizzare il popolo santo di Dio.

Per questo, come Pastori, dobbiamo rifuggire da tentazioni che diversamente ci sfigurano: la gestione personalistica del tempo, quasi potesse esserci un benessere a prescindere da quello delle nostre comunità; le chiacchiere, le mezze verità che diventano bugie, la litania delle lamentele che tradisce intime delusioni; la durezza di chi giudica senza coinvolgersi e il lassismo di quanti accondiscendono senza farsi carico dell’altro. Ancora: il rodersi della gelosia, l’accecamento indotto dall’invidia, l’ambizione che genera correnti, consorterie, settarismo: quant’è vuoto il cielo di chi è ossessionato da se stesso … E, poi, il ripiegamento che va a cercare nelle forme del passato le sicurezze perdute; e la pretesa di quanti vorrebbero difendere l’unità negando le diversità, umiliando così i doni con cui Dio continua a rendere giovane e bella la sua Chiesa…

Rispetto a queste tentazioni, proprio l’esperienza ecclesiale costituisce l’antidoto più efficace. Promana dall’unica Eucaristia, la cui forza di coesione genera fraternità, possibilità di accogliersi, perdonarsi e camminare insieme; Eucaristia, da cui nasce la capacità di far proprio un atteggiamento di sincera gratitudine e di conservare la pace anche nei momenti più difficili: quella pace che consente di non lasciarsi sopraffare dai conflitti – che poi, a volte, si rivelano crogiolo che purifica – come anche di non cullarsi nel sogno di ricominciare sempre altrove.

Una spiritualità eucaristica chiama a partecipazione e collegialità, per un discernimento pastorale che si alimenta nel dialogo, nella ricerca e nella fatica del pensare insieme: non per nulla Paolo VI, nel discorso citato – dopo aver definito il Concilio “una grazia”, “un’occasione unica e felice”, “un incomparabile momento”, “vertice di carità gerarchica e fraterna”, “voce di spiritualità, di bontà e di pace al mondo intero” – ne addita, quale “nota dominante”, la “libera e ampia possibilità d’indagine, di discussione e di espressione”. E questo è importante, in un’assemblea. Ognuno dice quello che sente, in faccia, ai fratelli; e questo edifica la Chiesa, aiuta. Senza vergogna, dirlo, così…

E’ questo il modo, per la Conferenza episcopale, di essere spazio vitale di comunione a servizio del’unità, nella valorizzazione delle diocesi, anche delle più piccole. A partire dalle Conferenze regionali, dunque, non stancatevi di intessere tra voi rapporti all’insegna dell’apertura e della stima reciproca: la forza di una rete sta in relazioni di qualità, che abbattono le distanze a avvicinano i territori con il confronto, lo scambio di esperienze, la tensione alla collaborazione.

I nostri sacerdoti, voi lo sapete bene, sono spesso provati dalle esigenze del ministero e, a volte, anche scoraggiato dall’impressione dell’esiguità dei risultati: educhiamoli a non fermarsi a calcolare entrate e uscite, a verificare se quanto si crede di aver dato corrisponde poi al raccolto: il nostro – più che di bilanci – è il tempo di quella pazienza che è il nome dell’amore maturo, la verità del nostro umile, gratuito e fiducioso donarsi alla Chiesa. Puntate ad assicurare loro vicinanza e comprensione, fate che nel vostro cuore possano sentirsi sempre a casa; curatene la formazione umana, culturale, affettiva e spirituale; l’Assemblea straordinaria del prossimo novembre, dedicata proprio alla vita dei presbiteri, costituisce un’opportunità da preparare con particolare attenzione.

Promuovete la vita religiosa: ieri la sua identità era legata soprattutto alle opere, oggi costituisce una preziosa riserva di futuro, a condizione che sappia porsi come segno visibile, sollecitazione per tutti a vivere secondo il Vangelo. Chiedete ai consacrati, ai religiosi e alle religiose di essere testimoni gioiosi: non si può narrare Gesù in maniera lagnosa; tanto più che, quando si perde l’allegria, si finisce per leggere la realtà, la storia e la stessa propria vita sotto una luce distorta.

Amate con generosa e totale dedizione le persone e le comunità: sono le vostre membra! Ascoltate il gregge. Affidatevi al suo senso di fede e di Chiesa, che si manifesta anche in tante forme di pietà popolare. Abbiate fiducia che il popolo santo di Dio ha il polso per individuare le strade giuste. Accompagnate con larghezza la crescita di una corresponsabilità laicale; riconoscete spazi di pensiero, di progettazione e di azione alle donne e ai giovani: con le loro intuizioni e il loro aiuto riuscirete a non attardarvi ancora su una pastorale di conservazione – di fatto generica, dispersiva, frammentata e poco influente – per assumere, invece, una pastorale che faccia perno sull’essenziale. Come sintetizza, con la profondità dei semplici, Santa Teresa di Gesù Bambino: “Amarlo e farlo amare”. Sia il nocciolo anche degli Orientamenti per l’annuncio e la catechesi che affronterete in queste giornate.

Fratelli, nel nostro contesto spesso confuso e disgregato, la prima missione ecclesiale rimane quella di essere lievito di unità, che fermenta nel farsi prossimo e nelle diverse forme di riconciliazione: solo insieme riusciremo – e questo è il tratto conclusivo del profilo del Pastore – a essere profezia del Regno.

3. Pastori di una Chiesa anticipo e promessa del Regno

A questo proposito, chiediamoci: Ho lo sguardo di Dio sulle persone e sugli eventi? “Ho avuto fame…, ho avuto sete…, ero straniero…, nudo…, malato…, ero in carcere” (Mt 25,31-46): temo il giudizio di Dio? Di conseguenza, mi spendo per spargere con ampiezza di cuore il seme del buon grano nel campo del mondo?

Anche qui, si affacciano tentazioni che, assommate a quelle su cui già ci siamo soffermati, ostacolano la crescita del Regno, il progetto di Dio sulla famiglia umana. Si esprimono sulla distinzione che a volte accettiamo di fare tra “i nostri” e “gli altri”; nelle chiusure di chi è convinto di averne abbastanza dei propri problemi, senza doversi curare pure dell’ingiustizia che è causa di quelli altrui; nell’attesa sterile di chi non esce dal proprio recinto e non attraversa la piazza, ma rimane a sedere ai piedi del campanile, lasciando che il mondo vada per la sua strada.

Ben altro è il respiro che anima la Chiesa. Essa è continuamente convertita dal Regno che annuncia e di cui è anticipo e promessa:Regno che è e che viene, senza che alcuno possa presumere di definirlo in modo esauriente; Regno che rimane oltre, più grande dei nostri schemi e ragionamenti, o che – forse più semplicemente – è tanto piccolo, umile e nascosto nella pasta dell’umanità, perché dispiega la sua forza secondo i criteri di Dio, rivelati nella croce del Figlio.

Servire il Regno comporta di vivere decentrati rispetto a se stessi, protesi all’incontro che è poi la strada per ritrovare veramente ciò che siamo: annunciatori della verità di Cristo e della sua misericordia. Verità e misericordia: non disgiungiamole. Mai! “La carità nella verità – ci ha ricordato Papa Benedetto XVI – è la principale forza propulsiva per il vero sviluppo di ogni persona e dell’umanità intera” (Enc. Caritas in veritate, 1). Senza la verità, l’amore di risolve in una scatola vuota, che ciascuno riempie a propria discrezione: e “un cristianesimo di carità senza verità può venire facilmente scambiato per una riserva di buoni sentimenti, utili per la convivenza sociale, ma marginali”, che in quanto tali non incidono sui progetti e sui processi di costruzione dello sviluppo umano (ibid., 4).

Con questa chiarezza, fratelli, il vostro annuncio sia poi cadenzato sull’eloquenza dei gesti. Mi raccomando: l’eloquenza dei gesti.

Come Pastori, siate semplici nello stile di vita, distaccati, poveri e misericordiosi, per camminare spediti e non frapporre nulla tra voi e gli altri. 

Siate interiormente liberi, per poter essere vicini alla gente, attenti a impararne la lingua, ad accostare ognuno con carità, affiancando le persone lungo le notti delle loro solitudini, delle loro inquietudini e dei loro fallimenti: accompagnatele, fino a riscaldare loro il cuore e provocarle così a intraprendere un cammino di senso che restituisca dignità, speranza e fecondità alla vita.

Tra i “luoghi” in cui la vostra presenza mi sembra maggiormente necessaria e significativa – e rispetto ai quali un eccesso di prudenza condannerebbe all’irrilevanza – c’è innanzitutto la famiglia. Oggi la comunità domestica è fortemente penalizzata da una cultura che privilegia i diritti individuali e trasmette una logica del provvisorio. Fatevi voce convinta di quella che è la prima cellula di ogni società. Testimoniatene la centralità e la bellezza. Promuovete la vita del concepito come quella dell’anziano. Sostenete i genitori nel difficile ed entusiasmante cammino educativo. E non trascurate di chinarvi con la compassione del samaritano su chi è ferito negli affetti e vede compromesso il proprio progetto di vita.

Un altro spazio che oggi non è dato di disertare è la sala d’attesa affollata di disoccupati: disoccupati, cassintegratiprecari, dove il dramma di chi non sa come portare a casa il pane si incontra con quello di chi non sa come mandare avanti l’azienda. E’ un’emergenza storica, che interpella la responsabilità sociale di tutti: come Chiesa, aiutiamo a non cedere al catastrofismo e alla rassegnazione, sostenendo con ogni forma di solidarietà creativa la fatica di quanti con il lavoro si sentono privati persino della dignità.

Infine, la scialuppa che si deve calare è l’abbraccio accogliente ai migranti: fuggono dall’intolleranza, dalla persecuzione, dalla mancanza di futuro. Nessuno volga lo sguardo altrove. La carità, che ci è testimoniata dalla generosità di tanta gente, è il nostro modo vivere e di interpretare la vita: in forza di questo dinamismo, il Vangelo continuerà a diffondersi per attrazione.

Più in generale, le difficili situazioni vissute da tanti nostri contemporanei, vi trovino attenti e partecipi, pronto a ridiscutere un modello di sviluppo che sfrutta il creato, sacrifica le persone sull’altare del profitto e crea nuove forma di emarginazione e di esclusione. Il bisogno di un nuovo umanesimo è gridato da una società priva di speranza, scossa in tante sue certezze fondamentali, impoverita da una crisi che, più che economica, è culturale, morale e spirituale.

Considerando questo scenario, il discernimento comunitario sia l’anima del percorso di preparazione al Convegno ecclesiale nazionale di Firenze nel prossimo anno: aiuti, per favore, a non fermarsi sul piano – pur nobile – delle idee, ma inforchi occhiali capaci di cogliere e comprendere la realtà e, quindi, strade per governarla, mirando a rendere più giusta e fraterna la comunità degli uomini.

Andate incontro a chiunque chieda ragione della speranza che è in voi: accoglietene la cultura, porgetegli con rispetto la memoria della fede e la compagnia della Chiesa, quindi i segni della fraternità, della gratitudine e della solidarietà, che anticipano nei giorni dell’uomo i riflessi della Domenica senza tramonto.

Cari fratelli, è grazia il nostro convenire di questa sera e, più in generale, di questa vostra assemblea; è esperienza di condivisione e di sinodalità; è motivo di rinnovata fiducia nello Spirito Santo: a noi cogliere il soffio della sua voce per assecondarlo con l’offerta della nostra libertà.

Vi accompagno con la mia preghiera e la mia vicinanza. E voi pregate per me, soprattutto alla vigilia di questo viaggio che mi vede pellegrino ad Amman, Betlemme e Gerusalemme a 50 anni dallo storico incontro tra Papa Paolo VI e il Patriarca Atenagora: porto con ma la vostra vicinanza partecipe e solidale alla Chiesa Madre e alle popolazioni che abitano la terra benedetta in cui Nostro Signore è vissuto, morto e risorto. Grazie.




Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
OFFLINE
Post: 39.987
Sesso: Femminile
30/05/2014 20:55
 
Email
 
Scheda Utente
 
Quota






SANTA MESSA CON ORDINAZIONE EPISCOPALE DI MONS. FABIO FABENE,
SOTTO-SEGRETARIO DEL SINODO DEI VESCOVI

OMELIA DEL SANTO PADRE FRANCESCO

Basilica Vaticana
Venerdì, 30 maggio 2014

Video

 

Fratelli e figli carissimi, riflettiamo attentamente a quale alta responsabilità ecclesiale viene promosso questo nostro fratello.

Il Signore nostro Gesù Cristo, inviato dal Padre a redimere gli uomini, mandò a sua volta nel mondo i dodici Apostoli, perché pieni della potenza dello Spirito Santo, annunziassero il Vangelo a tutti i popoli, e riunendoli sotto l’unico Pastore, li santificassero e li guidassero alla salvezza.

Al fine di perpetuare di generazione in generazione questo ministero apostolico, i Dodici si aggregarono dei collaboratori trasmettendo loro, con l'imposizione delle mani, il dono dello Spirito ricevuto da Cristo, che conferiva la pienezza del sacramento dell'Ordine. Così, attraverso l'ininterrotta successione dei vescovi nella tradizione vivente della Chiesa, si è conservato questo ministero primario e l'opera del Salvatore continua e si sviluppa fino ai nostri tempi.

Nel vescovo circondato dai suoi presbiteri è presente in mezzo a voi lo stesso Signore nostro Gesù Cristo, sommo sacerdote in eterno. È Cristo infatti che nel ministero del vescovo continua a predicare il Vangelo di salvezza e a santificare i credenti mediante i Sacramenti della fede; è Cristo che nella paternità del vescovo accresce di nuove membra il suo corpo che è la Chiesa; è Cristo che nella sapienza e prudenza del vescovo guida il popolo di Dio nel pellegrinaggio terreno fino alla felicità eterna.

Accogliete dunque con gioia e gratitudine questo nostro fratello che noi vescovi, con l'imposizione delle mani, oggi associamo al collegio episcopale. Rendete a lui l'onore che si deve al ministro di Cristo e al dispensatore dei misteri di Dio, al quale è affidata la testimonianza del Vangelo e il ministero dello Spirito per la santificazione. Ricordatevi delle parole di Gesù agli Apostoli: «Chi ascolta voi, ascolta me; chi disprezza voi, disprezza me; e chi disprezza me, disprezza colui che mi ha mandato» (Lc 10,16).

Quanto a te, Fabio, fratello carissimo, eletto dal Signore, rifletti che sei stato scelto fra gli uomini e per gli uomini sei stato costituito nelle cose che riguardano Dio. Sei stato eletto dal gregge: che mai la vanità, l’orgoglio, la superbia vengano. E sei stato costituito per gli uomini: che sempre il tuo atteggiamento sia di servizio. Come Gesù, così. Episcopato infatti è il nome di un servizio, non di un onore, poiché al vescovo compete più il servire che il dominare, secondo il comandamento del Maestro: «Chi è il più grande tra voi, diventi come il più piccolo, e chi governa come colui che serve». Ti raccomando di avere presenti le parole di Paolo che abbiamo ascoltato oggi: veglia su te stesso e veglia sul popolo di Dio. Questo vegliare significa fare la veglia, essere attento, per difendere sé stesso da tanti peccati e da tanti atteggiamenti mondani, e per difendere il popolo di Dio dai lupi che Paolo diceva che sarebbero venuti.

Annunzia la Parola in ogni occasione opportuna e non opportuna; ammonisci, rimprovera, esorta con ogni magnanimità e dottrina. E, mediante l'orazione e l'offerta del Sacrificio per il tuo popolo, attingi dalla pienezza della santità di Cristo la multiforme ricchezza della divina grazia. E vegliare sul popolo significa anche pregare, pregare per il popolo, come faceva Mosè: con le mani in alto, quella preghiera di intercessione, quella preghiera coraggiosa faccia a faccia con il Signore per il popolo.

Nella Chiesa a te affidata sii fedele custode e dispensatore dei misteri di Cristo. Posto dal Padre a capo della sua famiglia, segui sempre l'esempio del Buon Pastore, che conosce le sue pecore, da esse è conosciuto e per esse non ha esitato a dare la vita.

Ama con amore di padre e di fratello tutti coloro che Dio ti affida: anzitutto i presbiteri e i diaconi, tuoi collaboratori nel ministero; ma anche i poveri, gli indifesi e quanti hanno bisogno di accoglienza e di aiuto. Esorta i fedeli a cooperare all'impegno apostolico e ascoltali volentieri.

Abbi viva attenzione a quanti non appartengono all'unico ovile di Cristo, perché essi pure ti sono stati affidati nel Signore. E prega per loro.

Ricordati che nella Chiesa cattolica, radunata nel vincolo della carità, sei unito al collegio dei vescovi e devi portare in te la sollecitudine di tutte le Chiese, soccorrendo generosamente quelle che sono più bisognose di aiuto. Questo credo che ti sarà facile nel compito che ti è affidato nella Segreteria del Sinodo dei Vescovi.

Veglia, veglia con amore su tutto il gregge, nel quale lo Spirito Santo ti pone a reggere la Chiesa di Dio. Veglia, non addormentarti, veglia, fa’ la veglia, e che il Signore ti accompagni, ti accompagni in questo vegliare che io oggi ti affido nel nome del Padre, del quale rendi presente l'immagine; nel nome di Gesù Cristo suo Figlio, dal quale sei costituito maestro, sacerdote e pastore; e nel nome dello Spirito Santo, che dà vita alla Chiesa e con la sua potenza sostiene la nostra debolezza.

 


 

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
OFFLINE
Post: 39.987
Sesso: Femminile
19/09/2014 11:47
 
Email
 
Scheda Utente
 
Quota


DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO
AI NUOVI VESCOVI NOMINATI NEL CORSO DELL'ANNO

Sala Clementina
Giovedì, 18 settembre 2014


 

Cari Fratelli,

sono lieto di incontrarvi ora personalmente, perché in verità devo dire che in qualche modo già vi conoscevo. Non tanto tempo fa siete stati presentati a me dalla Congregazione per i Vescovi o da quella per le Chiese Orientali. Siete i frutti di un lavoro assiduo e della instancabile preghiera della Chiesa che, quando deve scegliere i suoi Pastori, vuole attualizzare quell’intera notte passata dal Signore sul monte, alla presenza del Padre suo, prima di chiamare quelli che ha voluto per stare con Lui e per essere inviati nel mondo.

Ringrazio pertanto nelle persone dei Signori Cardinali Ouellet e Sandri tutti coloro che hanno contribuito a preparare la vostra scelta come Vescovi e si sono prodigati per organizzare queste giornate di incontro, sicuramente feconde, nelle quali si gusta la gioia di essere Vescovi non isolati ma in comunione, di sentire la corresponsabilità del ministero episcopale e la sollecitudine per l’intera Chiesa di Dio.

Conosco il vostro curriculum e nutro grandi speranze nelle vostre potenzialità. Ora posso finalmente associare la prima conoscenza avuta dalle carte a dei volti, e dopo aver sentito parlare di voi, posso personalmente ascoltare il cuore di ciascuno e fissare lo sguardo su ciascuno per scorgere le tante speranze pastorali che Cristo e la sua Chiesa ripongono in voi. È bello veder rispecchiato nel volto il mistero di ciascuno e poter leggere quanto Cristo vi ha scritto. È consolante poter constatare che Dio non lascia mancare alla sua Sposa i Pastori secondo il suo cuore.

Cari Fratelli, il nostro incontro si svolge all’inizio del vostro cammino episcopale. È già passato lo stupore suscitato dalla vostra scelta; sono superate le prime paure, quando il vostro nome è stato pronunciato dal Signore; anche le emozioni vissute nella consacrazione ora si vanno gradualmente depositando nella memoria e il peso della responsabilità si adatta, in qualche modo, alle vostre pur fragili spalle. L’olio dello Spirito versato sul vostro capo ancora profuma e al tempo stesso va scendendo sul corpo delle Chiese a voi affidate dal Signore. Avete già sperimentato che il Vangelo aperto sul vostro capo è diventato casa dove si può abitare con il Verbo di Dio; e l’anello nella vostra mano destra, che alle volte stringe troppo o qualche volta rischia di scivolare, possiede comunque la forza di saldare la vostra vita a Cristo e alla sua Sposa.       

Nell’incontrarvi per la prima volta, vi prego principalmente di non dare mai per scontato il mistero che vi ha investito, di non perdere lo stupore di fronte al disegno di Dio, né il timore di camminare in coscienza alla sua presenza e alla presenza della Chiesa che è prima di tutto sua. In qualche parte di sé stessi bisogna conservare al riparo questo dono ricevuto, evitando che si logori, impedendo che sia reso vano.        

Ora consentitemi di parlarvi con semplicità su alcuni temi che mi stanno a cuore. Sento il dovere di ricordare ai Pastori della Chiesa l’inscindibile legame tra la stabile presenza del Vescovo e la crescita del gregge. Ogni riforma autentica della Chiesa di Cristo comincia dalla presenza, da quella di Cristo che non manca mai, ma anche da quella del Pastore che regge in nome di Cristo. E questa non è una pia raccomandazione. Quando latita il Pastore o non è reperibile, sono in gioco la cura pastorale e la salvezza delle anime (Decreto De reformatione del Concilio di Trento IX). Questo diceva il Concilio di Trento, con tanta ragione.

Infatti, nei Pastori che Cristo dona alla Chiesa, Egli stesso ama la sua Sposa e dona la sua vita per lei (cfr Ef 5,25-27). L’amore rende simili coloro che lo condividono, perciò tutto quanto è bello nella Chiesa viene da Cristo, ma è anche vero che l’umanità glorificata dello Sposo non ha disprezzato i nostri tratti. Dicono che dopo anni d’intensa comunione di vita e di fedeltà, anche nelle coppie umane le tracce della fisionomia degli sposi gradualmente si comunicano a vicenda ed entrambi finiscono per assomigliarsi.

Voi siete stati legati da un anello di fedeltà alla Chiesa che vi è stata affidata o che siete chiamati a servire. L’amore per la Sposa di Cristo gradualmente vi consente di imprimere traccia di voi nel suo volto e al tempo stesso di portare in voi i tratti della sua fisionomia. Perciò serve l’intimità, l’assiduità, la costanza, la pazienza.

Non servono Vescovi contenti in superficie; si deve scavare in profondità per rintracciare quanto lo Spirito continua a ispirare alla vostra Sposa. Per favore, non siate Vescovi con scadenza fissata, che hanno bisogno di cambiare sempre indirizzo, come medicine che perdono la capacità di guarire, o come quegli insipidi alimenti che sono da buttare perché oramai resi inutili (cfr Mt 5,13).
È importante non bloccare la forza risanatrice che sgorga dall’intimo del dono che avete ricevuto, e questo vi difende dalla tentazione di andare e venire senza meta, perché “nessun vento è favorevole a chi non sa dove va”. E noi abbiamo imparato dove andiamo: andiamo sempre da Gesù. Siamo alla ricerca di conoscere «dove dimora», perché non si esaurisce mai la sua risposta data ai primi: «Venite e vedrete» (Gv 1,38-39).

Per abitare pienamente nelle vostre Chiese è necessario abitare sempre in Lui e da Lui non scappare: dimorare nella sua Parola, nella sua Eucaristia, nelle «cose del Padre suo» (cfr Lc 2,49), e soprattutto nella sua croce. Non fermarsi di passaggio, ma lungamente soggiornare! Come inestinguibile rimane accesa la lampada del Tabernacolo delle vostre maestose Cattedrali o umili Cappelle, così nel vostro sguardo il Gregge non manchi di incontrare la fiamma del Risorto.

Pertanto, non Vescovi spenti o pessimisti, che, poggiati solo su sé stessi e quindi arresi all’oscurità del mondo o rassegnati all’apparente sconfitta del bene, ormai invano gridano che il fortino è assalito. La vostra vocazione non è di essere guardiani di una massa fallita, ma custodi dell’Evangelii gaudium, e pertanto non potete essere privi dell’unica ricchezza che veramente abbiamo da donare e che il mondo non può dare a sé stesso: la gioia dell’amore di Dio.

Vi prego inoltre di non lasciarvi illudere dalla tentazione di cambiare di popolo. Amate il popolo che Dio vi ha dato, anche quando loro avranno “commesso grandi peccati”, senza stancarvi di “salire dal Signore” per ottenere perdono e un nuovo inizio, anche al prezzo di veder cancellate tante vostre false immagini del volto divino o le fantasie che avete alimentato circa il modo di suscitare la sua comunione con Dio (cfr Es 32,30-31). Imparate il potere umile ma irresistibile della sostituzione vicaria, che è la sola radice della redenzione.

Anche la missione, resasi così urgente, nasce da quel «vedere dove dimora il Signore e rimanere con lui» (cfr Gv 1,39). Solo chi incontra, rimane e dimora acquisisce il fascino e l’autorevolezza per condurre il mondo a Cristo (cfr Gv 1,40-42). Penso a tante persone da portare a Lui.

Ai vostri sacerdoti, in primis. Ce ne sono tanti che non cercano più dove Lui abita, o che dimorano in altre latitudini esistenziali, alcuni nei bassifondi. Altri, dimentichi della paternità episcopale o magari stanchi di cercarla invano, ora vivono come se non ci fossero più padri o si illudono di non aver bisogno di padri. Vi esorto a coltivare in voi, Padri e Pastori, un tempo interiore nel quale si possa trovare spazio per i vostri sacerdoti: riceverli, accoglierli, ascoltarli, guidarli.
Vi vorrei Vescovi rintracciabili non per la quantità dei mezzi di comunicazione di cui disponete, ma per lo spazio interiore che offrite per accogliere le persone e i loro concreti bisogni, dando loro l’interezza e la larghezza dell’insegnamento della Chiesa, e non un catalogo di rimpianti. E l’accoglienza sia per tutti senza discriminazione, offrendo la fermezza dell’autorità che fa crescere e la dolcezza della paternità che genera. E, per favore, non cadete nella tentazione di sacrificare la vostra libertà circondandovi di corti, cordate o cori di consenso, poiché nelle labbra del Vescovo la Chiesa e il mondo hanno il diritto di trovare sempre il Vangelo che rende liberi.

Poi c’è il Popolo di Dio a voi affidato. Quando, nel momento della vostra consacrazione, il nome della vostra Chiesa è stato proclamato, si riverberava il volto di coloro che Dio vi stava donando. Questo Popolo ha bisogno della vostra pazienza per curarlo, per farlo crescere. So bene quanto si è reso deserto il nostro tempo.
Serve, poi, imitare la pazienza di Mosè per guidare la vostra gente, senza paura di morire come esuli, ma consumando fino all’ultima energia vostra non per voi ma per far entrare in Dio coloro che guidate. Niente è più importante che introdurre le persone in Dio! Vi raccomando soprattutto i giovani e gli anziani. I primi perché sono le nostre ali, e i secondi perché sono le nostre radici. Ali e radici senza le quali non sappiamo che cosa siamo e nemmeno dove dovremo andare.   

Alla fine del nostro incontro, consentite al Successore di Pietro che vi guardi profondamente dall’alto del Mistero che ci unisce in modo irrevocabile. Oggi, vedendovi nelle vostre diverse fisionomie, che rispecchiano l’inesauribile ricchezza della Chiesa diffusa in tutta la terra, il Vescovo di Roma abbraccia la Cattolica. Non è necessario ricordare le singolari e drammatiche situazioni dei nostri giorni.
Quanto vorrei quindi che risuonasse, per mezzo di voi, in ogni Chiesa un messaggio di incoraggiamento. Tornando alle vostre case, ovunque esse siano, portate per favore il saluto di affetto del Papa e assicurate alla gente che è sempre nel suo cuore.

Vedo in voi le sentinelle, capaci di svegliare le vostre Chiese, alzandovi prima dall’alba o in mezzo alla notte per ridestare la fede, la speranza, la carità; senza lasciarvi assopire o conformare con il lamento nostalgico di un passato fecondo ma ormai tramontato. Scavate ancora nelle vostre sorgenti, con il coraggio di rimuovere le incrostazioni che hanno coperto la bellezza e il vigore dei vostri antenati pellegrini e missionari che hanno impiantato Chiese e creato civiltà.

Vedo in voi uomini capaci di coltivare e di far maturare i campi di Dio, nei quali le giovani seminature attendono mani disposte ad annaffiare quotidianamente per sperare raccolti generosi.

Vedo infine in voi Pastori in grado di ricomporre l’unità, di tessere reti, di ricucire, di vincere la frammentarietà. Dialogate con rispetto con le grandi tradizioni nelle quali siete immersi, senza paura di perdervi e senza bisogno di difendere le vostre frontiere, perché l’identità della Chiesa è definita dall’amore di Cristo che non conosce frontiera. Pur custodendo gelosamente la passione per la verità, non sprecate energie per contrapporsi e scontrarsi ma per costruire e amare.

Così, sentinelle, uomini capaci di curare i campi di Dio, pastori che camminano davanti, in mezzo e dietro al gregge, vi congedo, vi abbraccio, augurando fecondità, pazienza, umiltà e molta preghiera. Grazie.

 





Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
OFFLINE
Post: 39.987
Sesso: Femminile
03/10/2014 14:36
 
Email
 
Scheda Utente
 
Quota


Francesco: tutelare diritto genitori a educare figli secondo proprie convinzioni


 




Papa Francesco




 



03/10/2014



Occorre tutelare l’imprescindibile diritto dei genitori a dare ai figli l’educazione secondo le proprie convinzioni morali e religiose: lo ha affermato Papa Francesco ricevendo i partecipanti alla plenaria del Consiglio delle Conferenze Episcopali Europee, in corso a Roma sul tema «Famiglia e futuro dell’Europa». Il servizio di Sergio Centofanti:


Pastori vicini al popolo e attenti alle esigenze della gente: Papa Francesco chiede questo ai vescovi europei di fronte alla complessità degli scenari e alle sfide della Chiesa in Europa:


“Siamo chiamati ad essere una Chiesa ‘in uscita’, in movimento dal centro verso la periferia per andare verso tutti, senza paure, senza diffidenze e con coraggio apostolico. Quanti fratelli e sorelle, quante situazioni, quanti contesti, anche i più difficili, hanno bisogno della luce del Vangelo!”.


E’ “importante – afferma il Papa - che Pastori e famiglie lavorino insieme, con spirito di umiltà e dialogo sincero, affinché le comunità parrocchiali diventino ‘famiglia di famiglie’”. Ed è in questo ambito, che sono fiorite interessanti esperienze all’interno delle Chiese locali:


“Fidanzati che vivono seriamente la preparazione al matrimonio; coppie di sposi che accolgono figli di altri in affido temporaneo o in adozione; gruppi di famiglie che in parrocchie o nei movimenti si aiutano nel cammino della vita e della fede. Non mancano diverse esperienze di pastorale della famiglia e di impegno politico e sociale in sostegno delle famiglie, sia quelle che vivono una vita matrimoniale ordinaria, sia quelle segnate da problemi o rotture”.


“La collaborazione tra Pastori e famiglie – ha proseguito Papa Francesco - si estende anche al campo dell’educazione”. Qui – ha rilevato – ci vuole “coraggio nelle proprie convinzioni”:


“Si tratta di sostenere i genitori nella responsabilità di educare i figli, tutelando il loro imprescindibile diritto a dare ai figli l’educazione che ritengono più idonea. I genitori, infatti, rimangono i primi e principali educatori dei loro figli, pertanto hanno il diritto di educarli in conformità alle loro convinzioni morali e religiose”.


A questo proposito – ha osservato – “si potranno delineare comuni e coordinate direttive pastorali da assumere, al fine di promuovere e sostenere validamente le scuole cattoliche”. Infine, ha rivolto ai vescovi europei questa esortazione:


“Vi invito anche ad essere una ‘voce profetica’ all’interno della società, soprattutto là dove il processo di secolarizzazione in atto nel Continente europeo tende a rendere sempre più marginale il parlare di Dio”.







Il Papa: vescovi vigilino su vocazioni per il bene del popolo di Dio

Papa Francesco incontra la Congregazione per il Clero

03/10/2014

Vocazione, formazione, evangelizzazione. Papa Francesco ha incentrato su questi tre punti il discorso ai partecipanti alla Plenaria della Congregazione per il Clero, guidati dal cardinale Beniamino Stella. Il Pontefice ha sottolineato che non bisogna limitarsi a “fare i preti” ma vivere con gioia la propria vocazione, ed ha invitato i pastori a vincere la tentazione di prendere giovani in seminario senza valutarne bene le qualità. Il servizio di Alessandro Gisotti:

“Abbiamo bisogno di sacerdoti, mancano le vocazioni. Il Signore chiama, ma non è sufficiente”. Papa Francesco ha guardato con franchezza alla crisi vocazionale per poi rivolgere, a braccio, un ammonimento ai vescovi affinché vincano “la tentazione di prendere senza discernimento i giovani che si presentano”:

“Questo è un male per la Chiesa! Per favore, studiare bene il percorso di una vocazione! Esaminare bene se quello è dal Signore, se quell’uomo è sano, se quell’uomo è equilibrato, se quell’uomo è capace di dare vita, di evangelizzare, se quell’uomo è capace di formare una famiglia e rinunciare a questo per seguire Gesù".

"Oggi  - ha soggiunto – abbiamo tanti problemi, e in tante diocesi per questo errore di alcuni vescovi di prendere quelli che vengono a volte espulsi dai seminari o dalle case religiose perché hanno bisogno di preti. Per favore! Pensare al bene del popolo di Dio”. La vocazione è come “un tesoro nascosto in un campo”, ha detto ancora Papa Francesco che ha preso spunto dall’immagine del Vangelo di Matteo per sottolineare quanto la chiamata al ministero ordinato sia fondamentale. Ed ha avvertito che questo tesoro “non è fatto per arricchire solo qualcuno”:

“Chi è chiamato al ministero non è 'padrone' della sua vocazione, ma amministratore di un dono che Dio gli ha affidato per il bene di tutto il popolo, anzi di tutti gli uomini, anche di coloro che si sono allontanati dalla pratica religiosa o non professano la fede in Cristo”.

Al tempo stesso, ha soggiunto, “tutta la comunità cristiana è custode del tesoro di queste vocazioni, destinate al suo servizio, e deve avvertire sempre più il compito di promuoverle, accoglierle ed accompagnarle con affetto”. Ha quindi rivolto il pensiero alla formazione che, ha osservato, “è la risposta dell’uomo, della Chiesa al dono che Dio le fa tramite le vocazioni”. Si tratta, ha affermato, “di custodire e far crescere le vocazioni, perché portino frutti maturi”. Esse, infatti, “sono un diamante grezzo, da lavorare con cura, rispetto della coscienza delle persone e pazienza, perché brillino in mezzo al popolo di Dio”. La formazione perciò, ha voluto sottolineare, “non è un atto unilaterale, con il quale qualcuno trasmette nozioni, teologiche o spirituali”:

“Gesù non ha detto a quanti chiamava: ‘vieni, ti spiego’ o ‘seguimi, ti istruisco’; la formazione offerta da Cristo ai suoi discepoli è invece avvenuta tramite un ‘vieni e seguimi’, ‘fai come faccio io’, e questo è il metodo che anche oggi la Chiesa vuole adottare per i suoi ministri. La formazione di cui parliamo è un’esperienza discepolare, che avvicina a Cristo e permette di conformarsi sempre più a Lui”. 

“Proprio per questo – ha aggiunto – essa non può essere un compito a termine, perché i sacerdoti non smettono mai di essere discepoli di Gesù, di seguirlo”. Ed ha evidenziato che “un simile percorso di scoperta e valorizzazione della vocazione ha uno scopo preciso: l’evangelizzazione”. Francesco ha messo in guardia i sacerdoti dall’essere “più preoccupati del consenso altrui e del proprio benessere che animati dalla carità pastorale, per l’annuncio del Vangelo, sino alle più remote periferie”. Infine, il Papa ha ribadito che i sacerdoti devono “accrescere la consapevolezza di essere pastori, inviati per stare in mezzo al loro gregge”:

“Si tratta di ‘essere’ preti, non limitandosi a ‘fare’ i preti, liberi da ogni mondanità spirituale, consci che è la loro vita ad evangelizzare prima ancora delle loro opere. Quanto è bello vedere sacerdoti gioiosi nella loro vocazione, con una serenità di fondo, che li sostiene anche nei momenti di fatica e di dolore! E questo non accade mai senza la preghiera, quella del cuore, quel dialogo con il Signore…che è il cuore, per così dire, della vita sacerdotale”.



DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO
ALLA PLENARIA DELLA CONGREGAZIONE PER IL CLERO

Sala Clementina
Venerdì, 3 ottobre 2014

 

Signori Cardinali,
cari fratelli vescovi e sacerdoti,
fratelli e sorelle,

rivolgo a ciascuno un cordiale saluto e un sincero ringraziamento per la vostra collaborazione alla sollecitudine della Santa Sede per i ministri ordinati e la loro azione pastorale. Ringrazio il Cardinale Beniamino Stella per le parole con le quali ha introdotto questo incontro. Quello che vorrei dirvi oggi ruota intorno a tre temi, che corrispondono ai fini e all’attività di questo Dicastero: vocazione, formazione, evangelizzazione.

Riprendendo l’immagine del Vangelo di Matteo, mi piace paragonare la vocazione al ministero ordinato al “tesoro nascosto in un campo” (13,44). È davvero un tesoro che Dio mette da sempre nel cuore di alcuni uomini, da Lui scelti e chiamati a seguirlo in questo speciale stato di vita. Questo tesoro, che richiede di essere scoperto e portato alla luce, non è fatto per “arricchire” solo qualcuno. Chi è chiamato al ministero non è “padrone” della sua vocazione, ma amministratore di un dono che Dio gli ha affidato per il bene di tutto il popolo, anzi di tutti gli uomini, anche di coloro che si sono allontanati dalla pratica religiosa o non professano la fede in Cristo. Al tempo stesso, tutta la comunità cristiana è custode del tesoro di queste vocazioni, destinate al suo servizio, e deve avvertire sempre più il compito di promuoverle, accoglierle ed accompagnarle con affetto.

Dio non cessa di chiamare alcuni a seguirlo e servirlo nel ministero ordinato. Anche noi, però, dobbiamo fare la nostra parte, mediante la formazione, che è la risposta dell’uomo, della Chiesa al dono di Dio, quel dono che Dio le fa tramite le vocazioni. Si tratta di custodire e far crescere le vocazioni, perché portino frutti maturi. Esse sono un “diamante grezzo”, da lavorare con cura, rispetto della coscienza delle persone e pazienza, perché brillino in mezzo al popolo di Dio. La formazione perciò non è un atto unilaterale, con il quale qualcuno trasmette nozioni, teologiche o spirituali. Gesù non ha detto a quanti chiamava: “vieni, ti spiego”, “seguimi, ti istruisco”: no!; la formazione offerta da Cristo ai suoi discepoli è invece avvenuta tramite un “vieni e seguimi”, “fai come faccio io”, e questo è il metodo che anche oggi la Chiesa vuole adottare per i suoi ministri. La formazione di cui parliamo è un’esperienza discepolare, che avvicina a Cristo e permette di conformarsi sempre più a Lui.

Proprio per questo, essa non può essere un compito a termine, perché i sacerdoti non smettono mai di essere discepoli di Gesù, di seguirlo. A volte procediamo spediti, altre volte il nostro passo è incerto, ci fermiamo e possiamo anche cadere, ma sempre restando in cammino. Quindi, la formazione in quanto discepolato accompagna tutta la vita del ministro ordinato e riguarda integralmente la sua persona, intellettualmente, umanamente e spiritualmente. La formazione iniziale e quella permanente vengono distinte perché richiedono modalità e tempi diversi, ma sono le due metà di una sola realtà, la vita del discepolo chierico, innamorato del suo Signore e costantemente alla sua sequela.

Un simile percorso di scoperta e valorizzazione della vocazione ha uno scopo preciso: l’evangelizzazione. Ogni vocazione è per la missione e la missione dei ministri ordinati è l’evangelizzazione, in ogni sua forma. Essa parte in primo luogo dall’ “essere”, per poi tradursi in un “fare”. I sacerdoti sono uniti in una fraternità sacramentale, pertanto la prima forma di evangelizzazione è la testimonianza di fraternità e di comunione tra loro e con il Vescovo. Da una simile comunione può scaturire un potente slancio missionario, che libera i ministri ordinati dalla comoda tentazione di essere più preoccupati del consenso altrui e del proprio benessere che animati dalla carità pastorale, per l’annuncio del Vangelo, sino alle più remote periferie.

In tale missione evangelizzatrice, i presbiteri sono chiamati ad accrescere la consapevolezza di essere pastori, inviati per stare in mezzo al loro gregge, per rendere presente il Signore tramite l’Eucaristia e per dispensare la sua misericordia. Si tratta di “essere” preti, non limitandosi a “fare” i preti, liberi da ogni mondanità spirituale, consci che è la loro vita ad evangelizzare prima ancora delle loro opere. Quanto è bello vedere sacerdoti gioiosi nella loro vocazione, con una serenità di fondo, che li sostiene anche nei momenti di fatica e di dolore!
E questo non accade mai senza la preghiera, quella del cuore, quel dialogo con il Signore…che è il cuore, per così dire, della vita sacerdotale. Abbiamo bisogno di sacerdoti, mancano le vocazioni. Il Signore chiama, ma non è sufficiente.
E noi vescovi abbiamo la tentazione di prendere senza discernimento i giovani che si presentano. Questo è un male per la Chiesa! Per favore, occorre studiare bene il percorso di una vocazione! Esaminare bene se quello è dal Signore, se quell’uomo è sano, se quell’uomo è equilibrato, se quell’uomo è capace di dare vita, di evangelizzare, se quell’uomo è capace di formare una famiglia e rinunciare a questo per seguire Gesù. Oggi abbiamo tanti problemi, e in tante diocesi, per questo errore di alcuni vescovi di prendere quelli che vengono a volte espulsi dai seminari o dalle case religiose perché hanno bisogno di preti. Per favore! Dobbiamo pensare al bene del popolo di Dio.

Cari fratelli e sorelle, i temi che state trattando in questi giorni di Assemblea sono di grande rilevanza. Una vocazione curata mediante una permanente formazione, nella comunione, diviene un potente strumento di evangelizzazione, al servizio del popolo di Dio. Il Signore vi illumini nelle vostre riflessioni, vi accompagni anche la mia benedizione. E per favore, vi chiedo di pregare per me e per il mio servizio alla Chiesa. Grazie.

   



[Modificato da Caterina63 03/10/2014 14:51]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
OFFLINE
Post: 39.987
Sesso: Femminile
04/10/2014 19:50
 
Email
 
Scheda Utente
 
Quota

Vertice nunzi in Vaticano: basta a guerra e violazione diritti umani




Incontro dei nunzi del Medio Oriente in Vaticano





04/10/2014



Si è concluso l’incontro, svoltosi in Vaticano (2-4 ottobre) per desiderio di Papa Francesco, con i rappresentanti pontifici presenti nel Medio Oriente per riflettere sulla drammatica situazione nella Regione. All’incontro che aveva come tema “La presenza dei Cristiani in Medio Oriente” hanno partecipato oltre ai superiori della Segreteria di Stato, anche quelli dei Dicasteri della Curia Romana direttamente interessati alla questione, gli osservatori permanenti della Santa Sede presso le Nazioni Unite a New York e a Ginevra e il nunzio apostolico presso l’Unione Europea.


I partecipanti alla riunione – riferisce un comunicato - hanno manifestato la loro gratitudine al Santo Padre per questa iniziativa e per la sua presenza all’inizio dei lavori. La presenza dei nunzi della regione ha permesso di conoscere di prima mano la situazione dei cristiani nei diversi Paesi, così come quella del contesto in cui vivono. I superiori dei diversi Dicasteri hanno contribuito a favorire una visione d’insieme.


Nell’esprimere la vicinanza ai Patriarchi, ai Pastori e ai cristiani del Medio Oriente e alle altre componenti religiose ed etniche che soffrono a causa della violenza che imperversa in tutta la Regione, soprattutto in Iraq e in Siria, i partecipanti alla riunione hanno assicurato la loro preghiera e quella di tutta la Chiesa. Nello stesso tempo hanno riaffermato la necessità di fare tutto il possibile per aiutare queste persone e venire incontro ai loro bisogni, come tante volte richiamato dal Santo Padre.


La situazione di violenza alla quale c’è il rischio di abituarsi, dandola quasi per scontata come oggetto di cronaca quotidiana, deve cessare. I partecipanti alla riunione hanno considerato l’urgenza di porre fine alle guerre in atto che hanno già provocato numerosissime vittime. Essi hanno denunciato le violazioni da più parti delle norme più elementari del diritto umanitario internazionale, con un riferimento particolare alle sofferenze dei bambini e delle donne. Purtroppo senza scrupoli continua il traffico di armi e ancor più grave le persone stesse sono oggetto di commercio. Dopo aver esaminato la drammatica situazione umanitaria, della quale soffrono le conseguenze tra gli altri i numerosissimi sfollati e rifugiati in altri Paesi, hanno sottolineato l’imperiosa necessità che sia garantita a tutti, senza discriminazioni, la doverosa assistenza umanitaria.


Grave preoccupazione – si afferma - desta l’operato di alcuni gruppi estremisti, in particolare del cosiddetto “Stato islamico”, le cui violenze e abusi non possono lasciare indifferenti. Non si può tacere, né la comunità internazionale può rimanere inerte, di fronte al massacro di persone soltanto a causa della loro appartenenza religiosa ed etnica, di fronte alla decapitazione e crocifissione di essere umani nelle piazze pubbliche, di fronte all’esodo di migliaia di persone, alla distruzione dei luoghi di culto. I partecipanti all’incontro hanno ribadito che è lecito fermare l’aggressore ingiusto, sempre nel rispetto del diritto internazionale. Tuttavia – è stato precisato - non si può affidare la risoluzione del problema alla sola risposta militare, ma esso va affrontato più approfonditamente a partire dalle cause che ne sono all’origine e vengono sfruttate dall’ideologia fondamentalista. Un ruolo importante dovrebbero svolgerlo i leader religiosi, cristiani e musulmani, collaborando per favorire il dialogo e l’educazione alla reciproca comprensione, e denunciando chiaramente la strumentalizzazione della religione per giustificare la violenza.


Di fronte al dramma di tante persone che sono state costrette a lasciare le loro case in maniera brutale i partecipanti hanno ribadito la necessità che sia riconosciuto il diritto dei cristiani e degli altri gruppi etnici e religiosi a rimanere nelle loro terre di origine e, qualora siano stati costretti ad emigrare, il diritto di ritornare in condizioni adeguate di sicurezza, avendo la possibilità di vivere e di lavorare in libertà e con prospettive per il futuro. E ciò richiede nelle circostanze attuali l’impegno sia dei Governi interessati che della comunità internazionale. Sono in gioco principi fondamentali come il valore della vita, la dignità umana, la libertà religiosa, e la convivenza pacifica e armoniosa tra le persone e tra i popoli.


Non ci si può rassegnare – è l’appello conclusivo - a pensare il Medio Oriente senza i cristiani, che da duemila anni vi confessano il nome di Gesù. Essi vogliono continuare a contribuire al bene della società, inseriti quali cittadini a pieno titolo nella vita sociale, culturale e religiosa delle nazioni a cui appartengono. In esse svolgono un ruolo fondamentale come artefici di pace, di riconciliazione e di sviluppo. E’ stata infine ribadita l’importanza dell’azione dei fedeli laici nella vita sociale e politica e perciò la necessità di una loro adeguata formazione anche per quanto riguarda la dottrina sociale della Chiesa.







Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
OFFLINE
Post: 39.987
Sesso: Femminile
11/11/2014 13:12
 
Email
 
Scheda Utente
 
Quota

  Il Papa alla Cei: non servono preti clericali né funzionari ma conformi al Buon Pastore





Antica immagine del Buon Pastore



10/11/2014 07:33


Il presbitero, la sua formazione e la sua missione. Questi i temi attorno a cui ruota il messaggio che Papa Francesco  indirizza alla 67.ma Assemblea generale della Conferenza episcopale italiana, che si è aperta oggi ad Assisi e proseguirà fino al 13 novembre. Il servizio di Debora Donnini:

“Non servono preti clericali, il cui comportamento rischia di allontanare la gente dal Signore, né preti funzionari che, mentre svolgono un ruolo, cercano lontano da Lui la propria consolazione”.Lo ricorda Papa Francesco all’Assemblea generale della Cei, dedicata specialmente alla vita e alla formazione permanente dei presbiteri. 

Nel messaggio il Papa sottolinea che “solo chi si lascia conformare al Buon Pastore trova unità, pace e forza nell’obbedienza del servizio” e che “solo chi respira nell’orizzonte della fraternità presbiterale esce dalla contraffazione di una coscienza che si pretende epicentro di tutto, unica misura del proprio sentire e delle proprie azioni”. 

Convenire ad Assisi, prosegue, fa pensare al grande amore che san Francesco nutriva per la “Santa Madre Chiesa Gerarchica” e per i sacerdoti. E quindi il Pontefice ricorda ai vescovi che tra le loro principali responsabilità c’è quella di consolidare  questi collaboratori “attraverso i quali la maternità della Chiesa raggiunge il popolo di Dio”. 

“Quanti – scrive -  con la loro testimonianza hanno contribuito ad attrarci a una vita di consacrazione!”. “Li abbiamo visti spendere la vita tra la gente delle nostre parrocchie, educare i ragazzi, accompagnare le famiglie, visitare i malati a casa e all’ospedale, farsi carico dei poveri, nella consapevolezza che ‘separarsi per non sporcarsi con gli altri è la sporcizia più grande’”, prosegue citando Tolstoj.

“I sacerdoti santi sono peccatori perdonati e strumenti di perdono” ricorda Papa Francesco, sanno di essere nelle mani di Uno che non viene meno alle promesse e una tale consapevolezza cresce con la carità pastorale con cui circondano di attenzione “le persone loro affidate, fino a conoscerle una a una”.

“Sì – scrive – è ancora tempo di presbiteri di questo spessore, ‘ponti’ per l’incontro fra Dio e il mondo”. Ma Francesco sottolinea anche che “preti così non s’improvvisano”: li forgia il Seminario e l’Ordinazione li consacra ma il tempo può intiepidire la generosa dedizione degli inizi e per questo è necessario “un cammino quotidiano di riappropriazione, a partire da ciò che ne ha fatto un ministro di Gesù Cristo”. 

Una formazione, dunque, che consiste in “un’esperienza di discepolato permanente”, che non ha termine, perché “i sacerdoti non smettono mai di essere discepoli di Gesù”. Per Papa Francesco , quindi, “la formazione iniziale e quella permanente sono due momenti di una sola realtà: il cammino del discepolo presbitero, innamorato del suo Signore”.

L’augurio è, quindi, di  vivere giornate che portino a “tratteggiare nuovi itinerari di formazione permanente, capaci di coniugare la dimensione spirituale con quella culturale, la dimensione comunitaria con quella pastorale: sono questi i pilastri di vite formate secondo il Vangelo, custodite nella disciplina quotidiana, nell’orazione, nella custodia dei sensi, nella cura di sé, nella testimonianza umile e profetica; vite che restituiscono alla Chiesa la fiducia che essa per prima ha posto in loro”.



 



LETTERA DEL SANTO PADRE FRANCESCO 
AI PARTECIPANTI ALL'ASSEMBLEA GENERALE STRAORDINARIA 
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

[ASSISI, 10-13 NOVEMBRE 2014]

[Multimedia]


 

Cari Fratelli nell’episcopato,

con queste righe desidero esprimere la mia vicinanza a ciascuno di voi e alle Chiese in mezzo alle quali lo Spirito di Dio vi ha posto come Pastori. Questo stesso Spirito possa animare con la sua sapienza creativa l’Assemblea generale che state iniziando, dedicata specialmente alla vita e alla formazione permanente dei presbiteri.

A tale proposito, il vostro convenire ad Assisi fa subito pensare al grande amore e alla venerazione che san Francesco nutriva per la Santa Madre Chiesa Gerarchica, e in particolare proprio per i sacerdoti, compresi quelli da lui riconosciuti come “pauperculos huius saeculi” (dal Testamento).

Tra le principali responsabilità che il ministero episcopale vi affida c’è quella di confermare, sostenere e consolidare questi vostri primi collaboratori, attraverso i quali la maternità della Chiesa raggiunge l’intero popolo di Dio. Quanti ne abbiamo conosciuti! Quanti con la loro testimonianza hanno contribuito ad attrarci a una vita di consacrazione! Da quanti di loro abbiamo imparato e siamo stati plasmati! Nella memoria riconoscente ciascuno di noi ne conserva i nomi e i volti. Li abbiamo visti spendere la vita tra la gente delle nostre parrocchie, educare i ragazzi, accompagnare le famiglie, visitare i malati a casa e all’ospedale, farsi carico dei poveri, nella consapevolezza che “separarsi per non sporcarsi con gli altri è la sporcizia più grande” (L. Tolstoj). Liberi dalle cose e da sé stessi, rammentano a tutti che abbassarsi senza nulla trattenere è la via per quell’altezza che il Vangelo chiama carità; e che la gioia più vera si gusta nella fraternità vissuta.

I sacerdoti santi sono peccatori perdonati e strumenti di perdono. La loro esistenza parla la lingua della pazienza e della perseveranza; non sono rimasti turisti dello spirito, eternamente indecisi e insoddisfatti, perché sanno di essere nelle mani di Uno che non viene meno alle promesse e la cui Provvidenza fa sì che nulla possa mai separarli da tale appartenenza. Questa consapevolezza cresce con la carità pastorale con cui circondano di attenzione e di tenerezza le persone loro affidate, fino a conoscerle ad una ad una.

Sì, è ancora tempo di presbiteri di questo spessore, “ponti” per l’incontro tra Dio e il mondo, sentinelle capaci di lasciar intuire una ricchezza altrimenti perduta.

Preti così non si improvvisano: li forgia il prezioso lavoro formativo del Seminario e l’Ordinazione li consacra per sempre uomini di Dio e servitori del suo popolo. Ma può accadere che il tempo intiepidisca la generosa dedizione degli inizi, e allora è vano cucire toppe nuove su un vestito vecchio: l’identità del presbitero, proprio perché viene dall’alto, esige da lui un cammino quotidiano di riappropriazione, a partire da ciò che ne ha fatto un ministro di Gesù Cristo.

La formazione di cui parliamo è un’esperienza di discepolato permanente, che avvicina a Cristo e permette di conformarsi sempre più a Lui. Perciò essa non ha un termine, perché i sacerdoti non smettono mai di essere discepoli di Gesù, di seguirlo. Quindi, la formazione in quanto discepolato accompagna tutta la vita del ministro ordinato e riguarda integralmente la sua persona e il suo ministero. La formazione iniziale e quella permanente sono due momenti di una sola realtà: il cammino del discepolo presbitero, innamorato del suo Signore e costantemente alla sua sequela (cfr Discorso alla Plenaria della Congregazione per il Clero, 3 ottobre 2014).

Del resto, fratelli, voi sapete che non servono preti clericali il cui comportamento rischia di allontanare la gente dal Signore, né preti funzionari che, mentre svolgono un ruolo, cercano lontano da Lui la propria consolazione. Solo chi tiene fisso lo sguardo su ciò che è davvero essenziale può rinnovare il proprio sì al dono ricevuto e, nelle diverse stagioni della vita, non smettere di fare dono di sé; solo chi si lascia conformare al Buon Pastore trova unità, pace e forza nell’obbedienza del servizio; solo chi respira nell’orizzonte della fraternità presbiterale esce dalla contraffazione di una coscienza che si pretende epicentro di tutto, unica misura del proprio sentire e delle proprie azioni.

Vi auguro giornate di ascolto e di confronto, che portino a tracciare itinerari di formazione permanente, capaci di coniugare la dimensione spirituale con quella culturale, la dimensione comunitaria con quella pastorale: sono questi i pilastri di vite formate secondo il Vangelo, custodite nella disciplina quotidiana, nell’orazione, nella custodia dei sensi, nella cura di sé, nella testimonianza umile e profetica; vite che restituiscono alla Chiesa la fiducia che essa per prima ha posto in loro.

Vi accompagno con la mia preghiera e la mia Benedizione, che estendo, per intercessione della Vergine Madre, a tutti i sacerdoti della Chiesa in Italia e a quanti lavorano al servizio della loro formazione; e vi ringrazio per le vostre preghiere per me e per il mio ministero.

Dal Vaticano, 8 novembre 2014

 

Francesco



Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
OFFLINE
Post: 39.987
Sesso: Femminile
22/12/2014 16:19
 
Email
 
Scheda Utente
 
Quota

PRESENTAZIONE DEGLI AUGURI NATALIZI DELLA CURIA ROMANA


DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO


Sala Clementina
Lunedì, 22 dicembre 2014

[Multimedia]



 

La Curia Romana e il Corpo di Cristo

“Tu sei sopra i cherubini, tu che hai cambiato la miserabile condizione del mondo quando ti sei fatto come noi” (Sant'Atanasio)

 

Cari fratelli,

Al termine dell’Avvento ci incontriamo per i tradizionali saluti. Tra qualche giorno avremo la gioia di celebrare il Natale del Signore; l’evento di Dio che si fa uomo per salvare gli uomini; la manifestazione dell’amore di Dio che non si limita a darci qualcosa o a inviarci qualche messaggio o taluni messaggeri ma dona a noi sé stesso; il mistero di Dio che prende su di sé la nostra condizione umana e i nostri peccati per rivelarci la sua Vita divina, la sua grazia immensa e il suo perdono gratuito. E’ l’appuntamento con Dio che nasce nella povertà della grotta di Betlemme per insegnarci la potenza dell’umiltà. Infatti, il Natale è anche la festa della luce che non viene accolta dalla gente “eletta” ma dalla gente povera e semplice che aspettava la salvezza del Signore.

Innanzitutto, vorrei augurare a tutti voi - collaboratori, fratelli e sorelle, Rappresentanti pontifici sparsi per il mondo - e a tutti i vostri cari un santo Natale e un felice Anno Nuovo. Desidero ringraziarvi cordialmente, per il vostro impegno quotidiano al servizio della Santa Sede, della Chiesa Cattolica, delle Chiese particolari e del Successore di Pietro.

Essendo noi persone e non numeri o soltanto denominazioni, ricordo in maniera particolare coloro che, durante questo anno, hanno terminato il loro servizio per raggiunti limiti di età o per aver assunto altri ruoli oppure perché sono stati chiamati alla Casa del Padre. Anche a tutti loro e ai loro famigliari va il mio pensiero e gratitudine.

Desidero insieme a voi elevare al Signore un vivo e sentito ringraziamento per l’anno che ci sta lasciando, per gli eventi vissuti e per tutto il bene che Egli ha voluto generosamente compiere attraverso il servizio della Santa Sede, chiedendogli umilmente perdono per le mancanze commesse “in pensieri, parole, opere e omissioni”.

E partendo proprio da questa richiesta di perdono, vorrei che questo nostro incontro e le riflessioni che condividerò con voi diventassero, per tutti noi, un sostegno e uno stimolo a un vero esame di coscienza per preparare il nostro cuore al Santo Natale.

Pensando a questo nostro incontro mi è venuta in mente l’immagine della Chiesa come il Corpo mistico di Gesù Cristo. È un’espressione che, come ebbe a spiegare il Papa Pio XII, «scaturisce e quasi germoglia da ciò che viene frequentemente esposto nella Sacra Scrittura e nei Santi Padri»[1]. Al riguardo san Paolo scrisse: «Come infatti il corpo, pur essendo uno, ha molte membra e tutte le membra, pur essendo molte, sono un corpo solo, così anche Cristo» (1 Cor 12,12)[2].

In questo senso il Concilio Vaticano II ci ricorda che «nella struttura del corpo mistico di Cristo vige una diversità di membri e di uffici. Uno è lo Spirito, il quale per l'utilità della Chiesa distribuisce la varietà dei suoi doni con magnificenza proporzionata alla sua ricchezza e alle necessità dei ministeri (cfr. 1 Cor 12,1-11)»[3]. Perciò «Cristo e la Chiesa formano il “Cristo totale” - Christus totus -. La Chiesa è una con Cristo»[4].

E’ bello pensare alla Curia Romana come a un piccolo modello della Chiesa, cioè come a un “corpo” che cerca seriamente e quotidianamente di essere più vivo, più sano, più armonioso e più unito in sé stesso e con Cristo.

In realtà, la Curia Romana è un corpo complesso, composto da tanti Dicasteri, Consigli, Uffici, Tribunali, Commissioni e da numerosi elementi che non hanno tutti il medesimo compito, ma sono coordinati per un funzionamento efficace, edificante, disciplinato ed esemplare, nonostante le diversità culturali, linguistiche e nazionali dei suoi membri[5].

Comunque, essendo la Curia un corpo dinamico, essa non può vivere senza nutrirsi e senza curarsi. Difatti, la Curia - come la Chiesa - non può vivere senza avere un rapporto vitale, personale, autentico e saldo con Cristo[6]. Un membro della Curia che non si alimenta quotidianamente con quel Cibo diventerà un burocrate (un formalista, un funzionalista, un mero impiegato): un tralcio che si secca e pian piano muore e viene gettato lontano. La preghiera quotidiana, la partecipazione assidua ai Sacramenti, in modo particolare all’Eucaristia e alla riconciliazione, il contatto quotidiano con la parola di Dio e la spiritualità tradotta in carità vissuta sono l’alimento vitale per ciascuno di noi. Che sia chiaro a tutti noi che senza di Lui non potremo fare nulla (cfr Gv 15, 8).

Di conseguenza, il rapporto vivo con Dio alimenta e rafforza anche la comunione con gli altri, cioè tanto più siamo intimamente congiunti a Dio tanto più siamo uniti tra di noi perché lo Spirito di Dio unisce e lo spirito del maligno divide.

La Curia è chiamata a migliorarsi, a migliorarsi sempre e a crescere in comunione, santità e sapienza per realizzare pienamente la sua missione[7]. Eppure essa, come ogni corpo, come ogni corpo umano, è esposta anche alle malattie, al malfunzionamento, all’infermità. E qui vorrei menzionare alcune di queste probabili malattie, malattie curiali. Sono malattie più abituali nella nostra vita di Curia. Sono malattie e tentazioni che indeboliscono il nostro servizio al Signore. Credo che ci aiuterà il “catalogo” delle malattie - sulla strada dei Padri del deserto, che facevano quei cataloghi - di cui parliamo oggi: ci aiuterà a prepararci al Sacramento della Riconciliazione, che sarà un bel passo di tutti noi per prepararci al Natale.

1. La malattia del sentirsi “immortale”, “immune” o addirittura “indispensabile” trascurando i necessari e abituali controlli. Una Curia che non si autocritica, che non si aggiorna, che non cerca di migliorarsi è un corpo infermo. Un’ordinaria visita ai cimiteri ci potrebbe aiutare a vedere i nomi di tante persone, delle quale alcuni forse pensavano di essere immortali, immuni e indispensabili! È la malattia del ricco stolto del Vangelo che pensava di vivere eternamente (cfr Lc 12, 13-21) e anche di coloro che si trasformano in padroni e si sentono superiori a tutti e non al servizio di tutti. Essa deriva spesso dalla patologia del potere, dal “complesso degli Eletti”, dal narcisismo che guarda appassionatamente la propria immagine e non vede l’immagine di Dio impressa sul volto degli altri, specialmente dei più deboli e bisognosi[8]. L’antidoto a questa epidemia è la grazia di sentirci peccatori e di dire con tutto il cuore: «Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare» (Lc 17, 10).

2. Un’altra: La malattia del “martalismo” (che viene da Marta), dell’eccessiva operosità: ossia di coloro che si immergono nel lavoro, trascurando, inevitabilmente, “la parte migliore”: il sedersi sotto i piedi di Gesù (cfr Lc 10,38-42). Per questo Gesù ha chiamato i suoi discepoli a “riposarsi un po’” (cfr Mc 6,31) perché trascurare il necessario riposo porta allo stress e all’agitazione. Il tempo del riposo, per chi ha portato a termine la propria missione, è necessario, doveroso e va vissuto seriamente: nel trascorrere un po’ di tempo con i famigliari e nel rispettare le ferie come momenti di ricarica spirituale e fisica; occorre imparare ciò che insegna il Qoèlet che «c’è un tempo per ogni cosa» (3,1-15).

3. C’è anche la malattia dell’“impietrimento” mentale e spirituale: ossia di coloro che posseggono un cuore di pietra e un “duro collo” (At 7,51-60); di coloro che, strada facendo, perdono la serenità interiore, la vivacità e l’audacia e si nascondono sotto le carte diventando “macchine di pratiche” e non “uomini di Dio” (cfr Eb 3,12). È pericoloso perdere la sensibilità umana necessaria per farci piangere con coloro che piangono e gioire con coloro che gioiscono! È la malattia di coloro che perdono “i sentimenti di Gesù” (cfr Fil 2,5-11) perché il loro cuore, con il passare del tempo, si indurisce e diventa incapace di amare incondizionatamente il Padre e il prossimo (cfr Mt 22,34-40). Essere cristiano, infatti, significa «avere gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù» (Fil2,5), sentimenti di umiltà e di donazione, di distacco e di generosità[9].

4. La malattia dell’eccessiva pianificazione e del funzionalismo. Quando l'apostolo pianifica tutto minuziosamente e crede che facendo una perfetta pianificazione le cose effettivamente progrediscano, diventando così un contabile o un commercialista. Preparare tutto bene è necessario, ma senza mai cadere nella tentazione di voler rinchiudere e pilotare la libertà dello Spirito Santo, che rimane sempre più grande, più generosa di ogni umana pianificazione (cfr Gv 3,8). Si cade in questa malattia perché «è sempre più facile e comodo adagiarsi nelle proprie posizioni statiche e immutate. In realtà, la Chiesa si mostra fedele allo Spirito Santo nella misura in cui non ha la pretesa di regolarlo e di addomesticarlo… - addomesticare lo Spirito Santo! - … Egli è freschezza, fantasia, novità»[10].

5. La malattia del cattivo coordinamento. Quando i membri perdono la comunione tra di loro e il corpo smarrisce la sua armoniosa funzionalità e la sua temperanza, diventando un’orchestra che produce chiasso, perché le sue membra non collaborano e non vivono lo spirito di comunione e di squadra. Quando il piede dice al braccio: “non ho bisogno di te”, o la mano alla testa: “comando io”, causando così disagio e scandalo.

6. C’è anche la malattia dell’“alzheimer spirituale”: ossia la dimenticanza della “storia della salvezza”, della storia personale con il Signore, del «primo amore» (Ap 2,4). Si tratta di un declino progressivo delle facoltà spirituali che in un più o meno lungo intervallo di tempo causa gravi handicap alla persona facendola diventare incapace di svolgere alcuna attività autonoma, vivendo uno stato di assoluta dipendenza dalle sue vedute spesso immaginarie. Lo vediamo in coloro che hanno perso la memoria del loro incontro con il Signore; in coloro che non fanno il senso deuteronomico della vita; in coloro che dipendono completamente dal loro presente, dalle loro passioni, capricci e manie; in coloro che costruiscono intorno a sé dei muri e delle abitudini diventando, sempre di più, schiavi degli idoli che hanno scolpito con le loro stesse mani.

7. La malattia della rivalità e della vanagloria[11]. Quando l’apparenza, i colori delle vesti e le insegne di onorificenza diventano l’obiettivo primario della vita, dimenticando le parole di San Paolo: «Non fate nulla per rivalità o vanagloria, ma ciascuno di voi, con tutta umiltà, consideri gli altri superiori a se stesso. Ciascuno non cerchi l’interesse proprio, ma anche quello degli altri» (Fil 2,1-4). È la malattia che ci porta a essere uomini e donne falsi e a vivere un falso “misticismo” e un falso “quietismo”. Lo stesso San Paolo li definisce «nemici della Croce di Cristo» perché «si vantano di ciò di cui dovrebbero vergognarsi e non pensano che alle cose della terra» (Fil 3,19).

8. La malattia della schizofrenia esistenziale. E’ la malattia di coloro che vivono una doppia vita, frutto dell’ipocrisia tipica del mediocre e del progressivo vuoto spirituale che lauree o titoli accademici non possono colmare. Una malattia che colpisce spesso coloro che, abbandonando il sevizio pastorale, si limitano alle faccende burocratiche, perdendo così il contatto con la realtà, con le persone concrete. Creano così un loro mondo parallelo, dove mettono da parte tutto ciò che insegnano severamente agli altri e iniziano a vivere una vita nascosta e sovente dissoluta. La conversione è alquanto urgente e indispensabile per questa gravissima malattia (cfr Lc 15,11-32).

9. La malattia delle chiacchiere, delle mormorazioni e dei pettegolezzi. Di questa malattia ho già parlato tante volte ma mai abbastanza. E’ una malattia grave, che inizia semplicemente, magari solo per fare due chiacchiere e si impadronisce della persona facendola diventare “seminatrice di zizzania” (come satana), e in tanti casi “omicida a sangue freddo” della fama dei propri colleghi e confratelli. È la malattia delle persone vigliacche che non avendo il coraggio di parlare direttamente parlano dietro le spalle. San Paolo ci ammonisce: «Fate tutto senza mormorare e senza esitare, per essere irreprensibili e puri» (Fil 2,14-18). Fratelli, guardiamoci dal terrorismo delle chiacchiere!

10. La malattia di divinizzare i capi: è la malattia di coloro che corteggiano i Superiori, sperando di ottenere la loro benevolenza. Sono vittime del carrierismo e dell’opportunismo, onorano le persone e non Dio (cfr Mt 23,8-12). Sono persone che vivono il servizio pensando unicamente a ciò che devono ottenere e non a quello che devono dare. Persone meschine, infelici e ispirate solo dal proprio fatale egoismo (cfr Gal 5,16-25). Questa malattia potrebbe colpire anche i Superiori quando corteggiano alcuni loro collaboratori per ottenere la loro sottomissione, lealtà e dipendenza psicologica, ma il risultato finale è una vera complicità.

11. La malattia dell’indifferenza verso gli altri. Quando ognuno pensa solo a sé stesso e perde la sincerità e il calore dei rapporti umani. Quando il più esperto non mette la sua conoscenza al servizio dei colleghi meno esperti. Quando si viene a conoscenza di qualcosa e la si tiene per sé invece di condividerla positivamente con gli altri. Quando, per gelosia o per scaltrezza, si prova gioia nel vedere l’altro cadere invece di rialzarlo e incoraggiarlo.

12. La malattia della faccia funerea. Ossia delle persone burbere e arcigne, le quali ritengono che per essere seri occorra dipingere il volto di malinconia, di severità e trattare gli altri – soprattutto quelli ritenuti inferiori – con rigidità, durezza e arroganza. In realtà, la severità teatrale e il pessimismo sterile[12] sono spesso sintomi di paura e di insicurezza di sé. L’apostolo deve sforzarsi di essere una persona cortese, serena, entusiasta e allegra che trasmette gioia ovunque si trova. Un cuore pieno di Dio è un cuore felice che irradia e contagia con la gioia tutti coloro che sono intorno a sé: lo si vede subito! Non perdiamo dunque quello spirito gioioso, pieno di humor, e persino autoironico, che ci rende persone amabili, anche nelle situazioni difficili[13]. Quanto bene ci fa una buona dose di sano umorismo! Ci farà molto bene recitare spesso la preghiera di san Thomas More[14]: io la prego tutti i giorni, mi fa bene.

13.La malattia dell’accumulare: quando l’apostolo cerca di colmare un vuoto esistenziale nel suo cuore accumulando beni materiali, non per necessità, ma solo per sentirsi al sicuro. In realtà, nulla di materiale potremo portare con noi perché “il sudario non ha tasche” e tutti i nostri tesori terreni - anche se sono regali - non potranno mai riempire quel vuoto, anzi lo renderanno sempre più esigente e più profondo. A queste persone il Signore ripete: «Tu dici: sono ricco, mi sono arricchito, non ho bisogno di nulla. Ma non sai di essere un infelice, un miserabile, un povero, cieco e nudo ... Sii dunque zelante e convertiti» (Ap 3,17-19). L’accumulo appesantisce solamente e rallenta il cammino inesorabilmente! E penso a un aneddoto: un tempo, i gesuiti spagnoli descrivevano la Compagnia di Gesù come la “cavalleria leggera della Chiesa”. Ricordo il trasloco di un giovane gesuita che, mentre caricava su di un camion i suoi tanti averi: bagagli, libri, oggetti e regali, si sentì dire, con un saggio sorriso, da un vecchio gesuita che lo stava ad osservare: questa sarebbe la “cavalleria leggera della Chiesa?”. I nostri traslochi sono un segno di questa malattia.

14.La malattia dei circoli chiusi, dove l’appartenenza al gruppetto diventa più forte di quella al Corpo e, in alcune situazioni, a Cristo stesso. Anche questa malattia inizia sempre da buone intenzioni ma con il passare del tempo schiavizza i membri diventando un cancro che minaccia l’armonia del Corpo e causa tanto male – scandali – specialmente ai nostri fratelli più piccoli. L’autodistruzione o il “fuoco amico” dei commilitoni è il pericolo più subdolo[15]. È il male che colpisce dal di dentro[16]; e, come dice Cristo, «ogni regno diviso in se stesso va in rovina» (Lc 11,17).

15.E l’ultima: la malattia del profitto mondano, degli esibizionismi[17], quando l’apostolo trasforma il suo servizio in potere, e il suo potere in merce per ottenere profitti mondani o più poteri. è la malattia delle persone che cercano insaziabilmente di moltiplicare poteri e per tale scopo sono capaci di calunniare, di diffamare e di screditare gli altri, perfino sui giornali e sulle riviste. Naturalmente per esibirsi e dimostrarsi più capaci degli altri. Anche questa malattia fa molto male al Corpo perché porta le persone a giustificare l’uso di qualsiasi mezzo pur di raggiungere tale scopo, spesso in nome della giustizia e della trasparenza! E qui mi viene in mente il ricordo di un sacerdote che chiamava i giornalisti per raccontare loro - e inventare - delle cose private e riservate dei suoi confratelli e parrocchiani. Per lui contava solo vedersi sulle prime pagine, perché così si sentiva “potente e avvincente”, causando tanto male agli altri e alla Chiesa. Poverino!

Fratelli, tali malattie e tali tentazioni sono naturalmente un pericolo per ogni cristiano e per ogni curia, comunità, congregazione, parrocchia, movimento ecclesiale, e possono colpire sia a livello individuale sia comunitario.

Occorre chiarire che è solo lo Spirito Santo - l’anima del Corpo Mistico di Cristo, come afferma il Credo Niceno-Costantinopolitano: «Credo... nello Spirito Santo, Signore e vivificatore» - a guarire ogni infermità. È lo Spirito Santo che sostiene ogni sincero sforzo di purificazione e ogni buona volontà di conversione. È Lui a farci capire che ogni membro partecipa alla santificazione del corpo e al suo indebolimento. È Lui il promotore dell’armonia[18]: “Ipse harmonia est”, dice san Basilio. Sant’Agostino ci dice: «Finché una parte aderisce al corpo, la sua guarigione non è disperata; ciò che invece fu reciso, non può né curarsi né guarirsi»[19].

La guarigione è anche frutto della consapevolezza della malattia e della decisione personale e comunitaria di curarsi sopportando pazientemente e con perseveranza la cura[20].

Dunque, siamo chiamati - in questo tempo di Natale e per tutto il tempo del nostro servizio e della nostra esistenza - a vivere «secondo la verità nella carità, cerchiamo di crescere in ogni cosa verso di lui, che è il capo, Cristo, dal quale tutto il corpo, ben compaginato e connesso, mediante la collaborazione di ogni giuntura, secondo l'energia propria di ogni membro, riceve forza per crescere in modo da edificare se stesso nella carità» (Ef 4,15-16).

Cari fratelli!

Una volta ho letto che i sacerdoti sono come gli aerei: fanno notizia solo quando cadono, ma ce ne sono tanti che volano. Molti criticano e pochi pregano per loro. È una frase molto simpatica ma anche molto vera, perché delinea l’importanza e la delicatezza del nostro servizio sacerdotale e quanto male potrebbe causare un solo sacerdote che “cade” a tutto il corpo della Chiesa.

Dunque, per non cadere in questi giorni in cui ci prepariamo alla Confessione, chiediamo alla Vergine Maria, Madre di Dio e Madre della Chiesa, di sanare le ferite del peccato che ognuno di noi porta nel suo cuore e di sostenere la Chiesa e la Curia affinché siano sane e risanatrici; sante e santificatrici, a gloria del suo Figlio e per la salvezza nostra e del mondo intero. Chiediamo a Lei di farci amare la Chiesa come l’ha amata Cristo, suo figlio e nostro Signore, e di avere il coraggio di riconoscerci peccatori e bisognosi della sua Misericordia e di non aver paura di abbandonare la nostra mano tra le sue mani materne.

Tanti auguri di un santo Natale a tutti voi, alle vostre famiglie e ai vostri collaboratori. E, per favore, non dimenticate di pregare per me! Grazie di cuore!


 
[1] Egli afferma che la Chiesa, essendo mysticum Corpus Christi, «richiede anche una moltitudine di membri, i quali siano talmente tra loro connessi da aiutarsi a vicenda. E come nel nostro mortale organismo, quando un membro soffre, gli altri risentono del suo dolore e vengono in suo aiuto, così nella Chiesa i singoli membri non vivono ciascuno per sé, ma porgono anche aiuto agli altri, offrendosi scambievolmente collaborazione, sia per mutuo conforto sia per un sempre maggiore sviluppo di tutto il Corpo … un Corpo costituito non da una qualsiasi congerie di membra, ma deve essere fornito di organi, ossia di membra che non abbiano tutte il medesimo compito, ma siano debitamente coordinate; così la Chiesa, per questo specialmente deve chiamarsi corpo, perché risulta da una retta disposizione e coerente unione di membra fra loro diverse» (Enc. Mystici Corporis, Parte Prima: AAS 35 [1943], 200).

[2] Cfr Rm 12,5: «Così anche noi, pur essendo molti, siamo un solo corpo in Cristo e ciascuno per la sua parte siamo membra gli uni degli altri».

[3] Cost. dogm. Lumen gentium, 7.

[4] Da ricordare che “il paragone della Chiesa con il corpo illumina l'intimo legame tra la Chiesa e Cristo. Essa non è soltanto radunata attorno a Lui; è unificata in Lui, nel suo Corpo. Tre aspetti della Chiesa-Corpo di Cristo vanno sottolineati in modo particolare: l'unità di tutte le membra tra di loro in forza della loro unione a Cristo; Cristo Capo del corpo; la Chiesa, Sposa di Cristo” Cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, N. 789 e 795.

[5] Cfr. Evangelii Gaudium, 130-131.

[6] Gesù più volte aveva fatto conoscere l’unione che i fedeli debbono avere con Lui: “Come il tralcio non può portar frutto da sé stesso se non rimane unito alla vite, così neanche voi, se non rimarrete uniti in Me. Io sono la vite, voi i tralci” (Gv 15, 4-5).

[7] Cfr. Pastor Bounus Art. 1 e CIC can. 360.

[8] Cfr. Evangelii Gaudium, 197-201.

[9] Benedetto XVI Udienza Generale, 01 Giugno 2005.

[10] Francesco, Omelia Santa Messa in Turchia, 30 novembre 2014.

[11] Cfr. Evangelii Gaudium, 95-96.

[12] Ibid, 84-86.

[13] Ibid, 2.

[14] Signore, donami una buona digestione e anche qualcosa da digerire. Donami la salute del corpo e il buon umore necessario per mantenerla. Donami, Signore, un'anima semplice che sappia far tesoro di tutto ciò che è buono e non si spaventi alla vista del male ma piuttosto trovi sempre il modo di rimetter le cose a posto. Dammi un'anima che non conosca la noia, i brontolamenti, i sospiri, i lamenti, e non permettere che mi crucci eccessivamente per quella cosa troppo ingombrante che si chiama "io". Dammi, Signore, il senso del buon umore. Concedimi la grazia di comprendere uno scherzo per scoprire nella vita un po' di gioia e farne parte anche agli altri. Amen.

[15] Evangelii Gaudium, 88.

[16] Il Beato Paolo VI riferendosi alla situazione della Chiesa affermò di avere la sensazione che «da qualche fessura sia entrato il fumo di Satana nel tempio di Dio», Omelia di Paolo VI, Solennità dei Santi Apostoli Pietro e Paolo, Giovedì, 29 giugno 1972. Cfr.Evangelii Gaudium, 98-101.

[17] Cfr. Evangelii GaudiumNo alla mondanità spirituale, N. 93-97.

[18] “Lo Spirito Santo è l’anima della Chiesa. Egli dà la vitasuscita i differenti carismi che arricchiscono il Popolo di Dio e, soprattutto, crea l’unità tra i credenti: di molti fa un corpo solo, il Corpo di Cristo… Lo Spirito Santo fa l’unità della Chiesa: unità nella fede, unità nella carità, unità nella coesione interiore” (Francesco, Omelia Santa Messa in Turchia, 30 novembre 2014).

[19] August. Serm., CXXXVII, 1; Migne, P. L., XXXVIII, 754.

[20] Cfr. Evangelii Gaudium, Pastorale in conversione, n. 25-33.

   


[Modificato da Caterina63 23/12/2014 00:15]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
OFFLINE
Post: 39.987
Sesso: Femminile
18/05/2015 19:01
 
Email
 
Scheda Utente
 
Quota

Papa alla Cei: non siate timidi nel denunciare i corrotti





Papa Francesco parla ai vescovi della Cei - AFP

18/05/2015

Denunciate con forza la corruzione, non siate astratti nei vostri documenti pastorali, rafforzate il ruolo dei laici perché siano responsabili senza bisogno di un “vescovo-pilota”. Sono alcune delle indicazioni che Papa Francesco ha dato ai vescovi italiani, riuniti nell’Aula Nuova del Sinodo in Vaticano per la loro 68.ma Assemblea generale, incentrata sull’Esortazione apostolica “Evangelii gaudium”. Il servizio di Alessandro De Carolis:

Incisivo nella denuncia della corruzione, nemico giurato di teorie e sofismi quando si mette a servizio della gente che gli è affidata, sostenuto da laici responsabili e capaci e non circondato da automi che fanno solo quello che dice il parroco. E soprattutto unito e concorde con i suoi confratelli, con i sacerdoti che dalla sua guida dipendono e col Papa.

Difensori dei più deboli
Questo deve fare un vescovo ma può riuscirvi solo a una condizione, afferma Francesco senza troppi preamboli aprendo i lavori della Cei: quella di avere un cuore che batte in sintonia con quello di Cristo, avere i suoi sentimenti – umiltà, compassione, misericordia, concretezza, saggezza. Sentimenti che Francesco dapprima elenca e poi riassume in una espressione di due parole, “sensibilità ecclesiale”, quella – dice – che “come buoni pastori ci fa uscire verso il popolo di Dio per difenderlo dalle colonizzazioni ideologiche che gli tolgono l’identità e la degnità umana”:

“La sensibilità ecclesiale che comporta anche di non essere timidi o irrilevanti nello sconfessare e nello sconfiggere una diffusa mentalità di corruzione pubblica e privata che è riuscita a impoverire, senza alcuna vergogna, famiglie, pensionati, onesti lavoratori, comunità cristiane, scartando i giovani, sistematicamente privati di ogni speranza sul loro futuro, e soprattutto emarginando i deboli e i bisognosi”.

No alle astrazioni
Francesco che chiede concretezza ai vescovi attenti di fronte a lui è il primo che dà l’esempio con indicazioni nette, come nel caso dei documenti ecclesiali. Anche nel modo di concepirli, scriverli e comunicarli si dimostra, afferma, “sensibilità ecclesiale”:

“Non deve prevalere l'aspetto teoretico-dottrinale astratto, quasi che i nostri orientamenti non siano destinati al nostro Popolo o al nostro Paese - ma soltanto ad alcuni studiosi e specialisti - invece dobbiamo perseguire lo sforzo di tradurle in proposte concrete e comprensibili”.

Largo ai laici senza “pilota”
Originale poi è il modo in cui il Papa lega l’aspetto della sensibilità ecclesiale al tema dei laici nella Chiesa. Il loro ruolo è “indispensabile”, ripete, e certamente va rafforzato perché siano “disposti ad assumersi le responsabilità che a loro competono”. E tuttavia, nota:

“I laici che hanno una formazione cristiana autentica non dovrebbero aver bisogno del Vescovo-pilota, o del monsignore-pilota o di un input clericale per assumersi le proprie responsabilità a tutti i livelli, da quello politico a quello sociale, da quello economico a quello legislativo! Hanno invece tutti la necessità del Vescovo Pastore!”

Uniti e concordi
C’è poi la questione delicata della “collegialità”, punto cruciale che rivela “concretamente”, sostiene Francesco, la presenza di una sensibilità ecclesiale. Collegialità vuol dire comunione tra i vescovi, fra le diocesi “ricche - materialmente e vocazionalmente - e quelle in difficoltà”, fra “le periferie e il centro”, tra “le conferenze episcopali e i vescovi con il Successore di Pietro”. La realtà, però, racconta altro:

“Si nota in alcune parti del mondo un diffuso indebolimento della collegialità, sia nella determinazione dei piani pastorali, sia nella condivisione degli impegni programmatici economico-finanziari. Manca l'abitudine di verificare la recezione di programmi e l'attuazione dei progetti, ad esempio, si organizza un convegno o un evento che, mettendo in evidenza le solite voci, narcotizza le Comunità, omologando scelte, opinioni e persone. Invece di lasciarci trasportare verso quegli orizzonti dove lo Spirito Santo ci chiede di andare”.

Svecchiare la vita religiosa
Dopo aver mostrato con un ulteriore esempio, quello dell’invecchiamento di Istituti religiosi, Monasteri e Congregazioni – che il Papa definisce “un problema mondiale” chiedendosi perché non si provveda “ad accorparli prima che sia tardi” – Francesco si dispone ad ascoltare i suoi interlocutori. Non prima di aver sottolineato, all’inizio del discorso, che pur in un momento storico che spesso ci vede, osserva, “accerchiati da notizie sconfortanti”, locali e internazionali, la “nostra vocazione cristiana ed episcopale è quella di andare contro corrente: ossia di essere testimoni gioiosi del Cristo Risorto per trasmettere gioia e speranza agli altri”.




DISCORSO INTRODUTTIVO DEL SANTO PADRE FRANCESCO 
ALL’APERTURA DEI LAVORI DELLA 68ª ASSEMBLEA GENERALE 
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA (C.E.I.)

Aula del Sinodo 
Lunedì, 18 maggio 2015

[Multimedia]


 

Cari fratelli, buon pomeriggio!

Saluto tutti e saluto i nuovi nominati dopo l’ultima Assemblea, e anche i due nuovi Cardinali, creati dopo l’ultima Assemblea.

Quando io sento questo passo del Vangelo di Marco, io penso: ma questo Marco ce l’ha con la Maddalena! Perché fino all’ultimo momento ci ricorda che lei aveva ospitato sette demoni. Ma poi penso: e io quanti ne ho ospitati? E rimango zitto.

Vorrei innanzitutto esprimervi il mio ringraziamento per questo incontro, per il tema che avete scelto: l’Esortazione apostolicaEvangelii gaudium.

La gioia del Vangelo, in questo momento storico ove spesso siamo accerchiati da notizie sconfortanti, da situazioni locali e internazionali che ci fanno sperimentare afflizione e tribolazione - in questo quadro realisticamente poco confortante - la nostra vocazione cristiana ed episcopale è quella di andare contro corrente: ossia di essere testimoni gioiosi del Cristo Risorto per trasmettere gioia e speranza agli altri. La nostra vocazione è ascoltare ciò che il Signore ci chiede: “Consolate, consolate il mio popolo, dice il vostro Dio” (Is 40,1). Infatti, a noi viene chiesto di consolare, di aiutare, di incoraggiare, senza alcuna distinzione, tutti i nostri fratelli oppressi sotto il peso delle loro croci, accompagnandoli, senza mai stancarci di operare per risollevarli con la forza che viene solo da Dio.

Anche Gesù ci dice: “Voi siete il sale della terra; ma se il sale perdesse il sapore, con che cosa lo si potrà rendere salato? A null'altro serve che a essere gettato via e calpestato dagli uomini” (Mt 5,13). È assai brutto incontrare un consacrato abbattuto, demotivato o spento: egli è come un pozzo secco dove la gente non trova acqua per dissetarsi. 

Oggi perciò, sapendo che avete scelto, quale argomento di questo incontro, l’Esortazione Evangelii gaudium, vorrei ascoltare le vostre idee, le vostre domande, e condividere con voi alcune mie domande e riflessioni.

I miei interrogativi e le mie preoccupazioni nascono da una visione globale -  non solo dell’Italia, globale - e soprattutto dagli innumerevoli incontri che ho avuto in questi due anni con le Conferenze Episcopali, ove ho notato l’importanza di quello che si può definire la sensibilità ecclesiale: ossia appropriarsi degli stessi sentimenti di Cristo, di umiltà, di compassione, di misericordia, di concretezza – la carità di Cristo è concreta - e di saggezza.

La sensibilità ecclesiale che comporta anche di non essere timidi o irrilevanti nello sconfessare e nello sconfiggere una diffusa mentalità di corruzione pubblica e privata che è riuscita a impoverire, senza alcuna vergogna, famiglie, pensionati, onesti lavoratori, comunità cristiane, scartando i giovani, sistematicamente privati di ogni speranza sul loro futuro, e soprattutto emarginando i deboli e i bisognosi. Sensibilità ecclesiale che, come buoni pastori, ci fa uscire verso il popolo di Dio per difenderlo dalle colonizzazioni ideologiche che gli tolgono l’identità e la degnità umana.  

La sensibilità ecclesiale si manifesta anche nelle scelte pastorali e nella elaborazione dei Documenti – i nostri -, ove non deve prevalere l'aspetto teoretico-dottrinale astratto, quasi che i nostri orientamenti non siano destinati al nostro Popolo o al nostro Paese - ma soltanto ad alcuni studiosi e specialisti - invece dobbiamo perseguire lo sforzo di tradurle in proposte concrete e comprensibili.

La sensibilità ecclesiale e pastorale si concretizza anche nel rinforzare l’indispensabile ruolo di laici disposti ad assumersi le responsabilità che a loro competono. In realtà, i laici che hanno una formazione cristiana autentica, non dovrebbero aver bisogno del Vescovo-pilota, o del monsignore-pilota o di un input clericale per assumersi le proprie responsabilità a tutti i livelli, da quello politico a quello sociale, da quello economico a quello legislativo! Hanno invece tutti la necessità del Vescovo Pastore!

Infine, la sensibilità ecclesiale si rivela concretamente nella collegialità e nella comunione tra i Vescovi e i loro Sacerdoti; nella comunione tra i Vescovi stessi; tra le Diocesi ricche - materialmente e vocazionalmente - e quelle in difficoltà; tra le periferie e il centro; tra le conferenze episcopali e i Vescovi con il successore di Pietro.

Si nota in alcune parti del mondo un diffuso indebolimento della collegialità, sia nella determinazione dei piani pastorali, sia nella condivisione degli impegni programmatici economico-finanziari. Manca l'abitudine di verificare la recezione di programmi e l'attuazione dei progetti, ad esempio, si organizza un convegno o un evento che, mettendo in evidenza le solite voci, narcotizza le Comunità, omologando scelte, opinioni e persone. Invece di lasciarci trasportare verso quegli orizzonti dove lo Spirito Santo ci chiede di andare.

Un altro esempio di mancanza di sensibilità ecclesiale: perché si lasciano invecchiare così tanto gli Istituti religiosi, Monasteri, Congregazioni, tanto da non essere quasi più testimonianze evangeliche fedeli al carisma fondativo? Perché non si provvede ad accorparli prima che sia tardi sotto tanti punti di vista? E questo è un problema mondiale.

Mi fermo qui, dopo aver voluto offrire soltanto alcuni esempi sulla sensibilità ecclesiale indebolita a causa del continuo confronto con gli enormi problemi mondiali e dalla crisi che non risparmia nemmeno la stessa identità cristiana ed ecclesiale.

Possa il Signore - durante il Giubileo della Misericordia che avrà inizio il prossimo otto dicembre - concederci «la gioia di riscoprire e rendere feconda la misericordia di Dio, con la quale tutti siamo chiamati a dare consolazione a ogni uomo e a ogni donna del nostro tempo ... Affidiamo fin d’ora questo Anno Santo alla Madre della Misericordia, perché rivolga a noi il suo sguardo e vegli sul nostro cammino» (Omelia 13 marzo 2015).

Questa è stata soltanto una introduzione. Adesso lascio a voi il tempo per proporre le vostre riflessioni, le vostre idee, le vostre domande sulla Evangelii gaudium e su tutto quello che volete domandare e vi ringrazio tanto!

   

 



[Modificato da Caterina63 20/05/2015 20:52]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
OFFLINE
Post: 39.987
Sesso: Femminile
10/09/2015 19:10
 
Email
 
Scheda Utente
 
Quota

DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO
AI NUOVI VESCOVI NOMINATI NEL CORSO DELL'ANNO

Sala Clementina
Giovedì, 10 settembre 2015

[Multimedia]



 

Carissimi Fratelli nell’Episcopato,
la pace sia con voi!

Nel contesto di queste giornate di approfondimento e condivisione promosse dalla Congregazione per i Vescovi e dalla Congregazione per le Chiese Orientali, sono lieto di potervi salutare con lo stesso saluto con cui Cristo Risorto si è rivolto ai discepoli, riuniti nel Cenacolo la sera del “giorno dopo il sabato” (cfr Gv 20,19-23).

Definitivamente passata la notte della croce e anche il tempo del silenzio di Dio, venne il Risorto, attraversando le porte delle paure dei discepoli, fermandosi in mezzo a loro, mostrando i segni del suo sacrificio di amore, consegnando loro la missione da Lui ricevuta dal Padre, alitando su di loro lo Spirito Santo perché dispensassero nel mondo il perdono e la misericordia del Padre, frutto primigenio della sua passione.
Allora i suoi discepoli ritrovarono sé stessi. Per un breve ma oscuro intervallo, si erano lasciati disperdere dallo scandalo della croce: smarriti, vergognosi della loro debolezza, dimentichi della loro identità di seguaci del Signore. Ora, vedere il volto del Risorto ricompone i frammenti delle loro vite. Riconoscere la sua voce fa ritrovare quella pace che mancava nei loro cuori sin da quando lo avevano abbandonato. Scossi dal Soffio delle sue labbra ora capiscono che la missione che ricevono non li potrà schiacciare. 

Siete Vescovi della Chiesa, recentemente chiamati e consacrati. Siete venuti da un irripetibile incontro con il Risorto. Attraversando i muri della vostra impotenza, Egli vi ha raggiunto con la sua presenza. Benché conoscesse i vostri rinnegamenti e abbandoni, le fughe e i tradimenti. Ciononostante, Egli è arrivato nel Sacramento della Chiesa e ha soffiato su di voi. È un alito da custodire, un soffio che sconvolge la vita (che non sarà mai più come prima), anche se rasserena e consola come brezza leggera, di cui non ci si può impossessare. Vi prego di non addomesticare tale potenza, ma di lasciarla continuamente sconvolgere la vostra vita.

Vescovi testimoni del Risorto  

Siete quindi testimoni del Risorto. Questo è il vostro primario ed insostituibile compito. Non è lo sdolcinato discorso dei deboli e dei perdenti, ma la sola ricchezza che la Chiesa tramanda sia pur mediante fragili mani. A voi è affidata la predicazione della realtà che sostiene tutto l’edificio della Chiesa: Gesù è Risorto! Colui che ha subordinato la propria vita all’amore, non poteva restare nella morte. Dio Padre ha risuscitato Gesù! Anche noi risorgeremo con Cristo!

Non si tratta di una proclamazione ovvia né facile. Il mondo è così contento del suo presente, almeno in apparenza, di ciò che è in grado di assicurare quanto gli sembra utile per soffocare la domanda su ciò che è definitivo. Gli uomini sono così dimentichi dell’eternità mentre, distratti e assorti, amministrano l’esistente, rimandando quanto verrà. Tanti si sono tacitamente rassegnati all’abitudine di navigare a vista, al punto da rimuovere la realtà stessa del porto che li attende. Molti sono così rapiti dal cinico calcolo della propria sopravvivenza, che ormai si sono resi indifferenti e, non di rado, impermeabili alla stessa possibilità della vita che non muore. 

E tuttavia siamo assaliti da domande le cui risposte non possono venire che dal futuro definitivo. Sono, infatti, così impegnative che non sapremmo come rispondere escludendo quel “giorno dopo il sabato”, prescindendo dall’orizzonte dell’eternità che esso ci apre, limitandosi alla logica amputata del chiuso presente, nel quale restiamo imprigionati senza la luce di quel giorno. Come potremmo affrontare l’increscioso presente se si sbiadisse in noi il senso di appartenenza alla comunità del Risorto? Come potremmo donare al mondo quanto abbiamo di più prezioso? Saremmo in grado di ricordare la grandezza del destino umano, se si affievolisse in noi il coraggio di subordinare la nostra vita all’amore che non muore?

Penso alle sfide drammatiche come la globalizzazione, che avvicina ciò che è lontano e d’altra parte separa chi è vicino; penso al fenomeno epocale delle migrazioni che scombussola i nostri giorni; penso all’ambiente naturale, giardino che Dio ha dato come abitazione all’essere umano e alle altre creature e che è minacciato dal miope e spesso predatorio sfruttamento; penso alla dignità e al futuro del lavoro umano, di cui sono prive generazioni intere, ridotte a statistiche; penso alla desertificazioni dei rapporti, alla deresponsabilizzazione diffusa, al disinteresse per il domani, alla crescente e paurosa chiusura; allo smarrimento di tanti giovani e alla solitudine di non pochi anziani. Sono certo che ognuno di voi potrebbe completare questo catalogo di problematiche.

Non vorrei concentrarmi su una tale agenda di compiti perché non vorrei spaventarvi, né spaventarmi. Siete ancora in luna di miele! Come Vescovo di Roma che, dopo faticoso discernimento, ha prestato la propria flebile voce perché il Risorto vi aggregasse al collegio episcopale, mi preme soltanto consegnarvi, ancora una volta, alla gioia del Vangelo.

Gioirono i discepoli nell’incontrare redivivo il “Pastore che accettò di morire per il suo gregge”. Gioite anche voi mentre vi consumate per le vostre Chiese particolari. Non lasciatevi svaligiare un simile tesoro. Ricordatevi sempre che è il Vangelo a custodirvi e perciò non abbiate paura di recarvi ovunque e di intrattenervi con quanti il Signore vi ha affidato.

Come ho avuto modo di approfondire nell’Evangelii gaudium, nessun ambito della vita degli uomini va escluso dall’interesse del cuore del Pastore (cfr nn. 14-15; Redemptoris missio, 33). Guardatevi dal rischio di trascurare le molteplici e singolari realtà del vostro gregge; non rinunciate agli incontri; non risparmiate la predicazione della Parola viva del Signore; invitate tutti alla missione.

Vescovi pedagoghi, guide spirituali e catechisti

Per coloro che sono di casa, frequentano le vostre comunità e si accostano all’Eucaristia, vi invito a farvi Vescovi pedagoghi, guide spirituali e catechisti, capaci di prenderli per mano e farli salire sul Tabor (cfr Lc 9,28-36), guidandoli alla conoscenza del mistero che professano, allo splendore del volto divino nascosto nella Parola che forse pigramente si sono abituati ad ascoltare senza scorgerne la potenza. Per quanti già camminano con voi, procurate luoghi e allestite tende nelle quali il Risorto possa rivelare il proprio splendore. Non risparmiate energie per accompagnarli nella salita. Non lasciate che si rassegnino alla pianura. Rimuovete con delicatezza e cura la cera che lentamente si deposita negli orecchi impedendo loro di ascoltare Dio che attesta: Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto tutta la mia gioia (cfr Mt 17,5).

È la gioia che trascina, che incanta, che rapisce. Senza gioia il cristianesimo deperisce in fatica, in pura fatica. Curate i vostri sacerdoti, affinché risveglino tale incanto di Dio nella gente, così che abbia sempre voglia di rimanere alla Sua presenza, senta nostalgia della Sua compagnia, non desideri altro che tornare al Suo cospetto.

Troppe sono le parole vuote che portano gli uomini lontani da sé, relegati nell’effimero e limitati al provvisorio. Assicuratevi che sia Gesù, l’amato di Dio, l’alimento solido che venga continuamente ruminato e assimilato.

Vescovi mistagoghi

In secondo luogo ho ricordato “le persone battezzate che però non vivono le esigenze del Battesimo”. Forse si è a lungo presupposto che la terra, nella quale è caduto il seme del Vangelo, non fosse bisognosa di cura. Alcuni si sono allontanati perché delusi dalle promesse della fede o perché troppo esigente è sembrato il cammino per raggiungerle. Non pochi sono usciti sbattendo la porta, rinfacciandoci le nostre debolezze e cercando, senza riuscire del tutto, di convincersi che si erano lasciati ingannare da speranze alla fine smentite.

Siate Vescovi capaci di intercettare il loro cammino; fatevi pure voi viandanti apparentemente smarriti (Lc 24,13-35), domandando che cosa è successo nella Gerusalemme della loro vita e, discretamente, lasciando sfogare il loro cuore infreddolito. Non vi scandalizzate dei loro dolori o delle loro delusioni. Illuminateli con la fiamma umile, custodita con tremore, ma sempre capace di rischiarare chi è raggiunto dalla sua limpidezza che, però, non è mai abbagliante.

Spendete tempo per incontrarli sulla strada della loro Emmaus. Dispensate parole che rivelino loro ciò che ancora sono incapaci di vedere: le potenzialità nascoste nelle loro stesse delusioni. Guidateli nel mistero che portano sulle labbra senza ormai riconoscere la sua forza. Più che con le parole, riscaldate il loro cuore con l’ascolto umile e interessato al loro vero bene, finché si aprano i loro occhi e possano invertire la rotta e tornare a Colui dal quale si erano allontanati.

Ricordate, vi prego, che conoscevano già il Signore. Devono comunque riscoprirlo perché, nel frattempo, si sono oscurati i loro occhi. Aiutateli a riconoscere il loro Signore, affinché abbiano la forza di tornare a Gerusalemme. E la fede della comunità sarà arricchita e confermata dalla testimonianza del loro rientro. Vegliate perché non s’insinui pericolosamente nelle vostre comunità quella superbia dei “figli più grandi”, che rende incapace di rallegrarsi con chi “era perduto ed è stato ritrovato” (Lc 15,24).

Vescovi missionari

Come Pastori missionari della gratuita salvezza di Dio, cercate anche chi non conosce Gesù o l’ha sempre rifiutato. Andate nella loro direzione, fermatevi davanti a loro e guardate, senza paura o soggezione, su quali alberi si sono arrampicati (cfr Lc 19,1-10). Non abbiate paura di invitarli a scendere subito, perché il Signore vuole entrare, proprio oggi, nella loro casa. Fate loro capire che la salvezza passa ancora sotto l’albero della loro vita, e affrettatevi ad incamminarvi verso la loro abitazione, a volte piena di cose svuotate di senso.  

Non è vero che possiamo prescindere da questi fratelli lontani. Non ci è consentito di rimuovere l’inquietudine per la loro sorte. Inoltre, occuparci del loro autentico e definitivo bene potrebbe aprire una breccia nel murato perimetro con cui gelosamente tutelano la propria autarchia. Vedendo in noi il Signore che li interpella, forse avranno il coraggio di rispondere all’invito divino. Qualora ciò avvenisse, le nostre comunità saranno arricchite di quanto essi hanno da condividere e il nostro cuore di Pastori si rallegrerà di poter ripetere ancora: “Oggi la salvezza è entrata in questa casa”. Tale orizzonte prevalga nel vostro sguardo di Pastori nell’imminente Anno Giubilare della Misericordia che ci apprestiamo a celebrare.

Nell’impartire su di voi e sulle vostre Chiese la Benedizione Apostolica, con grande affetto e gratitudine benedico i Signori Cardinali Marc Ouellet e Leonardo Sandri, le Congregazioni che essi presiedono e l’intero corpo dei loro collaboratori.

   





Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
OFFLINE
Post: 39.987
Sesso: Femminile
16/11/2015 12:30
 
Email
 
Scheda Utente
 
Quota


<header class="entry-header">

  Completato il nuovo consiglio sinodale con le tre nomine pontificie

</header>

sinodo 02I padri sinodali lo scorso ottobre avevano votato anche per il rinnovo del consiglio sinodaleordinario che comprende il Segretario Generale, cardinale Lorenzo Baldisseri, il sottosegretario, mons. Fabio Fabene, e altri 15 membri.

Di questi 15, tre sono di nomina diretta del pontefice, mentre dodici furono, appunto, eletti dai padri al termine del sinodo ordinario sulla famiglia. Sabato 14 novembre sono stati resi noti i tre membri nominati da Papa Francesco.

Membri di nomina pontificia

1. Sua Beatitudine Rev.ma Louis Raphaël I SAKO, Patriarca di Babilonia dei Caldei, Capo del Sinodo della Chiesa Caldea (Iraq)

2. Sua Ecc.za Rev.ma Mons. Carlos OSORO SIERRA, Arcivescovo di Madrid (Spagna)

3. Sua Ecc.za Rev.ma Mons. Sérgio DA ROCHA, Arcivescovo di Brasília, Presidente della Conferenza Episcopale (Brasile)

Membri Eletti dai Padri Sinodali

1. Sua Em.za Rev.ma Card. Christoph SCHÖNBORN, O.P., Arcivescovo di Wien, Presidente della Conferenza Episcopale (Austria).

2. Sua Em.za Rev.ma Card. Wilfrid Fox NAPIER, O.F.M., Arcivescovo di Durban (Sud Africa).

3. Sua Em.za Rev.ma Card. Oscar Andrés RODRÍGUEZ MARADIAGA, S.D.B., Arcivescovo di Tegucigalpa, Presidente della Conferenza Episcopale (Honduras)

4. Sua Em.za Rev.ma Card. Peter Kodwo Appiah TURKSON, Presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace (Città del Vaticano)

5. Sua Em.za Rev.ma Card. George PELL, Prefetto della Segreteria per l’Economia (Città del Vaticano).

6. Sua Em.za Rev.ma Card. Marc OUELLET, P.S.S., Prefetto della Congregazione per i Vescovi (Città del Vaticano)

7. Sua Em.za Rev.ma Card. Oswald GRACIAS, Arcivescovo di Bombay, Presidente della Conference of Catholic Bishops of India [C.C.B.I.] (India).

8. Sua Em.za Rev.ma Card. Luis Antonio G. TAGLE, Arcivescovo di Manila (Filippine).

9. Sua Em.za Rev.ma Card. Vincent Gerard NICHOLS, Arcivescovo di Westminster (Gran Bretagna), Presidente della Conferenza Episcopale di Inghilterra e Galles.

10. Sua Em.za Rev.ma Card. Robert SARAH, Prefetto della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti (Città del Vaticano)

11. Sua Ecc.za Rev.ma Mons. Charles Joseph CHAPUT, O.F.M. Cap., Arcivescovo di Philadelphia (Stati Uniti d’America).

12. Sua Ecc.za Rev.ma Mons. Bruno FORTE, Arcivescovo di Chieti-Vasto (Italia)




Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
OFFLINE
Post: 39.987
Sesso: Femminile
22/02/2016 15:33
 
Email
 
Scheda Utente
 
Quota

GIUBILEO DELLA CURIA ROMANA


OMELIA DEL SANTO PADRE FRANCESCO


Cattedra di San Pietro Apostolo
Basilica Vaticana 
Lunedì, 22 febbraio 2016

[Multimedia]



 

La festa liturgica della Cattedra di san Pietro ci vede raccolti per celebrare il Giubileo della Misericordia come comunità di servizio della Curia Romana, del Governatorato e delle Istituzioni collegate con la Santa Sede. Abbiamo attraversato la Porta Santa e siamo giunti alla tomba dell’Apostolo Pietro per fare la nostra professione di fede; e oggi la Parola di Dio illumina in modo speciale i nostri gesti.

In questo momento, ad ognuno di noi il Signore Gesù ripete la sua domanda: «Voi, chi dite che io sia?» (Mt 16,15). Una domanda chiara e diretta, di fronte alla quale non è possibile sfuggire o rimanere neutrali, né rimandare la risposta o delegarla a qualcun altro. Ma in essa non c’è nulla di inquisitorio, anzi, è piena di amore! L’amore del nostro unico Maestro, che oggi ci chiama a rinnovare la fede in Lui, riconoscendolo quale Figlio di Dio e Signore della nostra vita. E il primo chiamato a rinnovare la sua professione di fede è il Successore di Pietro, che porta con sé la responsabilità di confermare i fratelli (cfr Lc 22,32).

Lasciamo che la grazia plasmi di nuovo il nostro cuore per credere,  e apra la nostra bocca per compiere la professione di fede e ottenere la salvezza (cfr Rm 10,10). Facciamo nostre, dunque, le parole di Pietro: «Tu sei il Cristo, il figlio del Dio vivente» (Mt16,16). Il nostro pensiero e il nostro sguardo siano fissi su Gesù Cristo, inizio e fine di ogni azione della Chiesa. Lui è il fondamento e nessuno ne può porre uno diverso (1 Cor 3,11). Lui è la “pietra” su cui dobbiamo costruire. Lo ricorda con parole espressive sant’Agostino quando scrive che la Chiesa, pur agitata e scossa per le vicende della storia, «non crolla, perché è fondata sulla pietra, da cui Pietro deriva il suo nome. Non è la pietra che trae il suo nome da Pietro, ma è Pietro che lo trae dalla pietra; così come non è il nome Cristo che deriva da cristiano, ma il nome cristiano che deriva da Cristo. […] La pietra è Cristo, sul fondamento del quale anche Pietro è stato edificato» (In Joh 124, 5: PL 35, 1972).

Da questa professione di fede deriva per ciascuno di noi il compito di corrispondere alla chiamata di Dio. Ai Pastori, anzitutto, viene richiesto di avere come modello Dio stesso che si prende cura del suo gregge. Il profeta Ezechiele ha descritto il modo di agire di Dio: Egli va in cerca della pecora perduta, riconduce all’ovile quella smarrita, fascia quella ferita e cura quella malata (34,16). Un comportamento che è segno dell’amore che non conosce confini. È una dedizione fedele, costante, incondizionata, perché a tutti i più deboli possa giungere la sua misericordia. E, tuttavia, non dobbiamo dimenticare che la profezia di Ezechiele prende le mosse dalla constatazione delle mancanze dei pastori d’Israele. Pertanto fa bene anche a noi, chiamati ad essere Pastori nella Chiesa, lasciare che il volto di Dio Buon Pastore ci illumini, ci purifichi, ci trasformi e ci restituisca pienamente rinnovati alla nostra missione. Che anche nei nostri ambienti di lavoro possiamo sentire, coltivare e praticare un forte senso pastorale, anzitutto verso le persone che incontriamo tutti i giorni. Che nessuno si senta trascurato o maltrattato, ma ognuno possa sperimentare, prima di tutto qui, la cura premurosa del Buon Pastore.

Siamo chiamati ad essere i collaboratori di Dio in un’impresa così fondamentale e unica come quella di testimoniare con la nostra esistenza la forza della grazia che trasforma e la potenza dello Spirito che rinnova. Lasciamo che il Signore ci liberi da ogni tentazione che allontana dall’essenziale della nostra missione, e riscopriamo la bellezza di professare la fede nel Signore Gesù. La fedeltà al ministero bene si coniuga con la misericordia di cui vogliamo fare esperienza. Nella Sacra Scrittura, d’altronde, fedeltà e misericordia sono un binomio inseparabile. Dove c’è l’una, là si trova anche l’altra, e proprio nella loro reciprocità e complementarietà si può vedere la presenza stessa del Buon Pastore. La fedeltà che ci è richiesta è quella di agire secondo il cuore di Cristo. Come abbiamo ascoltato dalle parole dell’apostolo Pietro, dobbiamo pascere il gregge con “animo generoso” e diventare un “modello” per tutti. In questo modo, «quando apparirà il Pastore supremo» potremo ricevere la «corona della gloria che non appassisce» (1 Pt 5,14).





Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
OFFLINE
Post: 39.987
Sesso: Femminile
19/03/2016 16:18
 
Email
 
Scheda Utente
 
Quota


ORDINAZIONE EPISCOPALE 
DI MONS. PETER BRIAN WELLS E MONS. MIGUEL ÁNGEL AYUSO GUIXOT

OMELIA DEL SANTO PADRE FRANCESCO

Basilica Vaticana
Sabato, 19 marzo 2016

[Multimedia]








 

Fratelli e figli carissimi,

ci farà bene riflettere attentamente a quale alta responsabilità ecclesiale vengono promossi questi nostri fratelli.

Il Signore nostro Gesù Cristo inviato dal Padre a redimere gli uomini mandò a sua volta nel mondo i dodici apostoli, perché pieni della potenza dello Spirito Santo annunziassero il Vangelo a tutti i popoli e riunendoli sotto un unico pastore, li santificassero e li guidassero alla salvezza.

Al fine di perpetuare di generazione in generazione questo ministero apostolico, i Dodici si aggregarono dei collaboratori trasmettendo loro con l’imposizione delle mani il dono dello Spirito ricevuto da Cristo, che conferiva la pienezza del sacramento dell’Ordine. Così, attraverso l’ininterrotta successione dei vescovi nella tradizione vivente della Chiesa si è conservato questo ministero primario e l’opera del Salvatore continua e si sviluppa fino ai nostri tempi. Nel vescovo circondato dai suoi presbiteri è presente in mezzo a voi lo stesso Signore nostro Gesù Cristo, sommo sacerdote in eterno.

E’ Cristo, infatti, che nel ministero del vescovo continua a predicare il Vangelo di salvezza e a santificare i credenti, mediante i sacramenti della fede. E’ Cristo che nella paternità del vescovo accresce di nuove membra il suo corpo, che è la Chiesa. E’ Cristo che nella sapienza e prudenza del vescovo guida il popolo di Dio nel pellegrinaggio terreno fino alla felicità eterna. Cristo che predica, Cristo che fa la Chiesa, feconda la Chiesa, Cristo che guida: questo è il vescovo.

Accogliete, dunque, con gioia e gratitudine questi nostri fratelli, che noi vescovi con l’imposizione delle mani oggi associamo al collegio episcopale. Rendete loro l’onore che si deve ai ministri di Cristo e ai dispensatori dei misteri di Dio, ai quali è affidata la testimonianza del Vangelo e il ministero dello Spirito per la santificazione. Ricordatevi delle parole di Gesù agli Apostoli: “Chi ascolta voi, ascolta me; chi disprezza voi, disprezza Me e chi disprezza Me, disprezza Colui che mi ha mandato”.

Quanto a voi, fratelli carissimi, eletti dal Signore, riflettete che siete stati scelti fra gli uomini e per gli uomini, siete stati costituiti nelle cose che riguardano Dio. “Episcopato” infatti è il nome di un servizio, non di un onore. Poiché al vescovo compete più il servire che il dominare, secondo il comandamento del Maestro: “Chi è il più grande tra voi, diventi come il più piccolo. E chi governa, come colui che serve”. Siate servitori. Di tutti: dei più grandi e dei più piccoli. Di tutti. Ma sempre servitori, al servizio.

Annunciate la Parola in ogni occasione: opportuna e non opportuna. Ammonite, rimproverate, esortate con ogni magnanimità e dottrina. E mediante l’orazione e l’offerta del sacrificio per il vostro popolo, attingete dalla pienezza della santità di Cristo la multiforme ricchezza della divina grazia. Non dimenticatevi che il primo compito del vescovo è la preghiera. Questo lo ha detto Pietro, il giorno dell’elezione dei sette diaconi. Secondo compito, l’annuncio della Parola. Poi vengono gli altri. Ma il primo è la preghiera. Se un vescovo non prega, non potrà far nulla.

Nella Chiesa a voi affidata siate fedeli custodi e dispensatori dei misteri di Cristo, posti dal Padre a capo della sua famiglia seguite sempre l’esempio del Buon Pastore, che conosce le sue pecore: dietro ogni carta c’è una persona. Dietro ogni lettera che voi riceverete, c’è una persona. Che quella persona sia conosciuta da voi e che voi siate capaci di conoscerla.

Amate con amore di padre e di fratello tutti coloro che Dio vi affida. Anzitutto i presbiteri e i diaconi. Fa piangere quanto senti che un presbitero ha chiesto di parlare con il suo vescovo e la segretaria o il segretario gli ha detto: “Ha tante cose da fare, prima di tre mesi non ti potrà ricevere”. Il primo prossimo del vescovo è il suo presbitero, il primo prossimo. Se tu non ami il primo prossimo, non sarai capace di amare tutti. Vicini ai presbiteri, ai diaconi, ai vostri collaboratori nel ministero; vicini ai poveri, agli indifesi e quanti hanno bisogno di accoglienza e di aiuto. Guardate i fedeli negli occhi! Non in obliquo, negli occhi, per guardare il cuore. E che quel tuo fedele, sia presbitero, diacono o laico, possa guardare il tuo cuore. Ma guardare sempre negli occhi.

Abbiate viva attenzione per quanti non appartengono all’unico ovile di Cristo, perché essi pure vi sono stati affidati nel Signore. Ricordatevi che nella Chiesa cattolica, radunata nel vincolo della carità, siete uniti al Collegio dei vescovi e dovete portare in voi la sollecitudine di tutte le Chiese, soccorrendo generosamente quelle che sono più bisognose di aiuto.

E vegliate con amore su tutto il gregge nel quale lo Spirito Santo vi pone a reggere la Chiesa di Dio. E questo fatelo nel nome del Padre, del quale rendete presente l’immagine; nel nome di Gesù Cristo, suo Figlio, dal quale siete costituiti maestri, sacerdoti e pastori. Nel nome dello Spirito Santo che dà vita alla Chiesa e con la sua potenza sostiene la nostra debolezza.

Il Signore vi accompagni, vi sia vicino in questa strada che oggi incominciate.




Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
OFFLINE
Post: 39.987
Sesso: Femminile
26/04/2016 22:04
 
Email
 
Scheda Utente
 
Quota

LETTERA DEL SANTO PADRE FRANCESCO 
AL CARDINALE MARC OUELLET,
PRESIDENTE DELLA PONTIFICIA COMMISSIONE PER L'AMERICA LATINA
ANCHE SUL RUOLO DEI LAICI


 

 

A Sua Eminenza il Cardinale 
Marc Armand Ouellet, P.S.S.
Presidente della Pontificia Commissione per l’America Latina

Eminenza,

Al termine dell’incontro della Commissione per l’America Latina e i Caraibi ho avuto l’opportunità d’incontrare tutti i partecipanti dell’assemblea, nella quale si sono scambiati idee e impressioni sulla partecipazione pubblica del laicato alla vita dei nostri popoli.

Vorrei riportare quanto è stato condiviso in quell’incontro e proseguire qui la riflessione vissuta in quei giorni, affinché lo spirito di discernimento e di riflessione “non cada nel vuoto”; affinché ci aiuti e continui a spronare a servire meglio il Santo Popolo fedele di Dio.

È proprio da questa immagine che mi piacerebbe partire per la nostra riflessione sull’attività pubblica dei laici nel nostro contesto latinoamericano.
Evocare il Santo Popolo fedele di Dio è evocare l’orizzonte al quale siamo invitati a guardare e dal quale riflettere. È al Santo Popolo fedele di Dio che come pastori siamo continuamente invitati a guardare, proteggere, accompagnare, sostenere e servire. Un padre non concepisce se stesso senza i suoi figli. Può essere un ottimo lavoratore, professionista, marito, amico, ma ciò che lo fa padre ha un volto: sono i suoi figli. Lo stesso succede a noi, siamo pastori. Un pastore non si concepisce senza un gregge, che è chiamato a servire. Il pastore è pastore di un popolo, e il popolo lo si serve dal di dentro. Molte volte si va avanti aprendo la strada, altre si torna sui propri passi perché nessuno rimanga  indietro, e non poche volte si sta nel mezzo per sentire bene il palpitare della gente.

Guardare al Santo Popolo fedele di Dio e sentirci parte integrale dello stesso ci posiziona nella vita, e pertanto nei temi che trattiamo, in maniera diversa. Questo ci aiuta a non cadere in riflessioni che possono, di per sé, esser molto buone, ma che finiscono con l’omologare la vita della nostra gente o con il teorizzare a tal punto che la speculazione finisce coll’uccidere l’azione. Guardare continuamente al Popolo di Dio ci salva da certi nominalismi dichiarazionisti (slogan) che sono belle frasi ma che non riescono a sostenere la vita delle nostre comunità. Per esempio, ricordo ora la famosa frase: “è l’ora dei laici” ma sembra che l’orologio si sia fermato.

Guardare al Popolo di Dio è ricordare che tutti facciamo il nostro ingresso nella Chiesa come laici. Il primo sacramento, quello che sugella per sempre la nostra identità, e di cui dovremmo essere sempre orgogliosi, è il battesimo. Attraverso di esso e con l’unzione dello Spirito Santo, (i fedeli) “vengono consacrati per formare un tempio spirituale e un sacerdozio santo” (Lumen gentium, n. 10). La nostra prima e fondamentale consacrazione affonda le sue radici nel nostro battesimo. Nessuno è stato battezzato prete né vescovo. Ci hanno battezzati laici ed è il segno indelebile che nessuno potrà mai cancellare. Ci fa bene ricordare che la Chiesa non è una élite dei sacerdoti, dei consacrati, dei vescovi, ma che tutti formano il Santo Popolo fedele di Dio. Dimenticarci di ciò comporta vari rischi e deformazioni nella nostra stessa esperienza, sia personale sia comunitaria, del ministero che la Chiesa ci ha affidato. Siamo, come sottolinea bene il concilio Vaticano II, il Popolo di Dio, la cui identità è “la dignità e la libertà dei figli di Dio, nel cuore dei quali dimora lo Spirito Santo come in un tempio” (Lumen gentium, n. 9).  Il Santo Popolo fedele di Dio è unto con la grazia dello Spirito Santo, e perciò, al momento di riflettere, pensare, valutare, discernere, dobbiamo essere molto attenti a questa unzione.

Devo al contempo aggiungere un altro elemento che considero frutto di un modo sbagliato di vivere l’ecclesiologia proposta dal Vaticano II. Non possiamo riflettere sul tema del laicato ignorando una delle deformazioni più grandi che l’America Latina deve affrontare – e a cui vi chiedo di rivolgere un’attenzione particolare –, il clericalismo.
Questo atteggiamento non solo annulla la personalità dei cristiani, ma tende anche a sminuire e a sottovalutare la grazia battesimale che lo Spirito Santo ha posto nel cuore della nostra gente. Il clericalismo porta a una omologazione del laicato; trattandolo come “mandatario” limita le diverse iniziative e sforzi e, oserei dire, le audacie necessarie per poter portare la Buona Novella del Vangelo a tutti gli ambiti dell’attività sociale e soprattutto politica. Il clericalismo, lungi dal dare impulso ai diversi contributi e proposte, va spegnendo poco a poco il fuoco profetico di cui l’intera Chiesa è chiamata a rendere testimonianza nel cuore dei suoi popoli. Il clericalismo dimentica che la visibilità e la sacramentalità della Chiesa appartengono a tutto il popolo di Dio (cfr. Lumen gentium, nn. 9-14), e non solo a pochi eletti e illuminati.

C’è un fenomeno molto interessante che si è prodotto nella nostra America Latina e che desidero citare qui: credo che sia uno dei pochi spazi in cui il Popolo di Dio è stato libero dall’influenza del clericalismo: mi riferisco alla pastorale popolare. È stato uno dei pochi spazi in cui il popolo (includendo i suoi pastori) e lo Spirito Santo si sono potuti incontrare senza il clericalismo che cerca di controllare e di frenare l’unzione di Dio sui suoi. Sappiamo che la pastorale popolare, come ha ben scritto Paolo VI nell’esortazione apostolica Evangelii nuntiandi, “ha certamente i suoi limiti. È frequentemente aperta alla penetrazione di molte deformazioni della religione”, ma prosegue, “se è ben orientata, soprattutto mediante una pedagogia di evangelizzazione, è ricca di valori. Essa manifesta una sete di Dio che solo i semplici e i poveri possono conoscere; rende capaci di generosità e di sacrificio fino all'eroismo, quando si tratta di manifestare la fede; comporta un senso acuto degli attributi profondi di Dio: la paternità, la provvidenza, la presenza amorosa e costante; genera atteggiamenti interiori raramente osservati altrove al medesimo grado: pazienza, senso della croce nella vita quotidiana, distacco, apertura agli altri, devozione. A motivo di questi aspetti, Noi la chiamiamo volentieri ‘pietà popolare’, cioè religione del popolo, piuttosto che religiosità… Ben orientata, questa religiosità popolare può essere sempre più, per le nostre masse popolari, un vero incontro con Dio in Gesù Cristo” (n. 48).

Papa Paolo VI usa un’espressione che ritengo fondamentale, la fede del nostro popolo, i suoi orientamenti, ricerche, desideri, aneliti, quando si riescono ad ascoltare e a orientare, finiscono col manifestarci una genuina presenza dello Spirito. Confidiamo nel nostro Popolo, nella sua memoria e nel suo “olfatto”, confidiamo che lo Spirito Santo agisce in e con esso, e che questo Spirito non è solo “proprietà” della gerarchia ecclesiale.

Ho preso questo esempio della pastorale popolare come chiave ermeneutica che ci può aiutare a capire meglio l’azione che si genera quando il Santo Popolo fedele di Dio prega e agisce. Un’azione che non resta legata alla sfera intima della persona ma che, al contrario, si trasforma in cultura; “una cultura popolare evangelizzata contiene valori di fede e di solidarietà che possono provocare lo sviluppo di una società più giusta e credente, e possiede una sapienza peculiare che bisogna saper riconoscere con uno sguardo colmo di gratitudine” (Evangelii gaudium, n. 68).

Allora, da qui possiamo domandarci: che cosa significa il fatto che i laici stiano lavorando nella vita pubblica?

Oggigiorno molte nostre città sono diventate veri luoghi di sopravvivenza. Luoghi in cui sembra essersi insediata la cultura dello scarto, che lascia poco spazio alla speranza. Lì troviamo i nostri fratelli, immersi in queste lotte, con le loro famiglie, che cercano non solo di sopravvivere, ma che, tra contraddizioni e ingiustizie, cercano il Signore e desiderano rendergli testimonianza. Che cosa significa per noi pastori il fatto che i laici stiano lavorando nella vita pubblica? Significa cercare il modo per poter incoraggiare, accompagnare e stimolare tutti i tentativi e gli sforzi che oggi già si fanno per mantenere viva la speranza e la fede in un mondo pieno di contraddizioni, specialmente per i più poveri, specialmente con i più poveri. Significa, come pastori, impegnarci in mezzo al nostro popolo e, con il nostro popolo, sostenere la fede e la sua speranza.
Aprendo porte, lavorando con lui, sognando con lui, riflettendo e soprattutto pregando con lui. “Abbiamo bisogno di riconoscere la città” – e pertanto tutti gli spazi dove si svolge la vita della nostra gente - “a partire da uno sguardo contemplativo, ossia uno sguardo di fede che scopra quel Dio che abita nelle sue case, nelle sue strade, nelle sue piazze… Egli vive tra i cittadini promuovendo la solidarietà, la fraternità, il desiderio di bene, di verità, di giustizia. Questa presenza non deve essere fabbricata, ma scoperta, svelata. Dio non si nasconde a coloro che lo cercano con cuore sincero” (Evangelii gaudium, n. 71).

Non è maI il pastore a dover dire al laico quello che deve fare e dire, lui lo sa tanto e meglio di noi. Non è il pastore a dover stabilire quello che i fedeli devono dire nei diversi ambiti. Come pastori, uniti al nostro popolo, ci fa bene domandarci come stiamo stimolando e promuovendo la carità e la fraternità, il desiderio del bene, della verità e della giustizia. Come facciamo a far sì che la corruzione non si annidi nei nostri cuori.

Molte volte siamo caduti nella tentazione di pensare che il laico impegnato sia colui che lavora nelle opere della Chiesa e/o nelle cose della parrocchia o della diocesi, e abbiamo riflettuto poco su come accompagnare un battezzato nella sua vita pubblica e quotidiana; su come, nella sua attività quotidiana, con le responsabilità che ha, s’impegna come cristiano nella vita pubblica.

Senza rendercene conto, abbiamo generato una élite laicale credendo che sono laici impegnati solo quelli che lavorano in cose “dei preti”, e abbiamo dimenticato, trascurandolo, il credente che molte volte brucia la sua speranza nella lotta quotidiana per vivere la fede.
 

Sono queste le situazioni che il clericalismo non può vedere, perché è più preoccupato a dominare spazi che a generare processi. Dobbiamo pertanto riconoscere che il laico per la sua realtà, per la sua identità, perché immerso nel cuore della vita sociale, pubblica e politica, perché partecipe di forme culturali che si generano costantemente, ha bisogno di nuove forme di organizzazione e di celebrazione della fede. I ritmi attuali sono tanto diversi (non dico migliori o peggiori) di quelli che si vivevano trent’anni fa! “Ciò richiede di immaginare spazi di preghiera e di comunione con caratteristiche innovative, più attraenti e significative per le popolazioni urbane” (Evangelii gaudium, n. 73).

È illogico, e persino impossibile, pensare che noi come pastori dovremmo avere il monopolio delle soluzioni per le molteplici sfide che la vita contemporanea ci presenta. Al contrario, dobbiamo stare dalla parte della nostra gente, accompagnandola nelle sue ricerche e stimolando quell’immaginazione capace di rispondere alla problematica attuale. E questo discernendo con la nostra gente e mai per la nostra gente o senza la nostra gente. Come direbbe sant’Ignazio, “secondo le necessità di luoghi, tempi e persone”. Ossia non uniformando. Non si possono dare direttive generali per organizzare il popolo di Dio all’interno della sua vita pubblica.
L’inculturazione è un processo che noi pastori siamo chiamati a stimolare, incoraggiando la gente a vivere la propria fede dove sta e con chi sta. L’inculturazione è imparare a scoprire come una determinata porzione del popolo di oggi, nel qui e ora della storia, vive, celebra e annuncia la propria fede. Con un’identità particolare e in base ai problemi che deve affrontare, come pure con tutti i motivi che ha per rallegrarsi. L’inculturazione è un lavoro artigianale e non una fabbrica per la produzione in serie di processi che si dedicherebbero a “fabbricare mondi o spazi cristiani”.

Nel nostro popolo ci viene chiesto di custodire due memorie. La memoria di Gesù Cristo e la memoria dei nostri antenati. La fede, l’abbiamo ricevuta, è stato un dono che ci è giunto in molti casi dalle mani delle nostre madri, delle nostre nonne. Loro sono state la memoria viva di Gesù Cristo all’interno delle nostre case. È stato nel silenzio della vita familiare che la maggior parte di noi ha imparato a pregare, ad amare, a vivere la fede. È stato all’interno di una vita familiare, che ha poi assunto la forma di parrocchia, di scuola e di comunità, che la fede è giunta alla nostra vita e si è fatta carne. È stata questa fede semplice ad accompagnarci molte volte nelle diverse vicissitudini del cammino. Perdere la memoria è sradicarci dal luogo da cui veniamo e quindi non sapere neanche dove andiamo.

Questo è fondamentale, quando sradichiamo un laico dalla sua fede, da quella delle sue origini; quando lo sradichiamo dal Santo Popolo fedele di Dio, lo sradichiamo dalla sua identità battesimale e così lo priviamo della grazia dello Spirito Santo. Lo stesso succede a noi quando ci sradichiamo come pastori dal nostro popolo, ci perdiamo. Il nostro ruolo, la nostra gioia, la gioia del pastore, sta proprio nell’aiutare e nello stimolare, come hanno fatto molti prima di noi, madri, nonne e padri, i veri protagonisti della storia. Non per una nostra concessione di buona volontà, ma per diritto e statuto proprio. I laici sono parte del Santo Popolo fedele di Dio e pertanto sono i protagonisti della Chiesa e del mondo; noi siamo chiamati a servirli, non a servirci di loro.

Nel mio recente viaggio in terra messicana ho avuto l’opportunità di stare da solo con la Madre, lasciandomi guardare da lei. In quello spazio di preghiera, le ho potuto presentare anche il mio cuore di figlio. In quel momento c’eravate anche voi con le vostre comunità. In quel momento di preghiera, ho chiesto a Maria di non smettere di sostenere, come ha fatto con la prima comunità, la fede del nostro popolo. Che la Vergine Santa interceda per voi, vi custodisca e vi accompagni sempre!

Dal Vaticano, 19 marzo 2016

Francesco




Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
OFFLINE
Post: 39.987
Sesso: Femminile
17/05/2016 12:15
 
Email
 
Scheda Utente
 
Quota


APERTURA DELLA 69a ASSEMBLEA GENERALE DELLA CEI

DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO 
ALLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

Aula del Sinodo
Lunedì, 16 maggio 2016

[Multimedia]



 

Cari fratelli,

a rendermi particolarmente contento di aprire con voi questa Assemblea è il tema che avete posto come filo conduttore dei lavori –Il rinnovamento del clero –, nella volontà di sostenere la formazione lungo le diverse stagioni della vita.

La Pentecoste appena celebrata mette questo vostro traguardo nella giusta luce. Lo Spirito Santo rimane, infatti, il protagonista della storia della Chiesa: è lo Spirito che abita in pienezza nella persona di Gesù e ci introduce nel mistero del Dio vivente; è lo Spirito che ha animato la risposta generosa della Vergine Madre e dei Santi; è lo Spirito che opera nei credenti e negli uomini di pace, e suscita la generosa disponibilità e la gioia evangelizzatrice di tanti sacerdoti. Senza lo Spirito Santo – lo sappiamo – non esiste possibilità di vita buona, né di riforma. Preghiamo e impegniamoci a custodire la sua forza, affinché «il mondo del nostro tempo possa ricevere la Buona Novella […] da ministri del Vangelo, la cui vita irradi fervore» (Paolo VI, Esort. ap. Evangelii nuntiandi, 80).

Questa sera non voglio offrirvi una riflessione sistematica sulla figura del sacerdote. Proviamo, piuttosto, a capovolgere la prospettiva e a metterci in ascolto, in contemplazione. Avviciniamoci, quasi in punta di piedi, a qualcuno dei tanti parroci che si spendono nelle nostre comunità; lasciamo che il volto di uno di loro passi davanti agli occhi del nostro cuore e chiediamoci con semplicità: che cosa ne rende saporita la vita? Per chi e per che cosa impegna il suo servizio? Qual è la ragione ultima del suo donarsi?

Vi auguro che queste domande possano riposare dentro di voi nel silenzio, nella preghiera tranquilla, nel dialogo franco e fraterno: le risposte che fioriranno vi aiuteranno a individuare anche le proposte formative su cui investire con coraggio.

1. Che cosa, dunque, dà sapore alla vita del “nostro” presbitero? Il contesto culturale è molto diverso da quello in cui ha mosso i primi passi nel ministero. Anche in Italia tante tradizioni, abitudini e visioni della vita sono state intaccate da un profondo cambiamento d’epoca.

Noi, che spesso ci ritroviamo a deplorare questo tempo con tono amaro e accusatorio, dobbiamo avvertirne anche la durezza: nel nostro ministero, quante persone incontriamo che sono nell’affanno per la mancanza di riferimenti a cui guardare! Quante relazioni ferite! In un mondo in cui ciascuno si pensa come la misura di tutto, non c’è più posto per il fratello.

Su questo sfondo, la vita del nostro presbitero diventa eloquente, perché diversa, alternativa. Come Mosè, egli è uno che si è avvicinato al fuoco e ha lasciato che le fiamme bruciassero le sue ambizioni di carriera e potere. Ha fatto un rogo anche della tentazione di interpretarsi come un “devoto”, che si rifugia in un intimismo religioso che di spirituale ha ben poco.

È scalzo, il nostro prete, rispetto a una terra che si ostina a credere e considerare santa. Non si scandalizza per le fragilità che scuotono l’animo umano: consapevole di essere lui stesso un paralitico guarito, è distante dalla freddezza del rigorista, come pure dalla superficialità di chi vuole mostrarsi accondiscendente a buon mercato. Dell’altro accetta, invece, di farsi carico, sentendosi partecipe e responsabile del suo destino.

Con l’olio della speranza e della consolazione, si fa prossimo di ognuno, attento a condividerne l’abbandono e la sofferenza. Avendo accettato di non disporre di sé, non ha un’agenda da difendere, ma consegna ogni mattina al Signore il suo tempo per lasciarsi incontrare dalla gente e farsi incontro. Così, il nostro sacerdote non è un burocrate o un anonimo funzionario dell’istituzione; non è consacrato a un ruolo impiegatizio, né è mosso dai criteri dell’efficienza.

Sa che l’Amore è tutto. Non cerca assicurazioni terrene o titoli onorifici, che portano a confidare nell’uomo; nel ministero per sé non domanda nulla che vada oltre il reale bisogno, né è preoccupato di legare a sé le persone che gli sono affidate. Il suo stile di vita semplice ed essenziale, sempre disponibile, lo presenta credibile agli occhi della gente e lo avvicina agli umili, in una carità pastorale che fa liberi e solidali. Servo della vita, cammina con il cuore e il passo dei poveri; è reso ricco dalla loro frequentazione. È un uomo di pace e di riconciliazione, un segno e uno strumento della tenerezza di Dio, attento a diffondere il bene con la stessa passione con cui altri curano i loro interessi.

Il segreto del nostro presbitero – voi lo sapete bene! – sta in quel roveto ardente che ne marchia a fuoco l’esistenza, la conquista e la conforma a quella di Gesù Cristo, verità definitiva della sua vita. È il rapporto con Lui a custodirlo, rendendolo estraneo alla mondanità spirituale che corrompe, come pure a ogni compromesso e meschinità. È l’amicizia con il suo Signore a portarlo ad abbracciare la realtà quotidiana con la fiducia di chi crede che l’impossibilità dell’uomo non rimane tale per Dio.

2. Diventa così più immediato affrontare anche le altre domande da cui siamo partiti. Per chi impegna il servizio il nostro presbitero? La domanda, forse, va precisata. Infatti, prima ancora di interrogarci sui destinatari del suo servizio, dobbiamo riconoscere che il presbitero è tale nella misura in cui si sente partecipe della Chiesa, di una comunità concreta di cui condivide il cammino. Il popolo fedele di Dio rimane il grembo da cui egli è tratto, la famiglia in cui è coinvolto, la casa a cui è inviato. Questa comune appartenenza, che sgorga dal Battesimo, è il respiro che libera da un’autoreferenzialità che isola e imprigiona: «Quando il tuo battello comincerà a mettere radici nell’immobilità del molo – richiamava Dom Hélder Câmara – prendi il largo!». Parti! E, innanzitutto, non perché hai una missione da compiere, ma perché strutturalmente sei un missionario: nell’incontro con Gesù hai sperimentato la pienezza di vita e, perciò, desideri con tutto te stesso che altri si riconoscano in Lui e possano custodire la sua amicizia, nutrirsi della sua parola e celebrarLo nella comunità.

Colui che vive per il Vangelo, entra così in una condivisione virtuosa: il pastore è convertito e confermato dalla fede semplice del popolo santo di Dio, con il quale opera e nel cui cuore vive. Questa appartenenza è il sale della vita del presbitero; fa sì che il suo tratto distintivo sia la comunione, vissuta con i laici in rapporti che sanno valorizzare la partecipazione di ciascuno. In questo tempo povero di amicizia sociale, il nostro primo compito è quello di costruire comunità; l’attitudine alla relazione è, quindi, un criterio decisivo di discernimento vocazionale.

Allo stesso modo, per un sacerdote è vitale ritrovarsi nel cenacolo del presbiterio. Questa esperienza – quando non è vissuta in maniera occasionale, né in forza di una collaborazione strumentale – libera dai narcisismi e dalle gelosie clericali; fa crescere la stima, il sostegno e la benevolenza reciproca; favorisce una comunione non solo sacramentale o giuridica, ma fraterna e concreta. Nel camminare insieme di presbiteri, diversi per età e sensibilità, si spande un profumo di profezia che stupisce e affascina. La comunione è davvero uno dei nomi della Misericordia.

Nella vostra riflessione sul rinnovamento del clero rientra anche il capitolo che riguarda la gestione delle strutture e dei beni: in una visione evangelica, evitate di appesantirvi in una pastorale di conservazione, che ostacola l’apertura alla perenne novità dello Spirito. Mantenete soltanto ciò che può servire per l’esperienza di fede e di carità del popolo di Dio.

3. Infine, ci siamo chiesti quale sia la ragione ultima del donarsi del nostro presbitero. Quanta tristezza fanno coloro che nella vita stanno sempre un po’ a metà, con il piede alzato! Calcolano, soppesano, non rischiano nulla per paura di perderci… Sono i più infelici! Il nostro presbitero, invece, con i suoi limiti, è uno che si gioca fino in fondo: nelle condizioni concrete in cui la vita e il ministero l’hanno posto, si offre con gratuità, con umiltà e gioia. Anche quando nessuno sembra accorgersene. Anche quando intuisce che, umanamente, forse nessuno lo ringrazierà a sufficienza del suo donarsi senza misura.

Ma – lui lo sa – non potrebbe fare diversamente: ama la terra, che riconosce visitata ogni mattino dalla presenza di Dio. È uomo della Pasqua, dallo sguardo rivolto al Regno, verso cui sente che la storia umana cammina, nonostante i ritardi, le oscurità e le contraddizioni. Il Regno – la visione che dell’uomo ha Gesù – è la sua gioia, l’orizzonte che gli permette di relativizzare il resto, di stemperare preoccupazioni e ansietà, di restare libero dalle illusioni e dal pessimismo; di custodire nel cuore la pace e di diffonderla con i suoi gesti, le sue parole, i suoi atteggiamenti.

* * *

Ecco delineata, cari fratelli, la triplice appartenenza che ci costituisce: appartenenza al Signore, alla Chiesa, al Regno. Questo tesoro in vasi di creta va custodito e promosso! Avvertite fino in fondo questa responsabilità, fatevene carico con pazienza e disponibilità di tempo, di mani e di cuore.

Prego con voi la Vergine Santa, perché la sua intercessione vi custodisca accoglienti e fedeli. Insieme con i vostri presbiteri possiate portare a termine la corsa, il servizio che vi è stato affidato e con cui partecipate al mistero della Madre Chiesa. Grazie.

   



Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
OFFLINE
Post: 39.987
Sesso: Femminile
22/09/2017 09:01
 
Email
 
Scheda Utente
 
Quota

Nessuna misericordia per i preti pedofili






Nuovo affondo del Pontefice sulle inadempienze del passato e sul pugno duro di oggi. Ma con Ratzinger si concentrò la maggior parte delle leggi e norme per reprimere e punire i responsabili. Ben sapendo che le cause intime sono da ricercare nel lassismo morale, nella scarsa pratica sacramentale e nel fatto che la maggior parte dei casi sono operati da sacerdoti omosessuali.



Prosegue la “tolleranza zero” del Vaticano sulla pedofilia, introdotta con particolare forza da Benedetto XVI oggi viene portata avanti con altrettanto vigore da papa Francesco. «Anche un solo abuso su minori, se provato, è sufficiente per ricevere la condanna senza appello», ha detto Bergoglio, e «se ci sono le prove è definitivo. Perché? Semplicemente perché la persona che fa questo, uomo o donna, è malata. È una malattia. Oggi lui si pente, va avanti, lo perdoniamo, ma dopo due anni ricade. Dobbiamo metterci in testa che è una malattia». 

Ieri il Papa ha incontrato i membri della Pontificia Commissione per la tutela dei minori, ai quali ha consegnato il testo scritto per poi parlare per circa venti minuti a braccio. Nel testo si dice che «lo scandalo dell’abuso sessuale è veramente una tragedia terribile per tutta l’umanità, e che colpisce così tanti bambini, giovani e adulti vulnerabili in tutti i Paesi e in tutte le società».

In questo modo il Papa inquadra un fenomeno che è assai più vasto, purtroppo, dei confini della Chiesa, confermando le tristi indicazioni che provengono da molti studi nel mondo. Secondo gli esperti è possibile affermare che poche istituzioni hanno intrapreso una lotta alla pedofilia pari a quella messa in atto dalla Chiesa cattolica, lo stesso non vale, ad esempio, per scuole e associazioni, ambiti in cui il fenomeno è assai diffuso e non sempre affrontato nel dovuto modo.

Tuttavia, papa Francesco non ha timore di dire che la Chiesa ha preso coscienza tardi di questo problema e «forse l’antica pratica di spostare la gente, ha addormentato un po’ le coscienze»; «quando la coscienza arriva tardi i mezzi per risolvere il problema arrivano tardi».  

Già nel 2001 l'allora cardinale Ratzinger, in qualità di prefetto della Congregazione per la Dottrina della fede, firmava il testo di riferimento che ha segnato la svolta, il De Delictis gravioribus, su cui ha poi rimesso le mani nel 2010 da Papa, allungando i termini di prescrizione fino a 20 anni, un tempo che forse nessuno Stato al mondo contempla. Poi il 16 maggio 2011 venne pubblicata la Lettera Circolare della Congregazione per la dottrina della fede, in modo che tutti i vescovi nell'orbe cattolico avessero un preciso riferimento sul modo in cui affrontare i casi di abuso.

Ieri papa Francesco ha confermato che «per il momento risolvere il problema di abusi dev'essere sotto la competenza della Congregazione per la Dottrina della fede». Alcuni vorrebbero coinvolgere altri dicasteri e uffici, il papa è consapevole che «ci sono tanti casi che non avanzano, non vanno avanti: questo è vero», e per questo alla Dottrina della fede «si sta cercando di prendere più gente che lavori nella classificazione dei processi: operai che classificano, studiano i dossier». In questo c'è l'accordo con il nuovo segretario della congregazione, monsignor Giacomo Morandi, così come, ha detto il Papa, c'era con l'ex prefetto cardinale Gerhard Muller.

Nell'iter dei casi di abusi è prevista anche la richiesta di grazia al pontefice, cosa che Francesco non intende concedere. «Io non ho mai firmato una di queste e mai le firmerò».

Un solo caso è già un caso di troppo, ha detto Francesco, ed «è sufficiente per ricevere una condanna senza appello. Perché? Semplicemente perché la persona che fa questo, uomo o donna, è malata».

Lo studio più importante sul terribile fenomeno, dotato di accuratezza statistica, è quello commissionato al John Jay College of Criminal Justice della City University of New York, pubblicato nel 2004. Secondo questo lavoro scientifico il 78,2% delle accuse si riferisce a minorenni che hanno superato la pubertà, rappresentando cioè casi definiti di efebofilia (rapporti con ragazzi dai 12 anni in su), più che di pedofilia in senso stretto (rapporti sessuali con bambini sotto i 12 anni). Un dato che fu confermato anche dall’allora “pubblico ministero” dell’ex Sant’Ufficio, monsignor Charles Scicluna, nel 2010. Su 3.000 casi segnalati Scicluna rilevava che circa il 60% era dato da casi di attrazione verso adolescenti dello stesso sesso. Un abominio che purtroppo mostra un fatto, ossia che la maggior parte dei sacerdoti che abusano di minori, è attratto da adolescenti dello stesso sesso. 

Come sia potuto accadere che nei seminari non sia stato svolto un accurato discernimento per candidati al sacerdozio soverchiati da questa “malattia”, come ha detto il Papa, è un problema nel problema. Benedetto XVI nella Lettera pastorale ai cattolici dell’Irlanda del 19 marzo 2010 delineava qualche ipotesi: richiamando la temperie culturale degli anni 60’ e ’70 del secolo scorso, che si è manifestata dentro e fuori la Chiesa, potrebbe aver portato a una certa ribellione nella dottrina morale e nella pratica sacramentale. Il frutto nei seminari è stato spesso un certo allargamento delle maglie nella selezione dei candidati.

Papa Francesco, parlando ieri alla Pontificia Commissione per la tutela dei minori, ha mostrato la sua determinazione per risolvere la questione. «È una brutta malattia», ha ribadito il Papa in chiusura del suo discorso a braccio. «Brutta e “vecchia”, come testimoniano lettere di San Francesco Saverio che rimproverava i monaci buddisti per questo “vizio”. Bisogna andare avanti e sradicarla. Punto». 




DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO
AI MEMBRI DELLA PONTIFICIA COMMISSIONE PER LA TUTELA DEI MINORI

Giovedì, 21 settembre 2017

[Multimedia]


 

Cari Fratelli e Sorelle,

Vi porgo un cordiale benvenuto all’inizio di questa Assemblea Plenaria. In particolare, vorrei ringraziare il Cardinale O’Malley per il suo gentile saluto mentre vi esprimo il mio più sincero apprezzamento per le riflessioni che a nome vostro hanno presentato il signor Hermenegild Makoro e il signor Bill Kilgallon. Hanno espresso molto bene il ruolo che ho pensato per la Commissione quando l’ho istituita tre anni fa, un servizio che confido continuerà a essere di grande aiuto nei prossimi anni per il Papa, la Santa Sede, i Vescovi e i Superiori Maggiori di tutto il mondo.

Riuniti qui oggi, desidero condividere con voi il profondo dolore che sento nell’anima per la situazione dei bambini abusati, come ho già avuto occasione di fare recentemente in diverse occorrenze. Lo scandalo dell’abuso sessuale è davvero una rovina terribile per tutta l’umanità, e tocca tanti bambini, giovani e adulti vulnerabili in tutti i paesi e in tutte le società. Anche per la Chiesa è stata un’esperienza molto dolorosa. Proviamo vergogna per gli abusi commessi da ministri sacri, che dovrebbero essere le persone più degne di fiducia. Ma abbiamo anche sperimentato una chiamata, e siamo certi che proviene direttamente da nostro Signore Gesù Cristo: accogliere la missione del Vangelo per la protezione di tutti i minori e adulti vulnerabili.

Permettetemi di dire in tutta chiarezza che l’abuso sessuale è un peccato orribile, completamente opposto e in contraddizione con ciò che Cristo e la Chiesa ci insegnano. Qui a Roma, ho avuto il privilegio di ascoltare le storie che le vittime e i sopravvissuti di abusi hanno voluto condividere. In quegli incontri, hanno condiviso apertamente le conseguenze che l’abuso sessuale ha provocato sulle loro vite e sulle loro famiglie. So che anche voi avete avuto l’occasione benedetta di partecipare a simili riunioni e che esse continuano ad alimentare il vostro impegno personale a fare tutto il possibile per combattere questo male ed eliminare questa rovina tra noi.

Pertanto oggi ribadisco ancora una volta che la Chiesa, a tutti i livelli, risponderà con l’applicazione delle misure più severe per tutti coloro che hanno tradito la propria chiamata e hanno abusato dei figli di Dio. Le misure disciplinari che le Chiese particolari hanno adottato si devono applicare a tutti coloro che lavorano nelle istituzioni della Chiesa. Tuttavia, la responsabilità primordiale è dei Vescovi, dei sacerdoti e dei religiosi, di quanti hanno ricevuto dal Signore la vocazione di offrire la loro vita al servizio, includendo la vigile protezione di tutti i bambini, giovani e adulti vulnerabili. Per questo motivo, la Chiesa irrevocabilmente e a tutti i livelli intende applicare contro l’abuso sessuale di minori il principio di “tolleranza zero”.

Il motu proprio Come una madre amorevole, promulgato in base a una proposta della vostra commissione e in riferimento al principio di responsabilità della Chiesa, affronta i casi dei Vescovi diocesani, Eparchi e Superiori Maggiori degli istituti religiosi che, per negligenza, hanno compiuto od omesso atti che abbiano procurato un danno grave ad altri, sia che si tratti di persone fisiche, sia che si tratti di una comunità nel suo insieme (cfr. art. 1).

Negli ultimi tre anni, la Commissione ha sottolineato di continuo i principi più importanti che guidano gli sforzi della Chiesa per proteggere tutti i minori e gli adulti vulnerabili. In tal modo ha compiuto la missione che le ho affidato di “funzione consultiva, al servizio del Santo Padre”, offrendo la sua esperienza “al fine di promuovere la responsabilità delle Chiese particolari nella protezione di tutti i minori e degli adulti vulnerabili” (Statuto, art. 1).

Mi ha riempito di gioia sapere che molte Chiese particolari hanno adottato la vostra raccomandazione per una Giornata di Preghiera e per un dialogo con le vittime e i sopravvissuti di abusi, come pure con i rappresentanti delle organizzazioni delle vittime. Ci hanno raccontato come queste riunioni siano state un’esperienza profonda di grazia nel mondo intero e sinceramente spero che tutte le Chiese particolari ne beneficino.

È inoltre incoraggiante sapere quante Conferenze Episcopali e Conferenze di Superiori Maggiori hanno cercato il vostro consiglio riguardo alle Direttrici per la protezione di minori e adulti vulnerabili. La vostra collaborazione per condividere le pratiche migliori è veramente preziosa, soprattutto per quelle Chiese che hanno meno risorse per questo cruciale lavoro di protezione. Vorrei incoraggiarvi a proseguire la vostra collaborazione in questo lavoro con la Congregazione per la Dottrina della Fede e la Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli, affinché tali pratiche siano inculturate nelle diverse Chiese di tutto il mondo.

Infine, vorrei lodare con particolare enfasi le numerose opportunità di apprendimento, educazione e formazione che avete offerto in tante Chiese particolari di tutto il mondo e anche qui a Roma, nei diversi Dicasteri della Santa Sede, nel corso per i nuovi Vescovi e in vari congressi internazionali. Mi fa piacere sapere che la presentazione che il Cardinale O’Malley e la signora Marie Collins, uno dei vostri membri fondatori, hanno realizzato la scorsa settimana per i nuovi Vescovi, sia stata accolta tanto favorevolmente. Questi programmi educativi offrono il tipo di risorse che permetteranno alle Diocesi, agli Istituti religiosi e a tutte le istituzioni cattoliche, di adottare e impiegare i materiali più efficaci per questo lavoro.

La Chiesa è chiamata a essere un luogo di pietà e compassione, specialmente per quanti hanno sofferto. Per tutti noi, la Chiesa cattolica continua a essere un ospedale da campo che ci accompagna nel nostro percorso spirituale. È il luogo dove possiamo sederci con altri, ascoltarli e condividere con loro le nostre lotte e la nostra fede nella buona novella di Gesù Cristo. Confido pienamente che la Commissione continuerà a essere un luogo in cui poter ascoltare con interesse le voci delle vittime e dei sopravvissuti. Perché abbiamo molto da imparare da loro e dalle loro storie personali di coraggio e perseveranza.

Permettetemi di ringraziarvi ancora una volta per i vostri sforzi e consigli in questi tre anni. Vi affido alla Santissima Vergine Maria, la Madre che rimane accanto a noi nel corso della nostra vita. Imparto la Benedizione Apostolica a tutti voi e ai vostri cari, e vi chiedo di continuare a pregare per me.


Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
Amministra Discussione: | Chiudi | Sposta | Cancella | Modifica | Notifica email Pagina precedente | 1 | Pagina successiva
Nuova Discussione
Rispondi

Feed | Forum | Bacheca | Album | Utenti | Cerca | Login | Registrati | Amministra
Crea forum gratis, gestisci la tua comunità! Iscriviti a FreeForumZone
FreeForumZone [v.6.1] - Leggendo la pagina si accettano regolamento e privacy
Tutti gli orari sono GMT+01:00. Adesso sono le 09:26. Versione: Stampabile | Mobile
Copyright © 2000-2024 FFZ srl - www.freeforumzone.com