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ATTENZIONE: testo integrale della Commissione Teologica intern. DioTrinità e gli uomini

Ultimo Aggiornamento: 21/01/2014 17:47
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21/01/2014 17:41
 
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Capitolo I
Sospetti sul monoteismo

1. L’esperienza religiosa del divino

1. Insieme con una moltitudine immensa di uomini e donne, che abitano ed hanno abitato questo pianeta, noi riconosciamo in “Dio” il “principio e fine” dell’esistenza di ogni persona e dell’intera comunità umana[1]. Illuminata dalle Sacre Scritture, la Chiesa afferma che l’essere umano, nella mediazione razionale dell’esperienza, è naturalmente capace a riconoscere Dio come creatore del mondo e interlocutore dell’uomo[2]. In questo senso possiamo intendere anche ciò che significa la descrizione dell’essere umano come homo religiosus.

2. L’apertura al divino è iscritta così profondamente nell’uomo, da poter essere già in se stessa avvertita – per quanto ancora indistintamente – come una forma di esperienza religiosa. La portata universale di questa esperienza (attestata nel pensiero di molti grandi pensatori dell’Occidente e dell’Oriente, come ad esempio Platone o Confucio) è da sempre un tema di riflessione e di ricerca nelle culture dell’umano. Come persone che si sforzano di vivere sinceramente lo spirito e la pratica dell’autentica religione, noi ci sentiamo perciò profondamente uniti a tutti coloro che custodiscono e approfondiscono, nella mente e nel cuore, questo senso profondo del divino. Siamo convinti che, nel fatto stesso della religione, nella quale tutti i popoli della terra sono originariamente radicati e plasmati, sia riconoscibile la testimonianza di una vita divina che precede ogni cosa e dalla quale ogni cosa ultimamente dipende: materiale o spirituale, nota o sconosciuta.

2. Monoteismo e violenza: un legame necessario?

3. Il nucleo della fede religiosa, attraverso i miti e i riti, le credenze e le devozioni, attesta l’esperienza misteriosa di Dio e interpella nel profondo tutti gli esseri umani. Dio è principio e fine di ogni cosa. E nulla è come Dio. In questa forma il “monoteismo” è stato per lungo tempo anche riconosciuto, dal punto di vista della storia della civiltà, come la forma culturalmente più evoluta della religione: ossia, il modo di pensare il divino più coerente con i principi della ragione. L’unicità di Dio, accessibile alla filosofia, è stata individuata come principio della ragione naturale, che precede le tradizioni storiche delle religioni. Il pensiero puramente razionale dell’unicità di Dio, come punto di convergenza della ragione e delle religioni, era addirittura servito a regolare culturalmente e civilmente i conflitti confessionali e inter-religiosi della modernità. E’ vero tuttavia che, nel corso della storia, e della stessa modernità occidentale, quella configurazione della religione, che le filosofie e le scienze della cultura avevano poi convenuto di chiamare “monoteismo ebraico-cristiano” è stata utilizzata ideologicamente, nella prospettiva di un diretto parallelismo teologico-politico, per giustificare la forma monarchica del potere sovrano.

4. Non c’è dubbio, in ogni modo, che quel pensiero filosofico di Dio, nel tempo, ha sviluppato un’immagine – filosofica e politica – del monoteismo largamente autonoma nei confronti dell’autentica rivelazione cristiana, che tende verso il deismo. In parte attenuando, fra gli stessi credenti, l’originalità della rivelazione cristiana; in parte, sviluppando un’idea dell’assoluto divino in tensione, se non in aperto conflitto, con l’interpretazione coerente della fede. La cultura occidentale contemporanea, in reazione a un certo predominio dell’unità dell’essere e del vero, che ha caratterizzato la maggior parte delle concezioni filosofiche e politiche della stessa modernità, tende ora a privilegiare la pluralità del bene e del giusto: generando una significativa tensione tra il riconoscimento del pluralismo e la teorizzazione di un principio relativistico. Senz’altro la coscienza e il rispetto delle differenze rappresenta un vantaggio per l’apprezzamento delle singolarità e per l’apertura ad uno stile ospitale della convivenza umana. Al tempo stesso, l’evoluzione di quest’apertura lascia emergere anche la sua contraddizione, ossia, l’incomunicabilità dei mondi umani: che sono così indotti alla sfiducia – se non all’indifferenza – verso l’impegno a cercare ciò che è comune alla dignità dell’uomo. La rassegnazione al relativismo radicale come orizzonte ultimo e insuperabile della ricerca del vero, del giusto, del bene, non costituisce affatto una migliore assicurazione per la pacificazione e la cooperazione dell’umana convivenza. Esso si trasforma infatti, inevitabilmente, in un motivo di giustificazione per l’indifferenza e la diffidenza reciproca, su qualsiasi tema della vita e su qualsiasi responsabilità della politica. Quando la ricerca della vera giustizia, e l’impegno per il bene comune cadono sotto il sospetto del conformismo e della costrizione, l’autentica passione per l’uguaglianza, la libertà, e i buoni legami, finisce per essere radicalmente scoraggiata. Non solo. Una tale perdita di fiducia e di motivazioni, indotta da un sentire relativistico totale, abbandona i rapporti umani ad una gestione anonima e burocratica della convivenza civile. Non per caso, una parte cospicua della critica sociale segnala oggi, insieme con la crescita di una immagine pluralistica della società, l’affermarsi di un disegno totalitario del pensiero unico.

5. Nella scia di questo paradosso, l’ideale – l’idea stessa – della verità è oggetto di una radicale denuncia. L’idea che la ricerca della verità, oltre che necessaria per il bene comune, possa essere pensata come impresa comune, condivisa pacificamente e testimoniata rispettosamente, è giudicata illusoria e non realistica. La verità, in questa prospettiva, non viene pensata come principio di dignità e di unione fra gli uomini, che li sottrae all’arbitrio e alla prevaricazione delle loro chiusure egoistiche, indifferenti alla giustizia dell’umano che è di tutti. Al contrario, essa viene talora esplicitamente indicata come una minaccia radicale per l’autonomia del soggetto e per l’apertura della libertà. Soprattutto perché la pretesa di una verità obiettiva e universale, di riferimento per tutti, supposto che sia accessibile allo spirito umano, viene immediatamente associata ad una pretesa di possesso esclusivo da parte di un soggetto o gruppo umano. Essa porterebbe così alla giustificazione del dominio dell’uomo che ne rivendica il possesso sull’uomo che, secondo questa pretesa, ne è privo. In conseguenza di questa rappresentazione della verità, che la ritiene inseparabile dalla volontà di potenza, anche l’impegno per la sua ricerca, e la passione della sua testimonianza, sono viste a priori come matrici di conflitto e di violenza fra gli uomini. In tale cornice, la preoccupante ripresa di quelli che chiamiamo comunemente – e anche molto genericamente – “fondamentalismi religiosi”, è assunta come prova evidente e definitiva di questo rapporto.

6. Il rovesciamento del quadro moderno è inaspettato: ora il monoteismo è arcaico e dispotico, il politeismo è creativo e tollerante. In ogni caso, la sommaria classificazione dell’ebraismo, del cristianesimo e dell’islam, come le tre grandi “religioni monoteistiche”, presume di indicare in tal modo la ragione del pericolo che esse rappresentano per la stabilità e il progresso umanistico della “società civile”. Non possiamo però passare sotto silenzio il fatto che, in qualche parte intellettualmente rilevante della nostra cultura occidentale, l’aggressività con la quale viene riproposto questo “teorema”, si concentra essenzialmente nella denuncia radicale del cristianesimo. Ossia, proprio della religione che appare certamente protagonista, in questa fase storica, dell’istanza di un dialogo di pace, e per la pace, con le grandi tradizioni della religione e con le culture laiche dell’umanesimo. Il fatto di essere così disinvoltamente associati ad una rappresentazione della fede nell’Unico Dio come “seme della violenza” ferisce sicuramente milioni di autentici credenti. Non solo cristiani. Nei discepoli del Signore induce certamente elementi di sconcerto e d’imbarazzo, a motivo del fatto che la coscienza cristiana odierna appare loro molto lontana dalla predicazione della violenza. Possiamo comprendere perciò lo stupore dei cristiani nel vedersi attribuire una vocazione religiosa alla violenza contro i fedeli di altre religioni o anche i propagandisti della critica alla religione: soprattutto se consideriamo che, in molte parti del mondo i cristiani sono colpiti dall’intimidazione e dalla violenza, semplicemente per la loro appartenenza alla comunità cristiana. Nelle stesse società democratiche e laiche, il legame con l’appartenenza cristiana è spesso additato come una minaccia per la pace sociale e per il libero confronto culturale, anche quando le argomentazioni presentate, a sostegno di opinioni che riguardano la sfera pubblica, fanno appello alle risorse della razionalità comune.

7. Non si può certo negare il riaccendersi, su scala mondiale, del preoccupante fenomeno della “violenza religiosa” non privo di significative connessioni con politiche di prevaricazione etnica e di strategia terroristica. Né possiamo ignorare, considerando la storia stessa del cristianesimo, lo smarrimento dei nostri colpevoli e ripetuti passaggi attraverso la violenza religiosa. Come s’introduce, nella fede in Dio, il seme della violenza? E come si perverte la benedizione del riconoscimento del Dio unico, nella maledizione che conduce sulla via della violenza “in nome di Dio”? La nostra riflessione intende essenzialmente offrire elementi di comprensione della qualità cristiana del monoteismo, in vista di una’esplicita puntualizzazione del suo intrinseco rapporto conil mistero dell’intimità trinitaria di Dio, rivelato nell’incarnazione del Figlio di Dio fatto uomo. La conversione del nostro spirito e della nostra mente alla migliore trasparenza della fede, deve suscitare il generoso slancio della testimonianza della singolarità di questa fede: che la congiuntura storica richiede con speciale urgenza. Nello stesso tempo, con le nostre riflessioni, ci proponiamo di esplicitare per tutti “la ragione della speranza che è in noi” (1 Pe 3, 15), mediante il più chiaro discernimento del sostegno che la fede ecclesiale rende disponibile per la riconversione della ragione occidentale allo spirito di un umanesimo migliore.

3. Politeismo tollerante? Una metafora discutibile 

8. L’idea di una intrinseca consequenzialità fra monoteismo e violenza, che un certo numero di intellettuali considera un’ovvietà culturale, contribuisce ad approfondire il solco della diffidenza sociale contro le culture religiose. Questo fatto toglie dignità di rappresentanza al pensiero autentico della religione e dei credenti. L’applicazione metaforica del politeismo religioso alla democrazia civile, come antidoto alla violenza, in verità, sembra talora stravagante dal punto di vista storico, sociologico, e anche teorico. Quando parliamo della corruzione della religione che la rende un seme della violenza, parliamo certamente di un fenomeno grave e assai serio. Questo fenomeno, però, non è affatto estraneo al politeismo delle antiche lotte fra gli dèi. Pensiamo anche, per rimanere nell’ambito della storia biblica, alla violenta persecuzione dell’imperialismo ellenico nei confronti della religione ebraica (cf. 1 Mac 1-14; 2 Mac 3-10). La religione politeistica dell’impero romano, a sua volta, con tutta la straordinaria modernità del suo concetto di cittadinanza, e della sua struttura multi-etnica e multi-religiosa, perseguitò con specifico accanimento il cristianesimo, colpevole di rifiutare l’incensazione dell’imperatore come figura divina. La risposta si espresse nella testimonianza non violenta e nell’accettazione del martirio cristiano.  

9. Lo stesso mondo occidentale, così orgoglioso della sua civiltà secolarizzata, è oggi costretto a misurarsi con un crescente e sconcertante dispiegamento di stili di vita e di comportamento ispirati alla violenza: spontanea, immediata, distruttiva. Sempre più inconsapevole di se stessa, e persino eticamente giustificata. In tale quadro, desta certamente sorpresa che le “religioni monoteiste” siano indicate come una delle principali matrici di un assolutismo violento e destabilizzante per l’armonia civile. Questo schematismo sembra fin troppo evidentemente connesso con il pregiudizio – tipico del modello razionalistico – secondo il quale, anche sul piano esistenziale e sociale, c’è un solo modo per affermare la verità: negare la libertà o eliminare l’antagonista.

10. La pratica attuale di questa critica è in ogni modo significativamente differenziata. Di fatto, va oltre l’astratta deduzione della “violenza monoteistica”, discutendo di volta in volta aspetti diversi del rapporto fra convinzione religiosa e ragione politica. Il Giudaismo, in quanto religione, è generalmente sottratto ad una accusa diretta, sia per il fatto, del tutto comprensibile, che l’ebraismo suscita fin troppo chiaramente la vergognosa memoria dell’innominabile violenza subita; sia per il fatto che non esiste la percezione di un impegno rivolto alla missione e alla conversione (proselitismo). Quanto all’Islam, il riflesso dello storico conflitto fra dominio cristiano e dominio islamico viene prevalentemente interpretato in chiave geo-politica, più che teologica. Di fatto, la questione cruciale del rapporto fra osservanza religiosa e legislazione civile è un tema di discussione e di ricerca sul quale tutte le culture religiose sono ancora molto divise e oscillanti al loro interno. Gli eccessi del “fondamentalismo” religioso appaiono, in Occidente come in Oriente, radicalmente problematici anche dal punto di vista della loro genuina ispirazione religiosa. Si tratta dunque di un tema di discussione comune alle religioni. La sua correlazione con la credenza monoteistica appare perciò una semplificazione eccessiva e pretestuosa, che oscura la più fondamentale questione del rapporto fra trascendenza religiosa e secolarizzazione civile[3]. Di fatto, questa semplificazione suscita eccessi di risentimento “fondamentalistico” dalla parte della critica razionale e politica nei confronti della religione, che non contribuiscono alla cultura della democrazia e del dialogo.   

11. Nell’ambito della cultura teorica e critica del razionalismo occidentale, è il cristianesimo ad essere preferibilmente analizzato come caso esemplare dell’inclinazione dispotica del monoteismo religioso. In tale prospettiva, le qualità del cristianesimo che hanno ispirato anche la migliore cultura umanistica occidentale sono oscurate dalla generale interpretazione della fede come rinuncia alla libertà di pensiero e fanatismo dell’identità.

12. La puntigliosa identificazione del cristianesimo cattolico come l’ostacolo da abbattere, nella lotta contro il monoteismo che diffonde la violenza religiosa nel mondo, nonostante tutto, non cessa di stupire. Il cristianesimo è di gran lunga la religione che dovrebbe essere meglio conosciuta, nella cultura occidentale moderna. La cultura occidentale, pertanto, sembrerebbe essere l’ultima a dover essere sospettata di ignoranza nei confronti dei fattori fondamentali del cristianesimo. L’originale e inedita congiunzione dell’amore di Dio e dell’amore del prossimo, ancorata metafisicamente, appunto, e non retoricamente, nel dogma dell’incarnazione del Figlio di Dio per il riscatto e la riconciliazione degli uomini, è sempre stata – e rimane – una pietra angolare della teologia cristiana. Difficile ignorare questa differenza in buona fede. Essa è rimasta la cifra identificativa del cristianesimo in ogni epoca: un dato che, se rende ancora più scandalose le pratiche difformi, deve anche far riflettere sulla sua miracolosa continuità. Il cristianesimo fa sistema con quel fondamento: se si volesse eliminarlo, o anche soltanto ridimensionarlo, si dovrebbe cambiare il suo intero racconto fondatore. E tutto il suo impianto dogmatico.

13. Di questa singolarità religiosa, e della sua rocciosa stabilità nel tempo, la stessa modernità occidentale si è largamente nutrita e avvantaggiata, quando ha percorso le vie – religiosamente e filosoficamente inedite – della dignità personale di ogni singolo e dell’uguaglianza fra gli esseri umani. Non sembra casuale, in effetti, che l’animosità della presa di distanza – e della polemica – nei confronti del cristianesimo, che oggi impiega strumentalmente la chiave della sua riduzione (filosofica e politica) allo stereotipo del monoteismo violento, si accompagni ad un contestuale indebolimento, nel costume occidentale stesso, del rispetto per la vita, dell’intimità della coscienza, della tutela dell’uguaglianza, della razionale passione per un impegno etico condiviso e per il rispetto dell’autentica coscienza religiosa. L’indebolimento dell’occidente, sotto il profilo dei legami sociali – lamentato come degrado dei valori condivisi o salutato come prezzo della libertà individuale – è del resto l’oggetto di una diagnosi critica largamente convergente. La crescita della conflittualità all’interno del costume civile diffuso non può essere senza rapporto con questo indebolimento di unethos civile che traeva alimento dalla saldezza della fede cristiana nell’ideale della prossimità.

14. Di fatto, la denuncia elevata contro il monoteismo appare certamente più trasparente, nelle sue vere motivazioni, quando essa si sviluppa sulle premesse di un ateismo chiaramente professato, in difesa di una concezione immanentistica e naturalistica dell’umano. L’ateismo civile, d’altro canto – i più avvertiti lo percepiscono chiaramente – deve a sua volta provvedersi delle necessarie cautele filosofiche e anche politiche. L’esperienza degli “ateismi di Stato” rimane ben viva nella coscienza occidentale. In effetti, anche se ci si convince che non esiste un Dio davanti al quale tutti gli uomini sono uguali, nondimeno l’orizzonte del pensiero di Dio è così fondamentale per la coscienza umana, che esso, “svuotato” del suo legittimo occupante, rimane a disposizione del delirio di onnipotenza dell’uomo. Qualcuno, o addirittura qualcosa (la razza, la nazione, la fazione, il partito, la tradizione, il progresso, il denaro, il corpo, il godimento) finisce per prendere il posto lasciato vuoto da Dio. La rivelazione biblica lo annuncia e la storia lo dimostra: l’uomo ostile al Dio buono e creatore, nell’ossessione di “diventare come Lui”, diventa un “Dio perverso” e prevaricatore nei confronti dei suoi simili. Dal politeismo di queste controfigure narcisistiche del “Dio perverso”, che viene dal peccato fin dall’origine, non può venire nulla di buono per la pacifica convivenza fra gli uomini.  

4. La responsabilità assegnata alla nostra fede

15. In questa nostra esposizione rimarremo fedeli ai limiti dichiarati della nostra impostazione, che mira all’illustrazione del senso autentico della confessione cristiana dell’unico Dio. Noi teologi cristiani, d’altro canto, siamo consapevoli del fatto di aver dovuto compiere, con tutti i credenti, un lungo cammino storico di ascolto della Parola e dello Spirito per purificare la fede cristiana da ogni ambigua contaminazione con le potenze del conflitto e dell’assoggettamento. E siamo ben coscienti di doverci costantemente richiamare alla più scrupolosa vigilanza nei confronti del pericolo sempre ricorrente che il degrado della passione della fede nello spirito di dominio rappresenta, per l’autentica testimonianza evangelica[4]. La conversione non è soltanto una decisione iniziale, è uno stile di vita. Possiamo però attestare, con tutta la fermezza e l’umiltà necessaria, che il radicale ammonimento nei confronti di un uso dispotico e violento della religione appartiene in un modo unico al nucleo originario della rivelazione di Gesù Cristo: e ne rappresenta uno degli aspetti più inauditi ed emozionanti, nella storia dell’attesa della manifestazione personale di Dio, e dell’esperienza religiosa dell’umanità. La confessione del fatto che l’unico Dio, Padre di tutti gli uomini, si lascia storicamente e definitivamente riconoscere proprio nell’unità del supremo comandamento dell’amore, sul quale gli stessi discepoli del Signore accettano di essere giudicati, illumina l’autentica fede nell’Unico Dio che noi intendiamo professare. Essa predica e pratica con tutte le sue forze l’unità di origine, di cammino, e di destinazione del genere umano, in vista del riscatto e del compimento offerti da Dio. Ogni visione del mondo che esclude questa suprema unità del comandamento – si presenti come religione, o come irreligione – è invenzione degli uomini. E non salva niente. E’ compito ed onere del cristianesimo, certamente, rendere rigorosa e credibile la sua testimonianza di questa verità salvifica dell’Unico Dio. E’ di questo nucleo della rivelazione del Figlio, oggi più che mai essenziale, che desideriamo confermare la fede. Ed è alla speranza che ne viene per la riconciliazione degli uomini, a dispetto dell’interessata ostilità delle potenze mondane, che desideriamo restituire pensiero e fiducia.

16. L’opposizione della rivelazione di Gesù al profilo di una religione che induce separazione e avvilimento fra gli esseri umani è un tratto profondo dell’originalità della fede cristiana, che vogliamo qui esplicitare. Esso rappresenta un tema di annuncio decisivo, per la speranza in Dio dell’intera umanità. Ed è un principio di incalcolabile portata per il riscatto di una religione che voglia essere “pura e senza macchia” (Gc 1, 27). La Legge, anche la più santa, e la Profezia, anche la più alta, non bastano a contrastare il degrado di una religione che si allontana dall’adorazione di Dio “in Spirito e verità” (Gv 4, 24). La purezza della religione, e della sua giustizia, viene dalla fede in Gesù Cristo. “Il sabato è per l’uomo”, non per se stesso (Mc 2, 27). E la profezia più esaltante “non vale nulla, senza agape” (1 Cor 13, 2).

17. L’unità indissolubile del comandamento evangelico dell’amore di Dio e del prossimo stabilisce il grado di autenticità della religione. In ogni religione. E anche in ogni presunto umanesimo, religioso o non religioso. I Vangeli presentano Gesù Cristo nell’unicità della Sua personale relazione con il Padre. In Lui riconosciamo Dio che si rende visibile, proprio nel momento in cui vediamo la perfezione dell’uomo che corrisponde intimamente alla relazione con Dio. Nella sua passione e risurrezione Gesù porta la redenzione del peccato, restituendo all’uomo, in modo non revocabile e non superabile – l’accesso dell’amore di Dio. L’autentico annuncio di Cristo, a partire dal racconto evangelico della sua manifestazione, è una chiave fondamentale per la discussione odierna sul monoteismo e sui suoi fraintendimenti.

18. Nella tradizione della Chiesa il principio di questa verità cristologica di Dio non si è mai perso, a costo di mettere il cristianesimo in contraddizione fra la sua prassi storica e la sua autentica ispirazione, per provocarne – non senza il doloroso passaggio attraverso lo scandalo di pratiche difformi – la rinnovata conversione alla purezza del suo fondamento. Riteniamo anche, onestamente, che il riconoscimento di questa contraddizione abbia compiuto, nell’epoca attuale della Chiesa, un salto irreversibile di qualità, nella dottrina e nella prassi: diventando inseparabile dal futuro del cristianesimo, come anche dall’ideale di una religione autentica. Per tale motivo pensiamo, come teologi cristiani e cattolici, che questo approfondimento rappresenti una reale opportunità di ripensamento dell’idea di religione. Lo è per le culture secolari dell’Occidente, tentate dal ripudio del cristianesimo, e della religione, a costo della rassegnazione al nichilismo. Lo sarà anche per le religioni nel mondo, di nuovo tentate dalla chiusura su se stesse, e persino attraversate da orribili presagi di guerra.



Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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