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Ricordando e pregando con Benedetto XVI Dottore della Chiesa

Ultimo Aggiornamento: 20/06/2016 21:58
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11/02/2014 15:07
 
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8. L’esercizio della primazia del Pontefice Principe

Pope Benedict XVICosa, dunque, spinge una persona ad arrivare ad auspicare una così massiccia invasione nella coscienza altrui? In realtà, la risposta si è già ampiamente offerta nelle righe precedenti, ma vale la pena, ora, riproporla ancora una volta, magari corredandola di qualche esempio di fantasia.

Innanzitutto, ognuno di noi è conscio del fatto che è più facile imporre una propria opinione che praticare l’arte del discernimento. Si badi bene, però, che quest’arte è cosa ben diversa dal tentativo di aiutare l’altro a capire ciò che si vuole dire. Per meglio comprendere queste distinzioni, è utile sviscerare un pratico esempio.

Un Consiglio Pastorale Parrocchiale, dunque, è spesso il luogo in cui il Parroco tenta di “indottrinare” i propri parrocchiani, facendo approvare da loro le decisioni che da solo egli ha già preso in precedenza. Qualcuno potrà dire: “Che bravo, il nostro Parroco, condivide ogni cosa con il Consiglio”. Peccato che in realtà lui non condivida, ma semplicemente “usi” di tale Istituto, anche se “in nome della Chiesa”. Qualcuno potrebbe apprezzare questo modo di fare, soprattutto qualora i Signori Membri del suddetto Consiglio non fossero poi così “cattolici” come a volte può accadere. Ma, una pesante obiezione, a questo punto, sarebbe l’affermazione che il Consiglio Pastorale Parrocchiale non è anzitutto un luogo di evangelizzazione, ma di discussione e di, appunto, consiglio: le decisioni vanno prese dopo aver ascoltato il Consiglio, non prima! L’evangelizzazione, invece, andrebbe fatta prima ancora di costituire un tale Consiglio, dal momento che non si possono utilizzare le strutture che hanno uno statuto specifico per finalità eterogenee. Non è corretto eticamente. È unmaquillage che paga nell’immediato, ma sforma le coscienze.

Questo esempio, però, aiuta a riflettere e capire anche un ulteriore dato e cioè che la “diffusione di corresponsabilità”, magari attraverso l’istituzione di nuovi organi collegiali come il Consiglio Pastorale, non è sempre sinonimo di “discernimento” e “comunione”: più si ha il potere e più si può determinare l’andamento degli stessi, soprattutto quando i membri del Consiglio fossero persone di “fiducia” di colui in capo al quale tale potere dipende. Così, è più facile far passare la propria opinione e farla accettare da tutti attraverso l’utilizzo di un Consiglio, piuttosto che imporre la stessa direttamente: è, per evitare altri esempi certamente inappropriati, quello che si potrebbe definire come l’effetto di “indorare la pillola”.

Dunque, se una persona fosse così ubriaca – nel senso greco della ubris – da ritenere d’avere la scienza infusa e, dunque, di essere depositaria di ogni idea perfetta – magari ritenendosi la longa manus di Dio – sarebbe più semplice e di immediata fattibilità per lei imporre la propria opinione lasciando che siano gli altri a proporla. Ma ritengo che il pensare al modo in cui alcuni Eccellentissimi Vescovi esercitano la propria potestà permetta a coloro che hanno fin qui avuto la bontà di leggere queste righe di capire bene a cosa mi stia riferendo.

Ancora, si può entrare nella coscienza delle persone con il terrorizzarle attraverso cambi rapidi di umore, instabilità personale, ira e dolcezza, sguardo ottenebrato seguito da smagliante sorriso a bocca spalancata. È più facile governare con il terrore e l’intimidazione piuttosto che faticare per dar vita ad un gruppo di amici e di collaboratori. Sono più efficaci gli esecutori di ordini, i quali temono di essere cacciati, piuttosto che gli amici, poiché –mysterium iniquitatis – c’è il rischio si prendano qualche libertà di troppo. È più comodo intimare un comando, piuttosto che persuadere coloro che sono alle proprie dipendenze con l’esempio e la parola: si tratta, in definitiva, di una scommessa sulla libertà e, dunque, sulla coscienza dell’altro; il che è cosa che un Dux, un Führer, un Caudillo non vorrebbero certo mai affrontare per paura di perdere, ma soprattutto perché ciò implica una fatica e uno sforzo che spesso non vedono alcun frutto in tempi brevi: “Una cosa è chi semina, una cosa è chi raccoglie”.

Magari, per raggiungere i propri scopi, un Papa Principe – o coloro che volessero un tale personaggio sul soglio di Pietro – potrebbe costituire organismi d’inchiesta affidati a semplici sacerdoti di fiducia perché fungano da controllori di Signori Cardinali e Arcivescovi, creando così un clima incline alla delazione in vista di una gratifica pontificia. Lo zelo di tali sottoposti sarebbe tale da vedere il marcio anche nella trasparenza dell’Ostia durante la celebrazione della Santa Eucarestia (soprattutto se celebrata secondo alcune forme di certi riti), pur di poter scodinzolare intorno a Sua Santità con in bocca non già il quotidiano del giorno, quanto piuttosto denunce anonime o foto particolarmente compromettenti.

Oppure si potrebbe operare, secondo l’antica saggezza sovietica, con la totale estromissione da certi posti di persone appena nominate, dimostrando con un atto di forza chi ha in mano il timone della barca; o mandare in prepensionamento uomini – non si parla solo di nomi senza volto da Bollettino quotidiano, ma di persone in carne ed ossa – che hanno sensibilità diverse, facendo piazza pulita di tutte le voci dissonanti rispetto al tonorectus, tanto amato dal Principe. Egli, infatti, deterrebbe financo il potere di vita o di morte, creando Vescovi e poi facendoli dimettere prima della loro consacrazione.

Certo, l’entourage di un Pontefice Principe Assoluto dovrebbe poi cercare di avere dalla propria parte la stampa, magari chiedendo alla stessa di compiere cernite approfondite nei confronti dei colleghi non allineati attraverso una sorta di metal detector e soprattutto tornelli molto stretti e – perché no? – anche dando qualche consiglio non richiesto al fine di ben conformarsi al nuovo ordine degli eventi, perché “del Papa non si può parlar male”.

Ma si tratta solo di esempi inventati, il cui riferimento a fatti e persone, qualora ci fosse, sarebbe puramente casuale e non voluto da chi qui si firma.

9. I frutti velenosi dell’esercizio della primazia del Pontefice Principe

Quali sarebbero le conseguenze se un Papa si comportasse in questo modo?

Anzitutto, le coscienze dei semplici comincerebbero a fare fatica nel discernere la Verità, assuefacendosi sempre di più alla menzogna.

Mettiamo il caso che un Papa Principe decidesse che a lui fosse lecito improvvisare qualsivoglia cosa la sua mente partorisse durante la celebrazione di una liturgia. Mi si dirà che, in quanto Legislatore – e Liturgo – Supremo, egli avrebbe la possibilità di dispensare se stesso dalle norme approvate. Il fatto è che l’istituto della “Dispensa” è cosa più seria, tanto da non essere prevista in alcun ordinamento una sorta di c.d. “auto-dispensa” (se non in limiti ben precisi). È altresì vero che il Papa, di per sé, non avrebbe bisogno di dispense perché egli potrebbe abolire una norma precedente e crearne una nuova, magari anche ad personam, quando volesse. Ma, a questo punto, bisognerebbe riflettere sul fatto che la norma è tale in quanto possiede una sua stabilità – non si possono continuamente creare e abolire norme – e, soprattutto, perché è in qualche forma emanata. Dunque, se un Pontefice volesse creare una nuova legge, potrebbe farlo anche seduta stante. Ma che lo facesse!

Se, per ipotesi assurda, un giorno durante la celebrazione dell’Eucaristia, un Papa ritenesse che gli abiti sacerdotali suoi propri non fossero più quelli stabiliti dalla Riforma conciliare, bensì altri, nessuno potrebbe obiettare, ma che almeno lo stabilisse come norma specifica. Perché il rischio, come cercavo di dimostrare, è che poi i Parroci in primis si sentirebbero troppo stretti nelle briglie delle leggi liturgiche, dal momento che chi ha laplenitudo potestatis sarebbe il primo a non rispettarle.

Questa sarebbe davvero un’eventualità funesta! Con tale esempio è più facile capire ora cosa significhi rovinare le coscienze, magari dando il colpo di grazia ad alcune già ridotte male.

Non si tratta di questioni di lana caprina, del resto, e non sarebbe lecito appellarsi all’antica diatriba legata al difficile rapporto tra ciò che è pastorale e ciò che è normativo per giustificare ogni cosa: “Che cosa è più importante, la norma o non piuttosto il bene dei fedeli?”. Non si potrebbe invocare la pastoralità, la missionarietà o una presunta nuova ecclesiologia a discapito degli elementi formali che costitutivamente fanno parte della Chiesa di Cristo secondo la reale ecclesiologia del Concilio Vaticano II. Lo ha ricordato proprio alcuni giorni or sono il Papa nell’Udienza concessa al Tribunale della Rota Romana: “La dimensione giuridica e la dimensione pastorale del ministero ecclesiale non sono in contrapposizione”.

Ma continuiamo negli esempi e ipotizziamo, ancora per un attimo, che un Romano Pontefice durante i riti introduttivi di una Prima Comunione chiedesse, come “fulmine a ciel sereno”, di interrompere l’azione liturgica ed andare davanti a ciascun bambino per dar loro un ceffone. Tale gesto non avrebbe alcun significato in nessuno dei settori che la mente umana possa immaginare (antropologico?, liturgico?, sociologico?, pastorale?, psicologico?, sacramentale?, educativo?, teologico?, ecc.). Perché, dunque, farlo? Perché aggiungere a proprio uso e piacimento qualcosa a quella che dovrebbe essere partecipazione all’opera che è e rimane “azione di Cristo e della Chiesa”? Perché il principioperinde ac cadaver dovrebbe valere per tutto l’Orbe cattolico, tranne che per il Pontefice, infallibile – tra l’altro e se la memoria non m’inganna – solo nelle cose che egli stabilisce con specifica formula?

Eppure anche la Rivoluzione Francese ha dimostrato che il terrore non porta nulla di buono, se non al taglio delle teste, l’ultima delle quali, normalmente, è proprio quella del Sovrano. Con il terrore e l’elevarsi al di sopra della legge, infatti, si permette la costituzione di una classe dirigente che soffre gravemente e costitutivamente di clericalismo, immune a qualsiasi medicina contro di esso. Per tali persone, il desiderio di potere, infatti, cresce così a dismisura da costituire una vera e propria dipendenza al pari di una qualsiasi altra droga. I preti lo sanno molto bene che è facile dire: “Lo faccio per Dio”; ma in realtà sarebbe più giusto scrivere: “Lo faccio per l’io”. Inoltre, chi vive e soffre nel terrore tende ad assumere nei confronti dei propri sottoposti quello stesso tipo di atteggiamento. Il terrore genera solo terrore. L’elevarsi al di sopra della legge, invece, genera il caos, che del terrore è il migliore amico.

10. L’“obiezione di coscienza” contro la primazia del Pontefice Principe

papa_benedetto_XVIQualcuno potrebbe ritenere che il metodo Ratzinger abbia fallito, valutandolo come ingenuo ed inefficace. E le sue dimissioni sarebbero per essi la riprova di ciò: amando la libertà dell’altro, amandone la coscienza, essendo naturalmente portato ad avere fiducia dell’umana fragilità, “avendo amato i suoi fino alla fine”, non si sarebbe accorto del tradimento che ai suoi danni si stava tramando ormai da tempo e per il quale egli stesso, in qualche modo, ha offerto ai sicari il pugnale mortifero. In tal senso, si dovrebbe dire che il primato della coscienza sarebbe stato per Benedetto XVI come un “cavallo di Troia”, carico al suo interno di “rapina e omicidi”.

Tale affermazione è, però in realtà, valida solo per coloro che giudicano la storia nell’immediato e si dedicano alla cronaca da rotocalco piuttosto che alla lettura di Erodoto. Anche perché la morte in Croce di nostro Signore ci ha dimostrato che le circostanze in cui viviamo vanno giudicate con gli occhi di Dio e non con le categorie umane. Il popolo di Dio, pertanto, ha imparato ad apprezzare le virtù che ha visto in atto con l’atteggiamento mite e mansueto dell’Agnello e, allo stesso tempo, ha capito che era necessario evitare i vizi di cui erano così intrisi i cuori dei presunti vincitori.

Forse che la musica stia cambiando proprio ora? O forse che, magari, sia proprio finita? Forse che la Chiesa si stia adeguando agli standard della televisione di stato, la quale trasmette sempre meno programmi educativi – troppo noiosi, pare – e più d’intrattenimento?

La Chiesa non ha bisogno d’intrattenimento! La Chiesa deve predicare Cristo Crocefisso e Risorto: senza paura di avere le chiese vuote. Il riempirle con facili astuzie e raggiri della coscienza sarebbe solo un modo per tenere in vita qualcosa che in sé – questo sì, come un vero “cavallo di Troia” – avrebbe già il seme della propria morte.

Non servirebbe a nessuno un Papa saltimbanco, dal momento che la Chiesa ha sempre bisogno di un Papa che “à da fà er Papa”, come ha bisogno di laici, madri e padri, insegnanti e impiegati, preti e suore, giovani e adulti impegnati unicamente nel raggiungimento della santità attraverso il compimento della propria specifica vocazione. Diversamente, Dio ce ne scampi! Abbiamo sempre bisogno di un Papa che sulle spalle si carichi null’altro se non la Croce di Cristo che è venuto non per essere osannato dal mondo, ma per farsi ammazzare, pur di risvegliare negli uomini la coscienza retta, unica possibilità perché Egli sia riconosciuto come il Signore del tempo e della storia.

Io, se mai esistesse un Papa del terrore e dell’astuzia penserei che è eccentrico, un uomo che, già ubriaco, continua a brindare a se stesso e mai alla coscienza. Un uomo che, magari pur mostrandosi come umile, in realtà si comporta come un vero Principe Assoluto. Se mai esistesse, sarei chiamato proprio dalla mia coscienza a dire a lui e al mondo che bisogna fare attenzione, che è necessario educare gli uomini alla libertà, a cominciare dagli infimi e i più piccoli – senza peraltro aver pietà dei collaboratori dalla facile genuflessione, i quali non hanno scuse alla connivenza.

In realtà, proprio l’affermazione del primato della coscienza dovrebbe far comprendere che nella Chiesa tutti siamo chiamati a vivere con radicalità la nostra fede, al di là del fatto che il Papa sia un vero Vicario o, piuttosto, un despota superbo, testimone di se stesso. Il Signore non ci giudicherà sul fatto che il Vescovo di Roma del nostro tempo sia più o meno santo, ma a ciascuno di noi chiederà conto di quanto abbiamo amato Lui e di come Lo abbiamo testimoniato.

Il primato della coscienza implica un lavoro che nessuno può derogare o subappaltare ad altri: ognuno deve faticare nel portare un pezzo della Croce di Cristo, quel pezzo che Egli stesso ci ha affidato. Tale primato si compie ogniqualvolta ci rendiamo conto che non possiamo giudicare la Chiesa con sguardo clericale e che – seppure con compiti diversi assegnati dallo Spirito – ogni persona ha davanti a Dio la stessa dignità: il Papa come l’ultimo dei battezzati! La primazia della coscienza rispetto al Papa è l’antidoto ad ogni forma di  clericalismo, di schiavitù e di menzogna, l’unica possibilità che abbiamo per amare davvero, con cuore sincero e puro, il Papa, la Chiesa e noi stessi.

Perciò, se mai esistesse un Papa anti-cristico, non dovremmo aver paura. Piuttosto, dovremmo sentire ancor di più il peso della responsabilità nell’essere sentinelle della Verità con l’esempio e la parola. Probabilmente inascoltati e, forsanche, derisi ed isolati, ma pur sempre liberi di poter offrire un brindisi “alla coscienza”, sperando davvero che mai si arrivi a perdere totalmente il senno della ragione – negando così anche la dignità della natura umana – per brindare “alla primazia del Pontefice Principe”!

francesco_san_paolo_tondo_mosaico













Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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