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Tempo della Quaresima 2014 e Messaggio del Santo Padre ed altre meditazioni

Ultimo Aggiornamento: 20/04/2014 15:01
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29/03/2014 15:41
 
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  Autentica apologetica del Risorto


Orbene, se anche noi stessi o un angelo dal cielo vi predicasse un vangelo diverso da quello che vi abbiamo predicato, sia anàtema!
(Galati 1,8)

Durante un incontro con i catechisti di Bologna, il cardinale Giacomo Biffi parlò della Resurrezione di Cristo. Al termine, si avvicinò una catechista di lunga data che gli chiese: "Eminenza, se ho capito bene, lei sta dicendo che Gesù è vivo, veramente come lo siamo io e lei... Ma lei è sicuro?". Biffi strabuzzò gli occhi al sentirsi chiedere questo da una catechista e rispose: "Sì, signora, il Risorto è vivo e vegeto, non è un morto dell'al di là". "Davvero? Adesso lo dico a mio marito". "Brava, signora, lo dica a suo marito". Il cardinale li osservò parlare un po', dopo il marito si avvinò a lui e gli chiese: "Eminenza, ma mia moglie ha capito bene quello che lei le ha detto? Il Cristo Risorto è vivo?". Alla conferma di Biffi, l'uomo esclamò: "Cristo Risorto è vivo! Ma questo cambia tutto!". Eh sì... cambia tutto... 

La controversia gnostica del II secolo fa scivolare la Risurrezione di Gesù in secondo piano. La gnosi punta l’attenzione sull’incarnazione di Gesù. In età patristica l’evento della Resurrezione non sembra avere una trattazione autonoma, ma viene fatto giocare in funzione di questo discorso sulla figura di Gesù vero Dio - vero uomo e in funzione del discorso sulla resurrezione di Gesù. Relativamente a questo periodo bisogna ricordare come fosse anche molto sviluppato il filone apologetico, che difendeva la Resurrezione di Gesù.

 

Nel periodo patristico domina la prospettiva storico-salvifica, non siamo ancora nella prospettiva essenzialistica della scolastica. Si insiste sull’argomentazione apologetica effetto-causa: dall’effetto miracoloso si deduce come vera la causa annunciata.

 

Dice San Giovanni Crisostomo: “Come si spiega che tutti i discepoli quando il Cristo era ancora vivo non avevano saputo resistere a pochi Giudei, mentre poi giacendo morto avrebbero ricevuto tanto coraggio da schierarsi vittoriosamente contro il mondo intero? Quale realtà si può presumere se non il miracolo della resurrezione?”. [1]

Esibireste questa argomentazione apologetica in una buona catechesi, oggi?

Questa è una affermazione valida, razionale e logica ma non più sufficiente, non più esclusiva soprattutto dopo l'eresia ariana che si ripresenta oggi sotto nuove vesti.

 In ogni caso, nel corso dei secoli, si va in modo progressivo verso l’oblìo della Resurrezione di Gesù, in favore della considerazione statica della sua natura umana: non è più tanto Gesù nella sua carne che riempie di grazia e di verità quelli che a Lui si affidano, ma è il Dio-uomo che salva l’uomo. Progressivamente la fede cristiana smarrisce l’Oggetto – il Crocifisso Risorto – e assume il termine vero Dio e vero uomo.

E alla fine, nei nostri giorni, si è messo da parte “Dio” e si è elevato l'uomo che era il Cristo, con una devastazione della dottrina stessa dell'Incarnazione, ma anche della Croce.

Allora la domanda è diventata: “è veramente Dio, Gesù?”, piuttosto che: “è veramente Risorto Gesù, in quanto Dio?”.

La fede cristiana si è imbattuta fin dall’inizio col mondo greco, con la sua cultura segnata da una metafisica dualistica, metafisica della verità dalla quale il tema della libertà era stato estraniato (la fede si accetta e basta). La fede cristiana dovendo reagire a questa cultura assume quella strumentazione concettuale che era tipica di quella metafisica.

In sostanza e gradualmente, la proposta dell’Oggetto della fede cristiana, il Risorto, non riesce più a presentare la storia, la carne, la libertà stessa del Soggetto stesso per cui si parla e si discute, ossia, di Gesù – Dio Incarnato – quale “luogo” del manifestarsi della volontà di Dio (occorrerà attendere San Tommaso d'Aquino per riportare forza e credibilità, a livello teologico, della dottrina sul Dio Incarnato).

La storia di Gesù fatica a determinare da qui in avanti il discorso su Dio e la Presenza reale di Dio fra gli uomini:

Gli disse Filippo: «Signore, mostraci il Padre e ci basta». Gli rispose Gesù: «Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo? Chi ha visto me ha visto il Padre. Come puoi dire: Mostraci il Padre? Non credi che io sono nel Padre e il Padre è in me? Le parole che io vi dico, non le dico da me; ma il Padre che è con me compie le sue opere. Credetemi: io sono nel Padre e il Padre è in me; se non altro, credetelo per le opere stesse. […] Se mi chiederete qualche cosa nel mio nome, io la farò. Se mi amate, osserverete i miei comandamenti» (Gv 14,10-15)

Tutta questa era racchiuso - anche se condensato - nel manuale, oggi in disuso, della “Teologia fondamentale apologetica”, nel trattato intitolato “De Christo Dei legato”, che aveva come compito quello di dimostrare la fondatezza della fede cristiana, la quale aveva come questione decisiva la Resurrezione come prova ultima del fatto che Gesù è veramente Dio, Via, Verità e Vita: «Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me. Se conoscete me, conoscerete anche il Padre: fin da ora lo conoscete e lo avete veduto» (Gv 14,6-7)

 

La Chiesa dei primi secoli e fino ai Concili che ne stabilirono i dogmi principali della Fede, premetteva queste discussioni nei suoi manuali:

  • De praedestinatione Christi: scopo e fine della missione del Cristo.
  • De verbo incarnato: sul dogma dell’incarnazione di Gesù vero Dio-vero uomo.
  • De Christo Redemptore: riepilogo del mistero pasquale alla morte di Gesù, nella quale si compie adeguatamente la soddisfazione della giustizia divina.

La Resurrezione viene, in un certo senso però, scorporata dall’unità del mistero salvifico, diventa di competenza dell’indagine apologetica, tesa a comprovare la divinità di Gesù attestata dal dogma. La Resurrezione diventa così il motivo che certifica l’avvenuta locutio Dei (Dio ha parlato!).

Ciò che impegnerà la qualità teologica del procedimento non è lo schema “registrazione della pretesa di Gesù – dimostrazione della pretesa di Gesù”, ma il “tacito presupposto teorico” che comanda l’intero manuale di tutta la teologia: la storia di Gesù è funzionalizzata a comprovare le verità dogmatiche.

I trattati apologetici dei Padri insistevano sulla storicità della Resurrezione e delle apparizioni, spiegati in termini tassativi a causa delle molte eresie – la gnosi ma anche l’arianesimo poi – che tendevano a fare del Cristo o l'inaccessibile, o il tutto uomo in qualche modo alla fine divinizzato, lasciando la questione della Resurrezione relegata ad un evento di cornice.

Infatti, fin dalle prime dispute, la Resurrezione di Gesù viene sezionata in due parti:

  1. verità storica, motivo della fede, dice il fatto della Resurrezione > siamo al razionalismo;
  2. verità rivelata, oggetto della fede, dice il contenuto della Resurrezione > siamo al fideismo.

Questa divisione esplode nella questione lessinghiana [2] del rapporto storia-verità. La storicità dell’evento escatologico non è stato più mantenuta nella sua valenza simbolo-verità ma è diventata relativa alla conferma della fede in alcune  verità dogmatiche; in poche parole e dall'epoca dei cosiddetti “Lumi” la questione apologetica si è ridotta a questo schema-scontro per certi versi anche inquietante:

  1. la Resurrezione di Gesù non è fondamento della fede in quanto argomento storico. Piuttosto, la resurrezione di Gesù, nelle tracce della sua reperibilità storica, vale quale argomento ragionevole di quella fede che essa stessa ha fondato: soggettivismo;
  2. la fede cristiana si dà come accoglienza del “farsi vedere” dell’Assoluto di Gesù che, proprio nel darsi a “vedere” procura le condizioni dell’evidenza complessiva della sua vicenda teocentrica; muovendo alla fede: oggettivismo-conversione.

I nodi fondamentali intorno ai quali le teologie fondamentali si soffermano, e verso i quali i Pontefici sollecitano allo studio approfondito, sono essenzialmente due: 

  1. La Resurrezione di Gesù viene trattata tenendo conto dell’orizzonte ermeneutico: lo sfondo della Resurrezione di Gesù è rappresentato dal rapporto storia-rivelazione-tradizione. Fondamentale è quel collocare la Resurrezione di Gesù dentro la rivelazione di Dio, dentro la viva Tradizione della Chiesa, la quale a sua volta viene riconnessa alla storia del Gesù narrato nei Vangeli, una storia autentica riapprezzata come il luogo della rivelazione.
  2. Si cerca di prendere le distanze dallo schema interpretativo soggettivo della vicenda pasquale: quello schema, tipico delle basi che abbiamo sopra analizzato e che hanno dato origine a molte eresie; della verità intesa in senso soggettivistico, dualistico nel senso di separare la divinità dall'umanità acquisita dal Cristo.

Secondo questo schema, infatti, la Resurrezione di Gesù (nelle varie teologie) veniva storicizzata in modo soggettivistico perdendo l’unità nella quale si connette la Resurrezione di Gesù (risorge proprio perchè è Dio e non perchè uomo) con la testimonianza, la fede dei discepoli che giungono a donare la propria vita per essere, a loro volta, testimoni della Verità che hanno incontrato.

 

Dopo l’irruzione di Martin Heidegger sull'esistenzialismo, sull’umanesimo e varie, vale la pena ricomprendere l’unitarietà dell’evento della Resurrezione di Gesù e della testimonianza dei discepoli in chiave cattolica.

La Resurrezione di Gesù, in quanto evento storico e teologicamente Verità che si rivela, provoca la fede dei discepoli, è pura grazia questo darsi a vedere dell’Eterno che provoca la libertà dei discepoli alla fede, che propizia, schiude gli occhi perché vedano, produce quella fede necessaria all'incontro con il Risorto e non più al semplicemente “il Nazareno”.

Ricordiamo tutti la scena di Tommaso:

Poi disse a Tommaso: «Metti qua il tuo dito e guarda le mie mani; stendi la tua mano, e mettila nel mio costato; e non essere più incredulo ma credente!... Perché mi hai veduto, hai creduto: beati quelli che pur non avendo visto crederanno!» (Gv 20,24-29)

Il dato della Resurrezione di Gesù è dunque comprensivo della fede dei discepoli, è Tradizione viva come ammonisce San Paolo ai Tessalonicesi: “Perciò, fratelli, state saldi e mantenete le tradizioni che avete apprese così dalla nostra parola come dalla nostra lettera” (2Tess 2-15).

Gesù non è solo Oggetto di fede, ma motivo-Autore della fede: «Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me» (Gv 14,6-7), essendone Egli il Soggetto stesso della fede per la quale si muore, ci si lascia crocifiggere, ci si lascia perseguitare per il Suo Nome santo.

È molto difficile oggi trovare  manuali allineati alla  purezza del dogma cattolico... non pochi teologi o esegeti, o apologeti modernisti si affrettano a contestualizzare la fede pasquale in una sorta di un orizzonte ermeneutico e a rivendicare la realtà delle testimonianze apostoliche in chiave soggettiva, puramente orizzontale ed umanistica, ossia, come evento storico al quale si è tolto l'imperativo del “credere e convertirsi”.

Difficile riscontrare nelle dispute odierne quella “ricerca delle condizioni trascendentali” che spinsero Gesù stesso a compiere la volontà del Padre per darcene anche l'esempio: «Padre, se vuoi, allontana da me questo calice! Tuttavia non sia fatta la mia, ma la tua volontà» (Lc 22,42). «Ecco, io vengo a fare la tua volontà. Con ciò stesso egli abolisce il primo sacrificio per stabilirne uno nuovo» (Ebr 10,9).

Ci si ferma all’argomentazione dogmatica privata dell’apologetica, ossia, non si argomenta più la credibilità di quell’annuncio pasquale e con quel senso trascendentale che ha sempre contraddistinto l'intera patristica dei primi secoli.

Per quanto riguarda il rapporto tra la fede dei discepoli e la nostra fede – la fede di prima mano e la fede di seconda mano – esso viene spesso evocato come problematico ma non viene mai svolto nella sua semplicità, come avveniva appunto nelle prime comunità cristiane alle quali bastava semplicemente l'Annuncio, la testimonianza dei discepoli per dare origine a nuove comunità che si lasciavano semplicemente attrarre dal messaggio e non certo dalle dispute o dalle asserzioni teologiche come si pretende oggi.

Certo, non basta oggi descrivere la fede pasquale dei primi testimoni e poi dire “per analogia – la nostra fede” e tutto finisce qui.

Il “come” va esplicitato nelle sue ragioni e nelle sue possibilità reali di sussistere ancora nel nostro oggi, Presenza del Risorto vivo e reale nel nostro quotidiano.

Ed è ovvio che la dinamica della genesi della loro fede non è quella della nostra fede. La nostra fede non è neanche solo ripetizione della loro, non è un scimmiottare.

Insomma, il Cristianesimo non è solo una questione di fede ripetitiva, ma è ragione, ragione non soggettiva e finalizzata ad un fideismo fatto ad personam o su misura, ma finalizzato a quella oggettività che, essendo incontrastabile perché è Verità, fa scatenare da sempre le persecuzioni contro la Chiesa, contro i Cristiani.

È quel segno di contraddizione che vide la Vergine Santa, ai piedi della Croce, assorbire tutto il dramma del Figlio non nella incomprensione degli eventi – infatti Maria non avvierà mai alcuna discussione –, ma nella donazione totale di sé: e del Figlio e della Madre uniti per condividere il Progetto del Padre.

«Se qualcuno ascolta le mie parole e non le osserva, io non lo condanno; perché non sono venuto per condannare il mondo, ma per salvare il mondo» (Gv 12,47), oppure: «Questa parola è sicura e degna di essere da tutti accolta: Cristo Gesù è venuto nel mondo per salvare i peccatori e di questi il primo sono io» (1Tim 1,15).

 

Il problema non è quello di discutere, oggi, sul chi sarà condannato, ma sul come possiamo salvarci, e la domanda deve essere: Gesù è venuto sì, per salvarci, ma da che cosa, da chi? È ovvio che Lui non ci condanna e non è venuto per condannarci, e non perché è “buono” e quindi ci lascia liberi di fare quello che vogliamo, ma perché eravamo e siamo già condannati. La dinamica è questa: Gesù è venuto per salvarci, se non accogliamo questa salvezza non c'è bisogno di una ulteriore condanna, siamo già condannati, ossia privati della Grazia, la causa del Peccato Originale. A questo servono i Sacramenti a cominciare da quello del Battesimo che ci rende, appunto: figli adottivi di Dio, fratelli del Cristo, eredi della beatitudine eterna. Chi rifiuta questa salvezza si autoesclude da questa eredità divina!

Allora la domanda essenziale che potremmo farci sarà: a quali condizioni è accessibile quella verità di Dio che i primi testimoni hanno visto nella Pasqua di Gesù?

Loro hanno confessato di averlo visto, noi non possiamo confessare di averlo “visto”!

Questa è vera apologetica ed ermeneutica del problema della Verità oggi imbastardita dalle dispute moderniste: la Verità viene compresa non più quale Soggetto che si offre nella libertà e promuove quindi, oggettivamente, la sua apertura ed accoglienza, ma la Verità viene riletta in chiave soggettiva – il Soggetto che è Cristo è trasformato in oggetto a seconda delle proprie immagini ed interpretazioni – come ciò verso cui la libertà è orientata, privandola dai dogmi letti oramai come catene alla libertà di coscienza.

Conseguenza è che la Resurrezione di Gesù viene destituita da ogni carattere di verità, è la libertà che produce la verità, non è più la Verità a determinare-promuovere la libertà dell'individuo. In sostanza la Verità diventa soggettiva, mentre la menzogna diventa oggettiva.

Ci ritroviamo nuovamente nel piazzale del Pretorio quando Pilato offre alla folla la scelta fra Gesù e Barabba: scegliere fra la Verità e la menzogna (Lc 23,18).

Il famoso: «Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga; perché tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome, ve lo conceda» (Gv 15,16) diventa un triste: “Io scelgo il Gesù che più soddisfa le mie necessità; scelgo il ‘dio’ che mi rende libero da tutto, anche da lui… porto al mondo la mia fede soggettiva perché fondata sulla mia libera coscienza che è al di sopra di ogni dogma... io scelgo Barabba perché mi fa pena ed era un perseguitato dai romani...”, e così via con altre amenità.

In conclusione si tratta di rintracciare quelle condizioni di credibilità universale della Pasqua di Gesù.

L’annuncio pasquale predica la Pasqua di Gesù: è manifestazione ultima della novità di Dio. Si tratta di soffermarsi nel rapporto tra la fede dei discepoli di prima mano e la nostra fede.

Può essere la nostra fede ripetizione della loro fede? No, è evidente.

Per questo il venerabile Pio XII aveva chiarito, quasi profeticamente, contro quel “archeologismo” del cristianesimo, quel prurito ad un ritorno della fede del primo secolo con la pretesa di cancellare tutto il supporto dogmatico e dottrinale della Chiesa fino ad oggi.

Pio XII ritorna su questi aspetti nell’enciclica “Humani generis” [3] nella quale rilancia un nuovo avvertimento contro un “relativismo dogmatico” che, abbandonando il modo di esprimersi della Chiesa finisce per usare termini che mutando lungo il corso della storia per esprimere il contenuto della fede, finisce per modificarne il contenuto, relativizzandolo alla comprensione del momento impedendone, così, la comprensione cattolica=universale già sostenuta dalla Chiesa.

Qual è dunque la natura della fede dei discepoli alla quale dobbiamo aderire?

La fede è un atto soprannaturalmente libero, ma è anche un dono che va umilmente richiesto, se dunque la fede dei discepoli è incardinata in questa dinamica del farsi vedere del Risorto (=richiesta), come può essere mantenuto e compreso il carattere necessariamente libero (=scelgo di credere) della loro stessa fede?

Sembra che la certezza della fede dei discepoli coincida con una evidenza incontrovertibile, cioè, essi chiedono di “vedere” e Gesù li accontenta, ma noi anche se chiediamo non possiamo “vederlo” perciò dobbiamo comportarci  non tanto come i primi discepoli, ma somigliare di più alle dinamiche di fede intraprese, per esempio, da S. Agostino.

Punto di partenza: “Gesù è risorto”, anzi, come dirà in modo più coinvolgente San Luca: «Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone» (24,34).

Questa affermazione sottolinea l’aspetto presente più che l’aspetto passato; il Risorto è davvero risorto ed è apparso, è vivo, è presente, è ieri, oggi e domani.

Indica la presenza reale di Gesù veramente risorto, più che qualcosa che è avvenuto allora, del passato, è una realtà dell’oggi, di ogni epoca alla quale il Risorto continua a rivolgersi.

Che cosa però mi informa sul fatto passato? È il Nuovo Testamento accostato senza pregiudizi.

E che cosa mi informa sul fatto oggettivo che il Risorto è presente, vivo? È sempre il Vangelo accompagnato dalla Tradizione e dal Magistero vivo della Chiesa, dalla testimonianza dei Santi, accostati senza pregiudizi.

I Padri della Chiesa ci insegnano la differenza fra quel “chi ha visto ha creduto”, da quel più dogmatico e cattolico: “chi credette vide che qui era all’opera Dio in persona”. Occorre credere per “vedere” e non già “vedere per credere”.

 

L’espressione “Davvero il Signore è risorto” significa che: il Gesù che è stato Crocifisso è vivo, è presente e chiama oggi a continuare la sua opera nella Chiesa sua Sposa.

È infine fondamentale che la Resurrezione di Gesù può essere compresa solo a partire dalla relazione reale che abbiamo dall'Incarnazione, dalla vita e fino alla Sua morte di Croce. Questo fatto che è reale, concreto, storico, mette in luce quell’inedito cristologico che troviamo in diversi Salmi: “Insorgono i re della terra e i principi congiurano insieme contro il Signore e contro il suo Messia” (Sal 2,2) un, sedicente Messia, è morto nel modo che ci è stato raccontato. Questi Israeliti che erano discepoli di Gesù, faticosamente iniziati da Gesù a una comprensione di Dio, attendevano quasi certamente che il Messia risorgesse. Ma non che risorgesse quel messia lì della croce. Sembra che nel momento in cui quel “sedicente Messia” ha concluso la sua pretesa di essere messia sulla croce, i discepoli non lo consideravano più Messia, e per questo non attendessero più la resurrezione da Lui annunciata, perché non lo consideravano più tale. La speranza nella resurrezione, laddove fosse stata effettiva, comunque crolla con la morte di Gesù: crollo della speranza nel Venerdì Santo (vedi Lc 22,54).

 

Vi lasciamo con le parole del profeta Isaia per attestare la verità di quanto abbiamo qui condiviso con voi (cap. 53).

 

1 Chi avrebbe creduto alla nostra rivelazione?

A chi sarebbe stato manifestato il braccio del Signore?

2 È cresciuto come un virgulto davanti a lui

e come una radice in terra arida.

Non ha apparenza né bellezza

per attirare i nostri sguardi,

non splendore per provare in lui diletto.

3 Disprezzato e reietto dagli uomini,

uomo dei dolori che ben conosce il patire,

come uno davanti al quale ci si copre la faccia,

era disprezzato e non ne avevamo alcuna stima.

4 Eppure egli si è caricato delle nostre sofferenze,

si è addossato i nostri dolori

e noi lo giudicavamo castigato,

percosso da Dio e umiliato.

5 Egli è stato trafitto per i nostri delitti,

schiacciato per le nostre iniquità.

Il castigo che ci dà salvezza si è abbattuto su di lui;

per le sue piaghe noi siamo stati guariti.

6 Noi tutti eravamo sperduti come un gregge,

ognuno di noi seguiva la sua strada;

il Signore fece ricadere su di lui

l'iniquità di noi tutti.

7 Maltrattato, si lasciò umiliare

e non aprì la sua bocca;

era come agnello condotto al macello,

come pecora muta di fronte ai suoi tosatori,

e non aprì la sua bocca.

8 Con oppressione e ingiusta sentenza fu tolto di mezzo;

chi si affligge per la sua sorte?

Sì, fu eliminato dalla terra dei viventi,

per l'iniquità del mio popolo fu percosso a morte.

9 Gli si diede sepoltura con gli empi,

con il ricco fu il suo tumulo,

sebbene non avesse commesso violenza

né vi fosse inganno nella sua bocca.

10 Ma al Signore è piaciuto prostrarlo con dolori.

Quando offrirà se stesso in espiazione,

vedrà una discendenza, vivrà a lungo,

si compirà per mezzo suo la volontà del Signore.

11 Dopo il suo intimo tormento vedrà la luce

e si sazierà della sua conoscenza;

il giusto mio servo giustificherà molti,

egli si addosserà la loro iniquità.

12 Perciò io gli darò in premio le moltitudini,

dei potenti egli farà bottino,

perché ha consegnato se stesso alla morte

ed è stato annoverato fra gli empi,

mentre egli portava il peccato di molti

e intercedeva per i peccatori.

 

Sia lodato Gesù Cristo.

Sempre sia lodato.

 

NOTE

1] Dalle «Omelie sulla prima lettera ai Corinzi» di san Giovanni Crisostomo, vescovo (Om. 4, 3. 4; PG 61, 34-36)

 

2] “questione lessinghiana”: come rappresentante di spicco dell'Illuminismo tedesco Lessing viene considerato un precoce pensatore della presa di coscienza della classe borghese della sua identità e forza sociale. Tema ricorrente nel pensiero di Lessing è quello che la ricerca è superiore al possesso della verità: «Se Dio tenesse nella sua destra tutta la verità e nella sua sinistra il solo tendere alla verità con la condizione di errare eternamente smarrito e mi dicesse: “Scegli, io mi precipiterei con umiltà alla sua sinistra e direi: Padre, ho scelto; la pura verità è soltanto per te», una frase ad effetto, accattivante a prima lettura, ma che nasconde tuttavia una grave presa di posizione antidogmatica secondo la quale ogni conoscenza acquisita deve essere aperta alle correzioni e ai contributi che vengono dalle nuove esperienze, così che la conoscenza autentica non è quella di chi difende le posizioni raggiunte (dogmi e dottrine - asserzioni definitive sull'identità del Cristo, in questo caso) ma quella di chi si espone alla ricerca rischiosa di nuovi risultati, indipendentemente dalle verità già acquisite. In sostanza la Verità assoluta, acquisita, non esiste più. Afferma infatti Lessing nella sua “riabilitazione di G. Cardano”: «Da un giudice non si può pretendere altro che egli si schieri con quella parte che sembra avere il maggiore diritto. [Per le controversie che hanno per oggetto la verità questa non appartiene al vincitore per diritto, così che il perdente può correggere gli errori e partecipare alla verità di chi ha vinto. Il filosofo deve essere onesto e non deve mettere da parte quei dati che possono contestare il suo sistema a vantaggio del sistema altrui.] Se si comporta diversamente, allora è chiaro che egli stravolge la verità a proprio tornaconto e la vuole rinchiudere negli angusti limiti della propria pretesa infallibilità ». Un conto è se questo pensiero resta applicabile alle questioni fra gli uomini, alle dispute del mondo, altra cosa è quando si pretende di usare questa teoria riguardo al Cristo e soprattutto nei confronti della Chiesa in qualità di Maestra e per diritto divino infallibile nella dottrina che imparte.

 

3] Pio XII Enciclica Humani generis del 22 agosto 1950.





Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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