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Gli interventi del cardinale Muller

Ultimo Aggiornamento: 19/03/2018 20:16
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22/01/2018 09:32
 
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Autorità del Papa e Magistero della Chiesa - Card. Gerhard Müller

 
Nella nostra traduzione da First Things la seconda di una serie di riflessioni del cardinal Müller, ex prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, su questioni di importanza attuale nella vita della Chiesa, quali l'Autorità del Papa e il Magistero della Chiesa. La prima riflessione, su soggettività, colpevolezza e confessione, sarà oggetto di successiva traduzione

Con quale autorità? - Sul munus docendi del Papa
Gerhard Ludwig Müller 

Il Papa non è un monarca assoluto il cui pensieri e desideri sono legge
(Papa Benedetto XVI)
Come si rapportano il Magistero del Papa e la Tradizione della Chiesa? Quando interpreta le parole di Gesù, il papa deve essere in continuità con la Tradizione e il Magistero precedente, compreso quello dei papi più recenti? O è piuttosto la Tradizione della Chiesa che deve essere reinterpretata alla luce delle nuove parole del papa? Cosa succede se ci sono contraddizioni?
Per rispondere a queste domande, ritengo opportuno iniziare con una importante lettera apostolica che Papa Pio IX ha inviato all'episcopato tedesco il 4 marzo 1875. Nella sua lettera, il Papa ha spiegato che i vescovi tedeschi avevano interpretato il dogma dell'infallibilità papale e del primato petrino in perfetta armonia con le definizioni del Concilio Vaticano I. Causa della lettera del Papa il dispaccio circolare del cancelliere tedesco Bismarck che aveva gravemente male interpretato questo dogma per giustificare la brutale persecuzione dei cattolici tedeschi nel cosiddetto Kulturkampf, o "guerra culturale". Secondo Pio IX, nella loro risposta alla provocazione di Bismarck, i vescovi tedeschi hanno mostrato chiaramente "che non c'è assolutamente nulla nelle definizioni affrontate che sia nuovo o che cambi qualcosa sui nostri rapporti con i governi o che possano offrire qualsiasi pretesto per continuare a perseguitare la Chiesa".
 
Certamente, per valutare gli eventi, bisogna conoscere i presupposti culturali in base ai quali hanno operato Bismarck e i suoi "guerrieri della cultura" liberali. Sebbene avessero per lo più abbandonato il contenuto religioso della Riforma protestante che aveva segnato il loro paese, essi avevano ampiamente sostenuto i pregiudizi contro la Chiesa cattolica. Per loro, l'ufficio pedagogico esercitato dal papa e dai concili della Chiesa rivendicava un'autorità superiore alla Parola di Dio stessa. Non solo il magistero ecclesiale ostacolava l'immediata relazione del credente con Dio, ma si erigeva come elemento estraneo frapponentesi tra i cittadini e lo stato - uno stato, la Prussia della fine del diciannovesimo secolo, che attribuiva a se stesso un'autorità totale, scissa anche dalla legge morale naturale.
 
Bismarck e i suoi sostenitori erano convinti che l'autorità del papa si estendesse all'invenzione e all'istituzione arbitrarie di dottrine e prassi riguardanti tutta la Chiesa, compresi i cittadini cattolici tedeschi, che sarebbero quindi tenuti ad aderirvi sotto la minaccia della scomunica e della perdita della vita eterna. Contro questa totale caricatura della pienezza del potere del papa, i vescovi tedeschi sottolineavano che "in tutti i punti essenziali la costituzione della Chiesa è basata su direttive divine, e quindi non è soggetta all'arbitrio umano". Per quanto riguarda loro,"l'opinione secondo la quale il papa è "un sovrano assoluto per la sua infallibilità" si basa su una comprensione completamente falsa del dogma dell'infallibilità papale". Infatti, il Magistero del papa "si limita ai contenuti della Sacra Scrittura e della tradizione e anche ai dogmi precedentemente definiti dall'autorevole insegnamento della Chiesa".

Il fatto è che l'ufficio dell’insegnamento tenuto dal papa e dai vescovi in unione con lui è un ministero al servizio della Parola di Dio, un Verbo che si è fatto carne in Gesù Cristo. Cristo è quindi l'unico Maestro (cfr Mt 23,10), che ci annuncia "parole di vita eterna" (cfr Gv 6,68). Rispetto a Lui, Pietro, gli apostoli e tutti i battezzati sono fratelli e sorelle dell'unico Padre celeste.
 
Senza pregiudizio per il fatto che tutti i credenti sono fratelli e sorelle, Gesù ha scelto alcuni dei suoi numerosi discepoli per essere suoi apostoli, dando loro l'autorità di insegnare e governare. Egli ha affidato loro "il messaggio della riconciliazione", così che ora agiscano nella persona stessa di Cristo per la salvezza del mondo (cfr 2 Cor 5,19ss). Il Signore risorto, al quale è stato dato tutto il potere nei cieli e sulla terra, invia i suoi apostoli in tutto il mondo per fare discepoli di tutte le nazioni e battezzarli nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Istituendo i suoi apostoli, Gesù istituisce anche i loro successori, cioè i vescovi, insieme al successore di Pietro, il papa, come loro capo. Il mandato che Cristo dà loro è di "insegnare loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato" (Mt 28,20). In questo modo Egli chiarisce che il contenuto dell'insegnamento degli apostoli - criterio della verità di ciò che dicono - è il Suo insegnamento. La certezza della fede cristiana poggia infine sul fatto che la parola umana degli apostoli e dei vescovi è la divina Parola di salvezza, non prodotta ma piuttosto testimoniata dal mediatore umano (cfr 1 Ts 2,13).

Fin dai tempi di Ireneo di Lione nel secondo secolo, è stata stabilita una terminologia secondo la quale il contenuto della rivelazione si trova nella Sacra Scrittura e nella Tradizione apostolica. Questa rivelazione è autorevolmente proclamata dal magistero ecclesiastico costituito dal papa e dai vescovi in ​​unione con lui. In contrasto con il principio “sola scriptura”, la sola Bibbia, come aveva affermato la Riforma, il Concilio di Trento sottolinea che essa appartiene alla Santa Madre Chiesa "per giudicare il vero significato e l'interpretazione della Sacra Scrittura" e.... nessuno può osare interpretare la Scrittura in modo contrario al consenso unanime dei Padri.
 
Il Concilio Vaticano II riprende questo modo fondamentale di interpretare la fede cattolica e ne trae la conclusione: "Questo Magistero non è superiore alla Parola di Dio, ma è suo servo. Insegna solo ciò che è stato tramandato. Al comando divino e con l'aiuto dello Spirito Santo, lo ascolta devotamente, lo custodisce con dedizione e lo espone fedelmente. Tutto ciò che propone per credere come divinamente rivelato è tratto da questo unico deposito di fede "( Dei Verbum, 10).
 
C'è accordo tra tutti i cristiani sul fatto che la Sacra Scrittura è la Parola di Dio. Ma dal momento che questa Parola è trasmessa nel linguaggio umano, non ha l'evidenza ( quoad se - in se stessa) che i protestanti vogliono attribuirle. Piuttosto, c'è bisogno di un'interpretazione umana da parte degli maestri della fede la cui autorità proviene dallo Spirito Santo. Verso coloro che ascoltano la Parola di Dio, questi maestri rappresentano l'autorità di Dio, facendo uso delle parole e delle decisioni umane (quoad nos - evidenti per noi). Il compito di insegnamento e governo autorevoli non può essere lasciato solo al singolo credente che nella sua coscienza arriva ad accettare una certa verità. Dopo tutto, la rivelazione è stata affidata all'intera Chiesa. Pertanto, il Magistero è una parte essenziale della missione della Chiesa. Solo con l'aiuto del magistero vivente [attenzione al 'vivente' in senso storicista! -ndT] del papa e dei vescovi la Parola di Dio può essere trasmessa nella sua integrità ai fedeli e a tutto il popolo di tutti i tempi e luoghi.

Nel Credo professiamo la nostra fede usando parole umane. Queste parole sono soggette ad un certo cambiamento, nella modalità di espressione. Ciò è possibile ed effettivamente necessario, poiché, come afferma chiaramente san Tommaso, "l'atto del credente non si ferma all'enunciato ma va alla realtà" ( S TH II-II 1,2, ad 2). Nella misura in cui l'insegnamento degli apostoli - e quindi l'insegnamento della Chiesa - è Parola di Dio nelle parole degli esseri umani, la Parola di Dio prende forma e si sviluppa nella coscienza della sua fede nella Chiesa, in modo abbastanza analogo al modo in cui ciascuno dei fedeli subisce uno sviluppo spirituale e storico sotto la guida dello Spirito Santo. Certo, la missione dello Spirito Santo non consiste nel creare nuove dottrine, ma nel rendere presente nella Chiesa la pienezza della rivelazione di Gesù Cristo (cfr Gv 16,13).
 
Il Papa, nella misura in cui, come capo del collegio episcopale, è il principio dell'unità della Chiesa nella verità, ha la missione sia di preservare la verità della rivelazione sia, ove necessario, di stabilire nuove formulazioni concettuali del credo (il "simbolo"). Nel fare ciò, egli non può aggiungere nulla alla rivelazione che ci è stata data nella Scrittura e nella Tradizione, né può cambiare il contenuto delle precedenti definizioni dogmatiche. Ma per preservare l'unità della Chiesa nella fede, egli ha il diritto e il dovere, in alcune circostanze, di dare una nuova formulazione al credo (nova editio symboli). San Tommaso d'Aquino spiega: "La verità della fede è sufficientemente esplicita nell'insegnamento di Cristo e degli apostoli. Ma dal momento che, secondo 2 Pt. 3:16, alcuni uomini sono così malvagi da alterare l'insegnamento apostolico e le altre dottrine e Scritture fino alla loro stessa distruzione, si è reso necessario, col tempo, esprimere più esplicitamente la fede contro gli errori sorti (Summa Theologiae II-II, 1,10 e 1).
 
Per questo compito, il magistero attinge la comprensione soprannaturale della fede ( sensus fidei ) data dallo Spirito Santo a tutto il Popolo di Dio sotto la guida dei vescovi (cfr Lumen Gentium n. 12). Ma conta anche sui teologi. Senza il lavoro teologico preparatorio di sant'Atanasio e dei padri cappadoci, non ci sarebbe stato il Credo niceno né la sua difesa e le sue specifiche nei successivi concili. Allo stesso modo, i decreti del Concilio di Trento non sarebbero stati possibili senza il lavoro preparatorio dei teologi più istruiti di quel tempo. È vero che per il Concilio Vaticano II la trasmissione storica e fedele della rivelazione ha le sue basi nel carisma dell'infallibilità, che è propria del papa e dei concili ecumenici. Allo stesso tempo, il Vaticano II non manca di aggiungere: "Il Romano Pontefice ed i vescovi, nella coscienza del loro ufficio e della gravità della cosa, prestano la loro vigile opera usando i mezzi convenienti però non ricevono alcuna nuova rivelazione pubblica come appartenente al deposito divino della fede"(Lumen Gentium n. 25).

Certamente un cattolico non si può ignorare la dottrina sviluppata dalla Chiesa per seguire esclusivamente la dottrina della Scrittura pura per supposizione. La parabola del figliol prodigo, ad esempio, non impartisce una istruzione catechetica sul sacramento del pentimento nella sua materia (pentimento, confessione, soddisfazione) e forma (assoluzione del sacerdote). Se si guardasse la Scrittura da sola, si potrebbe quindi concludere che, dal momento che il figlio non si è effettivamente preoccupato di confessare i suoi peccati, non è nemmeno necessario farlo. Tuttavia, contrastare la Scrittura contro la Chiesa in questo modo significherebbe ignorare completamente le parole di Cristo, che ha affidato agli apostoli - con Pietro come loro capo - la conservazione fedele dell'intero deposito di fede.
 
Cristo ha posto il papa "alla testa degli altri apostoli, e in lui ha creato una fonte e un fondamento duraturo e visibile dell'unità di fede e di comunione" (Lumen gentium n. 18). Ora, la pienezza dell'autorità apostolica non implica una pienezza illimitata di potere in senso secolare. Piuttosto, questo potere è strettamente limitato dal suo scopo: è al servizio della preservazione dell'unità della Chiesa nella fede nel Figlio di Dio che è venuto "nella pienezza dei tempi" (Gal 4,4-6). L'autorità del papa è strettamente legata alla rivelazione; essa deriva infatti dalla rivelazione. È solo attraverso la potenza di Dio che Pietro è in grado di preservare l'intera Chiesa nella fedeltà a Cristo, anche quando Satana la scuote e la setaccia, affinché il grano possa essere separato dalla pula. Come dice Gesù: "Ma ho pregato affinché la vostra fede non fallisca" (Lc 22,32). Nel suo Magistero supremo, il papa unisce la Chiesa intera e tutti i suoi vescovi nella stessa confessione: "Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente" (Mt 16,16). Ed è proprio in questa confessione che egli è la roccia su cui il Signore Gesù continua a costruire la sua Chiesa fino alla fine del mondo. È quindi chiaro che le parole del papa sono al servizio di tutta la Tradizione della Chiesa, e non il contrario.

Quanto detto sopra si riferisce all'insegnamento della Chiesa, ma anche all'amministrazione dei suoi mezzi di grazia nei sacramenti. Nel Decreto sulla Santa Comunione, il Concilio di Trento dichiara che la Chiesa ha il potere di determinare o modificare i riti esterni dei sacramenti. Allo stesso tempo, il Concilio nega che la Chiesa abbia il diritto o il potere di interferire con l'essenza dei sacramenti, insistendo sul fatto che "la loro sostanza è preservata". Quando il Concilio di Trento definisce che ci sono tre atti del penitente che fanno parte del sacramento della penitenza (pentimento con la volontà di non peccare di nuovo, confessione e riparazione), anche i papi e i vescovi dei secoli successivi sono vincolati da questa dichiarazione. Non sono liberi di concedere l'assoluzione sacramentale per i peccati, o di autorizzare i loro sacerdoti a farlo, quando i penitenti non mostrano segni di pentimento o quando rifiutano esplicitamente la volontà di non peccare di nuovo. Nessun essere umano può annullare la contraddizione interiore tra l'effetto del sacramento - cioè la nuova comunione di vita con Cristo nella fede, nella speranza e nell'amore - e la disposizione inadeguata del penitente. Nemmeno il papa o un concilio possono farlo, perché non hanno l'autorità, né potrebbero mai ricevere tale autorità, perché Dio non chiede mai agli esseri umani di fare qualcosa che sia al tempo stesso contraddittorio in se stesso e contrario a Dio stesso.
 
Bisogna tenere a mente che le affermazioni dottrinali hanno diversi gradi di autorità. Richiedono gradi diversi di consenso, come espresso dalle cosiddette "note teologiche". L'accettazione di un insegnamento con "fede divina e cattolica" è richiesta solo per le definizioni dogmatiche. È anche chiaro che il papa o i vescovi non devono mai chiedere a nessuno di agire o insegnare contro la legge morale naturale. L'obbedienza dei fedeli verso i loro superiori ecclesiali non è quindi un'obbedienza assoluta, e il superiore non può esigere un'obbedienza assoluta, perché sia ​​il superiore che quelli affidati alla sua autorità sono fratelli e sorelle dello stesso Padre, e sono discepoli del stesso Maestro. Pertanto, è più difficile insegnare che imparare, perché l'insegnamento è associato a una maggiore responsabilità di fronte a Dio. L'affermazione "Dobbiamo obbedire a Dio piuttosto che agli uomini" (Atti 5:29) ha la sua validità anche e soprattutto nella Chiesa. Contro il principio di assoluta obbedienza prevalente nello stato militare prussiano, i vescovi tedeschi hanno insistito prima di Bismarck: "Non è certamente la Chiesa cattolica che ha abbracciato il principio immorale e dispotico che il comando di un superiore libera incondizionatamente da ogni responsabilità personale”.

Quando le opinioni private o i limiti spirituali e morali entrano nell'esercizio dell'autorità ecclesiastica, è necessaria una critica sobria e oggettiva e una correzione personale, specialmente da parte dei confratelli nell'ufficio episcopale. Tommaso d’Aquino non sarà sospettato di relativizzare il primato petrino e la virtù dell'obbedienza. Ancor più illuminante è il modo in cui egli interpreta l'incidente di Antiochia, culminato nella correzione pubblica Paolo su Pietro (Gal 2,11). Secondo Tommaso d’Acquino, l'evento ci insegna che in certe circostanze un apostolo può avere il diritto e persino il dovere di correggere fraternamente un altro apostolo, e che anche un inferiore può avere il diritto e il dovere di criticare il superiore (cfr. Commento ai Galati, cap. II, lettura 3). Ciò non vuol dire che si possa ridurre il magistero ad un'opinione privata, per liberarsi del potere vincolante dell'insegnamento autentico e definito della Chiesa (cfr. Lumen gentium 37). Significa solo che si deve comprendere bene il significato preciso dell'autorità nella Chiesa in generale e il ruolo del ministero di Pietro in particolare. Questo è particolarmente vero quando il conflitto non nasce tra l'insegnamento del papa e la propria visione, ma tra l'insegnamento del papa e un insegnamento dei papi precedenti che è conforme alla tradizione ininterrotta della Chiesa.
 
Come ha spiegato Papa Benedetto XVI durante la Messa in occasione della presa di possesso della Cattedra del Vescovo di Roma il 7 maggio 2005, 
"Il potere che Cristo ha conferito a Pietro e ai suoi Successori è, in senso assoluto, un mandato a servire. Il potere di insegnare nella Chiesa implica un impegno al servizio dell'obbedienza alla fede". Egli continua: "Il papa non è un monarca assoluto i cui pensieri e desideri sono legge. Al contrario: il ministero del papa è garanzia di obbedienza a Cristo e alla sua Parola. Egli non deve proclamare le proprie idee, ma piuttosto vincolare costantemente se stesso e la Chiesa all'obbedienza alla Parola di Dio, di fronte ad ogni tentativo di adattarla o di annacquarla, e ad ogni forma di opportunismo".
[Traduzione a cura di Chiesa e post-concilio]




Va ricordato che:

Scomunica
, una parola che probabilmente per molti ha un sapore antico, di una Chiesa che non c’è più. Al contrario, la scomunica è ancora molto attuale. Lo è talmente che, lo scorso mese di maggio, papa Francesco l’ha utilizzata scomunicando Martha Heizer, insegnante di religione a Innsbruck nonché co-fondatrice e presidente del movimento “Wir sind Kirche” (“Noi siamo Chiesa”), e suo marito Gert. Tre anni fa i due coniugi, in segno di sfida verso il Vaticano sulla questione del sacerdozio femminile, avevano cominciato a celebrare la messa in casa loro, nel piccolo comune tirolese di Absam dove abitano, in assenza di sacerdoti. 

Nessun sacramento

All’indomani del gesto, la Congregazione per la dottrina della fede aveva istituito una commissione che ha stabilito la scomunica per una pratica che, profanando il sacramento dell’Eucarestia, per la Chiesa si configura tra i delitti più gravi al pari, ad esempio, della pedofilia.

Ma cos’è, in realtà, la scomunica? Secondo il dizionario storico dell’Enciclopedia Treccani è, “nel diritto canonico una censura ecclesiastica che, a causa di un peccato grave e fino all’eventuale assoluzione, esclude il battezzato dalla comunione con la Chiesa, vietandogli di ricevere o amministrare sacramenti e di esercitare qualsiasi ministero ecclesiastico”. Si tratta, insomma, della più grave delle pene che possa essere comminata a un battezzato, perché lo allontana dalla Chiesa e dai sacramenti.

Può essere anche automatica

Esistono due tipi di scomunica: “latae sententiae” se scaturisce da un comportamento delittuoso e non è necessario che venga esplicitamente comminata perché chi compie un determinato atto si trova a essere scomunicato per il solo fatto di averlo compiuto; “ferendae sentientiae” se, invece, la scomunica non è automatica e deve essere comminata da un organismo ecclesiale.

Esistono inoltre, sempre secondo il diritto canonico, i diversi gradi di scomuniche: se, infatti, generalmente una scomunica può essere tolta dal sacerdote durante la confessione, alcune sono riservate al vescovo o, persino, alla Santa Sede: in questo caso, che riguarda i delitti più gravi, la scomunica può essere comunque tolta da un sacerdote che, però, deve essere ricorso alla Penitenzieria Apostolica, il competente ufficio della Curia Romana.

Va detto che, poiché il peccato grave è già sufficiente da solo a dannare l’anima, la scomunica è considerata non tanto come punizione quanto come un tentativo estremo di riportare un fedele sulla retta via, ed evitare che, accompagnato a comunione sacrilega, il peccato diventi ancora più grave.

Quali sono, secondo il diritto canonico, i peccati passibili di scomunica? Nell’elenco dei più gravi, con scomunica riservata alla Santa Sede, troviamo: chi profana le ostie dell’Eucarestia (ed è quello che ha causato la scomunica dei coniugi Heizer); chi usa violenza fisica contro il Papa; il sacerdote che, in confessione, assolve la persona con cui ha avuto rapporti sessuali; il vescovo che consacra un altro vescovo senza mandato pontificio; il sacerdote che rende pubblica l’identità di un fedele e i suoi peccati.

Tra coloro che vengono, invece, scomunicati automaticamente ma senza necessità di ricorrere alla Santa Sede (cioè la scomunica può essere annullata dopo la confessione e il pentimento) c’è chi ricorre all’aborto(anche se è necessario l’intervento del vescovo per la sua remissione), chi abbandona la propria fede e chi appartiene a logge massoniche.

È da sottolineare che la scomunica priva dell’esercizio dei diritti ma non dei doveri perciò al fedele rimane, ad esempio, l’obbligo di partecipare alla messa la domenica e i giorni di precetto, pur senza ricevere la comunione


[Modificato da Caterina63 22/01/2018 11:19]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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