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Omelie del Papa nella Messa delle 7 del mattino a Santa Marta (3)

Ultimo Aggiornamento: 19/12/2014 11:38
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02/05/2014 12:31
 
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Il Papa: piango per i cristiani crocifissi, anche oggi c'è chi uccide in nome di Dio



Anche oggi ci sono tanti "padroni delle coscienze": in alcuni Paesi c'è chi uccide in nome di Dio o si va in carcere solo se si porta un Vangelo o una croce. Lo ha affermato Papa Francesco stamani 2 maggio 2014, durante la Messa presieduta a Santa Marta. Il Papa ha confessato di aver pianto alla notizia che alcuni cristiani sono stati crocifissi. Il servizio di Sergio Centofanti:


Al centro dell’omelia del Papa il Vangelo della moltiplicazione dei pani e dei pesci e la lettura tratta dagli Atti degli Apostoli, in cui i discepoli di Gesù vengono fatti flagellare dal Sinedrio. Papa Francesco propone tre icone: la prima è l’amore di Gesù per la gente, la sua attenzione ai problemi delle persone. Il Signore - osserva il Pontefice – non si preoccupa di quanti lo seguono, non gli “passa per la testa, per esempio, di fare un censimento” per vedere se “è cresciuta la Chiesa … no! Lui parla, predica, ama, accompagna, fa la strada con la gente, mite e umile”. E parla con autorità, cioè con “la forza dell’amore”. 

La seconda icona è la “gelosia” delle autorità religiose del tempo: “Non tolleravano – afferma il Papa - che la gente andasse dietro a Gesù! Non tolleravano! Avevano gelosia. E’ un brutto atteggiamento, questo. E dalla gelosia all’invidia, e noi sappiamo che il padre dell’invidia” è “il demonio”, per la cui invidia “è entrato il male nel mondo”. “Questa gente – rileva ancora Papa Francesco - sapeva bene chi era Gesù: lo sapeva! Questa gente era la stessa che aveva pagato la guardia per dire che gli apostoli avevano rubato il corpo di Gesù!”: 

“Avevano pagato per silenziare la verità. Ma, la gente è cattiva, davvero! Perché quando si paga per nascondere la verità, siamo in una cattiveria molto grande. E per questo la gente sapeva chi erano questi. Non li seguivano, tolleravano perché avevano l’autorità: l’autorità del culto, l’autorità della disciplina ecclesiastica a quel tempo, l’autorità sul popolo … e la gente seguiva. Gesù dice di loro che legavano pesi opprimenti sui fedeli e li facevano caricare sulle spalle della gente. Questa gente non tollera la mitezza di Gesù, non tollera la mitezza del Vangelo, non tollera l’amore. E paga per invidia, per odio”.

Durante la riunione del Sinedrio c’è un “uomo saggio”, Gamaliele, che invita i leader religiosi a liberare gli apostoli. Così, ribadisce il Papa, ci sono queste due prime icone: Gesù che si commuove nel vedere la gente “senza pastore” e le autorità religiose …

“Questi, con le loro manovre politiche, con le loro manovre ecclesiastiche per continuare a dominare il popolo … E così, fanno venire gli apostoli, dopo che parla questo uomo saggio, richiamarono gli apostoli e li fecero flagellare e ordinarono loro di non parlare nel nome di Gesù. Quindi li rimisero in libertà. ‘Ma, qualcosa dobbiamo fare: daremo loro una bella bastonata e poi a casa!’. Ingiusta, ma l’hanno fatto. Loro erano i padroni delle coscienze, e si sentivano con il potere di farlo. Padroni delle coscienze … Anche oggi, nel mondo, ci sono tanti”. 

Io – ha detto il Papa - "ho pianto quando ho visto sui media” la notizia di “cristiani crocifissi in un certo Paese non cristiano. Anche oggi – ha sottolineato - c’è questa gente che, in nome di Dio, uccide, perseguita. E anche oggi" vediamo tanti che, "come gli apostoli”, sono “lieti di essere stati giudicati degni di subire oltraggi per il nome di Gesù”. Questa – ha detto – “è la terza icona di oggi. La gioia della testimonianza”:

“Prima icona: Gesù con la gente, l’amore, la strada che Lui ci ha insegnato, sulla quale dobbiamo andare. Seconda icona: l’ipocrisia di questi dirigenti religiosi del popolo, che avevano imprigionato il popolo con questi tanti comandamenti, con questa legalità fredda, dura, e che hanno anche pagato per nascondere la verità. Terza icona: la gioia dei martiri cristiani, la gioia di tanti fratelli e sorelle nostre che nella storia hanno sentito questa gioia, questa letizia di essere stati giudicati degni di subire oltraggi per il nome di Gesù. E oggi ce ne sono tanti! Pensate che in alcuni Paesi, soltanto per portare il Vangelo, vai in carcere. Tu non puoi portare una croce: ti faranno pagare la multa. Ma il cuore è lieto. Le tre icone: guardiamole, oggi. E’ parte della nostra storia del salvezza”.







Papa Francesco: i cristiani siano liberi da vanità, sete di potere e di soldi



Nella Chiesa ci sono persone che seguono Gesù per vanità, sete di potere o soldi; il Signore ci dia la grazia di seguirlo solo per amore: è la preghiera che ha fatto il Papa durante la Messa presieduta stamani 5 maggio a Santa Marta. Ce ne parla Sergio Centofanti:RealAudioMP3 

Prendendo lo spunto dal Vangelo del giorno, in cui Gesù riprova la gente di cercarlo solo perché si era saziata dopo la moltiplicazione dei pani e dei pesci, il Papa invita a porsi la domanda se seguiamo il Signore per amore o per qualche vantaggio. “Perché noi siamo tutti peccatori – ha osservato - e sempre c’è qualcosa di interessato che deve essere purificato nel seguire Gesù e dobbiamo lavorare interiormente per seguirlo per Lui, per amore”. “Gesù – afferma Papa Francesco - accenna a tre atteggiamenti che non sono buoni nel seguire Lui o nel cercare Dio. Il primo è la vanità”. In particolare, si riferisce a quei notabili, a quei "dirigenti" che fanno l’elemosina o digiunano per farsi vedere:

“Questi dirigenti volevano farsi vedere, a loro piaceva – per dire la parola giusta – piaceva pavoneggiarsi e si comportavano come veri pavoni! Erano così. E Gesù dice: ‘No, no: questo non va. Non va. La vanità non fa bene’. E alcune volte, noi facciamo cose cercando di farci vedere un po’, cercando la vanità. E’ pericolosa, la vanità, perché ci fa scivolare subito sull’orgoglio, la superbia e poi tutto e finito lì. E mi faccio la domanda: io, come seguo Gesù? Le cose buone che io faccio, le faccio di nascosto o mi piace farmi vedere?”. 

“E io anche penso a noi, a noi pastori” - ha detto il Papa – perché “un pastore che è vanitoso non fa bene al popolo di Dio”: può essere prete o vescovo, ma “non segue Gesù” se “gli piace la vanità”. “L’altra cosa che Gesù rimprovera a quelli che lo seguono – afferma - è il potere”: 

“Alcuni seguono Gesù, ma un po’, non del tutto consapevolmente, un po’ inconsciamente, ma cercano il potere, no? Il caso più chiaro è Giovanni e Giacomo, i figli di Zebedeo, che chiedevano a Gesù la grazia di essere primo ministro e vice-primo ministro, quando sarebbe venuto il Regno. E nella Chiesa ci sono arrampicatori! Ci sono tanti, che usano la Chiesa per … Ma se ti piace, vai a Nord e fai l’alpinismo: è più sano! Ma non venire in Chiesa ad arrampicarti! E Gesù rimprovera questi arrampicatori che cercano il potere”. 

“Soltanto quando viene lo Spirito Santo – ha osservato il Papa - i discepoli sono cambiati. Ma il peccato nella nostra vita cristiana rimane e ci farà bene farci la domanda: io, come seguo Gesù? Per Lui soltanto, anche fino alla Croce, o cerco il potere e uso la Chiesa un po’, la comunità cristiana, la parrocchia, la diocesi per avere un po’ di potere?”. "La terza cosa che ci allontana dalla rettitudine delle intenzioni - sottolinea - sono i soldi": 

“Quelli che seguono Gesù per i soldi, con i soldi, cercando di approfittare economicamente della parrocchia, della diocesi, della comunità cristiana, dell’ospedale, del collegio … Pensiamo alla prima comunità cristiana, che ha avuto questa tentazione: Simone, Anania e Saffira … Questa tentazione c’è stata dall’inizio, e abbiamo conosciuto tanti buoni cattolici, buoni cristiani, amici, benefattori della Chiesa, anche con onorificenze varie … tanti! Che poi si è scoperto che hanno fatto negozi un po’ bui: erano veri affaristi, e hanno fatto tanti soldi! Si presentavano come benefattori della Chiesa ma prendevano tanti soldi e non sempre soldi puliti”.

“Chiediamo al Signore la grazia – ha concluso il Papa - che ci dia lo Spirito Santo per andare dietro a Lui con rettitudine di intenzione: soltanto Lui. Senza vanità, senza voglia di potere e senza voglia dei soldi”.






Quale testimonianza per il cristiano

Martedì, 6 maggio 2014

 

(da: L'Osservatore Romano, ed. quotidiana, Anno CLIV, n.102, Merc. 07/05/2014)

 

Testimoniare Cristo è l’essenza della Chiesa che, altrimenti, finirebbe per essere solo una sterile «università della religione» impermeabile all’azione dello Spirito Santo. Lo ha riaffermato Papa Francesco nella messa celebrata martedì mattina, 6 maggio, nella cappella della Casa Santa Marta.

La meditazione sulla forza della testimonianza è scaturita dal brano liturgico degli Atti degli apostoli (7, 51-8, 1a) dove si racconta il martirio di Stefano, che — ha spiegato il Santo Padre — «è un calco del martirio di Gesù: la gelosia dei dirigenti che cercavano di farlo fuori gioco, i falsi testimoni, questo giudizio un po’ fatto di fretta».

Ai suoi persecutori, che non credevano, Stefano ha detto: «Testardi e incirconcisi nel cuore e nelle orecchie, voi opponente sempre resistenza allo Spirito Santo».

E proprio «queste parole — ha commentato il Pontefice — in un modo o nell’altro le aveva dette Gesù, anche letteralmente: come erano i vostri padri così siete anche voi; quali dei profeti i vostri padri non hanno perseguitato?». Infatti Gesù li aveva rimproverati perché «facevano monumenti ai profeti, ma ai profeti che avevano ucciso i padri». Dunque «Stefano, pieno di Spirito Santo», dice «le stesse parole di Gesù».

I persecutori, ha notato il Santo Padre, non erano certo persone tranquille, con il cuore in pace. Anzi, «questa gente dentro il cuore aveva odio». Riferiscono gli Atti degli apostoli: «All’udire queste cose, erano furibondi in cuor loro e digrignavano i denti contro Stefano». Persone, dunque, che «avevano odio. Non è che non erano d’accordo con quello che Stefano predicava: odiavano!». E «questo odio — ha spiegato il Papa — è stato seminato nel loro cuore proprio dal diavolo. È l’odio del demonio contro Cristo».

Proprio «nel martirio — ha proseguito Papa Francesco — si vede chiara questa lotta fra Dio e il demonio. Si vede in questo odio. Non era una discussione tranquilla». Del resto, ha fatto osservare, «essere perseguitati, essere martiri, dare la vita per Gesù è una delle beatitudini». Tanto che «Gesù non aveva detto ai suoi: “Poveretti se succedono a voi queste cose!”. No, aveva detto: “Beati voi quando vi insulteranno e vi perseguiteranno e diranno ogni sorta di male contro di voi a causa del mio nome. Rallegratevi!”».

È evidente, dunque, che «il demonio non può sopportare la santità della Chiesa» o la stessa santità «di una persona senza reagire. E contro Stefano — ha detto il Papa — ha suscitato nel cuore di quelle persone odio, per perseguitare, per insultare, per dire ogni sorta di male. E così hanno ucciso Stefano», il quale «muore come Gesù, perdonando». Si legge infatti negli Atti: «Stefano pregava e diceva: Signore Gesù, accogli il mio spirito». Poi ripete «la stessa parola di Gesù: Signore, non imputare loro questo peccato».

«Martirio, nella tradizione della parola greca, significa testimonianza» ha spiegato il Papa. E «così possiamo dire che per un cristiano la strada va sulle orme di questa testimonianza di Gesù per dare testimonianza di lui». Una testimonianza che tante volte finisce con il sacrificio della vita: infatti «non si può capire un cristiano senza che sia testimone e sia testimonianza».

La questione centrale, ha argomentato il Pontefice, è che il cristianesimo non è una religione «di sole idee, di pura teologia, di estetica, di comandamenti. Noi siamo un popolo che segue Gesù Cristo e dà testimonianza, vuole dare testimonianza di Gesù Cristo. E questa testimonianza alcune volte arriva a dare la vita».

In proposito il racconto del martirio di Stefano è eloquente. Continua, infatti, il brano degli Atti: «In quel giorno scoppiò una violenta persecuzione contro la Chiesa di Gerusalemme». Dunque, «morto Stefano, scoppiò la persecuzione contro tutti». I persecutori «si sentivano forti: il demonio suscitava loro di far scoppiare questa violenta persecuzione».

Una persecuzione talmente brutale che, «a eccezione degli apostoli che sono rimasti lì, nel posto, i cristiani si dispersero nella regione della Giudea e della Samaria». Proprio «la persecuzione ha fatto sì che i cristiani andassero lontano». E alle persone che incontravano «dicevano il perché» della loro fuga, «spiegavano il Vangelo, davano testimonianza di Gesù. E incominciò quella missione della Chiesa. Tanti si convertivano sentendo questa gente».

Il vescovo di Roma ha ricordato in proposito che «uno dei padri della Chiesa ha detto: il sangue dei martiri è seme dei cristiani». Ed è proprio quello che succede: «Scoppia la persecuzione, i cristiani vengono dispersi e con la loro testimonianza predicano la fede». Perché, ha fatto notare il Papa, «la testimonianza è sempre feconda»: lo è quando avviene nella vita quotidiana, ma anche quando viene vissuta nelle difficoltà o quando porta addirittura alla morte.

La Chiesa dunque «è feconda e madre quando dà testimonianza di Gesù Cristo. Invece quando la Chiesa si chiude in se stessa, si crede — diciamo così — una università della religione con tante belle idee, con tanti bei templi, con tanti bei musei, con tante belle cose, ma non dà testimonianza, diventa sterile».

Lo stesso ragionamento, ha aggiunto il Pontefice, vale per il cristiano: se «non dà testimonianza rimane sterile, senza dare la vita che ha ricevuto da Gesù Cristo».

Gli Atti degli apostoli puntualizzano «che Stefano era pieno di Spirito Santo». E infatti «non si può dare testimonianza senza la presenza dello Spirito Santo in noi. Nei momenti difficili, quando dobbiamo scegliere la strada giusta, quando dobbiamo dire no a tante cose che forse tentano di sedurci, c’è la preghiera allo Spirito Santo: è lui che ci fa forti per andare su questa strada della testimonianza».

Papa Francesco, in conclusione, ha ricordato come dalle «due icone» proposte dalla liturgia — Stefano che muore e i cristiani che danno testimonianza dappertutto — scaturiscano per ciascuno alcune domande: «Com’è la mia testimonianza? Sono un cristiano testimone di Gesù o sono un semplice membro di questa setta? Sono fecondo perché do testimonianza o rimango sterile perché non sono capace di lasciare che lo Spirito Santo mi porti avanti nella mia vocazione cristiana?».




Niente burocrazia in sacrestia

Giovedì, 8 maggio 2014

 

(da: L'Osservatore Romano, ed. quotidiana, Anno CLIV, n.104, Ven. 09/05/2014)

 

Ci sono a volte atteggiamenti negativi che oscurano la docilità alla chiamata del Signore, il dialogo attento alla realtà dell’altro e la forza della grazia, cioè i tre momenti fondamentali dell’evangelizzazione. Atteggiamenti negativi che in chiesa si concretizzano quando la «burocrazia» fa diventare simili a «una ditta per fabbricare impedimenti che allontanano la gente dai sacramenti».

È dunque un richiamo a essere «facilitatori dei sacramenti» quello che il Papa ha fatto nella messa celebrata giovedì mattina, 8 maggio, nella cappella della Casa Santa Marta.

Il brano degli Atti degli apostoli (8, 26-40) proposto nella liturgia odierna presenta in modo chiaro, ha notato il Pontefice, i tre momenti dell’evangelizzazione. «Il primo — ha spiegato — è la docilità di Filippo che va ad annunciare Gesù Cristo». Era impegnato «nel suo lavoro di evangelizzare» quando «l’angelo del Signore gli dice: alzati, lascia questo e va’ di là, su quella strada». E Filippo obbedisce, «è docile alla chiamata del Signore» e non esita a lasciare le «tante cose che doveva fare» e va dove lo chiama il Signore. E «questo ci fa vedere che senza questa docilità alla voce di Dio nessuno può evangelizzare, nessuno può annunciare Gesù Cristo. In linea di massima annuncerà se stesso».

Il dialogo, ha proseguito il Papa, è il «secondo momento dell’evangelizzazione». Gli Atti degli apostoli raccontano che lungo la strada Filippo incontra «un etiope, eunuco, funzionario di Càndace, regina di Etiopia», una zona dove governavano le donne ha notato il Papa citando anche «la regina di Saba». Quell’uomo era «amministratore di tutti i tesori» del regno, un vero e proprio «ministro dell’economia». E stava andando «a Gerusalemme per il culto perché era ebreo». Gli Atti riferiscono che il ministro «seduto sul carro leggeva il profeta Isaia». Ed ecco che «il Signore dice a Filippo “va’ avanti e accostati a quel carro”». Sentendo, dunque, che quell’uomo «leggeva il profeta», Filippo «preso coraggio, gli domanda: capisci quello che stai leggendo?». Ecco il punto esatto che ci porta al «secondo momento del processo di evangelizzazione: il dialogo». Ma dialogare, ha avvertito, non significa dire solo «quello che io penso» e pretendere che l’altro ci creda. Anzi il vero dialogo «parte dall’altro: tu che stai leggendo, capisci questo?».

Insomma l’evangelizzatore coglie dall’altro l’occasione del dialogo, «si abbassa, si umilia davanti all’altro. Non va a imporre idee, dottrine» dicendo «le cose sono così!». L’autentico evangelizzatore va incontro all’altro «per offrire proprio la salvezza di Gesù» e lo «fa umilmente con il dialogo». Consapevole che «non si può evangelizzare senza il dialogo» e che non si può prescindere dal cammino della persona «che deve essere evangelizzata». Il Papa poi ha proposto una possibile obiezione: «Ma, padre, si perde tanto tempo perché ognuno ha la sua storia, ha le sue idee...». È vero, ha riconosciuto, così facendo «uno perde tempo» ma certamente «più tempo ha perso Dio nella creazione del mondo! E l’ha fatto bene!». Dunque bisogna «perdere tempo con l’altra persona perché quella persona è quella che Dio vuole che tu evangelizzi», a cui tu devi dare «la notizia di Gesù». Ed è ancora importante anche che il dialogo avvenga con la persona «come è adesso» e «non come deve essere».

E tornando al racconto degli Atti degli apostoli, il Pontefice ha voluto far notare proprio che il dialogo tra Filippo e il ministro etiope deve essere stato lungo e incentrato sul battesimo perché «quando giunsero dove c’era l’acqua l’eunuco disse: “Ecco, qui c’è dell’acqua; che cosa impedisce che io sia battezzato?”».

Questa constatazione, ha sottolineato il Papa, ci porta al terzo momento dell’evangelizzazione. «Quest’uomo ha sentito la forza di Dio dentro» e quando vede l’acqua chiede all’apostolo: che cosa impedisce che io sia battezzato? E Filippo, ha spiegato il Pontefice, senza dire nulla lo fece scendere dal carro «e nell’acqua lo battezzò». Siamo davanti, ha sottolineato il Papa, alla «forza del sacramento, la forza della grazia. Così si completa anche il processo dell’evangelizzazione: docilità dell’evangelizzatore, dialogo con la persona e la forza della grazia. E «Filippo prende quest’uomo di buona volontà, tanto buono, e lo porta nelle mani di Dio, della sua grazia».

Proprio «questo terzo momento» dell’evangelizzazione ha suggerito a Papa Francesco una riflessione «sulla domanda che fa questo ministro dell’economia: ecco, qui c’è dell’acqua, che cosa impedisce che io sia battezzato? Che cosa impedisce che la grazia venga a me?».

«Tante volte — è stata a questo punto la riflessione del Papa — allontaniamo la gente dall’incontro con Dio, allontaniamo la gente dalla grazia», perché non ci comportiamo come «facilitatori dei sacramenti».

Il racconto degli Atti degli apostoli prosegue e mostra il fine stesso dell’evangelizzazione. Infatti «quando risalirono dall’acqua, lo Spirito del Signore rapì Filippo e l’eunuco non lo vide più». È la conferma che c’era Dio in questo processo di evangelizzazione. Da una parte, ha spiegato ancora il vescovo di Roma, «l’eunuco pieno di gioia proseguiva la sua strada», dall’altra «Filippo invece si trovò ad Azoto ad evangelizzare la gente». Ecco la morale: quell’uomo che veniva da lontano, non aveva tanta cultura, leggeva la Bibbia perché gli era stato insegnato in Sinagoga. Ma aveva buona volontà, e sentì poi la gioia della grazia, di questa grazia che «è gratis, che non si può comprare perché non si vende: si dà». E proprio «con questa gioia quell’uomo incapace di generare, perché era un eunuco, porta in sé il seme di vita al suo popolo e genera un popolo di cristiani». Poi in quella regione andranno anche Matteo e Marco «a fondare le chiese».

Il passo degli Atti, ha rimarcato il Pontefice, «ci aiuterà a capire meglio che chi fa l’evangelizzazione è Dio: “Nessuno può venire a me se non lo attira il Padre che mi ha mandato”. È il Padre che attira a Gesù». E, ha aggiunto, «Gesù lo aveva detto un’altra volta allo stesso Filippo: Filippo, il Padre e io siamo una cosa».

In conclusione il Papa ha invitato a pensare «a questi tre momenti dell’evangelizzazione: la docilità dell’evangelizzare» facendo la volontà di Dio, «il dialogo con le persone» così come si trovano, e «affidarsi alla grazia» perché «è più importante la grazia che tutta la burocrazia». Ed ha invitato a riflettere bene sulla domanda dell’eunuco: «Cosa impedisce che io venga battezzato?». «Tante volte — ha infine notato — noi in chiesa siamo una ditta per fabbricare impedimenti perché la gente non possa arrivare alla grazia. Che il Signore ci faccia capire questo».

 




[Modificato da Caterina63 12/05/2014 22:23]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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