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Omelie del Papa nella Messa delle 7 del mattino a Santa Marta (3)

Ultimo Aggiornamento: 19/12/2014 11:38
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07/06/2014 15:30
 
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Il Papa ai sacerdoti: Gesù, il "primo amore" non si dimentica mai




Il Papa alla Messa a S. Marta: i sacerdoti non dimentichino mai il "primo amore"





06/06/2014



Pastori, prima che studiosi, che non dimenticano mai Cristo, il loro “primo amore”, e restano sempre alla sua sequela: è questo il ritratto che Papa Francesco, all’omelia della Messa celebrata in Casa S. Marta, ha fatto di tutti gli uomini consacrati a Dio nel sacerdozio. Il servizio di Alessandro De Carolis:

“Come va il primo amore?”. Cioè, sono innamorato di te come il primo giorno? Sono felice con te o ti ignoro? Domande universali che bisogna farsi spesso, dice Papa Francesco. E non solo i coniugi all’interno di una coppia, ma anche preti, vescovi, di fronte a Gesù. Perché è Lui, afferma, che ci domanda come un giorno fece con Pietro: “Simone, figlio di Giovanni, mi vuoi bene?”. L’omelia del Papa prende avvio proprio da questo dialogo del Vangelo in cui Cristo chiede per tre volte al primo degli Apostoli se lo ami più degli altri, un modo - osserva - per portarlo "al primo amore": 

“Questa è la domanda che faccio a me, ai miei fratelli vescovi e ai sacerdoti: come fa l’amore di oggi, quello che fa Gesù, no? E’ come il primo? Sono innamorato come il primo giorno? O il lavoro, le preoccupazioni un po’ mi fanno guardare altre cose, e dimenticare un po’ l’amore? Ma i coniugi litigano, litigano. E quello è normale. Ma quando non c’è amore, non si litiga: si rompe".

"Mai dimenticare il primo amore. Mai", ribadisce Papa Francesco, il quale mette in risalto altri tre aspetti da tenere presenti nel rapporto di dialogo di un sacerdote con Gesù. Essere prima di tutto – prima dello studio, prima del voler diventare “un intellettuale della filosofia o della teologia o della patrologia – un “pastore”, così come Gesù sollecitò Pietro: “Pasci le mie pecorelle”. Il resto, sostiene il Papa, viene “dopo”:

“Pasci. Con la teologia, con la filosofia, con la patrologia, con quello che studi, ma pasci. Sii pastore. Perché il Signore ci ha chiamati per questo. E le mani del vescovo sulla nostra testa è per essere pastori. E’ una seconda domanda, no? La prima è: ‘Come va il primo amore?’. Questa, la seconda: ‘Sono pastore, o sono un impiegato di questa ong che si chiama Chiesa?’. C’è una differenza. Sono pastore? Una domanda che io devo farmi, i vescovi devono fare, anche i preti: tutti. Pasci. Pascola. Vai avanti”.

E non c’è “gloria” né “maestà”, osserva Papa Francesco, per il pastore consacrato a Gesù: “No, fratello. Finirà nel modo più comune, anche più umiliante, tante volte: a letto, che ti danno da mangiare, che ti devono vestire… Ma inutile, lì, ammalato…”. Il destino è “finire – ripete – come è finito Lui”: amore che muore “come il seme del grano e così poi verrà il frutto. Ma io non lo vedrò”. Infine, il quarto aspetto, la “parola più forte”, indica Papa Francesco, con la quale Gesù conclude il suo dialogo con Pietro, “seguimi”:

“Se noi abbiamo perso l’orientamento o non sappiamo come rispondere sull’amore, non sappiamo come rispondere su questo essere pastori, non sappiamo come rispondere o non abbiamo la certezza che il Signore non ci lascerà da soli anche nei momenti più brutti della vita, nella malattia, Lui dice: ‘Seguimi’. E’ questa, la nostra certezza. Sulle impronte di Gesù. Su quella strada. ‘Seguimi’”.

A tutti noi sacerdoti e vescovi, termina Papa Francesco, il Signore dia “la grazia di trovare sempre o ricordare il primo amore, di essere pastori, di non avere vergogna di finire umiliati su un letto o anche persi di testa. E che sempre ci dia la grazia di andare dietro a Gesù, sulle impronte di Gesù: la grazia di seguirlo”. 




Il Papa: le Beatitudini, programma pratico di santità

Messa di Papa Francesco a Casa Santa Marta

09/06/2014

Le Beatitudini sono il programma di vita del cristiano. E’ quanto affermato da Papa Francesco nella Messa mattutina a Casa Santa Marta. Il Pontefice ha incentrato proprio sulle Beatitudini la sua omelia, rimarcando – all’indomani dello storico incontro di pace in Vaticano – che bisogna avere il coraggio della mitezza per sconfiggere l’odio. Il servizio di Alessandro Gisotti:

 

Le Beatitudini sono il “programma”, “la carta d’identità del cristiano”. Papa Francesco ha offerto, nella sua omelia, una intensa meditazione sulle Beatitudini, di cui parla il Vangelo odierno. “Se qualcuno di noi – ha affermato – fa la domanda: ‘Come si fa per diventare un buon cristiano?’”, qui troviamo la risposta di Gesù che ci indica cose “tanto controcorrente” rispetto a quello che abitualmente “si fa nel mondo”. Beati i poveri in spirito. “Le ricchezze – ha avvertito il Papa – non ti assicurano niente. Di più: quando il cuore è ricco, è tanto soddisfatto di se stesso, che non ha posto per la Parola di Dio”. Beati quelli che sono nel pianto, perché saranno consolati:

“Ma il mondo ci dice: la gioia, la felicità, il divertimento, quello è il bello della vita. E ignora, guarda da un’altra parte, quando ci sono problemi di malattia, problemi di dolore nella famiglia. Il mondo non vuole piangere, preferisce ignorare le situazioni dolorose, coprirle. Soltanto la persona che vede le cose come sono, e piange nel suo cuore, è felice e sarà consolata. La consolazione di Gesù, non quella del mondo. Beati i miti in questo mondo che dall’inizio è un mondo di guerre, un mondo dove dappertutto si litiga, dove dappertutto c’è l’odio. E Gesù dice: niente guerre, niente odio, pace, mitezza”.

Se io sono “mite nella vita”, ha proseguito, “penseranno che io sono uno stolto”. Pensino pure quello, ha detto il Papa, “ma tu sei mite, perché con questa mitezza avrai in eredità la Terra”. Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, beati – ha soggiunto – quelli “che lottano per la giustizia, perché ci sia giustizia nel mondo”. “E’ tanto facile – ha ammonito – entrare nelle cricche della corruzione”, “quella politica quotidiana del do ut des.Tutto è affari”. E “quante ingiustizie. Quanta gente che soffre per queste ingiustizie”. E Gesù dice: “Sono beati quelli che lottano contro queste ingiustizie”. Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia. I misericordiosi, ha affermato, “quelli che perdonano, che capiscono gli errori degli altri”. Gesù, ha evidenziato il Papa, non dice “beati quelli che fanno la vendetta, che si vendicano”:

“Beati quelli che perdonano, misericordiosi. Perché tutti noi siamo un esercito di perdonati! Tutti noi siamo stati perdonati. E per questo è beato quello che va per questa strada del perdono. Beati i puri di cuore, che hanno un cuore semplice, puro, senza sporcizie, un cuore che sa amare con quella purità tanto bella. Beati gli operatori di pace. Ma, è tanto comune da noi essere operatori di guerre o almeno operatori di malintesi! Quando io sento una cosa da questo e vado da quello e la dico e anche faccio una seconda edizione un po’ allargata e la riporto… Il mondo delle chiacchiere. Questa gente che chiacchiera, non fa pace, sono nemici della pace. Non sono beati”.

Beati i perseguitati per la giustizia. Quanta gente, ha constatato, “è perseguitata, è stata perseguitata semplicemente per avere lottato per la giustizia”. Questo delle Beatitudini, ha ripreso il Papa, “è il programma di vita che ci propone Gesù”, “tanto semplice, ma tanto difficile”. E, ha proseguito, “se noi volessimo qualcosa di più, Gesù ci dà anche altre indicazioni”, quel “protocollo sul quale noi saremo giudicati”, nel capitolo 25 del Vangelo di Matteo: “Sono stato affamato e mi hai dato da mangiare, ero assetato e mi hai dato da bere, ero ammalato e mi hai visitato, ero in carcere e sei venuto a trovarmi”. Con queste due cose – Beatitudini e Matteo 25 – “si può vivere la vita cristiana a livello di santità”:

“Poche parole, semplici parole, ma pratiche a tutti, perché il cristianesimo è una religione pratica: non è per pensarla, è per praticarla, per farla. Oggi, se voi avete un po’ di tempo a casa, prendete il Vangelo, il Vangelo di Matteo, capitolo quinto, all’inizio ci sono queste Beatitudini; capitolo 25, ci sono le altre. E vi farà bene leggerlo una volta, due volte, tre volte. Ma leggere questo, che è il programma di santità. Che il Signore ci dia la grazia di capire questo suo messaggio”.





 

Il Papa: Gesù ci chiede il coraggio di fare accordi per fermare l’odio

Messa del Papa a Casa Santa Marta

12/06/2014

Gesù ci insegna tre criteri per superare i conflitti tra noi: realismo, coerenza, filiazione. E’ quanto sottolineato da Papa Francesco nella Messa mattutina a Casa Santa Marta, incentrata sull’amore fraterno, insegnato da Gesù ai suoi discepoli. Il servizio di Alessandro Gisotti:

Come deve essere l’amore fra noi, secondo Gesù? Papa Francesco ha sviluppato la sua omelia soffermandosi sul passo del Vangelo odierno che racconta il dialogo del Signore con i suoi discepoli sull’amore fraterno. Gesù, ha osservato il Papa, ci dice che dobbiamo amare il prossimo, ma non come i farisei che non erano coerenti e “facevano tante sfumature di idee – perché erano ideologi”. Il loro atteggiamento, ha osservato, “non era amore”, era “indifferenza verso il prossimo”. Gesù, ha detto, “ci dà tre criteri”:

“Primo, un criterio di realismo: di sano realismo. Se tu hai qualcosa contro un altro e non puoi sistemare, cercare una soluzione, ma mettetevi d’accordo, almeno; ma, mettiti d’accordo con il tuo avversario, mentre sei in cammino. Non sarà l’ideale, ma l’accordo è una cosa buona. E’ realismo”.

“Lo sforzo di fare un accordo”, ha soggiunto, anche se c’è chi lo ritiene “una cosa troppo volgare”. Per salvare tante cose, infatti, “si deve fare un accordo. E uno fa un passo, l’altro fa un altro passo e almeno c’è la pace: una pace molto provvisoria, ma la pace dell’accordo”. Gesù, ha soggiunto, “dice anche questo, la capacità di fare accordi tra noi e superare la giustizia dei farisei, dei dottori della legge, di questa gente”. Ci sono “tante situazioni umane”, ha aggiunto, e “mentre siamo in cammino, facciamo un accordo”, “così fermiamo l’odio, la lotta tra noi”. Un secondo criterio che ci dà Gesù, ha detto, “è il criterio della verità”. E qui Papa Francesco ha avvertito che “sparlare dell’altro è uccidere, perché alla radice è lo stesso odio”, “lo uccidi” in “un un’altra maniera: con le chiacchiere, con le calunnie, con la diffamazione”. E Gesù ci avverte: “Quello che gli dice stupido, questo sta uccidendo il fratello, perché ha una radice d’odio”:

“E oggi pensiamo che non uccidere il fratello sia non ammazzarlo, ma no: non ucciderlo è non insultarlo. L’insulto nasce dalla stessa radice del crimine: è la stessa. L’odio. Se tu non hai odio, e non ucciderai il tuo nemico, tuo fratello, non insultarlo nemmeno. Ma cercare insulti è un’abitudine molto comune tra noi. C’è gente che per esprimere il suo odio contro un’altra persona ha una capacità di fiorire con questi fiori d’insulto, impressionante, tanto! E questo fa male. Sgridare. L’insulto … No, siamo realisti. Il criterio del realismo. Il criterio di coerenza. Non uccidere, non insultare”.

Il terzo criterio che ci dà Gesù, ha ripreso il Papa, “è un criterio di filiazione”. “Se tu, se noi non dobbiamo uccidere il fratello – ha affermato – è perché è fratello, cioè abbiamo lo stesso Padre. Io non posso andare dal Padre se non ho pace con il mio fratello”. “Non parlare con il Padre se non sei in pace con tuo fratello - è stata l’esortazione del Pontefice - almeno con un accordo”:

“Non parlare con il Padre senza essere in pace con il fratello. Tre criteri: un criterio di realismo, un criterio di coerenza, cioè non ammazzare ma nemmeno insultare, perché chi insulta ammazza, uccide; e un criterio di filiazione: non si può parlare con il Padre se non posso parlare con il mio fratello. E questo è superare la giustizia, quella degli scribi e dei farisei. Questo programma non è facile, no? Ma è la via che Gesù ci indica per andare avanti. Chiediamo a Lui la grazia di poter andare avanti in pace fra noi, sia con gli accordi ma sempre con coerenza e con spirito di filiazione”.




Il Papa: Dio ci prepara bene a svolgere la nostra missione

Papa Francesco alla Messa in Casa S. Marta

13/06/2014

Quando il Signore vuole affidarci una missione, “ci prepara” per farla “bene”. E la nostra risposta deve basarsi sulla preghiera e la fedeltà. È il pensiero di sintesi dell’omelia sviluppata da Papa Francesco alla Messa del mattino celebrata in Casa S. Marta. Il servizio di Alessandro De Carolis:

Si può essere un giorno coraggiosi avversatori dell’idolatria al servizio di Dio e quello dopo depressi al punto tale da voler morire perché qualcuno, nel corso del nostra missione, ci ha spaventati. A riequilibrare questi due estremi della forza e della fragilità umana è e sarà sempre Dio, purché si resti fedeli a Lui. È la storia del Profeta Elia, descritta nella lettura del Libro dei Re e presa da Papa Francesco nel suo insieme come modello dell’esperienza di ogni persona di fede. Il celebre brano liturgico del giorno mostra Elia sul Monte Oreb che riceve l’invito a uscire dalla caverna dove si trovava e a presentarsi al cospetto di Dio. Quando il Signore passa, un forte vento, un terremoto e un fuoco si materializzano in sequenza, ma in nessuno di essi Dio si manifesta. Poi, è la volta di un delicato soffio di brezza ed è in questo – ricorda il Papa – che Elia riconosce “il Signore che passava”:

“Il Signore non era nel vento, nel terremoto, nel fuoco, ma era in quel sussurro di una brezza leggera, nella pace o, come dice l’originale – proprio l’originale, un’espressione bellissima – dice: ‘Il Signore era in un filo di silenzio sonoro’. Sembra una contraddizione: era in quel filo di silenzio sonoro. Elia sa discernere dov’è il Signore, e il Signore lo prepara con il dono del discernimento. E poi, dà la missione”.

La missione che Dio affida a Elia è quella di ungere il nuovo re di Israele e il nuovo profeta chiamato a sostituire lo stesso Elia. Papa Francesco attira l’attenzione in particolare sulla delicatezza e il senso di paternità con cui questo compito viene affidato a un uomo che, capace di forza e zelo in un momento, ora sembra solo uno sconfitto. “Il Signore – afferma il Papa – prepara l’anima, prepara il cuore, e lo prepara nella prova, lo prepara nell’obbedienza, lo prepara nella perseveranza”:

“Il Signore, quando vuole darci una missione, vuole darci un lavoro, ci prepara. Ci prepara per farlo bene, come ha preparato Elia. E il più importante di questo non è che lui abbia incontrato il Signore: no, no, questo sta bene. L’importante è tutto il percorso per arrivare alla missione che il Signore confida. E questa è la differenza tra la missione apostolica che il Signore ci dà e un compito: ‘Ah, tu devi fare questo compito, devi fare questo…’, un compito umano, onesto, buono… Quando il Signore dà una missione, sempre fa entrare noi in un processo, un processo di purificazione, un processo di discernimento, un processo di obbedienza, un processo di preghiera”.

E “la fedeltà a questo processo”, prosegue Papa Francesco, è quella di “lasciarci condurre dal Signore”. In questo caso, con l’aiuto di Dio Elia supera il timore scatenato in lui dalla regina Gezabele, che lo aveva minacciato di ucciderlo:

“Questa regina era una regina cattiva e ammazzava i suoi nemici. E lui ha paura. Ma il Signore è più potente. Ma gli fa sentire come lui, il grande e bravo, anche ha bisogno dell’aiuto del Signore e della preparazione alla missione. Vediamo questo: lui cammina, obbedisce, soffre, discerne, prega, trova il Signore. Il Signore ci dia la grazia di lasciarci preparare tutti i giorni del cammino della nostra vita, perché possiamo testimoniare la salvezza di Gesù”.





Francesco: i danni dei corrotti li pagano i poveri

Il Papa alla Messa in Casa S. Marta: la corruzione la pagano i poveri

16/06/2014

La corruzione dei potenti finisce per essere “pagata dai poveri”, che per l’avidità degli altri finiscono senza ciò di cui avrebbero bisogno e diritto. Lo ha affermato Papa Francesco all’omelia della Messa del mattino in Casa S. Marta. “L’unica strada” per vincere “il peccato della corruzione”, ha concluso, è “il servizio” agli altri che purifica il cuore. Il servizio di Alessandro De Carolis:

 

Una storia “molto triste” che, pure se antichissima, è a tutt'oggi lo specchio di uno dei peccati più “a portata di mano”: la corruzione. Papa Francesco riflette sulla pagina della Bibbia, proposta dalla liturgia, che racconta la storia di Nabot, proprietario da generazioni di una vigna. Quando il re Acab – intenzionato, dice il Papa, “ad allargare un po’ il suo giardino” – gli chiede di vendergliela, Nabot rifiuta perché non intende disfarsi dell’”eredità dei suoi padri”. Il re prende molto male il rifiuto, così sua moglie Gezabele ordisce una trappola: con la complicità di falsi testimoni, fa trascinare in tribunale Nabot, che finisce condannato e lapidato a morte. E alla fine, consegna la vigna desiderata al marito, il quale – osserva Papa Francesco – la prende “tranquillo, come se niente fosse accaduto”. “Questa storia – commenta – si ripete continuamente” tra chi detiene “potere materiale o potere politico o potere spirituale”:

“Sui giornali noi leggiamo tante volte: ah, è stato portato in tribunale quel politico che si è arricchito magicamente. E’ stato in tribunale, è stato portato in tribunale quel capo di azienda che magicamente si è arricchito, cioè sfruttando i suoi operai. Si parla troppo di un prelato che si è arricchito troppo e ha lasciato il suo dovere pastorale per curare il suo potere. Così i corrotti politici, i corrotti degli affari e i corrotti ecclesiastici. Dappertutto ce ne sono. E dobbiamo dire la verità: la corruzione è proprio il peccato a portata di mano, che ha quella persona che ha autorità sugli altri, sia economica, sia politica, sia ecclesiastica. Tutti siamo tentati di corruzione. E’ un peccato a portata di mano. Perché quando uno ha autorità si sente potente, si sente quasi Dio”.

Del resto, prosegue Papa Francesco, si viene corrotti lungo la “strada della propria sicurezza”. Con “il benessere, i soldi, poi il potere, la vanità, l’orgoglio… E di là, tutto. Anche uccidere”. Ma, si domanda il Papa, “chi paga la corruzione?” Chi “ti porta la tangente”? No, sostiene, questo è ciò che fa “l’intermediario”. La corruzione in realtà “la paga il povero”:

“Se parliamo dei corrotti politici o dei corrotti economici, chi paga questo? Pagano gli ospedali senza medicine, gli ammalati che non hanno cura, i bambini senza educazione. Loro sono i moderni Nabot, che pagano la corruzione dei grandi. E chi paga la corruzione di un prelato? La pagano i bambini, che non sanno farsi il segno della croce, che non sanno la catechesi, che non sono curati. La pagano gli ammalati che non sono visitati, la pagano i carcerati che non hanno attenzioni spirituali. I poveri pagano. La corruzione viene pagata dai poveri: poveri materiali, poveri spirituali”.

Invece, afferma Papa Francesco, “l’unica strada per uscire dalla corruzione, l’unica strada per vincere la tentazione, il peccato della corruzione, è il servizio”. Perché, spiega, “la corruzione viene dall’orgoglio, dalla superbia, e il servizio ti umilia”: è la “carità umile per aiutare gli altri”:

“Oggi, offriamo la Messa per questi - tanti, tanti... – che pagano la corruzione, che pagano la vita dei corrotti. Questi martiri della corruzione politica, della corruzione economica e della corruzione ecclesiastica. Preghiamo per loro. Che il Signore ci avvicini a loro. Sicuramente era molto vicino a Nabot, nel momento della lapidazione, come era molto vicino a Stefano. Che il Signore gli sia vicino e gli dia forza per andare avanti nella loro testimonianza, nella propria testimonianza”.







[Modificato da Caterina63 16/06/2014 19:04]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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