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San Giovanni XXIII, il papa sconosciuto

Ultimo Aggiornamento: 27/07/2014 09:48
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18/05/2014 22:33
 
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"In questo nostro tempo la Chiesa vede la comunità umana gravemente turbata aspirare ad un totale rinnovamento. E mentre l’umanità si avvia verso un nuovo ordine di cose, compiti vastissimi sovrastano la Chiesa, come sappiamo avvenuto in ogni più tragica situazione. Questo si richiede ora alla Chiesa: di immettere l’energia perenne, vivificante, divina del Vangelo nelle vene di quella che è oggi la comunità umana, che si esalta delle sue conquiste nel campo della tecnica e delle scienze, ma subisce le conseguenze di un ordine temporale che taluni hanno tentato di riorganizzare prescindendo da Dio" (1)

 

Proseguendo dalla prima parte e dalla seconda parte, vogliamo concludere questo ciclo di articoli dedicati al Papa "sconosciuto" approfondendo l'evento del Concilio Vaticano II e fortemente voluto dal Roncalli.

 

Dalla Costituzione apostolica sopra accennata troviamo tutte le premesse per comprendere quelle autentiche motivazioni che spinsero il Pontefice a radunare l'intera Chiesa per capire come affrontare un mondo che, modificandosi e progredendo, lo stava facendo "prescindendo da Dio".

Il primo allarme che il Papa intuisce è quel progredire a "prescindere da Dio".

 

Naturalmente fa discutere ancora oggi quel passo contro i "profeti di sventura" di cui tanto si è scritto e che ben ebbe a spiegare il cardinale Biffi nelle sue "memorie di un cardinale italiano", tuttavia più che fermarci alla frase sviscerata da molti, a noi preme partire dalle istanze attraverso le quali il Papa arriva a pronunziarla, egli scrive prima:

"Queste dolorose cause di ansietà si configurano alla nostra considerazione come un motivo per richiamare la necessità di vigilare e rendere ognuno cosciente dei suoi doveri. Sappiamo che la visione di questi mali deprime talmente gli animi di alcuni al punto che non scorgono altro che tenebre, dalle quali pensano che il mondo sia interamente avvolto. Noi invece amiamo riaffermare la Nostra incrollabile fiducia nel divin Salvatore del genere umano, che non ha affatto abbandonato i mortali da lui redenti. Anzi, seguendo gli ammonimenti di Cristo Signore che ci esorta ad interpretare "i segni dei tempi" (Mt 16,3), fra tanta tenebrosa caligine scorgiamo indizi non pochi che sembrano offrire auspici di un’epoca migliore per la Chiesa e per l’umanità" (2).

 

Giovanni XXIII dunque non ce l'ha prettamente con i "profeti di sventura", egli mette a nudo, riconosce e non sottovaluta che  esistono davvero "dolorose cause"; la necessità di essere "vigilanti e di attendere ai propri doveri"; riconosce la "visione di questi mali", ma - ed ecco la novità - nonostante tutto ciò sia vero:

" Noi invece amiamo riaffermare la Nostra incrollabile fiducia nel divin Salvatore del genere umano, che non ha affatto abbandonato i mortali da lui redenti..."

Il che non esclude la buona battaglia dal momento che egli stesso scrive prima: " Questo si richiede ora alla Chiesa: di immettere l’energia perenne, vivificante, divina del Vangelo nelle vene di quella che è oggi la comunità umana, che si esalta delle sue conquiste nel campo della tecnica e delle scienze, ma subisce le conseguenze di un ordine temporale che taluni hanno tentato di riorganizzare prescindendo da Dio.."

 

L'energia che voleva immettere il Papa non era certo l'abbandono della Dottrina, al contrario! Invitando i "profeti di sventura" a non perdere la speranza, la battaglia è più accesa che mai. Giovanni XXIII vuole cambiare il metodo, i modi fino ad allora usati dalla Chiesa. Modi "nuovi" come nuovi erano i problemi che si affacciavano nella società.

 

Benedetto XVI, parlando di ermeneutiche - rottura e di continuità - dunque di interpretazioni,  sottolinea Gherardini, ha messo in luce un principio basilare: «un Concilio non sarà mai di rottura, perché dipende dalla sua continuità con la dottrina di sempre» (3).

Non sembra perciò inutile ricordare e sottolineare che l’intenzione pastorale del Concilio non significa che esso non sia dottrinale, nè Roncalli voleva dire il contrario.

Le prospettive pastorali si basano infatti, e non potrebbe essere diversamente, sulla dottrina. Ma occorre, soprattutto, ribadire che la dottrina è indirizzata alla salvezza, il suo insegnamento è parte integrante della pastorale. Inoltre, nei documenti conciliari è ovvio che ci sono molti insegnamenti di natura prettamente dottrinale: sulla divina Rivelazione, sulla Chiesa, ecc. Come scrisse il beato Giovanni Paolo II, «con l’aiuto di Dio i Padri conciliari hanno potuto elaborare, in quattro anni di lavoro, un considerevole complesso di esposizioni dottrinali e di direttive pastorali offerte a tutta la Chiesa» (4)

 

Ed infatti chiare furono le parole di Papa Giovanni:

"...abbiamo reputato nostro impellente dovere di rivolgere il pensiero, riunendo le forze di tutti i Nostri figli, a fare in modo che la Chiesa si dimostrasse sempre più idonea a risolvere i problemi degli uomini contemporanei. Per questo motivo, come obbedendo ad una voce interiore e suggerita da una ispirazione venuta dall’alto, abbiamo giudicato essere ormai maturi i tempi per offrire alla Chiesa cattolica e a tutta la comunità umana un nuovo Concilio Ecumenico che continuasse la serie dei venti grandi Concili, che hanno ottimamente contribuito nel corso dei secoli all’incremento della grazia celeste negli animi dei fedeli e al progresso del cristianesimo (..) si celebra felicemente in un momento in cui la Chiesa avverte più vivo il desiderio di irrobustire la sua fede con forze nuove " (5).

 

Per il Papa era chiaro: riunire le forze perchè la Chiesa si dimostrasse sempre più idonea a risolvere i problemi degli uomini contemporanei... un Concilio, pertanto, che come gli altri concili: " che hanno ottimamente contribuito nel corso dei secoli all’incremento della grazia celeste negli animi dei fedeli e al progresso del cristianesimo", dunque al progresso del cristianesimo, irrobustire questa fede e non al suo regresso, non alle sue modifiche!

 

Che cosa è dunque accaduto?

 

Per carità! Ci asteniamo chiaramente dal voler fare noi qui una ulteriore polemica, giusta o sbagliata che fosse, a torto o a ragione, dei contenuti del Concilio e di ciò che accadde, penne più eccellenti della nostra hanno scritto come già il citato mons. Gherardini al quale saremo eternamente grati, e altri (6)(7).

 

Ciò che ci preme sondare ed approfondire lo possiamo riassumere così:

 

"San Pio X non esitò, come un chirurgo deciso; ma si trattava di un cancro maligno (il modernismo n.d.r): enucleato da dove appariva più sviluppato, si moltiplicò per metastasi in tutto l'organismo, subdolamente durante il pontificato di Pio XII, per protendere poi arditamente i suoi tentacoli in occasione del Vaticano II.

Non mirò forse il modernismo a infamare la stessa agonia di Pio XII, che lo aveva tenuto a freno? E non si pretese da qualcuno di riformare le stesse strutture della Chiesa, nello spirito del Vaticano II – a sentir loro! – senza mai precisare che si dovesse intendere per strutture, perché si mirava solo a deformare e a distruggere? Che di sano si è lasciato?

In nome della Bibbia, per fedeltà al Cristo – a sentir loro!

La novella Pentecoste mirò in realtà a rifare da zero, e quindi innanzi tutto a ridurre a zero, quanto era stato edificato dalla prima e unica vera Pentecoste biblica.

Nella Chiesa, inondata dallo Spirito Santo della vera, ed unicamente vera, Pentecoste , non si trovò nulla di buono, di evangelico: duemila anni di vita della Chiesa, duemila anni di errori, di infedeltà a Nostro Signore ed al Vangelo; duemila anni di colpe delle quali chiedere perdono, se non a Dio almeno agli uomini" (8).

 

Quello che chiamiamo, a ragione, il Cavallo di Troia non fu altro che l'ultimo atto preparato dal modernismo cattolico, già da anni alla sua costruzione, e pronto ad inserirlo dentro la Chiesa alla prima occasione; l'occasione d'oro fu appunto il Concilio.

 

Scriveva don Barsotti:

"Io sono perplesso nei confronti del Concilio: la pletora dei documenti, la loro lunghezza, spesso il loro linguaggio, mi fanno paura. Sono documenti che rendono testimonianza di una sicurezza tutta umana più che di una fermezza semplice di fede. Ma soprattutto mi indigna il comportamento dei teologi".

"Il Concilio e l'esercizio supremo del magistero è giustificato solo da una suprema necessità. La gravità paurosa della situazione presente della Chiesa non potrebbe derivare proprio dalla leggerezza di aver voluto provocare e tentare il Signore? Si è voluto forse costringere Dio a parlare quando non c'era questa suprema necessità? È forse così? Per giustificare un Concilio che ha preteso di rinnovare ogni cosa, bisognava affermare che tutto andava male, cosa che si fa continuamente, se non dall'episcopato, dai teologi" (9).

A giudizio di Radaelli, la crisi attuale della Chiesa non consegue da una errata applicazione del Concilio, ma da un peccato d'origine compiuto dal Concilio stesso.

Tale peccato d'origine sarebbe l'abbandono del linguaggio dogmatico – proprio di tutti i precedenti concili, con l'affermazione della verità e la condanna degli errori – e la sua sostituzione con un vago nuovo linguaggio "pastorale".

Va detto – e Radaelli lo fa notare – che anche tra gli studiosi di orientamento progressista si riconosce nel linguaggio pastorale una novità decisiva e qualificante dell'ultimo Concilio. È ciò che ha sostenuto di recente, ad esempio, il gesuita John O'Malley nel suo fortunato saggio "Che cosa è successo nel Vaticano II".

 

Quanto segue ora è tratto, da noi liberamente e condensato, dal libro: "Papi in libertà" (10)

da pag. 255 a pag.261 c'è una meticolosa descrizione del difficile rapporto fra Pio XII e l'allora Vescovo Montini, futuro Paolo VI.... padre Josè, pur sottolineando che "le ragioni" di un certo ben risaputo rapporto non felice fra i due, non è stato mai chiarito, egli avanza tuttavia con dei fatti ben conosciuti nell'ambiente.

 

La situazione

 

Alla morte di Pio XII, nel 1958, si presentò un grande dilemma nella Chiesa.

Da una parte il lungo Pontificato di Pacelli era stato segnato dal prestigio indiscutibile di un pontefice che, più passavano gli anni, più concentrava potere nelle sue mani, anche perchè era cosciente delle tensioni che crescevano all'interno del mondo cattolico....

Dall'altra parte la Seconda Guerra Mondiale, con i suoi totalitarismi ed orrori, aveva aperto il dilemma non soltanto a nuove possibili distruzioni a livello mondiale, ma soprattutto alla necessità di un dialogo più aperto verso un mondo che voleva scardinare i valori tradizionali e perfino Dio....

In questo scenario si rafforzarono alcuni quadri all'interno della Chiesa che credevano più importante l'apertura ad un dialogo con il mondo sacrificando la parte magisteriale dogmatica e dottrinale della Chiesa, mentre si fecero più pressanti quelle parti definite poi "conservatori" che ritenevano più importante invece mantenere ad ogni costo la purezza del dogma e della morale cattolica, nonostante il pericolo di naufragare con chi si sarebbe potuto invece salvare.

Nascono così negli anni Quaranta e Cinquanta dei movimenti come quello della Nouvelle Théologie e dei sacerdoti operai che mantennero prima una posizione d'avanguardia tanto da essere tollerati dalla Chiesa, salvo poi, quando furono oggetto di condanna papale, agire più cautamente per non perdere un pò di tolleranza e agire così ugualmente efficacemente.

 

Non è un segreto di oggi che molti all'epoca desideravano la morte di Pio XII che consideravano il maggior ostacolo alla vera riforma della Chiesa.... e non si può negare l'importante ruolo svolto dal cardinale Ottaviani, che si rivelò essere un vero e provvidenziale "angelo custode" per il Pontefice ma anche per la conservazione dottrinale della Chiesa contro la deriva "progressista-modernista".

 

Il vero scontro fra l'ala conservatrice e progressista della Chiesa non avvenne con il Concilio Vaticano II come molti pensano, ma bensì nel Conclave del 1958, con il quale si pensò appunto ad eleggere un Pontefice "innovatore".

L'uomo "chiave" dell'ala innovatrice era Giovanni Battista Montini, Arcivescovo di Milano dal 1954, tuttavia impossibile dall'essere eletto in quanto non era stato fatto cardinale poichè - ed anche qui non è un segreto - Pio XII gli negò la porpora per ragioni che ancora non sono state del tutto chiarite ufficialmente.

 

Il Conclave del 1958

 

Dal lato dei Conservatori-tradizionali c'era un giovane candidato, il cardinale Giuseppe Siri che all'epoca aveva cinquantadue anni e pertanto difficilmente eleggibile, così almeno si pensava all'epoca tanto che, alla voce di chi voleva Siri Papa, rispondeva un'altra voce che diceva: " Vogliamo un Padre santo, non un Padre eterno!" a sottolineare la giovane età del prelato.

Si optò così per un "Papa di transizione", accettabile da entrambi gli schieramenti e fu scelto il cardinale Roncalli, appoggiato e sostenuto anche dal cardinale Ottaviani che lo riteneva "aperto, ma ortodosso nella dottrina".

e qui si apre un altro piccolo giallo....

l'ala innovatrice del Conclave diede i voti a Roncalli ma imponendogli una condizione, ossia che al primo Concistoro Montini fosse fatto cardinale, liberandogli in tal modo la strada pensando già alla sua successione.

Non sappiamo come Roncalli rispose, sta di fatto che egli  mantenne la promessa e Montini fu il primo cardinale nel suo primo concistoro!

 

Su Giovanni XXIII molto si è detto e forse dell'imprudenza di aprire un Concilio del quale egli stesso non sospettò affatto le conseguenze, c'è da dire, per onor del vero, che le sue intenzioni erano davvero buone.

Egli non voleva affatto rivoluzionare la Chiesa, pensava di estendere i frutti del Sinodo Romano del 1960 con un approccio semplicemente conservatore e dare l'opportunità a tutti i Vescovi della terra di potersi incontrare  e parlarsi dei problemi delle rispettive comunità e trovare nuovi modi per comunicare la sana dottrina in un mondo che cambiava vertiginosamente, il Papa non voleva altro!

Tuttavia fu egli stesso imprudente perchè nella composizione dell'assemblea in chiave ecumenica, non ci si poteva attendere il risultato da lui desiderato e avrebbe dovuto sospettare il ribaltamento delle sue stesse intenzioni.

Giovanni XXIII, imprudentemente dunque, fece imbarcare la Chiesa in una avventura della quale nessuno sapeva come sarebbe potuta finire. Insomma, fece entrare il Cavallo di Troia al Concilio.

Il cardinale Tisserant disse, quando morì Giovanni XXIII, che la Chiesa "avrebbe impiegato 40 anni per riprendersi dal danno causato da questo Papa".

Forse anche più di 40 anni, non è forse reale che le parole di Tisserant le stiamo vivendo oggi sulla nostra pelle?

 

Il Conclave del 1963

 

... nel 1963, nel Conclave, si riaccese la rivalità fra Conservatori-tradizionalisti e progressisti-modernisti.

Tuttavia a differenza dell'ala Conservatrice che non aveva chiaro un unico candidato, anche se proponevano Ildebrando Antoniutti appoggiato da Ottaviani, l'ala innovatrice era questa volta compatta verso Montini, unico candidato appoggiato per altro in una famosa riunione a Grottaferrata dai cardinali Frings e Lercaro che portarono a termine una fruttuosa campagna per Montini che infatti fu eletto Papa.

 

Paolo VI fu un Papa molto complesso e contraddittorio, appare quasi impossibile tracciarne un unico verdetto.

Era un uomo che pensando dieci cose, nove le ricambiava nell'attuazione, c'è per esempio l'incomprensibile ripensamento della tiara.

Quando Montini divenne Papa e l'arcidiocesi di Milano organizzò una sottoscrizione per donargli la tiara, pochi sanno che fu lo stesso Montini ad ordinarne la composizione.

Fu Montini a scegliere il disegno ispirandosi alla forma usata da Bonifacio VIII per l'Anno Santo del 1300.

Ma come poi ben sappiamo dalla storia, appena egli ne fu incoronato, il 30 giugno del 1963, la diede in vendita per dare il ricavato ai poveri.

Ancora oggi non si discute tanto sulla tiara in quanto ornamento, venduto per darne il ricavato ai poveri, nobile gesto, quanto il fatto di una arbitraria decisione nel voler eliminare il simbolo del potere per modificare l'immagine della Chiesa.

 Il dubbio che Montini ha fatto scaturire è stato proprio quello di una immagine di Chiesa che per la prima volta cambiava non a seguire la Tradizione ma seguendo l'andamento del mondo.

Paolo VI inaugurò una immagine di Chiesa fondata sull'onda emotiva del momento e a seconda delle capacità comunicative del Pontefice eletto. Tolta la tiara, del resto, bisognava sostituirla con qualcos'altro che, altro non fu, che un pontificato ad personam nel quale il carisma del Pontefice di turno andava sostituendo il simbolo della tiara.

 

L'atteggiamento incomprensibile e volubile della complessa personalità di Paolo VI, lo si evince anche quando perfino l'ala progressista che lo aveva eletto fin dal Conclave del 1958, eleggendo Roncalli solo come transizione in attesa di avere Montini cardinale, ne rimase profondamente delusa...

Paolo VI che sembrava il grande innovatore e il propugnatore delle cause dell'ala progressista, si arrestò tuttavia di fronte alle questioni etiche e morali difendendo la dottrina della Chiesa categoricamente fino a scrivere la Humanae Vitae e la Mysterium Fidei che salverà lo stesso Pontefice da ogni dubbio circa l'ortodossia della fede.

In questo modo Paolo VI si trovò completamente "solo", incompreso sia dall'ala progressista che lo aveva eletto, sia dall'ala conservatrice che temeva le sue idee innovatrici.

Incompreso o meno resta palese che Paolo VI agì spesse volte in modo contraddittorio, con uno stile tutto suo spesso autonomo come quando, appunto, agiva di nascosto alle spalle di Pio XII.

 

I Papi che seguirono Paolo VI ebbero così  a che fare con una eredità gravosa: rendere credibile una immagine di Chiesa che da una parte si rifletteva in qualità di "amica del mondo" togliendole i fasti, il simbolo del potere temporale e spirituale che era la tiara e perfino la sedia gestatoria, e dall'altra ne condannava ancora una volta i vizi e i peccati. La capacità della Chiesa di essere credibile non partiva più dalla sua dottrina, ma dalla capacità del Pontefice nel renderla credibile.

Quanto questa rivoluzione sia stata giusta o meno, lo dirà la storia, certo è che la crisi della Chiesa comincia proprio da quando ne venne intaccata l'immagine a partire dalla Liturgia, ma questa è un altra pagina che valuteremo in altri contesti dedicando, anche a Paolo VI, ulteriori articoli.

 

Ritorniamo ora al Concilio

 

"C'è un concilio "virtuale", veicolato dai media e costruito secondo categorie "politiche" estranee alla fede, che in questi cinquant'anni ha provocato non pochi problemi e difficoltà alla Chiesa. E che oggi sta lasciando il posto al vero concilio "dei padri", la cui forza spirituale costituisce il motore dell'autentico rinnovamento ecclesiale" (11)

Quella che doveva essere una "piccola chiacchierata" sul Vaticano II si è trasformata in una illuminante testimonianza e lectio magistralis che i preti di Roma, riuniti nell'Aula Paolo VI la mattina di giovedì 14 febbraio, hanno ascoltato dalla voce dell'allora "perito conciliare" Joseph Ratzinger.

e ancora:

"Io ricordo questo nostro caro padre, insegnante di diritto canonico ci diceva sempre così: id quod voluit, legislator dixit, quod taquit , noluit, cioè quello che il legislatore ha voluto dire, lo ha veramente detto, quello che ha taciuto, non ha voluto dirlo. Va bene, carissimi, questa era l’interpretazione autentica e anche dei testi conciliari. Quindi praticamente è inutile che questi signori vengano a dire: va bene che la lettera del concilio è quella che i vangeli sono veramente storici, ma però lo spirito del concilio e via dicendo. Lo spirito del concilio semplicemente non esiste o per lo meno si potrebbe dire in tedesco che è un gaist, cioè un non spirito, uno spirito piuttosto maligno; allora bisogna essere estremamente attenti a non interpretare male il concilio, sia pure ci sono certi momenti in cui alcuni testi conciliari potrebbero prestarsi anche a questa sbagliata interpretazione...." (12)

 

Dunque, negli anni del Concilio Vaticano II balzano agli onori delle cronache i più fulgidi esponenti della “Nouvelle Theologie” (e non solo), teologi francesi, tedeschi, svizzeri in genere. Il Concilio in un certo senso diventa “loro” (o così pensano). In altri concili, così come accadde per altre riforme liturgiche, l’opera di approfondimento e attualizzazione del dogma cattolico è sempre stata ad opera dei santi più che dei teologi. Perché questa improvvisa importanza degli intellettuali?

La “Nuova Theologia”, come concetto, non nasce con il Concilio Vaticano II. A fare i pignoli essa comincia a svilupparsi, come concetto moderno, con il Protestantesimo liberale e la sua devastante Sola Scriptura. Con l’Illuminismo (con tutti gli “ismi” raggruppati fino ad oggi), poi, troverà un terreno fertile che esploderà nei primi del Novecento tanto da far intervenire il pontefice san Pio X che, con autentico spirito profetico, condannerà quel concetto di modernismo.

La crisi di questa insistente teologia modernista metterà a dura prova anche il venerabile Pio XII, che porrà un freno al suo espansionismo con l’enciclica Humani Generis, ma più che un freno questa sarà solo un tamponamento (13).

Il comune denominatore della Nuova Teologia lo possiamo ricondurre a questa spiegazione: l’ideale di una maggiore libertà della ricerca teologica, scardinata dalle dottrine esistenti, e un pluralismo teologico capace di rimettere in discussione la storia stessa della Chiesa e delle dottrine emanate. Un ripartire da capo con la possibilità di modificare.

 

E, attenzione, tutto ciò non era assolutamente nelle intenzioni di Giovanni XXIII, men che meno nelle intenzioni di apertura del Concilio, questo era il contenuto del Cavallo di Troia introdotto per mezzo del Concilio: Benedetto XVI lo ha definito il "concilio virtuale" quello dei Media, a noi piace definirlo più concretamente come un Cavallo di Troia o, come altri dicono, il vaso di Pandora.

Con l’avvento del Concilio è stato modificato anche il senso della critica e spesso si confonde una giusta critica con l’ingiusta accusa del “voler giudicare gli altri”: così ti sbattono in faccia il versetto biblico del “non giudicare”! Il punto è che questi teologi non credono di aver deviato quanto piuttosto che sia la Chiesa ad avere avuto la necessità di una deviazione. O peggio: che la Chiesa era deviata e loro l’hanno rimessa in riga. Consapevoli? Senza dubbio sì, naturalmente in nome della “buona fede” e, naturalmente, in nome “dell’umanità e della libertà dell’uomo”. Come se la Chiesa, in questi duemila anni, non avesse fatto nulla o peggio, come se avesse tenuto nascosta all’uomo la verità.

 

Le contraddizioni che abbiamo appena letto, subentrate di fatto e con prepotenza nel Concilio, sono letteralmente già annunciate dalle parole di Giovanni XXIII che, del Concilio, intendeva tutt'altra cosa:

" (la Chiesa) Sa benissimo quanto giovino alle anime immortali quegli aiuti e quei soccorsi che sono atti a rendere più umana la vita dei singoli individui, della cui salvezza eterna bisogna aver cura. Essa sa che, illuminando gli uomini della luce di Cristo, è loro utile per conoscersi a fondo. Infatti li guida a capire che cosa essi sono, per quale dignità eccellano, quale fine debbano perseguire. Ne consegue che in questi tempi la Chiesa è presente, di diritto e di fatto, negli organismi internazionali, e da essa viene elaborata un’accurata dottrina sociale che tratta delle famiglie, delle scuole, dell’occupazione, della comunità e della solidarietà degli uomini, nonché di tutte le questioni similari; per effetto di tale insegnamento la Chiesa ha conseguito un livello così elevato di dignità che la sua voce incisiva gode di somma autorità tra tutti i periti, come interprete e propugnatrice dell’ordine morale e portavoce dei diritti e dei doveri sia degli individui che della comunità..." (14)

 

Una piccola parentesi

 

Gesù, se, eleggendo Pietro come suo vicario visibile, ha promesso a lui e ai suoi successori soltanto l'assistenza che ne rende infallibile il magistero, non ha però dispensato né loro, né i vescovi, né i sacerdoti, né i fedeli dallo sforzo del tutto personale necessario per pensare e vivere in modo conforme alle verità professate, dice infatti Gesù a Simone: "Simone, Simone, ecco satana vi ha cercato per vagliarvi come il grano; ma io ho pregato per te, che non venga meno la tua fede; e tu, una volta ravveduto, conferma i tuoi fratelli" (Luca 22,31-32).

L'infallibilità del Papa non è qualcosa di automatico che si acquista con la elezione senza fare nulla di proprio, la preghiera di Gesù è senza dubbio la garanzia dell'infallibilità acquisita, subentra la Grazia di Stato, ma c'è una clausola perchè la Grazia produca l'effetto: " e tu, una volta ravveduto...".

Se il Papa, come Pastore universale, non può errare, non si esclude perciò che - come persona privata - possa essere assalito dal dubbio, tentato di apostasia, nutrire opinioni errate, sentirsi a volte persino più buono di Gesù stesso, esageratamente "infervorato"...

Molto meno può escludersi che sia moralmente mediocre (e persino corrotto!), soggetto a debolezze ed errori più o meno gravi, motivando perciò la critica dei contemporanei e severi giudizi della storia, di ciò basta sfogliare le storie dei Papi.

La Chiesa - in quanto  Istituzione divina  e perciò a riguardo del Deposito della fede - scrive S. Caterina da Siena, non ha bisogno di essere riformata perché «non diminuisce né si guasta per i difetti dei suoi ministri»(15)

Dunque, chi confonde "la Chiesa" con gli uomini di Chiesa - Papa compreso - induce ad attribuire a questa le colpe dei suoi membri.

 

E' ovvio, pertanto che, la riforma di cui si parlava, si parla ed oggi si discute, non poteva e non può riguardare la Chiesa in quanto tale nel suo corpus dottrinale, quanto invece all'aspetto esteriore dei gesti, della predicazione, dei modi attraverso i quali le Membra (dal Papa all'ultimo dei fedeli) debbono portare sempre la medesima Dottrina ad un mondo in evoluzione e in un impietoso stato di suicidio culturale.

Il paradosso o, se volete, la contraddizione che viviamo è che in realtà dallo stesso Giovanni XXIII in poi, nessun Papa voleva questa deriva, ma ognuno di loro ha messo del suo, abbassando di fatto la guardia, perché alla fine avvenisse. Sono stati imprudenti!

Di fronte a queste incomprensioni, non possiamo far altro che tirare in causa Nostro Signore e pensare, ragionevolmente, che Egli stesso abbia permesso questi fatti per cause a noi ignote e che forse risultano chiarissime all’interno del Suo progetto. Rammentiamo infatti il monito di Gesù: “E’ necessario che gli scandali avvengano” (mentre fulmina coloro che scandalizzano).

Gli scandali all’interno della Chiesa sono nati con la Chiesa stessa, come maturano insieme grano e gramigna, come esistono servi giusti e servi infingardi, come crescono senapi rigogliosi e fichi sterili. I Vangeli non nascondono l’uomo all’uomo, anzi, preannunciano un cammino tortuoso e difficile, per nulla agevolato dall’appartenere alla Chiesa.

E questa Santa Chiesa non ha mai conosciuto isole di tranquillità nel suo navigare sulle correnti della storia. Anzi, spesso i venti contrari sono stati più numerosi di quelli favorevoli. Tuttavia, questa Chiesa continua ostinata per la sua strada, rispondendo al mandato di Cristo.

 

 

Non a caso Benedetto XVI nell'indizione dell'apertura dell'Annus Fidei, scrive:

"intendo ribadire con forza quanto ebbi ad affermare a proposito del Concilio pochi mesi dopo la mia elezione a Successore di Pietro: se lo leggiamo e recepiamo guidati da una giusta ermeneutica, esso può essere e diventare sempre di più una grande forza per il sempre necessario rinnovamento della Chiesa".. (16)

Tale "rinnovamento" - dirà spesse volte Ratzinger e poi nelle vesti di Benedetto XVI - è sempre rivolto ai modi di portare la Dottrina, alla conversione delle Membra e non de "la Chiesa" che nel Credo professiamo "una, santa, cattolica ed apostolica", diversamente sarebbe una contraddizione in termini e dottrina, ed è ciò che è invece avvenuto durante e dopo il Concilio.

 

Due esempi limiti - ma purtroppo neppure limitati - sono riportati dall'allora Patriarca di Venezia, Albino Luciani, futuro Giovanni Paolo I, quando in una lettera alla diocesi del 14.3.1972 scrive: «Alla basilica del Santo Sepolcro di Gerusalemme le guardie israeliane, in servizio alla porta, consigliano due donne a ripresentarsi vestite più decentemente. “Ma siamo suore!”, obiettano le donne. Sì, suore ultraconciliari in minigonna troppo audace!... Un vicario cooperatore accompagna il funerale in maglietta e calzoni lunghi; disdegna anticonformisticamente cotta e stola; in compenso suffraga il morto, accostando il transistor all’orecchio per seguire la partita di calcio» (17)

 

E ancora così spiegava l'ambiguità di certo dialogo emerso dal Concilio, sempre Albino Luciani Patriarca a Venezia il 14.3.1972: “Dialogo. Ricorre, esso o i suoi sinonimi, una cinquantina di volte nei documenti conciliari. Nel suo nome la Chiesa sta gettando ponti in tre direzioni: cristiani separati, non cristiani e non credenti; tenendo conto di più di quel che unisce che di quello che ci divide, essa ha risolto o tenta di risolvere malintesi vecchi di secoli, rende giustizia agli ebrei e a Galileo, confessa umilmente che alcuni suoi uomini hanno sbagliato. Ciò è bello, dice passione per l’unità dei cristiani, dice umiltà, apertura, comprensione, maturazione e rispetto verso le opinioni religiose altrui. Altra cosa - invece - è affermare - dialogando - che la Chiesa cattolica ha delle manchevolezze costitutive, né più né meno delle altre chiese; anch’essa non si trova in situazione migliore delle altre e, per arrivare all’unità, deve fare solo questo: salire con le altre chiese verso Cristo; confessare - sempre alla pari delle altre chiese - le proprie colpe e rinunciare alla antica sua sicurezza circa il proprio “Credo”. Questo porta a cedimenti e compromessi sul terreno della fede, ad un irenismo a spese di verità, che non sono cosa nostra, ma solo “deposito” a noi affidato e da conservare gelosamente. Sarebbe poi ingenuo credere che il dialogo dottrinale sia una cosa facile; esso ha i suoi rischi e lo può condurre utilmente solo chi ha sicura preparazione dottrinale e psicologica” (18).

 

Ci chiediamo, a questo punto e per giungere ad una conclusione:

come mai uno sbandamento di tale portata nell’interpretazione del Concilio?

C’è una spiegazione di ordine razionale almeno, se non di fede e di fede cattolica?

Sì. E ci proviamo a documentarla (19).

Giovanni XXIII indisse e inaugurò il Concilio; ma si trovò, ben presto, dinanzi a problemi e a difficoltà cui non aveva pensato, nel suo evangelico candore. Perciò, sul letto di morte, a coloro che dicevano di pregare perché guarisse, rispondeva: “No, non pregate per questo. È meglio che muoia, è meglio che un altro prenda in mano la situazione”.

 

Ma che cosa era successo, in sostanza, all’inizio del Concilio con Giovanni XXIII?

 

Alla sua apertura furono accantonati tutti gli schemi preparati dalla Curia romana sui vari argomenti da trattare; preparati, peraltro, col concorso dei Vescovi di tutto il mondo. Non solo, ma i Vescovi dichiararono subito che non intendevano comminare condanne per nessuno.

 “La qual cosa - osserva don Divo Barsotti, già citato - significava rinunciare al loro servizio di maestri della fede, di depositari della Rivelazione. Loro dovere era di proporre la fede autentica e di mettere in guardia i fedeli dalle deviazioni.

I Vescovi, infatti, non devono sostituire i teologi, che hanno un’altra funzione e possono dunque vagliare ipotesi ed emettere pareri: l’episcopato deve dirci con chiarezza che cosa dobbiamo credere e che cosa dobbiamo rifiutare. Ebbene, poiché i Vescovi non misero al primo posto la loro funzione (pur così primaria ed essenziale) i documenti del Vaticano II hanno un linguaggio più teologico che dottrinale. Addirittura a volte (per esempio, in certe pagine della Gaudium et spes, su la Chiesa nel mondo contemporaneo) c’è un accento sociologico e un progressismo ottimistico”.

 

Ciò spiega perché nei documenti del Concilio, celebrato nel secolo del trionfo del comunismo, ossia della eresia che sintetizza tutte le eresie di tutti i tempi e che sembrava inarrestabile, ebbene, la parola comunismo non c’è scritta, questa ideologia è ignorata; né tanto meno, conseguentemente c’è una condanna. C’è, sì, menzionata la parola materialismo, ma non si tratta di quello storico concretizzato nei regimi comunisti, che ha reso e rende ancora schiavi miliardi di uomini; realizzato su milioni e milioni di morti ammazzati, bensì come modo di vivere pratico come se Dio non ci fosse, che ci è sempre stato e sempre ci sarà.

Tal cosa non sembrerà strana ai posteri del 2° millennio che, dopo avere studiato il comunismo così crudele e barbaro, lo troveranno ignorato da un Concilio di portata sicuramente epocale?

 

“Dunque - si chiede a questo punto don Divo Barsotti - il Vaticano II è stato un errore? No, di certo: la Chiesa rischiava di diventare un ghetto, aveva bisogno di confrontarsi con la cultura del mondo; in questo modo si sono poste però le basi d’un pericolo di mondanizzazione che per fortuna lo Spirito Santo ha evitato. È lo stesso Spirito Santo che - naturalmente - ha impedito che nei documenti s’insinuasse l’errore; ma se tutto è giusto nel Vaticano II, non è detto che tutto sia opportuno” (V. Messori, Inchiesta sul cristianesimo). 

   

Hans Urs von Balthassar, morto nel 1988, fu un autorevole esponente della teologia cattolica. Fautore del rinnovamento conciliare della teologia, avversò tuttavia quel progressismo teologico che ha preteso di rompere gli argini della tradizione cattolica. Scrisse:  “La confusione di questo periodo post-conciliare è in gran parte dovuta al fatto che il Vaticano II credette di poter lasciare da parte i problemi primari - i dogmi della Trinità, della cristologia e dell’ecclesiologia, ad essi intimamente collegata - e di affrontare invece subito le questioni pastorali derivate. Facendo così, siamo stati subito puniti con una babelica confusione delle lingue. Tentando di vendere (peraltro, in buona fede) il cristianesimo a prezzo ridotto, soltanto per trovare compratori, non ci si è accorti che esso perdeva, così, ogni valore” (La Chiesa nel mondo, Napoli 26.1.1972).

 

La crisi post-conciliare negli anni Settanta raggiunse una tale macroscopica evidenza che Leonardo Sciascia, il famoso scrittore siciliano, ebbe l’impudenza di dichiarare, in una intervista pubblicata su l’Europeo, 25 gennaio 1975, quanto segue: “Oggi non so a che punto sia la Chiesa, la Chiesa di dentro, nelle gerarchie, nei suoi movimenti interni: tranne che siamo, cioè che è, sul punto della fine. Credo che la Chiesa sia oggi come il mondo pagano verso il quinto secolo”.

Evidentemente Sciascia, fedele discepolo di Voltaire, ripeteva quello che un tale maestro aveva detto duecento anni prima, alla fioca luce della sola ragione e senza quella comprensione della storia, che ci si sarebbe aspettata da una persona tanto intelligente. La storia ha smentito Voltaire, la storia smentirà anche Sciascia. Non sarà smentito Gesù Cristo che assicurò agli Apostoli: “Io sono con voi tutti i giorni, sino alla fine del mondo e che le porte degli inferi non prevarranno sulla Chiesa”. E lo vedremo.

 

E lo vedremo...

Intanto concludiamo riportando le parole inequivocabili con le quali Giovanni XXIII aprì il Concilio e le cui intenzioni furono decisamente capovolte, strumentalizzate e cancellate:

"Iniziando questo Concilio universale, il Vicario di Cristo, che vi sta parlando, guarda, com’è naturale, al passato, e quasi ne percepisce la voce incitante e incoraggiante: volentieri infatti ripensa alle benemerenze dei Sommi Pontefici che vissero in tempi più antichi e più recenti... (..)

Illuminata dalla luce di questo Concilio, la Chiesa si accrescerà, come speriamo, di ricchezze spirituali e, attingendovi il vigore di nuove energie, guarderà con sicurezza ai tempi futuri. Infatti, introducendo opportuni emendamenti ed avviando saggiamente un impegno di reciproco aiuto, la Chiesa otterrà che gli uomini, le famiglie, le nazioni rivolgano davvero le menti alle realtà soprannaturali.

(...) diventa chiaro che cosa è stato demandato al Concilio Ecumenico per quanto riguarda la dottrina (..)

 

1. Quel che più di tutto interessa il Concilio è che il sacro deposito della dottrina cristiana sia custodito e insegnato in forma più efficace.

 

2. Tale dottrina abbraccia l’uomo integrale, composto di anima e di corpo, e a noi, che abitiamo su questa terra, comanda di tendere come pellegrini alla patria celeste.

 

Ma perché tale dottrina raggiunga i molteplici campi dell’attività umana, che toccano le persone singole, le famiglie e la vita sociale, è necessario prima di tutto che la Chiesa non distolga mai gli occhi dal sacro patrimonio della verità ricevuto dagli antichi... (...)

 Al presente bisogna invece che in questi nostri tempi l’intero insegnamento cristiano sia sottoposto da tutti a nuovo esame, con animo sereno e pacato, senza nulla togliervi, in quella maniera accurata di pensare e di formulare le parole che risalta soprattutto negli atti dei Concili di Trento e Vaticano I; occorre che la stessa dottrina sia esaminata più largamente e più a fondo e gli animi ne siano più pienamente imbevuti e informati, come auspicano ardentemente tutti i sinceri fautori della verità cristiana, cattolica, apostolica; occorre che questa dottrina certa ed immutabile, alla quale si deve prestare un assenso fedele, sia approfondita ed esposta secondo quanto è richiesto dai nostri tempi. Altro è infatti il deposito della Fede, cioè le verità che sono contenute nella nostra veneranda dottrina, altro è il modo con il quale esse sono annunziate, sempre però nello stesso senso e nella stessa accezione.

(..)

Dopo quasi venti secoli, le situazioni e i problemi gravissimi che l’umanità deve affrontare non mutano; infatti Cristo occupa sempre il posto centrale della storia e della vita: gli uomini o aderiscono a lui e alla sua Chiesa, e godono così della luce, della bontà, del giusto ordine e del bene della pace; oppure vivono senza di lui o combattono contro di lui e restano deliberatamente fuori della Chiesa, e per questo tra loro c’è confusione, le mutue relazioni diventano difficili, incombe il pericolo di guerre sanguinose..." (20).

 

Non era forse anche Giovanni XXIII, nel pronunciare queste parole, "profeta di sventura"?

 

 

 

Note

 

1) Humanae Salutis Costituzione Apostolica di Giovanni XXIII per l'indizione del Concilio Vaticano II

2) ibidem n.4

3) mons. B. Gherardini, Critica teoligica-Continuità o rottura?, in «Divinitas», Rivista internazionale di ricerca e di critica teologica, Città del Vaticano, Anno LV, n. 3-2012, p. 351.

4) Cost.Apot. Fidei depositum, 11 ottobre 1992, introduzione

5) Humanae Salutis Costituzione Apostolica di Giovanni XXIII per l'indizione del Concilio Vaticano II, n.6/7

6) qualcosa la stiamo inserendo nei nostri Dossier che vi invitiamo a scaricare.

7) altro ricco materiale lo trovate qui http://www.conciliovaticanosecondo.it/

8) Walter Martin in Habemus Papam - Prefazione di Alessandro Gnocchi e Mario Palmaro Ed. Fede e Cultura

9) In un suo nuovo libro dato alle stampe nel febbraio 2013 il professor Enrico Maria Radaelli – filosofo, teologo e discepolo prediletto di colui che è stato uno dei più grandi pensatori cattolici tradizionalisti del Novecento, lo svizzero Romano Amerio (1905-1997) – cita tre brani tratti dai diari inediti di don Divo Barsotti (1914-2006)

10) "Papi in libertà" di padre Josè-Apeles Santolaria de Puey y Cruells Sacerdote, avvocato e giornalista è laureato in Giurisprudenza e Diritto Canonico e presso la Scuola Diplomatica spagnola si è diplomato in Studi Internazionali. E' inoltre Cappellano dell'Ordine di Malta ed è collaboratore di Radio Vaticana ed è inoltre autore di notevoli studi e articoli sulla storia della Chiesa e sulla storia dei Pontefici.

11) Benedetto XVI Discorso ai parroci e al clero di Roma 14.2.2013

12) P. Thomas M. Tyn O.P. - conferenza su La Chiesa postconciliare

13) si approfondisca qui e qui.

14) Humanae Salutis Costituzione Apostolica di Giovanni XXIII per l'indizione del Concilio Vaticano II, n.11

15) Dialogo della divina Provvidenza, La dottrina della perfezione, Ed. Studio Domenicano, Bologna, 1989, p. 58

16) Benedetto XVI Lettera Apostolica Porta Fidei 11.10.2011

17) Albino Luciani-Giovanni Paolo I - Opera omnia, vol. V, p.340

18) ibidem Opera omnia, vol. V, pp. 342-343.

19) Don Gerlando Lentini  al quale volentieri abbiamo dedicato, usando le sue riflessioni, la conclusione di questo modesto articolo

20) Giovanni XXIII - Discorso di apertura del Concilio Vaticano II - 11.10.1961

 




Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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