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I DIVORZIATI RISPOSATI E I SACRAMENTI DELL’EUCARESTIA E DELLA PENITENZA

Ultimo Aggiornamento: 02/08/2015 22:20
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05/05/2014 13:09
 
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PARTE SECONDA


Accesso ai Sacramenti


 


Il matrimonio e la famiglia è il tema che il Santo Padre ha proposto alla riflessione della Chiesa ponendolo come argomento di un sinodo dei vescovi, in due tappe distanti di un anno l’una dall’altra, ottobre del 2014 e ottobre del 2015. Esso è stato preceduto da un amplissimo questionario, in ordine ad avere una panoramica più realistica possibile. Purtroppo i mezzi di comunicazione mettono in risalto gli aspetti più marginali del tema e lo trattano prevalentemente, se non esclusivamente, nella prospettiva delle novità, che si vedono in tutte le direzioni immaginabili e possibili. Del tema si è avuto quasi un anticipo nel concistoro del 20 e 21 febbraio che ha discusso del matrimonio e la famiglia. In esso secondo i pochi elementi forniti dal porta voce della sala stampa vaticana, ha spaziato su tutti i temi; ma il punto focale sembra essere stato quello della Eucaristia ai risposati, secondo l’impressione attribuita al Card.Barbarin.


Può essere utile una riflessione sui punti che si profilano all’orizzonte proprio su questo tema. Anzitutto diamo alcune precisazioni su chi siano i divorziati risposati, poi riporteremo l’insegnamento della Chiesa su tali persone per quanto riguarda i sacramenti della Chiesa, e riporteremo le disposizioni canoniche generali per tutti i fedeli in materia, quindi ci soffermeremo a riflettere sulla problematica sollevata, per l’approfondimento delle ragioni che stanno alla base dell’insegnamento e della disciplina della Chiesa, infine prenderemo in considerazione un caso specifico proposto dal Card. Kasper.


1. Divorziati risposati


Anzitutto precisiamo che quando diciamo «divorziati risposati» propriamente intendiamo quanti dopo aver contratto un matrimonio canonico valido, ossia un matrimonio secondo le leggi della Chiesa, e dopo aver fallito in questo matrimonio, non potendo celebrare un secondo matrimonio canonico per il vincolo già ed ancora esistente, sono passati a nuove nozze secondo la legge civile; si tratta pertanto di persone che sono legate da un vincolo religioso (matrimonio canonico) e da un vincolo civile (matrimonio civile). In un senso più ampio intendiamo tutti coloro che hanno una convivenza irregolare e pertanto, almeno per quanto riguarda l’accesso ai sacramenti, si trovano in una condizione di impossibilità di partecipare agli stessi sacramenti della Eucaristia e della Penitenza.


Va pure precisato che una cosa è dire che un fedele non ha le condizioni richieste per andare ai sacramenti e altro dire che i ministri devono rifiutare i sacramenti a coloro, che, pur non potendo accedervi, perché non ne hanno le condizioni, tuttavia vi accedono. I ministri devono allontanarli dai sacramenti per evitare lo scandalo dei fedeli, che si suppone che conoscono la condizione del fedele che accede ai sacramenti senza le debite condizioni. Nella nostra esposizione noi ci soffermeremo soprattutto sulle condizioni richieste, mancando le quali il fedele non può accedere ai sacramenti.


2. Insegnamento della Chiesa


L’insegnamento della Chiesa è costante nella sua tradizione particolarmente per quanto riguarda l’amicizia di Dio (grazia santificante, della quale è privo chi è in stato di peccato grave non ancora perdonato nel sacramento della penitenza) e per quanto riguarda il pentimento e il proposito di non peccare più per potere essere assolto dal peccato grave nel sacramento della penitenza. Siccome il problema è diventato particolarmente acuto nell’epoca attuale per la condizione dei divorziati risposati, per la quale non sono mancate ripetute iniziative perché la Chiesa cambiasse la sua disciplina, l’insegnamento della Chiesa è stato più insistente e ripetuto, specialmente durante il lungo pontificato di Giovanni Paolo II e del suo successore Benedetto XVI. Tale insegnamento non si limita a riproporre la disciplina tradizionale, ma offre anche le ragioni che non permettono la modifica di tale disciplina ed insieme indica altre strade per venire incontro al problema pastorale.


3. Alcune fonti del magistero e della disciplina della Chiesa


Non pare necessario né utile riportare i numerosi interventi dello stesso magistero neppure in questi ultimi decenni. Rinviamo per questo a testi che riportano le fonti degli interventi ecclesiastici in materia, particolarmente della Congregazione della dottrina della fede e della morale. Ci limitiamo ad alcuni significativi, tra i quali anzitutto l’esortazione apostolica Familiaris Consortio di Giovanni Paolo II[8]:


3.1 Familiaris Consortio, n. 84


«L'esperienza quotidiana mostra, purtroppo, che chi ha fatto ricorso al divorzio ha per lo più in vista il passaggio ad una nuova unione, ovviamente non col rito religioso cattolico. Poiché si tratta di una piaga che va al pari delle altre, intaccando sempre più largamente anche gli ambienti cattolici, il problema dev'essere affrontato con premura indilazionabile. I Padri Sinodali l'hanno espressamente studiato. La Chiesa, infatti, istituita per condurre a salvezza tutti gli uomini e soprattutto i battezzati, non può abbandonare a se stessi coloro che - già congiunti col vincolo matrimoniale sacramentale - hanno cercato di passare a nuove nozze. Perciò si sforzerà, senza stancarsi, di mettere a loro disposizione i suoi mezzi di salvezza.


Sappiano i pastori che, per amore della verità, sono obbligati a ben discernere le situazioni. C'è infatti differenza tra quanti sinceramente si sono sforzati di salvare il primo matrimonio e sono stati abbandonati del tutto ingiustamente, e quanti per loro grave colpa hanno distrutto un matrimonio canonicamente valido. Ci sono infine coloro che hanno contratto una seconda unione in vista dell'educazione dei figli, e talvolta sono soggettivamente certi in coscienza che il precedente matrimonio, irreparabilmente distrutto, non era mai stato valido.


Insieme col Sinodo, esorto caldamente i pastori e l'intera comunità dei fedeli affinché aiutino i divorziati procurando con sollecita carità che non si considerino separati dalla Chiesa, potendo e anzi dovendo, in quanto battezzati, partecipare alla sua vita. Siano esortati ad ascoltare la Parola di Dio, a frequentare il sacrificio della Messa, a perseverare nella preghiera, a dare incremento alle opere di carità e alle iniziative della comunità in favore della giustizia, a educare i figli nella fede cristiana, a coltivare lo spirito e le opere di penitenza per implorare così, di giorno in giorno, la grazia di Dio. La Chiesa preghi per loro, li incoraggi, si dimostri madre misericordiosa e così li sostenga nella fede e nella speranza.


La Chiesa, tuttavia, ribadisce la sua prassi, fondata sulla Sacra Scrittura, di non ammettere alla comunione eucaristica i divorziati risposati. Sono essi a non poter esservi ammessi, dal momento che il loro stato e la loro condizione di vita contraddicono oggettivamente a quell'unione di amore tra Cristo e la Chiesa, significata e attuata dall'Eucaristia. C'è inoltre un altro peculiare motivo pastorale: se si ammettessero queste persone all'Eucaristia, i fedeli rimarrebbero indotti in errore e confusione circa la dottrina della Chiesa sull'indissolubilità del matrimonio.


La riconciliazione nel sacramento della penitenza - che aprirebbe la strada al sacramento eucaristico - può essere accordata solo a quelli che, pentiti di aver violato il segno dell'Alleanza e della fedeltà a Cristo, sono sinceramente disposti ad una forma di vita non più in contraddizione con l'indissolubilità del matrimonio. Ciò comporta, in concreto, che quando l'uomo e la donna, per seri motivi - quali, ad esempio, l'educazione dei figli - non possono soddisfare l'obbligo della separazione, «assumono l'impegno di vivere in piena continenza, cioè di astenersi dagli atti propri dei coniugi» (Giovanni Paolo PP. II, Omelia per la chiusura del VI Sinodo dei Vescovi, 7 [25 Ottobre 1980]: AAS 72 [1980] 1082).


Similmente il rispetto dovuto sia al sacramento del matrimonio sia agli stessi coniugi e ai loro familiari, sia ancora alla comunità dei fedeli proibisce ad ogni pastore, per qualsiasi motivo o pretesto anche pastorale, di porre in atto, a favore dei divorziati che si risposano, cerimonie di qualsiasi genere. Queste, infatti, darebbero l'impressione della celebrazione di nuove nozze sacramentali valide e indurrebbero conseguentemente in errore circa l'indissolubilità del matrimonio validamente contratto.


Agendo in tal modo, la Chiesa professa la propria fedeltà a Cristo e alla sua verità; nello stesso tempo si comporta con animo materno verso questi suoi figli, specialmente verso coloro che, senza loro colpa, sono stati abbandonati dal loro coniuge legittimo.


Con ferma fiducia essa crede che, anche quanti si sono allontanati dal comandamento del Signore ed in tale stato tuttora vivono, potranno ottenere da Dio la grazia della conversione e della salvezza, se avranno perseverato nella preghiera, nella penitenza e nella carità».


3.2 Il catechismo della Chiesa Cattolica


E’ bene ascoltare anche il Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1650:


«Oggi, in molti paesi, sono numerosi i cattolici che ricorrono al divorzio secondo le leggi civili e che contraggono civilmente una nuova unione. La Chiesa sostiene, per fedeltà alla parola di Gesù Cristo (“Chi ripudia la propria moglie e ne sposa un’altra, commette adulterio contro di lei; se la donna ripudia il marito e ne sposa un altro, commette adulterio”: Mc 10,11-12), che non può riconoscere come valida una nuova unione, se era valido il primo matrimonio. Se i divorziati si sono risposati civilmente, essi si trovano in una situazione che oggettivamente contrasta con la Legge di Dio. Perciò essi non possono accedere alla Comunione eucaristica, per tutto il tempo che perdura tale situazione. Per lo stesso motivo non possono esercitare certe responsabilità ecclesiali. La riconciliazione mediante il sacramento della Penitenza non può essere accordata se non a coloro che si sono pentiti di aver violato il segno dell’Alleanza e della fedeltà a Cristo, e si sono impegnati a vivere in una completa continenza».


N. 1651: «Nei confronti dei cristiani che vivono in questa situazione e che spesso conservano la fede e desiderano educare cristianamente i loro figli, i sacerdoti e tutta la comunità devono dare prova di una attenta sollecitudine affinché essi non si considerino come separati dalla Chiesa, alla vita della quale possono e devono partecipare in quanto battezzati: “Siano esortati ad ascoltare la Parola di Dio, a frequentare il Sacrificio della Messa, a perseverare nella preghiera, a dare incremento alle opere di carità e alle iniziative della comunità in favore della giustizia, a educare i figli nella fede cristiana, a coltivare lo spirito e le opere di penitenza, per implorare così, di giorno in giorno, la grazia di Dio”(Giovanni Paolo II, Esort. ap. Familiaris consortio, 84: AAS 74 (1982) 185)»


3.3 Congregazione della Congregazione della dottrina della fede


Nel n. 4 della Epistola ad Catholicae Ecclesiae Episcopos de receptione communionis eucharisticae a fidelibus qui post divortium novas inierunt nuptias[9], si legge:


«Di fronte alle nuove proposte pastorali sopra menzionate questa Congregazione ritiene pertanto doveroso richiamare la dottrina e la disciplina della Chiesa in materia. Fedele alla parola di Gesù Cristo (Mc 10,11-12), la Chiesa afferma di non poter riconoscere come valida una nuova unione, se era valido il precedente matrimonio. Se i divorziati si sono risposati civilmente, essi si trovano in una situazione che oggettivamente contrasta con la legge di Dio e perciò non possono accedere alla Comunione eucaristica, per tutto il tempo che perdura tale situazione (Cf. Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1650; cf. anche n. 1640 e Concilio Tridentino, sess. XXIV: Denz.-Schoenm. 1797-1812).


Questa norma non ha affatto un carattere punitivo o comunque discriminatorio verso i divorziati risposati, ma esprime piuttosto una situazione oggettiva che rende di per sé impossibile l'accesso alla Comunione eucaristica: “Sono essi a non poter esservi ammessi, dal momento che il loro stato e la loro condizione di vita contraddicono oggettivamente a quell'unione di amore tra Cristo e la Chiesa, significata e attuata dall'Eucaristia. C'è inoltre un altro peculiare motivo pastorale; se si ammettessero queste persone all'Eucaristia, i fedeli rimarrebbero indotti in errore e confusione circa la dottrina della Chiesa sull'indissolubilità del matrimonio” ( Esort. apost. Familiaris consortio, n. 84).


Per i fedeli che permangono in tale situazione matrimoniale, l'accesso alla Comunione eucaristica è aperto unicamente dall'assoluzione sacramentale, che può essere data “solo a quelli che, pentiti di aver violato il segno dell'Alleanza e della fedeltà a Cristo, sono sinceramente disposti ad una forma di vita non più in contraddizione con l'indissolubilità del matrimonio. Ciò importa, in concreto, che quando l'uomo e la donna, per seri motivi - quali, ad esempio, l'educazione dei figli - non possono soddisfare l'obbligo della separazione, ‘assumano l'impegno di vivere in piena continenza, cioè di astenersi dagli atti propri dei coniugi’” (Ibid,. n. 84: AAS 74 (1982) 186; cf. Giovanni Paolo II, Omelia per la chiusura del VI Sinodo dei Vescovi, n. 7: AAS 72 (1982) 1082). In tal caso essi possono accedere alla comunione eucaristica, fermo restando tuttavia l'obbligo di evitare lo scandalo».


3.4 Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi


Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi, Circa L’ammissibilità alla Santa Comunione dei divorziati risposati[10]:


«2. Qualunque interpretazione del can. 915 che si opponga al suo contenuto sostanziale, dichiarato ininterrottamente dal Magistero e dalla disciplina della Chiesa nei secoli, è chiaramente fuorviante. Non si può confondere il rispetto delle parole della legge (cfr. can. 17) con l’uso improprio delle stesse parole come strumenti per relativizzare o svuotare la sostanza dei precetti.


La formula “e gli altri che ostinatamente perseverano in peccato grave manifesto” è chiara e va compresa in un modo che non deformi il suo senso, rendendo la norma inapplicabile. Le tre condizioni richieste sono:


a) il peccato grave, inteso oggettivamente, perché dell’imputabilità soggettiva il ministro della Comunione non potrebbe giudicare;


b) l’ostinata perseveranza, che significa l’esistenza di una situazione oggettiva di peccato che dura nel tempo e a cui la volontà del fedele non mette fine, non essendo necessari altri requisiti (atteggiamento di sfida, ammonizione previa, ecc.) perché si verifichi la situazione nella sua fondamentale gravità ecclesiale;


c) il carattere manifesto della situazione di peccato grave abituale.


Non si trovano invece in situazione di peccato grave abituale i fedeli divorziati risposati che, non potendo per seri motivi -quali, ad esempio, l’educazione dei figli- “soddisfare l’obbligo della separazione, assumono l’impegno di vivere in piena continenza, cioè di astenersi dagli atti propri dei coniugi” (Familiaris consortio, n. 84), e che sulla base di tale proposito hanno ricevuto il sacramento della Penitenza. Poiché il fatto che tali fedeli non vivono more uxorio è di per sé occulto, mentre la loro condizione di divorziati risposati è di per sé manifesta, essi potranno accedere alla Comunione eucaristica solo remoto scandalo».


3.5 Benedetto XVI


Nella Esortazione apostolica Sacramentum Caritatis[11], nn. 20 e 29 leggiamo:


«II. Eucaristia e sacramento della Riconciliazione


Loro nesso intrinseco


20. Giustamente, i Padri sinodali hanno affermato che l'amore all'Eucaristia porta ad apprezzare sempre più anche il sacramento della Riconciliazione (Cfr Propositio 7; Giovanni Paolo II, Lett. enc. Ecclesia de Eucharistia (17 aprile 2003), 36: AAS 95 (2003), 457-458). A causa del legame tra questi sacramenti, un'autentica catechesi riguardo al senso dell'Eucaristia non può essere disgiunta dalla proposta di un cammino penitenziale (cfr 1 Cor 11,27-29). Certo, constatiamo come nel nostro tempo i fedeli si trovino immersi in una cultura che tende a cancellare il senso del peccato (Cfr Giovanni Paolo II, Esort. ap. postsinodale Reconciliatio et Paenitentia (2 dicembre 1984), 18: AAS 77 (1985), 224-228), favorendo un atteggiamento superficiale, che porta a dimenticare la necessità di essere in grazia di Dio per accostarsi degnamente alla comunione sacramentale (Cfr Catechismo della Chiesa Cattolica, 1385). In realtà, perdere la coscienza del peccato comporta sempre anche una certa superficialità nell'intendere l'amore stesso di Dio. Giova molto ai fedeli richiamare quegli elementi che, all'interno del rito della santa Messa, esplicitano la coscienza del proprio peccato e, contemporaneamente, della misericordia di Dio. Inoltre, la relazione tra Eucaristia e Riconciliazione ci ricorda che il peccato non è mai una realtà esclusivamente individuale; esso comporta sempre anche una ferita all'interno della comunione ecclesiale, nella quale siamo inseriti grazie al Battesimo. Per questo la Riconciliazione, come dicevano i Padri della Chiesa, è laboriosus quidam baptismus, (Cfr S. Giovanni Damasceno, Sulla retta fede, IV, 9: PG 94, 1124C; s. Gregorio Nazianzeno, Discorso 39, 17: PG 36, 356A; Conc. Ecum. di Trento, Doctrina de sacramento paenitentiae, cap. 2: DS 1672) sottolineando in tal modo che l'esito del cammino di conversione è anche il ristabilimento della piena comunione ecclesiale, che si esprime nel riaccostarsi all'Eucaristia. (Cfr Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 11; Giovanni Paolo II, Esort. ap. postsinodale Reconciliatio et Paenitentia (2 dicembre 1984), 30: AAS 77 (1985), 256-257)


Eucaristia e indissolubilità del matrimonio


29. Se l'Eucaristia esprime l'irreversibilità dell'amore di Dio in Cristo per la sua Chiesa, si comprende perché essa implichi, in relazione al sacramento del Matrimonio, quella indissolubilità alla quale ogni vero amore non può che anelare (Cfr Catechismo della Chiesa Cattolica, 1640). Più che giustificata quindi l'attenzione pastorale che il Sinodo ha riservato alle situazioni dolorose in cui si trovano non pochi fedeli che, dopo aver celebrato il sacramento del Matrimonio, hanno divorziato e contratto nuove nozze. Si tratta di un problema pastorale spinoso e complesso, una vera piaga dell'odierno contesto sociale che intacca in misura crescente gli stessi ambienti cattolici. I Pastori, per amore della verità, sono obbligati a discernere bene le diverse situazioni, per aiutare spiritualmente nei modi adeguati i fedeli coinvolti ( Cfr Giovanni Paolo II, Esort. ap. postsinodale Familiaris consortio (22 novembre 1981), 84: AAS 74 (1982), 184-186; Congregazione per la Dottrina della Fede, Lettera ai Vescovi della Chiesa Cattolica circa la recezione della comunione eucaristica da parte di fedeli divorziati risposati Annus Internationalis Familiae (14 settembre 1994): AAS 86 (1994), 974-979) Il Sinodo dei Vescovi ha confermato la prassi della Chiesa, fondata sulla Sacra Scrittura (cfr Mc 10,2-12), di non ammettere ai Sacramenti i divorziati risposati, perché il loro stato e la loro condizione di vita oggettivamente contraddicono quell'unione di amore tra Cristo e la Chiesa che è significata ed attuata nell'Eucaristia. I divorziati risposati, tuttavia, nonostante la loro situazione, continuano ad appartenere alla Chiesa, che li segue con speciale attenzione, nel desiderio che coltivino, per quanto possibile, uno stile cristiano di vita attraverso la partecipazione alla santa Messa, pur senza ricevere la Comunione, l'ascolto della Parola di Dio, l'Adorazione eucaristica, la preghiera, la partecipazione alla vita comunitaria, il dialogo confidente con un sacerdote o un maestro di vita spirituale, la dedizione alla carità vissuta, le opere di penitenza, l'impegno educativo verso i figli.


Là dove sorgono legittimamente dei dubbi sulla validità del Matrimonio sacramentale contratto, si deve intraprendere quanto è necessario per verificarne la fondatezza. Bisogna poi assicurare, nel pieno rispetto del diritto canonico (Cfr Pontificio Consiglio per i Testi legislativi, Istruzione sulle norme da osservarsi nei tribunali ecclesiastici nelle cause matrimoniali Dignitas connubii (25 gennaio 2005), Città del Vaticano, 2005) la presenza sul territorio dei tribunali ecclesiastici, il loro carattere pastorale, la loro corretta e pronta attività (Cfr Propositio 40). Occorre che in ogni Diocesi ci sia un numero sufficiente di persone preparate per il sollecito funzionamento dei tribunali ecclesiastici. Ricordo che « è un obbligo grave quello di rendere l'operato istituzionale della Chiesa nei tribunali sempre più vicino ai fedeli» (Benedetto XVI, Discorso al Tribunale della Rota Romana in occasione dell'inaugurazione dell'anno giudiziario (28 gennaio 2006): AAS 98 (2006), 138). È necessario, tuttavia, evitare di intendere la preoccupazione pastorale come se fosse in contrapposizione col diritto. Si deve piuttosto partire dal presupposto che fondamentale punto d'incontro tra diritto e pastorale è l'amore per la verità: questa infatti non è mai astratta, ma «si integra nell'itinerario umano e cristiano di ogni fedele» (Cfr Propositio 40). Infine, là dove non viene riconosciuta la nullità del vincolo matrimoniale e si danno condizioni oggettive che di fatto rendono la convivenza irreversibile, la Chiesa incoraggia questi fedeli a impegnarsi a vivere la loro relazione secondo le esigenze della legge di Dio, come amici, come fratello e sorella; così potranno riaccostarsi alla mensa eucaristica, con le attenzioni previste dalla provata prassi ecclesiale. Tale cammino, perché sia possibile e porti frutti, deve essere sostenuto dall'aiuto dei pastori e da adeguate iniziative ecclesiali, evitando, in ogni caso, di benedire queste relazioni, perché tra i fedeli non sorgano confusioni circa il valore del Matrimonio».


4. La disciplina della Chiesa per partecipare ai Sacramenti: Il Codice e la disciplina della Chiesa


4.1 Diritto di ogni fedele a ricevere i sacramenti


Per quanto riguardo la ricezione dei sacramenti, a livello generale, il Codice di Diritto Canonico riconosce il diritto che ogni fedele ha di ricevere da parte dei pastori i mezzi spirituali necessari per la salvezza. Tra questi mezzi, di particolare importanza sono i sacramenti. Il canone 213 recita: «I fedeli hanno il diritto di ricevere dai sacri Pastori gli aiuti derivanti dai beni spirituali della Chiesa, soprattutto dalla parola di Dio e dai sacramenti». Essi, istituiti da Cristo e affidati alla Chiesa, «sono segni e mezzi mediante i quali la fede viene espressa e rafforzata, si rende culto a Dio e si compie la santificazione degli uomini, e pertanto concorrono sommamente a iniziare, confermare e manifestare la comunione ecclesiastica» (can. 840). Per questo, tanto i ministri come i fedeli, nella celebrazione dei sacramenti, «devono avere una profonda venerazione e la dovuta diligenza» (can. 840). Talmente importanti per la salvezza sono i sacramenti che il Codice impone ai ministri l’obbligo di amministrarli, e non possono essere negati a coloro che li chiedono opportunamente. (can. 843, §1).


4.2 Condizioni richieste


Se da un lato il legislatore riconosce ad ogni fedele il diritto di riceve i sacramenti, dall’altro tiene conto anche della dignità dei sacramenti e della retta amministrazioni di essi, in modo tale che siano in beneficio spirituale dei fedeli e non per la loro condanna. Perciò, lo stesso canone 843, §1 dopo aver vietato ai ministri il negare i sacramenti a coloro che lo chiedono, aggiunge le condizioni fondamentali perché i fedeli possano accedervi: «siano disposti nel debito modo e non abbiano dal diritto la proibizione di recerveli».


Tali condizioni nei fedeli per accedere ai sacramenti è richiesta particolarmente per il sacramento dell’Eucaristia e della Penitenza[12].


4.3 L’accesso all’Eucaristia


Per quanto riguarda la partecipazione all’Eucaristia, sacramento dell’amore divino, il Codice richiede, fondato nelle parole dell’apostolo Paolo, che uno, prima di accostarsi si esamini, altrimenti corre il rischio di ricevere la propria condanna: «Perciò chiunque in modo indegno mangia il pane o beve il calice del Signore, sarà reo del corpo e del sangue del Signore. Ciascuno, pertanto, esamini se stesso e poi mangi di questo pane e beva di questo calice; perché chi mangia e beve senza riconoscere il corpo del Signore, mangia e bene la propria condanna» (1 Cor 11, 27-29). È quanto afferma il can. 916: «Colui che è consapevole di essere in peccato grave, non celebri la Messa né comunichi al Corpo del Signore senza avere premesso la confessione sacramentale».


La Chiesa esige per l’accesso all’Eucaristia lo stato di grazia, ottenuto normalmente attraverso il sacramento della penitenza. Chi infatti è consapevole di aver commesso un peccato grave, ha bisogno, per accedere all’Eucaristia, di ottenere il perdono di Dio attraverso la confessione, a meno che urga ricevere o celebrare l’Eucaristia e manchi il confessore necessario e disponibile. In ogni caso il dolore sempre necessario per il perdono dei peccati implica sempre che, oltre al dispiacere di avere offeso Dio (contrizione), ci si riprometta e ci si impegni a confessarsi e il proposito di non commettere più il peccato e di fuggire l’occasione di esso. A tali esigenze si oppone proprio lo stato di convivenza del divorziato risposato. Egli non può accedere all’Eucaristia perché è in stato di peccato grave permanente e non può ottenere il perdono perché egli per definizione vuole rimanere nella situazione di peccato e pertanto non ha il vero dolore necessario per essere ammesso all’Eucaristia. Se poi nonostante ciò accedesse alla Comunione, il sacerdote deve rifiutare l’Eucaristia, qualora si verifichino le condizioni previste dal can. 915.


4.4 L’impossibilità di ricevere l’assoluzione sacramentale


Il penitente può essere assolto dal peccato solo se è ben disposto. E’ ben disposto se è pentito del peccato e promette di non ricadere, e faccia il proposito di fuggire le occasioni del peccato. Il canone 987 è chiaro al riguardo: «Il fedeli per ricevere il salutare rimedio del sacramento della penitenza, deve essere disposto in modo tale che, ripudiando i peccati che ha commesso e avendo il proposito di emendarsi, si converta a Dio» Solo con tali disposizioni, di ripudio dei peccati commessi e di proposito di emendarsi, il fedele può ricevere il sacramento in modo salutare, e cioè che porti alla salvezza.


Così il divieto di accedere all’Eucaristia e l’impossibilità di essere assolto nel sacramento del perdono sono strettamente congiunti.


4.5 Il dovere di respingere chi accede alla comunione; can. 915


Se lo stato di opposizione grave alla legge di Dio e della Chiesa fosse noto anche alla comunità e qualcuno osasse ciò nonostante accedere all’Eucaristia, questo deve essere anche respinto. In effetti il can. 915 recita: «Non siano ammessi alla sacra comunione gli scomunicati e gli interdetti, dopo l’irrogazione o la dichiarazione della pena e gli altri che ostinatamente perseverano in peccato grave manifesto». Una dichiarazione del Pontificio Concilio per i Testi Legislativi ha ribadito la validità del divieto contenuto nel canone 915 di fronte a quanti hanno preteso che tale norma non sarebbe applicabile al caso dei fedeli divorziati risposati. La dichiarazione afferma «Nel caso concreto dell’ammissione alla sacra Comunione dei fedeli divorziati risposati, lo scandalo, inteso quale azione che muove gli altri verso il male, riguarda nel contempo il sacramento dell’Eucaristia e l’indissolubilità del matrimonio. Tale scandalo sussiste anche se, purtroppo, siffatto comportamento non destasse più meraviglia: anzi è appunto dinanzi alla deformazione delle coscienze, che si rende più necessaria nei Pastori un’azione, paziente quanto ferma, a tutela della santità dei sacramenti, a difesa della moralità cristiana e per la retta formazione dei fedeli»[13]. La situazione dei divorziati risposati si trova in conflitto con la disciplina ecclesiastica in punti irrinunciabili, in quanto toccano lo stesso diritto divino.



  continua 


Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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