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1994 - ANNO DELLA FAMIGLIA LETTERA ALLE FAMIGLIE GRATISSIMAM SANE

Ultimo Aggiornamento: 11/05/2014 19:03
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11/05/2014 19:01
 
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   Il quarto comandamento: « Onora tuo padre e tua madre »

15. Il quarto comandamento del Decalogo riguarda la famiglia, la sua compattezza interiore; potremmo dire, la sua solidarietà.

Nella sua formulazione non si parla esplicitamente della famiglia. Di fatto, però, è proprio di essa che si tratta. Per esprimere la comunione tra le generazioni il divino Legislatore non ha trovato parola più adatta di questa: « Onora . . . » (Es 20,12). Siamo di fronte ad un altro modo per esprimere ciò che la famiglia è. Tale formulazione non eleva la famiglia in modo « artificiale », ma pone in luce la sua soggettività ed i diritti che ne scaturiscono. La famiglia è una comunità di relazioni interpersonali particolarmente intense: tra coniugi, tra genitori e figli, tra generazioni. È una comunità che va garantita in modo particolare. E Dio non trova garanzia migliore di questa: « Onora ».

« Onora tuo padre e tua madre, perché si prolunghino i tuoi giorni nel paese che ti dà il Signore, tuo Dio » (Es 20, 12). Questo comandamento segue i tre precetti fondamentali che riguardano il rapporto dell'uomo e del popolo d'Israele con Dio: « Shema, Izrael . . . », « Ascolta, Israele: il Signore è il nostro Dio, il Signore è uno solo » (Dt 6, 4). « Non avrai altri dèi di fronte a me » (Es 20, 3). Ecco il primo e il più grande comandamento, il comandamento dell'amore per Dio « sopra ogni cosa »: Egli va amato « con tutto il cuore, con tutta l'anima e con tutte le forze » (Dt 6, 5; cfr Mt 22, 37). È significativo che il quarto comandamento si inserisca proprio in tale contesto: « Onora tuo padre e tua madre », perché essi sono per te, in un certo senso, i rappresentanti del Signore, coloro che ti hanno dato la vita, che ti hanno introdotto nell'esistenza umana: in una stirpe, in una nazione, in una cultura. Dopo Dio, sono essi i tuoi primi benefattori. Se Dio solo è buono, anzi è il Bene stesso, i genitori partecipano in modo singolare di questa sua bontà suprema. E dunque: onora i tuoi genitori! Vi è quiuna certa analogia con il culto dovuto a Dio.

Il quarto comandamento è in stretta connessione col comandamento dell'amore. Tra « onora » ed « ama » il vincolo è profondo. L'onore, nel suo nucleo essenziale, è collegato con la virtù della giustizia, ma questa, a sua volta, non può esplicarsi pienamente senza far appello all'amore: per Dio e per il prossimo. E chi è più prossimo dei propri familiari, dei genitori e dei figli?

È unilaterale il sistema interpersonale indicato dal quarto comandamento? Esso impegna ad onorare solo i genitori? In senso letterale, sì. Indirettamente, però, possiamo parlare anche dell'« onore » dovuto ai figli da parte dei genitori. « Onora » vuol dire: riconosci! Lasciati cioè guidare dal convinto riconoscimento della persona, di quella del padre e della madre prima di tutto, e poi di quella degli altri membri della famiglia. L'onore è un atteggiamento essenzialmente disinteressato. Si potrebbe dire che è « un dono sincero della persona alla persona », ed in tal senso l'onore s'incontra con l'amore. Se il quarto comandamento esige di onorare il padre e la madre, lo esige anche in considerazione del bene della famiglia. Proprio per questo, però, esso pone delle esigenze agli stessi genitori. Genitori - sembra ricordare loro il precetto divino -, agite in modo che il vostro comportamento meriti l'onore (e l'amore) da parte dei vostri figli! Non lasciate cadere in un « vuoto morale » l'esigenza divina di onore per voi! In definitiva, si tratta dunque di un onore reciproco. Il comandamento « onora tuo padre e tua madre » dice indirettamente ai genitori: Onorate i vostri figli e le vostre figlie. Essi lo meritano perché esistono, perché sono quello che sono: ciò vale sin dal primo momento del concepimento. Così questo comandamento, esprimendo l'intimo legame della famiglia, mette in luce il fondamento della sua compattezza interiore.

Il comandamento continua: « perché si prolunghino i tuoi giorni nel paese che ti dà il Signore, tuo Dio ». Questo « per- ché » potrebbe dare l'impressione di un calcolo « utilitaristico »: onorare in considerazione della futura longevità. Diciamo, intanto, che ciò non sminuisce l'essenziale significato dell'imperativo « onora », per sua natura connesso con un atteggiamento disinteressato. Onorare non significa mai: « prevedi i vantaggi ». È difficile, tuttavia, non riconoscere che dall'atteggiamento di reciproco onore, esistente tra i membri della comunità familiare, deriva anche un vantaggio di varia natura. L'« onore » è certamente utile, come « utile » è ogni vero bene.

La famiglia realizza, innanzitutto, il bene dell'« essere insieme », bene per eccellenza del matrimonio (di qui la sua indissolubilità) e della comunità familiare. Lo si potrebbe definire, inoltre, come bene della soggettività. La persona è infatti un soggetto e tale è pure la famiglia, perché formata da persone le quali, strette da un profondo vincolo di comunione, formano un unico soggetto comunitario. Anzi, la famiglia è soggetto più di ogni altra istituzione sociale: lo è più della Nazione, dello Stato, più della società e delle Organizzazioni internazionali. Queste società, specialmente le Nazioni, in tanto godono di soggettività propria in quanto la ricevono dalle persone e dalle loro famiglie. Sono, queste, osservazioni soltanto « teoriche », formulate allo scopo di « elevare » la famiglia nell'opinione pubblica? No, si tratta piuttosto di un altro modo di esprimere ciò che è la famiglia. Ed anche questo si deduce dal quarto comandamento.

È una verità che merita di essere rilevata e approfondita: essa sottolinea infatti l'importanza di tale comandamento anche per il sistema moderno dei diritti dell'uomo. Gli ordinamenti istituzionali usano il linguaggio giuridico. Dio invece dice: « onora ». Tutti i « diritti dell'uomo » sono, in definitiva, fragili ed inefficaci, se alla loro base manca l'imperativo: « onora »; se manca, in altri termini, il riconoscimento dell'uomo per il semplice fatto che egli è uomo, « questo » uomo. Da soli, i diritti non bastano.

Non è pertanto esagerato ribadire che la vita delle Nazioni, degli Stati, delle Organizzazioni internazionali « passa » attraverso la famiglia e « si fonda » sul quarto comandamento del Decalogo. L'epoca in cui viviamo, nonostante le molteplici Dichiarazioni di tipo giuridico che sono state elaborate, resta minacciata in notevole misura dalla « alienazione », quale frutto delle premesse « illuministiche » secondo le quali l'uomo è « più » uomo se è « soltanto » uomo. Non è difficile avvertire come l'alienazione da tutto ciò che in vario modo appartiene alla piena ricchezza dell'uomo insidi la nostra epoca. E questo chiama in causa la famiglia. Infatti, l'affermazione della persona è in grande misura rapportata alla famiglia e, conseguentemente, al quarto comandamento. Nel disegno di Dio la famiglia è la prima scuola dell'essere uomo sotto i vari aspetti. Sii uomo! È questo l'imperativo che in essa si trasmette: uomo come figlio della patria, come cittadino dello Stato, e, si direbbe oggi, come cittadino del mondo. Colui che ha consegnato all'umanità il quarto comandamento è un Dio « benevolo » verso l'uomo (filanthropos, dicevano i greci). Il Creatore dell'universo è il Dio dell'amore e della vita. Egli vuole che l'uomo abbia la vita e l'abbia in abbondanza, come proclama Cristo (cfr Gv 10, 10): che abbia la vita prima di tutto grazie alla famiglia.

Appare chiaro a questo punto che la « civiltà dell'amore » è strettamente collegata con la famiglia.Per molti la civiltà dell'amore costituisce ancora una pura utopia. Si pensa infatti che l'amore non possa essere preteso da nessuno e che a nessuno possa essere imposto: sarebbe una libera scelta che gli uomini possono accettare o respingere.

C'è del vero in tutto questo. E tuttavia resta il fatto che Gesù Cristo ci ha lasciato il comandamento dell'amore, così come Dio sul monte Sinai aveva ordinato: « Onora tuo padre e tua madre ». L'amore dunque non è un'utopia: è dato all'uomo come compito da attuare con l'aiuto della grazia divina. È affidato all'uomo e alla donna, nel sacramento del matrimonio, come principio fontale del loro «dovere » e diventa per essi il fondamento del reciproco impegno: di quello coniugale prima, di quello paterno e materno poi. Nella celebrazione del sacramento, i coniugi si donano e si ricevono reciprocamente, dichiarando la loro disponibilità ad accogliere e ad educare i figli. Qui stanno i cardini della civiltà umana, la quale non può essere definita diversamente che come « civiltà dell'amore ».

Di tale amore la famiglia è espressione e sorgente. Per essa passa la principale corrente della civiltà dell'amore, che in essa trova le sue « basi sociali ».

I Padri della Chiesa, nel corso della tradizione cristiana, hanno parlato della famiglia come di « chiesa domestica », di « piccola chiesa ». Si riferivano così alla civiltà dell'amore come ad un possibile sistema di vita e di convivenza umana. « Essere insieme » come famiglia, essere gli uni per gli altri, creare uno spazio comunitario per l'affermazione di ogni uomo come tale, per l'affermazione di « questo » uomo in concreto. A volte si tratta di persone con handicaps fisici o psichici, delle quali la società cosiddetta « progressista » preferisce liberarsi. Anche la famiglia può diventare simile ad una tale società. Lo diviene di fatto quando sbrigativamente si sbarazza di chi è anziano o affetto da malformazioni o colpito da malattie. Si agisce così perché viene meno la fede in quel Dio per il quale « tutti vivono » (Lc 20, 38) e tutti sono chiamati alla pienezza della Vita.

Sì, la civiltà dell'amore è possibile, non è un'utopia. È possibile, però, soltanto grazie ad un costante e vivo riferimento a « Dio e Padre del Signore nostro Gesù Cristo, dal quale proviene ogni paternità 1 nel mondo » (cfr Ef 3, 14-15), dal quale proviene ogni famiglia umana.

L'educazione

16. In che cosa consiste l'educazione? Per rispondere a tale domanda vanno ricordate due verità fondamentali: la prima è che l'uomo è chiamato a vivere nella verità e nell'amore; la seconda è che ogni uomo si realizza attraverso il dono sincero di sé. Questo vale sia per chi educa, sia per chi viene educato. L'educazione costituisce, pertanto, un processo singolare nel quale la reciproca comunione delle persone è carica di grandi significati. L'educatore è una persona che «genera » in senso spirituale. In questa prospettiva, l'educazione può essere considerata un vero e proprio apostolato. È una comunicazione vitale, che non solo costruisce un rapporto profondo tra educatore ed educando, ma li fa partecipare entrambi alla verità e all'amore, traguardo finale a cui è chiamato ogni uomo da parte di Dio Padre, Figlio e Spirito Santo.

La paternità e la maternità suppongono la coesistenza e la interazione di soggetti autonomi. Ciò è quanto mai evidente nella madre quando concepisce un nuovo essere umano. I primi mesi della sua presenza nel grembo materno creano un particolare legame, che già riveste un suo valore educativo.La madre, già nel periodo prenatale, struttura non soltanto l'organismo del figlio, ma indirettamente tutta la sua umanità. Anche se si tratta di un processo che si dirige dalla madre verso il figlio, non va dimenticata l'influenza specifica che il nascituro esercita sulla madre. A questoinflusso reciproco, che si manifesterà all'esterno dopo la nascita del bambino, il padre non prende parte direttamente. Egli deve però impegnarsi responsabilmente ad offrire la sua attenzione ed il suo sostegno durante la gravidanza e, se possibile, anche al momento del parto.

Per la « civiltà dell'amore » è essenziale che l'uomo senta la maternità della donna, sua sposa, come un dono: questo infatti incide enormemente sull'intero processo educativo. Molto dipende dalla sua disponibilità a prendere parte nel modo giusto a questa prima fase del dono dell'umanità, e a lasciarsi coinvolgere in quanto marito e padre nella maternità della moglie.

L'educazione è allora prima di tutto un'« elargizione » di umanità da parte di ambedue i genitori:essi comunicano insieme la loro umanità matura al neonato, il quale a sua volta dona loro la novità e la freschezza dell'umanità che porta con sé nel mondo. Questo si verifica anche nel caso di bambini segnati da handicaps psichici e fisici: in tal caso, anzi, la loro situazione può sviluppare una forza educativa del tutto particolare.

A ragione, dunque, la Chiesa domanda durante il rito del matrimonio: « Siete disposti ad accogliere responsabilmente e con amore i figli che Dio vorrà donarvi e a educarli secondo la legge di Cristo e della sua Chiesa? ». L'amore coniugale si manifesta nell'educazione come vero amore di genitori. La « comunione di persone », che all'inizio della famiglia si esprime come amore coniugale, si completa e si perfeziona estendendosi ai figli con l'educazione. La potenziale ricchezza, costituita da ogni uomo che nasce e cresce nella famiglia, va responsabilmente assunta in modo che non degeneri né si disperda, ma, al contrario, si realizzi in una umanità sempre più matura. È pure questo un dinamismo di reciprocità, nel quale i genitori-educatori vengono, a loro volta, in certa misura educati. Maestri di umanità dei propri figli, essi la apprendono da loro. Qui emerge con evidenza l'organica struttura della famiglia e si rivela il senso fondamentale del quarto comandamento.

Il « noi » dei genitori, del marito e della moglie, si sviluppa, per mezzo della generazione e dell'educazione, nel « noi » della famiglia, che s'innesta sulle generazioni precedenti e si apre ad un graduale allargamento. Al riguardo, svolgono un ruolo singolare, da un lato, i genitori dei genitori e, dall'altro, i figli dei figli.

Se, nel donare la vita, i genitori prendono parte all'opera creatrice di Dio, mediante l'educazione essi diventano partecipi della sua paterna ed insieme materna pedagogia. La paternità divina, secondo san Paolo, costituisce il modello originario di ogni paternità e maternità nel cosmo (cfr Ef 3, 14-15), specialmente della maternità e paternità umana. Circa la pedagogia divina ci ha pienamente istruiti il Verbo eterno del Padre, che incarnandosi ha rivelato all'uomo la vera ed integrale dimensione della sua vocazione: la figliolanza divina. E così ha pure rivelato qual è il vero significato dell'educazione dell'uomo. Per mezzo di Cristo ogni educazione, in famiglia e fuori, viene inserita nella dimensione salvifica della pedagogia divina, che è rivolta agli uomini e alle famiglie e che culmina nel mistero pasquale della morte e risurrezione del Signore. Da questo « cuore » della nostra redenzione prende il via ogni processo di educazione cristiana, che al tempo stesso è sempre educazione alla piena umanità.

genitori sono i primi e principali educatori dei propri figli ed hanno anche in questo campo unafondamentale competenza: sonoeducatori perché genitori. Essi condividono la loro missione educativa con altre persone e istituzioni, come la Chiesa e lo Stato; ciò tuttavia deve sempre avvenire nella corretta applicazione del principio di sussidiarietà. Questo implica la legittimità ed anzi la doverosità di un aiuto offerto ai genitori, ma trova nel loro diritto prevalente e nelle loro effettive possibilità il suo intrinseco e invalicabile limite. Il principio di sussidiarietà si pone, pertanto, al servizio dell'amore dei genitori, venendo incontro al bene del nucleo familiare. I genitori, infatti, non sono in grado di soddisfare da soli ad ogni esigenza dell'intero processo educativo, specialmente per quanto concerne l'istruzione e l'ampio settore della socializzazione. La sussidiarietà completa così l'amore paterno e materno, confermandone il carattere fondamentale, perché ogni altro partecipante al processo educativo non può che operare a nome dei genitori, con il loro consenso e, in una certa misura, persino su loro incarico.

L'itinerario educativo conduce verso la fase dell'autoeducazione, che si raggiunge quando, grazie ad un adeguato livello di maturità psico-fisica, l'uomo comincia ad « educarsi da solo ».L'autoeducazione supera, col passare del tempo, i traguardi precedentemente raggiunti nel processo educativo, nel quale tuttavia continua ad affondare le sue radici. L'adolescente incontra nuove persone e nuovi ambienti, in particolare gli insegnanti e i compagni di scuola, i quali esercitano sulla sua vita un influsso che può risultare educativo o diseducativo. In questa tappa, egli si distacca in qualche misura dall'educazione ricevuta in famiglia assumendo talora un atteggiamento critico nei confronti dei genitori. Nonostante tutto, però, il processo di autoeducazione non può non essere segnato dall'influsso educativo esercitato dalla famiglia e dalla scuola sul bambino e sul ragazzo. Perfino trasformandosi e incamminandosi nella propria direzione, il giovane continua a rimanere intimamente collegato con le sue radici esistenziali.

Si delinea su questo sfondo, in modo nuovo, il significato del quarto comandamento: « Onora tuo padre e tua madre » (Es 20,12); esso rimane legato organicamente a tutto il processo dell'educazione. La paternità e maternità, questo primo e fondamentale dato nel dono dell'umanità,aprono davanti ai genitori e ai figli nuove e più approfondite prospettive. Generare secondo la carne significa avviare un'ulteriore « generazione », graduale e complessa, attraverso l'intero processo educativo. Il comandamento del Decalogo esige dal figlio ch'egli onori il padre e la madre. Ma, come sopra si è detto, il medesimo comandamento impone ai genitori un dovere in un certo senso « simmetrico ». Anch'essi devono « onorare » i propri figli, sia piccoli che grandi, e tale atteggiamento è indispensabile lungo l'intero percorso educativo, compreso quello scolastico. Il « principio di rendere onore », il riconoscimento cioè ed il rispetto dell'uomo come uomo, è la condizione fondamentale di ogni autentico processo educativo.

Nell'ambito dell'educazione la Chiesa ha un ruolo specifico da svolgere. Alla luce della Tradizione e del Magistero conciliare, si può ben dire che non è soltanto questione di affidare alla Chiesal'educazione religioso-morale della persona, ma di promuovere tutto il processo educativo della persona « insieme con » la Chiesa. La famiglia è chiamata a svolgere il suo compito educativo nella Chiesa, partecipando così alla vita e alla missione ecclesiale. La Chiesa desidera educare soprattuttoattraverso la famiglia, a ciò abilitata dal sacramento del matrimonio, con la « grazia di stato » che ne consegue e lo specifico « carisma » che è proprio dell'intera comunità familiare.

Uno dei campi in cui la famiglia è insostituibile è certamente quello dell'educazione religiosa, grazie alla quale la famiglia cresce come « chiesa domestica ». L'educazione religiosa e la catechesi dei figli collocano la famiglia nell'ambito della Chiesa come un vero soggetto di evangelizzazione e di apostolato. Si tratta di un diritto intimamente connesso col principio della libertà religiosa. Le famiglie, e più concretamente i genitori, hanno libera facoltà di scegliere per i loro figli un determinato modo di educazione religiosa e morale corrispondente alle proprie convinzioni. Ma anche quando essi affidano tali compiti ad istituzioni ecclesiastiche o a scuole gestite da personale religioso, è necessario che la loro presenza educativa continui ad essere costante ed attiva.

Né va tralasciata, nel contesto dell'educazione, la questione essenziale della scelta vocazionale e, in essa, in particolare della preparazione alla vita matrimoniale. Notevoli sono gli sforzi e le iniziative messi in atto dalla Chiesa a favore della preparazione al matrimonio, ad esempio sotto forma di corsi organizzati per i fidanzati. Tutto ciò è valido e necessario. Ma non va dimenticato che la preparazione alla futura vita di coppia è compito soprattutto della famiglia. Certo, solo le famiglie spiritualmente mature possono affrontare in modo adeguato tale impegno. E per questo va sottolineata l'esigenza di una particolare solidarietà tra le famiglie, che può esprimersi attraverso diverse forme organizzative, come le associazioni di famiglie per le famiglie. L'istituzione familiare trae vigore da tale solidarietà, che avvicina tra loro non solo le singole persone, bensì anche le comunità, impegnandole a pregare insieme ed a cercare con il contributo di tutti le risposte alle domande essenziali che emergono dalla vita. Non è questa una forma preziosa di apostolato delle famiglie tra di loro? È importante che le famiglie cerchino di costruire tra loro vincoli di solidarietà. Ciò, oltretutto, consente loro di prestarsi vicendevolmente un servizio educativo: i genitori vengono educati attraverso altri genitori, i figli attraverso i figli. Si crea così una peculiare tradizione educativa, che trae forza dal carattere di « chiesa domestica » che è proprio della famiglia.

È il vangelo dell'amore l'inesauribile sorgente di tutto ciò di cui si nutre la famiglia umana come « comunione di persone ». Nell'amore trova sostegno e senso definitivo l'intero processo educativo, come frutto maturo della reciproca donazione dei genitori. Mediante le fatiche, le sofferenze e le delusioni, che accompagnano l'educazione della persona, l'amore non cessa di essere sottoposto ad una continua verifica. Per superare quest'esame occorre una sorgente di forza spirituale che si trova solo in Colui che « amò sino alla fine » (Gv 13, 1). Così l'educazione si colloca pienamente nell'orizzonte della « civiltà dell'amore »; da essa dipende e, in grande misura, contribuisce a costruirla.

L'incessante e fiduciosa preghiera della Chiesa durante l'Anno della Famiglia è per l'educazione dell'uomo, perché le famiglie perseverino nell'impegno educativo con coraggio, fiducia e speranza, nonostante le difficoltà a volte così gravi da apparire insuperabili. La Chiesa prega perché vincano le forze della « civiltà dell'amore » che sgorgano dalla sorgente dell'amore di Dio; forze che la Chiesa investe senza sosta per il bene dell'intera famiglia umana.

La famiglia e la società

17. La famiglia è una comunità di persone, la più piccola cellula sociale, e come tale è un'istituzionefondamentale per la vita di ogni società.

Che cosa attende la famiglia come istituzione dalla società? Prima di tutto di essere riconosciuta nella sua identità e accettata nella sua soggettività sociale. Questa soggettività è legata all'identità propria del matrimonio e della famiglia. Il matrimonio, che sta alla base dell'istituzione familiare, è costituito dal patto con cui « l'uomo e la donna stabiliscono tra loro la comunità di tutta la vita, per sua natura ordinata al bene dei coniugi e alla procreazione ed educazione della prole ». Solo una tale unione può essere riconosciuta e confermata come « matrimonio » nella società. Non lo possono invece le altre unioni interpersonali che non rispondono alle condizioni sopra ricordate, anche se oggi si diffondono, proprio su tale punto, tendenze assai pericolose per il futuro della famiglia e della stessa società.

Nessuna società umana può correre il rischio del permissivismo in questioni di fondo concernenti l'essenza del matrimonio e della famiglia! Un simile permissivismo morale non può che recar danno alle autentiche esigenze della pace e della comunione fra gli uomini. Si comprende così perché la Chiesa difende con forza l'identità della famiglia e stimola le istituzioni competenti, specialmente i responsabili della politica, come pure le Organizzazioni internazionali, a non cedere alla tentazione di un'apparente e falsa modernità.

Come comunità di amore e di vita, la famiglia è una realtà sociale saldamente radicata e, in modo tutto proprio, una società sovrana, anche se condizionata sotto vari aspetti. L'affermazione della sovranità dell'istituzione-famiglia e la constatazione dei suoi molteplici condizionamenti inducono a parlare dei diritti della famiglia. Al riguardo la Santa Sede ha pubblicato nel 1983 la Carta dei Diritti della Famiglia, che conserva anche ora tutta la sua attualità.

I diritti della famiglia sono strettamente connessi con i diritti dell'uomo: infatti, se la famiglia è comunione di persone, la sua autorealizzazione dipende in misura significativa dalla giusta applicazione dei diritti delle persone che la compongono. Alcuni di questi diritti riguardano immediatamente la famiglia, come il diritto dei genitori alla procreazione responsabile e all'educazione della prole; altri diritti invece riguardano il nucleo familiare solo in modo indiretto: tra questi, di singolare importanza sono il diritto alla proprietà, specialmente alla cosiddetta proprietà familiare, ed il diritto al lavoro.

I diritti della famiglia non sono, però, semplicemente la somma matematica di quelli della persona, essendo la famiglia qualcosa di più della somma dei suoi membri presi singolarmente. Essa è comunità di genitori e di figli; a volte comunità di diverse generazioni. Per questo la sua soggettività, che si costruisce sulla base del disegno di Dio, fonda ed esige diritti propri e specifici. La Carta dei Diritti della Famiglia, partendo dai citati principi morali, consolida l'esistenza dell'istituto familiare nell'ordine sociale e giuridico della « grande » società: della Nazione, dello Stato e delle Comunità internazionali. Ognuna di queste « grandi » società è condizionata almeno indirettamente dall'esistenza della famiglia; per questo la definizione dei compiti e doveri della « grande » società nei confronti della famiglia è questione estremamente importante ed essenziale.

Al primo posto sta il legame quasi organico che si instaura tra la famiglia e la Nazione.Naturalmente, non in ogni caso si può parlare di Nazione in senso proprio. Esistono comunque gruppi etnici che, pur non potendosi considerare vere Nazioni, adempiono però in una certa misura alla funzione di « grande » società. Tanto nell'una quanto nell'altra ipotesi, il legame della famiglia col gruppo etnico o con la Nazione si basa innanzitutto sulla partecipazione alla cultura. I genitori generano i figli, in un certo senso, anche per la Nazione, perché ne siano membri e partecipino del suo patrimonio storico e culturale. Sin dall'inizio l'identità della famiglia si delinea in certa misura sulla base di quella della Nazione a cui appartiene.

La famiglia, partecipando al patrimonio culturale della nazione, contribuisce a quella specifica sovranità, che scaturisce dalla propria cultura e lingua. Ho parlato di questo argomento all'Assemblea dell'UNESCO a Parigi nel 1980 e su di esso sono poi ritornato più volte, per la sua innegabile importanza. Per mezzo della cultura e della lingua, non soltanto la Nazione, ma ogni famiglia ritrova la sua sovranità spirituale. Diversamente sarebbe difficile spiegare molti eventi della storia dei popoli, specialmente europei; eventi antichi e moderni, esaltanti e dolorosi, di vittorie e di sconfitte, dai quali emerge quanto la famiglia sia organicamente unita alla Nazione, e la Nazione alla famiglia.

Nei confronti dello Stato, il legame della famiglia è in parte simile e in parte diverso. Lo Stato, infatti, si distingue dalla Nazione per la sua struttura meno « familiare », organizzato com'è secondo un sistema politico ed in forma più « burocratica ». Nondimeno anche il sistema statale possiede, in certo senso, una sua « anima », nella misura in cui risponde alla sua natura di « comunità politica » giuridicamente ordinata in funzione del bene comune. Con quest'« anima » è strettamente connessa la famiglia, legata allo Stato proprio in forza del principio di sussidiarietà. La famiglia, infatti, è realtà sociale che non dispone di ogni mezzo necessario per realizzare i propri fini, anche nel campo dell'istruzione e dell'educazione. Lo Stato è chiamato allora ad intervenire secondo il menzionato principio: là dove è autosufficiente, la famiglia va lasciata operare autonomamente; una eccessiva invadenza dello Stato risulterebbe dannosa, oltre che irrispettosa, costituendo una palese violazione dei diritti della famiglia; soltanto là dove essa non basta realmente a se stessa, lo Stato ha facoltà e dovere di intervenire.

Oltre l'ambito dell'educazione e dell'istruzione ad ogni livello, l'aiuto statale, che comunque non deve escludere le iniziative dei privati, si esprime, ad esempio, nelle istituzioni che mirano a salvaguardare la vita e la salute dei cittadini, e, in modo particolare, nelle misure previdenziali che riguardano il mondo del lavoro. La disoccupazione costituisce, ai nostri giorni, una delle più serie minacce alla vita familiare e preoccupa giustamente tutte le società. Essa rappresenta una sfida per la politica dei singoli Stati ed un oggetto di attenta riflessione per la dottrina sociale della Chiesa. Quanto mai indispensabile ed urgente è, pertanto, porvi rimedio con coraggiose soluzioni, che sappiano guardare, anche oltre i confini nazionali, alle tante famiglie per le quali la mancanza di lavoro si traduce in una situazione di drammatica miseria.

Parlando del lavoro in riferimento alla famiglia, è giusto sottolineare l'importanza ed il peso dell'attività lavorativa delle donne all'interno del nucleo familiare: essa deve essere riconosciuta e valorizzata fino in fondo. La « fatica » della donna, che, dopo aver dato alla luce un figlio, lo nutre, lo cura e si occupa della sua educazione, specialmente nei primi anni, è così grande da non temere il confronto con nessun lavoro professionale. Ciò va chiaramente affermato, non meno di come va rivendicato ogni altro diritto connesso col lavoro. La maternità, con tutto quello che essa comporta di fatica, deve ottenere un riconoscimento anche economico almeno pari a quello degli altri lavori, affrontati per mantenere la famiglia in una fase così delicata della sua esistenza.

Occorre davvero fare ogni sforzo, perché la famiglia sia riconosciuta come società primordiale e, in un certo senso, « sovrana »! La sua « sovranità » è indispensabile per il bene della società. Una Nazione veramente sovrana e spiritualmente forte è sempre composta di famiglie forti, consapevoli della loro vocazione e della loro missione nella storia. La famiglia sta al centro di tutti questi problemi e compiti: relegarla ad un ruolo subalterno e secondario, escludendola dalla posizione che le spetta nella società, significa recare un grave danno all'autentica crescita dell'intero corpo sociale.






 

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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