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Ultimo Aggiornamento: 29/09/2016 18:26
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17/09/2015 20:31
 
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Scuola, il ministro Giannini ci vuole tutti in galera
Ma se questo non è "gender" dimmi tu cos'è

di Tommaso Scandroglio
17-09-2015



Libro per seconda elementare: un esempio di gender

Se ti azzardi a dire che nella “Buona scuola” (la legge 107/2015) c’è la teoria di genere passerai guai legali. Lo promette il ministro dell’Istruzione Stefania Giannini.

Ieri a Radio 24 lo ha detto chiaro e tondo: c’è «una responsabilità irrinunciabile a passare a strumenti legali» contro questa «truffa culturale. Chi ha parlato e continua a parlare di teoria "gender" in relazione al progetto educativo del governo di Renzi sulla scuola compie una truffa culturale. Ci tuteleremo con gli strumenti a nostra disposizione, anche per vie legali. Ove si continuasse ad incriminare la legge studieremo quali strumenti adottare». 


E buona notte alla libertà di espressione. Tra i giuristi ci si interroga poi sul reato che si andrebbe a compiere: non calunnia, né diffamazione, forse procurato allarme, come chi telefona ad una scuola e dice che ha messo una bomba ma poi si scopre che era tutto uno scherzo. Insomma la Giannini vuole dietro le sbarre chi osa “incriminare” – questo il verbo da lei usato – questa legge. Chiamasi pensiero unico.

La Giannini è così stanca di vedere attaccata la sua legge su questo punto che ieri ha emanato una circolare che è arrivata a tutti i dirigenti scolastici in cui «si ribadisce che […] tra le conoscenze da trasmettere non rientrano in nessun modo né ‘ideologie gender’ né l’insegnamento di pratiche estranee al mondo educativo». Il ministro è stato costretto ad emanare questa circolare perché – si legge nella stessa – «pervengono al MIUR numerose richieste di chiarimenti, sia da parte di dirigenti scolastici e docenti che di genitori, riguardo una presunta possibilità di inserimento all’interno dei Piani dell’Offerta Formativa delle scuole della cosiddetta ‘Teoria del Gender’». 

Ma nella Buona scuola si prevede l’insegnamento della teoria di gender sì o no? Prima di tutto chiariamo cosa è questa teoria. La gender theory non solo predica che l’omosessualità è cosa buona e santa, ma che un maschio si può percepire appartenente al mondo femminile e viceversa. Non solo. Ma asserisce che il dato genetico sessuale – essere maschi o femmine – è ininfluente per le scelte morali della persona. E dunque il sesso (quello biologico) non conta, conta invece il genere, cioè la percezione di sé come maschio, femmina, o come essere umano un po’ maschio e un po’ femmina, o neutro sessualmente. 

In buona sostanza la teoria di genere esige che si superi la dicotomia maschio/femmina, perché concetti stereotipati, non dati naturali, bensì costrutti umani e sociali da retrogradi, gabbie che imprigionano la persona in ruoli precostituiti. Ecco perché – e il punto è decisivo – si sceglie di parlare non di sesso ma di genere: non più discriminazione sessuale, ma discriminazione di genere; non più identità sessuale, ma identità di genere; non più ruoli sessuali ma ruoli di genere e via dicendo. Ergo, ogni volta che in un documento del governo compare la parola “genere” questa non è usata come sinonimo di “sesso”, bensì si contrappone ad essa proprio perché rimanda a tutto quel complesso di tesi appena sintetizzate che ricadono appunto sotto l’espressione “teoria di genere”.

Ora nel comma 16 dell’art. 1 della legge sulla Buona scuola si legge che «nelle scuole di ogni ordine e grado» occorre promuovere l’«educazione alla parità tra i sessi, la prevenzione della violenza di genere e di tutte le discriminazioni». Perché usare due termini differenti – “sesso” e “genere” – se significano la stessa cosa? In realtà si usano due termini differenti proprio perché il termine “genere” rimanda alla teoria di genere.

Ma vi sono altre prove per sostenere che nella Buona scuola è previsto l’insegnamento di questa teoria. La neo-legge della Giannini rimanda al comma 2 dell’art. 5 della legge 119/2013. In questo comma alla lettera b) si legge che occorre «promuovere l'educazione alla relazione e contro la violenza  e la discriminazione di genere  nell'ambito  dei  programmi  scolastici […]  al  fine  di  sensibilizzare, informare, formare gli studenti e prevenire la violenza nei confronti delle  donne  e  la  discriminazione  di  genere,  anche   attraverso un'adeguata valorizzazione della tematica nei libri di testo». 

Questo comma recepisce un documento dal titolo“Piano d’azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere” che è stato redatto dal Dipartimento Pari Opportunità. Andiamo a leggere questo piano stilato il 7 maggio scorso: «Obiettivo prioritario deve essere quello di educare alla parità e al rispetto delle differenze, in particolare per superare gli stereotipi che riguardano il ruolo sociale, la rappresentazione e il significato dell’essere donne e uomini, ragazze e ragazzi, bambine e bambini nel rispetto dell’identità di genere […] mediante l’inserimento di un approccio di genere nella pratica educativa e didattica» (5.2). Traduciamo dal politichese: stereotipo di genere è dire ai bambini ad esempio che esistono solo due sessi e che l’omosessualità è contro natura. L’identità di genere, citata nel passaggio, è invece l’immagine di sé come appartenente al mondo maschile o femminile, o la scelta di appartenere ad uno di questi due mondi al di là del sesso biologico. In poche parole, la teoria di genere. 

Il documento così prosegue: “il Governo provvederà dunque ad elaborare un documento di indirizzo che solleciti tutte le istituzioni scolastiche autonome ad una riflessione ed ad un approfondimento dei temi legati all’identità di genere” (5.2)

Poi, sempre in questo piano straordinario, vi sono le “Linee di indirizzo sull’Educazione”. Qui si richiama l’art. 14 della Convenzione di Istanbul dove si sottolinea la necessità di «includere nei programmi scolastici di ogni ordine e grado materiali didattici su temi quali la parità dei sessi, i ruoli di genere non stereotipati». Si richiama anche l’art. 16, comma 1 lettera d) del decreto legge n. 104/2013 in cui si «sottolinea l’importanza ‘dell’aumento delle competenze relative all’educazione all’affettvità, al rispetto delle diversità, delle pari opportunità di genere e al superamento degli stereotipi di genere». 

Inoltre nel documento si rinvia al progetto Polite (Pari Opportunità nei Libri di Testo). Trattasi di un codice di autoregolamentazione, siglato tra gli altri anche dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento Pari opportunità e dall’Associazione italiana editori, per la promozione e adozione tra gli editori di libri di testo per l’educazione alle pari opportunità. Grazie a questo progetto abbiamo già sui banchi di scuola testi come il famigerato “Piccolo Uovo”: fiaba per bambini in cui si spiega che esiste anche la famiglia omosessuale.
Poi vi sono racconti per l’infanzia dove la bella addormentata è svegliata da una principessa. Oppure il libro per la seconda elementare "L'acero rosso" dove - come riportato in foto - c'è un brano di lettura (“In famiglia” di Sandro Natalini) in cui si può leggere: «In famiglia […] si può essere adottati o avere due mamme e due papà. […] Il legame che unisce la famiglia non è il sangue: è il cuore che ci rende genitori e figli». Sdoganate così le coppie omosessuali e l’omogenitorialità (cliccando qui potrete trovare altri titoli). Questi testi, che da tempo circolano nelle scuole, ci fa dire con la Giannini che è proprio vero che la Buona scuola non mira ad introdurre la teoria di genere nelle scuole, perché c’è già.

Il piano straordinario infine fa riferimento anche alle “Linee di orientamento per azioni di prevenzione e di contrasto al bullismo e al cyberbullismo”. In queste linee si spiega che gli atti di bullismo prendono di mira anche chi è differente per «genere, identità di genere, per orientamento sessuale. […] Il considerare, per esempio, ‘diverso’ un compagno di classe perché ha un orientamento sessuale o un’identità di genere reale o percepita differente dalla propria poggia le sue basi sulla disinformazione e su pregiudizi molto diffusi». Ancora una volta a chiare lettere si rimanda alla teoria di genere quando si parla di orientamento sessuale e identità di genere.

Dato che è facile perdersi in questo gioco di scatole cinesi – gioco volutamente creato ad arte per non venirne più a capo – chiariamo un aspetto importante: questo documento con tutto quello che c’è dentro ha valore di atto amministrativo generale perché riceve validità dalla legge del 2013, quindi direttamente applicabile in tutte le scuole italiane senza passare dal Parlamento, dato che questo si è già espresso chiaramente sul tema. Inoltre questo piano, infarcito di ideologia gender, confluisce nella Buona scuola a motivo del duplice rimando a cui abbiamo fatto cenno.

Torniamo alla circolare di ieri. In essa si fa riferimento anche alla disciplina europea in tema di educazione alla non discriminazione di genere. Qui gli atti normativi si sprecano. Ricordiamo solo la Relazione Rodrigues approvata a larga maggioranza martedì scorso in cui ai nn. 40 e 48 si prevede l’insegnamento della teoria di genere in tutte le scuole dell’Unione Europea (clicca qui).

La circolare emanata dalla Giannini ha cura poi di tranquillizzare i genitori dichiarando che spetta a loro scegliere in quale scuola mandare i figli dopo attenta scelta dei programmi ed attività didattiche ivi offerta. Ma – e qui sta l’inciampo – la circolare si affretta subito a precisare che tali programmi ed attività «in ogni caso dovranno risultare coerenti con i programmi previsti dall’attuale ordinamento scolastico e con le linee di indirizzo emanate dal Miur». Come dire: liberi voi genitori di scegliere dove mandarli i vostri bambini, ma state pur sicuri che in qualsiasi scuola dove li manderete si insegnerà la teoria del gender.

Detto tutto ciò, ci prepariamo ad affrontare le ire legali del ministro perché abbiamo asserito, avvalendoci della libertà di espressione, che la teoria del gender è presente nella riforma Buona scuola.

   

 

IL CASO
 

Alex Gino, scrittore newyorkese si autodefinisce genderqueer e per capire chi diamine sono i genderqueer basta guardare la sua foto. Gino ha scritto il racconto George, un classico nella letteratura gender per l'infanzia. C’è un bambino che si sente bambina e alla fine lo diventerà. In Italia il libro è pubblicato da Mondadori.

di Tommaso Scandroglio
La copertina del libro

 

16-10-2015
Alex Gino, autore del libro

Se ci fosse il Cobas dei personaggi delle fiabe, Cappuccetto Rosso, Biancaneve e Cenerentola scenderebbero subito in piazza dopo aver letto il racconto per l’infanzia George, partorito dal newyorkese Alex Gino.  Mr. Gino si autodefinisce genderqueer e per capire chi diamine sono i genderqueer basta dare un’occhiata alla foto che qui riproduciamo. Il canovaccio seguito da Gino è ormai un classico nella letteratura gender per l’infanzia. C’è un bambino che si sente bambina, gli altri lo deridono, ma poi trova qualcuno – un amico, un parente, etc. – che lo accetta così come è e da quel momento in poi il piccolo trans camminerà a testa alta fiero della sua diversità. 

Questo plot declinato nel libro George si traduce nella seguentetrama. George, di anni 10 e all’anagrafe nato maschio, vuole essere una femmina e così si autobattezza Melissa. Legge riviste per donne e si veste da femminuccia, il tutto di nascosto perché gli altri – compagni, genitori, fratello – lo vedono maschio quando invece lui si sente femmina. Che stupidi questi gender babbani!  George poi legge il libro La tela di Carlotta, libro che gli piacerà moltissimo. La sua maestra annuncia che la scuola farà una riduzione teatrale di questo racconto e George si propone di interpretare Carlotta, ma la maestra, retriva e bigotta, gli risponde che il ruolo potrà essere interpretato solo da una sua compagna. Sarà Kelly, una sua amica, a indicargli un modo per fare outing ed essere accettato. In una battuta: piccoli trans crescono.

George è stato distribuito in 10.000 scuole e biblioteche della nazione e lo stesso autore è stato chiamato a parlarne già in un centinaio di scuole, nonostante il libro sia fresco di stampa. L’eco mediatica è impressionante e tutti i principali tabloid anglofoni hanno sfornato recensioni ovviamente entusiaste, nel miglior stile del gaiamente corretto. Da noi è in uscita presso Mondadori. Gino pare dunque essere candidato a diventare il Dan Brown dell’editoria Lgbt L’autore ha impiegato 12 anni per scrivere questa storia. Tolstoj ne impiegò 13 per portare a compimento Guerra e Pace e questo la dice lunga sullo spessore letterario di Gino.George in quanto a vendite veleggia spedito verso le centinaia di migliaia di copie. I venti che gonfiano la vela del nostromo Gino sono sempre gli stessi di qualsiasi campagna gay. 

In primo luogo viene tirato fuori dalla tomba il buon Pindaro, poeta dell’antica Grecia, che nel suo Pitiche così esortava tutti noi: «Diventa ciò che sei». È il frusto tema della spontaneità. Quindi se George si sente Melissa, ebbene che sia Melissa. Ma qui si confonde tra spontaneità e autenticità. Noi tutti dobbiamo diventare il meglio di noi stessi (autenticità), non semplicemente ciò che ci piace essere o ciò che le nostre viscere ci suggeriscono di essere (spontaneità). Se mi sento ladro e bugiardo forse che mi sarà concesso rubare e mentire? In secondo luogo pare che il transessualismo, anche nella sua versione bonsai, non sia foriero di nessun guaio per la psiche dei minori, ma anzi li appaghi proprio perché status catartico e liberatorio. 

Ma solo i bimbi trans nati e cresciuti sulla carta sono felici, tutti gli altri no. Ce lo dicono psichiatri e psicoterapeuti i quali tra l’altro, quando da loro si presentano mamma e papà con piccolo al seguito un po’ confuso sulla propria identità psico-sessuale, fanno adagiare sul lettino prima gli adulti perché di certo c’è qualcosa che non va in loro o nel loro rapporto.  C’è poi un altro vento ideologico che soffia con forza sulle vele della navicella George. Molti commentatori hanno sovrapposto la figura del bimbo-trans a quella del bimbo-disabile o del bimbo-grasso o del bimbo di colore, analogie che dovrebbero aprire i cuori di pietra dei transfobi all’inclusività senza riserve. Nel primo e secondo caso si fanno così un autogol perché ci dicono che il transessualismo è una disabilità, una patologia o perlomeno un rischio per la salute come lo è l’obesità.  Nell’ultimo caso, quello del bambino di colore, l’accostamento è indebito. L’etnia come la razza sono dati di natura, non così il transessualismo che invece contrasta con la natura, metafisicamente intesa.

La morale del racconto George per i cannibali del buon senso è dunque che “diverso è bello”. Invece per i custodi del sacro buon senso le cose belle sono ben diverse e la trans-novella di Gino è solo un modo per stuprare le candide anime dei bambini.

 




[Modificato da Caterina63 16/10/2015 10:28]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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