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24/08/2017 20:58
 
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DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO
AI PARTECIPANTI ALLA 68.ma SETTIMANA LITURGICA NAZIONALE

Aula Paolo VI
Giovedì, 24 agosto 2017

[Multimedia]


 

Cari fratelli e sorelle, buongiorno.

Do il benvenuto a tutti voi e ringrazio il Presidente, Sua Eccellenza Mons. Claudio Maniago, per le parole con cui ha presentato questa Settimana Liturgica Nazionale, a 70 anni dalla nascita del Centro di Azione Liturgica.

Questo arco di tempo è un periodo in cui, nella storia della Chiesa e, in particolare, nella storia della liturgia, sono accaduti eventi sostanziali e non superficiali. Come non si potrà dimenticare il Concilio Vaticano II, così sarà ricordata la riforma liturgica che ne è sgorgata.

Sono due eventi direttamente legati, il Concilio e la riforma, non fioriti improvvisamente ma a lungo preparati. Lo testimonia quello che fu chiamato movimento liturgico, e le risposte date dai Sommi Pontefici ai disagi percepiti nella preghiera ecclesiale; quando si avverte un bisogno, anche se non è immediata la soluzione, c’è la necessità di mettersi in moto.

Penso a san Pio X che dispose un riordino della musica sacra[1] e il ripristino celebrativo della domenica,[2] ed istituì una commissione per la riforma generale della liturgia, consapevole che ciò avrebbe comportato «un lavoro tanto grande quanto diuturno; e perciò – come egli stesso riconosceva – è necessario che passino molti anni, prima che questo, per così dire, edificio liturgico [...] riappaia di nuovo splendente nella sua dignità e armonia, una volta che sia stato come ripulito dallo squallore dell’invecchiamento».[3]

Il progetto riformatore fu ripreso da Pio XII con l’Enciclica Mediator Dei[4] e l’istituzione di una commissione di studio;[5] anch’egli prese decisioni concrete circa la versione del Salterio,[6] l’attenuazione del digiuno eucaristico, l’uso della lingua viva nel Rituale, l’importante riforma della Veglia Pasquale e della Settimana Santa.[7] Da questo impulso, sull’esempio di altre Nazioni, sorse in Italia il Centro di Azione Liturgica, guidato da Vescovi solleciti del popolo loro affidato e animato da studiosi che amavano la Chiesa oltre che la pastorale liturgica.

Il Concilio Vaticano II fece poi maturare, come buon frutto dall’albero della Chiesa, la Costituzione sulla sacra liturgia Sacrosanctum Concilium (SC), le cui linee di riforma generale rispondevano a bisogni reali e alla concreta speranza di un rinnovamento: si desiderava una liturgia viva per una Chiesa tutta vivificata dai misteri celebrati. Si trattava di esprimere in maniera rinnovata la perenne vitalità della Chiesa in preghiera, avendo premura «affinché i fedeli non assistano come estranei e muti spettatori a questo mistero di fede, ma, comprendendolo bene per mezzo dei riti e delle preghiere, partecipino all’azione sacra consapevolmente, piamente, attivamente» (SC, 48). Lo ricordava il Beato Paolo VI nello spiegare i primi passi della riforma annunciata: «E’ bene che si avverta come sia proprio l’autorità della Chiesa a volere, a promuovere, ad accendere questa nuova maniera di pregare, dando così maggiore incremento alla sua missione spirituale […]; e noi non dobbiamo esitare a farci dapprima discepoli e poi sostenitori della scuola di preghiera, che sta per cominciare».[8]

La direzione tracciata dal Concilio trovò forma, secondo il principio del rispetto della sana tradizione e del legittimo progresso (cfr SC, 23), [9] nei libri liturgici promulgati dal Beato Paolo VI, ben accolti dagli stessi Vescovi che furono presenti al Concilio, e ormai da quasi 50 anni universalmente in uso nel Rito Romano. L’applicazione pratica, guidata dalle Conferenze Episcopali per i rispettivi Paesi, è ancora in atto, poiché non basta riformare i libri liturgici per rinnovare la mentalità. I libri riformati a norma dei decreti del Vaticano II hanno innestato un processo che richiede tempo, ricezione fedele, obbedienza pratica, sapiente attuazione celebrativa da parte, prima, dei ministri ordinati, ma anche degli altri ministri, dei cantori e di tutti coloro che partecipano alla liturgia. In verità, lo sappiamo, l’educazione liturgica di Pastori e fedeli è una sfida da affrontare sempre di nuovo. Lo stesso Paolo VI, un anno prima della morte, diceva ai Cardinali riuniti in Concistoro: «E’ venuto il momento, ora, di lasciar cadere definitivamente i fermenti disgregatori, ugualmente perniciosi nell’un senso e nell’altro, e di applicare integralmente nei suoi giusti criteri ispiratori, la riforma da Noi approvata in applicazione ai voti del Concilio».[10]

E oggi c’è ancora da lavorare in questa direzione, in particolare riscoprendo i motivi delle decisioni compiute con la riforma liturgica, superando letture infondate e superficiali, ricezioni parziali e prassi che la sfigurano. Non si tratta di ripensare la riforma rivedendone le scelte, quanto di conoscerne meglio le ragioni sottese, anche tramite la documentazione storica, come di interiorizzarne i principi ispiratori e di osservare la disciplina che la regola. Dopo questo magistero, dopo questo lungo cammino possiamo affermare con sicurezza e con autorità magisteriale che la riforma liturgica è irreversibile.

Il compito di promuovere e custodire la liturgia è affidato dal diritto alla Sede Apostolica e ai Vescovi diocesani, sulla cui responsabilità e autorità conto molto nel momento presente; sono coinvolti anche gli organismi nazionali e diocesani di pastorale liturgica, gli Istituti di formazione e i Seminari. In questo ambito formativo si è distinto, in Italia, il Centro di Azione Liturgica con le sue iniziative, tra cui l’annuale Settimana Liturgica.

Dopo aver ripercorso con la memoria questo cammino, vorrei adesso toccare alcuni aspetti alla luce del tema su cui avete riflettuto in questi giorni, cioè: “Una Liturgia viva per una Chiesa viva”.

- La liturgia è “viva” in ragione della presenza viva di Colui che «morendo ha distrutto la morte e risorgendo ha ridato a noi la vita» (Prefazio pasquale I). Senza la presenza reale del mistero di Cristo, non vi è nessuna vitalità liturgica. Come senza battito cardiaco non c’è vita umana, così senza il cuore pulsante di Cristo non esiste azione liturgica. Ciò che definisce la liturgia è infatti l’attuazione, nei santi segni, del sacerdozio di Gesù Cristo, ossia l’offerta della sua vita fino a stendere le braccia sulla croce, sacerdozio reso presente in modo costante attraverso i riti e le preghiere, massimamente nel suo Corpo e Sangue, ma anche nella persona del sacerdote, nella proclamazione della Parola di Dio, nell’assemblea radunata in preghiera nel suo nome (cfr SC, 7). Tra i segni visibili dell’invisibile Mistero vi è l’altare, segno di Cristo pietra viva, scartata dagli uomini ma divenuta pietra d’angolo dell’edificio spirituale in cui viene offerto al Dio vivente il culto in spirito e verità (cfr 1 Pt 2,4; Ef 2,20). Perciò l’altare, centro verso cui nelle nostre chiese converge l’attenzione,[11] viene dedicato, unto con il crisma, incensato, baciato, venerato: verso l’altare si orienta lo sguardo degli oranti, sacerdote e fedeli, convocati per la santa assemblea intorno ad esso;[12] sopra l’altare viene posta l’offerta della Chiesa che lo Spirito consacra sacramento del sacrificio di Cristo; dall’altare ci sono elargiti il pane della vita e il calice della salvezza «perché diventiamo in Cristo un solo corpo e un solo spirito» (Preghiera eucaristica III).

- La liturgia è vita per l’intero popolo della Chiesa.[13] Per sua natura la liturgia è infatti “popolare” e non clericale, essendo – come insegna l’etimologia – un’azione per il popolo, ma anche del popolo. Come ricordano tante preghiere liturgiche, è l’azione che Dio stesso compie in favore del suo popolo, ma anche l’azione del popolo che ascolta Dio che parla e reagisce lodandolo, invocandolo, accogliendo l’inesauribile sorgente di vita e di misericordia che fluisce dai santi segni. La Chiesa in preghiera raccoglie tutti coloro che hanno il cuore in ascolto del Vangelo, senza scartare nessuno: sono convocati piccoli e grandi, ricchi e poveri, fanciulli e anziani, sani e malati, giusti e peccatori. Ad immagine della “moltitudine immensa” che celebra la liturgia nel santuario del cielo (cfr Ap 7,9), l’assemblea liturgica supera, in Cristo, ogni confine di età, razza, lingua e nazione. La portata “popolare” della liturgia ci ricorda che essa è inclusiva e non esclusiva, fautrice di comunione con tutti senza tuttavia omologare, poiché chiama ciascuno, con la sua vocazione e originalità, a contribuire nell’edificare il corpo di Cristo: «L’Eucaristia non è un sacramento “per me”, è il sacramento di molti che formano un solo corpo, il santo popolo fedele di Dio».[14] Non dobbiamo dimenticare, dunque, che è anzitutto la liturgia ad esprimere la pietas di tutto il popolo di Dio, prolungata poi da pii esercizi e devozioni che conosciamo con il nome di pietà popolare, da valorizzare e incoraggiare in armonia con la liturgia.[15]

- La liturgia è vita e non un’idea da capire. Porta infatti a vivere un’esperienza iniziatica, ossia trasformativa del modo di pensare e di comportarsi, e non ad arricchire il proprio bagaglio di idee su Dio. Il culto liturgico «non è anzitutto una dottrina da comprendere, o un rito da compiere; è naturalmente anche questo ma in un’altra maniera, è essenzialmente diverso: è una sorgente di vita e di luce per il nostro cammino di fede».[16] Le riflessioni spirituali sono una cosa diversa dalla liturgia, la quale «è proprio entrare nel mistero di Dio; lasciarsi portare al mistero ed essere nel mistero».[17] C’è una bella differenza tra dire che esiste Dio e sentire che Dio ci ama, così come siamo, adesso e qui. Nella preghiera liturgica sperimentiamo la comunione significata non da un pensiero astratto ma da un’azione che ha per agenti Dio e noi, Cristo e la Chiesa.[18] I riti e le preghiere (cfr SC, 48), per quello che sono e non per le spiegazioni che ne diamo, diventano pertanto una scuola di vita cristiana, aperta a quanti hanno orecchi, occhi e cuore dischiusi ad apprendere la vocazione e la missione dei discepoli di Gesù. Ciò è in linea con la catechesi mistagogica praticata dai Padri, ripresa anche dal Catechismo della Chiesa Cattolica che tratta della liturgia, dell’Eucaristia e degli altri Sacramenti alla luce dei testi e dei riti degli odierni libri liturgici.

La Chiesa è davvero viva se, formando un solo essere vivente con Cristo, è portatrice di vita, è materna, è missionaria, esce incontro al prossimo, sollecita di servire senza inseguire poteri mondani che la rendono sterile. Perciò, celebrando i santi misteri ricorda Maria, la Vergine del Magnificat, contemplando in lei «come in un’immagine purissima, ciò che essa tutta desidera e spera di essere» (SC, 103).

Infine, non possiamo dimenticare che la ricchezza della Chiesa in preghiera in quanto “cattolica” va oltre il Rito Romano, che, pur essendo il più esteso, non è il solo. L’armonia delle tradizioni rituali, d’Oriente e d’Occidente, per il soffio del medesimo Spirito dà voce all’unica Chiesa orante per Cristo, con Cristo e in Cristo, a gloria del Padre e per la salvezza del mondo.

Cari fratelli e sorelle, vi ringrazio per la vostra visita e incoraggio i responsabili del Centro di Azione Liturgica a proseguire tenendo fede all’ispirazione originale, quella di servire la preghiera del popolo santo di Dio. Infatti, il Centro di Azione Liturgica si è sempre distinto per la cura prestata alla pastorale liturgica, nella fedeltà alle indicazioni della Sede Apostolica come dei Vescovi e godendo del loro supporto. La lunga esperienza delle Settimane Liturgiche, tenutesi in numerose diocesi d’Italia, insieme alla rivista “Liturgia”, ha aiutato a calare il rinnovamento liturgico nella vita delle parrocchie, dei seminari e delle comunità religiose. La fatica non è mancata, ma neppure la gioia! E’ ancora questo l’impegno che vi chiedo oggi: aiutare i ministri ordinati, come gli altri ministri, i cantori, gli artisti, i musicisti, a cooperare affinché la liturgia sia “fonte e culmine della vitalità della Chiesa” (cfr SC, 10). Vi chiedo per favore di pregare per me e vi imparto di cuore la Benedizione Apostolica


[1] Cfr Motu proprio Tra le sollecitudini, 22 novembre 1903: ASS 36 (1904), 329-339.

[2] Cfr Cost. ap. Divino afflatu, 1 novembre 1911: AAS 3 (1911), 633-638.

[3] Motu proprio Abhinc duos annos, 23 ottobre 1913: AAS 5 (1913) 449-450.

[4] 20 novembre 1947AAS 39 (1947) 521-600.

[5] Cfr Sacrae Congr. Rituum, Sectio historica, 71, “Memoria sulla riforma liturgica” (1946).

[6] Cfr Pii XII, Motu proprio In cotidianis precibus, 24 marzo 1945: AAS 37 (1945) 65-67.

[7] Cfr Sacrae Congr. Rituum, Decretum Dominicae Resurrectionis, 9 febbraio 1951: AAS 43 (1951) 128-129; Id., Decretum Maxima Redemptionis, 16 novembre 1955: AAS 47 (1955) 838-841.

[8] Udienza generale del 13 gennaio 1965.

[9] «La riforma dei riti e dei libri liturgici fu intrapresa quasi immediatamente dopo la promulgazione della costituzione Sacrosanctum Concilium e fu attuata in pochi anni grazie al considerevole e disinteressato lavoro di un grande numero di esperti e di pastori di tutte le parti del mondo (cfr Sacrosanctum Concilium, 25). Questo lavoro è stato fatto sotto la guida del principio conciliare: fedeltà alla Tradizione e apertura al legittimo progresso (cfr ibid., 23); perciò si può dire che la riforma liturgica è strettamente tradizionale “ad normam Sanctorum Patrum” (cfr ibid., 50; Institutio generalis Missalis Romani, Prooemium, 6)» (Giovanni Paolo II, Lett. ap. Vicesimus quintus annus, 4).

[10] «Un punto particolare della vita della Chiesa attira oggi di nuovo l’attenzione del Papa: i frutti indiscutibilmente benèfici della riforma liturgica. Dalla promulgazione della Costituzione conciliare Sacrosanctum Concilium è avvenuto un grande progresso, che risponde alle premesse poste dal movimento liturgico dello scorcio finale del sec. XIX, e ne ha adempiute le aspirazioni profonde, per cui tanti uomini di Chiesa e studiosi hanno lavorato e pregato. Il nuovo Rito della Messa, da noi promulgato dopo lunga e responsabile preparazione degli organi competenti, e nel quale sono stati introdotti, accanto al Canone Romano, rimasto sostanzialmente immutato, altre eulogie eucaristiche, ha portato frutti benedetti: maggiore partecipazione all’azione liturgica; più viva consapevolezza dell’azione sacra; maggiore e più ampia conoscenza dei tesori inesauribili della Sacra Scrittura; incremento del senso comunitario nella Chiesa. Il corso di questi anni dimostra che siamo nella via giusta. Ma vi sono stati, purtroppo - pur nella grandissima maggioranza delle forze sane e buone del clero e dei fedeli - abusi e libertà nell’applicazione. È venuto il momento, ora, di lasciar cadere definitivamente i fermenti disgregatori, ugualmente perniciosi nell’un senso e nell’altro, e di applicare integralmente nei suoi giusti criteri ispiratori, la riforma da Noi approvata in applicazione ai voti del Concilio» (Alloc. Gratias ex animo, 27 giugno 1977: Insegnamenti di Paolo VI, XV [1977], 655-656, in italiano 662-663).

[11] Cfr Ordinamento generale del Messale Romano, n. 299Rito della dedicazione di un altare, Premesse, nn. 155, 159

[12] «Intorno a quest’altare ci nutriamo del corpo e sangue del tuo Figlio per formare la tua Chiesa una e santa» (Rito della dedicazione di un altare, n. 213, Prefazio).

[13] «Le azioni liturgiche non sono azioni private ma celebrazioni della Chiesa, che è “sacramento dell’unità”, cioè popolo santo radunato e ordinato sotto la guida dei Vescovi. Perciò appartengono all’intero corpo della Chiesa, lo manifestano e lo implicano» (SC, 23).

[14] Omelia nella solennità del SS.mo Corpo e Sangue di Cristo, 18 giugno 2017: L’Osservatore Romano, 19-20 giugno 2017, pag. 8.

[15] Cfr SC, 13; Esort. ap. Evangelii gaudium, 24 novembre 2013, 122-126AAS 105 (2013), 1071-1073.

[16] Omelia nella S. Messa della III Domenica di Quaresima, Parrocchia romana di Ognissanti, 7 marzo 2015.

[17] Omelia nella Messa a S. Marta, 10 febbraio 2014.

[18] «Ecco perché ci fa tanto bene il memoriale eucaristico: non è una memoria astratta, fredda, nozionistica, ma la memoria vivente e consolante dell’amore di Dio. […] Nell’Eucaristia c’è tutto il gusto delle parole e dei gesti di Gesù, il sapore della sua Pasqua, la fragranza del suo Spirito. Ricevendola, si imprime nel nostro cuore la certezza di essere amati da Lui» (Omelia nella solennità del SS.mo Corpo e Sangue di Cristo, 18 giugno 2017: L’Osservatore Romano, 19-20 giugno 2017, pag. 8).


ecco l'ottima analisi del domenicano Padre Riccardo Barile

RIFLESSIONI SULL'INTERVENTO DEL PONTEFICE
 

In un importante discorso ai partecipanti alla Settimana liturgica nazionale, il Papa ha affermato che "la riforma liturgica è irreversibile". C'è chi si è spaventato vedendovi una legittimazione degli abusi. Timori senza fondamento ma nel cammino della riforma c’è anche il motu proprio Summorum Pontificum: anch'esso partecipa della “irreversibilità” dato che ha creato una nuova situazione liturgica attualmente operante che non può essere taciuta. Perché il Papa non ne ha accennato nel suo discorso? 

di fr. Riccardo Barile OP

Il 24 agosto scorso nell’Aula Paolo VI Papa Francesco ha ricevuto i partecipanti alla 68.ma Settimana Liturgica Nazionale organizzata dal CAL (Centro di Azione Liturgica). Alcune espressioni hanno suscitato perplessità, disagi, forse anche paure. E ovazioni. È necessaria una analisi più approfondita per evitare reazioni emozionali.

IL DISCORSO COME TALE

È un discorso/saluto molto classico e documentato, senza frasi a braccio e con molte citazioni pertinenti. Quasi tutte le questioni formali hanno spazio equilibrato: si parla della liturgia ma anche del suo prolungamento nei «pii esercizi e devozioni che conosciamo con il nome di pietà popolare»; si parla di liturgia popolare ed esperienziale, ma anche della «disciplina che la regola»; si è nell’orizzonte della liturgia romana ma senza dimenticare che «la ricchezza della Chiesa in preghiera in quanto “cattolica” va oltre il Rito Romano».

È un discorso relativo al CAL, che compie 70 anni di fondazione (ottobre 1947) e così si spiega l’esposizione del cammino della riforma liturgica a cominciare da san Pio X. Ed è un discorso relativo al programma della Settimana “Una liturgia viva per una Chiesa viva”, formula commentata con ampiezza: la liturgia «è “viva” in ragione della presenza viva di Colui che morendo ha distrutto la morte e risorgendo ha ridato a noi la vita»; la liturgia «è vita per l’intero popolo della Chiesa», raccoglie tutti ed esprime «la pietas di tutto il popolo di Dio»; la liturgia «è vita e non un’idea da capire», è una «esperienza iniziatica, ossia trasformativa del modo di pensare e di comportarsi» e di conseguenza «esce incontro al prossimo».

QUALCHE ANALISI E QUALCHE PRECISAZIONE

1. Il Magistero. L’excursus storico sul cammino della riforma si conclude così: «Possiamo affermare con sicurezza e con autorità magisteriale che la riforma liturgica è irreversibile». La frase ha spaventato qualcuno, quasi sanzionasse l’esistente come tale e non permettesse revisioni. Ciò che la frase vuol dire è che non è pensabile un radicale cammino all’indietro e che nell’insieme questa è stata la strada giusta della Chiesa. Tra parentesi, nel cammino della riforma, non citato, c’è anche il motu proprio Summorum Pontificum e ci si domanda se non partecipa anch’esso della “irreversibilità”... La frase comunque non ha solennità definitoria e soprattutto è impossibile che blocchi future riforme. Tra l’altro, se è possibile intervenire dogmaticamente su alcuni particolari (ad esempio la non ordinazione delle donne o il pane e il vino come materia esclusiva per l’Eucaristia), non è possibile “fissare” uno spirito liturgico, che si evolve con i tempi, con le persone e sotto l’influsso dello Spirito Santo.

2. La centralità dell’altare. L’insieme delle espressioni non pregiudicano il volgersi ad oriente (un oriente teologico, cioè l’abside). È un discorso ideale che non tocca determinazioni locali: l’importante è che l’altare sia al centro dell’attenzione e rituale e partecipativa: localmente può essere nel centro della chiesa, in presbiterio rivolto al popolo, in presbiterio rivolto all’abside. Il discorso non contiene determinazioni locali.

3. Il clericalismo. «Per sua natura la liturgia è infatti “popolare” e non clericale». Il clericalismo può essere un pericolo vero - oggi lo è veramente? e se sì, non lo è forse più da sinistra che da destra? -, ma risulta dannoso fermarsi qui e non esplicitare in positivo il ruolo del sacerdote che è icona di Cristo capo dell’assemblea: in liturgia non c’è democrazia... il prete non deve solo avere l’odore delle pecore ma essere modello del gregge...

4. L’accoglienza di tutti. La liturgia accoglie tutti «senza scartare nessuno... è inclusiva e non esclusiva», evita di «omologare, poiché chiama ciascuno, con la sua vocazione e originalità, a contribuire nell’edificare il corpo di Cristo». Il discorso è correttissimo in quanto si precisa che i “tutti” sono «coloro che hanno il cuore in ascolto del Vangelo». Tuttavia, proprio perché oggi si pongono problemi di accoglienza eucaristica, sarebbe stato auspicabile ampliare il discorso sul fatto che non tutte le situazioni di vita sono compatibili con il Vangelo. Non solo: se la liturgia non omologa, sarebbe stato desiderabile dichiarare che la comunità cristiana accoglie anche quanti hanno una sensibilità più tradizionale liturgica, non relegandoli nella categoria dei nostalgici e degli immaturi...

I SILENZI

1. Un mancato sviluppo: il valore della normativa liturgica (le rubriche). Abbiamo già posto in evidenza un cenno alla “disciplina”. Si afferma che «il compito di promuovere e custodire la liturgia è affidato dal diritto alla Sede Apostolica e ai Vescovi diocesani». Per contro la indisciplina e i “fermenti disgregatori” sono relegati in nota 10 a una accorata “lamentazione” dell’ultimo Paolo VI. Non si sottolinea invece che è un problema attuale che defigura la riforma: gli abusi e il non intervento episcopale sugli abusi. E ciò capita perché è sparita - non è più promossa? - la convinzione che la normativa, tramite la Chiesa, garantisce il “senso di Cristo” delle parole e dei gesti. E se è vero che la liturgia - come ribadito nel discorso - insegna e fa entrare dentro al mistero di Cristo attraverso le parole e i gesti o riti, cambiare questi e quelle significa, poco o tanto, cambiare Gesù Cristo e la Chiesa. D’altra parte Papa Francesco al suo primo giovedì santo infranse la normativa (entusiasmi degli inizi poi rientrati modificando la normativa); d’altra parte tra i relatori alla settimana e dunque tra i presenti all’udienza c’era qualcuno che non ha mai conosciuto la fila allo sportello per farsi approvare la “propria” liturgia...

2. Un silenzio totale: il motu proprio Summorum Pontificum e sul suo autore Benedetto XVI. Non se ne accenna mai. Eppure anche questa è normativa vigente e cammino della riforma. Anzi, il motu proprio ha creato una nuova situazione liturgica attualmente operante e influente che non può essere taciuta e che non si limita ai gruppi che celebrano con il Messale del 1962 e altri libri liturgici analoghi.

Il motu proprio ha infatti messo in moto un movimento di riflessione e di prassi, che non può essere ignorato, anche se, pro bono pacis, è meglio non parlare di riforma della riforma. Di che cosa si tratta? Solo qualche esempio.

Si tratta di accentuare il rispetto della normativa.

Si tratta di accentuare il fatto che la liturgia è una terra santa che comporta un senso del sacro cristiano, che è primariamente rivolta alla lode e all’adorazione di Dio e a ricevere la salvezza della Redenzione del Signore Gesù; la comunità e l’accoglienza certo devono esserci, ma si creano appunto a partire da queste basi.

Si tratta non di rivedere la Costituzione conciliare Sacrosantum Concilium, ma certi presupposti mentali della riforma, ad esempio l’antichismo: riportare tutto agli inizi, all’antico, senza rispettare le giuste evoluzioni di crescita; l’essenzialismo: mantenere solo essenziale, con operazioni depauperanti e impossibili (cf certe architetture squallide) perché non si riuscirà mai a far vivere le essenze pure, operazioni che sono la morte della liturgia; oppure il ruolo della Parola di Dio sulla quale, scrive un libro liturgico (OLM 3), poggia fondamentalmente la liturgia: no, la liturgia poggia fondamentalmente su Gesù Cristo presente e operante in modo sacramentale, che parla attraverso le letture proclamate, ma che fa anche altre cose ecc.

Si tratta di ripensare certe realizzazioni della riforma e soprattutto lo spirito con il quale è stata attuata: ad esempio la riduzione quasi totale della lingua latina e del canto gregoriano, oppure l’altare verso il popolo come condizione sine qua non per celebrare bene.

Per tutto questo non ci vogliono tanto modifiche delle leggi, ma modifiche di spirito e di mentalità per celebrare in modo più rispettoso e più in armonia con la tradizione precedente.

Il silenzio totale su questa nuova sensibilità non può essere dimenticanza. Che cosa significa? 

ANDARE OLTRE CON SPERANZA

Forse il presente discorso va letto riandando con la memoria a certi fatti accaduti.

Pio XII nella Mediator Dei (20.11.1947) sponsorizzò il mantenimento della lingua latina in liturgia e scrisse che è fuori strada chi prevede di restituire all’altare l’antica forma di mensa ed eliminare le vesti di colore nero (nn. 48.50): poi oggi...

Paolo VI in una accorata lettera dell’11.10.1976 a mons. M. Lefebvre arrivò a dire che la proibizione di celebrare secondo il vecchio rito (codificato oggi col Summorum Pontificum come Forma Straordinaria ndr) non era una questione cerimoniale, ma di ecclesiologia e di vera tradizione da salvaguardare e dunque lui non si sentiva di annullare la proibizione: poi Giovanni Paolo II e Benedetto XVI concessero che...

Questi fatti lasciano intravvedere che i documenti e i discorsi, per quanto importanti, non sono tutto e la liturgia cresce non solo come nostra evoluzione, ma per opera dello Spirito.

La conclusione è che il futuro sarà di quanti celebrano bene e con spirito nuovo, attenti a rispettare la normativa e attenti a vivere la liturgia come un roveto ardente che ci avvicina alla terra sacra del Dio tre volte santo, dove riceviamo un messaggio di liberazione che non è più l’uscita dall’Egitto, ma la morte e risurrezione di Gesù che con il suo sacrificio rimette i peccati e ci porta con lui da questo mondo al Padre. Ma già oggi in silenzio è da questa mentalità e da questo spirito che la Chiesa è feconda, è da qui che nascono le vocazioni: santi laici, santi monaci, sante e non girovaganti monache, santi preti. I quali, senza clericalismo e con la gioia del popolo di Dio, stanno già mettendo in pratica quanto il Romano Pontefice ha detto.

«Vi chiedo per favore di pregare per me». Così conclude il discorso Papa Francesco. Non omettiamo di farlo: è più decisivo dell’analisi del discorso stesso.

 

  si  legga anche qui:

FOCUS di Claudio Crescimanno

 

 

Riconciliazione liturgica o riforma irreversibile? Il fronte progressista è arroccato in una posizione conservatrice per cui la riforma conciliare non si può toccare. Però 50 anni fa si toccò la messa gregoriana che di anni ne aveva 1500. La posta in gioco è grande: la forma liturgica esprime la fede. E oggi si stanno compiendo epocali cambiamenti di contenuti dottrinali bimillenari che produrranno un cambiamento di contenuto della Messa e dei Sacramenti. 

-LA TRAVERSATA DEL DESERTO di A. Zambrano







[Modificato da Caterina63 05/09/2017 20:19]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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