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Kierkegaard, un cristiano per i nostri tempi

Ultimo Aggiornamento: 27/08/2014 17:00
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27/08/2014 17:00
 
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   Kierkegaard, un cristiano per i nostri tempi

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Kierkegaard

Il cristianesimo di Kierkegaard, dove la tristezza non è mai disperazione. Un viaggio nell’universo del pensatore cristiano che non passa mai di moda. La sua conversione al cattolicesimo non è mai arrivata (anche per la morte prematura): i suoi scritti, però, ancora oggi possono dire molto ai cattolici

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lancellottidi Dorotea Lancellotti su papalepapale.com

Soren Kierkegaard è di una attualità sconvolgente. Hegel, Fichte, Kant, ecc.. sono tutti punti cardini dai quali Kierkegaard parte, nuota dentro, per poi uscirne fuori con pensieri ulteriori che, affrontati sulla sua pelle, lo porteranno ad avvicinarsi sempre di più alla conversione cattolica. Egli è coinvolto, e coinvolge non solo la ragione ma soprattutto l’autentica misura del nostro umanesimo, non già ristretto, come sosteneva Hegel, all’essenza del suo essere comunità, quanto piuttosto aperto all’essenza del suo essere e divenire in quanto soggetto unico e, in questa unicità, un Dio si è fatto uomo per salvare, singolarmente.

Kierkegaard fa notare infatti che, prima ancora di diventare comunità, l’uomo nasce come singolo individuo e che solo una graduale trasformazione e formazione lo porterà ad inserirsi, più o meno, all’interno della società e della comunità. Quindi molto dipenderà dalla formazione che il singolo individuo riceverà e, in base a questa, si prospetterà anche il successo o il fallimento di una comunità. Riconosciuto quale “precursore dell’esistenzialismo”, va detto che tale titolo non si addice al suo pensiero, il quale è più improntato sul vero umanesimo di ogni singolo uomo che non alla sua semplice esistenza.

Comunque la pensiate, mai maledire Dio!

Kierkegaard da giovane.

Kierkegaard da giovane.

Risparmiando sulle solite note biografichereperibili ovunque, ci piace riassumere in un episodio l’esistenza, fin dal principio paradossale, di Soren Kierkegaard. Il padre, Michael Pedersen, prima di diventare ricco, un giorno si mise a maledire Dio a causa della sua povertà. Egli poi ritenne una vendetta il fatto che la moglie e ben cinque figli su sette non sopravvissero, tranne Soren, figlio di seconde nozze (o meglio fu un matrimonio riparatore). Il pensatore, crescendo, dopo aver appreso della “genesi” (secondo la spiegazione del padre) di queste tragedie e vedendo la morte del fratello di 12 anni, entrò in una tristezza profonda che caratterizzò tutta la sua esistenza, i suoi studi, la fede e di conseguenza anche il suo ricco pensiero. È proprio questa sua malinconia a renderlo riflessivo: grazia a questa, trae copiosi frutti sulla ragione. Tipico del protestantesimo storico è la sua formazione giovanile da parte di un padre anziano, austero e severo fino al punto da inculcargli l’ossessione del peccato. L’esito sarà che Kierkegaard nutrirà sensi di colpa nei confronti della maledizione del padre.

Regina Olsen. La donna amata da Kierkgaard. Non volle sposarla per paura della maledizione?

Regina Olsen. La donna amata da Kierkgaard. Non volle sposarla per paura della maledizione?

E’ vero che il pensiero della maledizione del padre lo spinse a non sposarsi per timore che tale mala sorta potesse ricadere anche sui propri figli. C’è anche da considerare, però, tutta la sua battaglia sull’esistenzialismo che lo condusse a non prendere mai una decisione definitiva, come, per esempio, la sua conversione al cattolicesimo che di fatto era già un desiderio ed un traguardo assunto nei suoi ragionamenti, ma che non riuscì a compiere, essendo poi sopraggiunta la morte. Noi sappiamo bene che il Signore porta a termine la sua opera anche laddove ci sembra incomprensibile e dove non si hanno risposte alle mille domande. Kierkegaard cade per la strada, una caduta rovinosa che lo terrà inchiodato in ospedale per ben 41 giorni senza più uscirne vivo, morendo a soli 42 anni – l’11 novembre 1855 – rifiutando la benedizione offerta dal pastore luterano.

Non spetta a noi giudicare l’opera di Dio nei confronti di una risposta a quella maledizione. Del resto i fatti vissuti da Michael potrebbero rientrare in quella libertà d’azione di Dio che abbiamo visto applicata nel caso di Giobbe. Resta palese piuttosto la benedizione e la benevolenza di Dio proprio su questo figlio, il Suo dono della sapienza e dell’intelletto, nonché di una buona dose di fede che lo sostenne in tutta la sua vita, nonostante fosse malinconica. A tal punto che non pochi avrebbero scelto, forse, la soluzione del suicidio, o avrebbero smarrito la ragione per finire come Wilhelm Nietzsche.

L’autentica malinconia porta alla vera felicità

Kierkegaard: il pensatore malinconico.

Kierkegaard: il pensatore malinconico.

Ora viene la parte più difficile, il pensiero di Kierkegaard. Non mi cimenterò in un complesso riassunto primo perché non ne avrei le capacità, secondo perché ne è piena la rete, ma vorrei poter sottolineare alcuni aspetti fondamentali del suo pensiero a riguardo del nostro umanesimo. Perché ritengo Kierkegaard di una attualità utile al nostro ragionare ed alla ricerca della vera Sapienza.

In questo tempo in cui si grida all’ecumenismo,al dialogo, alle varie libertà etiche e morali e quant’altro, credo sia davvero utile riscoprire il suo pensiero, atto a sviscerare quei circuiti di una sapienza insipida del mondo di oggi che induce a scoraggiare e a gettare malinconia (di fronte anche ai mutamenti antropologici ai quali ci stanno obbligando attraverso non i ragionamenti e le prove scientifiche ma attraverso l’imposizione di leggi soggettive) mentre, proprio Kierkegaard malinconico e triste, ne usciva sapientemente fuori.

Il punto di riferimento di Kierkegaard – o se preferite il suo eroe – è Abramo, il quale davanti alla apparente assurda richiesta di Dio, non si mette a fare discussioni, ma prende il suo unico figlio, Isacco, e lo prepara al sacrificio (Gn.22). Dall’episodio Kierkegaard ricava la forza e il valore del libero arbitrio di ogni singolo uomo in risposta alle richieste di Dio. Una decisione che è libera rispetto a quell della collettività, la quale non avrebbe di certo accettato – madre compresa – l’apparente assurda richiesta di Dio. Apparente assurda perché, infatti, fermerà all’ultimo istante il compiersi di ciò che l’uomo non può che vedere come tragedia ma che per l’Assoluto è la prova della fedeltà dell’uomo a Dio.

L’uomo viene messo alla prova, continuamente, e solo un vero rapporto maturato con Dio, un “Tu per tu” può dare all’uomo stesso l’autentica misura del suo proprio essere. In fondo è ciò che chiediamo a Dio stesso nelle parole trasmesse dal Cristo nel Padre Nostro: «sia fatta la tua volontà; liberaci dal male».

Sacrificio di Isacco (Orazio Gentileschi, Sacrificio di Isacco, XVII d.C.; olio su tela; Galleria Nazionale di Palazzo Spinola,

Sacrificio di Isacco (Orazio Gentileschi, Sacrificio di Isacco, XVII d.C.; olio su tela; Galleria Nazionale di Palazzo Spinola.

Questo processo di maturazione non può che svolgersi – come in un continuo parto – fra dolori, lotte, tristezza e persino disperazione, un rapporto che nel dialogo fra Abramo e Dio prima, Giobbe e Dio poi, o la misteriosa lotta di Giacobbe con l’Angelo (Gn.32, 24-34), non può che risolversi in quell’abbandono totale che non elimina il combattimento interiore ma gli conferisce l’essenza, il vero motivo e la certezza della vittoria finale.

Non è un caso che il primo scontro con la comunità luterana Kierkegaard lo ebbe proprio in relazione ad un mutamento della religiosità della stessa chiesa in cui egli visse e si formò. Egli l’accusò di eccessiva “teologia liberale” dove, per liberale, intendeva proprio quel liberalismo che probabilmente avrebbe portato Abramo a mettere in discussione la richiesta di Dio fino a non prendere una chiara posizione alla sua richiesta di sacrificare Isacco ed anzi, forse anche a rifiutare tale richiesta.

Un libero arbitrio privato della giusta dose di drammaticità – la scelta di Abramo all’obbedienza ad un comando divino – non sarebbe più una libera scelta, ma una scelta convenzionale, compromessa, piegata ad un soggettivismo tale da portare Dio sullo stesso piano dell’uomo. L’ oggettività delle Sue richieste al singolo uomo verrebbe così schiacciata dal soggettivismo personale e poi anche comunitario degli uomini nei confronti di Dio.

Per Kierkegaard questa “teologia liberale” è quanto di più devastante l’uomo possa avanzare nei confronti di una autentica “malinconia”, che porta a sentire quella necessaria nostalgia di Dio, nostalgia di dipendere da Lui e dalle sue richieste, nostalgia per essere da Lui consolati e soddisfatti. La “teologia liberale” rende l’uomo schiavo del suo stesso libero arbitrio, portandolo ad un conflitto con Dio.

La diabolica e perversa “teologia liberale”

Statua del pensatore cristiano.

Statua del pensatore cristiano.

La drammaticità vissuta e descritta come pensiero, per Kierkegaard, non è la disperazione, come egli stesso denuncia  esserci nel pensiero di Lutero. Lutero, come ben sappiamo, inizia la sua separazione dalla Chiesa a causa di una suo personale e drammatico conflitto affettivo e di solitudine vissuto quando era monaco agostiniano. Un conflitto personale che lo porterà piuttosto ad abbandonare l’autentica drammaticità di un rapporto con Dio nella solitudine di un monastero, per rivendicare non solo a se stesso il diritto ad avere una moglie e quindi a soggettivare tutto il suo pensiero come un evento oggettivo di riforma nella Chiesa, ma spingendo soprattutto in tal senso alla nascita ed allo sviluppo di questa “teologia liberale”. In essa l’obbedienza a Dio si rapporta ad una base non più verticale, dall’alto in basso, – richiesta di Dio che si abbassa verso l’uomo per renderlo veramente felice – ma in orizzontale trattando Dio alla pari, da uomo a Uomo.

Per Kierkegaard, invece, l’autentica e fruttuosa drammaticità è proprio il Cristianesimo visto come “scandalo”, segno di contraddizione nel mondo che ha un Crocefisso quale vessillo e quale segno. Un Cristianesimo che è l’annientamento dell’ “io”, del proprio ego, e se preferite, per dirla più semplicemente con santa Caterina da Siena, è quel morire a se stessi come quando Gesù nel Dialogo la istruisce dicendole quanto ella sia nulla confronto a ciò che è Dio, o di quanto sarebbe inutile la sua esistenza senza Dio.

Pascal. Con il suo pensiero Kierkegaard si confronta.

Pascal. Con il suo pensiero Kierkegaard si confronta.

Possiamo fare anche un raffronto con Pascal,al quale lo stesso Kierkegaard fa riferimento. «A Pascal interessava non tanto se Dio esistesse, quanto piuttosto che senso avesse per l’uomo credere in Dio! Per Kierkegaard interessa sapere che importanza abbia per l’esistenza soggettiva del singolo uomo credere o meno nell’esistenza di Dio, infatti, l’analisi che Kierkegaard vuole fare della realtà non è oggettiva, ma dell’uomo singolo nella sua soggettività, e dice: ” E’ più facile che sia salvato un persecutore di cristiani che non un insegnante di teologia “, a sottolineare che il persecutore ha vissuto autenticamente (anche se in modo sbagliato) le proprie convinzioni, mentre l’insegnante fa il proprio lavoro in maniera puramente oggettiva, senza partecipazione soggettiva; allo stesso modo, la verità scoperta da Galileo era oggettiva, mentre quella di Giordano Bruno era soggettiva e, pertanto, doveva essere vissuta fino alla morte». (1)

Il soggettivismo è poi il frutto di questa “teologia liberale”, dal quale l’oggettività ordinata a prendere una decisione – l’esempio di Abramo – viene annullata, viene sacrificata a discapito della maturazione interiore del singolo individuo in rapporto a Dio e con Lui.

La vera drammaticità sta dunque in questa lotta interiore fra l’uomo e Dio. Lo stesso Kierkegaard fa emergere come il nostro vero umanesimo sia in costante lotta con Dio, una sorta di “repulsione/attrazione”, e questo proprio a causa di quel “peccato originale” che distaccò l’uomo da Dio. La creatura, però, vive per ritornare a quello strappo e ritrovare in qualche modo riposo nel suo Creatore. L’autentica mortificazione non sta nell’affermazione del proprio soggettivismo, ma piuttosto in quella lotta che da una parte ci fa riconoscere e persino apprezzare la morte di un Dio sulla Croce – e dal quale solo può derivare la nostra salvezza – e dall’altra l’essenza stessa del Cristianesimo, che con le sue dottrine porta inevitabilmente al conflitto con l’ “io” fino ad annientarlo e ad ucciderlo se accettato, come spiega Kierkegaard.

In verità, c’è solo una correzione da fare a questo pensiero condivisibile, come ci insegna la dottrina cattolica: l’ “io” non viene ucciso, ma trasformato, come spiega lo stesso San Paolo: «non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me» (Gal. 2,10).

Sorprendente attualità

Un filosofo che sembra non passare mai di moda...

Un filosofo che sembra non passare mai di moda…

Ricordiamo tutti la grandiosa lectio magistralis di Ratzinger il giorno prima della sua elezione a Pontefice: Missa Pro Eligendo Romano Pontifice del 18 aprile 2005, nella quale sottolineò la “vera misura del nostro umanesimo” contro le derive etiche e morali del nostro tempo e contro la grave apostasia che ha colpito da anni l’interno della Chiesa, egli sottolineava: «Si va costituendo una dittatura del relativismo che non riconosce nulla come definitivo e che lascia come ultima misura solo il proprio io e le sue voglie. Noi, invece, abbiamo un’altra misura: il Figlio di Dio, il vero uomo. É lui la misura del vero umanesimo. “Adulta” non è una fede che segue le onde della moda e l’ultima novità; adulta e matura è una fede profondamente radicata nell’amicizia con Cristo. É quest’amicizia che ci apre a tutto ciò che è buono e ci dona il criterio per discernere tra vero e falso, tra inganno e verità».

Scriveva Kierkegaard “Diventare cristiani è, umanamente parlando, diventare infelici”(Diario, fr. 3134): se c’è molto di protestantesimo in questa frase, dall’altra parte c’è molto di vero, ma a partire da quella autentica “Imitazione di Cristo” che, agli occhi del mondo, fa apparire i veri cristiani come degli infelici, persone incapaci di divertirsi, paurose e ossessionate a non trasgredire i comandi di Dio.

Senza dubbio c’è anche una certa cultura cattolica del passato atta a penalizzare il senso della gioia dell’essere cristiani, offuscata sempre da un più tenebroso soffrire, mentre abbiamo nella mistica cattolica come il diventare davvero cristiani conduceva i Santi ad una gioia che sapevano trasmettere. Si pensi all’allegria di san Filippo Neri ed alla nascita degli oratori, o all’entusiasmo di san Giovanni Bosco.

Lutero: maschera funeraria e calco delle mani.

Lutero: maschera funeraria e calco delle mani.

In verità, questa sorta di infelicità deriva dal fatto che il vero cristiano diventa consapevole di essere un peccatore e di conseguenza non è felice, semmai, fino a quando non entra in comunione con il Salvatore. Per Kierkegaard non vi è nulla di ottimistico nel cristianesimo: la strada che porta ad imitare Cristo è impervia ma a dispetto del luteranesimo  il Cattolicesimo non ha perso del tutto l’idea della vera imitazione, mentre i protestanti, spiega, hanno ridotto Cristo a un’idea, sostituendo l’imitazione con l’interiorità segreta, in cui ogni singolo si rapporta a Cristo liberamente – teologia liberale -, ed è sufficiente riconoscere le proprie omissioni e sperare nella grazia che ci salva – Sola gratia -, dimenticandosi dell’imperativo “tu devi” fattoci dal Redentore, o quando dice: “Vi ho dato infatti l’esempio, perché come ho fatto io, facciate anche voi” (Gv. 13,15). Non è un opcional, ma un comando per diventare davvero cristiani, è la via obbligatoria e ordinaria. Cristo, per essere stato obbediente fino alla morte è stato perseguitato ed odiato, ha vissuto in totale servizio al Padre. Il suo messaggio si riduce a questo: ” seguimi, abbandona ogni cosa, prendi la tua croce, ogni giorno”, perciò non vi è nulla di ottimistico nel cristianesimo, è necessario prendere questa sofferenza che però trasforma dal di dentro e solo dopo ripaga. Se dunque non vi fosse sofferenza nell’essere cristiani, allora non si sta perseguendo il vero Cristianesimo e perciò non v’è più alcuna trasformazione nell’uomo, non vi è più la conversione, si finisce col rifiutare a Dio il dono di se stessi.

Presumibilmente un calco in cera della maschera mortuaria dell'eresiarca Lutero

Presumibilmente un calco in cera della maschera mortuaria dell’eresiarca Lutero

Insomma, Kierkegaard, in quanto cristiano, è convinto che vi sia oggettivamente una religione vera (quella cristiana) accanto ad una miriade di religioni false ma, da vero esistenzialista come si ritiene, più che occuparsi della verità universale di tali religioni, si occupa del modo in cui ciascuno si rapporta soggettivamente ad esse, come abbiamo visto sopra nel riportare il pensiero di Pascal.

Kierkegaard denuncia come nel protestantesimo si suppone che la grazia “da sola basti” e procura la soddisfazione, ma allora o si deve supporre che la grazia dia soddisfazione assoluta a tutti (anche ai malfattori, anche a coloro che non sono cristiani, quindi è inutile la conversione a Cristo) oppure bisogna ascoltare ciò che il Nuovo Testamento stabilisce come “presupposto e condizione” per la salvezza: la rinuncia al proprio soggettivismo, l’imitazione autentica di Cristo e perciò l’indiscutibile conversione: «Andate in tutto il mondo e predicate il vangelo ad ogni creatura.  Chi crederà e sarà battezzato sarà salvo, ma chi non crederà sarà condannato»(Mc. 16,15-16).

Pensare il peccato originale: a metà strada tra cattolicesimo e protestantesimo

Il peccato originale

Il peccato originale

Qui sarebbe interessante approfondire la concezione di peccato nel pensiero di Kierkegaard, ma lo spazio non ce lo consente, possiamo però tracciare alcune linee guida che ci portano a valorizzare la dottrina cattolica.

Il pensiero di Kierkegaard sul peccato originale si è dissociato dal pensiero luterano ma in definitiva non è neppure un pensiero del tutto cattolico.

Per Lutero il peccato originale appartiene alla natura, ha come conseguenza la perdita delle capacità buone, portando l’uomo alla corruzione, e dunque, essendo l’uomo corrotto, non è con il battesimo che si salva; per la Chiesa, nel pensiero espresso dal Concilio di Trento sulla scia di san Tommaso d’Aquino, l’uomo ha in sé il peccato originale che è “pena del danno” e ha come conseguenza il peccato personale, ma dal primo l’uomo è liberato mediante il Battesimo (cfr Rm.5,12-21), mentre per sfuggire al secondo è richiesta una conversione quotidiana.

Agostino: la sana inquietudine del santo è diversa dai sentimenti provati dal pensatore protestante. (Agostino ordinato sacerdote, affresco, Ottaviano Nelli, 1410-1420, Chiesa di sant'Agostino a Gubbio)

Agostino: la sana inquietudine del santo è diversa dai sentimenti provati dal pensatore protestante.
(Agostino ordinato sacerdote,  Ottaviano Nelli,affresco. 1410-1420, Chiesa di sant’Agostino a Gubbio)

Kierkegaard, pur sostenendo ladinamica cattolica del peccato originale, alla fine produce un ulteriore affondo sostenendo che l’individuo è in uno «stato equivoco di un’innocenza colpevole (per generazione) e di una colpa innocente che si traduce nella malinconia dell’innocenza perduta e nella possibilità del peccato». In poche parole, è il peccato che crea angoscia, prima che la stessa libertà dell’uomo possa o non possa compiere un atto giusto o sbagliato. Diremo appunto che è la “voce della coscienza” che agita l’uomo, una sorta di campanello d’allarme o, per dirla con San Paolo: «mandando il proprio Figlio in una carne simile a quella del peccato e in vista del peccato, egli ha condannato il peccato nella carne, perché la giustizia della legge si adempisse in noi, che non camminiamo secondo la carne ma secondo lo Spirito»(Rm.8,3-4), o, come dice più esplicitamente qui: «Poiché dunque abbiamo un grande sommo sacerdote, che ha attraversato i cieli, Gesù, Figlio di Dio, manteniamo ferma la professione della nostra fede. Infatti non abbiamo un sommo sacerdote che non sappia compatire le nostre infermità, essendo stato lui stesso provato in ogni cosa, a somiglianza di noi, escluso il peccato» (Eb.4,14-15), o ancora per dirla con Sant’Agostino: «Tardi t’amai, bellezza infinita. t’ardi t’amai, t’ardi t’amai (…) O Signore, ci hai creati per te, e il nostro cuore è inquieto finché non riposa in te!» (dalle Confessioni).

La concezione cattolica è assai più ottimista del pensiero negativo e pessimista che Kierkegaard ha, comunque sia, ereditato dal protestantesimo, tanto che non crederà al Battesimo quale lavacro del peccato originale e di conseguenza finisce per sprofondare in una malinconia che travalica il pensiero di sant’Agostino. Il santo, infatti, si riferisce a quella “sana inquietudine” che non è e non conduce mai alla disperazione ma, al contrario, spinge l’uomo alla gratitudine verso Dio, come ci rammenta l’Apostolo: «Ma Dio dimostra il suo amore verso di noi perché, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi» (Rm.5,8). Kiekegaard chiarisce il suo pensiero in La Malattia Mortale. nel quale parla della disperazione e dell’angoscia per dimostrare come queste nascano dal peccato: «Nel cristianesimo il peccato è atto di libertà e il suo muoversi verso la propria perdizione: perché l’io si scandalizza perché non supera la possibilità dello scandalo», con la venuta di Cristo l’uomo non si trova più solo davanti a Dio, ma anche a Gesù, uomo come noi; l’Uomo-Dio dà scandalo esistenziale, è il nuovo Adamo che si è incarnato per strapparci dalla disperazione del peccato (2). Solo che tal concetto lo porta a negare il Battesimo quale Sacramento di condono del peccato originale anziché  valorizzarlo nella dottrina cattolica, insomma, forse cercava anche un compromesso con il luteranesimo nel quale si era formato e associato, forse, anche a quei “sensi di colpa” nutriti in gioventù.

La morte della tristezza: la fede

Crocifissione Mond (Crocifissione Gavari) è un dipinto ad olio su tela, 1502 ed il 1503 dal pittore italiano Raffaello.

Crocifissione Mond (Crocifissione Gavari), olio su tela, 1502 – 1503, Raffaello. La Croce è scandalo e follia.

Per giungere ad una conclusione dell’articolo, che non ha alcuna pretesa ma èsolo una ampia riflessione, ritengo assai interessante il filone della “malinconia” che riconduce il tutto alla fede quale superamento di ogni paura, angoscia, tristezza, drammaticità. Ritornando alla fede di Abramo,  modello per Kierkegaard, la sua storia è un assurdo per ogni filosofia che si rispetti ed è un paradosso per la stessa fede cristiana. Si tratta del paradosso di un Dio che chiede il sacrificio di un figlio ma che poi – prefigurazione – irrompe Egli stesso nel tempo mandando il proprio Figlio a morire liberamente sulla Croce e questa volta non fermerà la mano degli esecutori. Kierkegaard porta come esempio anche San Paolo, che dapprima fu persecutore dei cristiani, che definì la croce come “follia per i pagani”, a sottolineare ciò che per la filosofia è “l’assurdità dell’eternità che irrompe nel tempo” e detta le regole del gioco.

Ecco spiegato anche perché per Kierkegaard il cristianesimo è la religione del paradosso che fa saltare ogni pensiero che gli si contraddice, ed anzi esso stesso segno di contraddizione. E se la categoria principale della riflessione religiosa è quella dell’angoscia, un concetto che sarà ripreso dagli esistenzialisti del Novecento – l’angoscia come paura del nulla, ossia paura priva di un oggetto – è importante allora ripensare alle parole di San Paolo: «La nostra battaglia infatti non è contro creature fatte di sangue e di carne, ma contro i Principati e le Potestà, contro i dominatori di questo mondo di tenebra, contro gli spiriti del male che abitano nelle regioni celesti» (Ef.6,12).

Alla categoria di angoscia perciò è intimamente connessa quella della fede: la fede è la sola realtà che ci dà il coraggio di compiere quel salto dirompente e decisivo che è la vera conversione, la sola che ci consente di uscire dall’angoscia generata dal peccato, in quella sana inquietudine descritta da sant’Agostino: siamo inquieti fino a quando non ritorniamo al nostro Creatore, fino a quando il nostro cuore non riposa in Lui. E non potendo da soli, da noi stessi, sconfiggere il peccato, ecco Dio che si fa Uomo e con Lui allora possiamo vincere e siamo vincitori.

Abramo è il "cavaliere della fede". Parola di K. Particolare de "Il sacrificio di Isacco", di Caravaggio: Abramo

Abramo è il “cavaliere della fede”. Parola di K.
Particolare de “Il sacrificio di Isacco”, di Caravaggio: Abramo

Finché restiamo nella nostra condizione umana e nel nostro soggettivismo, il timore del nulla non può essere debellato, ma non appena scegliamo la vita religiosa (abbracciando la fede vera del Cristo), ecco allora che sfuggiamo all’angoscia e alla disperazione e troviamo un riparo da esse nell’Assoluto. In Problemata e Problemi (I, II, III) Kierkegaard spiega perché Abramo è il “cavaliere della fede” e non l’eroe tragico della rassegnazione infinita. Il segreto del dramma di Abramo è l’angoscia, superata, di fronte alla determinazione religiosa, quella del sacrificio del figlio, che è qualitativamente diversa dalla determinazione morale e richiede la decisione della fede: insomma, bisogna «fare della fede un valore assoluto (..) Egli credette in virtù dell’assurdo, poiché ogni calcolo umano era da tempo stato abbandonato». Abramo amò Dio con la fede, per questo Gesù  porta come esempio ai farisei “la fede di Abramo”. Non bisogna andare oltre la fede. Abramo «si è rassegnato infinitamente a tutto ed ecco che ha riavuto tutto in virtù dell’assurdo», in virtù di ciò che l’uomo senza fede, o rifiutandola, ritiene il Cristo come l’assurdo.

Dopo aver chiuso l’articolo è giunta, provvidenziale, la prima Enciclica di Papa Francesco. Iniziata da Benedetto XVI e terminata, firmata dal Successore, Lumen Fidei ci aiuta così a focalizzare meglio anche gli aspetti positivi di certi filosofi, riconoscendone le imperfezioni o gli errori. Ci piace segnalare la sintonia di questo umile articolo con il primo capitolo dell’Enciclica che parla proprio di Abramo e della sua fede, lo riteniamo davvero provvidenziale e raccomandiamo a tutti la lettura e meditazione, nonché la grazia di poter abbracciare davvero la fede in Nostro Signore Gesù Cristo.

(1) Diego Fusaro la filosofia e i suoi eroi

(2) cfr nota (1)

 







Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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